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PREFAZIONE
La pedagogia può essere paragonata alla fenice, un animale fantastico della mitologia greca che aveva
la capacità di rinascere dalle proprie ceneri conservando la propria natura. La pedagogia – infatti- è
una disciplina in divenire; è una disciplina che prende in considerazione diverse istanze disciplinari e si
trasforma senza perdere la propria natura ( dismorfica e complessa) e senza trascurare il proprio
oggetto d’indagine: la formazione della specie umana. Una delle caratteristiche particolari della
pedagogia è la sua funzione meta-riflessiva, la quale non la spinge verso delle soluzioni sicure ma
verso degli equilibri che sono momentanei e soggetti a futuri mutamenti. Da ciò si evince che intorno
alla pedagogia ruota il concetto di dinamicità e quello di ricerca (intesa come ricerca della propria
identità perduta o in trasformazione) i quali si collegano alle idee che uniscono la pedagogia alle altre
scienze dell’educazione e che ne sostengono la complessità. Intorno alla pedagogia ruotano diversi
problemi: 1) la pedagogia può essere interpretata come scienza o come filosofia?; 2) la pedagogia che
rapporto intreccia con le scienze dell’educazione;3) come è possibile orientarsi nei molteplici oggetti
della pedagogia, scoprendone l’unitarietà?
Il primo problema può essere interpretato in chiave storica e problematica. La lente storica mette in
evidenza che il dibattito scienza, filosofia e pedagogia è stato un alternarsi di punti di vista che non si è
arrestato con la nascita delle scienze dell’educazione perché esse hanno fatto emergere nuovi
problemi epistemologici, i quali hanno attivato la ricerca di uno statuto per la pedagogia. La data di
nascita della pedagogia – intesa come scienza- coincide con il 1967/ 1968, quando essa ha
riconosciuto come oggetto della sua ricerca il processo formativo e ha chiarito il suo rapporto con la
filosofia e con la scienza: la prima è una riflessione fatta sui problemi dell’educazione; la seconda porta
la pedagogia verso la concretezza.
La lente della problematizzazione, partendo dalla crisi d’identità della disciplina, si propone di cercare
percorsi che hanno permesso ad essa di definire il proprio statuto epistemologico. Infine è importante
sottolineare che la pedagogia – negli ultimi anni- si presenta come una disciplina che problematizza e
ri-tematizza la propria identità in linea con l’evoluzione dei concetti di scienza e filosofia. Essa – quindi-
è una scienza che ha individuato il proprio oggetto d’indagine; che è indipendente ma ha bisogno di
altre discipline che la integrano; è una scienza olistica, in divenire, dinamica, complessa, polimorfa, ma
capace di individuare una propria identità.
PEDAGOGIA SCIENTIFICA E
PEDAGOGIA FILOSOFICA
Nel Novecento è possibile rintracciare – da un lato- la ricerca dei caratteri distintivi della pedagogia che
permettono di qualificarla come disciplina autonoma; dall’altro le tappe fondamentali di 2 percorsi:
quello della pedagogia intesa come scienza e quello della pedagogia intesa come filosofia. Questi due
percorsi anche se sono distinti, tendono a richiamarsi costantemente l’uno con l’altro e dei punti di vista
particolari mettono in evidenza l’avvicinamento della pedagogia o all’una o all’altra. Ad esempio la
pedagogia si è risolta nella filosofia nel momento in cui c’è stato il passaggio dalla pedagogia scientifica
del positivismo a quella filosofica gentiliana; oppure una tensione scientifica si è presentata nel
confronto tra la prospettiva cattolica e quella laica, tra una pedagogia intesa come disciplina pratica e
una pedagogia intesa come disciplina sperimentale e pragmatica. Un altro supporto alla scientificità è
stato dato dalla diffusione del pensiero di Dewey.
PEDAGOGIA SCIENTIFICA. LE
RADICIE NELLA RICERCA DI FINE
OTTOCENTO
La pedagogia intesa come scienza unitaria dell’educazione è nata verso la fine dell’800 con l’emergere
del Positivismo, il quale proponeva il modello scientifico (basato sull’esperienza e sull’identificazione di
leggi universali) come la base di tutti i saperi, compresa la pedagogia. Infatti nel 1876 la Sinistra al
potere propose – in Italia - il positivismo come il paradigma più consono ad esprimere le istanze della
modernità e come la guida della pedagogia, la quale doveva mirare al rafforzamento della ricerca
scientifica e alla diffusione dell’istruzione in tutti i livelli sociali. A partire da quest’epoca – infatti- la
pedagogia assume un rigore sempre più scientifico, tanto da fare uso di un metodo sperimentale x
spiegare la natura e il comportamento dell’uomo. I maggior esponenti del positivismo italiano sono
stati: Ardigò, il quale proponeva una pedagogia intesa come un campo di tecniche oggettivabili, ossia
da estendere a tutti; Gabelli che ha proposto di introdurre il metodo scientifico nell’organizzazione
scolastica; Angiulli il quale promuoveva l’idea di una scuola obbligatoria, laica e gratuita; e –
infine- De Dominicis che si concentrò sul condizionamento. Tra questi esponenti il più importante è
stato Ardigò, in quanto egli ha introdotto in Italia il concetto di evoluzione, secondo il quale la realtà è in
continuo sviluppo e si trasforma costantemente. E’ proprio su questo aspetto che il positivismo è
entrato in contrasto con lo storicismo idealista, e in particolar modo sulla definizione di un residuo
valoriale che non sia soggetto a tale trasformazione. In relazione a ciò il positivismo ha messo in
evidenza che questo valore è a priori per l’individuo e a posteriori per la specie; lo storicismo sosteneva
che ciò non è possibile perché così si rende più concreto il pericolo di un relativismo logico.
