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Libro: Fenomenologia dell’educazione.

(Caronia)

Cap. 1 Il paradigma fenomenologico in pedagogia

Genesi storica e genealogia intellettuale


La fenomenologia si propone di studiare il fenomeno così come esso si dà per cogliere la pura forma o
essenza o idea (EIDOS) per cui ogni giudizio viene sospeso epochè ogni teoria viene posta tra parentesi
affinchè il fenomeno emerga nella sua genuinità datità essenziale per cui fenomenologia come scienza
rigorosa in opposizione al naturalismo ingenuo e positivista sia al formalismo astratto della logica che al
relativismo storicistico e alle filosofie delle visioni del mondo fenomeno come attività della coscienza. Il
pensiero husserliano fornisce uno sfondo alla pedagogia fenomenologica critica più recente. Il paradigma
fenomenologico in pedagogia vede la teoria come un organismo vivente e segue una lunga gestazione
prima che sia presentato con la sua articolazione formale (Baxter 2011) per essere poi modificata da altri
e nel tempo. Una buona teoria non è statica tiene conto della storia infatti ogni enunciato teorico si collega
ai precedenti e getta premesse per i successivi. È dialogica è dialogo sempre aperto,quindi lo scopo è
ricostruire la genesi storica ed evolutiva di una teoria generale dell’educazione (pedagogia
fenomenologica).
Essa nasce in Italia con Bertolini (l’esistenza pedagogica e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata 1988) tra un modello deduttivo secondo cui la prassi educativa
deriverebbe coerentemente dagli assunti teoretici e uno induttivo secondo cui una teoria pedagogica altro
non sarebbe che una strutturazione concettuale dell’agire pratico in educazione egli adotta un modello
abduttivo.
La prassi offre i casi l’evento ma è la regola che ci fa rendere conto di quei casi attraverso descrizione
spiegazione interpretazione che aumenta l’intellegibilitàdei casi stessi e che ci consente di formulare
inferenze per cui la scelta della regola come vertice teorico con cui interpretiamo i casi è fondamentale
pur rimanendo declinata sul probabile, sul possibile. I quadri teoretici ci forniscono categorie per pensare
i fenomeni formulare domande o ipotesi di ricerca progettare percorsi formulare obiettivi per individuare i
tratti pertinenti e rilevanti e per agire responsabilmente in e per l’educazione. Approccio inferenziale
alla teoria per cui teoria e prassi educative sono in continuo rapporto.
La scommessa teoretica di Bertolini è quasi una provocazione e nasce da un’esigenza storicamente
situata: fondare la pedagogia come sapere scientifico sull’educazione al di là del senso comune, della
chiacchera del moralismo al fine di liberare l’educazione dall’indottrinamento o propaganda e dalla svolta
positivistica in pedagogia.
Oltre l’ideologia e il senso comune
All’inizio degli anni 60 la riflessione pedagogica era un dilemma tra Scilla e Cariddi, la pedagogia
sembrava dover scegliere tra vocazione ideologica o empirista, tra modello prescrittivo-normativo che si
basa su una tavola di valori e un modello prescrittivo-normativo basato sulla conoscenza scientifica.
 I° modello di pedagogia come ancella o braccio operativo dell’ideologia e confermava l’ipotesi
che l’educazione fosse una pratica sociale ma tale modello funzionalista veniva smentito
dall’accadere storico, l’educazione poteva essere una fabbrica di riproduzione capace di costruire
individui in grado di agire e pensare secondo i valori dominanti, maaveva anche carattere di
emancipazione, una pratica dove gli individui potevano costruire se stessi come soggetti dotati di
pensiero critico e capacità riflessive; Bruner assume l’educazione come pratica sociale e culturale
in grado di modificare profondamente ciò da cui essa stessa dipende.
 II° modellopedagogia come disciplina a vocazione normativa ma fondata sulla conoscenza
scientifica dei fattori in gioco nell’esperienza educativa appariva altrettanto debole perchè legata
ad una visione positivista per cui la rilevanza e l’autorevolezza di un fenomeno sociale erano date
da una loro sostenibilità condivisibile in nome dei risultati dell’indagine scientifica che erano
legati al metodo che era quello delle scienze naturali (le scienzenaturali).
Filosofia o scienza dell’educazione? Le voci di un dibattito
Acceso dibattito dagli anni ’60 a ’80 cui si vuole indagare la matrice epistemologica dell’educazione
come oggetto della pedagogia. Secondo la prospettiva proposta da Lumbelli ’81 il normativo può essere
tenuto presente e non viene certo contrapposto al descrittivo anzi ne diventa la base e ne garantisce
rilevanza teorica. Per Pontecorvo prescrivere e descrivere fanno parte di un unico processo dialettico;
secondo questa prospettiva teoretica dei rapporti tra descrittivo e normativola pedagogia è scienza
anche applicata nella misura in cui norma i comportamenti educativi adeguati allo scopo e il suo grado di
normatività è interno e il suo scopo riguarda le concezioni del mondo la cultura perciò Bruner assume che
l’educazione è una pratica culturale. Ma le sue modalità debbono e
ssere supportate dalla ricerca pedagogica che riguarda lo studio del “come” e secondo Bertin compito
della filosofia dell’educazione è quello di giustificare la scelta pedagogica nelle sue finalità e metodologie
e Bertolini aggiungerà che compito della pedagogia è costruire un discorso pedagogico e una conseguente
pratica educativa attraverso i quali l’uomo cerca di conquistare una razionalità autentica legata
all’originarietà della propria vita cui attingere le fondamentali unità di senso capaci di orientare la stessa
esistenza.
Quindi può una pedagogia scientifica uscire dal dogmatismo e dalla neutralità e quale rapporto intrattiene
con l’etica e la politica ossia con le due istanze deputate a riflettere sul bene comune sui fini e valori
condivisi all’interno di una comunità? A questo cerca di rispondere il dibattito epistemologico di quegli
anni su cui incidono anche le opere di Foucault – la diffusione dell’approccio antipositivista e
decostruzionista in filosofia e sociologia della scienza. E la svolta interpretativa e socio-costruzionista
nelle scienze sociali.
La pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata
All’interno di questo clima culturale ( resistenze positiviste – teorie della complessità – cibernetica)
Bertolini consolida una teoria generale dell’educazione ancorandosi al pensiero di Dilthey (scienze dello
spirito)per cui la scientificità della pedagogia si forma altrove rispetto alle scienze della natura e parte
dalla fenomenologia di Husserl per fondare un’epistemologia per una pedagogia come scienza
dell’educazione capace di svincolarsi dai dogmatismi in grado comunque di tener conto della specificità
del suo oggetto “ l’educazione” quale fenomeno eminentemente umano.
Aporie, faglie ed evoluzione di una teoria
I° faglia nella teoria Bertolini
In un primo tempo tale rapporto con la fenomenologia husserliana è statico poi Bertolini alimenta la sua
svolta teoretica. Per quanto abbia sempre insistito sulla relazionalità tra soggetto e mondo, nei suoi scritti
è rintracciabile un primato del soggetto, in carne ed ossa, l’educatore e l’educando. L’educatore viene
investito di una sorta di missione e dotato del potere quasi prometeico di ri-fabbricare destini e condizioni
che risentono della sua esperienza in prima persona come educatore e direttore di carcere. Questo
primato della persona che andrà via via sfumando e riemergeranno il linguaggio, cultura e interazione.
Bertolini radicava l’educativo al collettivo, l’individuale al sociale e il pensiero al linguaggio. All’interno
dell’oscillazione dialettica tra una versione soggettivista dell’educazione e una versione socio-storica,
Bertolini getta le premesse per una svolta teoretica della pedagogia verso la dimensione intersoggettiva,
come radice della costruzione del sé, della cultura e della comunità. La sua opera rimane una tensione
dialettica interna tra la visione soggettivistica e quella socio-storica. Questa ambivalenza tra le visioni non
è l’unica ambiguità del suo pensiero.
II° faglia nella teoria Bertolini
Consiste nell’ipostatizzazione (astrarre dalla realtà fenomenica: concetti-qualità rendendoli in sé
sussistenti) delle nozioni di natura e cultura. La riflessione bertoliniana divide e oppone natura e culturae
si articola lungo una prospettiva di chiaro stampo evoluzionistico unilineare. L’appello a una forza
originaria e costitutiva dell’umanità, che ha consentito di superare il livello animale e avere una propria
storia, l’idea che le diversità non sono originarie, appartenendo non già alla natura dell’uomo in quanto
tale, ma alla sua storia. Unilinearità in palese antinomia con i postulati fenomenologici relativi alla co-
costruzione tra soggetto e mondo e alla natura culturale dell’esperienza che Bertolini tematizzerà in
seguito.
III° faglia
Ma la più importante faglia, riguarda la DERIVAZIONE DEL NORMATIVO(una teoria normativa è una
teoria del dover essere che fornisce dei principi guida cui l’azione deve tendere)DAL DESCRITTIVOe il
postulato indimostrabile che l’EIDOS (la natura interna della cosa: è il relativo nucleo interno ed
invisibile; è ciò che causa ad una cosa quel che è, cosa è, e senza la quale perde significato) dell’evento
educativo cioè la struttura invariante di qualunque occorrenza concretasia il “dover essere educativo”
ossia ciò a cui un’educazione pedagogicamente orientata deve tendere. La mai risolta aporia tra
descrittivo e normativotra una pedagogia fenomenologicamente fondata che non può che essere una
scienza del come e non del che cosa e una pedagogia che pretende di delineare il dover essere
educativorappresenta una zona di faglia dell’impianto della sua pedagogia. Ma il dover essere era per
Bertolini l’antidoto epistemico alla idealizzazione di una scienza al fine di costruire una pedagogia come
scienza autonoma capace di individuare un proprio oggetto di ricerca e a favore di una definizione del
sapere pedagogico come provvisorio e aperto al possibile attraverso la rinuncia ad ogni vocazione
normativa.
Aa.Vv.: sceneggiature collettive
La fenomenologia husserliana si mostrava come uno straordinario canevaccio per pensare l’educazione
all’interno del gruppo Encyclopaideia (gruppo di ricerca di Bertolini) nutrito dalla pedagogia bertoliniana.
Gli studiosi tematizzavano la testualizzazione dell’io come procedura educativa e autoeducativa che
presuppone che un lettore modello sia l’autore o un lettore empirico. La testualizzazione del Sè è una
pratica formativa radicata in una dimensione intersoggettiva perciò ermeneutica in cui le sue condizioni di
possibilità sono intessute in una conoscenza culturale o senso oggettivamente inteso.
Caronia e Mortari definivano epistemologia e metodi della ricerca empirica fenomenologicamente
fondata rivolta alla ricerca empirica in educazione al di là degli approcci sperimentali dove l’oggetto è
una variabile e non una costante, una realtà culturale che non soddisfa le condizioni di una deontologia
indipendente dal soggetto. Il discorso si apre poi ai complessi rapporti tra pensiero, linguaggio,
interazione e cultura inclusi nei diversi ambiti scientifici; all’evoluzione della pedagogia fenomenologica
come teoria generale dell’educazione hanno poi contribuito le voci degli anni ’80 che delineavano i
fondamenti della pedagogia come critica culturale.
La pedagogia come critica culturale
Ovvero approccio critico dello sguardo pedagogico che riguarderebbe non solo il fenomeno
(l’educazione) ma i dispositivi euristici e retorici attraverso cui tale fenomeno viene definito analizzato
testualizzato per cui la pedagogia critica è riflessiva e metariflessiva.
Il suo campo d’azione non è solo l’educazione ma il discorso sull’oggetto ivi comprese la pedagogia e le
varie pedagogie che definisce come corrente interna alla filosofia dell’educazione, il pensare criticamente
i molti e differenti modi con cui il pensiero educativo ha varcato e varca la soglia del pensiero etico per
cui compito della pedagogia critica e della filosofia dell’educazione diventa individuare gli slittamenti
dogmatici e le derive riduzionistiche perchè consapevole del fatto che il dogmatismo non è solo
appannaggio del discorso ideologico ma anche del discorso scientifico nella misura in cui non si
darebbero comunque condizioni di possibilità della neutralità e di incorrere nel rischio di ogni paradigma
di trasformarsi in un para-dogma o in una verità astorica.
La pedagogia fenomenologica si alimenterà anche della postura decostruzionista.
Pedagogia fenomenologica: radici storiche e nuovi sviluppi
Come qualsiasi teoria la pedagogia fenomenologica ha a che fare con quanto l’educazione riesce a
spiegare e a farci comprendere e con come riesce a spiegare e a farci comprendere i fenomeni educativi.
Tuttavia la matrice filosofica resta uno sfondo imprescindibile a testimonianza della natura
inevitabilmente discorsiva di qualsivoglia proposta teoretica. Lo scopo diventa ora isolare quegli assunti e
concetti della fenomenologia husserliana che costituiscono la chiave di volta della pedagogia
fenomenologica in un’ottica di sviluppo.

