Sei sulla pagina 1di 19

Riassunto pedagogia generale

PREFAZIONE
 
La pedagogia può essere paragonata alla fenice, un animale fantastico della mitologia greca che aveva
la capacità di rinascere dalle proprie ceneri conservando la propria natura. La pedagogia – infatti- è
una disciplina in divenire; è una disciplina che prende in considerazione diverse istanze disciplinari e si
trasforma senza perdere la propria natura ( dismorfica e complessa) e senza trascurare il proprio
oggetto d’indagine: la formazione della specie umana. Una delle caratteristiche particolari della
pedagogia è la sua funzione meta-riflessiva, la quale non la spinge verso delle soluzioni sicure ma
verso degli equilibri che sono momentanei e soggetti a futuri mutamenti. Da ciò si evince che intorno
alla pedagogia ruota il concetto di dinamicità e quello di ricerca (intesa come ricerca della propria
identità perduta o in trasformazione) i quali si collegano alle idee che uniscono la pedagogia alle altre
scienze dell’educazione e che ne sostengono la complessità. Intorno alla pedagogia ruotano diversi
problemi: 1) la pedagogia può essere interpretata come scienza o come filosofia?; 2) la pedagogia che
rapporto intreccia con le scienze dell’educazione;3) come è possibile orientarsi nei molteplici oggetti
della pedagogia, scoprendone l’unitarietà?
Il primo problema può essere interpretato in chiave storica e problematica. La lente storica mette in
evidenza che il dibattito scienza, filosofia e pedagogia è stato un alternarsi di punti di vista che non si è
arrestato con la nascita delle scienze dell’educazione perché esse hanno fatto emergere nuovi
problemi epistemologici, i quali hanno attivato la ricerca di uno statuto per la pedagogia. La data di
nascita della pedagogia – intesa come scienza- coincide con il 1967/ 1968, quando essa ha
riconosciuto come oggetto della sua ricerca il processo formativo e ha chiarito il suo rapporto con la
filosofia e con la scienza: la prima è una riflessione fatta sui problemi dell’educazione; la seconda porta
la pedagogia verso la concretezza.
La lente della problematizzazione, partendo dalla crisi d’identità della disciplina, si propone di cercare
percorsi che hanno permesso ad essa di definire il proprio statuto epistemologico. Infine è importante
sottolineare che la pedagogia – negli ultimi anni- si presenta come una disciplina che problematizza e
ri-tematizza la propria identità in linea con l’evoluzione dei concetti di scienza e filosofia. Essa – quindi-
è una scienza che ha individuato il proprio oggetto d’indagine; che è indipendente ma ha bisogno di
altre discipline che la integrano; è una scienza olistica, in divenire, dinamica, complessa, polimorfa, ma
capace di individuare una propria identità.

PARTE PRIMA: LA PEDAGOGIA E’


SCIENZA E/O FILOSOFIA? PREMESSA
La pedagogia esprime la sua complessità epistemologica nel suo pluralismo e nella sua insita
dialetticità i
quali mettono a fuoco ulteriori caratteri della pedagogia, quali: la dinamicità, la ricerca e la retroazione.
Il concetto di dinamicità esprime sia la dialettica che c’è tra i vari aspetti che compongono l’architettura
della pedagogia, sia la sua tendenza a progettare nuove soluzioni e individuare nuovi possibili indirizzi
di pensiero per la formazione dell’uomo. In questo modo la pedagogia cerca di costruire e ricostruire la
propria identità, che è un’identità aperta e flessibile in quanto tale disciplina tende sempre a mutare e a
trasformarsi in relazione agli eventi esterni e interni che la caratterizzano. Pertanto la pedagogia anche
se tende ad assumere forme sempre diverse ha la capacità di non essere altro da sé, ossia di non
perdere la propria identità.

PEDAGOGIA SCIENTIFICA E
PEDAGOGIA FILOSOFICA
Nel Novecento è possibile rintracciare – da un lato- la ricerca dei caratteri distintivi della pedagogia che
permettono di qualificarla come disciplina autonoma; dall’altro le tappe fondamentali di 2 percorsi:
quello della pedagogia intesa come scienza e quello della pedagogia intesa come filosofia. Questi due
percorsi anche se sono distinti, tendono a richiamarsi costantemente l’uno con l’altro e dei punti di vista
particolari mettono in evidenza l’avvicinamento della pedagogia o all’una o all’altra. Ad esempio la
pedagogia si è risolta nella filosofia nel momento in cui c’è stato il passaggio dalla pedagogia scientifica
del positivismo a quella filosofica gentiliana; oppure una tensione scientifica si è presentata nel
confronto tra la prospettiva cattolica e quella laica, tra una pedagogia intesa come disciplina pratica e
una pedagogia intesa come disciplina sperimentale e pragmatica. Un altro supporto alla scientificità è
stato dato dalla diffusione del pensiero di Dewey.

PEDAGOGIA SCIENTIFICA. LE
RADICIE NELLA RICERCA DI FINE
OTTOCENTO
La pedagogia intesa come scienza unitaria dell’educazione è nata verso la fine dell’800 con l’emergere
del Positivismo, il quale proponeva il modello scientifico (basato sull’esperienza e sull’identificazione di
leggi universali) come la base di tutti i saperi, compresa la pedagogia. Infatti nel 1876 la Sinistra al
potere propose – in Italia - il positivismo come il paradigma più consono ad esprimere le istanze della
modernità e come la guida della pedagogia, la quale doveva mirare al rafforzamento della ricerca
scientifica e alla diffusione dell’istruzione in tutti i livelli sociali. A partire da quest’epoca – infatti- la
pedagogia assume un rigore sempre più scientifico, tanto da fare uso di un metodo sperimentale x
spiegare la natura e il comportamento dell’uomo. I maggior esponenti del positivismo italiano sono
stati: Ardigò, il quale proponeva una pedagogia intesa come un campo di tecniche oggettivabili, ossia
da estendere a tutti; Gabelli che ha proposto di introdurre il metodo scientifico nell’organizzazione
scolastica; Angiulli il quale promuoveva l’idea di una scuola obbligatoria, laica e gratuita; e –
infine- De Dominicis che si concentrò sul condizionamento. Tra questi esponenti il più importante è
stato Ardigò, in quanto egli ha introdotto in Italia il concetto di evoluzione, secondo il quale la realtà è in
continuo sviluppo e si trasforma costantemente. E’ proprio su questo aspetto che il positivismo è
entrato in contrasto con lo storicismo idealista, e in particolar modo sulla definizione di un residuo
valoriale che non sia soggetto a tale trasformazione. In relazione a ciò il positivismo ha messo in
evidenza che questo valore è a priori per l’individuo e a posteriori per la specie; lo storicismo sosteneva
che ciò non è possibile perché così si rende più concreto il pericolo di un relativismo logico.
Il tentativo positivista di dar vita ad una scienza unitaria dell’educazione si è tradotto nella nascita di
una pluralità di scienze dell’educazione le quali sono indipendenti ma – nello stesso tempo- avvertono
l’esigenza di entrare in rapporto l’una con l’altra. In relazione alla pedagogia, i positivisti si fecero
promotori del modello strumentale/tecnologico, secondo il quale il compito della pedagogia era quello
di applicare nella prassi le scoperte della psicologia e della sociologia, considerate vere scienze.
Quindi, secondo tale visione, la pedagogia è una disciplina ancillare alla psicologia e alla sociologia e
la sua funzione è quella di mettere in luce i problemi da affrontare in campo educativo e definire il loro
campo di indagine. La psicologia e la sociologia, invece, forniscono quei metodi pratici e operativi utili
per risolvere i problemi e per giungere a una soluzione.  Dall’analisi di ciò si evince che verso la fine
dell’800 e l’inizio del ‘900 c’è stato un avvicinamento della pedagogia alla psicologia e alla sociologia, il
quale ha permesso a tale disciplina di allontanarsi dalla concezione che la dimensione filosofica
potesse essere l’unica attraverso la quale poter giungere ad un’identità. Ma in questo stesso periodo le
coordinate epistemologiche che avrebbero definito la relazione tra pedagogia e scienze psicologiche e
sociologiche non erano ancora ben delineate ed è per questo che c’è stata una ripresa della
tradizione idealista che rappresenta un momento di rinnovata aderenza della pedagogia alla filosofia,
mediante il pensiero di Gentile.
PEDAGOGIA FILOSOFICA. LA RICERA
ALL’INIZIO DEL NOVECENTO
All’inizio del 1900 emerse una polemica contro i positivisti i quali vennero considerati inadeguati
nell’affrontare i fenomeni spirituali, ossia fenomeni complessi. Uno dei maggior rappresentanti di
questa polemica è stato Gentile, che propose una nuova idea di pedagogia: egli parlava di pedagogia
filosofica, e cioè di una disciplina i cui metodi d’indagine venivano mutuati dalla filosofia e rispondevano
ad un’immagine di scienza costruita su un modello filosofico. Per Gentile la filosofia rappresentava
l’unica scienza perché essa- a differenza delle altre scienze le quali accumulavano una serie di dati
senza interrogarsi sui concetti appresi- ha la capacità di pensare e di riflettere su i suoi stessi
fondamenti. Inoltre per Gentile la filosofia è il dispiegarsi dello spirito (ossia della capacità dell’uomo di
creare valori, arte e cultura) verso una maggiore autoconsapevolezza e il singolo uomo è immagine
dello spirito. Per questo motivo la filosofia è pedagogia; essa – infatti- è storia della formazione dello
spirito e, di conseguenza, risulta adeguata al compito di educare e formare l’individuo in base a valori
prestabiliti.
La ripresa della tradizione idealista e dell’attualismo di Gentile ha orientato la relazione alunno-docente
verso una visione finalistica del rapporto educativo, il quale assunse un carattere particolare: esso
rappresentava il rapporto tra un soggetto che ha raggiunto la piena consapevolezza di sé ( il maestro)
e che si fa guida di un altro soggetto che – invece- è inconsapevole della sua natura sia cognitiva che
affettiva (l’allievo). L’alunno instaura – con il docente- un rapporto spirituale di tipo identificatorio e
attraverso l’ascolto del maestro (quindi applicando un metodo filosofico e non scientifico) egli viene
investito da una

serie di trasformazioni interne che lo spingono verso una maggiore autoconsapevolezza. In questo
modo Gentile, anche se intendeva concentrare la sua attenzione sul processo di sviluppo dell’allievo,
non ha fatto altro che sollevare due problemi: 1) il primo mette in evidenza che egli ha enfatizzato il
ruolo dell’insegnante (inteso come guida del bambino) a discapito dell’allievo, considerato un soggetto
ancora intrappolato negli inganni dei sensi e che solo attraverso la formazione poteva avere la
possibilità di accedere al mondo della cultura e di raggiungere la consapevolezza di sé. 2) Il secondo
problema è legato alla pedagogia che – con Gentile- si è configurata come teoria dell’autoformazione
dello Spirito e si è risolta nella filosofia. Ciò significa che la pedagogia vale solo se è filosofia.