Il tentativo positivista di dar vita ad una scienza unitaria dell’educazione si è tradotto nella nascita di
una pluralità di scienze dell’educazione le quali sono indipendenti ma – nello stesso tempo- avvertono
l’esigenza di entrare in rapporto l’una con l’altra. In relazione alla pedagogia, i positivisti si fecero
promotori del modello strumentale/tecnologico, secondo il quale il compito della pedagogia era quello
di applicare nella prassi le scoperte della psicologia e della sociologia, considerate vere scienze.
Quindi, secondo tale visione, la pedagogia è una disciplina ancillare alla psicologia e alla sociologia e
la sua funzione è quella di mettere in luce i problemi da affrontare in campo educativo e definire il loro
campo di indagine. La psicologia e la sociologia, invece, forniscono quei metodi pratici e operativi utili
per risolvere i problemi e per giungere a una soluzione. Dall’analisi di ciò si evince che verso la fine
dell’800 e l’inizio del ‘900 c’è stato un avvicinamento della pedagogia alla psicologia e alla sociologia, il
quale ha permesso a tale disciplina di allontanarsi dalla concezione che la dimensione filosofica
potesse essere l’unica attraverso la quale poter giungere ad un’identità. Ma in questo stesso periodo le
coordinate epistemologiche che avrebbero definito la relazione tra pedagogia e scienze psicologiche e
sociologiche non erano ancora ben delineate ed è per questo che c’è stata una ripresa della
tradizione idealista che rappresenta un momento di rinnovata aderenza della pedagogia alla filosofia,
mediante il pensiero di Gentile.
PEDAGOGIA FILOSOFICA. LA RICERA
ALL’INIZIO DEL NOVECENTO
All’inizio del 1900 emerse una polemica contro i positivisti i quali vennero considerati inadeguati
nell’affrontare i fenomeni spirituali, ossia fenomeni complessi. Uno dei maggior rappresentanti di
questa polemica è stato Gentile, che propose una nuova idea di pedagogia: egli parlava di pedagogia
filosofica, e cioè di una disciplina i cui metodi d’indagine venivano mutuati dalla filosofia e rispondevano
ad un’immagine di scienza costruita su un modello filosofico. Per Gentile la filosofia rappresentava
l’unica scienza perché essa- a differenza delle altre scienze le quali accumulavano una serie di dati
senza interrogarsi sui concetti appresi- ha la capacità di pensare e di riflettere su i suoi stessi
fondamenti. Inoltre per Gentile la filosofia è il dispiegarsi dello spirito (ossia della capacità dell’uomo di
creare valori, arte e cultura) verso una maggiore autoconsapevolezza e il singolo uomo è immagine
dello spirito. Per questo motivo la filosofia è pedagogia; essa – infatti- è storia della formazione dello
spirito e, di conseguenza, risulta adeguata al compito di educare e formare l’individuo in base a valori
prestabiliti.
La ripresa della tradizione idealista e dell’attualismo di Gentile ha orientato la relazione alunno-docente
verso una visione finalistica del rapporto educativo, il quale assunse un carattere particolare: esso
rappresentava il rapporto tra un soggetto che ha raggiunto la piena consapevolezza di sé ( il maestro)
e che si fa guida di un altro soggetto che – invece- è inconsapevole della sua natura sia cognitiva che
affettiva (l’allievo). L’alunno instaura – con il docente- un rapporto spirituale di tipo identificatorio e
attraverso l’ascolto del maestro (quindi applicando un metodo filosofico e non scientifico) egli viene
investito da una
serie di trasformazioni interne che lo spingono verso una maggiore autoconsapevolezza. In questo
modo Gentile, anche se intendeva concentrare la sua attenzione sul processo di sviluppo dell’allievo,
non ha fatto altro che sollevare due problemi: 1) il primo mette in evidenza che egli ha enfatizzato il
ruolo dell’insegnante (inteso come guida del bambino) a discapito dell’allievo, considerato un soggetto
ancora intrappolato negli inganni dei sensi e che solo attraverso la formazione poteva avere la
possibilità di accedere al mondo della cultura e di raggiungere la consapevolezza di sé. 2) Il secondo
problema è legato alla pedagogia che – con Gentile- si è configurata come teoria dell’autoformazione
dello Spirito e si è risolta nella filosofia. Ciò significa che la pedagogia vale solo se è filosofia.
