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LEZIONE DEL 03/03

CORNICE STORICA E TEORICA


Oggi iniziamo la prima parte del testo “Fondamenti di didattica”
Questa prima slide è indicativa del rapporto che ha questa disciplina con altre discipline, che
hanno a che fare con la sua storia, la sua genesi. Già da questa immagine si può intuire che la
didattica nasce in continuità con altri saperi, come un sapere specializzato, ma che proviene
dalla pedagogia e prima ancora dalla filosofia, in particolare dalla filosofia dell’educazione.
Quindi a differenza di altre scienze dell educazione, in generale, si può dire che la didattica,
come disciplina organica, come corpus organico di conoscenze, è una scienza veramente
recente; nasce alla metà del secolo scorso, circa 1950, mentre la filosofia risale alla filosofia
greca. La didattica guadagna lo status di disciplica a se stante per progressiva
specializzazione a partire dalla pedagogia. Già la pedagogia aveva guadagnato la proprio
autonomia dalla filosofia.
Conoscete Dewey? Dewey parla di educazione alludendo alla scuola, parla di educatori
alludendo agli insegnanti, scrive una teoria dell’esperienza che in gran parte riguarda
l’esperienza scolastica, scrive un testo molto famoso che si chiama “Come pensiamo”, che è
riferito alla scuola, perchè per lungo tempo anche la pedagogia veniva fatta non da
pedagogisti, i quali non esistevano, ma da figure che riflettevano sull’idea di educazione e
quindi su che cosa l’educazione dovesse produrre, quale ideale di uomo dovesse essere l’esito
di una buona educazione. Quindi abbiamo prima una filosofia, con la filosofia
dell’educazione, poi la pedagogia che nasce come sapere teorico sull’educazione, si avvale
anche di metodologie empiriche e diventa un sapere empirico e comincia a occuparsi di
problemi educativi e scolastici anche in maniera empirica e allora questi studi proliferano e
tanto si specializzano che nasce anche la didattica. La progressiva specializzazione del sapere
la dovete immaginare come un processo che è sempre in fieri, è sempre in atto anche mentre
stiamo parlando i saperi si stanno disciplinarizzando, si stanno specializzando in qualche
direzione e altri saperi stanno prendendo forma a partire dalla contaminazione tra diversi altri
saperi. È un po’ il frutto incrociato della specializzazione e della contaminazione,
specializzazione verso l’interno e una contaminazione verso l’esterno dei saperi. In questo
movimento che da certe conoscenze produce altre conoscenze la didattica specializza
poche ...(non si capisce, minuto 7.14) attorno all’azione di insegnamento. Quindi tutti i
problemi, non educativi in generale, ma che riguardano l’insegnamento scolastico, vengono
fatti ricadere sotto questo ambito di studi che, verso la metà degli anni Cinquanta, si può dire
che fosse ben consolidato, cioè che ha già proprie teorie, propri costrutti, propri concetti,
proprie metodologie di ricerca, tra cui, prime tra tutti, una ricerca che è di tipo empirico, ma
non è immune anche dalla ricerca teorica e un sistema di prassi, cioè di metodologie, di
pratiche di fare scuola, dell’insegnamento.

Vediamo quali sono le tappe storiche che connotano la didattica come sapere specifico.
Il vosto testo ad inizio di ogni capitolo vi propone delle mappe, queste mappe includono delle
domande e poi alla fine del capitolo propone anche delle domande di autovalutazione, come a
dire che se si sa rispondere a quelle domande finali allora significa che si ha ben compreso il
capitolo a cui quelle domande si riferiscono. Queste domande sono le domande da cui parte la
mappa iniziale di questo capitolo, cioè ci chiediamo “Quali sono le origini del concetto di
didattica? E come evolve? Quali sono poi gli sviluppi che hanno interessato il passato e quelli
attuali, cioè le linee di sviluppo lungo le quali in questo momento la didattica si sta
rivolgendo. Affronta alcone origini storiche poi fa un salto enorme per arrivare al Novecento,
che poi è anche il secolo in cui la didattica si consolida per poi arrivare ai nostri giorni.
Questo è un po’ l’indice che dovremmo andare a raccontare. I passi che compiamo per
segnare il cammino storico della didattica e quindi la genesi della didattica dalle sue origini
storiche è quello contrassegnato da questo freccia (Slide pag. 4/12). I punti rappresentano gli
aspetti, gli autori, i periodi su cui ci focalizziamo. Nell’economia del tempo disponibile
possiamo ritenere che la Paideia greca, Comenio, L’Empirismo di Locke e lo Stoicismo di
Vico e Rousseau siamo degli elementi che possono contrassegnare questo percorso e fare
capire la genesi della didattica.

LA PAIDEIA GRECA (Slide 5/12)


È un pensiero filosofico che nasce ai tempi della Grecia classica e che è interessato alla
formazione dell’uomo; è un antesignano di un problema pedagogico per eccellenza, quello
della formazione umana e la particolarità della paideia, di questo modo di pensare la
formazione umana è che questa formazione umana ha una stetta relazione con la cultura; la
paideia è interessata a stabilire quale può essere la formazione umana e rintraccia nella
cultura, e nei saperi un veicolo formibabile per questa formazione. Quindi la piadeia sostiene
che l’uomo può aspirare alla sua superiore umanità, cioè ad un ideale di umanità che viene
posto come punto superiore, attraverso il confronto con la conoscenza. Siamo al tempo dei
filosofi, che sono ai tempi della Grecia classica, son ogli uomoni del sapere, quelli che erano
filos, amici della conoscenza e che tentavano di dare una spiegazione razionale ai fenomeni
della realtà, all’osservazione della realtà. Le cosmogonie dei primi filosofi, Anassimene,
Anassimandro facevano delle ipotesi su come il mondo che loro vedevano potesse essere in
qualche modo descritto, le cosmogonie, che sono delle immaginarie descrizioni del mondo,
devono essere interpretate come il tentativo di uomini di sapere, di uomini razionali di
cercare di descrivere il mondo e di dare una spiegazione dei fenomeni che vedono nel mondo.
Già la conoscenza era una conoscenza che al momento della paideia era abbastanza
sviluppata. È un percorso questo che dura per molti secoli. Lo stesso Platone, con “il mito
della caverna” ci racconta un po’ il senso dell’uomo nel mondo e di come l’uomo può
guardare il proprio rapporto con il mondo, ma ancora per farvi capire un po’ di più il tentativo
di speculazione razionale della filosofia e dei folosofi è molto eloquente l’esempio di Platone,
perchè Platone scrive un sacco di opere, di dialoghi e scrive anche il Timeo e in questa opera
ci spiega come costruisce i cinque poliedri platonici. Sono il cubo, il tetraedro, esaedro,
l’ottaedro, il dodecaedro, l’icosaedro, una struttura geometrica fatta di venti triangoli
equilateri. Siccome i poliedri regolari non possono essere più di cinque, perchè Platone
dimostrò che non potevano essere altro che quelli, son costuiti da poligoni tutti regolari,
quindi le facce sono poligoni regolari o triangoli equilateri o pentagoni, descrisse la
costruzione geometrica per significare gli elementi naturali, cioè il cubo era la figura della
Terra, e se io so costruire il cubo allora so dire qualcosa della Terra, associò poi l’acqua
all’ottaedro, il fuoco al tetraedro, perchè è come avere una piramide a base triangolare, e lui
spiega che ha la forma del fuoco che sale, ecc, l’aria all’icosaedro e al dodecaedro il sistema
delle stelle. Keplero dimostrerà per altro che l’icosaedro è una figura nella quale possono
essere inscritte tutte le altre. Alllora Platone cosa fa? Aveva interessa a trovare una
costruzione coerente, in modo che esiste un solo poliedro regolare con facce a forma di
triangolo regolare e con angoli solidi tutti uguali per dire che se io so costruire il tetraedro e
lo associo al fuoco allora so dire anche qualcosa del fuoco, perchè in assenza di teorie del
calore, in assenza di teorie energetiche, che verranno molto più tardi, quello rimaneva un
fenomeno magico. Allora il filosofo è l’uomo razionale che tenta di dare una spiegazione
razionale alle cose e, così facendo, costruisce conoscenza. Questa elaborazione filosofica
vede nella possibilità di frequentazione della conoscenza e dei saperi una possibilità
formativa, emancipativa dell’uomo, cioè che l’uomo raggiunge il meglio di quello che può
essere attraverso il confronto con la cultura.
La paideia grega diventa un ideale, un modello di formazione, perchè è un modo di pensare
all’uomo come un uomo che cresce aspirando alla sua superiore umanità. Non è sempre stato
così, prima della paideia greca, pensate alle scritture epiche, a Omero, all’Iliade e all’Odissea,
dentro non c’è un uomo che raggiunge la sua superiore umanità per il contatto con la cultura.
L’ideale di superiore umanità dell’uomo è visto nell’uomo guerriero, non nell’uomo di
scienza. Per questo la paideia ha poi una rilevanza molto forte, lì nasce un pensiero che si
preoccupa di un modello di formazione umana. Quindi mentre l’epica aveva depositato in
queste scritture l’ideale di uomo guerriero, dell’uomo che vince, che fa la guerra, che
guadagna valore in rapporto a questa sua facoltà, la paideia ci prosetta un ideale di
formazione umana. Quelo è il primo passo da cui ha origine tanta parte della Pedagia e
siccome poi la Didattica proviene dalla Pedagia, anche della Didattica. La didattica poi non
potrà mai espungere il problema della cultura, il problema di una formazione umana
attraverso i saperi, attraverso la conoscenza, perchè la didattica si occupa di insegnamento e
si insegnano i saperi e la conoscenza, una conoscenza che è teorica e pragmatica insieme,
questo va sottolineato, la conoscenza nasce sempre in maniera pragmatica, per risolvere dei
problemi, per fare delle cose, allora anche la didattica trova un fondamento in questa Paideia
greca, perchè la Paideia greca è un modello di formazione umana che individua nei saperi,
nel contatto con la cultura ciò che può elevare l’uomo alla sua massima umanità. Questa
paideia greca diventerà poi in epoca romana l’Humanitas, che è frutto di educazione.
L’Humanitas è il trasposto nella cultura romana della paideia greca. Questa umanità non è
dono di natura, l’uomo non nasce pienamente umano, ma questa umanità è frutto
dell’educazione.
Si può dire che intanto, a questo livello nasce la Pedagogia, come pensiero sull’educazione e
per lunghissimo tempo la Pedagogia sarà una Filosofia dell’educazione, cioè si preoccuperà
di definire che cosa è l’educazione, in quale direzione può essere diretta, immaginando che
queste direzioni possano essere la direzione intellettuale, quindi l’educazione si indirizza
verso l’acquisizione della conoscenza, lo sviluppo delle nostre facoltà cognitive, ed è proprio
lungo questa direzione di ricerca che si specializzerà un altro sapere, che è quello
dell’insegnamento, quello della didattica, ma includerà anche altre direzione, nel momento in
cui l’umanità dell’uomo è frutto dell’educazione questa educazione prende diverse direzioni,
una intellettuale dell’educazione, ma ci sono altre direzioni intellettuali, come quella morale.
L’uomo virtuoso, lo stabilire quando l’uomo è un uomo di virtù per lungo tempo ha
interessato la pedagogia e l’educazione morale è stata una larga parte dell’educazione tout
cour, pensate solo alle scuole Settecentesche o Ottocentesche, sono scuole dirette
all’educazione morale, non volevano far venire fuori degli allievi in grado di proseguire gli
studi, avevano la preoccupazione di formare persone virtuse, che avessero rettitudine morale
oltre che conoscenza. La direzione intellettuale e la direzione morale erano molto forti, le
altre direzioni come l’educazione affettiva e sociale, sono direzioni educative individuate
molto dopo. Con la paideia greca e l’humanitas si individua un pensiero sull’educazione che
ha a che fare con la conoscenza ed è in questo periodo che inizia a nascere la pedagogia.

COMENIO (SLIDE 6/12) – DIDATTICA MAGNA (1632 – 1657)


Facciamo un salto molto grande. Il pensiero filosofico sull’educazione va avanti per molto
tempo e di fatto ricadono sotto gli studi di filosofia dell’educazione tutti i discorsi
sull’educazione dei bambini, l’educazione degli adulti, l’ideale dell’uomo pienamente
formato, ecc... Non è che il rapporto tra discepolo e maestro non esistesse, addirittura lo
rintracciamo nella Maieutica socratica, siamo a Socrate, quindi si potrebbe dire che c’è da
sempre, però non esistevano le scuole e non esisteva un pensiero che possiamo assimilare alla
didattica.
Il primo pensiero che possiamo assimilare alla didattica e che emerge nel corso di questa
tradizione filosofica sull’educazione lo troviamo in Comenio. Comenio scrive quest’ottica
che si chiama Didattica Magna. Siamo nel 1600. Comenio è importante e la didattica lo
assume come un primo autore che abbia dedicato un opera specifica all’oggetto di questa
disciplina, perchè elabora un’idea di educazione universale, quindi un‘idea estremamente
moderna, cioè che l’educazione debba essere rivolta a tutti e a ciascuno secondo le proprie
caratteristiche. È un’idea valida ancora oggi. Il progetto di Comenio di un’educazione
universale è un progetto impegnato, perchè Comenio non si limita ad evocare questo
principio, ma lo traduce anche in un modello, discrimina in modo puntuale l’educazione da
rivolgere ai bambini, su che principi si può rivolgere l’educazione ai bambini, che cosa
bisogna insegnare a chi e in che modo.La Didattica magna è il primo manuale di didattica che
possiamo individuare nella storia della didattica. Questa educazione universale è detta da
Comenio pansofia. Pansofia viene dal greco, “pan” è l’attributo tutto, tutti e la “sofia” è la
conoscenza. La pansofia è conoscenza per tutti, insegnare tutto a tutti. Senza distinzione di
sesso, e di classe di appartenenza, Comenio prospetta questo ideale di poter insegnare tutto a
tutti. Dice anche che i contenuti dell’isegnamento devono riguardare le cose più importanti
per le persone a cui si rivolgono. “I fini di tutte le cose più importanti, di tutte le cose che
riguardano l’uomo, anche se poi l’una sarà più utile all’uno, l’altra all’altro”. Quindi l’idea
che ci sia un corredo di conoscenza che deve interessare tutti, che deve essere dato a tutti, poi
a seconda dei destini individuali una certa cosa sarà più utile all’uno, un’altra all’altro.
Esattamente come fa la nostra scuola, insegnamo diverse discipline, tutte a tutti, tuttavia,
(nella scuola primaria meno, perchè devo massimizzare il potenziale di sviluppo dell’allievo,
devo dargli le basi di tutti i saperi, attraverso l’insegnamento di tutto quello che ritengo possa
essere utile a sviluppare la sua mente, possa essere utile per farlo proseguire nel cammino
scolastico), per esempio nella scuola superiore, insegnamo le discipline diverse perchè questo
sviluppa la mente degli allievi e poi perchè qualcosa sarà più utile all’uno, qualcos’altro sarà
più utile all’altro.
Cioè non dobbiamo immaginare che tutto debba essere utile per tutti, dipenderà da quanto
questo avrà modo di incidere, e questo dipenderà dal continuum delle esperienze durante tutto
il corso della vita, nella vita di ciascuno. In questo Comenio ci prospetta un ideale molto
moderno, insegnare tutto a tutti, i fondamenti, ciò che riteniamo essere più utile per l’uomo,
anche se poi una cosa interessarà più all’uno o all’altro. Comenio comincia anche a definire
quali siano gli aspetti più generali di formazione dell’uomo e gli aspetti specifici, cioè quali
strategie sono più efficaci per poter insegnare tutto a tutti.. Comenio con l’ideale di
un’educazione universale è un autore che consideriamo come il nostro predecessore più
illustre.

EMPIRISMO E STORICISMO (SLIDE 7/12)


Empirismo facciamo riferimento soprattutto a Locke e Storicismo facciamo riferimento a
Vico. Da un punto di vista storico, questi due approcci sono contemporanei, talvolta i modelli
di pensiero riguardano fasi diverse da un punto di vista storico, invece queste due correnti
sono pressochè contemporanee, sebbene siano modi completamente diversi di pensare.
Perchè hanno presupposti diversi, l’empirismo trova il fondamento dell’educazione nella
natura, è la natura che decide le sorti dell’educazione, quindi l’educabilità dell’uomo è legato
alla natura dell’uomo. È come se non ci fosse un ideale universale di educabilità, cioè che si
può educare tutti in qualche misura, ma è come se qualcuno si potesse educare e altri no.
Questa questione dell’educabilità è stata posta all’attenzione dalla Pedagia Speciale e la storia
del ragazzo selvaggio di Itard. Quello è il momento in cui quell’empirismo lockeiano inizia a
vacillare; in realtà Itard fa questo studio nell’Ottocento, quindi è sucessivo, però è come se
smentisse totalmente questo punto di vista, perchè per l’empirismo questo ragazzo selvaggio
è un ragazzo che non può essere educato, mentre Itard invece fa questa scommessa, anche se
poi arriva ad un certo punto, perchè poi la compromissione, soprattutto la compromissione
del linguaggio per il lungo tempo che ha trascorso isolato. Oggi sappiamo che se certe facoltà
sono compromesse in certe fasi di sviluppo davvero il loro recupero è molto difficile, perchè
incide sulla conformazione delle nostre strutture non solo psichiche, ma anche sulla
conformazione della nostra massa cerebrale, ormai la neurofisiologia del cervello ci dice
questo. Ovviamente Itard non poteva saperlo, si arrende al fatto che entro certi limiti ha
potuto educare il ragazzo selvaggio e oltre quei limiti no, però si pone l’ideale
dell’educabilità dell’uomo. Nell’empirismo questa educabilità è connessa alla natura, che è
lei che decide. C’è un processo naturale, la mente dell’uomo è una tabula rasa, io posso
intervenire, e, se intervengo bene, ottengo più risultati, se non intervengo non ottengo risultati
e la scienza diventi sia il fine sia il mezzo dell’educazione. Quindi è la scienza che mi dice
come educare, ma è anche il fine, cioè io educo affinchè possa creare un uomo capace di
praticare la scienza. Alcuni residui di un atteggiamento empirista li abbiamo ancora oggi,
perchè non è tutta sbagliata questa prospettiva, tuttavia è un po’ univoca e, in quanto univoca,
non funziona. Oggi sappiamo che c’è una combinazione tra natura e cultura, tra aspetti
biologici, culturali, sociali, ecc... La scienza è il fine della cultura perchè il fine
dell’educazione è quello di un uomo in grado di praticare la scienza. L’uomo agisce
nell’esperienza con l’esperienza e attraverso una scienza, che è una scienza empirista
anch’essa, per cui tutto ciò che è vero perchè l’ho osservato e quello che non ho osservato
non può essere considerato vero, valido, è anche ciò a cui deve aspirare l’educazione.
Vico è di tutt’altra scuola. Lo storicismo di Vico individua nella storia, nel farsi storico, nel
divenire storico, non nella natura, il nucleo della formazione; la formazione è un processo
spirituale che si salda alla storia e alla cultura. Lo storicismo salva la cultura e la storia, la
formazione è un processo di tipo spirituale come se ci fosse una sorta di compenetrazione tra
ciò che l’uomo vive, il suo farsi storico nella storia e nella cultura in cui vive che fa
dell’uomo quello che è. E quindi non c’è un educazione che può essere separata dal momento
in cui questa educazione viene fatta, dallo stesso contesto storico, dallo stesso contesto
sociale nel quale questa educazione è fatta. Anche questa idea non l’abbiamo abbandonata del
tutto, perchè anche nell’idea odierna dell’educazione le determinanti sociali, culturali e
storiche hanno un peso, hanno un ruolo e quando diciamo che siamo figli della nostra cultura,
del nostro tempo significa che c’è una coevoluzione dell’uomo, la sua crescita e l’evoluzione
della cultura, della società e anche il modo in cui la scuola interpreta il suo mandato è
connotato in senso culturale. Se guardo la scuola di Gentile degli inizi del Novecento e
guardo la scuola attuale non è vero che nulla è cambiato, ma è tutta un’altra cosa. Quindi sia
da un punto di vista narrativo che da un punto di vista storico troviamo delle cose molto
diverse. Cosa ci dice questo? Che anche la scuola risente della società in cui è posta, anche
perchè nella società in tempi diversi si richiedono alla scuola cose diverse. Abbiamo
trattenuto qualcosa dell’Empirismo, abbiamo trattenuto qualcosa dello Storicismo, che sono
stati periodi che hanno avuto il merito di porre l’accento su certi problemi, poi facendoli
evolvere in relazione alle necessità e alla diversa natura dei problemi educativi che di volta in
volta ci si sono presentati nell’evoluzione della scuola e della didattica.
J.J. ROUSSEAU – EMILIO (1762) (SLIDE 8/12)
Ci interessa in particolare il Rousseau dell’opera l’Emilio, perchè siamo nel 1700, Comenio
aveva già scritto la sua Didattica magna però Rousseau fa una proposta che ancora oggi ha
degli elementi di interesse, anche se però la dobbiamo rimodulare. Intanto, si concentra
sull’infanzia; anche Comenio aveva distinto approcci di istruzioni per età diverse, però si era
limitato a questo, non si rintraccia in Comenio una vera e propria idea dell’infanzia, tanto
meno negli empiristi e neanche nello storicismo. Invece Rousseau punta l’attenzione
sull’educazione del bambino ed è il primo a veicolare l’idea che il bambino abbia delle
caratteristiche particolari, che non è una adulto immaturo. Dopo Rousseau, l’altro tentativo
illustre di definire l’infanzia sarà la Montessori. Quindi sono due momenti importanti. Un
aspetto interessante che viene fuori da questa narrazione dell’Emilio, che non è un trattato di
didattica o di pedagogia, è più vicino ad un romanzo di formazione che a un trattato, perchè è
vissuto come un’esperienza educativa. Rousseau è l’educatore di Emilio, che osserva Emilio
e restituisce del comportamento di Emilio proprio la sua viva esperienza. La proposta
educativa che l’educatore Rousseau rivolge ad Emilio è una proposta di un’educazione così
detta negativa o indiretta, cioè Rousseau si concentra sul fatto che l’educazione può non
essere diretta dall’insegnante, da chi insegna a chi apprende e può essere indiretta, cioè può
arrivare dalla viva esperienza. Quindi è totalmente indipendente dal maestro? Beh, è
relativamente indipendente dal maestro, perchè è il maestro che colloca Emilio nell’ambiente
naturale, è il maestro Rousseau che porta Emilio a fare esperienze. C’è comunque un
intenzionalità educativa, che guida il maestro, che guida l’esperienza di Emilio attraverso le
decisioni che prende il maestro. Lui la chiama l’educazione indiretta perchè è come se si
negasse l’intervento diretto del maestro, io non ti dico che cosa devi fare, sei tu che scopri
che cosa devi fare quando sei posto di fronte ad un’esperienza che ti mette di fronte ad una
scelta se agire in un modo o in un altro, oppure di fronte alla scelta che agire in un certo
modo non fa raggiungere certi risultati. In questo approccio di educazione indiretta o negativa
gioca un ruolo essenziale la natura, che però non è la natura di Locke. Evidentemente non
siamo lontani. Che la natura fosse un elemento che gioca un ruolo nell’educazione umana è
conclamato, ancora oggi ne siamo consapevoli; qua però c’è l’idea di un ritorno alla natura.
Siamo in un’epoca storica in cui si sente la minaccia dell’urbanizzazione, la minaccia di una
trasformazione del lavoro e questa minaccia di una trasformazione del lavoro tecnico e
tecnocratico porta a rivalutare, a riporre l’attenzione sulla natura, come a dire ci

stiamo urbanizzando, ci stiamo specializzando in un lavoro tecnico, tecnologico, però non


dobbiamo perdere il nostro senso della natura, il nostro contatto con la natura. È come un
atteggiamento reazionario rispetto ad un’evoluzione che la società stava sperimentando in
quel tempo. Quindi la natura ha un ruolo fondamentale rispetto ai bisogni essenziali del
bambino, ne rispetta i ritmi di crescita, valorizza le caratteristiche di tutta la vita infantile,
però sapendo quando agisce Rousseau, non bisogna nascondersi che diventa anche una
reazione per contrastare la tendenza nuova e quindi anche temuta che la società stava
attraversando in quel momento.
SLIDE 9/12
Qua ci sono tre principi che sono considerati come il manifesto dell’educazione secondo
Rousseau.
- Il PUEROCENTRISMO verrà fuori a più riprese, anche se non sempre nella forma
del puerocentrismo come inteso da Rousseau. Con questa parola più volte nella storia
anche della didattica, si vorrà alludere al mettere al centro dell’attenzione il bambino e
i suoi bisogni. Fino all’estremo, fino a creare qualcosa che assomiglia poco ad un
intervento educativo valido, fino cioè alle sue derive spontaneistiche. Pensate che
anche l’attivismo, le scuole progressive, in parte poi morì per il sospetto di
puerocentrismo, perchè l’idea di un’assecondamento dei bisogni, degli interessi del
bambino, in realtà si trasformasse in uno spontaneismo e che questo marginalizzasse il
ruolo della scuola e anche dell’insegnanti. L’insegnante che va dietro gli interessi del
bambino, anzichè l’insegnante che decide qual è il progetto formativo del bambino.
Ovvio che vanno sempre contemperate le esigenze che in certi momenti avverte come
urgenti, con altro tipo di esigenze e quindi io so oggi che devo contemperare una
didattica che tiene conto degli interessi spontanei del bambino con una didattica del
progetto, che è anche in grado di assicurare che il massimo potenziale del bambino
venga portato al massimo sviluppo. È come se fosse un problema costitutivo della
didattica, come non supereremo mai la dialettica tra disciplinarietà e
interdisciplinarietà, tra libertà dello studente e autorevolezza dell’insegnante, non
esite l’interdisciplinarietà senza disciplinarietà. Quindi dare un’opzione secca tra
l’autorità e la libertà, un’opzione secca verso la natura piuttosto che verso la cultura,
non funziona perchè tutti questi binomi, autorità/libertà, natura/cultura,
disciplinarietà/interdisciplinarietà, sapere teorico/sapere pratico sono costitutivi del
didattico, come se la didattica dovesse governare questa dialettica che è sempre
presente e deve sapere quando stare più su uno di questi due poli mantenendo più
sullo sfondo l’altro, ma essendo consapevole che c’è, che è lì a rivendicare le proprie
istanze e quando invece rivolgersi verso un altro polo di questi binomi, mantenendo
più sullo sfondo l’altro, perchè sono antinomie costitutive del fare educazione e
quindi non la possiamo mai risolvere del tutto con un’opzione esclusiva e univoca.
Puerocentrismo, l’idea di andare dietro i bisogni dei bambini la dobbiamo considerare
ma non possiamo andare dietro solo a questo, non riusciamo a fare una didattica tutta
puerocentrica.
- L’APPRENDIMENTO MOTIVATO: dobbiamo sostenere la motivazione. Questo
apprendimento motivato è oggi descritto in una maniera molto diversa perchè
sappiamo molto di più dei processi motivazionali.
- AUTORITÀ / LIBERTÀ: lo evocavo prima, un’attività educativa ora rivolta verso
l’autonomia, ora verso l’eteronomia. Io devo guidare l’allievo ad essere autonomo,
“aiutami a fare da solo”, diceva la Montessori, e tra gli obiettivi educativi della scuola
dell’infanzia e della scuola primaria trovate sempre l’autonomia, ma non abbiamo
solo l’autonomia, abbiamo anche l’eteronomia, cioè la nomos la regola che è regolata
dall’esterno, perchè l’allievo è un discipulus, è qualcuno che va disciplinato, anche
nel pensiero, nel comportamento. La parola “disciplina” trattiene nella sua etimologia
sia l’idea che sia rivolta al discipulus, sia l’idea che sia un pensiero disciplinato,
organizzato, fatto secondo certe regole, perchè le discipline si devono dare
un’organizzazione, delle regole, altrimenti non si formano come sistemi coerenti di
conoscenze. Quindi c’è sia autonomia (libertà) che eteronomia (autorità).