Cap. 2 In principio era il soggetto

Ripensare la fenomenologia: risorse e dilemmi del pensiero del filosofo


Husserl rappresenta una figura di transizione nella storia della filosofia europea come rappresentante
straordinario della filo. Moderna della sua vocazione sistematica e universalista perchè trascendentale ma
egli è anche la chiave di volta verso la filosofia post moderna verso i suoi sospetti circa la possibilità
stessa di accedere al trascendentale quale struttura disincarnata dal contingente e la radicale messa in
discussione del principio aristotelico della verità come adeguatio rei et intellectus, la verità consiste nella
corrispondenza, nell'accordo, tra la realtà e la sua rappresentazione linguistica e concettuale, muore nel
1938 in Germania toccato dai indizi che sarebbe poi stato lo sterminio degli ebrei di Europa.
Il pensiero di Husserl e alcune sue nozioni diventano i pilastri dell’impianto argomentativo della
pedagogia fenomenologica nel promuovere un pensiero aperto a diverse interpretazioni con scarti e
dilemmi interni. Ad es. Husserl definisce nel primo volume“Idee” la ricerca fenomenologica come sfera
della pura coscienza e la fenomenologia trascendentale come una investigazione sulle strutture pure
invarianti dell’atto di coscienza noesiscon il suo corrispondente oggetto intenzionale noema("pensiero" o
"concetto”)e le necessarie correlazioni tra i due.
Per alcuni la ricerca fenomenologica è un’impresa idealistica. Secondo altri autori Husserl rigetterebbe
ogni forma di idealismo radicale e anti realista (ossia l’idea che gli oggetti esistano solo e soltanto in virtù
del loro essere esperiti dal soggetto) ma accetterebbe una versione dell’idealismo trascendentale di origine
kantiana cioè l’idea che noi esperiamo l’oggetto in virtù del fatto che la nostra mente organizza quella
esperienza secondo alcune regole.
Husserl distingue tra atti della coscienza noesis da oggetti della coscienza noema e ambedue dagli oggetti
concreti o comunque pre-rappresentazionali per cui per luil’oggetto è costituito in e attraverso
l’esperienza cioè conferisce significato all’oggetto. Per cui l’idealismo trascendentale è una teoria
epistemologica circa il modo in cui noi esperiamo le cose dove il primato della coscienza (res cogitans per
cartesio) è innegabile.
Husserl riconoscerà maggior peso all’oggetto-origine in base a cui gli oggetti noematici sono costituiti
dalla coscienza, a differenza della fenomenologia statica interessata a indagare come sia possibile cogliere
l’essenza eidos di qualcosa all’interno di una data esperienza in un dato momento, la fenomenologia
genetica esplora la genesi del significato, arrivando alla sua origine nell’esperienza passata (oggetto
acquista significato attraverso la nostra esperienza).
Una evoluzione storica del suo pensiero riguarda la posizione rispetto al tipo di conoscenza è garantita e
costituita dalla riduzione fenomenologica che è un metodo per giungere alla conoscenza chiara ed
evidente delle cose stesse.
Husserl assume a) che ciò sia possibile b) che sia possibile attraverso la sistematica messa in parentesi
della certezza che la cosa sia quale essa appare (epochè) per cui tra noi e le cose c’è una sorta di velo fatto
di apodittiche certezze (il termine apodittico vuole significare ciò che risulta come
conclusivo/chiaro/evidente in base a una dimostrazione) di verità già date che concernono l’oggetto quasi
forzandoci a vederlo sotto quella certa definizione o descrizione: chiacchere che intralciano la possibilità
di costruire una chiara ed evidente idea della cosa a cogliere l’eidos dato dagli elementi invarianti e
dunque essenziali che si presentano alla coscienza pura.
Per cui il primo passo è mettere in parentesi l’apparente evidenza sospendere il giudizio su quella cosa la
sua apparenza attraverso un processo sistematico di sfogliamento di tale apparente verità e al termine di
tale processo di corrosione di verità rimangono due residui ineliminabili: la coscienza pura e la cosa
stessa. Rimane comunque il fatto che per Husserl è un tendere verso le cose stesse una possibilità di
incontro ante-predicativo ossia non mediato con le cose anche in virtu’ della differenza che h. Imprime tra
apoditticità e adeguatezza cioè una conoscenza riconosciuta accettabile rispetto allo scopo in termini
pragmatici e in termini socio-storici. E’ adeguata quella conoscenza della cosa considerata vera
all’interno di un orizzonte di premesse date, qui sta una controversia in quanto se adeguata vuol dire
garantita dal metodo epoche’ che non differisce dalla apoditticità criticata dallo stesso h. Per cui non
sfugge al concetto di universalismo proprio dell’idealismo trascendentale che h. Vuole sostituire con il
concetto di adeguatezza. Per cui il quid si risolve con l’indagine fenomenologica che si profila come una
ricerca continua, senza fine e costantemente rinnovatesi e intersoggettiva in rapporto dinamico con il
mondo.
Le nozioni della pedagogia fenomenologica che derivano dalla fen di husserl. Sono: intenzionalità,
riduzione trascendentale con epoche e eidos, mondo della vita e intersoggettività.
L’intenzionalità: dalla filosofia della mente alla pedagogia fenomenologica
L’intenzionalità è un concetto centrale nella riflessione husserliana viene indicata come proprietà
fondamentale della coscienza. La coscienza è sempre “a proposito di qualcosa” dove questo qualcosa può
essere anche la coscienza stessa. Per Brentano maestro di Husserl l’intenzionalità è quella caratteristica
che distingue il dominio del mentale dal dominio del non mentale (o mondo naturale): tutti e solo gli atti
mentali sono intrinsecamente intenzionali; gli oggetti concreti e materiali come una pietra o un albero non
costituirebbero rappresentazioni di ciò che li riguarda reagirebbero meccanicisticamente a ciò che li
riguarda. Nozione correlata a quella di intenzionalità della coscienza è l’idea di oggetto intenzionale o
intenzionato che si apparenta a quella di contenuto della coscienza. Un oggetto intenzionale è ciò che un
atto di coscienza ne fa di un certo oggetto, si tratta del rappresentato, percepito, desiderato, ossia oggetto
riconfigurato a partire da uno qualunque dei diversi atti intenzionali (percepire – pensare – desiderare –
esperire) questa differenza tra atti intenzionali (noesis) e oggetti intenzionati (noemata) sembra ovvia in
realtà è ricca di implicazioni.
In primo luogo Husserl distingue diversi atti intenzionali: credere, immaginare, evocare,volere sono
diversi in nome di una caratteristica intrinseca o qualità. In secondo luogo sono tutti modi di essere
cosciente di un certo oggetto intenzionale per cui lo stesso oggetto apparirà in modo differente secondo i
modi in cui esso è colto dalla coscienza. La logica derivazione di tali premesse è che lo stesso oggetto
apparirà in modo differente secondo i modi in cui esso è colto dalla coscienza. E ciò trasforma la
questione dell’esistenza dell’oggetto intenzionale in qualcosa di profondamente problematico e
affascinante. Possiamo pensare a un oggetto che si presta a essere colto in diversi modi dalla coscienza
(versione realista della fenomenologia) o conferire all’oggetto lo status di puro fenomeno che non esiste
se non in e attraverso le sue apparenze (versione idealista). La declinazione in chiave realista invita a
pensare l’oggetto intenzionale non solo come versione possibile di qualcosa ma anche come versione
relativamente motivata da quel qualcosa. Ciò mantiene aperta la possibilità di pensare la verità in termini
di corrispondenza tra rappresentazione e oggetto della rappresentazione; mentre la declinazione in chiave
idealista sembra risolvere l’oggetto e distribuirlo nelle sue rappresentazioni. Tale versione mantiene e
introduce la possibilità di pensare la verità in termini di consenso intersoggettivo o stipulazione circa
l’appropriatezza teoretica, pragmatica, etica di una delle rappresentazioni.
Dal rappresentabile al rappresentato
In primo luogo per Husserl non c’è corrispondenza uno a uno nè necessaria dipendenza tra oggetti
intenzionali (contenuti della coscienza, noemata) e oggetti estensionali siano empirici e concreti (albero)
o ideativi (i numeri, babbo natale) e solo i primi sono direttamente rilevanti per la coscienza e l’analisi
fenomenologica. Il rappresentabile proprio perché non ancora rappresentato non si dà alla coscienza il cui
carattere è rappresentabile. Quel che si dà alla coscienza, si dà sotto una certa intenzionalità o
rappresentazione o persino descrizione.
In secondo luogo sono gli oggetti intenzionali o intenzionati ad essere all’origine di ulteriori e diversi atti
intenzionali, esperienze, modi di pensare e persino agire. Gli oggetti intenzionali condizionano i tipi di
atti intenzionali (percepire, desiderare, aborrire) che la coscienza pone in essere. Quindi questi sono due
punti cruciali: la non corrispondenza uno-a-uno tra oggetti e oggetti intenzionali e la possibile
indipendenza dell’oggetto intenzionale dall’esistenza di un oggetto estensionale per cui l’intenzionalità
della coscienza è relativamente indipendente distinta e distinguibile dall’esistenza dell’oggetto ma è
condizionata dal concetto.
Per la fenomenologia l’intenzionalità della coscienza è dunque all’origine della costituzione dell’oggetto
intenzionale (Edipo vede Giocasta come regina) ed è a sua volta condizionata dall’oggetto intenzionale
(Edipo la desidera in quanto la vede come regina). L’intenzionalità di un atto dipende non tanto da quale
oggetto l’atto rappresenta, quanto dal genere di concezione dell’oggetto rappresentato per cui vedo gli
eventi secondo diverse rappresentazioni.
Questa possibilità della mente di costituire attraverso diversi atti di coscienza (noesis) diversi contenuti è
il primo indizio di quella che rimane una straordinaria eredità del pensiero husserliano: la possibile non
dipendenza della conoscenza e dei nostri modi di penare il mondo dall’esistenza stessa del mondo come
là fuori, con le sue caratteristiche empiriche o altrimenti pre-date.
Un’altra dimostrazione della non necessaria dipendenza dell’oggetto intenzionale dall’oggetto empiricolo
si ricava dagli oggetti ideativi (numeri), credenze mitologiche o personaggi finti. Abbiamo tutti una
rappresentazione di qualcosa che non esiste come oggetto empiricoe per di più non abbiamo affatto
bisogno che esista per dare consistenza o rilevanza alla nostra rappresentazione immaginativa.
Vedi babbo natale l’atto del bambino di credere è u atto intenzionale eppure non è necessario che esista
un qualche oggetto reale corrispondente a tale oggetto intenzionale: non è necessario che un oggetto esista
perché si dia una rappresentazione di esso. Così il significato noematico di un atto (aspettare babbo
natale) è distinto dall’oggetto di quell’atto e un atto può essere posto in essere ed avere un contenuto
noematico (un bambino può trepidare nell’attesa di babbo natale) anche se tale contenuto non è correlato
ad alcun oggetto.
Il primato della coscienza e i vincoli dell’intenzionalità
Husserl insiste nella differenza tra concetto ed oggetto, rappresentato e percepito, rappresentabile e
percepibile: il noesis non conferirebbe esistenza all’oggetto ma significato; è anche chiaro l’ipotesi che
nella costituzione del noema intervenga il noesis ossia la dotazione di senso e che dunque il noema sia il
significato o il senso conferito all’oggetto attraverso gli atti intenzionali della coscienza. Da qui si evince
come la fenomenologia affidi un ruolo cruciale al soggetto nella costruzione della conoscenza.
Mentre il mondo esisterebbe indipendentemente dalla coscienza o dal soggetto ma non è conoscibile
indipendentemente dalla conoscenzae dal soggetto conoscente è un modo per liquidare la questione. Ma
quel mondo estensionale che husserl sembrerebbe a volte liquidare come ambito non rilevante per la
ricerca fenomenologia in quanto ricerca sui significati e sui modi di costituzione di tali significati
continua di fatto a interpellarci e ad interpellare coloro che individuano nella fenomenologia husserliana
un quadro teoretico per pensare il mondo e per agire responsabilmente su di esso.
La possibilità di una relativa dipendenzadel noema (significato, contenuto intenzionale) dall’oggetto
originario è difficile da argomentare rispetto alle rappresentazioni degli oggetti inesistenti. I personaggi
come babbo Natale esistono in quanto orinari delle nostre rappresentazioni, esistono all’interno di un
mondo possibile in cui tali oggetti esistono. Se nessuno avesse mai inventato, descritto e parlato di Babbo
Natale non sarebbe possibile per un bambino crederci, se ciò è possibile è solo perché qualcuno ha
introdotto nel mondo un oggetto come babbo natale.
La FORZA DELLE COSE: per una fenomenologia non troppo umana
La vera questione non è se le cose sono lì ma come sono lì e come il loro modo di essere lì condiziona gli
atti intenzionali. Utilizzando la metafora delle caratteristiche permettenti, le affordancespotremmo
affermare che gli oggetti intenzionabili empirici i ideativi che siano gli orizzonti entro cui li
intenzioniamo costituiscono dei sistemi di possibilità rispetto alle loro possibili rappresentazioni e usi.
Secondo Gibson gli oggetti, contesti, ambienti si presentano a noi dotati di caratteristiche che
suggeriscono e favoriscono alcuni corsi di azione e alcune rappresentazioni piuttosto che altre (es.
possiamo prendere il martello dalla testa ma la sua forma ci inviata prenderlo per il manico).
La metafora delle affordances non ci porta semplicemente a sostenere che gli oggetti intenzionali sono
ancorati alla realtà extraintenzionale ma ci consente di immaginare come tale realtà partecipa alla
formazione dei noemata in quanto suggeriscono, sostengono alcune interpretazioni piuttosto che altre e
nel vincolare la gamma degli atti intenzionali possibili. Cioè le cose non sono ne’ inermi ne’ inerti
rispetto a ciò che la coscienza ne può fare esse co-partecipano al processo in e attraverso cui esse
diventano oggetti per la coscienza. Se una visione husserliana riconosce l’intima dipendenza tra noesi e
noema, tale prospettiva compie un passo ulteriore individuando la relativa dipendenza dell’atto
intenzionale e dell’oggetto intenzionato dal mondo quale esso è, indipendentemente da noi e nonostante
noi.
Husserl sostiene che il rappresentato è parzialmente indeterminato o non completamente determinato,
l’oggetto eccede sempre il suo concetto.
Il soggetto intenzionale: una credenza culturale
Husserl consegna al pensare del xx secolo un preciso modello culturale di soggetto come attivo interprete
del mondo e dotato di agentività ossia della competenza ad essere all’origine del senso e a fare la
differenza. Tale definizione di soggetto umano è una definizione, rappresentazione di, significato dato
a…, che trae origine da ciò che essa definisce o rappresenta ma NON coincide con esso.La stessa
esperienza intenzionale di un oggetto indica sempre delle possibilità riguardo quell’oggetto, dunque altre
possibili esperienze di tale oggetto e altre possibili definizioni di soggetto. Husserl sostiene che il
rappresentato è parzialmente indeterminato o non completamente determinato, esiste una zona di
indeterminatezza in qualunque contenuto del rappresentato es. nella costruzione del concetto di albero io
seleziono e scelgo quali tratti considero distintivi, ma ne tralascio altri che restano nascosti alla coscienza.
È difficile accettare l’incompletezza del noema, quando il noema è il soggetto umano. L’assunto secondo
cui il senso o il significato di un qualcosa è relativamente indipendente e distinguibile da qualcosa,
l’assunto secondo cui i tipi di atti intenzionali non dipendono tanto dall’oggetto quanto dal concetto,
avranno implicazioni per l’educazione fenomenologica.

Cap. 3 La costruzione della conoscenza

La conoscenza delle cose stesse: un mito culturale?