PEDAGOGIA CATTOLICA E
PEDAGOGIA LAICA
La Riforma Gentile è stato l’emblema della pedagogia italiana sino al secondo dopoguerra. In questo
periodo cominciò ad emergere l’esigenza di individuare nella pedagogia una disciplina autonoma; si
pose il problema della sua scientificità; cominciò ad essere individuata come disciplina autonoma e si
analizzarono i suoi diversi aspetti. In questo nuovo dibattito epistemologico relativo alla pedagogia
emersero due posizioni interpretative diverse per la loro concezione di uomo, di realtà e di storia: quella
cattolica e quella laica.
PEDAGOGIA E SCIENZE
DELL’EDUCAZIONE
Nel momento in cui la pedagogia L’idea che la pedagogia ha sentito una tensione interna che l’ha
spinta a scomporre la propria unitarietà e – nello stesso tempo- a porre le basi per ricercarla, è nato un
dibattito che si propone di definire – in primo luogo- la quantità e la qualità delle scienze
dell’educazione; in secondo luogo il rapporto che intercorre tra esse. Infine, dopo aver stabilito che la
pedagogia è una scienza con un proprio oggetto e dei propri metodi d’indagine, in questo dibattito ci si
chiede come la frammentazione della materia e la ricerca di uno statuto epistemologico ben definito
possano coincidere.
QUALE RUOLO HA LA PEDAGOGIA?
FUORI DALLE SCIENZE
DELL’EDUCAZIONE
La ricerca di un punto di equilibrio tra l’idea della pedagogia come scienza dell’educazione e
l’espressione del sapere pedagogico in una moltitudine di scienze dell’educazione ha aperto un
dibattito sull’interdisciplinarietà, all’interno del quale si pongono diverse questioni.
Il primo problema riguarda il rapporto tra la pedagogia e le altre discipline; a tal proposito una figura
importante è stato Visalberghi, il quale – da un lato- ha fatto una distinzione tra rapporti pluridisciplinari,
interdisciplinari e transdisciplinari; dall’altro sosteneva che le scienze dell’educazione sono legate da un
rapporto pluridisciplinare perché sono motivate dalle stesse finalità e/o da comuni ipotesi d’indagine,
pur restando indipendenti.
Il concetto di unità funzionale e pragmatica si basava – invece- su un’idea diversa di pedagogia: essa
veniva intesa come una rete di saperi legati da rapporti transazionali che favoriscono la modifica dei
dati durante l’osservazione e fanno si che ogni indagine sia soggetta a criteri di relatività e
indeterminismo.
Un’altra questione sulla quale molti si sono soffermati fa riferimento alla difficoltà che si trova nel
definire un autonoma identità della pedagogia, la quale mutua apporti diversi da una molteplicità di
scienze e si
avvale di una teoria che senza la prassi non può esistere. La difficoltà che la pedagogia ha nel trovare
una propria identità va ad incentivare l’approccio interdisciplinare, il quale può essere interpretato
anche in chiave strutturalista. Secondo tale prospettiva la pedagogia non può essere identificata con
nessun sapere in particolare perché non esiste nessun ambito che risulti esaustivo per le
problematiche educative. Per questo motivo si prendono in considerazione tutte le scienze
dell’educazione le quali si propongono – come obiettivo- di formare l’uomo e instaurano con la
pedagogia un rapporto di cooperazione e condivisione, e non più di subordinazione di tale disciplina ad
esse. Il termine “interdisciplinarietà”, infatti, indica proprio la condivisione reciproca di metodi d’indagine
senza che ogni materia si privi della propria identità. Tale modello è stato definito
interdisciplinare/specialistico.
Molti studiosi – poi- si pongono un ennesimo interrogativo: se delle materie affini possono condividere
lo stesso oggetto d’indagine e se lo possono analizzare da un punto di vista comune o condivisibile.
Secondo la prospettiva pragmatica e funzionale, prendere in considerazione il solo oggetto di ricerca
non basta perché esso molto spesso è complesso e difficilmente delimitabile e – quindi- non garantisce
l’unità della disciplina. Inoltre, anche se si riuscisse ad individuare un oggetto di ricerca comune a più
scienze dell’educazione, risulterebbe complesso identificare i modi attraverso i quali esse cooperano.