PEDAGOGIA CATTOLICA E
PEDAGOGIA LAICA
La Riforma Gentile è stato l’emblema della pedagogia italiana sino al secondo dopoguerra. In questo
periodo cominciò ad emergere l’esigenza di individuare nella pedagogia una disciplina autonoma; si
pose il problema della sua scientificità; cominciò ad essere individuata come disciplina autonoma e si
analizzarono i suoi diversi aspetti. In questo nuovo dibattito epistemologico relativo alla pedagogia
emersero due posizioni interpretative diverse per la loro concezione di uomo, di realtà e di storia: quella
cattolica e quella laica.

PEDAGOGIA CATTOLICA. UNA


DISCIPLINA PRATICA E POIETICA
La pedagogia cattolica riprese e rielaborò alcuni temi dell’idealismo gentili ano anche se partiva da
postulati diversi: essa – infatti- non accettava l’immanentismo di Gentile, ma tentò comunque
l’assimilazione dell’attualismo avanzando l’ipotesi che l’idealismo avesse mutuato i suoi principi dalla
tradizione cristiana. (prendere appunto dalla pennina…)
PEDAGOGIA LAICA. LA
“SCOMMESSA” SU UNA DISCIPLINA
DI RICERCA
In questi anni emerse anche la pedagogia laica, la quale ha introdotto il pensiero di Dewey nella
pedagogia e cultura italiana. Ciò rappresentò il tentativo di superare l’attualismo e il totalitarismo
politico di Gentile e di dar vita ad un nuovo modello pedagogico il quale si proponeva di formare e
sviluppare delle comunità in cui ogni individuo fosse responsabile sia da un punto di vista morale che
sociale.
Nel rapporto alunno-insegnante l’attenzione è stata posta sull’alunno il quale non veniva più visto come
un soggetto passivo, un “vaso vuoto” da riempire con nozioni che non mutavano mai nel tempo e che
venivano trasmesse da un docente dotto; piuttosto come un soggetto attivo pronto ad interagire con
l’ambiente per sviluppare sempre di più le sue qualità naturali. In questa nuova prospettiva sia la
pedagogia che l’educazione sono cambiate: la pedagogia si è impegnata maggiormente sul piano
politico e sociale; l’educazione non è stata più concepita come preparazione alla vita (in quanto la
società non è statica, ma dinamica); bensì come un processo che non si conclude mai e che è sempre
pronto ad evolversi in relazione ai cambiamenti sociali. Pertanto ogni educazione dipende
dall’interiorizzazione della coscienza sociale della propria comunità da parte dell’individuo che impara a
conoscersi prendendo in considerazione le stimolazioni ambientali e i feedback di risposta che riceve
dalle proprie azioni. Questa apertura dell’educazione verso la società è stata proposta da Dewey e
portata avanti da una serie di intellettuali che si riunirono intorno alla rivista “scuola e città” di
Cordignola. Dewey è stato un gran rivoluzionario per la pedagogia italiana in quanto: 1) si fece
promotore del concetto di pedagogia intesa come scienza; 2) introdusse il circuito prassi-teoria-prassi
secondo il quale la pedagogia deve partire dalla realtà e dall’esperienza per formulare delle ipotesi
(definite ipotesi di lavoro) le quali devono essere prima verificate (da un punto di vista teorico) e poi
attuate nella nuova prassi. 3) promosse l’idea di una società educante, e cioè di una società che
attraverso l’educazione riusciva ad emanciparsi. Dewey parlava di educazione democratica in quanto il
metodo della democrazia coincideva con quello sperimentale perché esso si preoccupa di
sperimentare le soluzioni migliori per risolvere i problemi che si presentano quotidianamente in vista di
un fine specifico: quello di una società libera e democratica.
L’idea di una scuola attiva deweyana e i valori proposti dalla pedagogia cattolica hanno propugnato la
collaborazione tra pedagogia e altre discipline e sviluppato una visione interdisciplinare e pluralistica
che sottendeva la necessità di più metodologie d’indagine nella ricerca educativa.
Nei confronti dei cattolici, i laici hanno ripreso – nuovamente Dewey- perché egli sosteneva che non ci
sono dei valori assoluti verso i quali tende l’individuo, ma gli obiettivi e gli scopi che ciascuno si
propone di

raggiungere prendono forma nell’esperienza e si traducono in progetti sperimentali. Con il termine


“sperimentale” Dewey indicava la formae mentis dello scienziato, il quale indaga la realtà per giungere
a delle nuove idee. Pertanto, in questa ottica, l’esperienza si propone come quello strumento al servizio
della scoperta di nuove conoscenze che non essendo mai definitive assumono l’identità di credenze
condivise.
I concetti presentati da Dewey sono stati ripresi anche da De Bartolomeis, il quale ha scritto due testi
importanti: “la pedagogia come scienza” e “la ricerca come antipedagogia”. In quest’ultima la ricerca
dell’identità della pedagogia è stata sostituita dall’esigenza di configurare tale disciplina come attività di
ricerca. Infatti – secondo De Bartolomeis- la pedagogia autentica deve essere continua ricerca di
soluzioni (attraverso ipotesi di lavoro e di intervento) e si deve opporre alla pedagogia intesa come
insieme di valori prestabiliti. La pedagogia – in questo senso- si proponeva di agire sull’alunno e sulle
sue capacità utilizzando un approccio interpretativo che andava ad analizzare i processi
dell’educazione.
3 PEDAGOGIA COME DISCIPLINA.
VERSO UNA TEORIA
DELL’EDUCAZIONE
Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la teoria dell’educazione cominciò a distinguersi dalla
filosofia, anche se la sinergia tra teoria dell’educazione, filosofia e ideologia non poteva scomparire del
tutto in quanto le implicazioni ideologiche della filosofia influenzano i percorsi di sviluppo della
pedagogia. Nonostante ciò è importante fare una distinzione tra filosofia dell’educazione, la quale
rispecchia la cultura dominante; e la teoria dell’educazione che vedeva nel rinnovamento della società
un modello rappresentativo del carattere progettuale della pedagogia. La tensione ideologica può
essere intesa sia come attrazione politica o filosofica; sia come quel termine che stimola la tensione
interna della pedagogia che la spinge ad uscire fuori da se stessa, a ricercare un’identità persa nelle
varie sovrastrutture ideologiche e/o filosofiche e nelle altre discipline, e a ritrovarla nella sua natura
pluralistica ma – nello stesso tempo- autonoma. Infine è importante sottolineare che accanto al
discorso sul configurarsi di una teoria dell’educazione autonoma dalla filosofia e dall’ideologia si è
affiancata l’esigenza di definire lo specifico settore disciplinare di ricerca della pedagogia tra più
scienze.

QUALE RICERCA E’ LA PEDAGOGIA? 


DENTRO LE SCIENZE
DELL’EDUCAZIONE.
Negli anni ’50 la pedagogia cominciò – da un lato- ad avviarsi verso la sua frammentazione; dall’altro a
riconoscere la propria unitarietà. Tra gli anni ’70 e ’80 la pedagogia cominciò a riconoscersi come
“scienza applicata”, ossia come una scienza che lavorava su ipotesi di lavoro e su materiali provenienti
da altre discipline e che si proponeva di raggiungere degli obiettivi specifici seguendo il circuito prassi-
teoria-prassi. Una prima idea di frammentazione della pedagogia è stata promossa da Dewey, il quale
riteneva che una vera scienza non si basa su conclusioni isolate, ma su più scoperte che – unendosi
tra loro- danno vita ad un sistema coerente. In questa prospettiva i materiali, le fonti che derivano dai
vari saperi diventano contenuto della scienza dell’educazione (secondo Dewey) nel momento in cui
sono mossi da intenzionalità educativa, possono essere rielaborati sui problemi di natura pedagogica e
verificati empiricamente nelle pratiche educative. Tuttavia le “scienze dell’educazione”( ossia
l’articolarsi della pedagogia in una molteplicità di specializzazioni) sono nate nel secolo scorso, quando
ci si è resi conto che l’educazione è troppo complessa per essere studiata da un’unica disciplina.
Secondo De Barolomeis le specializzazioni possono essere definite pedagogiche nel momento in cui
c’è una convergenza tra loro sui problemi educativi; mentre più scienze dell’educazione possono
essere messe insieme nel momento in cui perseguono finalità di ricerca rivolte all’istruzione,
all’educazione e alla formazione.  All’interno delle scienze dell’educazione sono state distinte le
scienze pedagogiche: le prime sono più teoretiche; le seconde metodologiche. Tale distinzione è stata
portata avanti soprattutto da autori francesi (come Debesse e Mialaret) i quali – sin dalla fine
dell’Ottocento- cominciarono ad affiancare al termine pedagogia quello di scienze dell’educazione e,
successivamente, numerose cattedre universitarie presero il nome di “scienze dell’educazione”.
La nascita delle scienze dell’educazione è stata importante per la pedagogia perché tali scienze hanno
confermato sia la sua natura scientifica sia la sua natura teoretica che, non essendo più legata ad una
filosofia sistematica e analitica ma ad una filosofia ermeneutica e critica, ha permesso alla pedagogia
di ritrovare la propria intenzionalità riflessiva senza entrare in contraddizione con la sua stessa
scientificità. Pertanto le scienze dell’educazione hanno favorito la concretizzazione della vena
sperimentale di tale
disciplina e – nello stesso tempo- hanno dimostrato che l’elemento di natura scientifica non poteva
precludere l’accesso agli ambiti di criticità i quali hanno dato un forte contributo nella strutturazione
della “scientificità disciplinare”.