Lezione 3 martedì 9 marzo


Il Novecento è il periodo più significativo, lo consideriamo il secolo della didattica, è infatti
dal 1950 che la didattica riesce ad affermarsi come una disciplina a sé stante (con proprie
teorie, costrutti e pratiche).
É un secolo nel quale hanno luogo diverse esperienze didattiche, che costituiscono i
fondamenti dello studio dell'insegnamento.
Attivismo pedagogico → movimento di esperienze di insegnamento e apprendimento
A inizio 1900 con l’educazione progressiva e l'esperienza delle scuole progressive, dette
anche scuola attive o nuove, si inaugura il periodo dell'attivismo (prima in America poi in
Europa).
Le scuole nuove trovano in John Dewey la teoria per potersi esprimere.
All'inizio del Novecento la scuola era riservata a pochi eletti, ai figli delle classi più abbienti,
inoltre era una scuola molto formalizzata e incentrata sulle materie storico-filosofiche.
Dewey → porta l'ideale di una scuola democratica aperta a tutti, con la teoria
dell'esperienza: il fare esperienza attiva è il fattore centrale per dare qualità all'educazione.
Secondo lui l'esperienza è la partecipazione attiva, intellettuale e sociale, del bambino.
Opere: “Come pensiamo”, “Democrazia e educazione” → queste opere sono a fondamento di
questo movimento dell'attivismo.
In questo grande movimento si alternano diversi autori:
- Pierre Ferriére, Celestin Freinet (le tatonnement, la tipografia), Ovide Decroly →
autori attivisti, elaborano e strutturano le scuole con caratteristiche attive.
Es. Celestin Freinet immaginò una scuola che era fatta di laboratori artigiani, nel quale i
bambini imparavano attraverso le attività svolte in questi laboratori (tipografia,
falegnameria).
- Maria Montessori → opera agli inizi del 1906. Lei riconosce il valore fondamentale
dei bisogni del bambino, i quali devono essere espressi attraverso l'esperienza e l'uso
di materiali che insegnano al posto dell'insegnante. É la prima autrice, dopo
Rousseau, che riconosce l'infanzia come una fase con proprie caratteristiche (la
chiama età dell'oro).
Lei era anche medico e iniziò a lavorare con i bambini con disabilità, i quali non avevano
nessun diritto all'istruzione ed erano rifiutati dalle famiglie e dalla società. Osservò il loro
comportamento, cercando di studiare come poter facilitare e avvantaggiare la loro crescita.
Poi iniziò a lavorare con i bambini delle famiglie che erano un po' abbandonati, e crea delle
case che ospitano questi bambini.
→ in questo momento fa un ipotesi su come funziona la mente del bambino, la mente
assorbente: il bambino è posto in contatto con delle stimolazioni, assorbe dall'ambiente
esterno tutta la sua cognizione e attraverso una serie di periodi sensitivi, il bambino cresce
mentalmente.
Montessori sulla base di questo costruisce dei materiali che sono autocorrettivi: l'insegnante
spiega come si usa, il bambino sceglie il materiale con cui vuole interagire in maniera
autonoma e lo utilizza secondo le regole previste e funziona solo se utilizzato in maniera
corretta
(es. l'incastro di forme funziona solo se le varie forme vengono posizionate in maniera
corretta, altrimenti il materiale stesso non incastrandosi dà una sorta di feedback al bambino,
che deve provare e riprovare, in questo senso è autocorrettivo). → “Aiutami a fare da solo”
Inoltre il materiale ha un solo funzionamento (si dice che isolano gli stimoli), ad esempio la
torre di ordinamento di grandezze (dal più grande al più piccolo) è formata da cubi tutti rosa,
in modo che il bambino si concentri solo sulla grandezza di quest'ultimi (se fossero di diversi
colore i bambini potrebbero ordinarli in base ai colori e non le grandezze).
Maria Montessori sostiene poco il gioco simbolico e l'uso della letteratura per l'infanzia,
inoltre troviamo poco anche gioco di gruppo, infatti preferisce il lavoro individuale.
- Rosa e Carolina Agazzi sono due sorelle che aprono delle scuole che cercano di
riprodurre l'ambiente familiare, sembrano proprio delle case → l'idea era quella di
istruire i bambini in un ambiente il più possibile simile al loro ambiente di vita.
Le cianfrusaglie alludono a tutti gli oggetti che esistono all'interno della casa familiare, che
diventano elementi di educazione.

- Allievi di Dewey:
o William Kilpatrick→ famoso per aver portato dentro la scuola il metodo per
progetti, quindi una scuola in cui tutto il programma di studi è articolati attraverso
progetti (gli allievi devono progettare qualcosa, es. un elaborato, un artefatto o
manufatto, la risoluzione di un problema) → un progetto presuppone tante
capacità, abilità e competenze che devono acquisire gli alunni (pianificazione,
conoscenze tecniche e specifiche, ecc), promuove moltissimi apprendimenti
o Helen Parkhurst → autrice che inaugura il modello di scuola costituita da un
sistema di laboratori specializzati, una scuola dove non ci sono le classi con i
propri insegnanti, ma esistono molti laboratori attrezzati e permanenti nella quale
gli insegnanti svolgono diverse attività (di tipo: scientifico, artistico, linguistico,
legati ai mestieri come falegnameria, fotografia). Ricorda molto il modello di
scuola americano.

Aspetti fondamentali e comuni tra tutti questi tipi di esperienze:


1. Puerocentrismo: il bambino è al centro dell'esperienza, ha libertà di scelta, ma le scelte
sono comunque vincolate dall'insegnante all'interno di un ambiente chiuso molto strutturato;
2. Valorizzazione del fare (learning by doing): apprendimento attraverso l'esperienza. Dare
valore all'esperienza non significa togliere valore alla conoscenza, bisogna fare in modo di
innestare la conoscenza nell'esperienza, ossia fare acquisendo apprendimenti;
3. Motivazione nell’apprendimento: un allievo motivato ad apprendere, è un allievo che
apprende meglio. Quindi il fare esperienza viene considerata una caratteristica che fa
accrescere la motivazione (la falegnameria di Freinet, le cianfrusaglie delle sorelle Agazzi, i
materiali di Montessori, ..). → questa ipotesi trova la conferma oggi nella psicologia
dell'apprendimento;
4. Studio di ambienti di apprendimento: attenzione nello studio e costruzione dell'ambiente
di apprendimento (scuole Montessoriane, scuole senza zaino oggi). Anche oggi l'insegnante
deve dedicare parte del suo tempo di lavoro per allestire l'ambiente in maniera funzionale a
seconda dell'esperienza che vuole fare (disposizione banchi, materiali, angolo di lettura, ecc).

Gli anni Cinquanta


Negli anni Cinquanta la società attraversa un momento di difficoltà che mette sotto accusa la
scuola:
1. La scuola diventa una scuola di massa, è una grande conquista sociale ma bisogna
fronteggiare questa grande massa di persona che accede alla scolarizzazione
La sfida più grande è offrire un buon livello di scolarizzazione a tutti → esigenza di definire
un approccio razionale all’organizzazione didattica, alla sua strutturazione sequenziale, alla
valutazione oggettiva degli apprendimenti.
2. Periodo di guerra fredda tra USA e URSS, conflitto di natura politica, tensione per il
predominio militare sullo spazio e minaccia delle armi nucleari.
In questo clima di tensione sociale l'Unione Sovietica vince il primato di conquista dello
spazio con il lancio dello Sputnik (1957) e questo decreta la superiorità scientifica dell'URSS
rispetto all'America.
La scuola cosa centra? Se l'Unione Sovietica aveva dato prova di un maggior sviluppo
scientifico si pensa che il modello scolastico sovietico fosse più funzionale e si mettono in
discussione tutti i modelli di esperienza delle scuole progressiste Americane.
Parte così un movimento che riformerà totalmente la scuola → curriculum movement
La critica a Dewey secondo cui tutte quelle esperienze sono molto belle,ma bisogna
razionalizzare il lavoro scolastico.
Nel 1949 Tyler pone alcune domande fondamentali, ancora oggi fondamentali su cui si
costruisce il fare scuola:
quali sono le finalità educative che la scuola dovrebbe raggiungere?
quali esperienze educative saranno attuate?
come possono essere organizzate?
in che modo si può verificare il raggiungimento delle finalità?

Lezione 4
10/03/2021

Le domande fondamentali su cui noi costruiamo ????????

Domanda: lei aveva detto che i metodi didattici sono un po le immagini delle esigenze della
società nel momento in cui vengono ricercate e attuate quindi qual è l’esigenza attuale delle
didattica? Mario Lodi lo approfondiremo ulteriormente?
Rispetto alla situazione attuale, la scuola in questo momento sta un po reclamando
l’adeguamento delle conoscenze per includere alcuni ambiti che non sono finora stati
introdotti. Ne abbiamo una testimonianza con l’introduzioni delle legge 92 che ha re-
introdotto l’educazione civica e nonostante che avessimo già alcuni elementi che ci
provengono dalle auto potenze europee ecc. si è ritenuto di formalizzare questa attività con la
legge 92 del 1029 che impone a tutti i livelli scolastici dall’infanzia alla scuola secondaria di
secondo grado l’insegnamento dell’educazione civica. C’è all’attivo ancora un movimento,
un tavolo al ministero per l’introduzione dell’attività di coding o di pensiero computazionale
o di informatica che dir si voglia e anche di riforma del sistema di formazione degli
insegnanti che preveda una competenza informatica un po più consolidata. Adesso è stata
introdotta la proposta dell'insegnamento di rudimenti di economia. Quindi la società sta
facendo valere in questo momento alcune istanze che riguardano l'introduzione di nuovi
saperi che è un'operazione per certi versi interessante ma va amministrata molto bene perchè
altrimenti i percorsi formativi è come se si riempissero, non li possiamo rimpinzare di nuovi
contenuti senza trovare delle ingegnerie diciamo curricolari e dei modelli che riescano a
operare su queste discipline in maniera sinergica anche agli altri assi culturali. Un’altra
tendenza è quella di un certo rifiuto dell’istruzione, si ha paura dell’istruzione e si salutano
approcci costruttivisti come se fossero invece più positivi, più produttivi e invece se si
interroga la ricerca si scopre che non è così. Però in questa alternanza per esempio tra un
primato del conoscere e un primato del fare indubbiamente oggi hanno più appeal, e parlerei
di appeal e non di efficacia sperimentale, gli approcci che sono orientati al fare. Qua
bisognerebbe che gli insegnanti fossero molto critici perchè, come dicevo ieri non c’è
conoscenza senza azione e non c'è azione senza conoscenza e bisognerebbe dal mio punto di
vista che gli insegnanti conoscessero la conoscenza, cioè bisogna conoscere le dinamiche di
generazione e di genesi e di evoluzione del sapere perché è li che poi si nascondono anche
tutti quei meccanismi che servono per costruire la conoscenza anche a scuola e per far
costruire la conoscenza agli allievi perché gli allievi fanno un po il lavoro dei ricercatori,
costruiscono una conoscenza nuova anche se è solo nuova per loro. Quindi vedo che le
tendenze sono soprattutto queste due, e l’altra è un po la smania valutativa nel senso che la
scuola si è molto preoccupata di valutare senza però poter dare agli insegnanti una
competenza docimologica forte e quindi mi sembra che ci sia una frenesia valutativa. La
valutazione è assolutamente importante però le modalità della valutazione vanno ponderate
molto bene. E anche questo diciamo è un aspetto che in questo momento è fortemente
dibattuto. Un ultimo aspetto fortemente dibattuto che è venuto all’attenzione soprattutto in
periodo di pandemia è la questione della didattica digitale, si tende a fare a distanza la stessa
didattica che si faceva in presenza e questo è sbagliato e non si capisce che la didattica a
distanza è funzionale per fare un certo tipo di operazioni e meno funzionale per farne altre.
Quindi bisogna fare la didattica a distanza per ciò che la didattica a distanza può permettere
di fare con i bambini, diverso è poi farla con gli adulti che hanno già una propria autonomia
di comprensione e di studio e quindi il discorso cambia. Quindi questi mi sembrano un po i
settori che ritengo essere più attenzionati indubbiamente in questo nostro periodo storico e i
segni tangibili di questo comune sentire li rintraccio in queste istanze che vengono richieste
alla scuola continuamente. Si richiede molto alla scuola ma si investe poco sulla formazione
degli insegnanti e si investe poco anche sulla ricerca nel mio settore e quindi le due cose non
vanno tanto bene insieme.
Quanto al discorso di Mario Lodi non un didatta, offre come tanti altri autori che sono
protagonisti di esperienze particolari degli ottimi spunti alla didattica e quindi Mario Lodi
così come Rodari, così come Munari, così come maestri del passato come Manzi, come
Montessori che abbiamo visto insomma come tanti altri offrono degli spunti che però devono
essere contestualizzati. Guai ad innamorarsi di esperienze in maniera totalitaria perché quelle
non vanno ad incidere sulla scuola, permettono di fare delle buone esperienze di cui è bene
capitalizzare i risultati però la scuola non cambia se adotta,come dire se diventa una scuola
senza zaino, se diventa una scuola flipped, il grosso della scuola nella società non cambia,
bisogna conoscere queste esperienze, approfondire, normalmente offrono buoni spunti e
diventano anche motivazionalmente rilevanti per rigenerare il mondo della scuola però poi
evidentemente bisogna mettere mano agli assi portanti dell'organizzazione scolastica in
primis il curricolo con tutto quello che ne deriva e quindi l’individuazione delle conoscenze,
la strutturazione degli ambiti di apprendimento e poi anche le modalità della valutazione.
Quindi un approfondimenti su Mario Lodi in questo momento non mi è possibile, però ecco
se si imbatteva in qualcun altro poteva essere qualcun altro come dire Malaguzzi, sono tutti
personaggi che hanno fatto delle proposte molto interessanti che da un punto di vista culturale
è bene conoscerle perchè possono innervare la nostra didattica di spunti molto interessanti
che possono vivificare, diciamo così, un po il lavoro didattico.

Allora noi eravamo arrivati al mastery learning, dunque la slide precedente, c’eravamo
soffermati su Tyler, un momento importante perchè dicevamo scrive questa opera nella quale
configura i problemi chiave della didattica e questi problemi chiave la didattica ce li ha
ancora no perchè non li abbia risolti ma perché rappresentano gli interrogativi fondamentali e
quindi tutto quello che pensiamo nella didattica in realtà in una maniera più o meno diretta va
a contribuire a questi interrogativi, cioè a rispondere a questi interrogativi. Perchè in questi
interrogativi è contenuto il senso dell’educazione scolastica e quindi i suoi scopi, il tipo di
esperienza che viene allestita, il tipo di organizzazione che permette di raggiungere questi
obiettivi e infine anche la verifica dei risultati. Allora nella stagione nella quale ci stiamo
idealmente collocando, cioè dopo la stagione dell’attivismo, in relazione a quei due eventi
sociali: la scolarizzazione di massa e il primato dello spazio conquistato dall'unione sovietica
contro gli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’America intraprendono una revisione totale
del sistema scolastico americano e in particolare del curriculum, loro lo chiamano curriculum
alla latina, curriculum anche quindi il sostantivo anglosassone che noi invece abbiamo
tradotto in italiano come curricolo, una riforma del curriculum cioè una riforma dei percorsi
di studio, sia in senso istituzionale cioè come si conformano il percorso di studio della scuola
primaria o della scuola secondaria, sia anche le scelte che riguardano i contenuti e i metodi di
insegnamento. Questa revisione del sistema scolastico americano si chiama curriculum
movement proprio movimento del curricolo ed è un movimento che coinvolge, questa è la
cosa interessante, sia gli scienziati delle diverse discipline sia le persone che lavorano nella
scuola, quindi insegnanti, esperti, persone che si occupano di redigere la normativa scolastica,
istituzioni ecc. Questo curriculum movement, questo movimento di persone che si adoperano
per revisionare i percorsi di studio lavorano insieme e gli scienziati dal canto loro mettono a
servizio alcune sperimentazioni che nascono soprattutto in ambito di insegnamento delle
scienze, quindi sono soprattutto gli scienziati che proprio per le faccende legate allo Sputnik,
si mettono a pensare al perché la scienza non abbia prodotto, diciamo così, non sia insegnata
in maniera adeguata e quindi lavorano a delle sperimentazioni per rinnovare l’insegnamento
scientifico all’interno delle scuole. E durante questo curriculum movement avviene un fatto
importante che è questa conferenza di Woods Hole del 1959. Guardate un po le date: il lancio
dello Sputnik è 1957 segue un periodo diciamo di fermento, si solleva la necessità negli stati
uniti di revisionare il sistema scolastico e si affida a Jerome Bruner, un autore che è molto
interessante leggere e che è un autore il cui pensiero ha un'evoluzione e un cambiamento
anche molto marcato, questo è il primo Bruner degli inizi degli anni 60, poi bruner lavorerà
fino alla fine degli anni 90 dando moltissimi altri contributi importanti alla scuola e anche al
discorso didattico. Gli stati Uniti affidano a Jerome Bruner la conferenza di Woods Hole, cioè
immaginate questi come un grande convegno nel quale sono riuniti scienziati e personalità
del mondo della scuola ma anche insegnanti per cercare di capire come poter innovare la
scuola e farle conquistare diciamo quel gap che sembrava aver perso dopo l’affermazione
dell’attivismo. I lavori di questa conferenza sono dei lavori che sono stati anche pubblicati e
che noi oggi possiamo leggere, in particolare li possiamo leggere in un testo di Jerome Bruner
che in italiano è stato pubblicato da Armando editore e il cui titolo è “il processo educativo
dopo Dewey”, è un titolo eloquente, il processo educativo dopo Dewey, cioè come a dire
come cambia l’educazione dopo la grande affermazione dell’attivismo deweyano.
L'Attivismo Deweyano abbiamo visto aveva avuto tanti punti di forza, il puerocentrismo, la
motivazione, le cose che abbiamo discusso ieri, l’attenzione agli ambienti di apprendimento
ecc. però aveva avuto il limite di non garantire un’esperienza organica e neanche
un’esperienza controllabile da un punto di vista di uno Stato perché queste esperienze, la
scuola di Frenet, le scuole progressiste, le scuole per laboratori kilpatrick con progetti ellen
parcust con laboratori, insomma rappresentano realtà molto diverse tra loro che non danno
garanzia di omogeneità di risultati e invece in questo periodo di riforma si afferma l’esigenza
di dare razionalità e organizzazione e controllabilità al lavoro scolastico. La società chiede
alla scuola di di raggiungere certi esisti in maniera garantita e uniforme nei vari Stati
all’interno dei vari contesti nazionali e questo richiede alcuni interventi sull’organizzazione
del curricolo. Quindi da una parte l’esigenza della razionalizzazione e quindi
dell’organizzazione del lavoro scolastico dall’altra c’era un altro elemento, non so se
qualcuno di voi magari non so magari studiando filosofia o studiando altre discipline si è
imbattuto nello strutturalismo, strutturalismo linguistico, strutturalismo matematico,
strutturalismo pedagogico, lo strutturalismo è una corrente di pensiero di quegli anni che
rintraccia nelle strutture delle diverse discipline di studio gli elementi fondamentali in campo
didattico anche per la loro acquisizione es. la linguistica da spazio allo strutturalismo
linguistico di de Saussure, la matematica viene descritta attraverso le strutture del movimento
urbachista (?) con le stesse strutture su cui poi anche Piaget costruirà il proprio modello di
mente matematica o mente scientifica prospettata dall’epistemologia genetica di Jean Piaget.
In quel periodo diciamo quindi tutte le discipline cercano di ri-descrivere sé stesse andando a
ricercare le proprie strutture fondamentali. Queste strutture fondamentali delle discipline
diventano anche l’elemento su cui questo processo di revisione dei curricula punta
l’attenzione. E quindi si dice che per rinnovare i curricolo bisogna andare a insegnare le
strutture. é in questo contesto che lavoro Bruner ed è questa la proposta che Bruner avanza
anche alla conferenza di Woods Hole presentando quell’ideale anche di apprendimento a
spirale, che è un canone ormai bruneriano, come quando si parla di attivismo si pensa a
Dewey, quando si parla di apprendimento a spirale si pensa a Bruner. L'apprendimento a
spirale: espressione metaforica quando diciamo che qualcosa ha una struttura intendiamo dire
che questo qualcosa si compone di elementi portanti, è come un'architettura che ha una
struttura di cemento armato, si vuol significare che nel caso dell’architettura quell’edificio è
costituito da una serie di elementi architettonici che ne costituiscono lo scheletro, la struttura.
Quindi la metafora è presa dell'architettura e dell'ingegneria. Se ciò che si deve costruire non
è un edificio architettonico ma è ad esempio l’edificio del sapere, è un dominio di sapere, è
un campo di conoscenze, allora le strutture sono gli elementi fondamentali attorno ai quali
costruire, far coagulare tutte le altre conoscenze es. le strutture della matematica possono
essere alcuni tipi di concetti come gli insiemi numerici. Gli insieme numerici quindi naturali,
razionali, irrazionali ecc. insiemi con le loro operazioni con la definizione di operazioni ecc..
costituiscono le strutture. Si potrebbe dire che sono strutture nella matematica non solo i
numeri i ma anche i diversi tipi di spazi geometrici, voi conoscete lo spazio geometrico
euclideo ma in realtà di spazi geometrici ce ne sono tantissimi, anche una sfera è uno spazio
geometrico in cui le rette sono delle circonferenze massime delle geodetiche (?) cosiddette.
Allora spazio geometrico e figure con i concetti di estensione ecc. sono strutture. Sono
elementi fondamentali, possono essere concetti, possono essere procedure es. anche la
risoluzione di problemi che è un modo in cui la matematica costruisce sé stessa lo
consideriamo una struttura, un aspetto fondamentale. Se fossimo in ambito invece linguistico
potremmo considerare strutture, dei nuclei essenziali come il parlato o lo scritto, sarebbero
più dei nuclei fondanti ma a noi la differenza non ci interessa tanto in questo momento.
Quindi sono gli elementi fondamentali attorno ai quali è possibile descrivere e costruire un
sapere. Un altro esempio di struttura sono per esempio in storia, alcuni elementi fondamentali
sono le periodizzazioni, la strutturazione del tempo storico, un’altra struttura fondamentale
per fare storia è la ricostruzione storica, che sia una ricostruzione di eventi, di periodi, di
civiltà ecc.
Questa ricerca delle strutture portava i revisori dei curricula ad individuare le strutture anche
come i nuclei attraverso cui poter articolare i diversi percorsi formativi. Anche per Bruner le
strutture avevano un’importanza molto rilevante e l’apprendimento a spirale a cui lui allude si
rifà proprio a queste strutture. In che senso? Immaginate una spirale. La Spirale è come uno
schema grafico che torna sempre su sé stesso ma io posso anche come dire immaginate una
spirale che si arrampica su un asse, io ritorno sempre nello stesso punto ma ci ritorno ad una
quota più alta via via che questa spirale aumenta. Con questa immagine, Bruner, voleva
significare che si può insegnare le strutture fondamentali anche ai bambini piccoli, quindi in
percorsi di studio che vanno dai bambini più piccoli via via crescendo, ma che sono, le stesse
strutture e gli stessi elementi fondamentali di una disciplina, sono affrontati a livelli sempre
più elevati, di specializzazione o di profondità a seconda di come ci si vuol esprimere in
questa metafora, sempre più elevati, sempre più approfonditi. Allora Bruner diceva, si
possono dare delle intuizioni sui numeri ai bambini piccoli già dalla scuola dell’infanzia che
sono elementari ma sono matematicamente corrette e allora nelle prime classi della scuola
primaria li andremo a riprendere e li andremo ad approfondire, e ad arricchirli e quindi si
riprenderanno gli stessi insiemi numerici es. i numeri naturali ma sui numeri naturali si
comincerà ad operare in maniera simbolica anziché in maniera solo concreta, poi si crescerà
ancora e si andrà a operare in maniera con le operazioni razionali, poi oltre le operazioni
razionali si andranno a introdurre es. alla scuola superiore anche le funzioni ecc. Quindi
l’insegnamento a spirale di Bruner significa che si può insegnare tutto a tutti se privilegiamo
l’insegnamento delle strutture fondamentali di una certa disciplina. Tutti quelli che
partecipano alla conferenza di Woods Hole, siccome siamo in epoca strutturalista cercano di
ritrovare queste strutture e di articolare la revisione dei curricula e questa proposta attraverso
le strutture delle diverse discipline. Se qualcuno ha voglia di approfondire in futuro questo
argomento il testo appunti che vi consiglio è il testo del 1960 di bruner “il processo educativo
dopo Dewey”. Siamo arrivati a questo punto al 1960. Ci resta da arrivare ai nostri giorni. Tra
gli anni 60 e 70 avvengono queste due cose: la revisione dei curricula in America che poi
passa anche in Europa, nella nostra scuola soprattutto negli anni 70, quindi circa un decennio
più tardi; e la revisione dei contenuti attraverso lo strutturalismo e anche un pò la revisione
dei metodi attraverso questa esigenza di razionalizzazione del lavoro scolastico. Per spiegare
la razionalizzazione del lavoro scolastico si fa l’esempio del mastery learning perchè è un
metodo di insegnamento. Mastery learning significa apprendimento per padronanza, è un
metodo di lavoro scolastico (slide 6 del powerpoint mastery learning caricato su blended).
Nella teoria del mastery learning si parte dall’idea che tutti possono raggiungere gli obiettivi
di apprendimento che abbiamo previsto se si ha cura di adattare la proposta di istruzione alle
caratteristiche degli allievi che devono apprendere. Quindi l’assunto che vedete nel secondo
punto di questo elenco puntato è che: soggetti diversi, allievi diversi hanno bisogno di cose
diverse, di condizioni diverse per poter apprendere tutti al meglio e queste condizioni
riguardano delle variabili individuali di apprendimento tra cui il tempo per apprendere e altre
condizioni favorevoli. Quindi l’idea è che l’apprendimento di ciascuno di noi dipende da
alcune caratteristiche individuali tra queste caratteristiche individuali ci sono vari aspetti, uno
è il tempo a volte si dice anche ritmo di apprendimento individuale però ci sono anche altri
aspetti come le modalità preferenziali di apprendimento o gli stili cognitivi ma anche per es.
il livello delle conoscenze pregresse. Allora il mastery learning è un metodo di insegnamento
che tiene conto di queste caratteristiche individuali, che tiene conto del fatto che bisogna
concedere più tempo a chi ha bisogno di più tempo e che bisogna variare la proposta didattica
a seconda delle caratteristiche che l’allievo presenta. Come si fa a fare questa cosa? (slide 13)
Vi presento uno schema che così è un po più veloce a capire.