Per questo motivo l’unico elemento di relazione tra le scienze dell’educazione può essere identificato
nelle problematiche comuni che si pongono in gioco nel momento in cui viene identificato un indirizzo
di ricerca da perseguire insieme. Questa interazione è stata messa in discussione per approdare
all’individuazione di un metodo ermeneutico per le scienze dell’educazione: ossia di un metodo che
non si limita ad omologarsi a quello scientifico (che – a sua volta- cerca di ridurre le relazioni tra le
scienze dell’educazione in rapporti finalizzati a promuovere il carattere empirico e pragmatico
dell’azione educativa) ma che si apre anche ad una dimensione teorica e meta-riflessiva, la quale
rappresenta una caratteristica particolare del pluralismo pedagogico. Questo carattere pluralistico e
dinamico della pedagogia rappresenta una delle fonti della multiformità di oggetti di studio e metodi
d’indagine che emergono nell’ambito educativo; infatti il percorso storico della pedagogia è un altro
fattore che ha contribuito a dar vita a tale situazione in quanto i metodi – nel tempo- si sono modificati
in conformità al cambiamento delle idee o della cultura. Infatti è scorretto parlare di storia, filosofia e
scienza in quanto ciò che esiste è il modo di fare storia, filosofia e scienza che tende ad evolvere nel
tempo.
L’approccio meta-riflessivo si propone di arrivare ad un mondo meta-empirico (senza staccarsi da
quello empirico) attraverso delle categorie che fanno riferimento alle esigenze interpretative dell’uomo
e non attraverso delle categorie metafisiche. La dimensione teorica – invece- si rifà ad una filosofia che
non utilizza più lo strumento logico per razionalizzare la pedagogia, ma per conoscere la sua specificità
epistemica. In questo ambito si sono sviluppate – sia nella pedagogia filosofica che in quella scientifica-
il concetto di trasversalità delle conoscenze e delle competenze e il concetto di trasferibilità della
conoscenza competente (la quale indica la capacità di trasferire delle conoscenze in un campo diverso
da quello in cui esse sono state apprese).
FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE,
METATEORIA E RAGIONE CRITICA.
Molti studiosi si sono chiesti se la filosofia dell’educazione può rientrare nell’ambito delle scienze
dell’educazione. La risposta può essere doppia: 1) se si prende in considerazione il carattere empirico
e sperimentale e l’aspetto ipotetico/deduttivo di una scienza, la risposta è negativa; 2) se con il termine
scienza si indica sapere, la risposta è affermativa in quanto la filosofia dell’educazione viene
riconosciuta come un aspetto integrativo e costitutivo della pedagogia. Essa rappresenta il criterio
regolativo che unisce e compie una riflessione critica sulle linee guida della pedagogia: la
complessità, lo storicismo inteso come pluralismo, la storicità e la deonticità, ossia l’apertura della
materia a modelli utopici.
Da un punto di vista pluralistico è possibile distinguere tre momenti - nell’ambito pedagogico: l’aspetto
empirico e sperimentale, che lega la filosofia al modello delle scienze esatte; la dimensione filosofica e
storica, che lega alla pedagogia a valori già definiti; l’aspetto epistemologico e metateorico il quale si
basa su di un modello capace di cogliere i nessi tra la teoria e la prassi; un modello nel quale la
disciplinarietà non è determinata a priori in quanto l’oggetto di ricerca si modifica lungo il suo percorso
storico a seconda delle influenze ambientali, situazionali e agli orientamenti di ogni disciplina. Infine
esso è un modello che considera le motivazioni al teorizzare educativo degli aspetti che possono
garantire la scientificità del discorso pedagogico.
scientifico o quello delle scienze umane). Per molti anni la pedagogia è stata inserita nell’ambito delle
scienze umane e sociali in quanto il modello positivista – che era quello predominante- sosteneva che
la natura polimorfa di tale disciplina (come quella di tutte le scienze dell’educazione) sfuggiva al
paradigma epistemologico analitico ed empirico. Per contro la pedagogia avvertiva l’esigenza di
sistematizzare il proprio sapere attraverso una teoria generale. Questa esigenza portava la pedagogia
ad avvicinarsi – da un lato- alla filosofia in quanto essa poteva mutuare da quest’ultima dei principi
normativi capaci di soddisfare la propria esigenza epistemologica e formativa; dall’altro la avvicinava al
modello delle scienze esatte.
Pertanto la pedagogia si è sempre ritrovata in bilico tra scienza e filosofia; e ciò è evidente anche se si
prende in considerazione il rapporto biunivoco di teoria e prassi che la caratterizza. Questo discorso si
lega ad una visione dinamica e pluralista, la quale sostiene che l’oggetto di indagine della pedagogia è
in continuo divenire; che non esiste una verità assoluta che definisce il campo di una scienza, ma la
verità è soggetta a continui mutamenti. In questa prospettiva le teorie scientifiche si presentano come
ipotesi da verificare costantemente e – di conseguenza- le discipline umanistiche possono essere
considerate delle scienze, diverse ma non distinte da quelle esatte. Come tali discipline, anche la
pedagogia può essere presa in considerazione come scienza e la sua scientificità è data da una ricerca
non univoca, ma dinamica e soggetta a variabili che possono emergere sia dall’applicazione delle
teorie alle contingenti situazioni storico-sociali; sia dal rapporto che la pedagogia istaura con le altre
scienze.