FILOSOFIA, SCIENZA E IDEOLOGIA:


PER UNA TEROIA DELL’EDUCAZIONE
Per analizzare a fondo il rapporto tra filosofia dell’educazione, scienza dell’educazione, ideologia e
teoria dell’educazione è opportuno ripartire dall’idealismo, il quale ha influenzato per lungo tempo la
cultura italiana e ha spinto la filosofia a conformarsi allo status quo. In questa prospettiva, se la filosofia
si presentava come sviluppo dello spirito che tende verso la sua forma assoluta, la quale si realizza
nell’organizzazione dello Stato, la teoria dell’educazione non poteva fare altro che avallare l’ideologia
esistente: per Hegel quella dello stato prussiano; per Gentile quella del regime fascista.
Questa ispirazione filosofica fu talmente forte che riuscì a persistere negli anni successivi e ad
accordarsi alla politica e alla società nonostante i radicali mutamenti. Infatti, nel dopoguerra
cominciarono a muoversi i primi passi verso la Repubblica e verso una scuola democratica e
defascistizzata (soprattutto per opera dei partigiani); anche se non si intendeva delegittimare la riforma
Gentile e la sua impostazione classista e dualistica, così come le basi idealiste e spiritualiste che
ancora permeavano la scuola. Tuttavia gli imminenti mutamenti storici – come l’istituzione (durante la
Rep. dell’Ossola) di una commissione autonoma la quale aveva il compito di riorganizzare la scuola-
hanno spinto la pedagogia ad aprirsi maggiormente alle problematiche sociali e a puntare verso
un’educazione democratica, ossia verso un’educazione intesa come “progresso sociale”. In questa
prospettiva l’educazione è la base del progresso e delle riforme le quali devono partire dalla scuola per
poi giungere nella società. Pertanto l’educazione rappresenta il metodo del progresso; la democrazia il
progresso stesso. Facendo una sintesi tra l’uno e l’altro possiamo dire che l’educazione è il metodo
della democrazia. Ciò vale sia per l’educazione cattolica che per quella laica, in quanto i primi puntano
sul rispetto dell’individuo inteso come persona; i secondi si fanno promotori di un’educazione attenta
alle esigenze di giustizia e libertà dei soggetti. Per questo motivo l’educazione è educazione alla
libertà, nel senso che ciascun individuo si auto-limita per l’interesse della comunità.
Alla filosofia di stampo idealista, gli esponenti di sx (i quali si concentravano intorno alla rivista “Riforma
della scuola”) opposero una nuova figura di intellettuale e una scuola democratica. Il nuovo intellettuale
aveva il compito di riformare la scuola riducendo le distanze tra teoria e prassi, tra struttura e
sovrastruttura; e questo suo compito doveva prescindere dagli interessi della classe dominante. La
scuola democratica non doveva più essere organizzata in base al ceto di appartenenza o all’ideologia
partitica degli allievi, bensì in base ai loro interessi e alle loro necessità. Inoltre doveva essere una
scuola aperta al sapere scientifico, al quale la comunità era chiamata a partecipare; una scuola
politecnica, ossia una scuola dove istruzione e lavoro camminavano di pari passo; una scuola con
un’unica impostazione di studi. Negli anni ’60 una figura importante è stato Gramsci, che propose e
attuò la scuola media unica grazie alla quale si è superata la differenzazione tra borghesia e masse
subalterne e ci si è mossi verso un’educazione democratica, popolare, laica e civica.
Broccoli riteneva che la pedagogia, affinchè potesse essere considerata una scienza capace di
trasformare la società e gli individui che la costituiscono doveva calarsi nella comunità, nelle sue
problematiche e nelle sue dinamiche storiche in quanto basandosi solo sul metodo scientifico si
allontana dalla prassi perché esso, con la sua pretesa onnicomprensiva, è soggetto alle mistificazioni
dell’ideologia.

SECONDA PARTE: LA PEDAGOGIA E’


UNA “SCIENZA” DELL’EDUCAZIONE?
PREMESSA
Nel 1900 le riflessioni sulla scientificità della pedagogia hanno spostato l’asse epistemologico da
un’idea di pedagogia intesa come disciplina ad un’idea di pedagogia intesa come scienza
dell’educazione. Parlare di pedagogia come scienza non significa sostenere che essa sia soltanto ciò
in quanto la metafora della fenice pedagogia ha dimostrato che la pedagogia mostra più facce di se
stessa, e in particolar modo quella scientifica e quella filosofica. Questi aspetti convivono sempre
insieme e - hanno la capacità di riconoscere con criticità riflessiva il loro divenire in fieri. In questo
modo c’è un’evoluzione dal paradigma del moderno a quello del postmoderno che investe sia la
filosoficità della pedagogia sia il suo approccio scientifico, il quale è soggetto anche ad un’altra
evoluzione: quella dalla sistematicità alla complessità. Ciò significa che tale

approccio si sviluppa parallelamente al costruirsi e il ricostruirsi dell’idea di scienza. L’esigenza della


pedagogia di configurarsi come scienza affonda le proprie radici nel 1700: anno in cui nacque il
paradigma scientifico e ci fu la diffusione delle idee di Locke, il quale affermò che l’esperienza era
molto importante per la conoscenza. Nell’800 il paradigma scientifico si è sostanziato nelle teorie dei
positivisti ed è proprio in questo secolo, soprattutto sotto la spinta di Herbart, che ebbe inizio il dibattito
sulla fondazione scientifica della pedagogia. Più tardi il metodo scientifico di Comte e il suo relativo
approccio hanno influenzato la costruzione dell’identità della pedagogia intesa come scienza; ossia la
costruzione di un’identità che aveva oggetto e metodo ben definiti. Questa esigenza di scientificità (che
attraversò il corso dell’intero ‘800) nel 1900 si indirizzò verso una riflessione consapevole sulla
peculiarità (ossia sulla particolarità) della pedagogia e – in questo stesso secolo- l’attenzione della
ricerca si concentrò su una serie di nodi problematici rilevanti per la definizione dello statuto
epistemologico della pedagogia intesa come scienza.
Un primo problema riguarda la definizione della pedagogia, in quanto non si sa se intenderla come
scienza, filosofia, come entrambe, come arte, educazione,scienza dell’educazione.
Il secondo problema è nato dal fatto che la pedagogia – nella seconda metà del ‘900- si è parcellizzata
in una molteplicità di saperi: infatti sono nate le scienze dell’educazione. In relazione a ciò si pongono
diversi quesiti: 1) il primo si chiede da quanti e da quali saperi può essere composta la pedagogia per
essere definita disciplina autonoma; 2) il secondo si chiede se tali saperi la compongono o la
circondano; 3) il terzo si propone di individuare quale relazione epistemologica c’è tra la pedagogia e
questi saperi in quanto non è possibile individuare una sicura corrispondenza tra scienze pedagogiche,
scienze dell’educazione e scienze della formazione. Esse – infatti – sono diverse: le prime
rappresentano le possibili direzioni pedagogiche nei differenti ambiti di tecnicizzazione; le seconde
rappresentano discipline concorrenti alla pedagogia le quali - da un lato- cercano di destabilizzarla;
dall’altro l’aiutano a cogliere la propria unitarietà. Le terze si uniscono con tutte quelle discipline che si
avvicinano allo studio della formazione dell’uomo.
Tuttavia il problema – oggi- è che non è facile decidere se la pedagogia può essere considerata una
delle scienze dell’educazione, così come sosteneva Massa nel 1975 il quale proponeva che alla
pedagogia le fosse attribuito uno statuto diverso attraverso il quale essa poteva essere considerata una
delle scienze dell’educazione; non è facile stabilire quali rapporti regolativi ha con le diverse discipline a
cui si lega o se si avvicina di più alle scienze pedagogiche piuttosto che alle altre. A questi nodi
problematici si raccorda, inoltre, un ulteriore questione che mette in discussione l’idea della pedagogia
come scienza.