Immaginiamo che questo sia lo schema con cui organizzare una sessione di lavoro didattico:
si parte da una certa unità 1, cos’è l’unità 1? é un primo segmento di istruzione immaginate
che corrisponda ad una spiegazione, all’introduzione di un concetto, a un primo lavoro
assegnato agli allievi. Si introduce un concetto, si fanno degli esempi, si fa un certa attività.
Quindi immaginate che questa uit 1 corrisponda a un’unità di apprendimento che serve
all’insegnante per presentare un certo contenuto attraverso un certo numero di attività. A
questa unità di apprendimento corrispondono alcuni obiettivi, cioè l’insegnante propone
quell’attività di apprendimento per far conoscere delle cose, per insegnare delle cose e per
insegnare a fare delle cose, ha degli obiettivi di apprendimento diremmo. Allora, una volta
che si è fatto questo primo segmento di istruzione c’è una fase che è indicata con A formative
assessment che si chiama di valutazione formativa è una prova che consente all’insegnante e
agli allievi di verificare se le conoscenze che erano attese e le abilità che erano attese sono
state raggiunte da tutti gli allievi, quindi si fa una prova di verifica di quelli che erano i
contenuti e gli obiettivi di questa unità. A questa prova di valutazione gli allievi
risponderanno in maniera diversa. Ci saranno alcuni allievi che sapranno delle cose ma altre
saranno rimaste un pò più oscure, sapranno fare delle cose ma non tutti sapranno fare tutto. E
allora si suddivide, si potrebbe suddividere la classe in gruppi di livello in maniera che
facciamo fare delle attività di recupero agli allievi che non abbiano raggiunto le stesse
conoscenze o le stesse abilità, quindi ecco qua è diviso solo in due ma potrebbero essere più
di due cioè io potrei fare un gruppo di recupero tra coloro che non hanno raggiunto un primo
obiettivo, un altro gruppo di recupero tra coloro che hanno raggiunto il primo obiettivo ma
non il secondo ecc. mentre a coloro che hanno raggiunto tutti gli obiettivi propongo non
un’azione di recupero ma un’azione di approfondimento o una attività di espansione, di
arricchimento dei contenuti che avevo proposto nella prima unità. é molto utilizzato, è un
metodo che ha dimostrato la propria efficacia, ha un effect size molto elevato cioè un
indicatore di efficacia, è stato provato in tutti i paesi del mondo insomma, è un sistema
abbastanza intuitivo che porta certamente a migliorare i livelli complessivi del rendimento
degli allievi in classe. La cosa interessante da comprendere e da capire è che quando si fa
questa divisione in gruppo e si propone un arricchimento o si propone soprattutto un
recupero, qua l’insegnante deve incidere sulle variabili individuali d’apprendimento, non è
che rifà da capo quello che aveva fatto nell’unità uno, bisogna intercettare le caratteristiche
degli studenti perché se gli studenti non hanno reagito bene a questa unità 1 così come c’era
da aspettarsi, significa prima di tutto che gli è mancato un pò di tempo di apprendimento,
quindi il fatto di farli lavorare ancora su quelle cose significa aumentare il tempo concesso e
quindi chi ha un ritmo di apprendimento più basso, con questo tempo aggiuntivo può arrivare
a raggiungere l’obiettivo e poi non solo il tempo ma anche altre caratteristiche. Per esempio
se io ho fatto lavorare soprattutto su testi scritti possono variare le fonti di informazione e tra
le fonti di informazione è bene che io introduca anche delle fonti alternative quindi magari se
ho fatto lavorare su un libro di scuola, faccio lavorare su altri tipi di testi, se ho lavorato solo
su libri, faccio lavorare su libri, su immagini, su libri e su video. Quindi vado a diversificare
l’offerta formativa. Vado a diversificare la mia proposta di istruzione. La diversificazione
della proposta di istruzione permette di intercettare le differenze individuali degli allievi in
maniera che dei contenuti trattati in formati differenti gli allievi rispondano meglio, non solo
perché il tempo loro concesso è aumentato ma anche perché ci lavorano con altre modalità, ci
potrebbero lavorare in gruppo anzichè individualmente, potrebbero lavorare con materiali
diversi oltre a continuare a lavorare quindi ad avere più tempo. Tutte queste caratteristiche
favoriscono l’apprendimento. Un’ulteriore variazione è rendere disponibili le conoscenze
pregresse. Se il motivo per cui ci sono stati degli errori perché le conoscenze pregresse non
erano così solide, si permette il recupero delle conoscenze pregresse in maniera che sia
possibile per l'allievo capire il legame tra le conoscenze pregresse che magari non sono così
consolidate e le conoscenze attuali. Dopo questo lavoro di diversificazione dei contenuti degli
stessi contenuti ma in forma diversa sia per chi deve arricchire sia per chi deve correggere, si
rifà una prova di valutazione formativa che è perfettamente analoga a quella che avevo fatto
prima, cioè vado sostanzialmente, la prova è diversa ma molto simile in maniera che ciò che
voglio verificare siano sempre le stesse cose, quindi verifico attraverso un medesimo tipo di
prova le stesse cose, fino a che tutti non hanno raggiunto almeno le padronanze minime
necessarie per poter passare all’unità 2. Ovviamente questi c’erano già e quindi vanno
sicuramente, vedete l’intervento formativo riguarda solo chi aveva bisogno di un pò di tempo
in più e di diversificare e di avere una proposta un po differenziata. dopo di che, una volta
usciti da questa prova di valutazione che questa volta è B, io posso passare all’unità 2. Quindi
il metodo di mastery learning passa all’unità di lavoro successiva solo quando tutti gli allievi
hanno raggiunto gli obiettivi minimi per poter passare all’unità successiva. Questo è
importante perchè lo ritroverete anche in molti contesti, anzi le domande sul mastery learning
e sull’individualizzazione dell’insegnamento li trovate ancora a fine concorsi. Nell’ultimo
concorso di accesso al corso di specializzazione per il sostegno c’era l’individualizzazione.
Questa è una strategia di insegnamento individualizzato perché si fa carico delle
caratteristiche individuali dell’apprendimento. L’apprendimento di ciascuno di noi dipende
sempre un pò dagli stessi fattori, dal tempo che abbiamo a disposizione per fare il compito,
quindi il ritmo di apprendimento, alle conoscenze pregresse e anche alle nostre modalità
preferenziali di apprendere.
Andrebbe attivata per ogni unità che si vuole gestire diciamo in questo modo, è
particolarmente adatta per quegli apprendimenti che sono abbastanza come dire didascalici,
per gli apprendimenti abbastanza di breve periodo, non è adatta per esempio per lo sviluppo
di competenze di lungo periodo. Se io voglio sviluppare una competenza di risoluzione di
problemi allora il mastery learning funziona ma potrebbero funzionare meglio anche attività
di tipo diverso. Ma se io voglio insegnare gran parte di conoscenze diciamo di contenuti e di
abilità abbastanza circoscritte quindi obiettivi di apprendimento di breve o di medio periodo
allora il mastery learning che comporta l’organizzazione di queste unità di lavoro, di queste
unità didattiche è piuttosto efficace. Anche questo ciclo correzione e arricchimento,
correzione e arricchimento può essere prodotto anche più volte, non è detto che con un solo
recupero si arrivi qua, dipende quale era il risultato di questa valutazione formativa. Se era un
risultato molto scadente allora significa che avevo tarato un pò male rispetto al livello degli
allievi l’attività didattica.
Tornerei al nostro altro elenco (powerpoint). Abbiamo detto quindi che in questo periodo
siamo nel 1971 c’è un’esigenza di razionalizzazione. Non so se la vedete l’esigenza di
razionalizzazione ma di certo possiamo comprendere che il passaggio da un’unità all’altra è
un assaggio di cui viene accertato l’esito e allora non stupisce il fatto che proprio in una
stagione nel quale si vuole che la scuola dia conto degli esiti che raggiunge in termini di
apprendimento si affermino metodologie di lavoro che hanno nel meccanismo di alternanza
tra segmenti di istruzione e segmenti di valutazione il loro punto centrale.
Se devo dire la verità ne abbiamo fatto una regola anche troppo rigida. La scuola spesso
sembra un’alternanza tra spiegazione e valutazione, questo accade soprattutto alla scuola
secondaria e questo è senz’altro una cattiva lettura di questa esigenza di razionalizzazione o
di questa affermazione del mastery learning, anche perchè spesso scompare la fase proprio
più interessante cioè la valutazione formativa, i lavori di approfondimento o i lavori invece di
differenziazione dell’offerta didattica. In quel caso rimane solo davvero l’alternanza tra
spiegazione e valutazione e quindi è un pò, come riuscite a intuire, una deformazione di
alcuni principi della didattica, quindi la prassi didattica ha appiattito le teorie didattiche in un
parassi povera rispetto ai presupposti sui quali è nata, per questo bisogna conoscere un pò
questi presupposti, per essere poi anche più critici sotto tutti questi aspetti.
Abbiamo gli anni Settanta vengono dopo la rivoluzione, i movimenti del 68 quindi c’è una
spinta antiautoritaria e di descolarizzazione del sistema scolastico, c’è un periodo di
contrapposizione della società soprattutto della società giovanile che vuole una scuola
partecipata, democratica in cui si indebolisca diciamo la rigidità dell’insegnamento per
discipline. Questo è un periodo, quello degli anni 70, in cui, come l’intervento che abbiamo
fatto all’inizio della lezione, si riflette molto anche sul mondo della scuola e quindi la
didattica come disciplina, in questo periodo si trova a fronteggiare una richiesta che viene
soprattutto dalla società e quindi a dover rivedere un po' i modelli dell’organizzazione
scolastica. Una delle conseguenze riguarda, in questo periodo l’accrescimento di tutti gli
organi collegiali della scuola quindi sistemi che garantissero una partecipazione democratica
dentro la scuola a tutte le parti interessate per esempio le rappresentanze dei genitori è del
1974 la legge sui decreti delegati. La legge sui decreti delegati porta la popolazione
all’interno delle istituzioni, per esempio all’interno dei consigli comunali, all'interno dei
consigli di scuola proprio perché in quel periodo era forte l’esigenza di una scuola che
riflettesse diciamo anche al suo interno di questo stile partecipativo e democratico. é il
periodo anche dell’affermazione di alcuni modelli antiautoritari. Tra i modelli antiautoritari è
molto famoso il modello quello di una scuola Anglosassone Tumber Hill (?) perchè è un
modello nel quale diciamo c’è una totale liberalizzazione del percorso di apprendimento nel
senso che ci sono sperimentazioni, e nascono delle scuole in questo periodo in cui non c’è un
vero e proprio programma di studio organizzato in maniera disciplinare, quindi diviso per
discipline e gli allievi quindi un pò scelgono le attività che vogliono fare. Insomma come
potete ormai intuire dopo che dai primi decenni del Novecento c’era stata tutto il periodo
dell’attivismo poi ci sono stati molti decenni nei quali si va invece a chiudere, a rendere più
sistematico, organizzato e razionale il lavoro scolastico e allora poi si ritorna a far valere altre
istanze più antiautoritarie, più liberali ecc. Quindi la scuola è un po' lo specchio della società
da questo punto di vista e quindi si assiste sempre nella scuola all’alternanza di movimenti di
fatto che replicano la dialettica che c’è sempre nel discorso didattico. La dialetti per esempio
tra l'autorità e la libertà, tra il lavoro organizzato e centralizzato al lavoro libero, l’abbiamo
trovato già dal 1700 in Jean Jacques Rousseau e lo ritroviamo negli anni 70 e lo ritroveremo
ancora, perchè come dicevo l’altra volta, queste antinomie sono costitutive, non si possono
mai eliminare perchè c’è un valore sia nella libertà che nella autorità o autorevolezza, c’è un
valore nella razionalizzazione del lavoro scolastico ma c’è un valore anche nella
liberalizzazione delle scelte degli allievi. Quindi la soluzione è sempre e solo porre in
dialettica questi due estremi, i poli di queste antinomie e farli agire in una dialettica, talvolta
privilegiare uno di questi poli sapendo però che non possiamo del tutto trascurare l’altro polo
antinomico e viceversa perché entrambi devono far valere le proprie istanze.
Risposta a una domanda: Si potrebbe dire che società e scuola non si rincorrono ma si
trasformano insieme, come un processo di coevoluzione. Certamente per alcune questioni che
riguardano l’evoluzione della conoscenza, le tendenze che si affermano a livello di
produzione della conoscenza, ricadono dopo un po di tempo nella scuola, perché le cose che
nascono dalla comunità scientifica arrivano alla scuola dopo un po di tempo, diciamo così,
dopo che sono diventate pervasive della società e della cultura. La scuola è immersa nella
società è un’istituzione sociale e quindi possono arrivare anche un po più tardi. Però invece ci
sono altre modificazioni che sono secondo me invece contemporanee. Pensate per esempio
oggi la nostra società è una società che è sensibile ai problemi della sostenibilità ambientale.
Questa sostenibilità è stata fatta materia di studio da discipline, da ambiti di studio
interdisciplinare, come la biologia, l’economia, l’ecologia ecc. però poi è diventata materia
diciamo dei governi europei e anche materia da affrontare in ambito scolastico. In questo caso
si può dire che c’è una coevoluzione tra la sensibilità della società ai problemi della
sostenibilità e la sensibilità della scuola ai problemi della sostenibilità quindi io direi che può
essere anche il viceversa. Se la scuola per esempio manifesta un problema forte che può
riguardare in quest’ultimo periodo per esempio un pò un’emergenza di tipo educativo, le
povertà educative oppure anche l’emergenza che riguarda l’educazione morale Questo
decadimento diciamo di senso di responsabilità collettiva lo si sperimenta tanto nella società
quanto nella scuola. Però la scuola in questo caso si fa contesto per cercare di trovare delle
vie di risoluzione, perché attraverso l’educazione si possono risolvere alcuni mali della
società. In quel caso la scuola diventa promotrice e quindi si fa volano.Noi viviamo in una
società in cui le persone tendono ad essere irresponsabili da un punto di vista civile,
comunitario. cioè sono molto concentrati su una responsabilità che riguarda sé stessi nella
migliore delle ipotesi, non sempre, ma insomma su un benessere individuale e se ne fregano
diremmo o comunque molto poco sentito il problema che la responsabilità individuale è
connessa alla responsabilità collettiva, cioè che il mio agire personale ha un impatto forte
sulla società. Ora questi che è uno dei mali sociali ai quali fanno capo la corruzione,
l’evasione fiscale, fanno capo tanti fenomeni a questo difetto dell’assunzione della
responsabilità individuale come tassello della responsabilità collettiva, come si rimedia? Non
si rimedia tanto e solo con le leggi ma si rimedia soprattutto creando una coscienza civile
attraverso l’educazione. Bisogna cioè educare i bambini fin da piccoli ad un senso di
responsabilità condivisa, e questa educazione alla responsabilità condivisa, alla responsabilità
del bene comune deve essere in effetti portata avanti a tutti i livelli. A livelli elementari e
semplici come se davvero fossimo in un apprendimento a spirale nel quale si struttura la
nostra personalità e introiettare, facciamo propria, facciamo di questa responsabilità condivisa
proprio un costume, un habitus, un modo di pensare e un modo di comportarsi. Quindi direi
viceversa anche ciò che il movimento è nei due sensi anche se ovviamente a seconda delle
diverse questioni.
Gli anni Ottanta: la didattica cambia un po perché si avvale soprattutto di alcune acquisizioni
nel mondo della psicologia dell’educazione. Gli studi sul pensiero, gli studi sulla mente ci
informano e informano la didattica di come funziona la nostra mente, di come si costruisce la
nostra propria intelligenza e proprio sull’intelligenza ho citato in parentesi Gardner perchè
scrive nel 1983 il suo testo “sulle intelligenze multiple” e quindi sovverte l’idea fino allora
accreditata di un’unica forma di intelligenza per altro molto legata a forme di abilità
linguistica e logico-matematica che ha diciamo da quel momento in poi cambiato il nostro
modo di pensare alla sviluppo della mente e allo sviluppo dell’intelligenza. Gardner esordisce
nello studio di questa teoria delle intelligenze multiple proprio in relazione all’abitudine che
era invalsa nel tempo di misurare l’intelligenza attraverso dei test di intelligenza appunto che
ci sono ancora oggi, i test cosiddetti di QI, di quoziente intellettivo, di quoziente di
intelligenza che presentavano quesiti che per Gardner appartenevano a un paio di intelligenze
non a tutte le nostre intelligenze. E allora la teoria delle intelligenze multiple va a sovvertire
questo modo di pensare sostenendo che esistono molte tipologie di intelligenza e che
ciascuno di noi ha tutte queste intelligenze e che queste intelligenze però sono per ciascuno di
noi più o meno sviluppate. E quindi ciascuno di noi ha tutte le intelligenze ma alcune
intelligenze che possediamo per ciascuno di noi sono delle intelligenze più vivaci, più fertili,
più produttive, più sviluppate di altre. Questo fa sì che noi con maggior disinvoltura, con
maggiore facilità e con maggior profitto, lavoriamo meglio in certi ambiti che non in altri e
questo dipende da moltissimi fattori che hanno a che con la nostra crescita e con la nostra
esperienza, molto meno con il nostro DNA, molto più con la nostra crescita, con le esperienze
che ci hanno accompagnato nel corso della vita.
Gli anni 80 sono anche gli anni dell’avvento del costruttivismo. Il costruttivismo è ancora un
modo di pensare il funzionamento della mente di tipo cognitivista. Quindi anche il
costruttivismo lo inseriamo in quella ampia corrente di pensiero che chiamiamo cognitivismo
e che ha un grande successo negli anni 80. La didattica oggi recupera molto questa idea del
costruttivismo anche se francamente se dovessimo guardare ai risultati scientifici non sembra,
non ci risulta, non ci sono evidenze sperimentali del fatto che la natura informale
dell'apprendimento, la natura situata e sociale dell’apprendimento sia un fattore che incide
positivamente sull’apprendimento, sull’istruzione.Quindi è una prospettiva molto suggestiva
che ci aiuta a tenere in considerazione aspetti importanti del funzionamento della nostra
mente, quindi aspetti importanti su come articolare la didattica ma non abbiamo evidenze
sperimentali del fatto che sia più efficace assumere una prospettiva costruttivista che non
invece assumere una prospettiva cognitivista. Dicevo gli anni 80 sono anche gli anni 80 che
non vedono solo lo sviluppo di teorie della mente tra cui la teoria delle intelligenze multiple
di Gardner, vedono anche l’affermarsi del costruttivismo Il costruttivismo è una corrente di
pensiero interna al cognitivismo.
Il cognitivismo è un settore di studi che cerca, che ha cercato e cerca ancora tutt’oggi di
spiegare, di descrivere il funzionamento della nostra mente. Come spiega il funzionamento
della nostra mente il cognitivismo? Lo spiega attraverso l’idea che attraverso i sensi noi
percepiamo/apprendiamo le informazioni dall’ambiente esterno, quindi siamo immersi in un
ambiente nel quale vediamo, tocchiamo, vediamo, sentiamo ecco questi stimoli che ci
provengono dall’ambiente esterno sono come delle informazioni che la nostra mente elabora
per altro con il supporto della memoria sensoriale, della memoria a breve termine e della
memoria a lungo termine ma su questo non ci soffermiamo più di tanto. La concezione del
funzionamento della nostra mente per il cognitivismo è come quella di un elaboratore di
conoscenza, un elaboratore di informazioni. La prima fase del cognitivismo si chiama proprio
cognitivismo computazionale perché viene descritto la nostra mente come se funzionasse
come un computer. Un computer funziona perchè elabora delle informazioni che noi
mettiamo dentro il computer, per esempio attraverso una tastiera. Ecco, anche la nostra mente
elabora delle informazioni che arrivano dentro di noi attraverso i nostri sensi e questa
elaborazione corrisponde a dei processi cognitivi, processi di attenzione, processi di
memorizzazione, processi di analisi, processi di sintesi, processo di costruzione del
significato diremmo poi dopo in una fase più avanzata appunto con l’avvento del
costruttivismo. Sempre in questa idea di mente il costruttivismo da valore all’idea che questa
conoscenza di cui è intriso l’ambiente esterno e che io devo elaborare è una conoscenza che è
situata, che è collocata non solo diciamo nella mente delle persone ma anche negli oggetti, è
diffusa nell’ambiente e che quindi le persone non imparano solo individualmente per
interazione con l’ambiente esterno ma imparano perché sono a contatto con gli altri e lo sono
fin da quando nasciamo diciamo così. Bruner per esempio arriva negli anni 80 ad aderire a
questa prospettiva, quindi rimane nel cognitivismo però all’interno del cognitivismo anche lui
sostiene che la nostra cognizione, il nostro modo di conoscere dipende dal fatto che entriamo
in relazione con le persone. Per esempio Bruner dice che la narrazione è il dispositivo
attraverso cui noi diamo significato alle cose che ci circondano. Allora come dicevo
l’evidenza sperimentale che approcci costruttivisti siano più efficaci di approcci non
costruttivisti non ce l’abbiamo però il costruttivismo è importante perché ha il grande merito
di farci concepire l’apprendimento non solo come un fatto individuale ma anche come un
fatto sociale, e questa è una cosa molto importante. Prendiamo questo esempio della
narrazione: noi impariamo delle cose perché viviamo in un ambiente sociale che ci aiuta a
comprendere queste stesse cose. immaginate un bambino piccolo che non impara solo perchè
magari attraverso la manipolazione di oggetti, dicevamo della Montessori la manipolazione di
figure, di cubi di diversa grandezza, questo gioco individuale del bambino in una prospettiva
cognitivista mi dice che questo bambino sviluppa dei processi cognitivi, sviluppa delle
conoscenze e delle abilità, in particolare in questo caso dell’ordinamento quelle che
riguardano la creazione appunto di un ordinamento per grandezza. Quindi siamo in una
spiegazione di tipo cognitivista in cui l’interazione con un materiale come la torre rosa di
Maria Montessori produce nella mente del bambino, attraverso l’esercizio di certi processi e
di certe facoltà, una certa strutturazione. Il bambino guadagnerà l’idea di che cos’è un
ordinamento, come funziona e questa struttura dell’ordinamento si stabilizzerà nella sua
mente in maniera da essere disponibile anche quando dovrà ordinare non solo i cubi della
torre rosa ma per esempio alcuni bastoncini di diversa lunghezza. Nella prospettiva
costruttivista si contempla anche e soprattutto il fatto che l’apprendimento non avvenga solo
perchè io nel bambino interagisca un oggetto, come ad esempio la torre rosa o la serie dei
bastoncini ma avvenga perché i bambini giocano tra loro, vedono giocare gli altri e giocano
insieme a costruire quella stessa torre rosa o altre cose. Quidni il costruttivismo diciamo così
mi porta a valorizzare la componente sociale dell’apprendimento. Questo è vero anche in età
adulta, se voi per esempio immaginate come è costruita una bicicletta. Voi sapete che cos’è
una bicicletta ma sareste costruire una bicicletta funzionante? probabilmente no. Il nostro
sistema di conoscenza si è costruito in maniera che ciascuno possa agire propriamente nel
mondo avvalendosi della conoscenza degli altri. A me se non faccio il biciclettaio di mestiere
mi basta sapere che cos’è una bicicletta, riconoscerla e come si usa. Questo mi è sufficiente
per interagire nel mondo rispetto a questo oggetto di conoscenza anche se non la posseggo
tutta perché? perché la conoscenza è distribuita. A me serve sapere solamente come si usa, al
costruttore di biciclette serve anche sapere come si costruisce. Ecco l’idea del costruttivismo
è vicina a un’idea di apprendimento che avviene in maniera sociale e situata e che quindi
persone che vivono contesti diversi, realtà diverse, società diverse hanno una conoscenza
diversa. E quindi se io prendo un bambino delle Ande che vive un certo tipo di società, quel
bambino sa e sa fare cose diverse da un bambino che cresce nell’ambiente della mia città a
Bologna in un quartiere. Poi se vanno a scuola e gli si insegnano le stesse cose, sanno anche
le stesse cose ma il fatto stesso di vivere in una società diversa, ci sono per esempio i bambini
di strada, in una branca di studio che si chiama etnomatematica, ci sono delle ricerche che
dimostrano come bambini non alfabetizzati, i bambini di strada, sono molto abili nel fare
delle operazioni che noi definiremmo aritmetiche di tipo monetario perché devono gestire
diciamo, i bambini di strada hanno attitudine e abitudine a dover gestire il denaro e variazioni
di denaro che pur non essendo alfabetizzati e non avendo mai studiato aritmetica a scuola in
realtà loro i conti li sanno fare benissimo. Ecco quello è frutto di un apprendimento situato,
cioè che proviene dalla risposta del soggetto all’ambiente in cui vive.

Risposta a una domanda: Si. L’approccio della pedagogia istituzionale è più costruttivista. La
Montessori ha un pò un approccio tutto suo, diciamo così, però tutta la psicologia
dell’apprendimento alla fine è una psicologia in gran parte cognitivista. Cioè se noi parliamo
di attenzione, di memoria, di processi cognitivi, significa che siamo in una prospettiva
cognitivista non necessariamente costruttivista. perchè la nostra attenzione si concentra sui
processi cognitivi individuali. Il costruttivismo inserisce diciamo in questo discorso il
contesto e il fattore sociale.Questa è la grande differenza. Poi di variazioni del cognitivismo
ce ne sono tante. Vedremo anche forse il costruzionismo che è un’altra cosa ancora, di sicuro
lo vedremo in tecnologia, qua forse nell’ultimo capitolo in didattica tecnologica penso ci sia
un accenno anche a questo.
Queste sono effettivamente cose importanti. Come vedete abbiamo fatto la storia ma è una
storia che comunque ci ha permesso di capire di che cosa si occupa la didattica e da quali tipi
di scienze, come per esempio in questo caso la filosofia e poi la pedagogia e adesso la
psicologia, di quali tipi di disciplina dicevo, è nutrita. Quindi affrontare un pochino la storia
della didattica ci fa capire anche un po meglio di che cosa si occupa e in che rapporto stanzia
con la filosofia che con la pedagogia che con la psicologia. La prossima settimana invece
cominciamo con la progettazione educativa la progettazione didattica.

Risposta a una domanda: il discorso di iperdotazione o plusdotazione è un discorso in parte


collegabile alle intelligenze multiple. però devo dire che non è proprio la stessa cosa. Nel
senso che le intelligenze multiple si preoccupano soprattutto di cambiare la concezione
dell’intelligenza. Mentre gli studi su i plusdotati sono successivi agli studi sugli ipodotati cioè
p quando ci si pone il problema di una diversa dotazione delle potenzialità e quindi si capisce
che anche in maniera indipendente dalle intelligenze, il potenziale cognitivo di individui
diversi può essere molto diverso tra loro allora si comincia a differenziare tra ipodotazione e
plusdotazione. Quello che si può dire è che il plusdotato spesso manifesta, è per questo che è
stata anche una scoperta successiva e gli studi sono effettivamente successivi, il disagio che è
manifestato dai plusdotati è analogo a quello manifestato dagli ipodotati per ragioni
completamente diverse però a livello elevati di plusdotazione in realtà i bambini si presentano
come bambini che reagiscono comunque negativamente alla proposta di istruzione. Oggi
sappiamo anche un pò più le ragioni di tipo psicologico e neurocognitivo che riguardano
questo fenomeno. Quindi diciamo può essere collegato ma non è direttamente collegato.
Gardner inizia a lavorare sulla teoria delle intelligenze multiple perché era precedentemente,
un pò come è accaduto alla Montessori, impegnato a studiare il funzionamento della mente in
soggetti che avevano subito dei traumi. Questo è un fatto abbastanza ricorrente perché nelle
persone che hanno subito dei traumi si possono più facilmente isolare le facoltà cognitive.
Quindi quando all'inizio dello studio della mente non si conoscevano bene le facoltà
cognitive le persone che avevano compromesso con un trauma alcune facoltà erano diciamo
delle persone che permettevano di capire quale zona del nostro cervello era deputata a quelle
funzioni. perchè quando ancora non c'erano tecniche d scansione dell'attività cerebrale di
neuroimaging in realtà si poteva dedurre che certe facoltà dipendevano da certe aree del
cervello quando quelle aree erano compromesse perché quelle facoltà non erano più
disponibili. Quindi se analizzavano le facoltà non disponibili e le si mettevano in relazione ai
traumi che erano stati subiti. Allora anche Gardner esattamente come Montessori, comincia a
lavorare su la compromissione delle facoltà che oggi chiamiamo facoltà cognitive. Quindi da
questo punto di vista c’è una relazione perché allora il modo in cui si concepisce
l’intelligenza deve essere compatibile sia con il modo di funzionare di coloro che sono
ipodotati sia con il modo di funzionare di coloro che sono plus-dotati Però attualmente sono
due ambiti diciamo di studio differenti.