L’analisi metodologica del discorso pedagogico prende in considerazione quegli aspetti che concorrono
a impostarne la ricerca: il soggetto, l’oggetto e il metodo. Parlare di soggetto, oggetto e metodo non è
molto corretto in quanto nell’ambito pedagogico si distinguono: diversi soggetti (sociale, personale,
istituzionale); una molteplicità di oggetti di studio, i quali non possono essere separati né dalla
dimensione contestuale in cui agiscono né dai soggetti con cui interagiscono. Infine non si può fare
riferimento ad un unico metodo (ossia quello scientifico) ma ad una serie di metodi che cambiano e
vengono rimodellati a seconda del variare dei soggetti e degli oggetti della ricerca.
Un modello molto particolare è quello della ricerca-azione, il quale presenta una struttura aperta che
ospita strumentazioni quantitative e qualitative. Da un punto di vista quantitativo tale modello si serve di
un sistema di ipotesi attraverso le quali interpretare la realtà e – attraverso l’esperienza- sostanzia
questo sistema di ipotesi in modo da trasformare le teorie precedentemente formulate. Da un punto di
vista qualitativo il modello della ricerca-azione compie una riflessione critica sulle metodologie applicate
nella ricerca e sui risultati ottenuti e, inoltre, prende in considerazione i vissuti di chi opera al suo
interno. Infine è importante sottolineare che i risultati ottenuti non sono mai definitivi, ma soggetti a
processi di cambiamento.
trovare, mediante un’analisi teoretica, quel criterio che rappresenti l’unità di senso dei fenomeni e che
ci permette di definire il pedagogico. Laporta parla di una scienza empirica dell’educazione, con la
quale non intende una scienza sperimentale avulsa dai valori. Egli – infatti- propone una pedagogia
che, in primo luogo, deve raccogliere i dati, i costrutti e i concetti dall’esperienza e – in secondo luogo-
deve intenzionali in senso educativo attraverso la sua apertura ad una molteplicità di discipline e
mediante un’analisi linguistica che consente di indagare concetti complessi, come quello di libertà. De
Giacinto ritiene che la pedagogia non può essere intesa come scienza perché non ha un oggetto di
ricerca specifico. Essa, invece, si presenta come un punto di vista globale sull’educazione. In questa
interpretazione la pedagogia si configura come una disciplina per la pratica che si rapporta con le altre
scienze,e –nello stesso tempo- conserva come sua peculiarità la capacità di formalizzare e
modellizzare un evento educativo. Inoltre la pedagogia si presenta come una disciplina le cui
metodologie sono soggette a numerose trasformazioni; il cui oggetto d’indagine tende a divenire
sempre più complesso; la cui epistemologia è molto flessibile. Infine questa disciplina è caratterizzata
da una serie di antinomie e dalla compresenza di aspetti soggettivi ed oggettivi, i quali la spingono a
formulare delle analisi specifiche e dei modelli generali. Un altro punto di vista molto importante è
quello di Leang, il quale ha fatto una distinzione tra antropologia; teleologia e metodologia della
pedagogia. L’antropologia studia l’uomo nella sua dimensione di essere vivente; la teleologia studia
l’uomo come dovrebbe essere, ossia il fine ultimo dell’educazione; la metodologia della pedagogia
mette in luce i processi attraverso i quali si può passare dall’una all’altra dimensione.
Infine è importante sottolineare che il passaggio dalle vecchie considerazioni della pedagogia a quella
moderna (che da un lato è più matura, ma dall’altro sempre acerba perché in continua ridefinizione) è
stato segnato dall’abbandono di una concezione univoca e sistematica del sapere pedagogico e
dall’approdo ad una concezione dinamica di esso.
SCIENTIFICITA’ DISCIPLINARE E
PEDAGOGIA COME SCIENZA
COMPLESSA
Le proposte emergenti – che si indirizzano verso il superamento delle scienze dell’educazione e verso
la ricerca di un senso attribuibile alla scientificità della pedagogia- si sono inserite in una nuova
considerazione della pedagogia come scienza. In tale considerazione la pedagogia non si presenta
come scienza sistemica, ma come scienza complessa: infatti il paradigma della complessità è
rappresentativo della sua natura aperta all’incertezza e alla pluralità. Dall’analisi di ciò emerge che la
pedagogia mentre cerca – da un lato- la propria sistematizzazione epistemologica; dall’altro ne sfugge
in quanto essa non può essere incardinata in modo univoco: infatti i suoi confini non sono chiusi e ben
definiti, ma aperti e flessibili, tanto da dare a tale disciplina l’opportunità di intrecciare rapporti con altre
scienze.