La pedagogia fenomenologica riprende dalla fenomenologia husserliana alcune nozioni chiavi rispetto
alla fondazione sia della conoscenza scientifica sia la conoscenza dell’altro da sé.
Il concetto cruciale della fenomenologia husserliana consiste nell’esplorare le condizioni di possibilità e i
modi della conoscenza attraverso un interrogativo posto al centro di tutto l’impianto: come posso
conoscere quali sono le connessioni tra regno del noumeno e del fenomeno? cosa dà origine a cosa? è
possibile descrivere questo processo avendo ragionevole certezza che la nostra descrizione non sia
parziale e offuscata da qualcosa?
Partendo dalla centralitàdel soggetto e l’intenzionalità come matrice della conoscenza che cosa garantisce
la correlazione tra oggetto intenzionabile e oggetto intenzionato come coglierla e quali tra i diversi oggetti
intenzionali può essere colto come origine e fondamento della conoscenza?
La dipendenza dei noemata dagli atti intenzionali,la distinguibilità degli stessi atti intenzionali in funzione
delle loro qualità(desiderare vs credere) pone un problema per arrivare a come sia possibile giungere a
conoscere l’oggetto (costituire un oggetto intenzionato) avendo una ragionevole certezza che a) tale
conoscenza non sia il prodotto di una mente disancorata dal reale b) essa sia attinente rispetto all’oggetto
di cui pretende essere conoscenza.
Il processo della riduzione fenomenologica trascendentale è il metodo quello specifico atto intenzionale
che consentirebbe di cogliere l’essenza dell’oggetto (eidos) di andare cioè oltre alle cose stesse.
Le tappe:
La riduzione trascendentale: premesse e conseguenze di un dispositivo
È il secondo pilastro. L’obiettivo della riduzione trascendentale è quello di giungere ad una autentica
conoscenza dell’oggetto o dell’altro da sé.Bertolini sulla scorta di Husserl, definisce una conoscenza
autentica quando questa non è filtrata, deformata da presupposti, pregiudizi, certezze o credenze pre-date
su cui verte il nostro conoscere cioè è corrispondente alla cosa o alla persona oggetto di conoscenza. Nel
fare questa procedura si deve evitare dei rischi 1) il naturalismo, cioè ogni approccio che considera
l’oggetto quale esso appare come se fosse l’oggetto originario; 2) quello dello storicismo ossia degli
approcci che riducono la conoscenza a dei punti di vista.
Quindi tra il realismo ingenuo dell’approccio naturalista e il costruttivismo scettico dell’approccio
relativista(più versioni della realtà) c’è una terza via: la possibilità di assumere una prospettiva rigorosa in
grado di giungere ad una conoscenza certa autentica in quanto depurata dalle concretizzazioni mal poste
che riguardano sia l’oggetto del conoscere sia il soggetto conoscente.
Quindi il progetto epistemologico di Husserl sembra oscillare tra una pretesa positivista o naturalista
(descrizione vera cioè corrispondente dell’oggetto) e un costante correttivo idealista.
In realtà la fenomenologia husserliana non si limita a dichiarare che il mondo ha una esistenza
indipendente dal soggetto ma non è conoscibile indipendentemente dal soggetto. Essa descrive
puntualmente come in questa conoscenza esiste il primo passo che è quello di mettere tra parentesi,
sospendere escludere dal gioco tutti quegli elementi evidenti e fallaci che concernono non solo il processo
quanto gli oggetti stessi; Bertolini chiama questo processo di indicare una sospensione delle credenze con
il nome di epoche.
Questo metodo di decostruzione per Husserl va applicato ai nostri modi di conoscere in modo da superare
l’atteggiamento naturale o positivo ingenuo:
a) assolutizzare un punto di vista
b) di conseguenza ignorare il ruolo dell’osservatore nella costruzione della descrizione
c)sto di conseguenza ingenuamente postulando che quella mia descrizione corrisponda a un oggetto
L’atteggiamento naturale consiste nel dare ingenuamente per scontati gli oggetti quali essi ci appaiono
atteggiamento che caratterizza la conoscenza di senso comune ma anche la conoscenza scientifica.
La riduzione fenomenologica presuppone e si basa su una sorta di variazione immaginativa attraverso cui
ci è possibile distinguere le cose che possono essere concepite altrimenti da quelle che non possono essere
concepite in altro modo. Entra così in gioco la variazione eideticacambio di prospettivache è una sorta di
esperimento della mente attraverso cui sarebbe possibile distinguere le qualità empiriche contingenti e
secondarie dalle strutture essenziali, invarianti e necessarie di un oggetto, fatto, evento.
L’assunto di tale approccio alla conoscenza è che alla fine del processo di decostruzione che riguarda sia
l’oggetto che il modo di conoscere rimanga l’ineliminabile…questo residuo è l’eidos ossia l’insieme di
elementi invarianti e dunque essenziali che si presenterebbero alla coscienza in quanto tali.
La realtà circostante non ci fornisce che occorrenze, attraverso un processo di selezione, astrazione e
generalizzazione individuiamo i tratti pertinenti di ciò che accomuna es. tutte le sedie, in altre parole
l’eidos di una sedia è una sorta di prototipo,è una descrizione che deriva da un’analisi ed è dipendente
dall’attività intenzionale del soggetto.Affinche tale attività intenzionale produca un eidos essa deve
procedere individuando i tratti pertinenti e distintivi comuni a tutti gli oggetti, per poter individuare questi
tratti devo escludere le caratteristiche non pertinenti. La variazione eidetica cioè al cambio di prospettiva,
la messa tra parentesi delle apparenti certezze sull’oggetto e sulla mia percezione di esso (epoche) che mi
consente di individuare l’eidos ossia l’insieme dei tratti distintivi e pertinenti che costituiscono la classe o
la categoria di tutti gli oggetti empirici che soddisfano quelle condizioni o che rientrano sotto quella
descrizione.
L’eidos non è un oggetto del mondo, è un concetto ooggetto categoriale. Secondo Husserl
l’introvertibilità del tipo rispetto alle concorrenze è garantita dalla riduzione trascendentale e nella misura
in cui il tipo (concetto) è costruito secondo questo metodo, esso costituisce il fondamento di ogni
conoscenza o prassi. L’eidos guarda sia alla realtà pre-intenzionale che alla coscienza.
Descrizioni fedeli? Il soggetto come pharmacon
Riduzione fenomenologica permette di andare oltre alle cose stesse e la possibilità di una conoscenza
indiscutibile delle cose.
Il soggetto fenomenologico sembra essere un pharmacon: veleno in quanto gli atti intenzionali sono
pensati come potenzialmente portatori di distorsioni sistemiche (bias) ma anche rimedio, in quanto uno tra
gli atti intenzionali (la riduzione fen.) sarebbe anche il metodo per evitare queste distorsioni e per
giungere a una conoscenza autentica delle cose stesse.
Perseguire una descrizione fedele (riduzione fen.) si basa un assunto ontologico e uno epistemologico:
1. L’oggetto si dà come dotato di qualità;
2. È possibile assumere l’oggetto “così come si dà” e “nei limiti in cui si dà”
Fedele vuol dire isomorfa alle strutture invariantie scarnificata di tutte le qualità secondarie, che sono non
oggettive, non possono in alcun modo sfuggire alla relatività delle apparenze, dal punto di vista
soggettivo, essa dipende dal soggetto. L’eidos depurato dalle qualità secondarie, l’oggetto come elemento
essenziale è la descrizione fedele della cosa. Per Husserl la descrizione fedele di un oggetto, quella che
nasce dalla riduzione fen è oggettiva, apodittica (evidente).
Aporia: tesi per Husserl secondo cui il rigore metodologico sarebbe condizione necessaria e sufficiente a
garantire una descrizione fedele dell’oggetto. Uno dei modi di conoscere dell’uomo (la riduzione fen
appunto) viene rappresentata come liberato da quelle caratteristiche che Husserl attribuisce alla
conoscenza in quanto tale, il suo essere un dispositivo di costituzione dell’oggetto.
Husserl sostiene che si possa dare un punto di vista soggettivo senza soggettività.
Un secolo dopo: attualità e inattualità della fenomenologia
La fenomenologia ci invita a identificare e interrogarci sui nostri presupposti circa un dato fenomeno. La
pedagogia contemporanea individua nell’accountability (impegno al rendere conto) una delle competenze
cruciali dell’educatore. L’educatore non è solo colui che agisce in modo avvertito o scientificamente
fondato è anche in grado di rendere conto sistematicamente delle sue prassi. Fenomenologicamente
orientato: in grado di non scambiare una descrizione partigiana per la descrizione del fenomeno, non
essere frettolosamente orientato al risultato ma al processo. Per quanto per Husserl il compito primo e
unico del metodo fenomenologico sia descrittivo (non prescrittivo o normativo, non definisce il dover
essere della cosa), la descrizione costituisce la piattaforma in base a cui si stabiliscono priorità individuali
e collettive, motivi per decidere, scelte di azioni (es. esplorazione sottosuolo Canada descritto in due
modi).
L’invito della fenomenologia a praticare una sistematica decostruzione (destruens riduzione
fenomenologica attraverso una sistematica epoche) dei modi con cui conosciamo il reale è più che un
lusso filosofico, la fenomenologia invita a andare oltre le cose svelando inganni della mente nella
costruzione della conoscenza.
Più critica è la parte costruens della proposta di Husserl, ossia l’ipotesi che la decostruzione sistematica
possa giungere a un punto zero della conoscenza in cui il soggetto riuscirebbe a essere n presa diretta
sull’oggetto.
Zone critiche: il versante costruens del metodo fenomenologico
Elementi critici della teoria della conoscenza:distinzione tra qualità primarie e secondarie; fiducia nella
possibilità di giungere a una conoscenza antepredicativa delle cose; cogliere l’originalità dell’oggetto
nella sua datità; possibilità di una descrizione fedele del fenomeno; riduzione trascendentale implica la
possibilità di giungere a una prospettiva aprospettica.
L’oggetto di cui una scienza vuole rendere conto evolve storicamente rendendo impraticabile la
possibilità di intuirne l’essenza una volta per tutte. Anche i nostri modi di conoscere sono storicamente
situati e mai validi in sé ma sempre all’interno di un orizzonte storico dato. Le letture dei fenomeni sono
situate e quella prodotta attraverso il metodo fenomenologico è solo una tra queste.
Proprio perché esiste un numero infinito di prospettive che possono essere assunte in riferimento a una
cosa, è impossibile accedere a un punto di vista aprospettico.
Questo è proprio quello che ci consente di non rimanere vincolati all’interno di una data prospettiva.
L’idea che sia possibile un metodo libero da presupposizioni come Husserl aveva immaginato la
fenomenologia oggi appare poco sostenibile.
Rischio/fallacia eurocentrica: l’etnocentrismo insito nell’elevare il pensiero occidentale e la sua
rappresentazione del mondo a modello assoluto e universale valido di conoscenza del mondo.
L’idea che la fenomenologia sia un metodo puramente descrittivo, depurato da presupposizione rispetto a
un oggetto dato viene considerata un orizzonte regolativo, un obiettivo mai realizzabile, ma necessario
per non cadere nel rischio delle concretizzazioni mal poste.
La descrizione operosa. Wittgenstein e le radici linguistiche del conoscere
Secondo W. la conoscenza è inevitabilmente ancorata in un sistema di pratiche culturali e non esiste
alcuna posizione al di fuori di tali pratiche che consenta di giudicarle dal di fuori. Prima di essere
intessute di valori, ideologie, scopi, tali pratiche sono culturali in quanto linguistiche.
Non possiamo descrivere senza usare un tipo di linguaggio, che ci consente di rappresentare un
fenomeno. Le parole con cui descriviamo i fatti non derivano dai fatti, in quanto siamo noi che decidiamo
come descriverli, la nostra descrizione non è una rappresentazione fedele del fenomeno, ma adeguata al
fenomeno rispetto a uno scopo. Una descrizione anche quando è il risultato di una applicazione
sistematica di epochè non è fedele, essa è “fedele” all’interno di una prospettiva, è una descrizione
mediata dal linguaggio e dal sistema di conoscenze pregresse.
I dispositivi (linguaggio), le idee, opinioni, teorie sono visti come potenziali offuscatori della conoscenza,
secondo W, possiamo pensare alle teorie pre-date, idee ricevute, saperi, non come necessari offuscatori
della mente responsabili della perdita di originaria trasparenza, ma come delle lingue. La lingua è un
dispositivo che consente di produrre enunciati grazie a regole, non possiamo non utilizzare una lingua, ma
possiamo anche utilizzare varie lingue.
Le varie tecniche per giungere a una descrizione adeguata del fenomeno non devono essere intese come
miranti a giungere un mitico stato originario in cui avrebbe luogo l’intuizione pura delle essenza (qualità
primarie). Tali tecniche vanno intese come esercizi di stile, traduzione in varie lingue senza pretese di
essere più vicina alla cosa o all’oggetto, meno distorta rispetto alla datità originaria.
Epistemologie a confronto
I nostri modi di conoscere sono mediati dagli strumenti culturali, la lingua è uno di questi, il più potente
in quanto “sistema modelizzante primario”, cioè che percepiamo il mondo attraverso il modello che offre
una lingua. Gli altri sistemi di rappresentazione e di spiegazione del mondo sono sistemi modelizzanti
secondari. Secondo tale prospettiva non è possibile fare esperienza del mondo, dell’oggetto, dell’altro,
che non sia mediata. Qualsiasi forma di conoscenza del mondo, compresa la rid. Trascendentale non è
depurata dalle sue radici culturali. Il ‘900 ha combattuto l’idea che sia possibile anche solo concepire un
incontro non mediato tra soggetto e realtà. Questa mediazione è la cultura costruita e trasmessa attr il
linguaggio.
Due ideologie della conoscenza schematizzata da Mantovani:
- possibilità che ci sia incontro non mediato tra soggetto e mondo, e nel caso in cui vi sia
mediazione a) funzioni come offuscamento che impedisce di cogliere l’oggetto originario; b) una
tra queste mediazioni (rid trascend) può consentire di cogliere l’oggetto originario per come si da
alla conoscenza pura.
- impossibilità di accedere in modo non mediato al reale o di accedervi secondo un modo che ne
azzeri la mediazione. Impossibile presumere una esperienza antepredicativa delle cose.
Due sono gli esempi avanzati di fronte a una epistemologia che nega la possibilità di una conoscenza
immediata delle cose: la percezione sensoriale e la vita del neonato.
La percezione sensoriale sembra rappresentare il grado zero della conoscenza, rapporto immediato tra
soggetto e mondo. Es. se tocco ferro rovente imparo che fa male e non faccio più. Ma anche questa
conoscenza di “ferro rovente” ha una matrice storico-culturale.Il caso del neonato, dimostra pattern innati.
Ma noi non abbiamo alcuna possibilità di avere una esperienza diretta e non mediata della vita o mente
del neonato, qualunque cosa sappiamo o percepiamo di lui, lo facciamo att gli artefatti.
Oltre la conoscenza come “immacolata concezione”: un relativismo ben temperato
Una epistemologia anti-antepredicazione rischia di essere relativista?
Due elementi consentono di sottrarre la conoscenza mediata della realtà al sospetto di arbitrarietà.
Il primo già avanzato da Husserl nella def di intenzionalità, gli atti intezionali non conferiscono esistenza
all’oggetto, conferiscono significato. L’oggetto partecipa al processo della sua costituzione come noema.
Il mondo degli oggetti è li: con le loro affordances questi oggetti contribuiscono a vincolare i tipi di
esperienza che ne possiamo fare e i tipi di conoscenza che ne possiamo avere. Secondo vincolo al
relativismo è la natura pubblica degli artefatti che mediano la nostra esperienza con gli oggetti.
Rinunciare all’immacolata concezione significa rinunciare a ipotizzare che l’eidos sia universale, come
inizio assoluto. Proprio perche rinunciamo all’impossibilità di pervenire a una esperienza antepredicativa
dei fenomeni e accettiamo la conseguenza (accesso al mondo mediato), la riflessività è imprescindibile.
Eidos e riduzione trascendentale in pedagogia oggi
La pedagogia si propone come una teoria generale dell’educazione fondata su un particolare concetto di
educazione. L’obiettivo non è giungere a una descrizione fedele di qualcosa come l’evento educativo, ma
di proporre una definizione di evento educativo inferita dalla realtà e all’interno di copioni di pensiero
culturalmente predisposti.

