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La prova ontologica (dal greco òntos, genitivo di òn, participio presente di eimì,

essere) è una dimostrazione logica dell'esistenza dell'essere. Per traslazione, nella


scolastica divenne la dimostrazione a priori dell'esistenza di Dio. Sin dal tempo dei
presocratici si ebbero numerosi tentativi e confutazioni di prove ontologiche:
pensiamo all'Uno di Parmenide o al discorso di Socrate sugli Dei (che gli valse
l'accusa di empietà). La maggior parte di simili argomenti si basavano sull'identità
tra essere e pensare.

La fama di S. Anselmo d’Aosta è legata all’argomento ontologico o prova ontologica per


dimostrare l’esistenza di Dio, che egli espone in un’opera intitolata Proslogion.
La prova di Anselmo è mentalista, perché può essere compresa da chiunque con il
semplice ausilio della propria mente e della propria interiorità; si basa inoltre sulla
disputatio, cioè la versione scolastica del metodo dialettico socratico. Dovendo
dimostrare l'esistenza di Dio (ovvero la perfezione, l'ente primo), Anselmo non può
procedere come in qualsiasi altro caso: deve infatti compiere una dimostrazione a priori
(cioè che non si basi sui sensi), l'unica in grado di dimostrare il fondamento ontologico di
ogni cosa. Procede quindi per assurdo: in tal modo può condurre la sua prova senza
precedenti assiomi o teoremi, ma semplicemente basandosi sulla ragione e su due principi
fondamentali: il principio di non contraddizione (che ci permette di distinguere il vero dal
falso) ed il principio del terzo escluso (secondo il quale, se ho una soluzione falsa, il suo
opposto dev'essere per forza vero: non ho una terza via di scelta).
Molti anni dopo S. Tommaso contestò l’argomento di S. Anselmo. Egli disse che
l’argomento è valido solo se si presuppone già che l’essere perfettissimo esiste. Il
problema non è di sapere se l’essere perfettissimo, in quanto tale, non possa fare a meno
di esistere, ma di sapere se esso realmente esiste. In altri termini, è ovvio che, se si
fosse già in Paradiso, si capirebbe che Dio non può non esistere; il problema è però
sapere se esistano Dio e il Paradiso. Chi ha fede – dice ancora Tommaso – può ammettere
che Dio è perfettissimo, ma c’è anche chi sostiene che Dio sia materia o corpo, ed ha
quindi un concetto diverso di Dio.
Inoltre non ne consegue che da un concetto se ne possa dedurre l’esistenza nella realtà :
l’essenza di Dio rimane comunque inaccessibile alla ragione umana.

Cartesio sostiene che l'idea di perfezione è innata, perché quando mi costruisco l'idea di
onnisciente, devo riconoscere come imperfetto colui che ignora qualcosa. Per giudicare
imperfetta la realtà che conosco al fine di costruire l'idea di perfezione, devo, in qualche
modo, avere già una qualche nozione di perfezione. Per esempio per giudicare se un
compito è giusto o sbagliato, devo prima sapere com'è quello giusto.