Le interpretazioni attuali relative alla scientificità della pedagogia sono legate alla concezione secondo
la
quale essa po’ essere definita scienza in qualità di attitudine, ma non di sistema: infatti la pedagogia –
nel corso del 1900- da unitaria scienza dell’educazione si è trasformata in scienza complessa. Questa
idea di complessità e non sistematicità della pedagogia è stata condivisa anche dalla filosofia, la quale
è divenuta teoria pedagogica, metateoria critica e filosofia dell’educazione, dotata di uno statuto
epistemologico debole ma – nello stesso tempo- espressione di una meta riflessione capace di
regolare i rapporti tra i vari saperi e all’interno dello stesso sapere pedagogico.
univoca, ma complessa, plurale e instabile. Il ripensamento della natura generale della pedagogia e il
suo andare oltre le scienze dell’educazione ha comportato anche un ripensamento di queste ultime; ha
permesso alla pedagogia di acquisire autonomia scientifica e sembra derivare dall’esigenza – da parte
della pedagogia- di centrare nuovamente il proprio oggetto d’indagine, individuato nel processo
formativo dell’uomo. Da ciò si evince che oggi la scientificità della pedagogia passa attraverso
un’ulteriore messa a fuoco del suo oggetto di ricerca, il quale la spinge a definirsi come scienza della
formazione dell’essere umano e ad affermare la propria specificità rispetto le altre discipline.
Al giorno d’oggi una delle esigenze più avvertite è quella di trovare una teoria globale della
formazione: ossia una teoria che si apra al collettivo, e cioè alle istanze provenienti da diverse culture
e società; ma che
– nello stesso tempo- non trascuri il particolare, ossia le caratteristiche specifiche dei singoli individui.
Seguendo tale direzione, si tende – da un lato- verso l’affermazione della pedagogia come scienza
autonoma e generale e – dall’altro- verso la ricerca dell’unitarietà del fenomeno educativo. Per quanto
riguarda il primo punto è importante sottolineare che la pedagogia non vuole tornare ad essere una
disciplina chiusa in se stessa ed estranea agli altri saperi, piuttosto si propone di costruirsi come una
scienza che riesce a trovare un senso partendo dalle proprie peculiarità e intrecciando una serie di
rapporti critici con altri saperi. Per quanto riguarda l’unitarietà del fenomeno educativo, non si fa
riferimento ad un’unitarietà della pedagogia lineare, ma ad unitarietà complessa che riesce a mettere
in contatto le specializzazioni delle scienze dell’educazione e nella quale l’organizzazione nasce dalla
differenza.
il ripensamento della pedagogia – se visto da un altro punto di vista- sembra derivare dall’introduzione
della categoria del postmoderno rispetto alla categoria del moderno, che cambi non associava al
1400/1500, ma al Seicento perché in questo secolo è nata la scienza che si è opposta ai modelli
filosofici; è mutato il lavoro dell’uomo; è mutato il sapere pedagogico e il paradigma metafisico/religioso
ha dato spazio a nuovi paradigmi. La categoria del postmoderno – invece- è caratterizzata da una serie
di aspetti che hanno spinto il discorso pedagogico ad aprirsi verso nuove frontiere le quali indicano un
decostruire che deve essere coniugato al costruire perché quest’ultimo riparte proprio da un
ripensamento del soggetto.
innato-acquisito, il quale regola l’espressione di tale sinergia e mette in evidenza i percorsi della
conoscenza nelle sue molteplici dimensioni.
La sinergia cultura-cognizione mette in evidenza che le diverse culture e le loro ricadute sulla
formazione possono influenzare e modulare i processi cognitivi/conoscitivi dei soggetti. E legata a tale
sinergia c’è il focus esperienza-adattamento, il quale mette in evidenza che le strutture conoscitive
degli individui interagiscono con quelle epistemiche del conoscere mediante il rapporto con gli altri e
con diverse culture. Attraverso l’educabilità e i suoi caratteri: correlazione, cambiamento e
modificabilità adattiva, è possibile definire il quadro teorico di riferimento della pedagogia dello
sviluppo, all’interno del quale l’obiettivo formativo è quello di promuovere le potenzialità individuali,
rispettando la persona e tenendo presenti le reazioni di apertura e/o chiusura che ognuno può
manifestare rispetto i processi di sviluppo. L’obiettivo – invece- di un discorso sull’educabilità è quello di
ricercare le variabili che agiscono in questi processi di sviluppo e in base ad esse costruire ipotesi e
progetti di formazione.
SULL’OGGETTO DELL’ANTICA (E
NUOVA) FENICE
La formazione è la categoria chiave della pedagogia ed essa si distingue dall’educazione grazie alla
sua natura autonoma e indipendente. Inoltre la formazione non è una categoria univoca, ma composta
da una pluralità di significati che possono essere colti in 3 dimensioni: 1) complessità; 2) pluralismo; 3)
analisi diacronica. La complessità della formazione si esprime nella molteplicità delle prospettive che
adotta; nei diversi campi d’indagine (sia teorici che passici); nella varietà dei settori e nel dinamismo dei
rapporti. Il pluralismo della formazione trova espressione in una molteplicità di interpretazioni,
emergenze e scienze; nell’interazione tra più scienze e nel rapporto che la pedagogia intreccia con
altre discipline, quali: la sociologia, la storia, l’antropologia, la psicologia e la didattica. Infine la
formazione è stata studiata anche nella dimensione diacronica, la quale valuta come essa si è evoluta
nel tempo. La dimensione diacronica della formazione affonda le proprie radici nell’antichità, ossia nel
mondo dei Greci. Qui – infatti- sono state
definite: 1) le teorie dell’educazione come riflessione universale e rigorosa sui processi formativi; 2) la
ragione come modello teoretico dal quale partire per sviluppare un pensiero razionale; 3) la paideia,
che rappresenta l’ideale della formazione umana. La paideia punta sulla formazione globale dell’uomo
e incarna la tensione enciclopedica del mondo classico, l’apertura verso altri saperi e la considerazione
delle humanitates come aree di studio. Tuttavia è sbagliato considerare la pedagogia classica come
pedagogia della paideia in quanto: 1) al modello socratico-platonico di uomo (che è insieme corpo e
anima) si opponeva quello tragico, il quale non reprimeva i suoi istinti ed enfatizzava alla lotta; 2)
all’oggettività dei saperi si opponeva il modello di Socrate, che prevedeva partecipazione da parte del
soggetto nel
conoscere; 3) infine, alla negazione platonica della dimensione corporea si opponeva la formazione
agonistica la quale puntava proprio sul corpo e sul suo sviluppo.