Cap. 4 Intersoggettività e cultura

Polifonia e interpretazioni
Terzo pilastro concettuale della pedagogia fenomenologica è il mondo della vita e intersoggettività
storicità e culturalità dell’esperienza. Conviene distinguere due grandi correnti interpretative del pensiero
di Husserl: 1) pensiero del primo Husserl che pone l’interesse sui modi di funzionamento del soggetto
trascendentale e la costituzione della sfera eidetica per cui si considera la fenomenologia alla stregua di
un neo-idealismo trascendentale come una investigazione sulla correlazione tra la pura struttura del
conoscere noesis e il puro oggetto intenzionale corrispondente noema;
2) pone l’enfasi sulle riflessioni sulla temporalità della coscienza, l’orizzonte dell’esperienza (sensi e
significati dell’oggetto) il mondo circostante (esistenza di tutti i giorni)l’atteggiamento personalista retto
dalla categoria della motivazione e non della causalità, la specificità del riconoscimento dell’altro essere
umano come soggetto analogo a sé e dunque intenzionale una filosofia non dell’essenza ma dell’esistenza
non della pura intersoggettività trascendentale ma dell’intersoggettività e del mondo della vita.
Non si ritiene comunque corretto suddividere in due correnti la filosofia husserliana perché bisogna
concepire l’intero quadro teoretico come una evoluzione progressiva da una fenomenologia statica a una
dinamica, da un progetto inteso a delineare il funzionamento della coscienza pura a uno inteso a
descrivere la concretezza del reale.
La pedagogia fenomenologica avanza una interpretazione della fenomenologia husserliana che conferisce
rilievo non solo all’attività intenzionale del soggetto e ai modi di costituzione della conoscenza ma anche
alla dimensione intersoggettiva, storica, e culturale dell’esistenza, dell’esperienza e della conoscenza.
Mondo della vita: un orizzonte costituito
Il termine che Husserl usa per indicare la sfera da cui le scienze e tutte le altre pratiche umane hanno
origine ed entro cui si esplicano è mondo-della-vita,inteso come l’orizzonte di tutte le nostre esperienze,
lo sfondo primario su cui si stagliano e da cui sorgono tutte le cose come esistenti e significative. È
costituito da fatti, oggetti ma soprattutto da significati oggetti dotati di senso fatti intesi come evidenze
per noi. E’ l’intera chiave di volta del suo pensiero.
Con la nozione del mondo-della-vita Husserl profila l’ipotesi che lo stesso funzionamento della coscienza
almeno ad un livello profondo sia esso stesso già radicato e operante all’interno di un mondo di significati
e pregiudizi che sono socialmente, storicamente, culturalmente costituiti. Questo non invalida l’epochè,
non delegittima la necessità di mettere in parentesi i giudizi e credenze predate, la nozione di mondo della
vita trasforma lo studio del conoscere da una indagine sul soggetto trascendentale astorico e i suoi
prodotti a uno studio dei significati e della coscienza all’interno di un contesto.
Tale contesto non va confuso con il mondo materiale né va pensato alla stregua di uno sfondo statico e
immutabile; mondo-della-vita indica l’insieme dei significati che sia come individui singoli che come
collettività abbiamo attribuito e costantemente attribuiamo al mondo circostante è ciò che ne facciamo di
quel mondo indistinto che ci circonda.
Se le cose si offrono a noi con le loro pregnanze oggettive, la salienza di tali pregnanze (cosa conta come
esistente, cosa escludiamo, su cosa giudichiamo) dipende dal nostro sistema di rilevanza.
La Metafora della reteaiuta a capire la relazione tra mondo concretamente esistente indipendentemente
da noi, soggettività e mondo della vita. In quanto soggetti umani gettiamo sul mondo una rete di
rilevanza le cui maglie sono costituite dai nostri atti intenzionali e tali maglie ritagliano e pescano in
relazione alla loro forma dimensione e resistenza ciò che resta nella rete(il mondo della vita) è il prodotto
di tale incontro tra mondo indistinto e soggettività. Noi cogliamo alcuni aspetti della realtà tipicamente
quelli che sono rilevanti per noi per portare avanti la nostra vita quotidiana sia dal punto di vista delle
regole e delle procedure di pensiero accettate e chiamate metodo scientifico.
Il mondo della vita è costituito, è l’insieme delle cose esistenti e significative per noi nonché dalle
procedure che utilizziamo per costituire le cose come esistenti e significative: le procedure del pensare
legittimate sia sul piano della vita quotidiana che sul piano del pensiero scientifico. Ma affinché la vita in
comune sia possibile e la conoscenza sia legittimata e legittimabile è necessario condividere un orizzonte
referenziale comune. Il nostro essere-nel-mondo-con-gli-altri garantisce che quel mondo della vita sia un
destino sociale e non individuale, un con-esserci nella nostra vita quotidiana per cui il mondo è
intersoggettivamente e storicamente costituito.
Il mondo della vita può essere pensato come una sorta di “lingua”: esso è identicamente il prodotto della
vita in comune e ciò che consente la vita in comune.
La relazione che connette la dimensione individuale dell’esperienza e della conoscenza alla dimensione
collettiva e comunitaria, che lega l’io al noi è un altro nodo. Possiamo vedere due prospettive che si
differenziano rispetto all’accento che pongono sull’uno e sull’altro dei termini di relazione. La prima
sottolinea una precedenza all’io rispetto al noi la seconda il contrario. Ciò si trasforma in modi diversi di
pensare l’esperienza umana ed educativa. E questo non solo sul piano della scelta pedagogica o della
formulazione di teorie generali dell’educazione e dello sviluppo ma anche sul piano del pensare e
dell’agire educativo di tutti i giorni.Dal punto di vista dell’educazione la relazione con il mondo-della-vita
può essere intesa in differenti modi a seconda che si dia il primato all’io sul noi o al contrario al noi
sull’io.
Dal soggetto al mondo della vita
La pedagogia fenomenologica ha optato per una rappresentazione della relazione soggettività-mondo
della vita che riconosce il primato alla soggettività. In fenomenologia il termine soggettività sta ad
indicare il funzionamento della coscienza in quanto tale postulato come tipico di tutti gli esseri umani
quella capacità dell’uomo di dare senso agli oggetti che stanno in rapporto con lui e per essere tale la
soggettività ha sempre bisogno di un oggetto cui riferirsi. È proprietà dell’uomo di essere all’origine del
senso del mondo da cui si deduce che essa abbia una sorta di primato genetico rispetto al senso del
mondo. Il mondo-della-vita fa riferimento all’unico mondo reale esperito ed esperibile in cui si realizza la
relazione originaria tra soggettività intenzionale e il mondo esterno che dà senso alle operazioni
conoscitive dell’uomo.
In prima istanza il mondo-della-vita è visto come il prodotto dell’attività intenzionale dei soggetti umani
un mondo comune temporaneamente stabilito, una versione condivisa del mondo, appunto il mondo-
della-vita. Genesi del mondo della vita: soggettività mondo della vita.
Il mondo della vita, l’insieme di significati attribuiti al mondo sono il prodotto dell’attività intenzionale
del soggetto. Secondo questa lettura l’io (ovvero l’intenzionalità della coscienza) precede il noi (tessuto
sovra individuale fatto di significati condivisi e di credenze culturali circa l’esistenza e il significato di
fatti e di cose). Tuttavia tale rappresentazione rischia di sottostimare il ruolo e il peso del mondo della vita
nella costituzione dei modi di funzionamento della mente ma ciò è solo una parte dell’arco del circuito
riflessivo che lega la soggettività e mondo della vita.
Dal mondo della vita al soggetto
Dalla fenomenologia post hussrliana si ha la genesi dell’io a partire dal noi. Il mondo della vita in quanto
intersoggettivamente costruito non è quindi fabbricato dal soggetto ma è ciò da cui il soggetto dipende,
esso in-forma (modella, plasma) leattività del soggetto compresa l’attività intenzionale.
Nasciamo in un mondo già sociale, interpretato, costituito, siamo “gettati” in questo orizzonte di senso
che non abbiamo scelto.
A partire da questo postulato della fenomenologia esistenzialista, l’ipotesi che creare intuire il senso sia
una realizzazione individuale appare debole e fallace. Il ruolo del soggetto nella costituzione degli
oggetti, dei fatti interpretati, va visto come rilettura, elaborazione re-attribuzione di significato ad oggetti
e fatti già dotati di senso L’interpretazione singolare è fin dall’inizio intersoggettiva in quanto avviene
all’interno di e grazie al mondo della vita. Secondo questa versione la direzione costitutiva va dal mondo
delle cose alla soggettività: mondo delle cose soggettività.
Il nostro atteggiamento consiste nel mettere costantemente in parentesi il dubbio circa il fatto che il
mondo sia quale esso ci appare.L’essere umano epochizza epoche’.
Ma nel nostro quotidiano noi non mettiamo ne’ in parentesi, ne’ in discussione ma lo utilizziamo come
fonte di conoscenze che facciamo funzionare come certezze. L’ambito dell’agentività umana (il mio
personale modo di intendere es l’identità di genere e il fatto stesso che io sia capace di pensare all’identità
di genere) è vincolato: gli esseri umani producono senso e cultura ma lo fanno in quanto attori sociali
storicamente situati e in base a condizioni di possibilità del pensare e dell’agire che non hanno scelto. Il
mondo-della-vita è quel sostrato storico culturale da cui in ultimo dipendono le nostre
epistemologie (modi di conoscere e di pensare) e le nostre ontologie (asserzioni circa la realtà).
Mondo delle vita come cultura: dalla fenomenologia al socio-costruzionismo
Il mondo della vita non è così effimero, aleatorio sospeso come la sua origine costituita ci porterebbe a
pensare. Esso si identificherà con quelle concezioni naturali del mondo in base a cui viviamo che da
Husserl è stato poi portato a compimento dalla svolta socio-costruzionista in scienze umane.
La riflessione sul mondo della vita inaugurata da Husserl diventa il pilastro centrale dell’ipotesi che la
realtàsia socialmente costruita e che i nostri modi di intenderla, comprenderla e spiegarla sono fin
dall’inizio culturali.
Il paradigma socio-costruzionista compie un passo in avanti rispetto al postulato che la realtà sia costituita
dalla coscienza che tale mondo costituito è all’origine della nostra attività intenzionale e studia i modi in
cui tale processo si esplica. Questo processo si esplica tutti i giorniattraverso le comuni pratiche
quotidiane: linguaggio e interazione sociale come principali vettori sia della costruzione del mondo della
vita sia del suo solidificarsi in qualcosa di molto simile ad un mondo oggettivamente dato.
La nozione filosofica di mondo della vita si apparenta con quella di cultura. Cultura come visione del
mondo intersoggettivamente costruita e condivisa che è identicamente trasmessa e costruita
attraverso il linguaggio e l’interazione quotidiana.
Qualunque scambio verbale è possibile non solo perché si parla la stessa lingua, ma perché condividono
assunti su come usualmente stanno le cose e le definizioni di realtà implicite e implicate all’uso del
linguaggio. Es di Harvey Sacks, se sento le due frasi “Il bambino piangeva. La mamma lo prese in
braccio”, immediatamente capisco è che la mamma in questione sia la mamma del bimbo e lo prende in
braccio perché piange. Ciò è dovuto alla mia visione del mondo in cui le mamme stanno vivine ai bimbi.
Nei nostri modi di parlare e di usare il linguaggio sono inscritte visioni del mondo date per scontate. In
tale contesto il linguaggio e la conversazione ordinaria sono tra i più potenti e pervasivi strumenti
attraverso cui oggettiviamo e naturalizziamo il mondo della vita trasformandolo in una realtà valida per
tutti; il linguaggio incorpora una interpretazione della realtà che ratifica la pertinenza delle concezioni
locali e la plausibilità delle teorie del mondo di coloro che usano il linguaggio per cui la semplice
costruzione e interpretazione del significato costituisce la conoscenza culturale condivisa necessaria per
produrre enunciati comprensibili e interpretarli.
Il significato, il noema si radica su un tessuto dicredenze condivise come la conversazione che riflette il
sistema di microaccordi, anche una semplice conversazione non solo riflette un sostrato culturale di
assunti condivisi, è anche ratificazione di quegli assunti.
L’ovvietà del mondo sta nel linguaggio e nelle interazioni sociali.
Il mondo della vita ossia la conoscenza culturale condivisa, è il sostrato operante da cui dipendono i
nostri modi di parlare, agire e pensare sono i metodi con cui continuamente costruiamo e
ratifichiamo il mondo della vita quotidiana. Ad esso partecipano anche i saperi scientifici che
contribuiscono a fabbricare questo orizzonte entro cui guardiamo il mondo a stabilire i limiti prospettici
della nostra personale visione del mondo, a fornirci credenze sul mondo che nelle nostre prassi quotidiane
utilizziamo come certezze.
Soggetto e mondo della vita: una co-costruzione
Adottando una prospettiva costruzionista, la pedagogia fenomenologica che avanza una rappresentazione
co-evolutiva di soggettività e mondo della vita.
Mondo della vitaSoggettività
Per cui la relazione io-mondo, soggetto-oggetto, io-noi; se il mondo della vita è un prodotto dell’attività
intenzionale della coscienza, l’intenzionalità della coscienza è a sua volta un prodotto del mondo della
vita. Asserire il primato dell’una o dell’altra porta a una delle due fallacie: l’assolutizzazione dell’io e
derive dell’idealismo, l’etnocentrismo o il determinismo storico, secondo cui gli esseri umani non
potrebbero che restare imprigionati dalle strutture culturali e storiche.
Secondo la pedagogia fenomenologica contemporanea, il mondo della vita è una grande sceneggiatura in
cui siamo al tempo stesso attori perché partecipiamo attivamente alla sua costituzione e destinatari in
quanto lo riceviamo come già “dato”;
La pedagogia fenomenologica si pone fuori da una scelta tra le due alternative insoddisfacenti. Essa
assume la codipendenza e connessione tra genesi attiva(interpretazione, dotazione di senso, costituzione
di oggetti intenzionali) e genesi passiva (condizionamenti, vincoli storici, materiali, culturali) in chiave
evolutiva e non lineare.
L’agentivitàimplica e si nutre di passività ossia di tutto ciòche riceviamo come già dato e che ci porta o ci
permette di fare e pensare quel che facciamo o pensiamo: linguaggio ma è anche l’orizzonte già dato
costantemente ri-fatto, ri-fabbricato dai singoli soggetti nel corso delle loro interazioni quotidiane.
L’agentività: una competenza situata e distribuita
Agentività intesa come competenza tipica se non esclusiva del soggetto a fare la differenza e generare
cambiamento, competenza garantita dall’intenzionalità della coscienza.
Ma individuando i limiti dell’homo faber e della celebrazionedel soggetto per cui artefatti, oggetti, codici,
documenti, norme, architetture non sono solo prodotti, non sono solo dotati di senso, essi sono anche
produttori e dotatori di senso; la loro presenza o assenza in quel mondo della vita quotidiana abitato da
soggetti intenzionali fa la differenza. Tali figure del mondo possono dunque essere concepite come
sensemakers ossia agenti che contribuiscono a definire la situazione nonostante noi o malgrado noi.
Bisogna cogliere la forza degli agenti non umani nel definire le condizioni di possibilità e i margini
dell’agentività dell’essere umano. Es. La nozione di agentività testuale ossia l’idea che noi fabbrichiamo
e usiamo i testi ma una volta fabbricati e costruiti ne siamo al contempo alla merce’, la loro presenza fa
una differenza che condiziona i nostri corsi di azione.
L’agentività come competenza a fare la differenza,il così detto polo attivo di una relazione è dunque
situata e distribuita in una catena di enti. Il soggetto umano è ovviamente uno tra questi enti agenti. Non
l’unico: la sua stessa agentività è in continua negoziazione con le agentività circostanti e con ciò che cose,
artefatti, norme, documenti costantemente fanno.
Oltre il soggetto: pedagogia e fenomenologia postumanista
Alla radice della pedagogia fenomenologica contemporanea vi sta una postumanista che ricolora il ruolo
delle cose (oggetti, strumenti, spazi, testi, norme, passioni, valori) e ridistribuisce l’agentività sulle varie
figure che popolano la vita quotidiana. Ivi comprese le istanze non cognitive.
Questa concezione postumanista di agentività non si discosta da alcune tradizioni pedagogiche che hanno
focalizzato il ruolo delle componenti non umane e non cognitive dell’educazione, apprendimento e
sviluppo per cui la ricerca scientifica in educazione è lungi dall’essere riduzionisticamente soggettivista.
Quando si parla di agentività in educazione in genere si fa riferimento ai soggetti: nella pedagogia di
senso comune intesa come processo centrato sulla relazione tra soggetti umani, l’agentività è per esempio
ciò che insegnanti o educatori dovrebbero promuovere o conferire agli allievi o ancora, essa è ciò che gli
allievi dovrebbero giungere a realizzare diventando grazie al processo educativo attori sociali morali e
politici tanto nella sfera pubblica quanto nella sfera privata. È sempre sul pino della pedagogia di senso
comune, l’educazione è generalmente centrata sulla relazione educativa tra soggetti umani. Malgrado sia
vista come qualcosa da contestualizzare, il contesto di contro è generalmente visto come uno sfondo
inoperante. È la relazione ad essere il focus dell’attenzione per cui sono i soggetti ad essere visti come
l’origine dell’educazione come se la responsabilità della generazione di cambiamento fossero predicati
attribuibili solo ed esclusivamente al soggetto.
Sottolineando la ricorsività tra mondo della vita e intenzionalità della coscienza e riconoscendo anche
l’agentitività dell’ordine materiale delle cose, la pedagogia fenomenologica relativizza una certa visione
prometeica inscritta nelle pedagogie di senso comune e soprattutto si discosta da una lettura in chiave
soggettivistica della stessa pedagogia fenomenologica.
L’idea di una mutua costituzione tra conoscenza e prassi, tra cultura condivisa e interazione
situata, tra il senso inscritto nelle cose e il senso fabbricato dal soggetto, tra discorso e discorso è al
cuore della pedagogia fenomenologica come teoria generale dell’educazione storicamente situata e
delinea l’insecuritas della conoscenza pedagogica come tratto costitutivo di un sapere che riconosce
la dipendenza dei predicati scientifici dalle premesse culturali su cui si fondano, una prassi che
presuppone e persegue la muta costituzione tra intenzionalità e cultura, tra persona e comunità
attraverso l’interazione e il linguaggio.
Cap. 5 Scienze, teorie o versioni dell’educazione?

Epistemologia pedagogica: questioni desuete, questioni cruciali


Al cuore della ricerca pedagogica sta il dilemma tra opzioni di tipo descrittivo e di tipo prescrittivo le loro
eventuali connessioni e interazioni ogni volta da ripensare. Il mandato specifico della pedagogia cioè
fondare scientificamente orientamenti capaci di guidare l’agire educativo nei vari contesti e mantenere la
connessione tra versante empirico e versante prassico della ricerca non è stato mai revocato. Tale
mandato appariva legittimo e fondato all’interno di un’idea positivista della ricerca pedagogica che non
appare da quando la pedagogia ha intrapreso una svolta interpretativa. Ma ancora le istituzioni
propongono saperi spendibili in pratica, la richiesta si declina sempre di più in terminitecnico-
operazionali e lo spazio dell’impegno e della responsabilità educativa sembra ridursi alla scelta di quale
pacchetto di procedure utilizzare in quale contesto. Se perdura tale atteggiamento bisogna fare una
ricognizione epistemologica.Quindi come possiamo usare il sapere di una pedagogia
fenomenologicamente fondata in ambito educativo? Prese di decisione, acconuntability, impegno.
Scienze della natura e scienze dello spirito: il riduzionismo di una epistemologia premoderna
Dilthey: distinguescienze della natura interessate ad indagare descrivere e spiegare il mondo naturale e
materiale e scienze dello spirito interessate a conoscere e comprendere processi e prodotti della mente
umana (cultura, significato). Tale distinzione è stata evocata più volte per argomentare la parzialità del
modello sperimentale per lo studio dei fenomeni sociali e culturali praticamente la differenza costitutiva e
ontologica tra mondo del pleroma e mondo della creatura di Jung, quella posta da Weber tra spiegazione e
comprensione per le dalle imprese scientifiche, quella data da Bruner rispetto alla ricerca data sul
significato degli eventi come distinta e distinguibile dalla ricerca sulle cause degli eventi.ma natura e
spirito come qualsiasi posizione filosofica è passibile di critica e tre sono i domini della messa in
discussione.
1- Esclude la possibilità che alcuni approcci scientifici e metodologie di indagine possano indagare
oggetti a priori situati fuori dal loro dominio. La colonizzazione di campi di studio in quanto
propri di ciascuna scienza, sarebbe all’origine della così detta guerra delle scienze. Da questo
punto di vista lo studio della mente umana sarebbe ad appannaggio o delle scienze della natura o a
quelle delle spirito che toglie la possibilità che lo stesso oggetto sia passibile di diverse letture e di
diverse modellizzazioni non competitive ma complementari o al limite giustapponibili. Come
diceva Batenson “due descrizioni sono meglio di una” in quanto l’oggetto si situa inevitabilmente
nell’intersezione dei vari discorsi scientifici su di esso
2- la distinzione diltheyana considera la differenza tra l’umano e il naturale alla stregua di una
differenza ontologica: rivolta a un mondo preesistente rispetto alle procedure di conoscenza
mentre la cosalità della cosa così come la soggettività dell’umano non sono caratteristiche di un
mondo predato ma sono da ritenersi come l’esito o il prodotto delle stesse procedure di
conoscenza.
3- la distinzione scienze della natura / scienze dello spirito conduce a un riduzionismo ontologico:
pensare quanto è arbitraria la soglia che separa i rispettivi domini.
Una classica strategia per consolidare le basi di questa distinzione consiste nel chiamare in causa le
differenze intrinseche dei rispettivi oggetti. Gli oggetti o realtà materiali e gli oggetti o fenomeni sociali
avrebbero una esistenza rispettivamente indipendente e dipendente dall’attività umana. La realtà materiale
(fatti brutti) esisterebbe indipendentemente dalla sua rappresentazione - la realtà sociale sarebbe invece
prodotta da regole costitutive. Senza questa semplicemente non esiterebbe.
Questa distinzione è molto fragile. Molte realtà sociali sono entità culturalmente create da regole
costitutive (es istituzioni) ma molte altre sono entità culturalmente postulate come esistenti
indipendentemente da un sistema di regole costitutive: per es l’età o colore della pelle e che un dato in
alcuni stati naturale da essere pensato come base per statistiche, censimenti.
Questa distinzione tra fatti brutti e fatti sociali, non fa presa sul fatto che molte realtà culturalmente create
sono trattate come se fossero fatti brutti e viceversa.
La cesura ontologica stipulata un secolo fa da Dilthey impone uno scarto irriducibile tra mente e natura
che appare sempre meno legittimo.