PEDAGOGIA E SCIENZE
DELL’EDUCAZIONE
Nel momento in cui la pedagogia L’idea che la pedagogia ha sentito una tensione interna che l’ha
spinta a scomporre la propria unitarietà e – nello stesso tempo- a porre le basi per ricercarla, è nato un
dibattito che si propone di definire – in primo luogo- la quantità e la qualità delle scienze
dell’educazione; in secondo luogo il rapporto che intercorre tra esse. Infine, dopo aver stabilito che la
pedagogia è una scienza con un proprio oggetto e dei propri metodi d’indagine, in questo dibattito ci si
chiede come la frammentazione della materia e la ricerca di uno statuto epistemologico ben definito
possano coincidere.
QUALE RUOLO HA LA PEDAGOGIA?
FUORI DALLE SCIENZE
DELL’EDUCAZIONE
La ricerca di un punto di equilibrio tra l’idea della pedagogia come scienza dell’educazione e
l’espressione del sapere pedagogico in una moltitudine di scienze dell’educazione ha aperto un
dibattito sull’interdisciplinarietà, all’interno del quale si pongono diverse questioni.
Il primo problema riguarda il rapporto tra la pedagogia e le altre discipline; a tal proposito una figura
importante è stato Visalberghi, il quale – da un lato- ha fatto una distinzione tra rapporti pluridisciplinari,
interdisciplinari e transdisciplinari; dall’altro sosteneva che le scienze dell’educazione sono legate da un
rapporto pluridisciplinare perché sono motivate dalle stesse finalità e/o da comuni ipotesi d’indagine,
pur restando indipendenti.
Il concetto di unità funzionale e pragmatica si basava – invece- su un’idea diversa di pedagogia: essa
veniva intesa come una rete di saperi legati da rapporti transazionali  che favoriscono la modifica dei
dati durante l’osservazione e fanno si che ogni indagine sia soggetta a criteri di relatività e
indeterminismo.
Un’altra questione sulla quale molti si sono soffermati fa riferimento alla difficoltà che si trova nel
definire un autonoma identità della pedagogia, la quale mutua apporti diversi da una molteplicità di
scienze e si

avvale di una teoria che senza la prassi non può esistere. La difficoltà che la pedagogia ha nel trovare
una propria identità va ad incentivare l’approccio interdisciplinare, il quale può essere interpretato
anche in chiave strutturalista. Secondo tale prospettiva la pedagogia non può essere identificata con
nessun sapere in particolare perché non esiste nessun ambito che risulti esaustivo per le
problematiche educative. Per questo motivo si prendono in considerazione tutte le scienze
dell’educazione le quali si propongono – come obiettivo- di formare l’uomo e instaurano con la
pedagogia un rapporto di cooperazione e condivisione, e non più di subordinazione di tale disciplina ad
esse. Il termine “interdisciplinarietà”, infatti, indica proprio la condivisione reciproca di metodi d’indagine
senza che ogni materia si privi della propria identità. Tale modello è stato definito
interdisciplinare/specialistico.
Molti studiosi – poi- si pongono un ennesimo interrogativo: se delle materie affini possono condividere
lo stesso oggetto d’indagine e se lo possono analizzare da un punto di vista comune o condivisibile.
Secondo la prospettiva pragmatica e funzionale, prendere in considerazione il solo oggetto di ricerca
non basta perché esso molto spesso è complesso e difficilmente delimitabile e – quindi- non garantisce
l’unità della disciplina. Inoltre, anche se si riuscisse ad individuare un oggetto di ricerca comune a più
scienze dell’educazione, risulterebbe complesso identificare i modi attraverso i quali esse cooperano.
Per questo motivo l’unico elemento di relazione tra le scienze dell’educazione può essere identificato
nelle problematiche comuni che si pongono in gioco nel momento in cui viene identificato un indirizzo
di ricerca da perseguire insieme. Questa interazione è stata messa in discussione per approdare
all’individuazione di un metodo ermeneutico per le scienze dell’educazione: ossia di un metodo che
non si limita ad omologarsi a quello scientifico (che – a sua volta- cerca di ridurre le relazioni tra le
scienze dell’educazione in rapporti finalizzati a promuovere il carattere empirico e pragmatico
dell’azione educativa) ma che si apre anche ad una dimensione teorica e meta-riflessiva, la quale
rappresenta una caratteristica particolare del pluralismo pedagogico. Questo carattere pluralistico e
dinamico della pedagogia rappresenta una delle fonti della multiformità di oggetti di studio e metodi
d’indagine che emergono nell’ambito educativo; infatti il percorso storico della pedagogia è un altro
fattore che ha contribuito a dar vita a tale situazione in quanto i metodi – nel tempo- si sono modificati
in conformità al cambiamento delle idee o della cultura. Infatti è scorretto parlare di storia, filosofia e
scienza in quanto ciò che esiste è il modo di fare storia, filosofia e scienza che tende ad evolvere nel
tempo.
L’approccio meta-riflessivo si propone di arrivare ad un mondo meta-empirico (senza staccarsi da
quello empirico) attraverso delle categorie che fanno riferimento alle esigenze interpretative dell’uomo
e non attraverso delle categorie metafisiche. La dimensione teorica – invece- si rifà ad una filosofia che
non utilizza più lo strumento logico per razionalizzare la pedagogia, ma per conoscere la sua specificità
epistemica. In questo ambito si sono sviluppate – sia nella pedagogia filosofica che in quella scientifica-
il concetto di trasversalità delle conoscenze e delle competenze e il concetto di trasferibilità della
conoscenza competente (la quale indica la capacità di trasferire delle conoscenze in un campo diverso
da quello in cui esse sono state apprese).

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE,
METATEORIA E RAGIONE CRITICA.
Molti studiosi si sono chiesti se la filosofia dell’educazione può rientrare nell’ambito delle scienze
dell’educazione. La risposta può essere doppia: 1) se si prende in considerazione il carattere empirico
e sperimentale e l’aspetto ipotetico/deduttivo di una scienza, la risposta è negativa; 2) se con il termine
scienza si indica sapere, la risposta è affermativa in quanto la filosofia dell’educazione viene
riconosciuta come un aspetto integrativo e costitutivo della pedagogia. Essa rappresenta il criterio
regolativo che unisce e compie una riflessione critica sulle linee guida della pedagogia: la
complessità, lo storicismo inteso come pluralismo, la storicità e la deonticità, ossia l’apertura della
materia a modelli utopici.
Da un punto di vista pluralistico è possibile distinguere tre momenti - nell’ambito pedagogico: l’aspetto
empirico e sperimentale, che lega la filosofia al modello delle scienze esatte; la dimensione filosofica e
storica, che lega alla pedagogia a valori già definiti; l’aspetto epistemologico e metateorico il quale si
basa su di un modello capace di cogliere i nessi tra la teoria e la prassi; un modello nel quale la
disciplinarietà non è determinata a priori in quanto l’oggetto di ricerca si modifica lungo il suo percorso
storico a seconda delle influenze ambientali, situazionali e agli orientamenti di ogni disciplina. Infine
esso è un modello che considera le motivazioni al teorizzare educativo degli aspetti che possono
garantire la scientificità del discorso pedagogico.

Prendendo in considerazione il rapporto pedagogia-psicologia è importante far riferimento al modello di


interazione transattiva in quanto è in esso che la relazione tra le due discipline si rafforza. Questo
modello si propone di definire l’oggetto della ricerca educativa, le sue metodologie e il suo linguaggio e
si presenta come una sintesi rispetto al modello scientifico e all’orientamento teoretico. Rispetto al
primo il modello transattivo avverte l’esigenza di trovare delle leggi generali, ma a tale esigenza
affianca un atteggiamento critico che pone sempre nuovi interrogativi. Rispetto all’orientamento
teoretico – che tende a limitare e invalidare le possibilità d’azione delle due discipline- il modello
transattivo soddisfa l’esigenza di verificare i dati sia sul piano epistemologico, ma – in particolare- su
quello pratico. In questo modo si tende a quantificare e valorizzare l’intenzionalità operativa,
progettuale e autocritica delle due discipline.
In questa prospettiva il problematicismo (il cui max esponente è Bertin) mette in evidenza il carattere
problematico della realtà e la complessità che domina il rapporto uomo-mondo. Inoltre il
problematicismo si lega al razionalismo critico di Banfi perché la razionalità si pone come
quel principio concreto che – insieme ad un’etica dell’impegno- riesce a risolvere la problematicità
della realtà la quale deriva dalla consapevolezza che il processo d’esperienza è infinito. Da un punto
di vista pedagogico il problematicismo svolge un ruolo critico e interpretativo sulla prassi educativa, che
si ritrova tesa tra una molteplicità di approcci disciplinari e tra il versante filosofico e scientifico.
Dall’analisi di tutto ciò si evince che con il ritrovare un senso specifico alla filosofia dell’educazione e
con le problematiche che ne sono derivate, si è rimessa in discussione l’identità della pedagogia,
facendo riferimento sia al suo rapporto con altre discipline, sia alla sua stessa natura la quale può
essere interpretata nelle scienze dell’educazione o oltre: in questo senso la ped. può essere intesa
come scienza dell’educazione.

PEDAGOGIA COME SCIENZA


DELL’EDUCAZIONE
Con il costituirsi delle scienze dell’educazione ( seconda metà del Novecento) la pedagogia attraversò
una crisi d’identità che la portò ad indagare le possibili modalità di relazione con le altre discipline e le
caratteristiche attribuibili alla propria natura che era scientifica, empirica, critica, axiologica,
metateorica, ecc. in questo senso si fece sempre più viva l’esigenza di cercare e dare alla pedagogia
un impianto teorico ben definito il quale potesse restituirle autonomia. Per questo motivo dar vita ad
una teoria pedagogica sembrò essere il primo passo verso la scientificità e la definizione di uno statuto
epistemologico. L’esigenza di dare alla pedagogia un proprio statuto si avvertì sin dall’inizio del 1900,
ma essa è emersa concretamente solo dopo il costituirsi delle scienze dell’educazione, mantenendo la
consapevolezza che nella epistemologia del pensiero pedagogico convive sempre la richiesta di una
pedagogia che conservi in sé una riflessività valutativa di stampo filosofico. Per questo non è possibile
negare che il sapere pedagogico è costituito sia da elementi di filosoficità che elementi di scientifcità.
La vera e propria riflessione epistemologica della pedagogia è avvenuta verso la fine degli anni ’60 ed
essa partiva con un’intenzione neopositivista e una direzione di filosofia analitica. L’intenzione
neopositivista era quella di analizzare gli apporti che le altre discipline davano alla pedagogia e mettere
a fuoco i suoi aspetti empirici, teorici e utopici. La direzione analitica partiva dallo studio del linguaggio
e promuoveva il trasferimento del controllo critico (proprio di esso) nel linguaggio pedagogico, in modo
che esso acquisti una maggiore consapevolezza del proprio possibile rigore.
La realizzazione dello statuto epistemologico della pedagogia si inserisce in un processo distinguibile in
diverse fasi, ognuna caratterizzata da momenti epistemologici diversi da un punto di vista ideologico,
ma tutti orientati verso la ricerca di uno statuto che potesse contraddistinguere l’identità disciplinare
della ped.