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L'idea di perfezione, quindi, è innata. Questa premessa è determinante per credere alla
prima prova: Cartesio dice che un'idea innata è nella nostra mente, ma poiché tutto ciò
che accade ha una causa, allora dobbiamo dire che anche l'idea di Dio ha una causa.
Cosa possiamo sapere sulla causa? Fa riferimento a un assioma della filosofia
scolastica:"La causa di un'idea deve possedere tanta realtà formale quanta è la realtà
oggettiva dell'idea". Si fa la distinzione tra realtà oggettiva con la quale si intende il
contenuto dell'idea (l'idea di albero contiene l'idea di foglia, indipendentemente dal
fatto che l'albero esista o no) e realtà formale ossia ciò che esiste, che è formalmente
tale, realtà che esiste effettivamente.
La causa deve possedere tanta realtà quanta ce n'è nell'effetto, la causa di un'idea deve
possedere tanta realtà formale quanta è la realtà oggettiva dell'idea.
La realtà oggettiva di Dio è la perfezione. La causa dell'idea di perfezione deve avere
tanta perfezione quanta quella che c'è nell'idea stessa di perfezione. La perfezione non
può essere altro che Dio, perché solo Dio è l'ente perfetto, ed essendo l'ente perfetto è
anche la causa dell'idea di perfezione.
Solo dell'idea di Dio, ossia dell'idea di sostanza infinita e perfetta, non posso essere la
causa io, che sono una sostanza finita e imperfetta. La causa che ha causato in noi l'idea
di perfezione è perfetta. Quindi Dio esiste come ente perfetto, perché dico che esiste
l'idea perfetta. Le idee innate hanno come causa Dio, le idee fittizie hanno come causa
l'uomo.
L'ente perfetto è quindi la causa di se stesso. Ciò può risultare comprensibile perché, se
io non suppongo che nella causa ci sia più realtà di quella che c'è nell'effetto, allora
quello che trovo nell'effetto è causato da cosa? Se per esempio prendo dell'acqua
scaldata, se l'acqua è più calda della fiamma che l'ha scaldata, da dove è venuto il calore
in più? Dal nulla?
Si tratta dello stesso argomento di S. Anselmo.
Mentre Anselmo d'Aosta procedeva a priori nella sua prova ontologica dell'esistenza di
Dio, per Tommaso d'Aquino invece, il fatto che Dio esista ci è dato anche dalla fede;
egli cioé procede sia a priori che a posteriori. Una prova che sia solo a priori, infatti, è
valida da un punto di vista assoluto, che è lo stesso di Dio; ma l'uomo, che vive in una
dimensione relativa, ha bisogno di dati di partenza.
Tommaso quindi propone cinque vie, ma evitando di parlare di dimostrazioni: le sue
argomentazioni non sono teoremi matematicamente o logicamente dimostrati, ma cammini
che permettono di intravedere con la ragione l'esistenza di Dio.
Per rendere valide le sue argomentazioni, Tommaso ricorre (in ordine) alle categorie
aristoteliche di "potenza" e di "atto", alla nozione di "essere necessario" e di "essere
contingente" ai gradi di perfezione (di stampo platonico) e alla presenza di finalità negli
esseri privi di conoscenza.
Prima via: "Ex motu":

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« [...] tutto ciò che si muove è mosso da un altro. [...] Perché muovere significa trarre
qualcosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non
mediante un essere che è già in atto. [...] È dunque impossibile che sotto il medesimo
aspetto, una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova sé stessa. [...]
Ora, non si può procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore,
e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in
quanto sono mossi dal primo motore [...]. Dunque è necessario arrivare ad un primo
motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio. »
Seconda via: "Ex causa":
« [...] in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia e
l'intermedia è causa dell'ultima [...] ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se
dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe
neanche l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale
ad eliminare la prima causa efficiente [...]. Dunque bisogna ammettere una prima causa
efficiente, che tutti chiamano Dio. »
Terza via: "Ex contingentia":
« [...] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere.
Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state [...]. Se dunque tutte le cose
[...] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è
vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad
esistere se non per qualcosa che è. [...] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma
bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. [...] negli enti necessari che
hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito [...]. Dunque,
bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga
da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
»
Quarta via: "Ex gradu perfectione":
« [...] il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che si
accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; [...] come dice Aristotele,
ciò che è massimo in quanto è vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in
un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere [...]. Dunque vi è qualche
cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E
questo chiamiamo Dio. »
Quinta via: "Ex fine":
« [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un
fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da
un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un qualche
essere intelligente, dal quale tutte le
cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio. »

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Cartesio, nella quinta delle Meditazioni Metafisiche, ripropose una prova analoga a quella
di Anselmo anche se leggermente differente.
Per Dio egli intende «una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente,
sommamente potente», ovvero la «somma di tutte le perfezioni» la cui idea è «innata»
nell'intelletto ed improducibile da esso stesso al pari dell'idea di infinito attuale. Se Dio
assomma tutte le perfezioni, contenute in sé come note di un concetto, non può mancare
dell'esistenza; se non esistesse, sarebbe meno perfetto della perfezione che gli era
stata accordata. Pensare un Dio perfettissimo manchevole dell'attributo dell'esistenza è
contraddittorio, dice Cartesio, «come pensare un monte senza valle».

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