Oltre una scorciatoia epistemologica


La distinzione diltheyana altro non è che una variazione del paradigma cartesiano: disgiunzione,
riduzione e astrazione per cui il soggetto pensante e la cosa estesa sono enti distinti per cui di
conseguenza si isolano i campi e i modi della conoscenza scientifica.
Le considerazioni derivanti dalla seconda cibernetica e la riflessione ecologica contemporanea hanno
dimostrato debolezze intrinseche del pensare il mondo e l’impresa scientifica come divisibili in oggetti
della natura e oggetti dello spirito in quanto sia dal punto di vista teoretico che empirico è dimostrabile
quanto l’ordine materiale delle cose e la loro naturalità partecipino costantemente in qualità di attanti alla
costruzione del mondo dei significati della cultura e del discorso. Allo stesso tempo cultura e significato
informano costantemente il mondo naturale. Questo processo di mutua costituzione tra fatti e significati,
tra cose e parole sfuma la linea di demarcazione tra le due categorie e mostra i limiti della divisione del
lavoro scientifico di diltheyana memoria. Alcuni autori riconoscono il riduzionismo ontologico che
consiste nel circoscrivere l’oggetto di una scienza che il singolo punto di vista iscritto nella sua specifica
metodologia consente di vedere e studiare. Come sosteneva Bertolini l’oggetto di una scienza eccede
sempre il suo concetto.
Dietro la selezione di un vertice teorico e osservativo e così come dietro all’individuazione di una
metodologia di indagine non c’è necessità dettata dall’oggetto ma c’è scelta che affonda le sue radici
anche nella cultura condivisa, nei canoni imposti da una comunità scientifica, dal grado di flessibilità di
un paradigma, dal fattore “b” biografico del ricercatore potenziale fattore di distorsione. Per cui siamo
tenuti responsabilmente a rendere conto di tale scelta e legittimarla (accountability). Cioè non sono le
differenze insite nell’oggetto a legittimare l’appropriatezza di questo o quell’approccio scientifico o
metodologico ma i vertici teorici diversi che costituiscono le “cose” come naturali o culturali, viste come
legate e plasmate dal punto di vista. La distinzione tra tipi di scienze diventa un invito a pensare non tanto
all’oggetto ma alle premesse e le cornici a partire dalle quali pensiamo tale oggetto e dunque
individuiamo alcuni suoi tratti come caratteristiche costitutive.
Vertici teorici e oggetti di studio in pedagogia
Definire la pedagogia fenomenologica come appartenente alle scienze dello spirito e non alle scienze
naturali non significa dunque delegittimare la sua possibilità di indagare il reale nella sua resistente
materialità (aula scolastica, piazza di un quartiere…) ne’ escludere dal suo campo di pertinenza la
naturalità e la cosalità del soggetto. Non significa neanche delimitarla a fenomeni o processi materiali e
culturali come l’interazione, la relazione, il simbolico, ma significa scegliere un vertice teorico e
osservativo da cui indagare il soggetto e la natura.
Tale vertice è la fenomenologia che postula che qualsiasi rappresentazione del mondo umano o naturale
sia comunque il prodotto dell’incontro tra un’istanza soggettiva e un dato di realtà. Da questo punto di
vista tutte le scienze sono scienze umane o dello spirito, quello che fa la differenza tra scienze naturali e
umane non è l’oggetto ma la premessa che l’oggetto sia preesistente indipendentemente dal soggetto o al
contrario che sia inevitabilmente costituito dai modi stessi della sua conoscenza.
La pedagogia fenomenologia è dunque una scienza non naturalistica non tanyo perché si occupa di
persone e relazioni umane, ma perché assume un particolare vertice osservativo che da forma agli oggetti
di cui si occupa. Essa è dunque una scienza del soggetto e ciò che la rende specifica è il vertice
osservativo adottato e il fatto di dichiarare fin dall’inizio la natura prospettica della sua definizione di
educazione che è il paradigma fenomenologico: è il dispositivo fenomenologico che articola il passaggio
dal mondo in ci si danno gli eventi e accadono le cose all’educazione, dove viene proposta una lettura,
visione, definizione di educazione.
La centralità dell’intenzionalità come attribuzione di senso e di rilevanza alla datità empirica – la
definizione dell’oggetto come sempre e comunque costituito dall’attività intenzionale del soggetto – la
riduzione eidetica come processo storicamente situato di individuazione dei tratti pertinenti e distintivi di
un fenomeno dato – il mondo della vita come cultura in cui si radicano sia i modi della conoscenza
quotidiana che quelli della conoscenza scientifica sono i dispositivi che ratificano la natura provvisoria,
orientativa e non certa della conoscenza pedagogica.
Dalle occorrenze al tipo: la costruzione del concetto di educazione
A differenza di quanto sostenuto da Bertolini questo approccio non mira a individuare l’essenza di un
fenomeno, o la sua natura originaria, esso ci consente di delineare i limiti e confini di quel fenomeno,
cogliere l’origine sociale, storica e culturale. Socializzazione, relazione di apprendimento, educazione,
istruzione, inculturazione, acculturazione, imparare e insegnare, formazione, crescita e sviluppo, vengono
utilizzati termini differenti i cui significati hanno una somiglianza di famiglia. Dobbiamo chiederci cosa
hanno in comune.
Il diagramma a prisma rappresenta i molteplici tagli prospettici da cui il fenomeno può essere guardato.
Ciascuna delle facce rappresenta l’educazione sotto una certa specifica descrizione.
Prisma educativo:
Imparare/insegnare – socializzazione – crescita e sviluppo – acculturazione – apprendimento.
Ognuno dei termini nomina il fenomeno a partire da una prospettiva mettendo in luce alcuni aspetti e in
ombra altri. Sotto una certa descrizione definita l’educazione ci apparirà come qualsiasi processo che
dàaccesso a cambiamento e sviluppo. La questione è che si tratta di diverse letture e interpretazioni dello
stesso fenomeno? Il fatto che tutti questi termini abbiano un’aria di famiglia ci invita a ipotizzare che essi
denotino lo stesso fenomeno, per cui è necessario individuare i tratti comuni a tali designazioni.
Attraverso una procedura di riduzione trascendentale ma anche sulla base dei propri assunti teoretici la
pedagogia fenomenologica individua tali tratti comuni e propone di conseguenza una propria definizione
di educazione che intende colorare i contorni di un fenomeno ampio e generale variamente illuminato
dalle diverse nozioni settoriali.
Educazione è: ogni processo di interazione sociale mediato da una visione del mondo condivisa e da
artefatti culturali attraverso cui si verifica un qualche tipo di trasmissione culturale tra soggetti
dotati di intenzionalità che a sua volta produce una qualche forma di trasformazionenei soggetti
umani.
Nel lessico della fenomenologia, l’educazione è una regione ontologica, ontologico indica che ci stiamo
riferendo a qualcosa che ha una ontologia indipendente dal soggetto, il sostantivo regione indica il fatto
che i confini e contorni di questo territorio sono posti da un’istanza dell’enunciazione che singolarizza
quel qualcosa rispetto all’esistente.
Gli oggetti delle scienze (in questo caso l’educazione oggetto della pedagogia) sono una costruzione del
reale. Dietro l’oggetto di una scienza, in questo caso alla definizione di evento educativo, c’è un soggetto.
L’idea che l’educazione intesa come campo specifico della pedagogia(l’educazione) è un concetto (o un
oggetto epistemico) e non un oggetto (del mondo) è probabilmente l’insegnamento più cruciale che la
pedagogiacontemporaneaha trattato dalla fenomenologia del xx secolo.
Le conseguenze di questa consapevolezza sono due: la prima ha a che fare con la provvisorietà di questa e
altre definizioni di educazione, nulla vieta di pensare che altre prospettive possano illuminare altri aspetti
dell’educazione, che altre facce si aggiungano al prisma, altri confini siano posti modificando il territorio.
La seconda conseguenza ha a che fare con la responsabilità nello scegliere di lavorare con questa
“definizione” di educazione. Dietro una descrizione non c’è necessità dettata dall’oggetto, l’oggetto
estensionale (eventi, fatti) vincola la gamma di descrizioni possibili di esso ma non determina quali
descrizioni saranno prodotte e trattate come rilevanti.
Assumere che l’educazione sia un processo di comunicazione interpersonale e di trasmissione culturale
che produce cambiamento e sviluppo nei soggetti umani, soggetti a loro volta definiti come dotati di
intenzionalità è una questione di scelta e non necessità. Il rischio resta quello della reificazione.
Una rassicurante reificazione: le teorie scientifiche come macchine ontologizzanti
La fallacia della reificazione consiste nel trattare una astrazione come entità concreta e relativamente
stabile. L’illusione è che ciò di cui si parla o ci si riferisce ciò di cui si predicano caratteristiche o qualità
sia o corrisponda a una cosa nel mondo là fuori.
La reificazione è rassicurante, quando un oggetto è naturale, quando si assume che l’educazione è
caratterizzata da a, b e c essa acquista un senso di inevitabilità e sembra poter diventare una solida terra
ferma per altre investigazioni.
Nel caso della pedagogia disporre di una definizione reificata di educazione (una descrizione supposta
fedele al fenomeno) è estremamente rassicurante anche e soprattutto data la natura anche pratica e
applicativa della conoscenza pedagogica.
La reificazione della definizione di educazione è l’esito di quel processo di iterazione messo in luce da
Derrida. L’iterabilità di una nozione consiste nel fatto che esso è messo in campo costantemente, re-
istanziato si pratica e in nuovi enunciati, ogni nuova enunciazione, ogni “altra nuova prima volta”
conferma, stabilizza una certa versione.
A forza di reiterare una certa definizione di educazione, dimentichiamo che questa non è che un modello,
un tipo, un oggetto categoriale. Si tratta di un eidos (forma ideale) ma questo eidos non è l’essenza ultima
dell’oggetto ma una ulteriore versione parzialmente arbitraria sottoponibile a revisione, modificazione,
dell’oggetto. Malgrado l’operazione di riduzione eidetica consenta di vagliare i fenomeni empirici e le
interpretazioni storicamente sedimentate di essi per costruire un prototipo a partire dalle singole
occorrenze, l’esito di questo processo di categorizzazione non è comunque una descrizione fedele del
fenomeno “educazione” ma un ulteriore ennesima proposta di significato.
Antipositivismo e realismo in pedagogia: l’educazione come oggetto epistemico
Questo non significa che nella vita quotidiana e nella scienza non siamo in grado di cogliere la realtà del
mondo, significa solo che cogliamo solo alcuni aspetti di essa, in specifico quelli che sono rilevanti per
noi.
All’interno di un paradigma fenomenologico la pedagogia può essere definita una scienza
dell’educazione identicamente realistica e antipositivistica. E’ realista in quanto assume che esiste una
realtà del mondo indipendente dal soggetto e dalle sue categorie ed è antipositivista in quanto assume che
non sia possibile fornire una e una sola descrizione vera, autentica, fedele o altrimenti concepibile come
corrispondente a tale realtà.
A partire da un vertice teoretico (A) la pedagogia fenomenologica definisce il suo oggetto (D) e
procedendo da una rilevazione e analisi degli eventi (B) e del tessuto interdiscorsivo che ha elaborato e
cristallizzato varie definizioni di educazione (C).(schema sul cellulare)
Individuando e astraendo i tratti e le caratteristiche comuni agli eventi in B e alle definizioni settoriali in
C si propone una propria definizione di evento educativo (D), ci consegna cioè un oggetto epistemico: la
definizione di una classe di eventi che non coincide con nessuno dei suoi membri ma che consente di
stabilire quali casi possono rientrare, non rientrare e o rientrare parzialmente in tale classe di eventi.
L’oggetto D della pedagogia fenomenologica è un prototipo proposizionale che descrive la struttura
elementare che caratterizza gli eventi educativi e che è astratta dalle occorrenze concrete guidata da
alcune nozioni cardine della fenomenologia pertinenti con la ricerca educativa. Il prototipo di evento
educativo (D) ci permette di individuare quali eventi possono essere considerati occorrenze di educazione
e dunque diventare eventi pertinenti per la ricerca educativa e l’intervento educativo (E, F).
La pedagogia fenomenologica rivendica la circolarità tra epistemologia e ontologia e l’intrinseca
riflessività che lega la prassie conoscenza: teoria-prassi-teoria.
Siamo quindi responsabili dei nostri modi con cui concepiamo l’educazione delle premesse e delle cornici
concettuali a partire dalle quali facciamo ricerca in educazione e del paradigma fenomenologico come
copione per agire in quanto educatori.