Lezione 5 16/03/2021
Quali supporti teorici o operativi la didattica offre al decisore?
Il decisore è l’insegnante, colui che agisce prendendo delle decisioni, affinché gli allievi
possano sviluppare delle capacità. Per fare questo l’insegnante deve prendere molte decisioni,
da quelle macroscopiche (prima della lezione in sé, decisioni su come impostare il lavoro) a
quelle all'interno della classe e durante il tempo didattico.
Che tipo di contributo da la didattica alle persone che devono prendere le decisioni
nell'ambito scolastico?
La didattica da il suo contributo a questi agenti scolastici (dirigenti scolastici, insegnanti) , in
due modi , la prof le definisce due strade: tramite i dispositivi per l’attività progettuale e
offrendo modelli e strategie didattiche. Sono due ingredienti che la didattica generale mette
appunto e che offre a queste due personalità scolastiche.
I dispositivi per l’attività progettuale riguardano la scuola nel complesso, il collegio dei
docenti, gli insegnanti di una classe e il singolo insegnante. Intanto dobbiamo spiegarci sugli
aspetti che compongono ogni attività progettuale, di qualsiasi livello sia cioè che abbia
valenza generale( di tutto il complesso) sia valenza singola.
Componenti strutturali dl progetto sono: obiettivi, tassonomie e dispositivi di valutazione.
Significa che per progettare bisogna formulare degli obiettivi, fare riferimento su delle
tassonomie e l’attività di progetto deve essere valutata.
Conoscenze di modelli e strategie: principi e modelli d’istruzione, architetture didattiche ,
strategie didattiche e risultanze della ricerca in termini di efficacia.
Dispositivi per l’attività progettuale
Concetti di progettazione educativa e progettazione didattica.
La progettazione educativa è un concetto più generale della progettazione didattica, questo
significa che ogni progettazione didattica è anche una progettazione educativa, ma la
progettazione educativa può non essere una progettazione didattica. Quindi per esempio se
immaginiamo di essere in un contesto che non riguarda la scuola in particolare e ma può
essere anche altri contesti come famiglia, parrocchia o ambienti regionali ect.. questa sede
non utilizza alcuna progettazione didattica ma solo quella educativa.
La progettazione didattica è una progettazione che ha anche scopi educativi ma che riguarda
il lavoro scolastico, mentre la progettazione educativa può riguardare anche ambiti diversi da
quello scolastico. Queste due sono articolate in maniera diversa e noi ci occupiamo poco di
progettazione educativa e andremo affondo nella progettazione didattica.
Slide 4 per darci una idea di quello che si affronta nel progettazione edu e nella progettazione
didattica. Oggi andiamo ad analizzare la progettazione educativa.
Progettazione educativa
Può essere diversa in base ad alcuni criteri: abbiamo prima detto che qualunque progettazione
deve avere dispositivi di valutazione. Come faccio a distinguere i progetti tra loro? I progetti
sono tutti uguali? I progetti li distinguiamo tra di loro in base a dei criteri di
differenziazione: natura degli obiettivi, strutturazione interna, tempi per la valutazione
dei risultati.
La natura degli obiettivi: un progetto porta con se sempre degli obiettivi. Prenderlo come
criterio di differenziazione significa che: prendere obiettivi di natura diversa
conformano/implica progetti di natura diversa. Di quale natura possono essere obbiettivi?
Esso è un criterio di differenziazione e ci dice che per ciascuna progettazione gli obiettivi
possono essere diversi tra in base:
Alla Generalità o Specificità🡪gli obiettivi possono essere più generali o più specifici.
Dipende dalla formulazione dell'obiettivo se è uno o l’altro.
L'obiettivo è specifico in base al livello di generalità che io assumo, dipende dalla
condizione, dalla scelta complessiva che prende come riferimento chi scegli gli obiettivi. A
seconda del livello di progettazione a cui ci collochiamo possiamo scegliere il grado di
specificità o generalità. Le nostre progettazioni distinguono tra obiettivi generale e specifici
ma il livello di generalità o specificità viene deciso dall'insegnante a seconda di quello che
l’insegnante decide di fare in base al tempo a disposizione.
Esempi:
L'obiettivo di padronanza di linguaggio di un alunno lo consideriamo generale mentre se noi
specifcciamo l'obiettivo di far imparare termini cce descrivono il corpo umano è un
obiettivo specifco.
Alcuni obiettivi generali sono indicat dai document nazionali

Differenza di ambiti o area di obiettivi🡪gli obiettivi hanno ambiti diversi e si possono


distinguere tra diverse dimensioni di sviluppo. Per esempio possono riguardare la parte
relazionale e sociale dell’apprendimento oppure puntare a far aumentare la conoscenza
determinando obiettivi conoscitivi o cognitivi. Area di interesse dell'obiettivo può essere:
- Cognitva
o Disciplinari (contenut di insegnamento)- musicale, matematca, tecnica, applicatva
- Relazionale
- Affettiva
- Corporea/motoria

Un altro criterio di differenziazione è la struttura interna: esempio gli obiettivi possono


essere più strutturati, meno strutturati, più aperti ect.. Ci sono dei progetti nel quale ogni
passaggio è molto ben definito come le azioni all’interno. Ci sono invece dei progetti con più
aree aperte nel quale può avvenire l’inserimento di interventi. Il progetto può essere
fortemente strutturato o a struttura debole(delinea i maniera ampia gli interventi e lascia un
margine di libertà per definire gli interventi puntualmente). Questo ultimo progetto può
essere paragonato al contesto del centro estivo nel quale è meglio avere un progetto più
ampio meno strutturato e con più libertà.
L’ultimo criterio si basa sui tempi per la valutazione dei risultati: i progetti richiedono
tempi diversi,più i tempi sono lunghi più devono essere diversificati e numerosi gli indicatori
di valutazione. Ci sono più dispositivi di monitoraggio e di valutazione sia degli esisti, sia
della qualità dei processi che vengono applicati.
6° LEZIONE DIDATTICA 17/03/2021
Ieri abbiamo visto i criteri di differenziazione dei progetti della progettazione
educativa, abbiamo visto i 3 criteri differenziare gli obiettivi, differenziare la
struttura interna di un progetto e differenziazione poi i tempi e le modalità di
valutazione.
Oggi guardiamo invece alla progettazione didattica, essa è piuttosto articolata,
perché effettivamente è una categoria piuttosto ampia e fondamentale della
pedagogia ma anche della didattica. Quindi quello che abbiamo detto della
progettazione educativa vale anche per la progettazione didattica, ne è
testimonianza il fatto che per trovare degli esempi criteri di differenziazione ci
siamo riferiti al contesto scolastico, siamo andati a cercare gli esempi
effettivamente lì, quindi direi che quanto abbiamo detto lo consideriamo valido,
ora entriamo invece a parlare delle caratteristiche che non riguardano la
progettazione extrascolastica, ma sono pertinenti alla progettazione scolastica.
Gli argomenti che vedremo sono il modello ADDIE che può essere riferito a
molti progetti didattici, anche che legano la scuola ad altre istituzioni, ad altre
agenzie formative, poi vedremo la progettazione curriculare, che è invece un
contenuto importante; sempre per la didattica, poi vedremo i dispositivi che
riguardano le finalità del progetto, quindi entreremo nello specifico delle finalità
del progetto, di come si caratterizzano le finalità e gli obiettivi dei progetti,
questo evidentemente se c’è una progettazione curriculare la potremmo quasi
considerare una specificazione diciamo, cioè anche la progettazione curriculare
ha i propri obiettivi e quindi questi dispositivi si riferiscono anche a questo, e
poi invece i dispositivi di valutazione (su quali invece insisteremo poco) quello
che serve per dare completezza al discorso perché poi sulla valutazione c’è un
esame a sé stante da sostenere.
Partiamo con il primo ramo, intitolato il modello ADDIE è un acronimo, quindi
è il lemma che proviene dalle iniziali di queste fasi nelle cui possiamo articolare
il modello:

ossia analisi e progettazione, sviluppo e implementazione e valutazione.


Vediamo questo modello di progettazione didattica ma può essere anche un
modello di progettazione di didattica allargata, lo vediamo schematizzato così è
più facile avere un dettaglio esplicativo in più. È un modello di progettazione
che si articola in 5 passi che sono appunto quelli che vedete in grigio (slide 8)
1.ANALISI

è sempre una fase inziale di ogni progettazione, indica che ogni progettazione
inizia con un’analisi della situazione di partenza, che riguarda il contesto in
generale nel quale si intende intervenire. Ogni progetto che programmi degli
interventi in una certa situazione, reclama innanzitutto un’analisi di quel
contesto. L’analisi per quel che riguarda il lavoro scolastico può riguarda
l’analisi della scuola e della classe. Immaginate di sopraggiungere in una
scuola, all’inizio se non conoscete il contesto nel quale andate a lavorare dovete
fare un’analisi, può essere suggerita da chi lavorava nel contesto prima di voi,
dovete rendervi conto in che quartiere si colloca la scuola, chi sono i vostri
colleghi, se sono avanti nella carriera professionale o se ci sono persone
giovani, se la scuola si colloca in un quartiere particolare, es: se c’è prevalenza
multietnica, o dominanza di un certo tipo di popolazione, ecc… Nel lavoro
didattico invece se siete in continuità con quella classe, un nuovo progetto deve
comunque passare attraverso un’analisi per capire se quell’idea progettuale può
essere effettivamente praticabile.
I progetti prevedono normalmente diverse tipologie di azioni ma si rivolgono a
contesti che pongono dei vincoli e delle condizioni, il lavoro di analisi è il
primo punto della progettazione, ci riferisce all’analisi del contesto, sia che
riguardi la scuola nel suo complesso, sia nello specifico la classe.
Un’analisi abbastanza frequente è l’analisi dei bisogni, cioè un’esplorazione
della situazione della vostra classe o più classi dei bisogni di diverso tipo, a
seconda dell’intento del vostro progetto. Rispetto all’analisi della situazione
iniziale occorre in uscita individuare le carenze, le criticità. Un’analisi all’inizio
del progetto serve infatti a tenere conto dei vincoli per esempio che il contesto
potrebbe presentare (è inutile che io per es: vado ad immaginare un progetto
molto legato alla natura, se la mia scuola è in un contesto urbano molto lontana
dalla natura, è chiaro che lo posso fare ma è un vincolo di cui il progetto deve
tener conto, anche se lo voglio fare proprio quel motivo è comunque un
vincolo).
L’analisi deve mettere in evidenza e i vincoli e le condizioni mette anche in
evidenza in uscita i bisogni, ossia dovrebbero emergere in uscita quali sono i
bisogni, problemi e criticità, spesso si dice infatti analisi dei bisogni. In campo
didattico l’analisi dei bisogni può riguardare anche l’analisi dei bisogni dal
punto di vista dell’apprendimento, o delle relazioni tra gli allievi, immaginiamo
di avere una classe dove per tante ragioni ci sono molti allievi che non si
conoscono tra di loro, allora questo è un elemento di cui tenere conto. L’analisi
aiuta anche nell’identificazione degli obiettivi, perché analizzando una
situazione ci si rende conto delle problematicità da risolvere, che si trasformano
in obiettivi da raggiungere per superare le criticità con azioni volte a superarle.
Il primo passo è un’analisi del contesto ossia Analysis.
2) DESIGN = progettazione
È la seconda fase, significa progettazione, qui dobbiamo immaginare, che con
questa fase si prende un po' alla lettera questo termine che significa gettare in
avanti, quindi corrisponde nella prassi all’elaborazione delle ipotesi del
progetto, cioè qualche volta si dice in italiano che si formula l’idea progettuale,
che cosa quel progetto vuole realizzare, posto che gli obiettivi li abbiamo
identificati nell’analisi a partire dall’analisi dei bisogni, proviamo a fare
un’ipotesi sugli interventi che ci permettono di raggiungere gli obiettivi che ci
siamo posti.
Siamo in una fase veramente di progettazione, ancora non siamo immersi nella
concrete azioni del progetto, si elabora un’ipotesi di quelli che potrebbero essere
gli elementi, interventi, i risultati attesi dall’intervento, l’organizzazione che
potrebbe sostenere l’intervento, quindi tutti questi aspetti: l’organizzazione che
diamo al lavoro, i tempi, gli interventi in cui il lavoro può essere articolato, il
tipo di materiale che ci possa servire fa parte della seconda fase di design.
Quindi gli interventi che riteniamo utili e la definizione del modo in cui portare
avanti questi interventi che incide sull’organizazzione che dobbiamo dare al
lavoro scolastico, se siamo come classe singola o organizza più ampia che
coinvolge altre agenzie (musei, laboratori, altre classi ecc..)
3) DEVELOPMENTE= sviluppo
A questo punto si è definito cosa si intende fare e abbiamo fatto un’ipotesi a
questo punto si deve dare sviluppo, significa tradurre concretamente quello che
abbiamo immaginato di dover fare. Quindi se le nostre ipotesi comportavano di
produrre dei materiali, selezionarli prepararli ex novo questo è il momento di
farlo, es se si prevede di costruire, elaborare manufatti artefatti, ecco allora , si
selezionano e si preparano i materiali, se è una ricerca scientifica o storica, es
una ricostruzione storica ha bisogno di poter contare su alcune fonti
storiografiche, iconografiche ecc.., oppure si vuole che gli allievi lavorino su
materiali che noi abbiamo predisposto per loro, su schemi che loro devono
redigere, compilati a partire da lavori di ricerca. Questa preparazione nella slide
viene contrassegnato come sviluppo di materiali. Sviluppo significa dare
concretezza alle idee per mettere gli allievi in condizione di preparare, vuol dire
preparazione dell’ambiente di apprendimento, allestire e preparare materiali. In
questo caso se il nostro progetto prevede un allestimento dell’ambiente di
apprendimento anche in questo caso rientra nella fase del development.
3) IMPLEMENTATION= implementazione
Significa dare seguito, applicare non solo la nostra idea progettuale, ma andare
ad utilizzare il materiale secondo le strategie individuate nella fase di design, è
il momento di realizzazione de progetto in classe o non in classe. Ovvio che un
progetto può avere più momenti di development e più momenti di
implementation. Quindi possiamo prevedere dei materiali in una prima fase e
poi altri materiali in una seconda fase, reiterato più volte e normalmente è
proprio così. Questo è uno schema ideale per diversificare le diverse fasi del
lavoro, ma richiede che le fasi siano ripetute nel tempo prima di arrivare alla
conclusione del progetto stesso.
(Anche quando farete il progetto di tirocinio questo potrebbe essere un modello
da tenere inconsiderazione.)
4. Evaluation modalità di valutazione del progetto e dei prodotti del progetto, è
una fase che interviene certamente alla fine ma comunque dopo ogni
implementazione, se dopo l’applicazione progettuale attraverso strategie e
attraverso materiali si vanno a fare delle valutazioni dei prodotti e processi, può
darsi che queste valutazioni dei prodotti e dei processi ci inducano a proseguire
nel progetto con altri materiali, altre strategie ecc …ogni passo che segna
l’evoluzione del progetto dovrebbe avere delle risultanze in termini di
valutazioni, ossia in un progetto di lungo periodo dovrei prevedere una
valutazione dei processi e dei prodotti.
- Valutazione dei processi = riguarda la valutazione della qualità del
progetto se stiamo stati nei tempi, se un bambino ha prodotto risultati
attesi, se tutto è andato bene rispetto all’organizzazione e le relazioni
all’interno del progetto. È una valutazione riferita al progetto e alle sue
fasi
- valutazione dei prodotti =valutazione degli output, raggiungimento degli
obiettivi, valutazione degli apprendimenti e dei prodotti (se il progetto
prevedeva di realizzare prodotti materiali e immateriali. in questa sezione
potrebbe esserci una valutazione in itinere, monitoraggio oppure
valutazione finale dei prodotti attesi se si sono raggiunti gli obiettivi e
conseguiti i risultati attesi nel progetto.
Continuiamo ad esplorare i rami, andiamo alla progettazione curriculare che
significa progettazione del curriculo.
Cos’è il curriculo?
In inglese significa percorso di studi, in italiano potremmo dire il curriculo della
primaria, il curriculo di un liceo linguistico, ecc…per quel che riguarda la
scuola primaria è il percorso quinquennale.
Dagli anni 70 ha acquisito un senso più ampio, non è solo inteso come piano
degli studi (così com’è nel nostro ordinamento universitario), il significato si è
ampliato e dagli anni’70 in realtà questa definizione la dobbiamo a Stenhause?
che lo fa concepire come l’insieme di tutte le esperienze, degli studi, l’insieme
dei percorsi e delle esperienze fatte, sia scolastiche che extrascolastiche tutte
queste fanno parte del curriculo scolastico.
Nella nostra lingua in italiano come traduzione utilizziamo curriculum vitae
ossia la ricostruzione cronologica. Nel curriculum scolastico le esperienze
lavorative non sono proprio tali, anche se nella scuola secondaria ora abbiamo
l’alternanza scuola-lavoro che partecipa al curricolo scolastico.
Per curriculo intendiamo l’insieme delle esperienze non solo previste come
piano istituzionale della scuola, ma anche l’insieme delle esperienze
effettivamente svolte. Il curriculo dal punto di vista formale ha una doppia
faccia, è sia il progetto del percorso di apprendimento che vogliamo offrire agli
allievi ma è anche il risultato di questo percorso, le esperienze concrete che
l’allievo poi va a fare. Ha sempre un po' questa ambiguità.
Gli ordinamenti scolastici vincolano questi percorsi, non li possiamo
considerare assolutamente arbitrari, la scuola primaria fa parte del primo ciclo
di istruzione e l’articolazione di questo quinquennio è un’articolazione che
prevede l’introduzione di certe discipline a partire dalla classe terza (storia,
geografia, scienze) cambiano un po' i materiali didattici, si introduce il
sussidiario testi che hanno una natura più disciplinare questi sono vincoli del
curricolo scolastico definiti a livello ordinamentale, poi invece c’è una parte più
arbitraria, flessibile, aperta, libera che l’insegnante deve invece progettare con i
colleghi, quindi esiste il curriculo di scuola e ad un gruppo più ristretto di
colleghi, esattamente i colleghi che insistono sulla medesima classe, sapete che
ci sono gli insegnanti a modulo, che si dedicano soprattutto ad alcune aeree,
normalmente area delle scienze, della matematica e area dell’arte, del
movimento, ecc…questa progettazione diventa una progettazione più fine che
riguarda un ambito di libertà più ampia, l’insegnante deve compiere scelte a
come insegnarlo? Quando insegnarlo anche rispetto allo scopo, finalità e con
quali obiettivi. Tutto questo lavoro di scegliere fa parte della progettazione
curriculare che si inserisce nel curriculo ordinamentale, negli spazi orari
dedicati alle discipline.
Nella slide vedere che si cono due rami, la progettazione curriculare la
possiamo pensare di due tipi:

La possiamo pensare come di due tipi una progettazione, una che l’insegnante
fa e che è per obiettivi predefiniti, il vostro testo dice che l’insegnante può
procedere alla progettazione del curriculo per la propria classe centrato su
obiettivi predefiniti, non è una vera e propria metodologia è un modo di fare più
che una metodologia.
La seconda invece è un atteggiamento centrato su obiettivi aperti, non
predefiniti.
Ora vediamo il primo aspetto:
ATTEGGIAMENTI CENTRATI SU OBIETTIVI PREDEFINITI :spessissimo a
scuola, quando si parla di curriculo nel nostro paese si va ad intendere che il
modello curriculo sottostante è per obiettivi predefiniti, ossia l’enucleazione di
obiettivi predefiniti, in effetti anche le indicazioni nazionali ci inducono a fare
questo perché il cuore delle indicazioni nazionali, perché a parte l’introduzione
su alcuni aspetti pedagogici e anteposta ad ogni area disciplinare, poi le
indicazioni ci forniscono traguardi attesi per ciascuna delle aree, quindi in
buona sostanza le indicazioni ci forniscono un elenco, un enucleazione di
obiettivi di apprendimento che sono appunto predefiniti. Questo fa sì che
l’insegnante fissi gli obiettivi. Prima abbiamo visto che gli obiettivi del modello
ADDIE possono venire dall’analisi della situazione, quindi non sono predefiniti,
laddove c’è un’attesa scolastica, allora normalmente attraverso le indicazioni
nazionali o basandosi sulla propria esperienza ‘insegnante va a predefinire
questi obiettivi.
Il modello quindi che per prima cosa definisce gli obiettivi, subordina tutte le
altre azioni progettuali a questa definizione degli obiettivi. Quindi la prima cosa
è selezionare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, dopo di chè seleziono i
contenuti (i contenuti non dovete pensarli come solo contenuti nozionistici,
contenutistici o un elenco di conoscenze da trasmettere o da riprodurre, ma
sono aree di conoscenza, che possono essere più contenuti tra di loro e
normalmente sono contenuti di natura differenti, ci sono conoscenze fattuali, di
fenomeni, di concetti, di procedure, di saper fare, quindi conoscenze che hanno
più una natura procedurale e metodologica piuttosto che teorica, concettuale.
Rispetto però alla selezione degli obiettivi, si vanno a selezionare le
conoscenze, le relazioni tra queste che diventano l’oggetto su cui ci
immaginiamo che gli allievi vadano a lavorare
Poi individuazione degli step di apprendimento, calibrazione sostanzialmente
del grado di approfondimento e di difficolta, semplicità, problematicità con cui
voglio presentare questi contenuti, insegnati e appresi. Quindi gli step di
apprendimento possono farci riflettere su come calibrare l’apprendimento
attraverso vari tipi di attività. L’individuazione delle attività, delle strategie
didattiche, qui il termine strategia ha un significato particolare perché una
strategia di apprendimento è una modalità estesa nel tempo di raggiungere un
risultato, dire che si ha una strategia definisce il modo in cui arrivare a
conseguire un certo risultato ma nel gergo didattico si usa per alludere a delle
pratiche, metodologie approcci didattici che portano con sé delle tecniche. Si
riferisce alla definizione dei passi, degli step appunto attraverso i passi
conseguire un certo apprendimento, immaginiamo che l’obiettivo non sia di
breve termine che nel giro di una lezione possa raggiungere, quindi ho
individuato degli obiettivi che possono raggiungere nel medio periodo, per es.
obiettivo nel far guadagnare tra la prima e la seconda classe una padronanza
della lettura fluida del testo scritto, è chiaro che questo è un apprendimento di
medio-lungo periodo, ma i bambini guadagnano sicurezza un po' al secondo
anno, è poi infatti in terza che si propongono dei testi (storia, geografia, ecc..) su
cui possono contare su una discreta autonomia. Se questo obiettivo è articolato
nel lungo periodo, io dovrò individuare degli step, se mi riferisco al metodo
fonologico so che dovrò stare su un certo periodo sui fonemi, poi legarli alle
parole, alle frasi ecc.. quindi gli step di apprendimento sono suggeriti dai vari
apprendimenti della lettura che rappresentano i passi attraverso il quale
l’insegnante ritiene di poter raggiungere con i propri allievi certi risultati di
apprendimento, questo vale un po' per tutti gli ambiti. L’ambito della lettura è
abbastanza codificato, ma anche se si vogliono fare esperienze scientifiche, di
osservazione dei fenomeni, di galleggiamento, legati alla luce ecc… abbiamo un
obiettivo di lungo periodo di fare acquisire al bambino il metodo scientifico, ma
per arrivare a quello, devo organizzare il lavoro, una serie di esperienze che
potrebbero avere quello di indurre i bambini ad osservare, rilevare le variazioni
di alcune proprietà degli oggetti, registrare le variazioni, fare ipotesi, questo
significa individuare step di apprendimento che riguardano l’imparare ad
osservare, imparare a registrare ciò che osservo, imparare a fare ipotesi, questi
sono step di apprendimento, otterrò un buon atteggiamento “scientifico” in più
passi e ci arrivo solo se mi do dei passi, degli step di apprendimento intermedi.
detto mi servo di strategie didattiche, che potrebbe essere quella di fare attività
di laboratorio dove i fenomeni di galleggiamento per es. possono essere
concretamente realizzati, discussi, un'altra strategia potrebbe essere quella di
assegnare lavori di gruppo per mettere a confronto le varie osservazioni per poi
arrivare a fare previsioni.
La selezione di obiettivi, introdurre il metodo scientifico (osservazione, ipotesi)
potrebbero essere obiettivi del programma complessivo dalla scuola
dell’infanzia alla primaria che riguardano l’acquisizione del modello scientifico,
e posso articolare questo percorso in continuità, in molti passi. Ciascun
insegnante del proprio ruolo.
All’infanzia possono fare esperienze di laboratori, di galleggiamento, per poi
proseguire alla primaria facendo esperienza dei fenomeni di elettromagnetismo
quindi a qualunque livello di organizzazione scolastica questo modello centrato
su obiettivi predefiniti può prevedere tutti questi passi, anche se costruisco un
curriculo verticale posso pensare ad obiettivi che interessano entrambi gli ordini
di scuola, calibrati diversamente a seconda che riguardino i bambini tra i 3/6
anni e 6/11 anni. L’individuazione dei sistemi di valutazione è un elemento che
fa parte di questo modello di progettazione curriculare, bisogna per qualunque
enucleazione degli obiettivi definire modalità di verifica per il raggiungimento
degli obiettivi, come l’esame finale del vostro corso di studio che rientra nel
sistema valutazione.
Analogamente a scuola nel sistema valutazione del curriculo fanno parte delle
prove di verifica, ma non solo, perché questa modalità di alternare spiegazione e
prova di verifica è poco apprezzabile alla secondaria, figuriamoci alla scuola
primaria. alternare spiegazione e poi fare la verifica deve essere amministrata
molto bene, perché funziona per alcuni tipi di apprendimento l’esercizio è una
modalità di verifica del raggiungimento di padronanze di tipi dichiarativo,
conoscenze riproduttivo, es: se io devo controllare l’apprendimento delle
tabelline, dei fatti numerici che riguardano la moltiplicazione dei numeri
naturali da 1 a 10 questo è un apprendimento riproduttivo ossia che conseguo
soprattutto per via mnemonica, i risultati devono essere memorizzati. Se il
bambino deve risolvere il problema, non può non avere in memoria questi fatti
numerici, quindi servono a conferire ergonomia al lavoro cognitivo dell’allievo
a non sovraccaricare l’allievo (secondo la teoria del carico cognitivo) e allora
bisogna proprio memorizzarli, tutti i sistemi più riproduttivi meccanici
funzionano.
Diverso è un apprendimento che si serve meno di memoria, ma ha bisogno di
una risoluzione di un problema, la comprensione di un testo scritto attraverso la
lettura questo ha bisogno di esercizio, ma anche bisogno di situazioni in cui
posso comprendere le relazioni tra conoscenze diverse. Non posso far
apprendere il problema solo tramite esercizi, perché se i problemi cambiano
aspetto allora l’allievo cadrebbe in impassse, questo accade per i problemi
invalsi sono ritenute strane dagli allievi, perché sono ritenute prove non
standard, l’allievo non li riconosce come problemi di cui ha già una procedura
disponibile, quindi cade in impasse, si paralizza, non sa bene come sfruttare le
proprie conoscenze, ecco allora le modalità di valutazione per questi tipi di
obiettivi sono diverse dalle modalità di valutazione che possono riguardare gli
apprendimenti più riproduttivi, per le modalità questo è davvero molto
importante.
Il modello deve prevedere pertanto modalità per verificarne il raggiungimento.
Domanda di una collega: la prof rispiega la differenza tra apprendimenti
riproduttivi
Se io facessi apprendere la risoluzione dei problemi solo attraverso esercizi non
ce la farei a far dell’allievo un buon solutore di problemi, perchè quando i
problemi cambiassero aspetto gli alunni cadrebbero in impasse ed è quello che
succede nella prova invalsi, infatti abbiamo grosse percentuali di insuccessi,
l’allievo non li riconosce come problemi di cui ha già la risoluzione disponibile,
non sa bene come sfruttare le proprie conoscenze per problemi che appaiono
inediti.
La distinzione riguarda gli apprendimenti più riproduttivi, come le tabelline o
come eseguire un algoritmo, implica modalità di verifica molto differenti dalle
modalità per la verifica di apprendimenti non riproduttivi, ma di elaborazione
delle conoscenze, come a volte si dice apprendimenti generativi o puoi riferirti
alle competenze.
Per raggiungere quella competenza devi mettere l’allievo nelle condizioni di
attingere a ciò che sa fare, è il caso in cui gli invalsi vanno a proporre problemi
non standard, non per esercitarsi sulla singola operazione, ma dei problemi che
inducono il bambino a ricercare tra tutto quello che conosce come provare a
risolvere una situazione che gli appare come inedita, questa è una modalità di
verifica in cui si utilizzano rubriche di valutazione, mentre se devi controllare
l’apprendimento delle conoscenze dichiarative allora potresti farlo anche con
test carta e penna, questionario a risposta chiusa. Non potresti mai valutare la
capacità di risolvere problemi con un test a quiz. I sistemi di valutazione
cambiano a seconda degli apprendimenti che voglio porre a controllo, questa era
l’idea.
Allora un altro tipo di modelli, sempre per la nostra progettazione curriculare
sono:
MODELLI CENTRATI SU AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
In questo caso non si va a predefinire gli obiettivi, ma si vanno a definire gli
ambienti di apprendimento, cioè si creano delle situazioni che coinvolgono
certamente alcuni contenuti e che prevedono di fare agire gli allievi in un certo
modo ossia si prevede che gli allievi facciano delle cose, si potrebbe prevedere
che gli allievi scoprano/ facciano indagini / debbano risolvere un problema,
ecc…
Ciò che si decide non sono gli obiettivi di apprendimento, ma si decidono il tipo
di esperienze che gli allievi devono fare, queste esperienze devono riguardare
contenuti significativi del curriculo e devono raggiungere degli obiettivi. Alla
fine del mio quadrimestre con queste esperienze dovrò per forza raggiungere gli
obiettivi dettati dalle indicazioni nazionali, e alla fine dell’anno per consentire
l’accesso alla classe successiva. Gli obiettivi non sono predeterminati ma aperti,
perché l’allestimento di queste situazioni, a seconda di come organizzo
l’attività, gli allievi andranno a conseguire dei risultati, l’insegnante si renderà
conto se ha raggiunto degli obiettivi.
Quindi da un punto di vista pratica è come se nel modello precedente
l’insegnante partisse dagli obiettivi, andasse a scegliere le attività, contenuti e
poi andasse a verifica, qui invece l’insegnante parte dalle esperienze, attività
degli allievi e rintraccia nelle azioni degli allievi il raggiungimento degli
obiettivi perché li individua come comportamenti attesi
Posso definire prima un’esperienza che riguarda l’elettromagnetismo, dare
sollecitazioni affinchè scoprano come agiscono i campi magnetici, la forza di
pulsione magnetica io lo posso fare definendo preventivamente degli obiettivi e
poi le attività oppure definendo prima le attività, a seconda delle ore del gioco
stabilito (allievi che lavorano in gruppo, se ho previsto che debbano mettersi
d’accordo per formulare delle leggi , ecc allora io sono in questo secondo
modello, ricavo delle informazioni rispetto alle performance che osservo degli
allievi sul raggiungimento degli obiettivi, quindi la valutazione è diversa perché
se gli obiettivi non me li sono dati, devo ricavare informazioni di valutazione,
questo modello più aperto implica modalità di valutazioni diverse che sono
soprattutto osservative per l’insegnante, deve ricavare degli elementi su come
lavorano, informazioni valutative che ipotesi fanno, devo quasi avere un diario
dove registra i momenti salienti, significativi sia nel bene sia nel male. Solo alla
fine quando queste esperienze hanno permesso ai bambini di esprimere le loro
performance, solo alla fine c’è un momento di istituzionalizzazione delle
conoscenze cioè si condivide che cosa abbiamo imparato.
L’insegnante ritorna a guidare con un’angolazione forte, istituzionalizza il
sapere, ne fa un patrimonio comune, lo può fare con un cartellone/perché lo
fissa nel quaderno, a quel punto può fare una verifica del tipo che abbiamo visto
prima, verifica che accerta la padronanza delle conoscenze che sono state
istituzionalizzate.
E questi sono due atteggiamenti didattici che non dobbiamo opzionare in una
maniera assoluta, ossia scegliere tra l’uno e l’altro, ma si possono alternare, ci
sono esperienze che si prestano molto per obiettivi aperti, mentre ci sono altri
segmenti del curriculo che si prestano meglio ad essere affrontati secondo
obiettivi predefiniti solitamente si dovrebbero alternare questi modelli fra loro.
Questi modelli centrati su ambienti di apprendimento sono quei modelli che
recuperano l’eredità dell’attivismo (che abbiamo studiato la settimana scorsa)
un’ambiente allestito per fare agire gli allievi in diversi modi, assomiglia molto
alle idee di Freinet, la falegnameria, metodi progettuali di Kilpatrick?, la
Montessori con l’interazione autonoma del bambino su certi materiali.
L’eredità attivista è stata interpretata agli inizi degli anni 80, quando dopo il
cognitivismo si è evoluto c’è stata un po' la seconda rivoluzione cognitivista,
quindi il costruttivismo, si è data importanza alla dimensione affettiva,
condivisa dell’apprendimento, sono modelli al plurale più aperti e flessibili,
possono essere di tipo:
-ricorsivi, sono modelli in cui si procede, si immaginano azioni, interventi
didattici e poi si reiterano nel tempo, fino a quando non si arriva a realizzare il
risultato atteso ma sono quelli centrati sugli ambienti di apprendimento che
sono interessanti. Qui è molto importante, lo vedremo poi, quella fase che il
modello Addie metteva nel development cioè nella preparazione e selezione dei
materiali, fase dove l’allievo ha modo di interagire con gli allievi e l’insegnante
interviene a fasi alterne, perché si deve favorire l’autonomia e l’apprendimento
autonomo richiede un allestimento dei materiali molto accurato, qui si fa
intervenire l’idea di apprendimento indiretto che Rousseau prima e Montessori
dopo ci hanno suggerito, ossia l’ambiente è allestito dall’insegnante ma poi
l’allievo opera in maniera anche autonoma, l’insegnante fa da regia, ma non è
sempre lì a dire, a spiegare, dare feedback.
Questi sono modelli in cui il carattere sociale dell’apprendimento, il
differenziare le proposte e le risorse, contesti autentici di apprendimento ossia il
legame con la realtà, guardate il legame con la realtà non è che migliora
l’apprendimento ma è un aggancio importante per quelle situazioni di app legate
al dover costruire qualcosa, risolvere un problema concreto.
Se un esercizio parla di coca cola, piuttosto che di un esercizio astratto non è
che il bambino lo sa fare meglio perché c’è scritto coca-cola, non è quel tipo di
concretezza ma se devo calcolare la misura del volume di alcuni poliedri tramite
delle formule, ma se lo devo calcolare perché gli assegno uno spazio in cui
devono misurare loro il volume con degli strumenti capite che sono due
momenti di apprendimento diversi.
Dal punto di vista dell’apprendimento del volume la seconda è molto più ricca,
non mi fa solo capire l’area del volume ma molte più cose, è una prestazione
molto più completa saper fare approssimazioni, saper organizzare una procedura
operazionale molto più complessa, mettere insieme i dati, controllarli, ecc..
Non tanto come possesso della padronanza de concetto di volume, ma ha un
sacco di altri obiettivi. L’idea del concetto di contesti autentici deve essere
inteso in questo modo, un contesto non è autentico solo perché parla di vita
vissuta, il bambino è troppo intelligente per farsi imbrigliare solo da questa
esperienza. L’impiego multiprospettico dell’esperienza fa sì che devo incrociare
molti concetti organizzare il lavoro, saper fare, saper misurare, saper lavorare in
gruppo quindi uno sguardo multiprospettico.
La metacognizione è la conoscenza della conoscenza, io conosco, come
conosco? Quali sono le cose che mi mettono in difficoltà? Questa è la
metacognizione ossia riflettere su ciò che so e so che so fare e di valutare la mia
capacità di fare le cose
So che essere un bambino distratto e quindi cercherò di creare condizioni per far
sì che la distrazione non prenda il sopravvento. Se nel mio gruppo sono stato
affidato a prendere le misure, so che le devo scrivere sul quaderno perché poi
arrivato a metà lavoro non me le ricordo e mi distraggo.
Questa è metacognizione e autovalutazione, è qualcosa a cui bisogna educare i
bambini, prima dei 9-10 è difficile ma si inizia già all’infanzia, la
consapevolezza di sè stessi sopraggiungerà pienamente poi
L’autovalutazione consiste nel comprendere ciò che si sa fare e la qualità del
proprio lavoro, cioè si riesce a stimare quello che si sa fare, quanto bene o
quanto non siamo in grado di fare le cose, e si riesce a fare una stima attendibile
della qualità del proprio lavoro a renderlo apprezzabile
È la valutazione di sè stessi, delle proprie capacità e prestazioni, un bambino
della scuola primaria fa fatica a capire quale cosa gli piace fare e cosa sa fare
meglio (siamo all’inizio della metacognizione
Ma trovano nella metacognizione una risorsa importante
Sono importanti anche se sono abbastanza difficili per i bambini piccoli
1.29 mancano gli ultimi 15 minuti
Affrontiamo ora quei dispositivi didattici che ci consentono di controllare le finalità della
progettazione: il progetto puo’ essere il curricolo stesso o un progetto contenuto nel curriculo,
ma tutti questi dispositivi di progettazione hanno delle finalità, degli obiettivi da raggiungere.
Questi dispositivi servono per individuare e controllare degli obiettivi da rispondere.
Andiamo a distinguere tra due tipi di dispositivi:
-obiettivi didattici → li avevamo menzionati nel modello ADDIE quando and un certo punto
avevamo detto che nella situazione iniziale di analisi del contesto e della situazione didattica
nella quale mi trovo, vado ad individuare gli obiettivi del mio progetto che assumono questa
configurazione. Questi obiettivi si danno come dispositivi e normalmente l’insegnante
dovrebbe essere capace di distinguere gli obiettivi tra loro. Noi una distinzione tra gli
obiettivi l’abbiamo già commentata quando ci siamo occupati di progettazione educativa e
abbiamo detto che in ogni progettazione educativa, e quindi anche in quella scolastica, si
possono diversificare gli obiettivi tra di loro sulla base della loro natura (possono essere piu’
generali o piu’ specifici, differenziati sulla base della dimensione di sviluppo entro la quale si
collocano, quindi ad esempio gli obiettivi collettivi, obiettivi affettivi, sociali o relazionali),
se si parla di una situazione didattica queste distinzioni emergono sempre. Poi avevamo detto
che questi obiettivi in un progetto devono essere legati alla struttura del progetto e devono
esser ein qualche modo controllati per valutarne il raggiungimento. Se rimaniamo aderenti al
lavoro scolastico di questi obiettivi didattici ci interessa di diversificarne la natura e poi
qualunque sia il tipo di obiettivi al quale noi ci riferiamo ci interessa esprimerlo in maniera
operazionalizzata, gli obiettivi é bene che siano formulati in maniera da indicare il
comportamento atteso dagli allievi
Esempio → (obiettivo di tipo sociale e relazionale)il saper lavorare in gruppo é un obiettivo
di natura relazionale ed é operazionalizzato nel senso che si riferisce a un modo di agire degli
allievi. Questo obiettivo é di tipo generale o specifico? Se lo intendiamo in modo specifico,
una formulazione generale potrebbe essere l’interazione con i compagni, adotta delle
modalità di interazione comunicative con i propri compagni. Ma se lo interpretiamo in
maniera generale, una formulazione particolare potrebbe essere l’imparare ad ascoltare
l’altro, il rispettare l’opinione altrui, fare mediazioni tra le posizioni contrapposte.
La differenza tra un obiettivo piu’ generale e uno piu’ specifico, posto che entrambi sono
generati alludendo ad una azione che l’allievo deve compiere, riguarda il grado di astrattezza:
piu’ astratti gli obiettivi generali, quindi piu’ poveri di riferimenti al contesto. L’obiettivo
diventa piu’ specifico man mano che se ne specifica il contesto di azione e il livello.
Esempio 2.→ sa ascoltare e comunicare all’interno del gruppo classe → se io dico sa
ascoltare e comunicare all’interno del gruppo classe anche se le persone non sono conosciute
allora questo individuo ha un altro livello
Quindi l’obiettivo piu’ specifico é un obiettivo che precisa non solo l’azione che l’allievo
deve compiere, ma anche quando e come. Ora prendiamo un obiettivo di tipo cognitivo che
puo’ riguardare la risoluzione di testi, l’uso di concetti, la stesura di temi…
Esempio 3. → rappresenta sul foglio una serie di piccoli oggetti tridimensionali come una
piccola costruzione, una casetta, un animaletto, messe in una certa posizione tra loro e i
bambini dovevano riprodurre rispettando le posizioni reciproche tra gli oggetti. Il bambino
molto piccolo tende a riprodurre quella rappresentazione (tridimensionale) accostando uno
dopo l’altro gli oggetti, senza rispettare le posizione reciproche tra loro. In questo caso si
possono utilizzare dei fogli che aiutano nell’organizzazione dello spazio come fogli
organizzati in 4 quadranti, o in corsie, poiché aiutano a controllare la posizione degli oggetti
tra loro e delle proporzioni. I bambini partono da un oggetto molto grande e poi non hanno il
posto per fare altrettanto grandi gli altri. Questo é un compito che da un punto di vista della
prestazione é riproduttivo, ma tuttavia richiede al bambino di coordinare diverse abilità come
quelle motorie, visive, logiche… in piu’ c’é una implicazione di tipo cognitivo perché io devo
comprendere le proporzioni tra oggetti. Quando il compito non é di riproduzione di una
situazione , ma é ad esempio di elaborazione di un disegno che rappresenta qualcosa che si é
letto o raccontato, allora li’ l’implicazione cognitiva riguarda la selezione del contenuto. In
questo caso gli obiettivi operazionalizzati piu’ generali o piu’ particolari quali sono?
L’obiettivo generale puo’ essere la riproduzione secondo la modalità grafica oggetti di diverso
tipo; un obiettivo specifico é riprodurre oggetti di un certo tipo entro una certa numerosità o
rispettando le posizioni reciproche. La specificità dell’obiettivo puo’ intercettare anche una
gradazione di livello.
Dobbiamo avere una buona cognizione degli oggetti su cui facciamo lavorare gli allievi, ma
anche delle operazioni cognitive che facciamo su quegli oggetti, per questo spesso questa
scrittura degli obiettivi é abbastanza difficoltosa, perché non é facile articolare gli obiettivi in
rapporto a cio’ che le situazioni fanno agire. Quando io strutturo il foglio o per linee o per
quadranti e seleziono uno o piu’ oggetti tra loro in maniera tale da poter essere rappresentati,
io costruisco una situazione nella quale l’allievo agisce in un certo modo, ovvero costruisco
una attività affinché l’allievo faccia agire certe capacità. La sfida della didattica sta li’, e
quando io so riconoscere che cosa una certa azione didattica fa agire a livello mentale negli
allievi, io sono padrona di una professionalità piu’ evoluta. É molto importante che l’obiettivo
sia espresso in maniera operazionalizzata, cioé che alluda al comportamento che l’allievo
eserciterà nella situazione attraverso la quale noi vogliamo raggiungere quell’obiettivo perché
controlliamo in questo modo cio’ che le situazioni fanno capire, l’esercizio della
progettazione non é solo di pianificazione per essere sicuri di affrontare tutti gli argomenti
con il tempo necessario, ma é un monitoraggio dell’esercizio di tutte le diverse capacità
dell’allievo che io devo saper sollecitare in maniera differenziata.
-tassonomie → sono state state create delle tassonomie che sono dei sistemi di
classificazione degli apprendimenti e quindi anche degli obiettivi che possono essere riferiti
al raggiungimento di questi apprendimenti. La operazionalizzazione ci interessa perché in
questo modo controlliamo che cosa una certa operazione didattica fa agire, ma quando noi
diciamo “controllare” alludo alla possibilità di verificare che quell’obiettivo sia raggiunto
dall’allievo. Quindi il dire che l’alunno sa ascoltare gli altri quando lavorano in gruppo, mi dà
la possibilità di osservare la sua capacità d’ascolto, quando io guardo gli allievi che lavorano
in gruppo io so rivolgere lo sguardo a questo particolare. Se io avessi solo in mente “sa
lavorare in gruppo” vedrei molte cose senza che la mia attenzione si rivolga ad un aspetto
specifico e quindi posso percepire se si verificano delle cose. La mia osservazione é sotto
ipotesi non é una osservazione che mi vede agire in classe, io mi sono data l’obiettivo i farli
lavorare i gruppo affinché diventino naturalmente capaci di ascoltare gli altri e quindi quando
lavorano in gruppo vado a rilevare questa informazione all’interno dei gruppi e per ciascuno
degli allievi. L’operalizzazione mi consente sia di controllare una operazione didattica, perché
io se sono interessata a sviluppare questa attività d’ascolto dovro’ dare una consegna agli
allievi che li metta nella condizione di confrontarsi e ascoltarsi tra loro, ma anche di andare
ad osservare il livello della prestazione “ascolta o non ascolta? Ascolta solo inizialmente?
Ascolta solo quando é richiamato dall’insegnante? ”. É estremamente importante
l’operazionalizzazione. Quando si vanno a fare le verifiche o comunque a valutare i livelli di
competenza di qualcuno, si va a verificare il raggiungimento degli obiettivi d’apprendimento,
quindi l’oggetto della nostra valutazione é la verifica del raggiungimento degli obiettivi. Se io
ho realizzato una certa azione didattica, ho allestito una situazione in cui gli allievi dovevano
operare in un certo modo in previsione di raggiungere degli obiettivi, la valutazione riguarda
la verifica del raggiungimento di tali obiettivi. Quindi se io mi ero data l’obiettivo di far
acquisire agli allievi approssimativamente un certo grado di capacità di ascolto all’interno del
gruppo allora per dire quali e quanti ciascun allievo abbia raggiunto questa capacità devo
andarla a rilevare. Non c’é una vera e propria prova di verifica e tuttavia attraverso
l’osservazione l’insegnante puo’ cogliere le informazioni valutative, che sono i dati su cui poi
l’insegnante si esprime per dire quale é il livello di ascolto dei singoli allievi.
→ Questa slide mette in rapporto
questi elementi. Abbiamo degli
obiettivi e delle possibilità di
verifica. Questi obiettivi qua
sono formulati in astratto, sono
obiettivi che riguardano i diversi
tipi di conoscenze, quindi sapere
che le cose stanno in un certo
modo e ambito, sapere che la
somma degli angoli interni di un
triangolo é 180°, sapere che il
limo é un tipo di terreno fertile
che il letto dei fiumi lascia sulla terra, sapere che i babilonesi sono una civiltà collocata in un
certo periodo storico (conoscenze dichiarative), saper svolgere algoritmi, saper fare riassunti
attraverso la sottolineatura… poi un livello di conoscenza di base e la competenza a livello di
conoscenza trasferibile. Per ogni tipo di conoscenza si potrebbero individuare degli elementi
che interessano, ad esempio nella conoscenza di base la somma degli angoli interni di un
triangolo riguarda nel sapere cosa é un triangolo, cosa sono gli angoli, quanto misurano… la
conoscenza profonda riguarda il saper compiere delle inferenze, delle analogie, dei conti,
saper applicare degli elementi di conoscenza di base, sapere mettere in relazione le cose. Poi
c’é la competenza che abilita le conoscenze in rapporto a situazioni inedite. Nelle colonne
successive troviamo degli aspetti che riguardano la verifica: immaginiamo che il nostro
obiettivo sia l’apprendimento di una conoscenza di base allora devo costruire i modi per
accertare il raggiungimento degli obiettivi. Rispetto alla diversificazione degli obiettivi
dobbiamo intanto sapere che i tipi di prove non sono neutre rispetto ai tipi di obiettivi, quindi
alcune modalità di verifica sono adatte ad accertare la presenza di certe abilità e altri tipi di
prova sono piu’ inclini nell’accertare altri obiettivi. Le domande orali, i compiti carta e penna
e i compiti in prestazione vanno a verificare 3 diversi tipi di obiettivi. Nella colonna strumenti
per la verifica VF vuol dire prove di verifica del tipo vero o falso, accerta una conoscenza di
base, dichiarativa, puo’ accertare anche indirettamente una conoscenza procedurale (é vero
che si fa cosi’ o no?), oppure per associazione (opzione di immagini o frasi e si va a chiedere
quale immagine risponde ad un certo interrogativo). Sia i test vero o falso, sia l’associazione,
che il questionario a scelta multipla sono modalità di verifica utili all’accertamento delle
conoscenze di base. I quesiti aperti, ovvero i quesiti in cui la domanda fornisce uno stimolo
chiuso perché prevede una risposta determinata, ma la formulazione di questa risposta é
aperta, non é preconfezionata é una modalità di verifica che mi consente di rendere
apprezzabili le capacità dell’allievo di fare operazioni logiche, riconoscere relazioni tra idee,
concetti, applicare delle conoscenze e procedure. Un esercizio é un quesito a risposta aperta.
Il quesito aperto puo’ anche portare ad un vincolo, cioe devo fare una operazione a cui ne
consegue per forza un altro (es: fai un testo utilizzando questi termini , la risposta é aperta
perché io devo elaborare la prova , ma il vincolo é che il testo contenga quei termini). Infine
per gli apprendimenti che sono piu’ di lungo periodo, quindi quelli piu’ generali, ci volgono
delle prove piu’ articolate e inedite (es: per l’obiettivo di saper lavorare con gli altri non c’é
contestualizzazione, si presuppone che l’allievo sappia lavorare con gli altri in svariati
contesti e che lo sappia fare con compagni che conosce e compagni che non conosce, che lo
sappia fare in diversi momenti) , si vanno ad utilizzare delle rubriche.

LEZIONE DEL 30/03

Avevamo parlato di obiettivi didattici e operazionalizzazione degli obiettivi.


Le tassonomie sono delle classificazioni di apprendimenti che servono per razionalizzare il
lavoro didattico e in particolar modo servono da riferimento per la enucleazione degli
obiettivi didattici. Spesso si fanno coincidere gli obiettivi di apprendimento con le categorie
che sono ricomprese in queste tassonomie. Le tassonomie sono introdotte negli anni ‘50,
subito dopo il lavoro di Tyler che aveva posto gli interrogativi fondamentali che riguardavano
gli scopi dell’educazione e la realizzazione di quel movimento del curricolo; si comincia a
tener conto degli studi che riguardavano la psicologia dell’apprendimento quindi l’avvento
del cognitivismo che permetteva di creare processi cognitivi che sono implicato nello
svolgimento delle attività didattiche. Si costruiscono in questo periodo le tassonomie.
La prima tassonomia è di Benjamin Bloom (1956) le cui componenti fondamentali sono
elencate nell’albero. Sono tipi di conoscenze che vengono assimilati ai processi cognitivi che
ciascun tipo di conoscenza sottende. Quindi, per fare un esempio, il primo tipo di conoscenza
è la conoscenza. Il processo cognitivo del conoscere si riferisce alla possibilità di conoscere
che le cose stanno in un certo modo, che potremmo denominare conoscenza dichiarativa.
Ritrovarlo all’interno di una tassonomia significa poterlo iscrivere nel nostro repertorio di
obiettivi come un obiettivo di padronanza della conoscenza. Questo vale anche per le altre
categorie in cui si articola la tassonomia di Bloom. Per esempio la comprensione. Non solo so
le cose ma le comprendo e riconosco il significato anche quando è espresso in maniera
diversa, quando è implicito. La comprensione è, dal punto di vista cognitivo, un obiettivo
ulteriore rispetto alla conoscenza dichiarativa. È difficile separarli ma la comprensione
profonda è un apprendimento di livello più profondo. Un altro tipo di apprendimento è quello
che corrisponde al processo di applicazione. Quest’ultimo implica un saper fare, come fare le
cose. Secondo Bloom questa applicazione è una applicazione abbastanza proceduralizzata,
applico la procedura per eseguire il compito. Si riferisce a tutti quegli obiettivi che per
l’insegnante vanno a verificare se l’alunno sa eseguire un compito quando questo è strutturato
in una procedura. Es: come eseguire un algoritmo, come compiere un riassunto, come
costruire una linea del tempo. Sono situazioni in cui l’insegnante può codificare i passi dello
svolgimento di un compito. Quando i passi sono codificati significa che siamo in presenza di
una procedura. E quando quella procedura si applica siamo nel processo di applicazione.
Queste prime tre categorie di processi cognitivi costituisco per Bloom degli apprendimenti
elementari. Cioè “apprendimenti di base”, di primo livello, proto-apprendimento
applicativo. Poi ci sono altri tre processi cognitivi più evoluti, più complessi che Bloom
chiama “apprendimenti superiori” che sono analisi, sintesi e valutazione. Si chiamano
superiori perché si nutrono degli apprendimenti di base. L’analisi è un processo che
presuppone la conoscenza, la comprensione e l’applicazione ed è un compito cognitivo che è
implicato in tanti compiti didattici nei quali si deve analizzare. Fare sintesi per affrontare
anche un compito inedito (dunque superiore al riassumere che potrebbe rientrare
nell’applicazione). La valutazione è un processo evoluto perché richiede di saper guardare ai
risultati in maniera distaccata e meta – cognitiva. Saper valutare la difficoltà del compito e
quali aspetti sono stati assimilati oppure quali sono i punti di debolezza. Questi processi
cognitivi che Bloom identifica come tipi di apprendimenti che potrebbero essere controllati in
termini di obiettivi sono poi rielaborati da lui stesso e a partire dalla metà degli anni ’50
troviamo diversi autori che si cimentano nell’elaborazione di queste tassonomie. Un’altra
tassonomia proposta sempre da Bloom negli anni ’70, anni in cui il movimento del curricolo
è consolidato e subirà una parabola discendente perché ci sarà un movimento che ravviserà
una eccessiva rigidità, revisiona la precedente. Non c’è la conoscenza in maniera neutra ma si
distingue fra diversi tipi di conoscenza. La riflessione è concentrata sulle caratteristiche
epistemiche del lavoro scolastico. Un conto è conoscere termini, un conto è conoscere fatti,
un conto è conoscere regole e principi. Poi ci sono capacità che riguardano gli
apprendimenti che implicano un adattamento di ciò che so fare. La capacità di compiere
applicazioni, non sono intese in senso procedurale come nella tassonomia del ’56, ma
compaiono come livello alto della tassonomia, oltre la capacità di trasformazioni e
adattamenti. In questo caso significa saper coordinare quello che so fare in rapporto a
situazioni sfidanti.
Perché ci interessano le tassonomie?
Dobbiamo corredare gli obiettivi che abbiamo razionalizzato alle prove di verifica. L’idea è
importante. Sia le situazioni di apprendimento, sia le prove attraverso le quali l’insegnante
vuole accertare il raggiungimento degli obiettivi quindi la padronanza della conoscenza, di
comprensione, applicazione, analisi, sintesi e valutazione (tassonomia di Bloom). Tutte le
prove che servono a questi accertamenti non sono neutre rispetto a quello che voglio
accertare, sono prove che devono essere costruite diversamente a seconda degli
apprendimenti che voglio accertare. A meno di avere competenze molto evolute è più facile
costruire un test a risposta multipla per valutare la conoscenza e la comprensione mentre è
più difficile costruire un test per valutare gli apprendimenti di tipo superiore. Nella prima
colonna vediamo il tipo di conoscenza, nelle colonne terza, quarta e quinta ci sono le
tipologie di strumenti per la verifica, le condizioni che necessitano per effettuare questo tipo
di scelta e i criteri rispetto ai quali formuliamo i nostri giudizi. Se io ho un test a risposta
multipla, vero/falso o di associazione tra domanda e risposta, posso dire che assumo un
criterio quantitativo. Quesiti aperti a risposta vincolata porta con sé criteri differenti e soglie
differenti. A quesiti aperti posso dire che il compito è svolto sufficientemente bene e quindi
l’obiettivo è raggiunto in coloro che danno 2 risposte corrette su 3. Per valutare prestazioni
articolate e più elementi di abilità possono servire delle rubriche di valutazione. Per ogni
tratto della prestazione del compito io prevedo dei livelli di qualità di esecuzione. Per
esempio la produzione di un testo scritto comporta che l’allievo sappia fare molte cose. Per
esempio comporta che conosca i termini della lingua e li usi secondo il loro significato
pertinente, che sia corretto da un punto di vista ortografico e che il testo scritto si avvalga
anche di una struttura grammaticale corretta. Posso ritenere importante che l’allievo faccia
una rielaborazione personale delle cose oppure considerare importante che il testo contenga
tutte le informazioni necessarie. Incrociare i tratti per stabilire dei descrittori che dicono della
qualità con cui quel tratto è soddisfatto. Ci potrebbero essere un allievo che potrebbe essere
grammaticalmente molto corretto però invece è poco preciso nell’utilizzo dei termini oppure
debole nella rielaborazione personale. A seconda di quella che è la distribuzione dei livelli
della performance rispetto ai diversi tratti l’insegnante valuta la competenza. Questo modo di
valutare una prestazione composta da più prestazioni richiede l’utilizzo di rubriche. Le
rubriche sono degli strumenti di verifica.