OGGETTO E METODI DELLA


PEDAGOGIA: “ riceve … ma non
trasmette”
 
Sulla scientificità della pedagogia sono nate diverse domande che sono emerse – soprattutto – nel
rapporto tra la pedagogia e le altre scienze dell’educazione e alle quali non si può dare una risposta se
prima non si individuano i caratteri distintivi di una pedagogia intesa come scienza.
A tal proposito il primo problema da risolvere è quello di trovare un oggetto di ricerca della
pedagogia; in seguito stabilire se esso è di natura umanistica o scientifica e – infine- verificare in quale
relazione può stare con gli oggetti d’indagine delle altre scienze dell’educazione. La ricerca e la
definizione dell’oggetto della pedagogia non è stata molto facile in quanto la pedagogia non è legata ad
un ambito specifico (o quello

scientifico o quello delle scienze umane). Per molti anni la pedagogia è stata inserita nell’ambito delle
scienze umane e sociali in quanto il modello positivista – che era quello predominante- sosteneva che
la natura polimorfa di tale disciplina (come quella di tutte le scienze dell’educazione) sfuggiva al
paradigma epistemologico analitico ed empirico. Per contro la pedagogia avvertiva l’esigenza di
sistematizzare il proprio sapere attraverso una teoria generale. Questa esigenza portava la pedagogia
ad avvicinarsi – da un lato- alla filosofia in quanto essa poteva mutuare da quest’ultima dei principi
normativi capaci di soddisfare la propria esigenza epistemologica e formativa; dall’altro la avvicinava al
modello delle scienze esatte.
Pertanto la pedagogia si è sempre ritrovata in bilico tra scienza e filosofia; e ciò è evidente anche se si
prende in considerazione il rapporto biunivoco di teoria e prassi che la caratterizza. Questo discorso si
lega ad una visione dinamica e pluralista, la quale sostiene che l’oggetto di indagine della pedagogia è
in continuo divenire; che non esiste una verità assoluta che definisce il campo di una scienza, ma la
verità è soggetta a continui mutamenti. In questa prospettiva le teorie scientifiche si presentano come
ipotesi da verificare costantemente e – di conseguenza- le discipline umanistiche possono essere
considerate delle scienze, diverse ma non distinte da quelle esatte. Come tali discipline, anche la
pedagogia può essere presa in considerazione come scienza e la sua scientificità è data da una ricerca
non univoca, ma dinamica e soggetta a variabili che possono emergere sia dall’applicazione delle
teorie alle contingenti situazioni storico-sociali; sia dal rapporto che la pedagogia istaura con le altre
scienze.
L’analisi metodologica del discorso pedagogico prende in considerazione quegli aspetti che concorrono
a impostarne la ricerca: il soggetto, l’oggetto e il metodo. Parlare di soggetto, oggetto e metodo non è
molto corretto in quanto nell’ambito pedagogico si distinguono: diversi soggetti (sociale, personale,
istituzionale); una molteplicità di oggetti di studio, i quali non possono essere separati né dalla
dimensione contestuale in cui agiscono né dai soggetti con cui interagiscono. Infine non si può fare
riferimento ad un unico metodo (ossia quello scientifico) ma ad una serie di metodi che cambiano e
vengono rimodellati a seconda del variare dei soggetti e degli oggetti della ricerca.
Un modello molto particolare è quello della ricerca-azione, il quale presenta una struttura aperta che
ospita strumentazioni quantitative e qualitative. Da un punto di vista quantitativo tale modello si serve di
un sistema di ipotesi attraverso le quali interpretare la realtà e – attraverso l’esperienza- sostanzia
questo sistema di ipotesi in modo da trasformare le teorie precedentemente formulate. Da un punto di
vista qualitativo il modello della ricerca-azione compie una riflessione critica sulle metodologie applicate
nella ricerca e sui risultati ottenuti e, inoltre, prende in considerazione i vissuti di chi opera al suo
interno. Infine è importante sottolineare che i risultati ottenuti non sono mai definitivi, ma soggetti a
processi di cambiamento.

ANALISI DEL DISCORSO


PEDAGOGICO E SCIENZA EMPIRICA
DELL’EDUCAZIONE
L’intenzione della pedagogia di configurarsi come scienza è emersa concretamente nel 1967 (anno di
pubblicazione dell’opera della Metelli di Lallo) e nel 1968 (anno di pubblicazione dell’opera di Granese).
Nel lavoro della Metelli di Lallo viene superata la concezione secondo la quale una disciplina trova la
propria giustificazione inserendosi in un sistema di saperi già predefinito e viene messo in evidenza
che ogni scienza deve orientare e riorientare il sistema in cui si inserisce secondo il proprio ruolo e le
proprie dinamiche.
Granese nella sua opera propone di rifornire alla pedagogia l’appoggio della filosofia, la quale non deve
essere una filosofia idealistica, ma una filosofia analitica. Questo tipo di filosofia si lega all’etica (perché
un’educazione avulsa dalla morale è impensabile) e permette alla pedagogia di tradurre la propria
intenzionalità valoriale in progettualità operativa e pratica, regolata scientificamente dall’uso attento del
linguaggio. Nel “Documento Granese-Bertin” – invece- viene messa in evidenza l’esigenza di
emancipare la pedagogia dalla filosofia, dando la possibilità alla prima di trovare una dignità scientifica,
alla quale giunge nel momento in cui fa proprio uno statuto che avvicina le ipotesi formulate alle realtà
in atto. Soltanto attraverso questo movimento la pedagogia può giungere ad una propria autonomia.
Intorno alla pedagogia intesa come scienza sono nati diversi punti di vista: Cambi ha ribadito la
necessità dell’intreccio tra filosofia dell’educazione e pedagogia sottolineando che tale filosofia non né
analitica, né speculativa, bensì filosofia critica ed ermeneutica, e cioè dedita alla ricerca di metodi che
affrontano la complessità pedagogica senza forzarne la debolezza e cogliendone il nesso con la prassi
e con le dinamiche storiche. Bertolini sostiene che la pedagogia non può essere identificata né con la
filosofia dell’educazione né con le altre scienze dell’educazione. Piuttosto occorre partire dai fenomeni
educativi, dall’esperienza per

trovare, mediante un’analisi teoretica, quel criterio che rappresenti l’unità di senso dei fenomeni e che
ci permette di definire il pedagogico. Laporta parla di una scienza empirica dell’educazione, con la
quale non intende una scienza sperimentale avulsa dai valori. Egli – infatti- propone una pedagogia
che, in primo luogo, deve raccogliere i dati, i costrutti e i concetti dall’esperienza e – in secondo luogo-
deve intenzionali in senso educativo attraverso la sua apertura ad una molteplicità di discipline e
mediante un’analisi linguistica che consente di indagare concetti complessi, come quello di libertà. De
Giacinto ritiene che la pedagogia non può essere intesa come scienza perché non ha un oggetto di
ricerca specifico. Essa, invece, si presenta come un punto di vista globale sull’educazione. In questa
interpretazione la pedagogia si configura come una disciplina per la pratica che si rapporta con le altre
scienze,e –nello stesso tempo- conserva come sua peculiarità la capacità di formalizzare e
modellizzare un evento educativo. Inoltre la pedagogia si presenta come una disciplina le cui
metodologie sono soggette a numerose trasformazioni; il cui oggetto d’indagine tende a divenire
sempre più complesso; la cui epistemologia è molto flessibile. Infine questa disciplina è caratterizzata
da una serie di antinomie e dalla compresenza di aspetti soggettivi ed oggettivi, i quali la spingono a
formulare delle analisi specifiche e dei modelli generali.  Un altro punto di vista molto importante è
quello di Leang, il quale ha fatto una distinzione tra antropologia; teleologia e metodologia della
pedagogia. L’antropologia studia l’uomo nella sua dimensione di essere vivente; la teleologia studia
l’uomo come dovrebbe essere, ossia il fine ultimo dell’educazione; la metodologia della pedagogia
mette in luce i processi attraverso i quali si può passare dall’una all’altra dimensione.
Infine è importante sottolineare che il passaggio dalle vecchie considerazioni della pedagogia a quella
moderna (che da un lato è più matura, ma dall’altro sempre acerba perché in continua ridefinizione) è
stato segnato dall’abbandono di una concezione univoca e sistematica  del sapere pedagogico e
dall’approdo ad una concezione dinamica  di esso.

PEDAGOGIA COME SCIENZA


COMPLESSA
Dopo aver costatato e affermato che la pedagogia può essere considerata una scienza è opportuno
capire se essa può essere definita scienza dell’educazione (termine nato nell’800) o scienza della
formazione.

Che tipo di scienza potrebbe essere la


pedagogia?
Quando si parla di pedagogia come scienza si fa riferimento alla ricerca di uno statuto epistemologico,
la quale implica una serie di considerazioni fatte – in particolar modo- sul concetto di epistemologia. La
prima considerazione mette in evidenza che non è possibile parlare di un'unica epistemologia in quanto
ne esistono una molteplicità. La seconda considerazione mette in luce che l’epistemologia di ogni
disciplina entra in rapporto con l’epistemologia di natura generale che regola lo svolgersi dei saperi.
Tale relazione è molto importante perché attraverso di essa ogni disciplina può ricostruire il proprio
modo di fare scienza (che non è mai definitivo) ed è possibile dedurre che l’avventura epistemologica
della pedagogia si è compiuta attraverso diverse posizioni interpretative. Tutte queste considerazioni, e
a loro diffusione nell’ambito pedagogico, hanno determinato la crisi della scienza nella quale sono stati
messi in discussione una serie di concetti (di analisi, di osservazione, di unità di metodo) ed è stata
criticata l’infallibilità della scienza stessa. Una delle conseguenze di questa crisi è stata la possibilità di
poter distinguere i principi di intelligibilità della scienza, i quali avanzano un’idea di scienza oggettiva e
regolata da leggi generali,  da quelli che regolano il paradigma della complessità e che si fanno
promotori di un’idea di scienza particolare, contingente, complessa e determinata da aspetti soggettivi.