Nell’illuminismo greco la paideia si fece più attenta ai problemi dell’uomo e la formazione era sempre
più tesa verso il principio di kalokagathos, ossia di uomo bello e buono.
In Socrate nacque l’idea dell’educazione come episteme (ossia conoscenza certa). Questa conoscenza
assoluta non sta al di fuori dell’uomo, ma in se stesso ed è per questo che egli deve guardarsi dentro e
cercare di coglierla. In tale prospettiva la formazione diviene paideia come universalizzazione del
soggetto. In Platone ci si propone di formare l’anima individuale attraverso la contemplazione delle
idee. Di conseguenza, l’obiettivo della paideia è quello di riconoscere la spiritualità dell’anima, la sua
identità contemplativa e di identificare la virtù con la conoscenza.
In Aristotele l’uomo si realizza seguendo la propria forma, definita dall’attività dell’intelletto; e l’obiettivo
della formazione è quello di raggiungere la virtù della saggezza mediante la padronanza dell’istruzione
e il controllo del corpo. A partire dal periodo in cui si fece strada il pensiero di Platone si è affermata
una paideia alternativa a quella classica: la paideia politica, la quale considera l’uomo come animale
sociale inserito in uno Stato. Tale paideia ha introdotto la civiltà romana in cui la formazione non era
solo letteraria, ma anche civile. Il modello formativo – infatti- si basava su valori come l’eroismo, il
coraggio e la dignità; la paideia si trasformò in humanitas e si puntava sullo studio delle arti liberali e
delle humanae litterae perché si dava importanza all’oratore, all’uomo politico. Tuttavia, dopo la
conquista della Grecia e il contatto con l’ellenismo la cultura romana si trasformò: la formazione
riguardava l’uomo in quanto espressione dell’umanità e non solo in quanto cittadino e il modello della
romanitas cominciò ad avvicinarsi a quello cristiano, il quale si faceva promotore di valori
completamente diversi: l’uguaglianza, la solidarietà, l’umiltà. La paideia cristiana si è affermata nel
Medioevo – in particolare- e con il suo programma educativo finì per eclissare quello della cultura
classica. Nel Rinascimento si fece un grande passo avanti: la paideia medioevale si trasformò in una
paideia laica, centrata sull’Homo faber e promotrice di valori come la libertà, il progresso,
l’emancipazione e la razionalizzazione.
Nel periodo della Riforma Protestante molti si fecero promotori di un approccio autonomo alla cultura e
alla sua diffusione, incentivando gli uomini a leggere personalmente i testi sacri. Diversa è la situazione
nel periodo della Controriforma, in cui i curricoli formativi sono soggetti a norme rigorose e convergenti
ai modelli politici e sociali espressi dall’autorità religiosa e civile.
Nella Modernità, e in particolar modo tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘700, ci sono due eventi importanti:
da un lato nasce la pedagogia utopistica; dall’altro c’è la scoperta della “nuova scienza” e del metodo
scientifico. La pedagogia utopistica associava il modello di uomo proposto dalla paideia classica alla
progettazione di società ideali; la nuova scienza apre la strada verso una fondazione rigorosa della
pedagogia. Nel ‘700 la formazione svolge una funzione di omologazione sociale e di promozione della
coscienza civica e nell’800 la paideia ritorna come Bildung e si avverte – sempre di più- l’esigenza di
una fondazione epistemologica della pedagogia come sapere autonomo, rigoroso e sperimentale.