Questa è una rubrica di valutazione. Il compito è un po' particolare perché richiede la


produzione di una mappa concettuale. I bambini hanno affrontato un certo argomento e che
sia stato svolto attraverso delle letture, visione di materiale e che i bambini dovrebbero essere
in grado di aver guadagnato una comprensione profonda dell’argomento tanto da poter fare
una presentazione attraverso una mappa concettuale. Come faccio a valutare questa
prestazione? È prestazione complessa perché richiede la conoscenza, l’analisi, la sintesi e
quindi ho bisogno di una rubrica di valutazione. Devo avere dei criteri per valutare le mappe.
Una rubrica è normalmente fatta in questo modo: ha da una parte le dimensioni che mi
interessano e che dovrebbero essere presenti. Una mappa ben fatta deve essere leggibile,
completa per attestare il livello di conoscenza. Mi può interessare il grado di strutturazione
gerarchica in quanto ad un livello più evoluto una mappa dovrebbe distinguere tra legami
trasversali, diversificare concetti che stanno sullo stesso piano logico, rispetto ai concetti che
ci danno specificazione di concetti più generali. Un conto è disegnare dei legami che ci
permettono di passare da concetti più generali a quelli più specifici per filiazione progressiva
e un conto è invece mettere in collegamento concetti differenti ma che non stanno in un
collegamento di specificità tra loro. Poi si stabiliscono dei livelli che nella tabella sono
esperto, praticante, apprendista e novizio ma potrebbe anche essere da insufficiente a
eccellente. Per ciascuna delle dimensioni (contenuto, leggibilità, completezza, grado di
strutturazione gerarchica) vado a valutare la prestazione dell’allievo. Potrei dire che l’esperto
tratta il contenuto in maniera pertinente attraverso l’uso di un linguaggio preciso mentre il
(sufficienza) descrive in modo più scarso perché il contenuto è poco pertinente o senza l’uso
di termini specifici, ecc… nel livello intermedio posso dire che la mappa è costruita
attraverso un uso dei contenuti pertinenti.

Standards di eccellenza per specificare i livelli è una buona prassi valutativa cioè mostrare
agli allievi quali sono delle buone mappe concettuali per avere esempi/modelli di buone
mappe.
Questi sono i tratti rispetto ai quali vado a valutare la capacità degli allievi di risolvere dei
problemi.
Le rubriche vengono normalmente utilizzate per valutare tipi di prestazione articolati e
complessi che per Bloom rientrano negli apprendimenti superiori. Un compito sfidante un
pochino al disopra delle mie capacità già consolidate. Siccome la prestazione è fatta di diversi
elementi l’insegnante deve poter renderli apprezzabili nella valutazione. È un modo per
sfuggire ad una valutazione che si affida solo al prodotto. Una valutazione accurata stabilisce
cosa l’allievo è riuscito a fare.
Ulteriore tassonomia costruita come una tabella in cui Krathwohl(2001) incrocia i tipi di
conoscenza (fattuale, concettuale, procedurale, metacognitiva) con alcune dimensioni dello
sviluppo cognitivo. Si trovano dei processi cognitivi (ricordare, comprendere, applicare,
analizzare, valutare, creare). Il processo di creare allude alla capacità di generare nuova
conoscenza a partire dalla conoscenza appresa. Questa tassonomia è interessante perché la
dove vado ad incrociare una dimensione della conoscenza con una dello sviluppo cognitivo
posso andare ad individuare un obiettivo formativo. Quindi che ha per oggetto un tipo di
conoscenza e sul quale compio un’operazione mentale cognitiva.
DIDATTICA GENERALE
Lezione n. 9 31/03/2021
A partire dagli anni ’60 gli studi sull’Instructional Design si concentrano sui criteri e
principi dell’istruzione. Questo interesse comincia quando la didattica inizia ad acquisire un
suo status organico e nel periodo successivo al curriculum movement. Il campo di studi
dedicato alla progettazione curricolare e ai principi dell’istruzione nasce negli anni ‘60 ma è
negli anni ‘90 che vi sono i contenuti più rilevanti. In questi anni vengono fatti dei lavori, che
raccolgono teorie e modelli di istruzione compiendo un’analisi comparata tra i diversi
modelli. Si tratta di modelli di istruzione e ipotesi teoriche che mirano ad identificare metodi
e procedure di insegnamento che funzionano in certi contesti e che sono stati messi alla prova
secondo risultati considerati di efficacia. Negli anni ‘90 vengono fatti degli studi che mettono
sotto la lente di ingrandimento questi modelli, ne fanno un’analisi e da questa analisi ne
emergono delle classificazioni. Vediamo in particolare quella di Merrill.
PRINCIPI DI MERRILL (2001)
Merril non lavora sulle singole teorie ma propone dei principi più di carattere generale che
valgono indipendentemente dalle singole variabili di contesto che vengono prese in
considerazione. Si danno dei principi validi anche quando l’assunzione dei modelli di
istruzione è differente. Principi considerati validi indipendentemente dallo specifico modello
che si assume. Questi principi sono indentificati dalle seguenti parole chiave:
- Problem
- Actvaton
- Demonstraton
- Applicaton
- Integraton

La validità delle azioni didattiche è una validità suscettibile alle variazioni e ai fattori che
intervengono in determinate circostanze. Questi principi sono considerati validi quando i
contesti sono contesti considerati pari a quelli di altre situazioni. Il principio
dell’apprendimento per problemi è valido in un contesto di allievi che hanno un certo livello
di competenze acquisite in un gruppo classe abbastanza omogeneo. In tutti quei contesti che
sono simili e confrontabili il principio continua ad essere considerato valido. I principi di
Merril sono abbastanza intuitivi.
PROBLEM: l’apprendimento è favorito quando gli allievi sono impegnati nella risoluzione di
problemi autentici, ovvero problemi che l’allievo riconosce come importanti, significativi,
che sono alla propria portata. Potrebbero essere problemi di tipo intellettuale e legati al
mondo della scuola ma l’importante è che l’allievo svolga l’attività non tanto per raggiungere
un obiettivo quanto piuttosto per dimostrare la capacità di trovare una soluzione al problema
presentato. Essere chiamati a risolvere un problema, implica la padronanza delle conoscenze
(know that), implica la capacità di svolgere alcune procedure (know how), di coordinare le
conoscenze, le abilità, insieme anche alle disposizioni interne in funzione della risoluzione di
questi problemi. Secondo questo principio dell’istruzione, il percorso didattico dovrebbe
essere strutturato per problemi, per esempio anche nell’ambito della pari discipline ma
dovrebbe essere anche interdisciplinare e per grado di difficoltà crescente. Problemi autentici
(posti per gradi di complessità), per i quali agli allievi si chiede di accedere alle proprie
conoscenze e alle proprie abilità per risolvere problemi che sono perlopiù inediti. Questo ci
dice anche che per operare in un ambito di questo tipo, occorre aver sviluppato delle
conoscenze di base.
ACTIVATION: l’apprendimento è favorito quando si attivano le conoscenze pregresse.
L’insegnante dovrebbe poter strutturare le attività di apprendimento tenendo conto delle
conoscenze già possedute che il nuovo compito prevede di mobilitare. Questo non significa
prevedere un percorso lineare, fatto di unità di lavoro per i quali le singole unità sono
prerequisito per l’acquisizione delle successive, ma fa riferimento alle conoscenze e abilità su
ciò che so fare e ciò che abbiamo già imparato a fare. Anche qui si parla di una mobilitazione
e si parla delle attività pregresse che vengono mobilitate per svolgere un determinato
compito. In più qui si può verificare il livello delle conoscenze richieste per svolgere un
determinato compito. L’acquisizione dei concetti procede sia per affiliazione gerarchica che
per differenziazione dei concetti (teoria dell’apprendimento significativo Idea delle mappe
concettuali, questa rappresentazione in mappa dei concetti presenta legami gerarchici tra
concetti, nei quali si ravvisa l’affiliazione tra principi più generali e principi più specifici ma
anche la differenziazione dei concetti tra loro). L’ATTIVAZIONE è proprio il principio
presupposto da Ausubel (citato nel testo di studio, scrive un libro tradotto come “Educazione
e Processi Cognitivi” dove descrive la Teoria dell’Apprendimento Significativo), per
sostenere l’apprendimento di qualcosa di nuovo ancorato a qualcos’altro che io già possiedo
nel patrimonio delle mie conoscenze. La Didattica per concetti e mappe concettuali si basa
proprio sulla teoria di Ausubel.
DEMONSTRATION: L’apprendimento negli allievi è favorito quando si dimostra ciò che
deve essere appreso, quando cioè si mostrano degli esempi di soluzione. Funzionano tutti
quegli accorgimenti che presentano esempi, casi esemplari e tutto quello che può dare un’idea
del lavoro che l’allievo deve arrivare a fare. Occorre guidare gli alunni in questo percorso,
non è affatto facile identificare in dei modelli esemplari dei tratti che noi consideriamo
particolarmente rilevanti. Es: per far capire cos’è un riassunto è utile mostrare dei riassunti
ben fatti, mostrando le motivazioni per cui si ritengono ben fatti. Tuttavia nonostante gli
esempi non è detto che gli allievi imparino subito a farli, vanno guidati nell’operazione. Il
presentare casi esemplari facilita comunque l’apprendimento. Più sottile è il caso di
presentare dei controesempi, il nostro pensiero infatti fa più fatica a falsificare che non a
verificare. E’ molto più difficile inventarsi dei controesempi che non degli esempi poi
verificati. L’applicazione delle conoscenze e dell’abilità è un processo importante che
favorisce anche la comprensione (concetto presente anche nelle tassonomie già trattate).
APPLICATION: L’applicazione è un principio molto intuitivo. Gli allievi sono favoriti
nell’apprendimento quando viene data loro la possibilità di applicare quello che hanno
imparato. Ovvero applicare le conoscenze e le abilità in problemi, in situazioni diverse.
Anche in questo caso, nell’applicazione dei concetti, delle procedure gli allievi vanno
accompagnati, ma certamente, come abbiamo già trattato nelle tassonomie è un processo
importante che favorisce anche la comprensione. Nelle tassonomie abbiamo visto che la
conoscenza è separata dall’applicazione e dalla comprensione. La conoscenza aiuta
nell’applicazione e nella comprensione ma anche l’applicazione favorisce la conoscenza e
comprensione. Non sono a senso univoco ma sono relazioni a doppio senso.
INTEGRATION: Capacità di integrare le conoscenze, di trasferire le conoscenze in rapporto
ad una situazione. Quando il compito è molto articolato e complesso, quando anche si svolge
in un lasso di tempo più prolungato, allora in questo caso i principi dell’istruzione sono
coinvolti più o meno tutti.
I principi di Merrill sono indipendenti dalle variabili di contenuto e conoscenze specifiche,
considerati validi in contesti canonici, al netto di condizioni particolari.
Ci sono anche altri autori italiani che sono partiti da questi principi dell’istruzione e ne hanno
a loro volta elaborati altri.
GALVANI è uno di questi.
Un altro studio del 2000 della Clark, propone delle ARCHITETTURE DIDATTICHE.
ARCHITETTURA per evidenziare la struttura sottostante alle diverse procedure didattiche.
Singole procedure e singole prassi condividono una propria architettura. (Vedi slide, schema
su “integrare il curricolo”).
Ciò che varia nelle diverse architetture è il grado di problematizzazione, ovvero se la mia
modalità di lavoro didattico ha un grado problemico più basso o un grado problemico più
elevato. Al grado problemico più basso troviamo un’ARCHITETTURA RECETTIVA (o
TRASMISSIVA) dove semplicemente narro, descrivo e racconto qualcosa ai bambini. Ha
delle caratteristiche piuttosto canoniche. Il docente tiene completamente la regia della classe
e anche quando la lezione è dialogata, il controllo rimane tuttavia quello del docente. Coglie
dagli allievi quelle sollecitazioni che gli permettono di portare a compimento il suo disegno
narrativo ed espositivo. In questo modello si presuppone che la lezione sia preparata prima in
maniera piuttosto precisa. L’interazione è prevalentemente scarsa (assente verso allievi più
adulti come all’Università, più accentuata nella Scuola Primaria)
Nell’ARCHITETTURA METODOLOGICA invece devo descrivere come si impara a fare
una certa cosa.
ARCHITETTURA COMPORTAMENTALE: Pratica guidata tra le procedure. L’insegnante
mostra ai bambini come si fa una certa cosa e via via i bambini imparano a farla. Alto
controllo da parte del docente, l’allievo in questo caso risponde per imitazione. Elevato grado
di pre-strutturazione dell’informazione ma l’interazione invece è forte.
ARCHITETTURA SIMULATIVA: Pratiche di simulazione, di role paying, dello studio di
caso. Le caratteristiche cambiano, l’allievo nella simulazione viene messo in azione, il
controllo da parte dell’insegnante è meno forte. Pre-strutturazione è sempre accentuata. Le
simulazioni sono prevalentemente digitali, il compito è predefinito. L’interazione è presente e
può essere anche piuttosto forte.
ARCHITETTURA STUDIO DI CASO: Non adatto ai bambini piccoli. Tra allievi più adulti
l’interazione esiste, coinvolgendo più persone (come ad esempio nell’analisi di caso).
Agli ultimi 2 livelli abbiamo l‘ARCHITETTURA COLLABORATIVA e l’ARCHITETTURA
ESPLORATIVA.
ARCHITETTURA COLLABORATIVA: Il controllo è da parte dello studente. Maggiore o
minore pre-strutturazione a seconda di come l’insegnante la organizza. Formati
dell’istruzione in questa architettura sono il Tutoring, l’Apprendimento di gruppo, la
Cooperazione. Il livello di interazione è elevato e si tratta di una interazione tra pari.
ARCHITETTURA ESPLORATIVA: Più orientata ai lavori di ricerca. Tra i formati troviamo
l’Espressione autonoma, l’Espressione libera (dove l’allievo ha un grande margine di libertà),
Progetto /Ricerca (dove lo studente è chiamato a svolgere una ricerca). Poco presente la
collaborazione nei compiti individuali, maggiore invece nelle attività di collaborazione e di
gruppo.
E’ bene che le insegnanti sappiano che possono scegliere tra varie architetture, non
scegliendone una ma articolando la propria didattica assumendo di volta in volta
atteggiamenti coerenti con le varie architetture. L’insegnante deve conoscere le opzioni, la
decisione di assumere una o l’altra opzione dipende da molti elementi. Uno di questi è il tipo
di apprendimento che voglio conseguire. Se voglio conseguire un apprendimento di base
allora posso stare anche su delle architetture che sulla scala sono posizionate ai primi livelli
(tipo ricettiva o comportamentale), se voglio far acquisire delle abilità di tipo procedurale
allora quella comportamentale o quelli a scoperta guidata potrebbe essere funzionale a questo
scopo. Per apprendimenti a livello superiore e più a lungo periodo, l’opzione sarà più
orientata sulle ultime, la collaborativa o esplorativa ad esempio.
Dopo l’Architettura Esplorativa, il libro di testo aggiunge anche l’ARCHITETTURA
METACOGNITIVA/AUTOREGOLATIVA. Questa architettura è più funzionale a livelli di
scuola successivi, perché i bambini della Scuola Primaria sono piuttosto in difficoltà nei
processi che implicano livelli elevati di consapevolezza. E’ soprattutto nelle età successive
che questa consapevolezza insieme alla teoria del sé, si struttura. In questa architettura
l’insegnante mette in atto delle domande, dei quesiti, chiede di analizzare aspetti all’interno
del compito. Il controllo viene trasferito dall’insegnante all’allievo. Lo studente organizza il
proprio lavoro e diviene consapevole e capace di valutarlo.
I FORMATI DELL’ISTRUZIONE/STRATEGIE DIDATTICHE hanno tutti punti di forza e
punti di debolezza. Ad esempio nell’ARCHITETTURA RICETTIVA, è importante che
l’insegnante tenga in considerazione quale punto di debolezza di questo metodo, il
sovraccarico cognitivo (ricordare che i bambini della Primaria hanno tempi di attenzioni
limitati). Un altro punto di debolezza è che non tutti i contenuti sono adatti alla narrazione e
all’esposizione. Ci sono poi docenti che sono più bravi nella spiegazione e altri che lo sono di
meno. Questo tipo di architettura è quindi come se dovesse contare sulla capacità del docente.
In più una lezione di questo tipo esige una verifica che nel tempo l’insegnante deve svolgere,
in quanto il controllo è tutta dalla parte dell’insegnante (il docente sa cosa spiega ma non è
detto che l’allievo comprenda tutto ciò che gli viene raccontato). Punti di forza invece sono
l’efficienza, la chiarezza e la valorizzazione dell’autonomia (si presuppone che l’allievo sia
autonomo nella comprensione, importante è che l’insegnante non ne abusi perché il rischio è
che poi diventi invece un punto di debolezza di questo metodo).
Nell’ARCHITETTURA SIMULATIVA invece, la simulazione e il role paying hanno come
punto di debolezza, l’applicabilità limitata, non tutti i contenuti possono essere trattati con
simulazioni e role paying. Questi inoltre presuppongono anche il possesso da parte
dell’allievo di sicure abilità di base, che invece non sempre possiede. Una ricerca ha infatti
dimostrato che Il coefficiente di efficacia delle simulazioni è elevato quando gli allievi hanno
un determinato livello di conoscenze di base. I punti di forza invece, sono il coinvolgimento e
la messa in situazione, ovvero l’immersione in una situazione che innesca delle dinamiche
emotive ed affettive che favoriscono l’apprendimento.
Nell’ARCHITETTURA ESPLORATIVA la discussione socratica, ovvero la discussione
condivisa tra studenti su argomenti di interesse e secondo dei ragionamenti fatti attraverso
inferenze valide, è una strategia, così come la discussione euristica e presuppongono un certo
livello di conoscenze. Punti di forza, gli studenti vengono posti a contatto con situazioni reali
ma il punto di debolezza è il rischio di dispersione per studenti poco esperti e necessita di un
certo controllo da parte dell’insegnante che è chiamata a fare un po’ da regista del gruppo
classe.
Ultima riflessione è la comparazione delle differenze di queste diverse architetture didattiche
in riferimento alla DAD e alla didattica in presenza.
Uno degli aspetti positivi della DAD è che si può personalizzare la didattica, permette di
intercettare le modalità preferite di apprendimento, di fornire materiali multimodali, che
l’allievo può vedere e scegliere. Fornisce la possibilità di utilizzare diversi materiali. Può
prevedere anche percorsi paralleli, consentendo il lavoro di gruppo. La DAD prevede
un’elevata pre-strutturazione dell’informazione, non è consentito improvvisare nella DAD,
una condivisione nuova e puntuale delle risorse. Lo studente ha molto più controllo, più
autonomia nell’accedere a queste risorse. La valutazione sommativa potrebbe essere più
scomoda mentre quella formativa è più semplice, perchè la possibilità di ricevere feedback è
più agile. Aspetti sfavorevoli sono la perdita della quantità e direzione delle interazioni. Il
pericolo di un lavoro troppo solitario è certamente da considerare e da evitare. Molti sono i
dispositivi tecnologici che consentono di lavorare con elevato grado problemico. Si può
ricorrere a video esplicativi. Teoricamente la gestione immediata del feedback va articolata
nella DAD, perché è sicuramente più semplice da gestire in presenza.
L’integrazione tra DAD e didattica in presenza esula da quanto c’è nel libro di testo, tuttavia è
difficile parlare di architetture senza tenere in considerazione l’attuale situazione.

DIDATTICA GENERALE
DECIMA LEZIONE DEL 13 APRILE 2021
Oggi facciamo un approfondimento sulle situazioni/ambienti di apprendimento.
GLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
Con questo modo di dire si intende “costruzione o allestimento degli ambienti di
apprendimento”. Si possono utilizzare diverse espressioni tutte sinonime per alludere all’idea
che l’insegnante predispone l’ambiente di apprendimento in modo intenzionale compiendo
delle scelte in rapporto alle modalità con cui vuole agire ed in rapporto agli obiettivi prefissi.
Quando troviamo “ambiente di apprendimento” normalmente ci si riferisce a un concetto che
va al di là del suo significato letterale, assumendo un significato particolare all’interno della
prospettiva/epistemologia/pensiero costruttivista.
Voi sapete che cos’è il COSTRUTTIVISMO: una cornice teorica (non individuabile come
teoria univoca) che guarda all’apprendimento e che si inserisce nell’insieme più ampio delle
teorie cognitiviste accentuandone dei particolari aspetti. In comune col cognitivismo ha l’idea
che l’apprendimento si concretizza attraverso l’elaborazione delle informazioni provenienti
dall’ambiente esterno (pensiero comune a tutte le teorie cognitiviste). Nel costruttivismo
l’apprendimento si risolve sempre nell’elaborazione di info esterne ma è però costruito in
prima persona dal soggetto che apprende. Quindi la focalizzazione interna sul soggetto che
apprende è più forte nel costruttivismo che nelle altre teorie cognitiviste (e questo è un
elemento discordante tra cognitivismo generale e costruttivismo). Il costruttivismo non va
pensato come una teoria più innovativa o moderna del cognitivismo anche perché questo
ultimo attraversa diverse fasi: dal primo cognitivismo che soppianta il comportamentismo e
che è di tipo computazionale (vuol dire che introduce la metafora del funzionamento della
mente paragonandola ad un PC) a cognitivismi più aggiornati (come quello culturalista di
Bruner molto recente ad esempio). Nel costruttivismo inseriamo autori come Piaget,
Vergnaud o Vigotsky. I diversi modi di pensare il costruttivismo non sono una progressione
continua di modelli che spiegano la mente in modo sempre più aggiornato ma sono modi di
pensare la mente che si intersecano anche temporalmente e non si escludono a vicenda.
Distinguiamo quindi:
- COSTRUTTIVISMO DI PIAGET che è centrato sul singolo individuo che
interagisce con l’ambiente esterno e che costruisce la sua mente attraverso questa
interazione (chi lo ha già studiato può ricordare i meccanismi di assimilazione e
accomodamento). Il soggetto secondo Piaget apprende per adattamento, = funzione
adattativa: la realtà richiede al soggetto la comprensione di qualche elemento e le
strutture mentali del soggetto stesso si adattano alla richiesta posta dalla realtà e per
comprenderla si modificano. Nell’accomodamento le strutture mentali si adattano per
farsi più comprensive rispetto all’interpretazione e al significato della realtà che sto
costruendo. Nell’assimilazione e nell’accomodamento si svolge la funzione adattativa
della mente del soggetto rispetto all’ambiente. Questo costruttivismo prevede una
DIMENSIONE INDIVIDUALE;
- COSTRUTTIVISMO SOCIALE DI VIGOTSKY che prevede la costruzione del
proprio apprendimento in condivisione con gli altri: gli altri soggetti che entrano in
interazione con noi hanno ruolo molto forte nella nostra costruzione soggettiva di
conoscenza. La conoscenza si ridistribuisce tra gli individui e io apprendo attraverso il
confronto con gli altri e attraverso gli scambi linguistici: ciò vuol dire che evoluzione
del pensiero ed evoluzione del linguaggio vanno di pari passo (“Pensiero e
linguaggio” opera famosissima di Vigotsky dove vi è questa coevoluzione di pensiero
e linguaggio). In questo costruttivismo vi è una sorta di NEGOZIAZIONE SOCIALE
intesa come processo di condivisione della realtà con gli altri che utilizzano gli stessi
nostri processi per conoscere la realtà. L’apprendimento procede in modo sociale per
interazione con gli altri con cui co – costruiamo l’apprendimento. Questo
costruttivismo prevede una DIMENSIONE SOCIALE E CONDIVISA.
Piaget e Vigotsky lavorano contemporaneamente pur elaborando due teorie molto diverse:
entrambi interni al cognitivismo però nello spiegare il funzionamento dell’apprendimento
accentuano due elementi particolari differenti.
 Piaget pensa ad un apprendimento prima a livello individuale che poi diventa sociale (il
soggetto costruisce le strutture della sua mente e poi le utilizza nel rapporto con gli altri).
 Vigotsky pensa che le persone costruiscono la propria mente nella società con
l’interazione e poi si strutturano in processi superiori a livello più interiore ed intimo (il
livello base di conoscenza è sociale, poi diventa personale/individuale).
L’epistemologia costruttivista offre una cornice teorica dalla quale ricavare alcuni importanti
indicazioni sul significato dell’apprendimento ma anche su che cosa e su come si apprende.
Ora non descriviamo tutte le epistemologie costruttiviste che sono molteplici ma alla slide
numero 4 troverete una mappa concettuale nella quale sono descritte e articolate tra loro
molte teorie dell’apprendimento e questo sta a indicare la molteplicità delle descrizioni
sull’apprendimento. Non significa che alcune siano vere e altre false: ciascuna descrizione
per accreditarsi come valida deve essere coerente con quello che funziona e accade nella
realtà e sono tutte diverse ma altrettanto realistiche. Tra la scelta di una descrizione piuttosto
di un’altra a livello didattico prevale il fattore individuale: la singola insegnante può sentirsi a
proprio agio con una descrizione e meno con altre in funzione degli aspetti che le singole
descrizioni mettono in evidenza (alcune sono più specialistiche altre sono più generali e sono
da intendere come le matrici).
LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO DI AUSUBEL è stata presa come riferimento ad
esempio dalla “DIDATTICA PER CONCETTI” che è una didattica che focalizza l’oggetto e le
modalità di insegnamento attraverso diversi dispositivi quali l’uso di MAPPE
CONCETTUALI (come alberi gerarchici) e le INDAGINI SULLE CONCEZIONI INGENUE.
Per quanto riguarda questo ultimo dispositivo utilizzato dalla didattica per concetti bisogna
dire che siccome i concetti sono modi di concepire la realtà è importante sapere che acquisire
un concetto nuovo fa intervenire le nostre pregresse concezioni e conoscenze pertanto
l’indagine sulle concezioni preesistenti è fondamentale per far emergere le concezioni
ingenue. Le concezioni ingenue sono quelle più infantili e radicate in noi in modo innato e
che spesso sono in contrasto con le concezioni informali: ad esempio da grandi sappiamo che
il colore è un’onda elettromagnetica mentre da piccoli sappiamo che il colore è un pigmento.
Queste due spiegazioni sono reciprocamente in conflitto e si escludono a vicenda nella
misura in cui la concezione del colore come onda elettromagnetica soppianta la concezione
ingenua del colore come pigmento. Queste concezioni ingenue esistono moltissimo nella
scienza ed anche in ambito umanistico (ad esempio il concetto di razza che è stato un
concetto scientifico agli inizi del 900 per poi essere superato con la scoperta del DNA e della
biologia molecolare). Nella didattica per concetti bisogna far emergere le concezioni ingenue
perché tutto quello che andiamo ad insegnare si interseca con queste concezioni quindi
bisogna che l’insegnante le conosce e le sappia gestire. Le concezioni ingenue sono quindi le
conoscenze intuitive ed innate che ognuno di noi ha. L’APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO
è la teoria di base che sta alle fondamenta della didattica per concetti. (prendo screen a minuti
51.48).
LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO SONO SOLO UN ACCENNO DA FARE MA
LEI NON CI SI SOFFERMA SU, SONO DA GUARDARE PER NOSTRA CURIOSITà
PERSONALE.
AMBIENTE DI APPRENDIMENTO
SIGNIFICATO LETTERALE  allude alla possibilità di costruire ed allestire situazioni
didattiche ed ambienti di apprendimento.
ACCEZIONE PARTICOLARE  è una locuzione tipica del costruttivismo. La costruzione di
un ambiente di apprendimento è un concetto che trova pieno diritto di esistenza nelle
elaborazione costruttiviste (elaborazioni che pensano all’apprendimento come qualcosa di
costruito dalla persona che apprende in primis). È la modalità di interazione con
l’ambiente esterno che produce apprendimento: bisogna avere in mente che quella
dell’allievo è una propria personale costruzione di ciò che apprende all’interno degli
ambienti di apprendimento.
L’APPROCCIO COSTRUTTIVISTA HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
- CONOSCENZA COME COSTRUZIONE ATTIVA: non pensiamo a dei contesti
solo trasmissivi ma dei contesti nei quali il soggetto agisce sia in modo intellettuale
che concreto (agire su dei materiali e con dei materiali);
- CONOSCENZA SOCIALE / INTERSOGGETTIVA: la predominanza del fattore
sociale sta nel costruttivismo sociale dove si guarda alla conoscenza come qualcosa di
costruito per scambio con gli altri e non da solo;
- CONOSCENZA SITUATA: situata vuol dire che è come se fosse diffusa e
distribuita nell’ambiente. Uno degli esempi più radicali è quello dell’EDUCAZIONE
INDIRETTA di Rousseau e Montessori: è l’interazione col materiale che fa sì che io
apprendo. Il materiale ed il contesto di apprendimento è imperniato di
conoscenza e strutturato dalla conoscenza. La conoscenza situata moderna è tipica
degli ambienti di apprendimento costruiti in modo da far agire gli allievi nel modo in
cui io esattamente ho previsto senza una mia esplicita spiegazione. Ad esempio se io
mi do degli obiettivi di sviluppo di conoscenza relativa alla misura anziché raccontare
la misura io devo far svolgere agli allievi operazioni di misurazione concrete e
tangibili come ad esempio misurare la stanza in cui si è (qui entrano in gioco anche
attività come l’approssimazione). La conoscenza qui è situata perché è situata
nell’ambiente che io vado a misurare.
- CONOSCENZA DISTRIBUITA: situata è riferito ai materiali mentre distribuita
include anche le persone ma le idee sono molto simili e si possono utilizzare come
sinonimi
- CONOSCENZA COME APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO: significativo qui
si riferisce alla costruzione del significato: io attribuisco un significato alle cose e
costruisco questo significato interagendo con gli altri e con l’ambiente. L’attributo
significativo è antagonista dell’apprendimento meccanico: alcuni apprendimenti sono
naturalmente meccanici (ad esempio imparare le tabelline) ed hanno uguale valore
degli apprendimenti significativi. Dire meccanico si riferisce ad apprendimenti
riproduttivi (ad esempio costruire la forma interrogativa in inglese con l’ausiliare do).
Diverso sarebbe apprendere meccanicamente un concetto: le operazioni devono essere
apprese in modo significativo, le tabelline in modo meccanico.
- CONOSCENZA MEDIATA: contrario dell’educazione immediata. C’è qualcosa che
io posso conoscere immediatamente perché quel qualcosa corrisponde alla mia
percezione. Le conoscenze scolastiche invece sono per la maggior parte non
immediate; nella vita reale c’è moltissima conoscenza immediata. La conoscenza
scolastica è mediata dai tanti mediatori quali insegnante, ambiente, materiali, regole.
Nell’approccio costruttivista si dà grande valore ai mediatori.
- CONOSCENZA COME PROCESSO METACOGNITIVO: una didattica
costruttivista interroga i bambini e il gruppo classe su quello che stanno facendo:
“Che cosa stiamo facendo? Che cosa abbiamo fatto oggi? Quali difficoltà abbiamo
riscontrato? Quali obiettivi abbiamo raggiunto?”. Tutte queste domande, che
assumono un punto di vista esterno rispetto all’immersione nel compito, attivano dei
processi metacognitivi perché attivano la conoscenza della nostra conoscenza: ci
interroghiamo sulle forme della nostra conoscenza. È un processo che reclama
buona consapevolezza pertanto è da fare con gli alunni più grandi non con quelli delle
prime classe della primaria. Avere la consapevolezza di se e delle proprie capacità e
preferenze si acquisisce col tempo.
Queste sono le caratteristiche dell’approccio costruttivista e sono anche le caratteristiche
degli ambienti di apprendimento di stampo costruttivista che io vado ad edificare (in una
ipotetica domanda “quali sono le caratteristiche degli ambienti di apprendimento di stampo
costruttivista?” rispondere con questo elenco sarebbe corretto)