SCIENTIFICITA’ DISCIPLINARE E
PEDAGOGIA COME SCIENZA
COMPLESSA
Le proposte emergenti – che si indirizzano verso il superamento delle scienze dell’educazione e verso
la ricerca di un senso attribuibile alla scientificità della pedagogia- si sono inserite in una nuova
considerazione della pedagogia come scienza. In tale considerazione la pedagogia non si presenta
come scienza sistemica, ma come scienza complessa: infatti il paradigma della complessità è
rappresentativo della sua natura aperta all’incertezza e alla pluralità. Dall’analisi di ciò emerge che la
pedagogia mentre cerca – da un lato- la propria sistematizzazione epistemologica; dall’altro ne sfugge
in quanto essa non può essere incardinata in modo univoco: infatti i suoi confini non sono chiusi e ben
definiti, ma aperti e flessibili, tanto da dare a tale disciplina l’opportunità di intrecciare rapporti con altre
scienze.
Le interpretazioni attuali relative alla scientificità della pedagogia sono legate alla concezione secondo
la

quale essa po’ essere definita scienza in qualità di attitudine, ma non di sistema: infatti la pedagogia –
nel corso del 1900- da unitaria scienza dell’educazione si è trasformata in scienza complessa. Questa
idea di complessità e non sistematicità della pedagogia è stata condivisa anche dalla filosofia, la quale
è divenuta teoria pedagogica, metateoria critica e filosofia dell’educazione, dotata di uno statuto
epistemologico debole ma – nello stesso tempo- espressione di una meta riflessione capace di
regolare i rapporti tra i vari saperi e all’interno dello stesso sapere pedagogico.

PARTE TERZA: ESISTE ANCORA LA


PEDAGOGIA GENERALE? PREMESSA
Nel corso del ‘900 si chiedevano se esisteva la pedagogia. Oggi questa domanda non può essere più
fatta in quanto il continuo ricercarsi della materia ha dato vita ad una serie di risultati i quali, anche se
non sono definitivi, hanno dimostrato la sua esistenza. Pertanto la domanda che adesso ci si può porre
è se esiste una pedagogia generale. Prima di dare una risposta è opportuno soffermarsi sul termine
generale. Se per pedagogia generale si intende una disciplina che assume un ruolo critico di meta
livello grazie al quale ha la possibilità di dare uno sguardo di insieme sulle particolarità del pedagogico,
ciò non può essere negato.
Ancora, se con la parola generale si allude all’unitarietà e all’integrità della disciplina, allora questa
istanza è da considerare maggiormente rispetto a quella precedente in quanto essa qualifica la
pedagogia come disciplina dotata di un proprio oggetto d’indagine e di proprie metodologie – da un
lato- e, dall’altro, la riconosce come scienza generale che non esclude la particolarità, ma – al
contrario- la include in essa. In questa prospettiva la pedagogia viene definita scienza olistica
dell’educazione e della formazione ( e per scienza olistica si intende un campo mult idisciplinare che
studia i sistemi complessi) in quanto anche se l’educazione e la formazione non possono essere
considerate coincidenti, nello stesso tempo non possono considerarsi escludenti perché la formazione
può tendere verso finalità educative sia di natura pratica che valoriale.  Dall’analisi di ciò è possibile
giungere ad una risposta da dare alla domanda precedente: esiste una pedagogia generale? Si, esiste
nel suo duplice aspetto di disciplina autonoma e di disciplina che si apre e si confronta con le altre
scienze.

1 LA NUOVA FENICE PEDAGOGICA


Le diverse cause che determinano il continuo disgregarsi e il parallelo rinnovarsi della pedagogia
possono essere analizzate in chiave costitutiva e in chiave contingente. Gli aspetti
costitutivi mettono in evidenza l’intrinseca complessità del discorso pedagogico, il quale è
caratterizzato da una tensione dialettica e pluralistica e da un’intima inquietudine, ossia da un conflitto
interiore che è il risultato della compresenza di aspetti diversi, che non possono essere evitati ma
devono essere messi in relazione. Per seguire l’andamento epistemologico della pedagogia bisogna
andare alla ricerca di tutte quelle componenti del discorso pedagogico con la consapevolezza che esse
determinano il funzionamento dell’ingranaggio, ma – nello stesso tempo- possono essere la causa del
suo malfunzionamento. Tale malfunzionamento è un’eventualità da tener sempre presente, ma – nel
contempo- è una caratteristica dell’ingranaggio stesso utile per dargli la spinta a rigenerarsi, a
ripensarsi e a rinnovarsi. Infine è importante sottolineare che la conflittualità interna della pedagogia
non è data solo dalla sua intrinseca inquietudine, ma anche da un’incertezza che rappresenta quella
condizione che apre le possibilità dell’educare e del formare e che pone le basi per la ricostruzione di
una fenice sempre nuova.
Gli aspetti contingenti dell’attuale rigenerazione del sapere pedagogico sono molteplici. Tra questi
quello che viene identificato con maggior evidenza fa riferimento al riemergere della natura generale
della materia  che - nel passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione- è stata considerata
superata e/o marginale in quanto la scientificità della pedagogia si esprimeva nel suo costituirsi come
una molteplicità di scienze in relazione tra loro. L’emergere e l’affermarsi della natura generale della
pedagogia è stato oggetto di un intenso dibattito verificatosi in Italia – tra gli anni ’70 e ’80- durante il
quale si è cercato di dare alla pedagogia un’identità più problematica rispetto a quella che aveva
assunto nel suo trasformarsi in scienza dell’educazione. A tal proposito è importante sottolineare che la
restaurazione della pedagogia generale non coincide con la ripresa dell’immagine passata di questa
disciplina, ma rappresenta un’esigenza di insoddisfazione e di ripensamento della pedagogia la quale
deve essere posta in una condizione non più

univoca, ma complessa, plurale e instabile. Il ripensamento della natura generale della pedagogia e il
suo andare oltre le scienze dell’educazione ha comportato anche un ripensamento di queste ultime; ha
permesso alla pedagogia di acquisire autonomia scientifica e sembra derivare dall’esigenza – da parte
della pedagogia- di centrare nuovamente il proprio oggetto d’indagine, individuato nel processo
formativo dell’uomo. Da ciò si evince che oggi la scientificità della pedagogia passa attraverso
un’ulteriore messa a fuoco del suo oggetto di ricerca, il quale la spinge a definirsi come scienza della
formazione dell’essere umano e ad affermare la propria specificità rispetto le altre discipline.
Al giorno d’oggi una delle esigenze più avvertite è quella di trovare una teoria globale della
formazione: ossia una teoria che si apra al collettivo, e cioè alle istanze provenienti da diverse culture
e società; ma che
– nello stesso tempo- non trascuri il particolare, ossia le caratteristiche specifiche dei singoli individui.
Seguendo tale direzione, si tende – da un lato- verso l’affermazione della pedagogia come scienza
autonoma e generale e – dall’altro- verso la ricerca dell’unitarietà del fenomeno educativo. Per quanto
riguarda il primo punto è importante sottolineare che la pedagogia non vuole tornare ad essere una
disciplina chiusa in se stessa ed estranea agli altri saperi, piuttosto si propone di costruirsi come una
scienza che riesce a trovare un senso partendo dalle proprie peculiarità e intrecciando una serie di
rapporti critici con altri saperi. Per quanto riguarda l’unitarietà del fenomeno educativo, non si fa
riferimento ad un’unitarietà della pedagogia lineare, ma ad unitarietà complessa che riesce a mettere
in contatto le specializzazioni delle scienze dell’educazione e nella quale l’organizzazione nasce dalla
differenza.
il ripensamento della pedagogia – se visto da un altro punto di vista- sembra derivare dall’introduzione
della categoria del postmoderno rispetto alla categoria del moderno, che cambi non associava al
1400/1500, ma al Seicento perché in questo secolo è nata la scienza che si è opposta ai modelli
filosofici; è mutato il lavoro dell’uomo; è mutato il sapere pedagogico e il paradigma metafisico/religioso
ha dato spazio a nuovi paradigmi. La categoria del postmoderno – invece- è caratterizzata da una serie
di aspetti che hanno spinto il discorso pedagogico ad aprirsi verso nuove frontiere le quali indicano un
decostruire che deve essere coniugato al costruire perché quest’ultimo riparte proprio da un
ripensamento del soggetto.