quella scientifica/prassica e quella filosofica/teorica. Per questi motivi essa si ritrova ad utilizzare una
molteplicità di metodologie le quali – anche se sono diverse- devono attenersi ad alcuni principi esposti
nello statuto della disciplina e devono mettere in evidenza l’integrarsi della sua natura scientifica e
filosofica. Degli impianti metodologici per la pedagogia possono essere: 1) l’approccio
sperimentale ( individuazione del problema, formulazione di ipotesi, verifica delle ipotesi,
rielaborazione delle ipotesi in base ai risultati, configurazione di un piano sperimentale); 2) ascolto
dalle discipline con le quali interagisce in quanto mediante la conoscenza della diversità si raggiunge
la consapevolezza di ciò che si è o si potrebbe essere. Delle metodologie innovative entrano in gioco
nel momento in cui vi è l’incontro tra le modalità individuali di organizzazione della conoscenza e le
modalità sociali di condivisione e sistematizzazione di essa. In questo caso – infatti- si apre uno spazio
pedagogico che deve essere valorizzato come possibile dimensione di bilanciamento tra processi di
comprensione individuali della conoscenza e processi di rappresentazione collettivi. Altre metodologie
particolari della pedagogia vengono messe in atto nella formazione degli adulti, la quale costruisce i
propri curricoli intorno ai bisogni e agli interessi di chi apprende che – avendo già un bagaglio di
esperienze- non si forma basandosi solo sulle conoscenze altrui ma valorizzando le proprie. In questo
approccio la metodologia utilizzata si basa sull’analisi dei contenuti esperienziali e sull’incentivazione
della gestione autonoma dei processi di apprendimento. In riferimento alla formazione degli adulti è
importante sottolineare –infine- che essa è continua perché comprende diverse fasi della vita e incline
al cambiamento, il quale non è un concetto che può essere insegnato, ma una modifica del sé che
avviene in base alle esperienze e ad una riflessione su di esse. Inoltre bisogna dire che tale
trasformazione non mette in gioco solo la sfera individuale di un soggetto, ma anche quella sociale in
quanto egli si presenta come un sistema dinamico che entra in relazione con altri sistemi in modo da
poter trarre da essa quegli elementi che lo spingono verso la miglior forma possibile.
3 LA PEDAGOGIA DA SCIENZA
GENERALE A SCIENZA OLISTICA
Al giorno d’oggi la pedagogia è stata riconosciuta come scienza, ma resta ancora in dubbio che tipo di
scienza possa essere. A tal proposito sono emerse diverse interpretazioni: 1) c’è chi ha parlato di
pedagogia come scienza generale; 2) c’è chi ha parlato della pedagogia come scienza olistica
dell’educazione e della formazione. L’utilizzo del termine olistico è previsto sia in ambito scientifico che
in quello filosofico in quanto esso fa riferimento ad un approccio interpretativo che una disciplina può
utilizzare anche in combinazione con altri processi. Con il termine “scienza olistica” non si intende
proprio una scienza, piuttosto dei campi multidisciplinari che studiano i sistemi complessi e i
comportamenti che li regolano.
Inoltre, è importante sottolineare che l’approccio olistico non considera il sistema complesso come una
somma di più parti che devono essere analizzate singolarmente per spiegare il tutto; piuttosto un
sistema che si evolve mediante dei processi dinamici. L’utilizzo del paradigma olistico nell’ambito della
pedagogia viene effettuato per trovare una categoria interpretativa che possa rappresentare – nello
stesso tempo- il particolare e il generale e mettere in evidenza che il generale può includere il
particolare, ma non in modo esaustivo. Pertanto una pedagogia intesa come scienza olistica può
riconoscere la presenza – al suo interno- di antinomie, pluralismi, ma non escludere la possibilità di
poter dare una visione d’insieme dell’uomo e del suo comportamento.
L’utopia, legata alla filosofia, può rappresentare una modalità interpretativa del vivere, la quale si basa
sull’accettazione della complessità, della problematicità e del disincanto, senza perdere – però- di vista
la speranza di credere in qualcosa che può essere realizzato.
L’utopia, legata alla scienza, mette in luce che quest’ultima segue la direzione di un lavoro che non
avrà mai fine perché necessita di essere ripensato e rivalutato in base alle circostanze. Ed è proprio
quest’ultima caratteristica: quella di superare se stessa, di decostruirsi e rinascere dalle proprie ceneri,
che determina la scientificità della pedagogia.
1. generale (in senso olistico), ossia caratterizzata da un insieme di elementi che conservano le
loro peculiarità ma che – nello stesso tempo- si integrano tra loro ed entrano a far parte di un
insieme;
2. trasformativa, in quanto il cambiamento è insito nel suo oggetto di ricerca che si qualifica come
processo e nei confronti del quale tale disciplina non si limita ad osservarlo, ma vi opera delle
trasformazioni;
3. ipercomplessa; dismorfica, perché assume diverse forme non sempre coerenti tra loro;
4. umile, perché ha imparato a non essere univoca e ad accettare le possibili revisioni;
5. concreta e di ricerca, in quanto – da un lato- la teoria orienta la pratica e viceversa; dall’altro
perché essa riesce ad essere propositiva anche se molto spesso la realizzazione – nel
concreto- di qualcosa non è possibile;
6. “di frontiera” perché è difficile trovarle una collocazione epistemologica definita (anche se viene
inserita nelle scienze umane).
Fonte: http://clip2net.com/clip/m5192/1272445107-b1ade-356kb.pdf?nocache=1
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