AMBIENTE DI APPRENDIMENTO COSTRUTTIVISTA: (la definizione è quella in


grassetto e sottolineato, tra parentesi ho messo le spiegazioni della prof per ogni singolo
pezzo)
spazio di azione (vi è un riferimento esplicito all’agire) predisposto in maniera
intenzionale (un ambiente che fa agire gli allievi nel senso atteso dall’insegnante è un
ambiente intenzionale. Gli allievi possono pure agire diversamente dalle attese tuttavia
quell’ambiente ha determinate caratteristiche che portano verso un determinato obiettivo)
costituito da un insieme di attività strutturate (la strutturazione presuppone la definizione
delle caratteristiche) basate su esperienze significative in senso cognitivo (permettono agli
allievi di costruire significati dal punto di vista cognitivo. Cognitivo significa che facciamo
intervenire la nostra cognizione quindi i processi cognitivi. Il nostro cognizionare corrisponde
all’attivazione di processi basilari o superiori come quelli attentivi, mnemonici, di sintesi, di
analisi, di ragionamento etc…), affettivo (deve essere un’esperienza che ha un’importanza
affettiva per l’allievo e che gli dia occasione di riconoscimento sociale, di gratificazione, di
soddisfazione di interesse o bisogno in modo che esso sia sostenuto emotivamente nella
costruzione del significato dell’esperienza) e sociale (la dimensione sociale è tipica
dell’ambito costruttivista) e finalizzate ad orientare il processo di apprendimento degli
allievi (questo spazio è predisposto in modo da far agire l’allievo mobilitando tutti i processi
sopra elencati).
APPROCCIO COSTRUTTIVISTA

Antecedenti storici…

 Attivismo pedagogico (Dewey)


 Puerocentrismo (Montessori)
 Apprendimento per padronanza (Bloom; Anderson) → mastery learning. Anderson
é uno psicologo dell’apprendimento, fece al tempo un libro molto famoso nel mondo
della scuola
 Pedagogia per obiettivi (D’Hainaut: De Landsheere) → ne abbiamo parlato quando
abbiamo descritto le modalità di progettazione didattica per obiettivi predefiniti o
aperti
 La classe come comunità, la tipografia scolastica (Freinet) e le varie attività già viste
nel primo capitolo dei cenni storici
 Apprendimento significativo (Ausubel) → quello a cui si ispira il metodo della
didattica per concetti in riferimento sia alla generalità sia ai legami trasversali con
precedenti che sono di pari livello

Questi antecedenti storici rispetto al costruttivismo li possiamo menzionare, ma possiamo


argomentare su queste cose rispetto a cio’ che abbiamo già detto.

PROGETTAZIONE DI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO COSTRUTTIVISTI →


questo schema, articolato in step o procedure (5 step complessivi), é una indicazione di
massima, quindi non é detta che si debba per forza passare da questa articolazione, non é una
articolazione univoca e tuttavia mi consente di toccare gli elementi che son fondamentali per
la progettazione di ambienti di apprendimento costruttivisti:

1. Incipit o ingaggio (elemento motivazionale; emergenza delle concezioni ingenue) →


é il momento iniziale nel quale l’insegnante cerca di trovare una motivazione per
“ingaggiare”, richiamare l’attenzione, motivare e quindi di creare una situazione di
buona predisposizione al compito e all’attività didattica. Come l’insegnante costruisce
l’incipit? Un riferimento importante va all’elemento motivazionale e anche se per
esempio fossimo in un setting di apprendimento significativo come quello a cui
alludavamo nella scorsa lezione, l’emergenza delle concezioni ingenue. Il momento
iniziale, se io so che dovro’ andare ad affrontare un argomento che é suscettibile di
entrare in conflitto con delle concezioni ingenue, l’inizio della lezione é il momento
adatto per trovare una maniera, un dispositivo per far far emergere queste concezioni
ingenue. Le concezioni ingenue sono rilevabili o attraverso un confronto fatto di
domande, quindi attraverso una sorta di brainstorming fatto in cui l’insegnante va a
cercare di stanare le concezioni dall’insegnante ingenue, ma ci sono anche altri
dispositivi che talvolta sono dispositivi che si utilizzano nella ricerca che riguardano
situazioni di role playing, si trovano degli espedienti per far si che l’allievo possa
accedere alle sue convinzioni piu profonde. Un classico dispositivo é quello di
chiedere all’allievo di immaginare di raccontare queste cose ad un bambino piu’
piccolo, a chi per certo non le conosce, perché questo fa abbassare la soglia linguistica
e toglie il bambino dalla tentaione di riferire e parlare in un linguaggio in
“didattichese”, ovvero di riprodurre in qualche modo una definizione che non ci dice
se il bambino ha realmente capito qualche cosa, ma in pratica riproduce la definizione
che l’insegnante ha fatto registrare sul quaderno o che é sul libro.
→ Per esempio in un contesto molto eloquente, contesto di ricerca,
l’oggetto era la concezione delle altezze di un triangolo, perché come sappiamo le
altezze di triangolo sono 3, ciascuna relativa a ciascun lato che parte da ciascun
vertice del triangolo e va con un segmento perpendicolare al lato opposto, pero’
questa cosa delle 3 altezze spesso combatte con l’immagine percettiva che i bambini
hanno della altezza che invece é sempre quella “in piedi”: il triangolo é in piedi
quando l’altezza é disegnata come segmento verticale, mentre le altezze relative agli
altri lati, non essendo disegnate sul segmento della verticale tante volte non vengono
considerate come altezze. Se io chiedo ad un bambino che cos’é l’altezza del
triangolo, quel bambino tenderà a reperire la definizione, specialmente se quella
definizione é stata oggetto di insegnamento esplicito perché é stata descritta, spiegata
registrata nel quaderno, é stata letta nel libro etc.. Secondo questo metodo pero’ noi
registriamo una risposta corretta da parte dell’alunno, ma effettivamente noi non
sappiamo bene se in altre situazioni, come quelle di risoluzione dei problemi, questo
stesso bambino é in grado di approfittare dell’esistenza delle altre altezze per
esempio. Allora in un contesto d ricerca che voleva fornire dei dati per questo
fenomeno, é stato chiesto ai bambini di immaginare di spiegare che cosa é l’altezza di
un triangolo ad un bambino piccolo che ancora non andava a scuola e che non poteva
parlare il linguaggio delle definizioni geometriche , vennero fuori diverse definizioni
curiose : un racconto di una bambina diceva “figlio mio, come te anche i triangoli
hanno una altezza, la nostra altezza pero’ si misura dalla testa ai piedi, l’altezza dei
triangoli invece si misura da un puntino che é come la nostra testa fino al segmento
che sono come i nostri piedi, ma siccome loro hanno tre teste cioé tre puntini e tre
paia di piedi, allora le altezze sono tre!”. Questa é una spiegazione infantile che
funziona perfettamente e dice molto di piu’ della definizione che magari la stessa
bambina avrebbe potuto recitare in “matematichese”. Questo dispositivo di
“immaginare di dire qualcosa” ad un bambino piu’ piccolo, ha fatto emergere un
modello interno espresso in un linguaggio narrativo, ma siamo sicuri che
effettivamente immaginare di misurare per ciascuna delle tre teste teste del triangolo e
per ciascun segmento che va dalla testa ad un paio di piedi per ciascuno dei tre lati ,
ci dice che il modello interiore di questo concetto di altezza del triangolo é corretto.

Esistono delle tecniche per far emergere le concezioni ingenue che a volte possono
essere inadeguate e a volte, come nel caso dell’esempio soprastante, si verifica che
sono adeguate e geometricamente corrette. Allora l’emergenza delle concezioni
ingenue qualche volta é stata espressa nella didattica per concetti in termini di
<intervista clinica>, questo termine deriva da Piaget che effettuava queste interviste
cliniche per accertarsi dei comportamenti cognitivi dei bambini durante i suoi studi e
quindi é stato ripreso questo termine. Il messaggio é che ci sono delle tecniche per far
emergere le concezioni ingenue, cio’ ci interessa perché ogni nuovo insegnamento va
ad innestarsi sulle concezioni che già abbiamo che noi vogliamo o no e quindi
conoscere se sono adeguate é inevitabilmente importante perché anche s enoi diciamo
le cose in maniera corretta dobbiamo essere consapevoli che cio’ che diciamo non
viene recepito dal bambino come se il bambino avesse una testa vuota, ma viene
connesso a quello che si sa e se quello che si sa corrisponde ad una concezione
inadeguata allora li si crea il conflitto cognitivo. Noi ne siamo inconsapevoli, ma in
realtà poi su quel conflitto cognitivo il bambino cerca di aggiustare le cose via via
fino a che non emerge e abbiamo l’occasione di correggerle.

2. Setting (organizzazione dello spazio come architettura dell’insegnamento) → é un


termine che viene utilizzato soprattutto in ambiente psicologico e in qualche misura é
stato prestato anche alla didattica. Per noi riguarda l’organizzazione dello spazio come
<architettura dell’insegnamento> . Qua intervengono sia degli aspetti di tipo
materiale, ma anche immateriale. Quindi qua noi possiamo sia pensare
all’organizzazione dello spazio fisico, che sia la nostra classe o un laboratorio, ma
anche l’architettura dell’insegnamento che quindi non é l’architettura dello spazio, ma
é la modalità prevalente di erogazione della didattica: per esempio un tipo di
architettura é l’architettura trasmissiva, significa che allora c’é una postura frontale
come l’organizzazione dello spazio e anche le modalità in cui si agisce in questo
spazio. Diversa é una architettura a scoperta guidata che é una modalità di erogazione
che somiglia ad un apprendistato, un tutorial, modeling (senza tecnologia), qualcuno
che fa qualcosa e noi impariamo a fare cio’ che il nostro maestro fa. É vicina anche
alla struttura dell’apprendistato cognitivo perché ricorda l’apprendistato classico, cioé
chi frequenta ad esempio in una bottega d’arte il maestro d’arte si mette a fianco di
esso, lavorano insieme e piano piano impara un po’ il mestiere. L’architettura a
scoperta guidata é una architettura di questo tipo e esistono molte altre architetture
come quella della ricerca, che riguarda lo spazio fisico tanto quanto la scelta delle
modalità d’erogazione della lezione prevalente, poi le lezioni possono essere anche
miste.

3. Tempo (come pianificazione dell’insegnamento) → la pianificazione dei tempi é una


pianificazione importante anche perché abbiamo capito che il tempo é una variabile
individuale di apprendimento, quindi un’insegnante deve per poter distinguere tra
tempo necessario all’apprendimento e tempo concesso. Il rapporto tra tempo
necessario all’apprendimento, tempo stimato stante il suo carattere di complessità,
stante le modalità che si é scelto per trasmettere e il tempo concesso.

esempio → devo stimare il tempo per dare del tempo per gli esami ,
faccio una stima articolando il tempo necessario al tempo concesso. Il tempo
necessario lo stimo su una prestazione esperta mia, poi lo raddoppio e ricavo il tempo
concesso rispetto a ciascuna domanda. Gli insegnanti sono assillati dal tempo
soprattutto in rapporto allo svolgimento di tutto il programma perché c’é esigenza di
completezza. Questa pianificazione del tempo si fa normalmente negli organi
collegiali e anche nelle programmazioni didattiche che si fanno settimanalmente,
riguarda la distribuzione delle unità di lavoro nel tempo e là si tiene conto anche dello
svolgimento del programma. C’é anche il tempo dell’apprendimento in cui
l’insegnante deve essere accorto. Dopo un po’ d anni di insegnamento si sa già quali
saranno gli argomenti che richiedono piu’ tempo per essere appresi dai bambini, anche
tenendo conto di una variabilità dei bambini, quindi di potenziare obiettivi diversi e
tuttavia ci sono delle difficoltà intrinseche in alcuni contenuti, in alcuni elementi, in
alcuni passaggi che richiedono piu’ tempo. Le difficoltà intrinseche vanno incrociate
con i ritmi di apprendimento. Le strategie, come quella del mastery learning, ci
consentono una questione dei tempi avvertita, tempo misurato rispetto al programma.

4. Compito (la consegna di lavoro, la situazione-problema, il tipo di attività) → questo


compito pero’ non é detto che sia individuale, puo’ essere individuale o di gruppo,
puo’ essere carta/matita o invece un compito che fa intervenire delle modalità di
lavoro pratiche, quindi fa intervenire dei processi di natura piu’ elaborativa,
pragmatica come il costruire delle cose. In questo compito noi immaginiamo le
attività che andranno a comporre le nostre unità di lavoro. Questo compito deve
essere:
- ben definito → la definizione del compito é un qualche cosa su cui poi con l’esperienza si
va anche veloce pero’ ci deve essere tutto e solo cio’ che serve. Una cosa a cui bisogna stare
attenti é infatti di non caricare di troppe informazioni il compito, a meno che il nostro
obiettivo non riguardi la scelta delle informazioni da parte dell’allievo. Bisogna considera
tutto e solo cio’ che serve perché senno’ abbiamo un problema di carico cognitivo con il quale
dover andare a fare i conti. La nostra rispetto un modello dell’apprendimento che é descritto
in termini di imput sensoriali, memoria di lavoro e memoria a lungo termine, la nostra
capacità di elaborazione delle informazioni é limitata e quindi andiamo facilmente in
sovrabbondanza di carico cognitivo. Quella del carico cognitivo é una teoria che informa la
didattica del fatto che le informazioni vanno date, ma non bisogna affastellare di informazioni
il compito.
- ben articolato → qua parlando di progettazione di ambienti costruttivisti si allude ad un
compito articolato in piu’ fasi, per le quali sono necessarie piu’ tipi di misurazioni ad esempio
se dobbiamo misurare l’area di una stanza quante misurazioni devo fare? Devo compiere una
stima della conformazione della forma geometrica dell’ambiente in cui sono, quindi devo fare
un disegno verosimile, devo scegliere degli strumenti di misura, devo effettuare delle
misurazioni, devo fare poi delle approssimazioni, quindi insomma sono tante le cose che
bisogna fare per arrivare a dire quale é il volume della stanza in cui siamo. Quindi si dice
articolato perché prevede diversi tipi di attività. In questi diversi tipi di attività si possono poi
ridistribuire gli allievi a seconda anche di quello che ci interessa per assecondare qualche loro
caratteristica o per valorizzare qualche loro talento.
- aperto → cioé che é un compito che lascia dei gradi di libertà all’allievo perché il
presupposto é che l’allievo costruisca in prima persona la conoscenza e che quindi sia minore
il contenuto di trasmissione dei contenuti da parte dell’insegnante e che invece sia maggiore
il contributo dell’apprendimento che l’allievo costruisce da sé. Quindi anziché spiegare
all’allievo come si effettua una misurazione io gli offro degli strumenti di misura e delle
misure da effettuare, dopo intervengo per verificare se effettivamente a parità di strumenti le
misure vengono uguali, ma é misurando che l’allievo impara a capire che cos’é la misura ed a
impratichirsi con la misurazione Quindi é aperto nel senso che lascia dei gradi di libertà.
Compiti aperti che dà la possibilità di agire in diversi modi e anche di seguire strade diverse
per arrivare allo stesso risultato finale.

5. l’ultima scelta che dobbiamo fare é quella dei mediatori didattici,(esigono atteggiamento
critico) → Questa classificazione che vediamo qui scritta é una classificazione storica, la
facciamo risalire a Bruner, ma non il Bruner della cultura dell’educazione, ma il Bruner del
1960-61, il Bruner strutturalista della teoria dell’apprendimento a spirale. C’é questo libro
che si chiama “Il processo educativo dopo Dewey” che é un libro molto semplice ed é ancora
fondamentale per capire che cosa é il curriculum e quali scelte acquisire e quel Bruner
dell’apprendimento a spirale aveva detto al tempo una cosa molto innovativa e cioé che
“bisognava pensare l’insegnamento dei contenuti come se questi contenuti fossero i contenuti
fondamentali di ogni ordine scolastico, ma sui quali ad ogni step del mio percorso scolastico
io ritorno in una maniera piu’ approfondita, piu’ critica, piu’ specializzata. Nel 1960 era epoca
di strutturalismo, lo strutturalismo é stato un moviemnto che ha interessato sia le discipline
sia il mondo della scuola, le discipline perché i matematici hanno cominciato a definire le
strutture della matematica , i linguistici hanno cominciato a distinguere la linguistica in
termini di strutture linguistiche e cosi via… é stato un movimento culturale fortissimo. Questi
elementi fondamentali che dovevano essere i cardini da affrontare in maniera diversa come se
io tornassi sempre sullo stesso punto come fa una spirale, che torna sempre nello stesso punto
, ma ad una quota differente, quindi non una spirale concentrica a due dimensioni ma se noi la
pensiamo a tre dimensioni la spirale torna sugli stessi punti pero’ ci torna ad una altezza
differente, quindi man mano che io cresco e man mano che crescono gli ordini scolastici in
realtà io affronto sempre questi concetti essenziali che sono poi le strutture di una disciplina.
Mentre scriveva queste cose Bruner aveva immaginato anche una differenziazione evolutiva
con la quale gli allievi nel corso di questo percorso allungato nel tempo avrebbero potuto
lavorare.

 Mediatori attivi (esigono atteggiamento critico)


 Mediatori iconici (attività legate all’uso della figurazione)
 Mediatori analogici (giochi di simulazione, dai videogiochi alla realtà aumentata)
 Mediatori simbolici (forme del pensiero, linguaggi)

→ i bambini piccoli lavorano maggiormente con mediatori di tipo attivo e quindi se devono
comprendere qualcosa lo fanno agendo sulla realtà e sugli oggetti che i mediatori iconici
(ovvero le rappresentazioni figurali di questi oggetti) avrebbero segnato una ulteriore capacità
di acquisire conoscenza attraverso un medium iconico figurale e poi si sarebbe passati a
mediatori di tipo analogico fino a quelli di tipo simbolico. Quindi agli estremi troviamo
l’azione diretta sull’ambiente e all’altro estremo troviamo la capacità di lavorare con simboli.
A questi diversi tipi di mediatori didattici Bruner aveva conferito una caratterizzazione
evolutiva, cioé secondo lui si passava con l’età da una facilitazione d’uso con mediatori attivi,
poi iconici, analogici e simbolici e per moltissimi anni questo é stato l’atteggiamento che é
filtrato anche nella scuola. É diventata ormai una consuetudine dell’insegnante quella di fare
prima le cose con gli oggetti e poi di disegnare quello che si é fatto per andare poi a lavorare
in ultima battuta anche con delle simbolizzazioni, cercando di riprodurre questa progressione.
Questa progressione puo’ essere valida ma in realtà oggi noi sappiamo che non segna dei
passaggi evolutivi in maniera netta, un bambino molto piccolo non si pretende che lavori con
simboli anche perché con simboli si puo’ interpretare linguaggi, formule di pensiero…
tuttavia ormai anche dalla scuola dell’infanzia si dovrebbero abituare i bambini all’uso di
simboli, quindi per esempio un bambino in un contesto di gioco di compravendita : un
bambino compra 3 formine a forma di fiore, (la compravendita si utilizza al mercatino
quando entra in gioco il concetto e la concezione in sé del denaro, ma immaginiamo che
siano attività per la quantificazione)in questa compravendita si puo’ fare una attività nella
quale si chiede al bambino quante formine ha comprato … poi si chiede di rappresentare
questo dato, quando il bambino rappresenta il fatto che ha comprato 3 formine li’ si
rintracciano dei passaggi evolutivi, cioé la rappresentazione della quantità é inizialmente
legata ad una rappresentazione iconica. Se io chiedo di riterare queste rappresentazioni (le 3
formine) allora il segno grafico rinuncia alla rappresentazione iconica figurale e
progressivamente si fa piu povero di elementi figurali, per cui ad un certo punto al posto della
formina a fiore ce un pallino. Alla fine questo pallino puo’ diventare un segno su foglio. In
questo modo il bambino della scuola dell’infanzia si abitua ad utilizzare segni al posto di
simboli, non ha fatt un passaggio d età cosi tanto grosso, ma ha fatto un passaggio evolutivo
della sua disponibilità a fare uso di simboli. I mediatori sono vari e devono venir proposti in
maniera differenziata e possiamo dire certamente che rispetto l’esempio delle
rappresentazioni della quantità che ci sono diversi studi di psicologia evolutiva che ci dicono
che in effetti c’é un passaggio, si riescono a riconoscere delle tappe evolutive, tuttavia non
sono da prendere in una maniera rigida, é una progressione che puo’ determinarsi o che puo’
essere sovvertita, si capisce anche in chiave didattica il perché, perché intervengono nelle
diverse situazioni didattiche secondo diversi livelli di complessità. Oggi si tende ad avere un
approccio piu’ olistico e quindi a provare ad utilizzare simboli anche con bambini molto
piccoli e di continuare ad utilizzare mediatori attivi anche invece con bambini grandi perché
in realtà mobilitano processi cognitivi differenti che abbiamo bisogno di mobilitare come
risorse per l’apprendimento. Quindi non é piu’ una questione evolutiva quanto una situazione
di pluralità di risorse che abbiamo a disposizione. Questo é un grafico che articola non in
chiave evolutiva, ma in chiave concettuale questi tipi di mediatori. Sopra c’é scritto
metaforizzazione. Anziché coprire una progressione evolutiva questi mediatori vanno a
marcare dei livelli di metaforizzazione sempre piu’ elevata. Dalla realtà al segno vediamo
questa retta che attraversa i 4 mediatori, gli attivi sono quelli che hanno una aderenza alla
realtà e quindi un grado di metaforizzazione praticamente 0.

metafora → prendo un oggetto per spiegare qualcos’altro nei termini di quell’oggetto (al
posto di un simbolo utilizzo un segno grafico come una stanghettina. )
3 formine → tre lineette → metafora raggiunge livelli elevati

La metaforizzazione é nulla quando utilizzo mediatori attivi e progressivamente invece


cresce.
E Damiano → La metaforizzazione ordina
le procedure di mediazione didattica rispetto
ai poli. Forme di rappresentazione tipiche di
fasi successive di sviluppo (bruner). Essa
non individua una sequenza operativa
necessaria, non é detta che l’insegnante
debba perforza passare prima da una fase
attiva, poi da una fase iconica fino ad una
fase simbolica.Negli anni Settanta queste idee passarono nella scuola, dopo la diffusione e
pubblicazione di queste opere, che sono innovative poicé erano le prime opere che erano
nutrite di studi di psicologia dell’apprendimento. L’idea che la didattica potesse ancorare le
proprie scelte a qualche cosa che si sapeva in piu’ dell’apprendimento trovo’ larga
osservazione perché fino a quel momento la didattica era affidata alla fantasia, all’estro, alla
vocazione dell’insegnante, quindi queste cose passarono molto fortemente e si strutturarono
proprio come abitudini. Stessa cosa successe quando in epoca strutturalista passo l’idea che
gli insiemi erano delle strutture del pensiero logico-matematico, da quel momento in poi in
ogni libro troviamo un capitolo sugli insiemi. Sono movimenti culturali, questo é il segno
dell’affermazione di questi movimenti culturali. Oggi sappiamo bene che l’insegnante non
deve rintracciare questa articolazione, ma deve sapere che l’uso di mediatori diversi implica
azioni cognitive diverse, operazioni mentali da parte dei bambini.

Esempio → preso da una pagina didattica online , é la rappresentazione di una reazione


chimica

→ Questa é un’altra tabella


che articola e ridistribuisce i
mediatori da attivi a simbolici,
come mediatori che vanno dal
concreto all’astratto. É un
metodo abbastanza intuitivo
per fare delle scelte.

Quello che succede


normalmente é questa sorta di
andirivieni tra mediatori attivi
e mediatori iconici e simbolici. L’attività didattica si ridistribuisce in una sorta di alternanza,
anche se qua é regolare ma si vuole alludere ad una combinazione di mediatori attivi,
mediatori simbolici e iconici. I mediatori analogici sono piu’ difficili da reperire , diverso é se
si fa uso delle tecnologie, perché invece qui l’analogico non sta tanto nel digitale, ma nel tipo
di configurazione, ad esempio se si usano tecnologie si possono trovare dei simulatori, allora
la simulazione é difficile operarla non avvalendosi di simbologie, quindi la maggior parte
delle articolazioni riguardano questa oscillazione tra le 3 categorie. I codici simbolici sono
anche detti mediatori freddi, che servono per sistematizzare cio che si conosce, per
classificare, mentre i mediatori attivi sono detti mediatori caldi che mobilitano risorse
emotive- affettive e quindi possiamo immaginare che in un ambiente di apprendimento
costruttivista finalizzato al compito di risoluzione del problema, al compito di costruzione di
un elaborato, di un artefatto, allora la fase ativa é molto forte ed é quella su cui viene
agganciata anche la risorsa motivazionale e affettiva e invece i mediatori iconici e simbolici
ci consentono di portare avanti il lavoro →

DIMENSIONE NEGOZIALE E ATTUATIVA

Questo titolo allude in maniera piu’ semplice a tutte quelle azioni didattiche che hanno a che
vedere con la negoziazione di significati, l’idea é che se io devo far apprendere qualcosa a
qualcun glielo posso far vedere, glielo posso trasmettere, posso farlo lavorare su compiti ma
devo andare a negoziare il significato. Nel passaggio tra un significato che esiste, noto
all’insegnante e un significato che deve essere fatto proprio dagli allievi é come se avvenisse
una negoziazione. Attuativa perché realizza l’azione didattica. L’insegnamento si realizza in
una serie di atti, che sono atti comunicativi, ma non solo. Gli atti comunicativi sono
importanti perché la didattica non puo’ fare a meno della comunicazione.
→ Montessori predispone gli ambienti in maniera molto precisa, sono ambienti chiusi, con
materiali che si usano in un solo modo, ma la scelta di materiali é libera, il passaggio del
bambino d aun materiale ad un altro é lasciato all’autonomia del bambino e quindi i materiali
e la situazione mediano l’apprendimento. Quindi questo titolo fa riferimento a tutte quelle
caratteristiche che ci permettono di descrivere l’interazione tra insegnanti e l’allievo. La
comunicazione verbale fa molto, ma ci sono anche mediazioni piu simboliche.