Cap. 6 Fenomenologia dell’educazione: elogio dell’insicurezza

Incertezza dell’educazione e insecuritas della pedagogia


La conseguenza più cruciale della fondazione fenomenologica in pedagogia è la costruzione teoretica
dell’educabilità.
L’evento educativo non è rappresentabile da leggi di causa-effetto o di co-variazione sistematica; il
soggetto pensato come partecipante attivo del processo di costruzione di sé e della conoscenza è la
variabile incontornabile che esclude l’educazione dal campo di applicazione ogni approccio
deterministico e dunque normativo. Questo modello teoretico fonda l’insecuritas del sapere pedagogico:
non c’è alcun modo per prevedere con certezza l’esito di una azione educativa anche se essa intende
replicare processi già vagliati o usare strumenti testati dalla ricerca. All’incertezza dell’educazione
(ontologia) corrisponde l’insecuritas del sapere scientifico sull’educazione (epistemologia).
Questo margine di indeterminatezza è garanzia di educabilità. L’educazione non riguarda e coinvolge
sistemi chiusi o fatti materiali ma soggetti intenzionali. Il lavoro di interpretazione e reinterpretazione
attiva che ogni soggetto intraprenderebbe in quanto soggetto intenzionale mette costantemente in
discussione l’esito di qualsiasi processo educativo e apre a nuove possibilità. Ed è proprio perché
l’individuo interpreta e reinterpreta e non subisce deterministicamente gesti, parole ed eventi, che egli può
reinterpretare e sottrarre i significati dal loro carattere di scontatezza, mettere in gioco attraverso
l’esperienza il senso attribuito alla realtà per accedere a nuove comprensioni e trasformare attraverso
l’interazione con gli altri conoscenze, strumenti vecchie e nuove tecnologie.
In altre parole l’incertezza in educazione è sia margine di un fallimento sempre possibile e sia di una
sempre possibile praticabilità.
L’insecuritas della conoscenza pedagogica non è dunque la certificazione del fallimento di un metodo, un
limite prima o poi ovviabile ma è la caratterizzazione propria di un sapere che intende rendere conto di un
fenomeno (l’educazione) sottratto alla pertinenza del paradigma determinista e che riguarda eventi la cui
organizzazione interna è una continua ed emergente realizzazione.
L’insecuritas della pedagogia: cui prodest?
Al sapere pedagogico è richiesto di funzionare come guida per l’agire educativo o come bacino di
informazioni in grado di orientare le politiche educative. Tale sapere non è normativo ma prospettivo: non
traccia un mondo quale è o quale sarebbe se, ma versioni possibili di esso.
La descrizione o comprensione pedagogica si offre alla prassi come un modo possibile di interpretarla più
un ingrandimento di domande da porsi per comprendere e agire all’interno di una situazione educativa
contingente e situata.
Secondo la pedagogia fenomenologica ogni situazione educativa è un unicumin quanto si assume che essa
dipende dalle condizioni e dal senso che ciascun soggetto in interazione attribuisce a quelle condizioni.
Dunque:
1) La pedagogia offre modelli per pensare i singoli casi, situazioni, eventi e un insieme di categorie
per leggere, interpretare e categorizzare il singolo caso. Non offre pattern d’azione o soluzioni
standardizzate rispetto al tipo o classe a cui quell’evento può essere ricondotto. La responsabilità
specifica del professionista dell’educazione non sta dunque nell’applicare protocolli di azione
standardizzati per tipi di eventi ma in primo luogo nello stabilire quale caso rientra sotto quale
regola e quale modello sia pertinente e applicabile per comprendere questo caso.
Wittgenstein:” l’applicazione della regola al caso particolare dovrai farla tu, senza alcuna guida”
2) La pedagogia fenomenologica offre un insieme di domande da porsi per interpretare ciò che
accade: le risposte stanno nelle situazioni. Sta all’educatore porsi delle domande e trovare le
risposte in modo contingente e situato. Come orientare la prassi educativa, come spiegare successi
e fallimenti educativi, come definire il rapporto pedagogia/prassi, dipendono dalla definizione di
educazione ce una scienza elabora e adotta. Organizzare il proprio lavoro, assumere i fatti, i
dispositivi pratici che da essa derivano è una questione di scelta. E dove c’è scelta c’è
responsabilità.
Il fatto che la pedagogia fenomenologica non sia una scienza che offre leggi o generalizzazioni, si
dimostra come una spina nel fianco per chi pensa che una scienza debba giungere a delle generalizzazioni
previsioni produrre regole e pattern di azionevalidi per qualunque caso. E’ invece una risorsa per chi è
impegnato nell’azione educativa e assume di interagire con soggetti dotati di intenzionalità, è un buon
quadro di lavoro per chi crede che la professionalità educativa necessiti di saperi flessibili, di competenze
trans-contestuali, di capacità di co-evolvere.
“Tutto è zuppa”: metafore del sapere scientifico
L’incertezza scientifica rispetto all’educazione e ai suoi esiti è baluardo contro il meccanismo
ontologizzante proprio di qualsiasi discorso scientifico, e un dispositivo cardine di una deontologia
professionale che si alimenta di riflessività.
I saperi scientifici sono una risorsa, consentono di vedere qualcosa come indizio e formulare ipotesi,
connessioni tra occorrenze, andare oltre la conoscenza e comprensione ingenua dei fenomeni, tuttavia
possono funzionare come zuppa “Tutto è zuppa” quando l’educatore aderisce incondizionatamente a
qualsiasi teoria e definizione dell’educazione, la certezza nell’efficacia di una procedura, lo possono
portare verso un agire meccanico, a sovrapporre interpretazione, interpretato e il caso in questione.
La prospettiva fenomenologica invita essenzialmente a questo: a rimettere a fuoco costantemente l’idea
che l’oggetto eccede sempre il suo concetto e che l’educazione pur non essendo mai attingibile al di fuori
di una qualche definizione non coincide con nessuna di esse, l’educazione non è che una faccia di un
prisma, un vertice osservativo parziale e teoreticamente orientato.
L’educazione fenomenologica
Sapere o credere che le conoscenze scientifiche in educazione non siano né letture ultime e definitive
della realtà né dispositivi di prassi garantite obbliga ad interrogare la situazione, se stessi e le proprie
pratiche. L’appello all’unicità del caso, alla problematicità insita in ogni passaggio del processo,
l’insistenza sulla responsabilità alle micro-decisioni che precedono la messa in atto di una procedura
educativa o decisine circa il da farsi sono la chiave di svolta dell’approccio fenomenologico in
educazione. Un approccio che considerando ogni teoria scientifica come una versione canonica della
realtà, relativizza anche se stesso introducendo l’incertezza epistemica quale dimensione costitutiva del
sapere scientifico.
Il quadro teoretico in cui si muove la pedagogia fenomenologica consegna l’educazione al regime
dell’imprevedibilità e il sapere pedagogico al regime della provvisorietà e ne individua le competenze
specifiche dell’educatore fenomenologico.
Accountability in educazione: la responsabilità epistemologica nella ricerca e nella prassi educativa
Per responsabilità epistemologicasi intende l’ineludibile e spesso invisibile quota di scelta che si insinua
in tutti i passaggi epistemici che punteggiano il pensare e l’agire in educazione sia in qualità di ricercatori
che in qualità di professionisti.
C’è scelta nella selezione del vertice teoretico o osservativo che utilizziamo per individuare i tratti
pertinenti e distintivi di un insieme al limite infinito di casi empirici e per costruire una definizione di
educazione; quando assumiamo che tale definizione non corrisponde alla realtà ma ne è una versione;
quando decidiamo di utilizzare tale definizione di educazione come quadro teoretico di riferimento della
ricerca empirica in educazione; quando decidiamo di utilizzare tale definizione di evento educativo come
lente per guardare la situazione come un codice per interpretare i singoli casi e come canone per il nostro
agire situato.
La consapevolezza di questi livelli multipli di scelta epistemologica è parte costitutiva della deontologia
professionale.Concepire la conoscenza scientifica dell’educazione come una versione di realtà implica un
modo di pensare, attribuire e distribuire responsabilità, agentività e impegno in educazione. La
responsabilità è distribuita in quanto la ricerca e la prassi educativa implicano la scelta di un modo di
pensare cosa sia l’educazione. Argomentare e legittimare la scelta di un modo di pensare cosa sia
l’educazione, giustificare le proprie prassi in nome di un preciso quadro teoretico di riferimento è quanto
siamo tenuti a fare. L’accountability in educazione non consiste nell’invocare una presunta oggettività del
sapere scientifico, ma nel saper vedere e nel saper dire le premesse a partire dalle quali pensiamo
l’educazione e agiamo in essa.
In sintesi i primi due tratti che contraddistinguono la competenza dell’educatore fenomenologico sono:
A) responsabilità epistemologica come consapevolezza che il quadro teorico di riferimento con cui ed
entro cui si sceglie di lavorare non è che una possibilità interpretativa, che nessun punto di vista neanche
quello fenomenologico è una autoritas incontrovertibile B) accountabilitycome capacità di rendere conto
di tale scelta e delle decisioni che ne conseguono.
Esistono almeno altre due competenze che sono specifiche dell’educatore fenomenologico e che gli
permette di lavorare all’interno di questo quadro teoretico e a buon fine sono epoche e entropatia.
Epoche ed entropatia pedagogica
L’atteggiamento professionale dell’educatore fenomenologico dovrebbe essere quello di attivare
l’epoche, consiste nel sospendere la pertinenza di ogni definizione automatica della situazione e ogni
interpretazione stabilizzata del singolo caso. Consiste nel sospendere il senso sia esso soggettivamente
inteso (la mia idiosincratica interpretazione) o oggettivamente inteso (una interpretazione collettivamente
accreditata dalla tradizione, dal sapere scientifico, dalla stessa esperienza professionale)questa
sospensione è necessaria per costruire lo spazio dell’alternativa per procedere alla VARIAZIONE
EIDETICA che consiste nel cambiare il punto di vista e dunque immaginare altre possibili
interpretazioni.
Il primo step dell’epoche è dunque una sospensione cognitiva ovvero astinenza rappresentazionale
mentre il secondo è una sospensione pragmatica dove epoche implica anche essere capaci di sospendere o
interrompere lo svolgimento dell’azione in situazione che coerentemente deriverebbe dalla mia prima
interpretazione.
Le ragioni pedagogiche che stanno a monte di questa competenza sono diverse. La prima è inerente
all’assunto centrale dell’approccio fenomenologico: l’intenzionalità della coscienza intesa come
attribuzione di senso per definizione variabile e mai totalmente prevedibile richiede che ci si interroghi
non tanto sul senso della cosa stessa ma sul senso attribuito da specifiche persone a quella cosa stessa; la
seconda è inerente alla definizione di qualunque conoscenza come, sua natura, incerta.
Questa incertezza invita a sospendere quel mondo dato per scontato fatto anche di idee scientifiche, prassi
consolidate, saperi sedimentati nella e grazie alla professione di cui ogni educatore è portatore. Epoche
significa guardare il prisma dell’educazione, dai suoi diversi punti di vista.
Epoche è la condizione necessaria ma non sufficiente per la messa in campo di un atteggiamento
entropatico, cioè mettersi dal punto di vista dell’altro e orientare la propria comprensione degli eventi in
corso a quella dei partecipanti diventa cruciale saper cogliere il senso che le persone attribuiscono o
hanno attribuito agli eventi ivi compresi l’intervento educativo: non si tratta tanto di guardare l’altro ma
di guardare come l’altro guarda il mondo e se stesso nel-mondo-con-gli-altri. L’entropatia consiste nel
mettersi nei pensieri dell’altronon solo di coglierli, quanto usarli per dar senso agli eventi secondo
modalità orientate al punto di vista degli altri. Consente di interrompere l’interpretazione ovvia sia di
orientare la comprensione alla prospettiva messa in campo dall’altro. Essa è in prima istanza un
atteggiamento cognitivo perchè si tratta di interpretare interpretazioni in modi che siano utili a stabilire
progetti ed interventi educativi.
Dal senso oggettivo al senso soggettivo
Es. un ragazzo arriva in comunità portandosi dietro una storia di furti seriali, l’educatore ha diverse
opzioni rappresentazionali e interpretative, es una lettura scientifica secondo lo schema mete-mezzi, il
furto viene letto come mezzo per procacciarsi ciò che non si ha. Da una parte avremmo le condizioni di
miseria e povertà e dall’altra per la pressione esercitata dalla società dei consumi. Questa è una
interpretazione del senso di quel comportamento calcata sul “senso oggettivamente inteso” ossia
interpretazione che ripete teorie scientifiche, dal funzionalismo e relative ricerche sulla devianza minorile.
Ci sono a questo punto due ordini di considerazioni.
È auspicabile che le scelte educative riguardo quel comportamento deviante si basino sula conoscenza
empirica dei fattori in gioco e su delle teorie scientifiche. Tuttavia quella spiegazione o comprensione
scientifica del fenomeno in questione può non essere l’unica, gli approcci cosiddetti comunicativo-
relazionali al fenomeno della delinquenza minorile spiegano e comprendono lo stesso fenomeno in
tutt’altro modo. Per esempio lo considerano una forma di agire comunicativo un racconto
comportamentale attraverso cui il minore parla di se’, della sua visione di se stesso del mondo, degli altri.
Anche questi approcci forniscono evidenze e indizi empirici a favore di questa lettura scientifica del
fenomeno.
Anche quando l’educatore professionale interpreta un caso sulla base di una consolidata teoria, di fatto sta
scegliendo a quale teoria o pacchetto di dati e statistiche fare riferimento. La ricerca fornisce dati e teorie
ma l’uso di questi dati o il riferimento a teorie scientifiche per legittimare scelte educative non è in sé una
procedura scientifica. Orizzonti etici, orientamenti pedagogici, modelli culturali teorie scientifiche o folk
circa la devianza minorile intervengono nella presa di decisione di quali teorie scientifiche utilizzare
come quadri di riferimento del proprio agire professionale.
Tra i saperi scientifici e l’azione educativa c’è dunque uno scarto epistemico irriducibile: è lo spazio della
scelta e della legittimazione (accountability) di una scelta e dove c’è scelta c’è responsabilità. Dietro ogni
prassi in educazione non ci sono solo dati e teorie scientifiche c’è soprattutto una scelta all’interno del
paradigma di dati e teorie e questa scelta dipende da un orizzonte discorsivo a carattere ideologico-
normativo per cui dobbiamo evitare di ammantare le nostre pratiche educative delle mentite spoglie della
neutralità scientifica.
Un’altra considerazione riguarda la questione dell’adeguatezza tra senso oggettivamente inteso e senso
soggettivamente inteso. Qualsiasi sia il senso oggettivamente inteso scelto dall’educatore per interpretare
il caso (il furto come mezzo) qualunque sia l’interpretazione che darà ai furti commessi dal ragazzo, essa
può essere o non essere adeguata al senso che quel comportamento ha per chi lo ha compiuto.
Lo stesso comportamento, rubare, può nascere da storie diverse, ha un senso e uno scopo diverso per
ciascuno e può avere ulteriore significato: quello che l’educatore attribuisce a quel comportamento sulla
base del suo sapere e della sua esperienza.
Le interpretazioni o il senso del sapere scientifico non sono né adeguate né inadeguate al senso
soggettivamente inteso, in ogni caso dal punto di vista fenomenologico il sapere rispetto a un evento
educativo va sospeso messo tra parentesi e relativizzato costantemente rispetto ad altre possibili
interpretazioni.Per costruire lo spazio cognitivo necessario a cogliere il punto di vista soggettivo e il senso
che quel comportamento ha per la persona che lo ha compiuto l’educatore fenomenologico gira
continuamente il prisma delle teorie scientifiche che nutrono la sua competenza professionale ma che
possono funzionare alla stregua della zuppa di cui sopra.
Entropatia pedagogica ed empatia
Empatia indica la capacità di sentire i sentimenti altrui concerne i vissuti emotivi (serenità angoscia rabbia
delusione);entropatia riguarda la capacità di cogliere le categorie interpretative del mondo che motivano
quei vissuti emotivi e che certamente motivano le rappresentazioni di sé e del mondo e i comportamenti
osservabili delle persone. Si può essere entropatici senza essere empatici. L’entropia mira a non
dissolvere i confini tra educatore ed educando ma a facilitare nell’educatore la comprensione dei quadri di
riferimento in base a cui l’educando interpreta e conferisce senso alla realtà che lo circonda o lo ha
circondato a se stesso e ai propri comportamenti.
Operare epoche, sospendere la pertinenza dell’interpretazione immediata, mettere in parentesi le
interpretazioni consacrate dal sapere scientifico, tentare di cogliere il punto di vista a partire da quale
l’altra persona seleziona, cono corollari operativi per l’educatore. Sono queste le procedure di pensiero
che consentono all’educatore di organizzare il modo situato e contingente le strategie operative oltre che
comprendere l’educando; essi co-evolvono in una costante negoziazione di significati attribuiti a se stessi
nel-mondo-con-gli-altri.
Il senso della realtà
Una quarta competenza che contraddistingue l’educatore fenomenologico è una specifica sensibilità ai
vincoli e alle possibilità inscritte nell’ordine materiale delle cose. Nonostante la centralità attribuita al
ruolo del soggetto nella costruzione del significato, che il soggetto abbia capacità intenzionale e sia un
attivo costruttore del senso delle cose, la pedagogia fenom non nega il ruolo dell’ordine materiale del
mondo della vita quotidiana: oggetti, testi, artefatti partecipano costantemente alla definizione della
situazione.
L’ordine materiale sociale culturale dell’evento educativo fa la differenza in quanto apre e chiude
condizioni di possibilità rispetto al lavoro di attribuzione di significato. L’evento educativo non è
imprevedibile perchè la realtà non conta, ma perché il cambiamento è il frutto di un processo prevedibile
di attribuzione di significato ai vincoli e alle possibilità fornite dall’educatore e dal setting educativo.
La realtà e il suo ordine materiale fanno la differenza, non prevedibile nei suoi esiti, si trattadi accettare
l’orizzonte dell’incertezza del lavoro educativo e non vederlo come limite ma come risorsa. Astenersi
dalla rappresentazione del senso delle cose significa assumere che le cose non abbiano senso, significa
mettere in prospettiva il senso fornito dalle cose e dalle loro affordances e ciò che le persone ne possono
ulteriormente fare.
Pedagogia una scienza del come e non del che cosa
La teoria generale dell’educazione fornisce strumenti per pensare l’educazione e agire in educazione essa
però non definisce valori e fini dell’educazione. Strumenti concettuali delle cose e delle loro affordances,
l’epoche, la variazione eidetica, l’entropatia, il principio di adeguatezza tra senso soggettivo e oggettivo,
costituiscono l’educatore fenomenologico e vincolano il suo agire in educazione. Ogni progetto e gesto
educativo sono ispirati a un orizzonte valoriale a una modello culturale di persona, uomo o donna e vita, i
modi della socializzazione traducono le culture in corsi pratici di azioni, essi orientano e sono orientati
dalla cultura e dalla visione del mondo propria della comunità in cui si esplicano.
Il punto non è disancorare le pratiche educative dalle radici culturali, ma quello di analizzare il ruolo del
sapere pedagogico nella definizione della finalità.
La pedagogia fen è un sapere orientato sull’educazione che diventa anche un sapere per l’educazione.
Qui è importante il come l’educatore lavorerà per raggiungere le finalità. Riguarda le scelte, la
responsabilità. L’interpretazione della situazione che l’educatore metterà in opera durante il processo co-
evolutivo con la comunità educante.
Pedagogia fenomenologica e impegno educativo: un ossimoro?
Non è possibile stabilire da un punto di vista fenomenologico se i fini siano corretti o adeguati. La soglia
superiore della pedagogia fenomenologica è la sfera etica dove ciascuna comunità negozia e individua le
direzioni cruciali della vita in comune. Un educatore fenomenologico è chiamato a rendere conto delle
premesse teoretiche entro cui lavora e dei saperi scientifici che evoca a sostegno delle sue pratiche
educative, ma non è sulla base di questi che renderà conto dei fini. La responsabilità dei fini in
educazione non si può delegare al sapere scientifico. Questa soglia individua una seconda zona di
responsabilità e accountability in educazione, si tratta della competenza a vedere i quadri valoriali entro
cui e per cui si lavora e della responsabilità a renderne conto. L’adesione a un quadro di lavoro come la
pedagogia fenomenologica implica sia una responsabilità epistemica (assumere, sapere assumere e
rendere conto della scelta di un quadro teoretico) e responsabilità etica orientata ai valori.
Uno straneamento culturale
Per riflettere sulla natura dell’impegno e l’adesione ai valori educativi può essere utile uno straneamento
culturale. Es. delle classi speciali (migliori per le prestazioni dei disabili) vs classi inclusive (migliori per i
normodotati che non rimangono indietro), i risultati delle ricerche scientifiche rispetto a quale sia la scelta
migliore sono irrilevanti perché la radice della scelta pedagogica sta nell’adesione al valore. Si può
sostenere il valore dell’inclusione e si può militare per l’inclusione. L’adesione al valore non si basa sulla
conoscenza empirica dei fatti è una questione di credenza. Chi milita per l’inclusione o chi per la
segregazione dei sessi lo fa perché crede… la conoscenza empirica dei fattori in gioco viene mobilitata a
posteriori, previa selezione ad hoc del bacino di dati scientifici e delle incertezze pertinenti a definire il
fenomeno.
Etica e politica: le soglie superiori della pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata
Lo scarto tra eidos educativo (ciò che l’evento educativo è) e il dover essere educativo è il punto debole
della pedagogia fen.Bertolini nella sua ricerca teoretica sull’educazione mirava a fondare il normativo
sull’eidetico al fine di fondare la pedagogia su un sapere scientifico per sfuggire alle pedagogie di senso
comune basate sulla chiacchera e per scongiurare il rischio dell’educazione come indottrinamento o
propaganda superando l’impasse della svolta positivista in pedagogia; ma il rigore descrittivo della
fenomenologia non conduce al normativo: se anche fosse possibile costruire un evento educativo in totale
ottemperanza del suo prototipo ideal-tipico, questo non implicherebbe che l’evento educativo sia
accettabile in sé, l’unica cosa che ne deriva è che quell’evento corrisponde a un’occorrenza storica de
l’eidos.
In realtàBertolini pone una equivalenza tra i due ordini di enunciato: Descrittivo E Normativo, aporiache
rimane irrisolta nella prima pedagogia fenomenologica.
Etica e politica sono invece le soglie superiori della pedagogia come scienza, fenomenologicamente
fondata, e tra esse c’è uno scarto irriducibile dove si colloca la scelta quindi la responsabilità rispetto a
quella scelta dettata dal “credere che…”
Quello che va sotto il nome di versante normativo della pedagogia è questo, un versante, una sponda cui
si perviene attraverso uno iato. È il mezzo che ci porta su questa sponda non è la riduzione fen né il suo
prodotto. Possiamo considerare la fenomenologia come una tecnica di analisi che permette di mettere in
crisi una ideologia mostrandone la relatività rispetto a un’altra opposta. La scelta del punto di vista non
riguarda la fenomenologia, essa aiuta ad analizzare le diverse scelte ma non aiuta a scegliere.
Elogio delloscetticismo
Cosa significa “crede che”? Militanza implica credenza, e credenza implica impegno circa la verità (es. le
classi speciali sono più efficienti; apprendere a convivere con un disabile è più importante che imparare i
congiuntivi). Tale impegno circa la verità è dell’ordine del contingente e non dell’universale. Oggi per
militare ci bastano delle verità minuscole, che implicano certezze minuscole. Non si dà impegno
educativo senza certezza di valore; per questo l’elogio dello scetticismo è importante, scompone non solo
i fenomeni ma soprattutto i discorsi sui fenomeni alla ricerca delle tracce sempre presenti delle credenze
culturali e dell’ideologia. Elogiare lo scetticismo non significa rinunciare a scegliere, ma significa aver
chiaro che si sceglie sempre in nome di una credenza, convivere con lo scarto irriducibile tra
l’individuazione attraverso la riduzione fenomenologica dell’eidos e il fare di questo un valore. L’elogio
dello scetticismo necessario a individuare la radice ideologica della scelta e della militanza, necessario per
essere in grado di vedere le premesse a partire dalle quali pensiamo le cornici entro cui agiamo e
scegliamo, elogio che fonda la responsabilità; per superare il sonno della ragione.