EDUCABILITA’: UNA DELLE POSSIBILI


IDENTITA’ DELLA FENICE
PEDAGOGICA
Una delle possibili identità della nuova fenice pedagogica può essere l’educabilità, ossia l’attitudine/il
bisogno intrinseco dell’uomo di ricevere un’educazione. Nel quadro di una pedagogia dello sviluppo, un
prospetto dell’educabilità comprende una serie di sinergie: 1) la relazione sinergica geni-ambiente; 2) la
relazione sinergica struttura-funzione; 3) la relazione sinergica cultura-cognizione.
La relazione sinergica geni –ambiente si lega, in primo luogo, alla teoria dell’epigenesi secondo la
quale i geni non determinano l’uomo sin da quando esso è feto in quanto non si auto-controllano, ma
sono controllati e influenzati dall’ambiente e dalla nostra mente. in secondo luogo, tale relazione
sinergica mette in evidenza che è importante analizzare contemporaneamente la relazione di
interdipendenza tra il livello ontogenetico (che studia lo sviluppo biologico dell’essere vivente) e il livello
filogenetico (che studia lo sviluppo della specie alla quale appartiene l’essere vivente) perché lo
sviluppo dell’individuo e il suo adattamento all’ambiente è regolato sia da fattori genetici che dalla sua
esperienza concreta. La relazione sinergica geni-ambiente si lega – da un punto di vista pedagogico-
al focus plasticità-sviluppo il quale si concentra sulle possibilità che gli ambienti di apprendimento
hanno di formare, educare e di istruire. Gli ambienti di apprendimento devono essere dinamici, evolutivi
e adattivi. Dinamici in quanto devono modificarsi in relazione alle esigenze emergenti dal singolo e
dalla collettività; evolutivi perché non devono essere prevedibili; correlativi in quanto deve essere
possibile cogliere le relazioni che ci sono tra gli elementi presenti al suo interno; e – infine- adattivo. Ciò
significa che l’ambiente di apprendimento deve essere flessibile alle richieste di chi ne fruisce e deve
modificarsi in relazione ai risultati ottenuti ,affinchè esso diventi sia una costruzione personale del
soggetto, sia una guida per quest’ultimo (perché l’ambiente si modifica in base a scelte che sono già
predefinite).
La sinergia struttura-funzione studia come , nei sistemi adattivi, le diverse funzioni entrano in
relazione di interdipendenza reciproca con strutture con le quali interagiscono e dalle quali dipendono. I
significati di questa sinergia possono essere ampliati al rapporto individuo/individui e ambiti della
conoscenza, il quale implica un’influenza reciproca che si attiva di volta in volta. Alla sinergia struttura-
funzione è legato il focus

innato-acquisito, il quale regola l’espressione di tale sinergia e mette in evidenza i percorsi della
conoscenza nelle sue molteplici dimensioni.
La sinergia cultura-cognizione mette in evidenza che le diverse culture e le loro ricadute sulla
formazione possono influenzare e modulare i processi cognitivi/conoscitivi dei soggetti. E legata a tale
sinergia c’è il focus esperienza-adattamento, il quale mette in evidenza che le strutture conoscitive
degli individui interagiscono con quelle epistemiche del conoscere mediante il rapporto con gli altri e
con diverse culture. Attraverso l’educabilità e i suoi caratteri: correlazione, cambiamento e
modificabilità adattiva, è possibile definire il quadro teorico di riferimento della pedagogia dello
sviluppo, all’interno del quale l’obiettivo formativo è quello di promuovere le potenzialità individuali,
rispettando la persona e tenendo presenti le reazioni di apertura e/o chiusura che ognuno può
manifestare rispetto i processi di sviluppo. L’obiettivo – invece- di un discorso sull’educabilità è quello di
ricercare le variabili che agiscono in questi processi di sviluppo e in base ad esse costruire ipotesi e
progetti di formazione.

LA PEDAGOGIA COME SCIENZA


DELLA FORMAZIONE E
DELL’EDUCAZIONE
La pedagogia generale può accogliere in sé aspetti sia scientifici che filosofici attraverso il suo oggetto
d’indagine: la formazione. La formazione viene definita sia come “categoria reggente” della pedagogia
sia come il “cantiere” irrinunciabile per la costruzione del soggetto-persona di cui- al giorno d’oggi- si
tende a riconoscerne l’autonomia, il diritto di realizzarsi come essere umano e il diritto di ognuno di
essere libero, il che significa dare una certa forma alla propria formazione. Da ciò si evince che la
formazione è sia quel processo in cui si mette in luce la persona e il suo prender forma in modi, tempi e
luoghi diversi; e sia la categoria emergente del pedagogico, interdipendente rispetto a quella
dell’educazione. Il concetto di educazione - negli ultimi 15 anni della ricerca pedagogica- è stato messo
al centro di un dibattito che ha comportato la messa in discussione della sua univocità categoriale, la
quale si era rapportata ai termini di istruzione e apprendimento. In realtà vi è una distinzione tra questi
termini: per quanto riguarda l’unione educazione-istruzione è importante sottolineare che per
educazione si intende un processo intenzionale che implica problemi di valore e di senso e che mira a
modificare e perfezionare un comportamento del soggetto. L’istruzione –invece- si lega al progresso
delle scienze e dei saperi perché essa implica la trasmissione di questi ultimi all’individuo.
Per quanto riguarda il rapporto educazione-apprendimento è necessario affermare che essi sono due
termini interdipendenti e che si distinguono per la loro natura. L’educazione tende ad essere sempre un
processo normativo, valoriale e intenzionale; l’apprendimento si configura come un processo che tende
verso dei fini formativi, la cui valenza non è legata e guidata necessariamente da valori educativi.
In questi ultimi anni il termine educazione è stato comparato anche ad un altro concetto importante:
quello di formazione in quanto la categoria della formazione tende ad inglobare in sé l’educazione la
quale si presenta come una delle molteplici modalità di formazione. In realtà tale inglobamento non può
essere risolto in modo esaustivo perche i due concetti - anche se propongono azioni finalizzate a
mettere insieme tutto ciò che potrebbe occorrere all’individuo per promuovere il proprio sé- sono
distinti. L’educazione conserva il suo carattere intenzionale, valoriale e finalistico; la formazione –
invece- si presenta come un processo che segue delle regole ma che – nello stesso tempo- è
caratterizzato dalla non calcolabilità delle loro espressioni e dall’imprevedibilità.

SULL’OGGETTO DELL’ANTICA (E
NUOVA) FENICE
La formazione è la categoria chiave della pedagogia ed essa si distingue dall’educazione grazie alla
sua natura autonoma e indipendente. Inoltre la formazione non è una categoria univoca, ma composta
da una pluralità di significati che possono essere colti in 3 dimensioni: 1) complessità; 2) pluralismo; 3)
analisi diacronica. La complessità della formazione si esprime nella molteplicità delle prospettive che
adotta; nei diversi campi d’indagine (sia teorici che passici); nella varietà dei settori e nel dinamismo dei
rapporti. Il pluralismo della formazione trova espressione in una molteplicità di interpretazioni,
emergenze e scienze; nell’interazione tra più scienze e nel rapporto che la pedagogia intreccia con
altre discipline, quali: la sociologia, la storia, l’antropologia, la psicologia e la didattica. Infine la
formazione è stata studiata anche nella dimensione diacronica, la quale valuta come essa si è evoluta
nel tempo. La dimensione diacronica della formazione affonda le proprie radici nell’antichità, ossia nel
mondo dei Greci. Qui – infatti- sono state

definite: 1) le teorie dell’educazione come riflessione universale e rigorosa sui processi formativi; 2) la
ragione come modello teoretico dal quale partire per sviluppare un pensiero razionale; 3) la paideia,
che rappresenta l’ideale della formazione umana. La paideia punta sulla formazione globale dell’uomo
e incarna la tensione enciclopedica del mondo classico, l’apertura verso altri saperi e la considerazione
delle humanitates come aree di studio. Tuttavia è sbagliato considerare la pedagogia classica come
pedagogia della paideia in quanto: 1) al modello socratico-platonico di uomo (che è insieme corpo e
anima) si opponeva quello tragico, il quale non reprimeva i suoi istinti ed enfatizzava alla lotta; 2)
all’oggettività dei saperi si opponeva il modello di Socrate, che prevedeva partecipazione da parte del
soggetto nel
conoscere; 3) infine, alla negazione platonica della dimensione corporea si opponeva la formazione
agonistica la quale puntava proprio sul corpo e sul suo sviluppo.
Nell’illuminismo greco la paideia si fece più attenta ai problemi dell’uomo e la formazione era sempre
più tesa verso il principio di kalokagathos, ossia di uomo bello e buono.
In Socrate nacque l’idea dell’educazione come episteme (ossia conoscenza certa). Questa conoscenza
assoluta non sta al di fuori dell’uomo, ma in se stesso ed è per questo che egli deve guardarsi dentro e
cercare di coglierla. In tale prospettiva la formazione diviene paideia come universalizzazione del
soggetto. In Platone ci si propone di formare l’anima individuale attraverso la contemplazione delle
idee. Di conseguenza, l’obiettivo della paideia è quello di riconoscere la spiritualità dell’anima, la sua
identità contemplativa e di identificare la virtù con la conoscenza.
In Aristotele l’uomo si realizza seguendo la propria forma, definita dall’attività dell’intelletto; e l’obiettivo
della formazione è quello di raggiungere la virtù della saggezza mediante la padronanza dell’istruzione
e il controllo del corpo. A partire dal periodo in cui si fece strada il pensiero di Platone si è affermata
una paideia alternativa a quella classica: la paideia politica, la quale considera l’uomo come animale
sociale inserito in uno Stato. Tale paideia ha introdotto la civiltà romana in cui la formazione non era
solo letteraria, ma anche civile. Il modello formativo – infatti- si basava su valori come l’eroismo, il
coraggio e la dignità; la paideia si trasformò in humanitas e si puntava sullo studio delle arti liberali e
delle humanae litterae perché si dava importanza all’oratore, all’uomo politico. Tuttavia, dopo la
conquista della Grecia e il contatto con l’ellenismo la cultura romana si trasformò: la formazione
riguardava l’uomo in quanto espressione dell’umanità e non solo in quanto cittadino e il modello della
romanitas cominciò ad avvicinarsi a quello cristiano, il quale si faceva promotore di valori
completamente diversi: l’uguaglianza, la solidarietà, l’umiltà. La paideia cristiana si è affermata nel
Medioevo – in particolare- e con il suo programma educativo finì per eclissare quello della cultura
classica. Nel Rinascimento si fece un grande passo avanti: la paideia medioevale si trasformò in una
paideia laica, centrata sull’Homo faber e promotrice di valori come la libertà, il progresso,
l’emancipazione e la razionalizzazione.
Nel periodo della Riforma Protestante molti si fecero promotori di un approccio autonomo alla cultura e
alla sua diffusione, incentivando gli uomini a leggere personalmente i testi sacri. Diversa è la situazione
nel periodo della Controriforma, in cui i curricoli formativi sono soggetti a norme rigorose e convergenti
ai modelli politici e sociali espressi dall’autorità religiosa e civile.
Nella Modernità, e in particolar modo tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘700, ci sono due eventi importanti:
da un lato nasce la pedagogia utopistica; dall’altro c’è la scoperta della “nuova scienza” e del metodo
scientifico. La pedagogia utopistica associava il modello di uomo proposto dalla paideia classica alla
progettazione di società ideali; la nuova scienza apre la strada verso una fondazione rigorosa della
pedagogia. Nel ‘700 la formazione svolge una funzione di omologazione sociale e di promozione della
coscienza civica e nell’800 la paideia ritorna come Bildung e si avverte – sempre di più- l’esigenza di
una fondazione epistemologica della pedagogia come sapere autonomo, rigoroso e sperimentale.