Cap. 7 Fabbricare i fatti: ideologia e scienza in educazione

Tra radici ideologiche e orizzonti culturali: la ricerca empirica in educazione


Sostiene Bertolini” il punto dirimente (risolutivo) della questione consiste nel modo con cui si costruisce i
discorso scientifico ma soprattutto nel modo con cui si usano i risultati che si raggiungono per quella
via…..è diverso l’atteggiamento di chi ritiene che quei risultati siano certi (oggettivi) inerenti a delle
verità o a chi ritiene che quella via e quei risultati siano solo una delle vie possibili per giungere ad una
migliore e più produttiva comprensione della realtà che ci circonda”
Argomenteremo che ogni scienza èradicata e dipendente da un punto di vista culturale e che quindi la
dimensione del valore o dell’ideologia va analizzata nei modi di concepire i risultati e di utilizzarli.
La responsabilità epistemologica dei ricercatori e degli educatori di operare l’epoche cognitiva che
consente di pensare le premesse a partire dalle quali pensiamo di vedere le cornici entro cui pensiamo e
facciamo ricerca in educazione.
Come qualsiasi pratica sociale la ricerca scientifica in educazione non è una pratica decontestualizzata e
libera da valore ne’ può essere considerata come un modo per pervenire a, e per fornire una descrizione
vera di una specifica realtà “là fuori”, essa dipende da visioni del mondo condivise, da orizzonti etici e
premesse culturali i dati e i risultati riflettono tali orizzonti e identicamente contribuiscono a mantenere le
credenze culturali con cui viviamo.
Sia i metodi della ricerca scientifica sia i risultati della ricerca scientifica siano dipendenti da
quell’universo di saperi e valori e credenze che caratterizzano il quadro di riferimento ideologico in base
a cui concepiamo e facciamo ricerca in educazione. Le nostre ricerche scientifiche in educazione si
radicano in, riflettono e contribuiscono a costituire quel mondo della vita entro cui si esplicano le nostre
pratiche educative.
Ideologie in opera: prospettive dalla filosofia della scienza
Termine ideologia: senza connotazione negativa, un insieme di proposizioni che informano la nostra
comprensione del mondo ma che non hanno necessariamenteun impianto strutturato né costituisconoun
sistema organico, internamente coerente e nominabile. Cioè indica le credenze culturali, le concezioni e
l’insieme di assunti circa le cose del mondo educativo es. Infanzia – identità di genere…. Che orientano il
nostro pensare e agire in educazione e il nostro fare ricerca.
Queste ideologie definiscono gli orizzonti entro cui le persone agiscono, pensano e stabiliscono norme di
comportamento che sono contingenti e storicamente situate e tuttavia circolano ammantate da un’aurea di
normalità e ovvietà: ideologia come visione del mondo. Le ideologie ci aiutano a catalogare il mondo
sociale e muoverci in esso in modo sensato, l’ideologia dunque, non è qualcosa contro cui lottare e che
deve essere eliminato, anzi, non possiamo farne a meno, almeno da un punto di vista fenomenologico,
non ci è possibile agire senza attribuire un significato al mondo in cui viviamo, che interpretiamo, è quel
tipo di conoscenza che identicamente orienta ed èorientata dalla nostra cultura e dalla nostra visione del
mondo. La ricerca scientifica non p condotta al di fuori di questo modo di funzionamento ideologico,
anche le discipline, i campi del sapere e le ricerche scientifiche sono dispositivi simbolici, insiemi di
discorsi, istituzioni, procedure, regolamenti e posizioni morali che generano le forme di conoscenza e che
allo stesso tempo sono plasmate dalla conoscenza culturale socialmente condivisa.
Bisogna assumere una prospettiva critica sulle pratiche di ricerca per comprendere la linea di
demarcazione che sta tra la dimensione ideologica peraltro inevitabile e la comprensione degli eventi
attraverso la scelta delle cornici attraverso cui osserviamo gli eventi.
Fare ricerca su infanzia e media: le radici culturali di una pratica sociale
Quando decidiamo quali incertezze siano pertinenti a definire un fenomeno lo facciamo sulla base di una
conoscenza culturale storicamente situata. Nel fare ricerca prendiamo costantemente decisioni
epistemiche circa ciò che conta come explanans (ciò che spiega) e explanandum (ciò che richiede di
essere spiegato) e queste decisioni fanno retrospettivamente riferimento ad un background costituito da
credenze culturali che stabiliscono le possibilità ma anche i vincoli della conoscenza scientifica e di ciò
che può essere confermato come conoscenza scientifica.
Il testo riporta la ricerca su infanzia e media al fine di dimostrare i modi e le ragioni per cui facciamo
ricerca e le domande scaturite dalle ipotesi dipendono in larga misura dai discorsi e dai contesti entro cui
viviamo e che contribuiamo a costruire; si tratta di quella peculiare situazione che la fenomenologia
chiama mondo –della – vita (husserl) una fabbrica del tutto culturale entro cui siamo immersi, ricercatori
compresi. Questa cultura orale, questa rete di discorsi e ideologie e persino il senso comune non riguarda
sostiene e nutre soltanto la persona comune ma anche il ricercatore.
La ricerca si sviluppa con la presentazione della metodologia che è quella dell’analisi di contenuto in
questo caso dei programmi televisivi dei bambini e analizzando una griglia di contenuto si scopre come
essa sia intrinsecamente una pratica culturale intrisa di valore in cui l’ideologia è inevitabilmente in
gioco.La seconda questione è il carattere sostantivo, la desensibilizzazione dello spettatore rispetto alla
violenza, considerata come esposizione ripetuta alla violenza rappresentata sullo schermo.
L’analisi di contenuto: le radici morali di un metodo di ricerca
Ricerca comparativa internazionale con l’obiettivo di ricostruire il panorama televisivo proposto ai
bambini.
La prima fase della ricerca è stata una analisi di contenuto. I ricercatori hanno elaboratouna griglia basata
su quelle già in uso e testate il che è cruciale quando si vuole procedere ad una analisi comparativa; da un
punto di vista metodologico lo strumento della griglia di analisi di contenuto soddisfa gli standard
richiesti e tutti i risultati prodotti con l’uso di questa griglia sono statisticamente significativi.
Si nota come in questo strumento descrittivo le categorie della griglia e gli indicatori sono il risultato di
una scelta che riguarda le incertezze pertinenti a definire un fenomeno che è il panorama mediatico
proposto ai bambini. Quando decidiamo cosa prendere in considerazione e cosa ignorare, quando
decidiamo di misurare la frequenza degli aspetti stiamo applicando un sistema di rilevanza che descrive il
contenuto per come appare in funzione del punto di vista culturale inscritto nella stessa griglia di analisi;
le statistiche che si ricavano da questa griglia di analisi sono resoconti condensati circa lo stato della
realtà e dipendono da alcune decisioni cruciali circa i tratti pertinenti e distintivi per definire un contenuto
e a loro volta, tali decisioni dipendono dalla particolare visione del mondo su cui si basa la griglia di
analisi dal contenuto.
Decostruire la ricerca educativa: il caso degli audiovisivi per bambini
Ultimi anni prodotti audiovisivi per l’infanzia, la ricerca educativa si interroga sulla relazione tra
fruizione audiovisiva e apprendimento di competenze sociali ponendo la questione del ruolo modellante
del testo. Le strategie di marketing dei prodotti audiovisivi enfatizzano il loro carattere educational e
promuovono i prodotti in nome dell’idea che lo sviluppo di competenze sociali ed emotive possa
beneficiare dell’esposizione precoce dei bambini alla rappresentazione di interazioni sociali positive tra i
personaggi. Usano l’analisi di contenuto come metodo per misurare e valutare la qualità educational dei
prodotti e la discrepanza tra il confezionamento dei prodotti e i contenuti realmente presenti. È importante
notare anche qui il carattere ideologico delle analisi di contenuto condotta sui testi, la definizione delle
categorie di analisi corrispondono a criteri di natura culturale che hanno a che fare con scelte di valore e
moralità.
La ricerca di un accordo intersoggettivo rispetto ai casi in cui applicare questa o quella categoria è
consensualmente e convenzionalmente considerata all’interno della comunità scientifica come garanzia
dell’attendibilità dei risultati e come misura indispensabile per limitare il bias soggettivo del singolo
analista.Una cornice culturale stabilisce quali caratteristiche di contenuto sono rilevanti. Ciò che appare
come una descrizione del testo è una valutazione del testo fatto a partire dal punto di vista
intersoggettivamente condiviso, il che lo rende oggettivo o neutrale. Ma le idee di “bambino” “bambina”
che orientano l’analisi e la descrizione scientifica non è moralmente e ideologicamente neutrale.
La dimensione ideologica attesta la natura storicamente e culturalmente situata delle ricerca empirica in
educazione e tali aspetti rendono i loro risultati rilevanti e significativi rispetto a ciò che noi, qui, adesso
siamo costantemente chiamati a scegliere per le giovani generazioni.
Inomi non sono neutri: desensibilizzazione o cambiamento culturale?
Un altro processo psicologico comunemente discusso è la desensibilizzazione, processo per cui
l’esposizione protratta e ripetuta di determinati stimoli porta l’individuo a non reagire ad essi con la stessa
intensitàdi risposta che quello stesso stimolo, a parità di altre condizioni, aveva provocato in precedenza.
Essa sopraggiunge quando una risposta emotiva è ripetutamente evocata in situazioni in cui la tendenza
all’azione associata all’emozione si rivela irrilevante o non necessaria. Es. l’esposizione alla violenza
mediatica, aggressività e immagini cruente, inizialmente induce una reazione emotiva intensa, nel corso
del tempo e attraverso l’esposizione ripetuta a tali immagini in un contesto di intrattenimento ludico e
relax, molti spettatori mostrano un decremento delle risposte emotive alla rappresentazione della
violenza. La desensibilizzazione produce una riduzione dell’attivazione di emozioni di disturbo mentre si
assiste a episodi di violenza. La ricerca dimostra che la desensibilizzazione porta i bambini a rimandare il
momento in cui chiamano un adulto affinchè intervenga in un alterco tra pari a cui stanno assistendo e
produce una riduzione della loro empatia nei confronti delle vittime di abusi domestici.
Quando le parole fanno le cose
Le parole non sono mai neutre. Sebbene si assuma o pretenda che i termini scientifici siano solo
referenziali essi non lo sono, anzi sono intrisi di valori culturali e di posizioni morali.
Es. i media rappresentano scene di intimità o scene di famiglie con genitori single che allevano figli
serenamente, è ragionevole pensare che tali contenuti non ci facciano reagire con la stessa intensità degli
anni ’50, è ragionevole supporre che questa non-reazione sia dovuta anche alla regolarità e frequenza con
cui siamo esposti a questo tipo di contenuti mediatici. Come mai in questi casi la ricerca non parla di
sensibilizzazione? Se non reagiamo più alla vista di alcuni eventi è perchè non consideriamo più rilevante
il significato che essi hanno avuto.
La differenza tra il fenomeno della desensibilizzazione alla violenza rappresentata e i modi nuovi con cui
reagiamo alla rappresentazione di fenomeni come nuove famiglie, coppia mista, omosessuale, non sta nel
processo, ma nel prodotto, è una questione etica o politica, noi non vogliamo che la nostra soglia di
tolleranza rispetto alla violenza si alzi e invece vogliamo che quella rispetto ai comportamenti sessuali o
modelli familiari si alzi. È in gioco un cambiamento culturale: la parola desensibilizzazione ci aiuta e ci
porta a pensare il primo caso come non auspicabile, come effetto negativo dell’audiovisivo. È impostante
differenziare i fatti (desensibilizzazione) e i valori (positivo/negativo). La posta in gioco sta nel fatto che
l’uso stesso del termine desensibilizzazione è intriso di valore che non può essere nascosto dalle mentite
spoglie della neutralità fisiologica non può nascondere le prospettive etiche e culturali che portano gli
stessi ricercatori a vedere le nostre reazioni alla violenza rappresentata come desensibilizzazione. Ciò che
come ricercatori vediamo come desensibilizzazione, i risultati stessi degli studi è già frutto di un quadro
culturale di riferimento che ci conduce a leggere interpretare e vedere quel fenomeno come
desensibilizzazione. Il quadro di riferimento che usiamo per pensare scientificamente l’educazione e per
fare ricerca in educazione con è scientifico: è una griglia basata su premesse culturali come se l’idea del
cambiamento della soglia di reattività alla violenza televisiva fosse qualcosa di analogo alla resistenza
sviluppata da un organismo nei confronti degli antibiotici: qualcosa che preferiremmo non avvenisse.
Fatti o valori?Sulla pratica della descrizione scientifica
Mostrare la radice ideologica delle ricerche in ambito educativo non ne discredita per nulla il valore. Al
contrario attestandone la natura storico-culturale, tale prospettiva critica ne argomenta la rilevanza,
conferisce loro pertinenza e rilevanza rispetto a quanto noi, qui, ora siamo chiamati a decidere in
educazione. I risultati che sembrano puramente descrittivi sono in relata’ profondamente valutativi. O
meglio, sono descrizioni operanti, “strumenti per usi particolari”.
Le descrizioni scientifiche e le analisi di contenuto dei testi audiovisivi sono rappresentazioni, tetsi che
essendo il frutto di pratiche implicano decisioni culturali e delineano orizzonti culturali. Tali risultati ci
raggiungono dove siamo, in un mondo-della-vita che ha elaborato specifiche idee e credenze circa ciò che
è giusto o sbagliato e perchè; questi risultati “ideologici” ci aiutano a pensare come fare educazione, ossia
quali procedure intraprendere per socializzare i bambini a diventare membri competenti di questa
specifica comunità.
La ricerca scientifica in educazione non è necessariamente orientata al valore ma questo non significa che
sia o possa essere libera da valore e scissa dal contesto. Come ricercatori siamo tenuti a riflettere e avere
consapevolezza dei quadri di riferimento culturali ed etici che costituiscono le premesse a partire dalle
quali facciamo ricerca che significa non incorrere nella fallacia di trattare i valori come se fossero fatti; la
scelta del punto di vista non riguarda la scienza ma èciò che connette la ricerca scientifica al mondo delle
credenze da una parte e al mondo dell’azione dall’altra, mantenere visibili queste connessioni significa
ricolorare giorno per giorno i contorni delle zone entro cui siamo chiamati ea scegliere e dove c’è scelta
c’è responsabilità.