SUI METODI DELLA NUOVA FENICE.


L’ALA SPEZZATA?
La pedagogia, al giorno d’oggi, è riuscita a definire con chiarezza la natura del proprio statuto
epistemologico e il proprio oggetto di ricerca, ma – nello stesso tempo- non è riuscita ad individuare
delle metodologie proprie, atte a perseguire il cammino della ricerca. In questa prospettiva, il problema
fondamentale della pedagogia non è quello di definire la sua natura, piuttosto quello di garantirle
continuità epistemologica, ossia un riconoscimento continuo come scienza; e ciò non è possibile se
non vengono messe in luce delle metodologie specifiche all’ambito di ricerca.
La pedagogia ha un oggetto di ricerca molto complesso e – in secondo luogo- ha una duplice
dimensione:

quella scientifica/prassica e quella filosofica/teorica. Per questi motivi essa si ritrova ad utilizzare una
molteplicità di metodologie le quali – anche se sono diverse- devono attenersi ad alcuni principi esposti
nello statuto della disciplina e devono mettere in evidenza l’integrarsi della sua natura scientifica e
filosofica. Degli impianti metodologici per la pedagogia possono essere: 1) l’approccio
sperimentale ( individuazione del problema, formulazione di ipotesi, verifica delle ipotesi,
rielaborazione delle ipotesi in base ai risultati, configurazione di un piano sperimentale); 2) ascolto
dalle discipline con le quali interagisce in quanto mediante la conoscenza della diversità si raggiunge
la consapevolezza di ciò che si è o si potrebbe essere. Delle metodologie innovative entrano in gioco
nel momento in cui vi è l’incontro tra le modalità individuali di organizzazione della conoscenza e le
modalità sociali di condivisione e sistematizzazione di essa. In questo caso – infatti- si apre uno spazio
pedagogico che deve essere valorizzato come possibile dimensione di bilanciamento tra processi di
comprensione individuali della conoscenza e processi di rappresentazione collettivi. Altre metodologie
particolari della pedagogia vengono messe in atto nella formazione degli adulti, la quale costruisce i
propri curricoli intorno ai bisogni e agli interessi di chi apprende che – avendo già un bagaglio di
esperienze- non si forma basandosi solo sulle conoscenze altrui ma valorizzando le proprie. In questo
approccio la metodologia utilizzata si basa sull’analisi dei contenuti esperienziali e sull’incentivazione
della gestione autonoma dei processi di apprendimento. In riferimento alla formazione degli adulti è
importante sottolineare –infine- che essa è continua perché comprende diverse fasi della vita e incline
al cambiamento, il quale non è un concetto che può essere insegnato, ma una modifica del sé che
avviene in base alle esperienze e ad una riflessione su di esse. Inoltre bisogna dire che tale
trasformazione non mette in gioco solo la sfera individuale di un soggetto, ma anche quella sociale in
quanto egli si presenta come un sistema dinamico che entra in relazione con altri sistemi in modo da
poter trarre da essa quegli elementi che lo spingono verso la miglior forma possibile.
3 LA PEDAGOGIA DA SCIENZA
GENERALE A SCIENZA OLISTICA
Al giorno d’oggi la pedagogia è stata riconosciuta come scienza, ma resta ancora in dubbio che tipo di
scienza possa essere. A tal proposito sono emerse diverse interpretazioni: 1) c’è chi ha parlato di
pedagogia come scienza generale; 2) c’è chi ha parlato della pedagogia come scienza olistica
dell’educazione e della formazione. L’utilizzo del termine olistico è previsto sia in ambito scientifico che
in quello filosofico in quanto esso fa riferimento ad un approccio interpretativo che una disciplina può
utilizzare anche in combinazione con altri processi. Con il termine “scienza olistica” non si intende
proprio una scienza, piuttosto dei campi multidisciplinari che studiano i sistemi complessi e i
comportamenti che li regolano.
Inoltre, è importante sottolineare che l’approccio olistico non considera il sistema complesso come una
somma di più parti che devono essere analizzate singolarmente per spiegare il tutto; piuttosto un
sistema che si evolve mediante dei processi dinamici. L’utilizzo del paradigma olistico nell’ambito della
pedagogia viene effettuato per trovare una categoria interpretativa che possa rappresentare – nello
stesso tempo- il particolare e il generale e mettere in evidenza che il generale può includere il
particolare, ma non in modo esaustivo. Pertanto una pedagogia intesa come scienza olistica può
riconoscere la presenza – al suo interno- di antinomie, pluralismi, ma non escludere la possibilità di
poter dare una visione d’insieme dell’uomo e del suo comportamento.

LA FENICE CHE NASCE E LA NATURA


UTOPICA DELLA PEDAGOGIA
L’attuale ripensamento della pedagogia, che ha investito – sia nell’ambito filosofico che in quello
scientifico- la dimensione individuale e collettiva, ha fatto emergere una nuova considerazione della
Bildung (ossia della formazione). La Bildung non ha – in questa prospettiva- una forma fissa e propria,
ma è una bildung critica e aperta al cambiamento. In questa idea di formazione l’ironia e l’utopia si
collegano perché la consapevolezza che vi è un presente da poter  superare in modo ironico getta le
basi per un futuro che può essere superato, rinnovato e modificato allo stesso modo.
La natura utopica della pedagogia rappresenta il modello ideale di una società educante, in quanto
essa sottrae le istituzioni educative dal rischio di agire in funzione delle esigenze del presente evitando
– così- di preservare lo status quo, senza andare avanti. Inoltre, il concetto di utopia (e con esso la
progettualità utopica della pedagogia) è importante perché – da un lato- può costituire un elemento di
mediazione tra la teoresi (analisi speculativa) e l’attuazione delle teorie; dall’altro esso si presenta
come il punto d’unione tra la componente filosofica e quella scientifica che – da sempre- hanno
caratterizzato la pedagogia.

L’utopia, legata alla filosofia, può rappresentare una modalità interpretativa del vivere, la quale si basa
sull’accettazione della complessità, della problematicità e del disincanto, senza perdere – però- di vista
la speranza di credere in qualcosa che può essere realizzato.
L’utopia, legata alla scienza, mette in luce che quest’ultima segue la direzione di un lavoro che non
avrà mai fine perché necessita di essere ripensato e rivalutato in base alle circostanze. Ed è proprio
quest’ultima caratteristica: quella di superare se stessa, di decostruirsi e rinascere dalle proprie ceneri,
che determina la scientificità della pedagogia.

LA FENICE CHE VERRA’ E LA NATURA


OLISTICA DELLA PEDAGOGIA
Nel nuovo secolo la sfida della pedagogia può essere quella di superare le scienze dell’educazione
senza negarle, ma inglobandole in se stessa in una visione generale e unitaria. L’unitarietà che
caratterizza la pedagogia non rappresenta l’insieme di più parti che ruotano intorno ad un unico oggetto
di indagine; piuttosto essa va intesa come processo olistico nel quale è possibile individuare i caratteri
di correlazione e interrelazione che emergono tra i vari aspetti che costituiscono un insieme
(pedagogia/ processo formativo). Questi caratteri di correlazione, poi, non vanno colti in modo statico,
ma seguendo l’evolversi dei processi di formazione e scoprendo – di volta in volta- l’unitarietà derivante
dall’integrazione di una molteplicità di fattori. Inoltre è importante sottolineare che questi aspetti
interagenti si inseriscono in una disciplina che può essere definita:

1. generale (in senso olistico), ossia caratterizzata da un insieme di elementi che conservano le
loro peculiarità ma che – nello stesso tempo- si integrano tra loro ed entrano a far parte di un
insieme;
2. trasformativa, in quanto il cambiamento è insito nel suo oggetto di ricerca che si qualifica come
processo e nei confronti del quale tale disciplina non si limita ad osservarlo, ma vi opera delle
trasformazioni;
3. ipercomplessa; dismorfica, perché assume diverse forme non sempre coerenti tra loro;
4. umile, perché ha imparato a non essere univoca e ad accettare le possibili revisioni;
5. concreta e di ricerca, in quanto – da un lato- la teoria orienta la pratica e viceversa; dall’altro
perché essa riesce ad essere propositiva anche se molto spesso la realizzazione – nel
concreto- di qualcosa non è possibile;
6. “di frontiera” perché è difficile trovarle una collocazione epistemologica definita (anche se viene
inserita nelle scienze umane).

 
Fonte: http://clip2net.com/clip/m5192/1272445107-b1ade-356kb.pdf?nocache=1
Sito web da visitare: http://clip2net.com/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere
gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete
interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail
dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
 

Riassunto pedagogia generale

Potrebbero piacerti anche