Cap. 8 Scrivere la ricerca in educazione: responsabilità e accountability di una pratica

Questione della scrittura, attenzione ai metodi con cui raccogliamo i dati sul campo. Metodi e tecniche
quantitativi e qualitativi, sperimentali, etnografici, osservativi e dialogici guardano i fenomeni educativi
da differenti versanti epistemologici, costruendo differenti versioni dei fenomeni.
La scelta tra diverse pratiche di scrittura colora una precisa zona di responsabilità. Lungi dall’essere
appannaggio del singolo ricercatore, tale responsabilità deve essere condivisa con almeno due altri attori:
la comunità scientifica e i destinatari dei resoconti di ricerca che definiscono quale tipo di conoscenza
richiedono e si aspettano da un resoconto scientifico e dunque orientano le scelte di scrittura dei
ricercatori.
L’apertura del vaso di pandora: decostruzionismo e testualismo
Le interazioni verbali con gli informatori sono sempre state uno dei principali strumenti della ricerca sul
campo. Per quanto alcuni evitino di usarle come una fonte di info, le interviste, i dialoghi a tema, i gruppi
di discussione, le conversazioni informali sono considerate parte integrante dell’attività del ricercatore
qualitativo. Il dialogo è la prima fonte di info di molte indagini statistiche.
L’idea postmoderna secondo cui i dialoghi sul campo producono rappresentazioni della realtà situate,
locali e inevitabilmente interattive è stato il primo scossone alla nostra fiducia nella possibilità che il
resoconto scientifico possa dire qualcosa su un mondo là fuori.
Il secondo è stato la consapevolezza del ruolo della scrittura nel ricreare questa realtà costruita. Ciò ha
portato a una riflessione critica su come rappresentare tali dialoghi in quel testo scritto che è l’ultimo atto
del fare ricerca. Le pratiche di scrittura scientifica necessarie a trasformare una ricerca sul campo in una
pubblicazione sono diventate oggetto di analisi in se’. La ricerca era concepita come un processo che
avveniva e si concludeva prima e indipendentemente dalla scrittura. Il testo scritto era visto come una
presentazione delle procedure e dei risultati della ricerca.
La svolta decostruzionista in letteratura e scienze sociali ha inaugurato un sospetto circa l’idea stessa della
rappresentazione come specchio della realtà; i ricercatori postmoderni avevano svelato il ruolo della
scrittura scientifica nel costruire la realtà che essa avrebbe dovuto limitarsi a presentare. La prospettiva
epistemologica inscritta in questo quadro teoretico concepisce l’oggetto (i dati) come radicalmente
interno al testo, qualcosa di fabbricato attraverso le procedure di testualizzazione, atto a dare risposte
chiare e distinte. Questo sguardo sulle pratiche di scrittura del ricercatore ha dissolto l’idea stessa di
ricercatore come soggetto unitario.
Decostruire il ricercatore
Ricercatore non è altro che un termine ombrello che copre e nasconde diverse persone che recitano
diversi ruoli della ricerca; è una persona comune, scienziato, membro della comunità, ciascuna di queste
persone ha la propria teoria del linguaggio orale e scritto.
Il ricercatore prende decisioni epistemiche circa i modi con cui le parole si riferiscono alla realtà che
diventano indizio della posizione etica ed epistemica del ricercatore rispetto a quanto accade sul campo
per cui il modo con cui un ricercatore decide di rappresentare i dialoghi svolti sul campo passa dal regno
del dato per scontato al regno di ciò di cui si deve tener conto.
La natura dialogica dei dialoghi: un effetto del testo
La scrittura dialogica tenta di rappresentare e preservare la natura dialogica dei dati e le radici interattive e
interpersonali della conoscenza scientifica; la politica sottostante a tale poetica concerne soprattutto
l’impegno del ricercatore nel dare voce ai suoi informatori e nel distribuire l’agentività della creazione del
significatoe della costruzione della conoscenza, spezzando il monologo sovrano consacrato dalla scrittura
scientifica per creare al suo posto un testo polifonico che dà rappresentazione non solo degli enunciati ma
anche delle enunciazioni da cui hanno origine i dati di ricerca.
La rappresentazione dialogica dei fatti è una strategia retorica attraverso cui il ricercatore rappresenta se
stesso come più rispettoso del parlato originario e più sensibile alla natura interattiva e situata dei propri
dati. Anche l’uso del discorso diretto, le trascrizioni e citazioni sono forme di testualizzazione e
dispositivi che producono effetti di senso.
Si può pensare alla parola scientifica scritta come un pharmacon: è tossica in quanto nel momento in cui
si testualizza i fatti li ricrea; è rimedio dal momento che non si può dare conoscenza del mondo se non
attraverso una sua qualche testualizzazione. Le scelte di scrittura sono indizi testuali dell’identità teoretica
del ricercatore; creano dati differenti a partire dallo stesso materiale in campo; forniscono evidenze e
supporti empirici per diversi tipi di conoscenza scientifica.
Esercizi di stile o modi di fare il mondo?
La forma testuale data dalla scrittura al materiale di campo orienta l’analisi in quanto apre e chiude
diversi corsi di interpretazione, legittima diverse inferenze, diverse versioni di cosa è successo e perchè.
Le trascrizioni fanno molto di più che fornire i testi su cui si applicano le procedure di analisi, sono esse
stesse una procedura di analisi.
Vengono esaminatedue tipi di scritture ispirate a un modello dialogico di scrittura scientifica e in tutti e
due i casi lo scrittore ha evitato la parafrasi a favore di una citazione diretta delle parole originarie. Ma
presentano differenze nei modi con cui è stata data rappresentazione dialogica dei dialoghi.
Qualunque trascrizione è una traduzione nel senso stretto del termine, è selettiva e interpretativa e non
può pretendere di essere altro che una versione di quel che è accaduto, comunque una volta accettata
questa conclusione postmoderna, dobbiamo forse concludere che queste diverse forme di rifare il dialogo
originale sono equivalenti in quanto nessuna può pretendere di rispecchiare l’evento originale?
Creare un mondo permanete
Il primo estratto è un esempio classico di riportare il discorso dei partecipanti alla ricerca: dopo una breve
prefazione in cui viene evocata la domanda del ricercatore e vengono introdotte le parole dell’insegnante,
il ricercatore utilizza la citazione diretta, il discorso diretto ha lo scopo retorico di creare un effetto di
verosimiglianza.
Anche questo modo di rappresentare il dialogo ha delle regole. Lo scrittore fa un lavoro di editing sul
parlato originario, rende le frasi pronunciate più comprensibili alla lettura e le grammaticalizza.
Ripetizioni ed errori sono omessi. Questa rappresentazione scritta si focalizza sul che cosa è detto e lascia
il come è detto sullo sfondo degli elementi irrilevanti. Le principali conseguenze di questa modalità
tradizionale di trascrivere i dialoghi di ricerca:
- Queste pratiche di editing non purificano affatto il discorso né fanno emergere il puro significato:
quel che è detto (piano semantico) è collegato e condizionato dal come è detto (piano pragmatico);
- Cancellando le tracce dei segnali con cui il parlante indica come deve essere interpretato quel che
sta dicendo, l’autore perde di vista la posizione epistemologica del parlante rispetto ai suoi stessi
enunciati, le parole vengono ricostruite come fossero asserzioni dichiarative;
- Eliminando le parole e la maggior parte delle azioni conversazionali compiute dal ricercatore dal
testo scritto, queste pratiche di editing trasformano un dialogo in un monologo la cui autorialità e
responsabilità sembra appartenere solo all’informatore.
È sulla base di questa pratiche di scrittura che diventa possibile trattare il materiale verbale come un
esempio o indizio di quel che i partecipanti pensano, questa testualizzaizone trasforma il parlante
originario in un personaggio del tutto peculiare: un soggetto unitario e permanente impegnato a produrre
asserzioni chiare ed evidenti e enunciati dichiarativi sul mondo.
Una volta trasformato in questo tipo di testo, il dialogo acquista un effetto di significato: sembra riportare
un’idea che era nella mente del parlante fatta e finita prima dell’interazione di ricerca. Il ruolo del
ricercatore si rappresenta come una pinza che tira fuori tale idea dalla mente, il dato di ricerca èreso
equivalente al contenuto proposizionale degli enunciati ed è attribuito all’informatore come se fosse
l’unico parlante sulla scena della ricerca. Alla fine di questo processo questo dato diventa qualcosa da
interpretare, spiegare o la base empirica per formulare alcune inferenze.
Ma quello che non è lì non può essere ne’ interpretato ne’ spiegato o diventare il supporto empirico per
una qualche inferenza o ipotesi; le asserzioni riportano l’interpretazione del ricercatore che appare
plausibile grazie alla rappresentazione delle parole originarie.

Creare un mondo incerto


Il secondo esempio traduce i postulati teorici circa la natura riflessiva e co-costruita dei dati di ricerca in
alcune procedure testualizzate.
La trascrizione tenta di rendere conto delle caratteristiche tipiche del parlare in interazione che l’altro
genere di testualizzazione aveva eliminato dalla superficie del testo finale, ciò che prima era ignorato qui
diventa passibile di analisi e interpretazione es. segnali di ricezione, questi non sono mai neutri, la loro
presenza nel testo finale evoca un processo di costruzione congiunta del dato di ricerca e indica al lettore
l’impegno teoretico del ricercatore nel riconoscere la crucialità di questo processo di co-costruzione. Si
tratta di segnali di contestualizzazione (es. comunque, diciamo che) attraverso cui il parlante suggerisce
all’ascoltatore come interpretare quello che sta dicendo.
I principali dispositivi retorici di questo secondo modello di rappresentazione sono:
- La scrittura in sequenza dei vari turni conversazionali che dimostrano la natura dialogica e co-
costruttiva degli enunciati e rende visibili le caratteristiche interazionali quali ripetizioni,
formulazioni;
- La notazione della prosodia permette di cogliere differenti gradi di adesione e di impegno dei
parlanti rispetto ai loro stessi enunciati es. Esitazioni, enfasi;
- La notazione dei segnali di ricezione es. Uhm…che ricrea uno dei ruoli del ricercatore sul campo:
il suo essere anche un audience.
Se e sole se tali caratteristiche dell’evento originario diventano parte dell’evento trascritto esse possono
trasformarsi in strumenti analitici o in basi empiriche per generare ipotesi inferenze.
Costruire una conoscenza a partire da un evento ricostruito
Attraverso un processo inferenziale e qualche forma di generalizzazione il ricercatore propone le sue
conclusioni che valgono in genere come la sia comprensione scientifica dei fenomeni oggetto di studio
della ricerca, ma questi risultati dipendono dalle pratiche di scrittura adottata.
Un modello di scrittura non è più oggettivo dell’altro né più plausibile, entrambe sono modi di ricostruire
l’evento e creano un effetto di realtà e sono il prodotto di strategie retoriche volte a persuadere il lettore
che “questo è quel che è successo”.
L’identità teoretica del ricercatore: gli indizi testuali
Le scelte di scrittura forniscono indizi del diverso impegno teoretico del ricercatore.
I modi con cui il ricercatore interpreta il ruolo di scrittore, ciò che considera rilevante e come lo scrive
sono il frutto di una decisione e si traducono in altrettante modalità di dichiarare l’identità teoretica dl
ricercatore. La scrittura dice indirettamente il paradigma dello scrittore e situa il ricercatore rispetto ai
canoni stabiliti dalla comunità scientifica nella relazione tra linguaggio, realtà e verità.
Tipi di scrittura e tipi di conoscenza
Parlare di differenti tipi di consocenza riapre l’eterna questione della accuratezza, validità e attendibilità
dei risultati e della verità delle asserzioni scientifiche che derivano dall’analisi dei dati. Quando ci
troviamo di fronte a due tipi di conoscenza dello stesso fenomeno siamo anche portati a ordinarle lungo
una scala di accuratezza o plausibilità rispetto al fenomeno che interpretano.
Sono tre le ragioni per cui si utilizza il criterio di verità come corrispondenza per dimostrare la non
scalabilità dei tipi di conoscenza scientifica costruiti su diversi tipi di scrittura dei dati:
1- Malgrado non sia l’unico, il criterio di verità come corrispondenza continua ad essere quello
utilizzato su larga scala per valutare la conoscenza scientifica ed è quello utilizzato normalmente
sul piano della comprensione del senso comune. Quando pensiamo che qualcuno sta dicendo la
verità, intendiamo che quel che questa persona sta dicendo corrisponde a quanto pensa e visto;
2- La seconda ragione ha a che fare con il criterio avanzato dall’interpretativismo e dal pragmatismo.
Si assume che la verità sia un adempimento cooperativo, un accordo intersoggettivo circa
l’adeguatezza di una delle tante versioni di realtà proposte e circolanti (es. Le testimonianze in
tribunale). Questo criterio si limita a sottordinare la corrispondenza tra realtà e enunciato a
dimensioni come la cultura, la storia e il potere. Le dinamiche del potere e del consenso sociale
intervengono sistematicamente nello stabilire quale versione della realtà è vera rispetto alle molte
concorrenti e competitive. Anche se adottiamo la nozione di adeguatezza(una rappr è vera se
adeguata e adeguata rispetto allo scopo) ci basiamo sempre su una qualche idea di corrispondenza.
3- La terza ragione è più facile considerare equivalenti resoconti scientifici diversi quando adottiamo
una definizione consensuale o pragmatica di verità per cui entrambi gli enunciati scientifici sono
veri e vera è la conoscenza dell’evento che essi ci forniscono.
Diverse rappresentazioni dei dialoghi e delle interazioni verbali sul campo: a) creano dati diversi a partire
dallo stesso materiale di campo; b) forniscono basi empiriche diverse per la costruzione di diversi tipi di
comprensione scientifica di quei fatti. Non si tratta di raffigurazioni statiche di una realtà statica, sono
“strumenti per usi particolari” per dare al lettore il senso dei fenomeni che la ricerca studia e aumentare
l’intelligenza di questi fenomeni.
Lector in fabula. La responsabilità condivisa dell’estetica scientifica
Le modalità di scrivere la ricerca dipendono da almeno tre attori: il ricercatore, la comunità scientifica e i
destinatari del resoconto.
Sta al ricercatore, alla sua responsabilità e consapevolezza epistemologica scegliere tra tipi diversi e non
equivalenti di scrittura, esse differiscono in relazione al tipo di conoscenza scientifica che essi supportano
e all’identità teoretica del ricercatore che sceglie un modo di ricreare un mondo e offre al suo lettore
ideale non pochi indizi del suo impegno teoretico per non dare niente per scontato o nascondere la natura
dei dialoghi.
Questa responsabilità deve essere condivisa con la comunità scientifica che stabilisce le formazioni
discorsive ammesse e legittime.
Un altro attore implicato è il destinatario del testo scientifico nel determinare quale tipo di conoscenza si
aspetta da e richiede al testo scientifico ma dovràaccettare che tale conoscenza è fragile in quanto tali
rappresentazioni supportano una conoscenza scientifica che mette a fuoco più i processi che i prodotti e
che si fonda sulla terra incognita ed effimera della costruzione interattiva della conoscenza e della vita
quotidiana. Aspettarsi questo tipo di conoscenza dai resoconti scientifici, considerarla utile e traducibile
in orientamenti per l’agire pratico è una scelta. E ancora una volta dove c’è scelta c’è responsabilità.

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