NB: Quando si parla di mediazioni non parlo di mediatori, i mediatori parlo delle forme con
cui tratto le conoscenze, quando parlo di mediazioni parlo di interazioni.

Ci occupiamo di mediazioni e gesti professionali che mediano l’interazione tra docente e


allievo e allora vedremo:
- ambito comunicativo
- ambito di management della classe → capacità dell’insegnante di gestire il gruppo classe.
Gli insegnanti, negli ultimi anni, reclamano una scarsa attenzione da parte dei bambini, i
bambini hanno cambiato le modalità di mobilitazione della propria attenzione nel tempo,
magari la funzione selettiva funziona molto bene, ma l’azione concentrata (montessori)
potrebbe essere meno forte, quindi il management della classe riguarda tutte quelle modalità
di gestione del gruppo classe, tra queste rientrano modalità di tipo collaborativo .
- ambito simbolico cognitivo → insieme delle interazioni tra insegnanti e allievi che hanno a
che fare anche con un ambito simbolico. Ambito simbolico perché cio’ che succede in classe
é talvolta anche qualcos che sfugge all’osservazione, alla dichiarazione esplicita, ci sono
molti impliciti (esempio “contratto didattico” → cosa si aspetta l’insegnante da me?).

20/04/2021
La professoressa fa il salto d’appello per chi non arriva alla sufficienza. Il primo appello sarà
il 9/06 (probabilmente online), gli altri due appelli 23/06 e 7/07 (date da confermare)
probabilmente in presenza.
AMBITO COMUNICATIVO è il primo dei 3 ambiti che prenderemo in considerazione
(ambito simbolico-comunicativo, management della classe). Ci sono diverse forme di
comunicazione che interessano l’ambito scolastico ed hanno caratteristiche specifiche, le 3
forme di comunicazione che già conosciamo sono: comunicazione faccia a faccia, testuale-
multimediale, comunicazione mediata dal computer.
Comunicazione faccia a faccia: tipica della didattica in presenza, si caratterizza per il fatto
che intervengono più codici espressivi contemporaneamente, cioè sia il codice verbale ma
anche tutta quella parte della comunicazione che chiamiamo non verbale (gestualità,
espressione del volto, atteggiamento del corpo). È quella che, come insegnanti, sfrutteremo
per la stragrande maggioranza delle situazioni didattiche. I linguaggi verbale e non verbale
possono essere più o meno evoluti e si possono articolare in altre diverse componenti: nel
linguaggio verbale si distinguono ancora 2 categorie, cioè il linguaggio verbale naturale,
utilizzo della lingua naturale, lingua di tutti i giorni che in teoria non trattiene in sé in maniera
specifica il lessico tecnico di una disciplina, ma in didattica questo linguaggio verbale
naturale si innerva anche di termini tecnici cioè linguaggio verbale formalizzato (es. la
parola spigolo linguaggio verbale naturale allude allo spigolo di un tavolo, se io sto
insegnando matematica lo spigolo è il termine che in un poliedro indicano l’intersezione tra
due facce). Quindi, linguaggio verbale è una modulazione tra il linguaggio verbale naturale e
l’introduzione di termini specifici che mi permettono di operare all’interno di un ambito
disciplinare.
Linguaggio non verbale: componente vocale non linguistica e la componente prossemica-
cinesica del corpo. La prima comprende caratteristiche paralinguistiche ed extralinguistiche,
riguarda il tono della voce, lo scandire, parlare in modo lento o veloce, ritmo, tonalità  non
si riferisce alla scelta delle parole. Componente prossemica: mimica facciale, lo sguardo,
postura e gestualità. (es. alzare il sopracciglio per indicare che c’è un errore) La prossemica
allude al modo di pormi, nella strutturazione di diversi tipi di apprendimento si può assumere
una prossemica diversa. (es. disposizione di banchi a ferro di cavallo, saremo indotti a stare in
piedi ed avere un rapporto di tipo radiale)
Per esempio: la prof all’esame ci potrebbe chiedere di articolare l’ambito comunicativo come
ambito di negoziazione didattica domanda di media entità, non così generale. La domanda
più tecnica potrebbe essere quella di distinguere le tre forme di comunicazione prevalenti in
ambito comunicativo, oppure domanda più puntuale potrebbe essere parlami della
comunicazione faccia a faccia.
Comunicazione testuale-multimediale: è una comunicazione che si intende mediata. Siamo
nell’ambito della comunicazione che avviene per mezzo di una mediazione. (la
comunicazione faccia a faccia è una comunicazione immediata) la comunicazione mediata ha
un medium attraverso il quale questa comunicazione passa, il medium più frequente in
ambito didattico è il testo. La comunicazione testuale mediatizzata si avvale di testi e quindi
del medium della scrittura (se è un testo scritto la scrittura è il codice/medium/modo
semiotico di comunicazione) ovviamente non è l’unica forma possibile. L’altro codice,
medium assolutamente importante è il codice figurale/le immagini. Testo e immagini sono
due forme della comunicazione mediata. Quando la comunicazione è mediata da testi e
quindi il medium è quello della scrittura, le tre caratteristiche del nostro agire cognitivo/le tre
azioni cognitive che intervengono quando io sono posto di fronte ad una comunicazione che
avviene attraverso il medium della scrittura sono: controllo visivo del linguaggio (bisogna
guardare la scrittura e riconosce i vari grafemi), l’analisi della parola (perché in ogni caso
devo accedere al significato della parola) e il pensiero analitico (quella forma di pensiero
che si è consolidato nella nostra cultura nel momento in cui abbiamo introdotto la scrittura
come tecnologia, infatti da quel momento il nostro pensiero ha preso una direzione di
sviluppo di tipo convergente o analitico, cioè la scrittura costringe a mettere i pensieri in fila,
le preposizioni sono articolate tra loro attraverso delle congiunzioni, connettivi di tipo
inferenziale quindi l’aver adottato la scrittura ha portato a valorizzare certe forme di
espressione linguistica che hanno come caratteristica fondamentale la linearità). Per esempio,
la cultura orientale avendo adottato il sistema di scrittura per immagine, le loro forme di
pensiero si sono costruite in modo diverso: quindi i modi di pensare delle persone all’interno
delle culture si differenziano anche perché le loro menti si sono strutturate sulla base di
operazioni cognitive che più frequentemente hanno compiuto  alle tecnologie alle quali si
sono di più appoggiate.
La comunicazione oltre ad essere testuale in didattica è multimediale (testo + immagini).
Nella comunicazione che è testuale e multimediale distinguiamo una comunicazione mediata
da testi o comunicazione mediata da testi ed immagini (televisione, cinema, internet).
APPROFONDIMENTO: (Teoria di Mayer e funzioni comunicative delle immagini di
Clarck e Lyons sono approfondimenti che non sono necessari per l’esame, servono per
avere un voto più alto).
Teoria di Meyer dell’apprendimento multimediale rileva alcuni dei principi che regolano
l’apprendimento attraverso dispositivi multimediali.
Questo schema riprende quello che abbiamo già visto quando ci siamo riferiti al modello di
descrizione di tipo cognitivista del funzionamento della nostra mente. Infatti, troviamo
sempre:
Memoria sensoriale+ memoria di lavoro+ memoria a lungo termine.
Alla memoria sensoriale arrivano due tipi di imput: le parole e le immagini, che sono
percepiti dai nostri occhi e le nostre orecchie, poi hanno degli interscambi tra la memoria di
lavoro e a lungo termine e quindi siamo sempre in un modello cognitivista.
Di parole ed immagini fa molto uso, ad esempio, la comunicazione aumentativa alternativa
didattica speciale.
Alcuni principi che informano gli insegnanti su quali effetti possono avere il codice
multimediale:
- La multimedialità è qualcosa che favorisce l’apprendimento anche se non a
qualunque condizione. (bisogna infatti sempre fare attenzione al carico cognitivo)
- Contiguità spaziale: le persone apprendono meglio quando testo e figure
corrispondenti sono presentati vicini tra loro sulla pagina o sullo schermo.
- Contiguità temporale: le persone apprendono meglio quando testo e figure
corrispondenti sono presentati simultaneamente.
- Principio di coerenza: quando nelle presentazioni non sono inclusi parole, immagini
o suoni estranei.
- Principio delle modalità: le persone imparano meglio quando vengono utilizzate
animazioni/immagini in movimento e la narrazione. (tutti i cartoni animati sono
fondati su questo principio)
- Principio della voce: la voce umana funziona meglio rispetto alla voce meccanica.
- Principio della sottolineatura: apprendiamo più profondamente quando nella
presentazione si aggiungono dei punti focali che sottolineano l’idea principale e
l’organizzazione delle parole (es. cerchiare le parole, evidenziare i concetti). Anche
per la musica vale questo principio.
- Principio della segmentazione: apprendiamo meglio quando un’animazione narrata
è presentata in segmenti (tipica attività che si fa nella scuola dell’infanzia o attività di
pre-lettura, cioè si legge per immagini e si associa la narrazione, però questa
narrazione è rappresentata da immagini segmentate.)
IMMAGINI: presentano due caratteristiche
Caratteristiche superficiali: che riguardano l’aspetto di un’immagine e come essa è creata.
Distinguiamo tra immagini animate o statiche (illustrazione, immagine fotografica ecc)
Funzioni comunicative (studio condotto da Clarck e Lyons): cioè come le immagini possono
essere utilizzate a scopo comunicativo. Funzione decorativa, estetica o umoristica,
rappresentativa (serve per rappresentare qualcosa, esemplificare es. per spiegare la leva mi
devo servire dell’immagine di una bilancia), mnemonica, funzione organizzativa (es. tabelle
o grafici servono ad organizzare le informazioni), trasformativa sono tutte quelle
immagini che fanno vedere le successioni, interpretativa.
Ma le immagini hanno anche funzioni psicologiche: possono essere di supporto
all’attenzione, attivazione della conoscenza cioè facilito il recupero delle conoscenze,
minimizzazione del carico cognitivo (vedere le cose solleva il mio carico cognitivo
rispetto a leggere le cose. Se io vedo il quadro piuttosto che leggere la sua
descrizione alleggerisco molto il carico cognitivo), costruire modelli mentali (es.
filo a piombo per comprendere il concetto d’altezza di un triangolo).

Lezione del 21 /04 DIDATTICA GENERALE-BERTA MARTINI


Siamo l'ultima slide che riguarda l'ambito comunicativo delle negoziazioni possibili in
classe. Finiamo con la comunicazione mediata dal computer, CMC,
( Comunicazione Mediata dal Computer) che si articola in due grandi categorie:
comunicazione asincrona e comunicazione sincrona.

Comunicazione Sincrona: emittente e ricevente lavorano nella stessa unità di


tempo.

Comunicazione Asincrona: L’ emittente e il ricevente lavorano in due tempi


differenti. Per quello che riguarda la scuola, spesso se si pensa ad esempio alla
feedback classroom, si genera una comunicazione mediata dal computer di tipo
asincrono. L'insegnante prepara il suo segmento iniziale che poi i ragazzi utilizzano
come lavoro di prima introduzione agli argomenti a casa.

Dentro la comunicazione sincrona ed in quella asincrona sono indicate le modalità


più frequenti.

Sulla comunicazione asincrona abbiano abbiamo la posta elettronica, i forum, i


blog, i sistemi Wiki, ovvero le enciclopedie create dagli utenti, i social network, in
quanto depositiamo in unità di tempo x, messaggi che possono essere fruiti in
maniera differita.

Per comunicazione asincrona consideriamo la chat, l'audio videoconferenza, i


mondi virtuali interattivi.

Per quanto riguarda la CMC, l'idea è quella che l'insegnante ne sappia valutare
l'opportunità a seconda delle circostanze, degli scopi, e delle condizioni.
A fanco del grafco sono indicat dei punt cce possono essere carateristci della CMC.
Pressione tecnica: Questo è un elemento di tipo negativo; l'idea che la
comunicazione sia una comunicazione che passa dal computer, può ad esempio nel
caso di insegnanti non più giovanissimi, comportare una pressione nel sentirsi
indotti ad utilizzare questo tipo di strumento a causa di sentimenti di auto
percezione di inadeguatezza. La vulnerabilità strumentale, l'essere cioè assoggettati
alla vulnerabilità della funzionalità del sistema, asserisce al fatto che questi
strumenti possono essere potentissimi ma quando non funzionano causano molta
frustrazione in quanto fanno fallire l'esperienza nel loro complesso. (ad esempio
connessioni poco stabili o strumenti poco funzionanti). È più una disposizione
affettiva e motivazionale.

Minore capacità di adattamento all'ambiente le condizioni sono fisse: molti di


questi sistemi hanno condizioni poco flessibili.

Auto percezione di inadeguatezza rispetto al medium riguarda perlopiù le


vecchie generazioni.

Mancanza di aspetti paralinguistici, mimici e prossemici della comunicazione.


Questo è un elemento che costituisce una variabile molto forte nel lavoro didattico,
che può infondere soprattutto nei bambini della scuola di infanzia e primaria un
senso di ansia e insicurezza. La comunicazione mediata dal computer ci mette nella
condizione di dover rinunciare a tutti quegli aspetti non verbali della comunicazione,
agli aspetti paralinguistici legati all'uso della voce e agli aspetti prossemici e mimici.

Cambiamo ambito, passiamo dall' ambito comunicativo a quello simbolico cognitivo


vedi slide 18.
Le mediazioni simboliche, epistemologiche e cognitive si intrecciano tra loro .

Prendiamo ad oggetto di osservazione il gruppo classe e due concetti importanti che


ci informano di che cosa succede all'interno della classe in termini di interazioni tra
insegnante e allievo, tra allievo- allievo, tra insegnante - allievi sono quelli di
contratto didattico e di routine educativo o didattica.

IL CONTRATTO DIDATTICO
Il contratto didattico è un costrutto che è stato introdotto da un ex insegnante di
matematica Brusseau, nel 1986. Questo concetto è stato poi esteso dalla didattica
della matematica a quella di altre discipline. Nasce all'interno dell'ambito di una
disciplina specifica perché le clausole di questo contratto possono essere diverse a
seconda di quale sia la disciplina oggetto di insegnamento e apprendimento.

Alcune di queste clausole possono essere generali, ma ce ne sono alcune che


risentono della specificità di una certa disciplina. Brusseau definisce il contratto
didattico come l'insieme delle attese reciproche e dei comportamenti attesi che
l'insegnante ha nei confronti dell'allievo e che l'allievo ha nei confronti
dell'insegnante. Il presupposto alla base è quello che l'allievo a scuola, oltre ad
imparare quello che gli insegnano, impara a fare il mestiere di allievo, cioè impara a
capire dalla propria esperienza, quali sono i comportamenti che funzionano nei
confronti dell'insegnante e che cosa l'insegnante si aspetta da lui. Ciò non è scritto
da nessuna parte, è come se funzionasse come un sistema di percezione sociale,
per questo siamo nell'ambito simbolico. Brousseau afferma che in una situazione di
insegnamento preparata e realizzata da un insegnante, l'allievo ha generalmente
come compito di risolvere un problema. Ma l'accesso a questo compito si fa
attraverso l'interpretazione delle domande che il compito pone, delle informazioni
fornite, degli obblighi imposti che sono costanti del modo di insegnare del maestro.
Queste abitudini specifiche del maestro attese dall'allievo ed i comportamenti
dell'allievo attesi dal docente, costituiscono il contratto didattica. Come se ci fosse
una sorta di comportamenti che l'insegnante non ha mai dichiarato di attendersi, ma
che l'allievo ritiene che l'insegnante stesso attenda, in quanto ha osservato che
questi sono reiterati nel tempo.

Esempio 1 ( slide 20) Concezione della scuola. L'allievo ritiene che la scuola sia
direttiva e valutativa, quindi anche se l'insegnante esorta l'allievo ad esprimersi
liberamente l'allievo non si fida completamente in quanto timoroso del giudizio
dell'insegnante quindi non seguirà l'invito dell'insegnante ad esprimersi in libertà ma
cercherà di utilizzare un linguaggio quanto più rigoroso possibile e attinente i libri di
testo in quanto ritiene che quella sia la tenda dell'insegnante.

Esempio 2 (slide 21) lo studente ritiene che in matematica si debbano fare calcoli,
per cui anche se la soluzione ad un problema può essere data anche solo
rispondendo a parole, lo studente tenderà a fornire dati numerici per dare una
risposta quanto più possibile formale. L'età del capitano è un esempio tratto da un
lavoro fatto da una psicologa francese su un campione molto ampio di studenti. Nel
porto di un certo paese è ormeggiato un natante, questo natante due alberi, uno alto
12 m e l'altro 8m. Quanti anni ha il capitano? Un altro esempio ancor più chiaro può
essere quello del pastore. Un pastore ha 12 pecore e capre. Quanti anni ha il
pastore? E’ stato posto questo quesito a delle classi di scuola primaria costruendo
intorno ad esso un sistema di attesa forte. Un matematico andava Infatti a far visita
alle classi, ciò creava un ansia prestazionale nel bambino. La ricerca fece emergere
che, creando questo sentimento di forti attese, i bambini tendevano a rispondere a
questo quesito fornendo un risultato numerico ovvero 18. Ciò dimostra che questa
risposta dipende dal contratto didattico, è infatti dettata dall'idea che si deve offrire
comunque una prestazione matematica ad un problema. Se la maestra ci dà un
problema con dei dati questo deve essere comunque risolto.

Vige un'altra clausola secondo la quale i dati numerici presenti nel testo vanno presi
tutti ed una sola volta, e possibilmente nell'ordine in cui compaiono, perché molto
spesso i testi dei problemi nei libri di testo sono fatti così, ciò dimostra ancora la
tendenza del bambino a rimanere all'interno del contratto. Gli stessi bambini in un
contesto diverso che non generi attese circa la loro performance rispetto ad un
problema, riescono a cogliere con una percentuale molto più alta il fatto che il
problema sia mal posto. Quindi si comprende che il contratto didattico consiste in
una serie di attese, cioè possiamo osservare che questi bambini non prendono in
carico l'effettiva risoluzione del problema ma sono centrati sull’ attesa del loro
interlocutore. È chiaro invece che l'apprendimento procede per rottura del contratto
didattico e consiste nella comprensione che a volte non sia possibile risolvere un
problema o comprendere che non sempre la risposta sia di tipo aritmetico. Ciò è
quello che
mi fa compiere un passo in avanti nell'apprendimento e mi abitua ad avere un
atteggiamento competente rispetto al testo di un problema. Una ricerca svolta nel
1998 in una terza elementare di un di una in una scuola media dimostra proprio
questo.
Questa bambina si dimostra di stare dentro il contratto didattico. Il problema deve
essere Infatti risolto anche se manca il dato della somma iniziale.

Il contratto didattico vige anche in altre circostanze ad esempio quando si ricercano


le parole del vocabolario ad esempio nel latino, o di una seconda lingua, il
significato che trovo nella traduzione è quella a cui delego è la validità della risposta
indipendentemente dal contesto in cui lo devo inserire.

Il contratto didattico e quindi l'insieme di attese implicite, cioè l'insegnante non opera
mai per istituire in maniera esplicita certi modelli di comportamento, eppure questi
modelli vengono assunti bisogna allora essere consapevoli che alcune attese le
possiamo esplicitare, quelle che ci interessano per gestire la classe, ad esempio
sapere perché si fa qualcosa è perché, ma bisogna anche essere consapevoli che
la reiterazione relazione delle attività didattiche, anche non volendo comporta la
strutturazione di modelli di comportamento degli alunni.

Quando devo fare degli esercizi in qualunque ambito è chiaro che una certa
ripetitività è necessaria, Devo però sapere come insegnante che il bambino è
soggetto alla strutturazione dei modelli di comportamento e che quindi ogni tanto lo
devo saper spiazzare con situazioni in cui i modelli di comportamento acquisiti non
funzionano e di discutere con lui circa il fatto che quell’abitudine che ha fatto propria
nel fare certi tipi di operazioni sempre uguale a sé stesse non sempre funziona. In
questo modo lo rendo vigile a non rispondere alle attese presunte che lui ritiene che
l'insegnante abbia nei confronti del suo comportamento ma prende in carico il suo
sapere con un occhio un po' guardingo.

Questa tendenza di ciascuno nell'apprendimento a strutturare abitudini di


apprendimento e d'altra parte il meccanismo ergonomico, cioè è desiderabile in
moltissime situazioni di apprendimento. Quando noi diciamo che un allievo risponde
in maniera immediata e con destrezza di una certa situazione è perché ha
strutturato l'abitudine a pensare ed agire in un certo modo, quindi si tratta di un
traguardo nell'apprendimento. Quando pretendiamo una prestazione competente
dobbiamo sapere che questa ha due facce o emerge dalla capacità
di mobilitare diverse cose che so e so fare in rapporto al compito oppure emerge in
maniera automatica senza rendermene conto. Tuttavia funziona nel bene e funziona
nel male, tende Infatti a strutturare anche quelle abitudini di comportamento che
non risultano efficaci in tutti i contesti. Non c'è nessuna ricetta ricetta didattica che ci
possa affrancare da questo, devo sapere che l'apprendimento funziona così e
sapere che quando dovrò reiterare delle attività didattiche, quella reiterazione da un
lato produrrà un effetto positivo ma dall'altro può produrre effetti negativi. Nel caso
della matematica problemi con dati mancanti o dati ridondanti o impliciti
rappresentano un po' antidoto.

LE ROUTINE EDUCATIVE O DIDATTICHE

Le Routine didattiche o educative sono dei comportamenti che l'insegnante attiva


come modalità per promuovere l'apprendimento, sollecitare l'attenzione e gestire la
classe, per motivarla, per sottolineare aspetti rilevanti delle attività che l’insegnante
sta svolgendo.

I comportamenti più usuali a cui l'insegnante ricorre per promuovere l'apprendimento


ed orientare l'azione degli allievi sono le domande, quindi istituire e momenti di
lezione dialogata, in quanto i bambini hanno una limitata capacità di attenzione, è
quindi opportuno rompere il flusso comunicativo di carattere più trasmissivo
attraverso il porre domande.
Tali domande possono servire a chiedere se ci sono dubbi, a verificare il livello di
comprensione, a sollecitare una riflessione, a far emergere delle conoscenze
pregresse. Il fatto di porre domande alla scuola primaria una questione
delicatissima, non servono Infatti a movimentare il flusso comunicativo, ma
costituiscono l'ossatura alla base della regia della comunicazione. Con l'esperienza
guadagniamo poi la capacità di fare domande sempre più incisive e pertinenti che ci
guideranno a sostenere il livello della classe. A volte le domande possono avere una
valenza motivazionale” La maggior parte dell'insegnamento si risolve in risposte a
domande mai fatte” ( Popper ). . Le domande chiuse sono quelle che hanno una
risposta, quelle aperte sono quelle che invece possono aprire la nostra percezione
ai mondi dell'allievo. Le domande aperte possono avere molte risposte diverse e per
questo motivo possono condurre a destinazioni che non si era che non si erano
previste. Dobbiamo avere una progettualità ma dobbiamo lasciare spazio anche a
ciò che può emergere, a ciò che accade naturalmente. Le domande aperte possono
portare lontano ed attivare l'allievo. Anche la domanda ambigua, quando i bambini
sono un po' più grandi, rappresentano l'intenzione dell'insegnante di ampliare lo
sguardo e guardare il fenomeno da un'altra prospettiva problematicizzando i
contenuti. Le domande ambigue sono quelle domande a cui i bambini rispondendo
non andranno mai tutti nella stessa direzione, ma per forza daranno risposte
diverse.

E’ proprio questo quello che farà render conto ai bambini che il problema può
essere guardato da più più punti di vista.

A pari livello abbiamo tutta una serie di piccole routine, suggerimenti e allusioni:
quando si suggerisce dobbiamo essere consapevoli di dover fuggire al
compromesso delle risposte corrette. La risposta in questi casi è come un po'
estorta. Il suggerimento Infatti non deve essere qualcosa che permette
all'insegnante di collocarsi in una zona di comfort rispetto al fatto che il suo
insegnamento ha funzionato, impedendo quasi che il bambino sbagli. Il
suggerimento deve essere lo scaffolding vygotskiano ovvero quel supporto che
permette all'allievo di stare in quella zona di sviluppo prossimale. L'allievo non sa
ancora fare in autonomia determinato compito quindi è quel suggerimento
costituisce come un supporto ,un impalcatura per poi proseguire. Da non
dimenticare poi quella che può essere definita anche la didattica dell'errore, è molto
importante Infatti lavorare sull'errore punto da un punto di vista cognitivo la
stigmatizzazione dell'errore attraverso la sottile sottolineatura in rosso con la matita
rossa nel bambino ha il potere di fissazione di quell'errore. Il giudizio della
prestazione che fa l'insegnante Il bambino lo assume sulla sua intera persona. Il
bambino non ce la fa fare questo distinguo. Siamo noi che gli insegniamo a
concepire l'errore in questo modo, noi inteso come insegnanti e genitori. Il bambino
alla scuola primaria rispetto al bambino degli altri ordini scolastici fa un enorme atto
di fiducia nei confronti dell'insegnante. Il primo atto del contratto didattico è infatti” io
mi fido del mio insegnante è quello che mi dice il mio insegnante è vero e guai a chi
lo contraddice”. Anche qualora il bambino si trovasse di fronte ad un insegnante di
medio valore, io genitore non posso distruggere questa immagine di autorevolezza
che il bambino si è costruito in quanto il bambino sta vivendo la sua prima
esperienza comunitaria e sta riponendo la sua più cieca fiducia nuelle figure di
insegnamento. Per cui per il bambino piccolo la posizione dell'insegnante è
inattaccabile.

Altra routine è la scomposizione del problema, si può infatti, qualora il bambino


non avesse ancora autonomia nel risolvere un problema, scomporre lo stesso in
due sotto problemi.
Il gesto interrotto implica l di un completamento originale da parte dell'altro, implica
una scelta che può essere molto diversa da quella che avevamo in mente. Il gesto
interrotto può corrispondere, oltre al compromesso delle risposte corrette anche i
compiti di completamento.

Contributo ignorato / atteso è la routine che corrisponde alla sollecitazione dei


bambini ad intervenire. A volte i bambini intervengono spontaneamente, a volte
l'insegnante ignora quell'intervento o lo può usare per andare avanti. Se
l'insegnante è troppo concentrato su quello che deve trasmettere può ignorare
quegli interventi che lo porterebbero fuori dal suo tracciato.

Discussione tra pari , routine molto produttiva che non ha senso istituire la sempre.
È un'occasione per l'insegnante per rendersi conto di molti aspetti dei rapporti
sociali che ci sono nella classe, se ci sono problemi di comprensione, perché i
bambini quando parlano tra loro abbassano la soglia del loro linguaggio. A volte
infatti, quando non riusciamo a farci capire da loro, può essere utile istituire una
conversazione tra pari perché in un linguaggio che per noi è alquanto
approssimativo e poco comprensibile permette loro di capirsi in maniera ottimale .E’
importante che questa attività non sia fatta all'inizio prima di affrontare un certo
argomento, come in una sorta di brain storming i in quanto la discussione deve
portare una costruzione attiva della conoscenza quindi è auspicabile collocare
questa attività nel vivo della comprensione di un argomento. La discussione tra pari
non è consigliabile per tutti gli apprendimenti ma va bene per tutti quegli
apprendimenti che possono essere problematici ad esempio non la userò se i
bambini devono imparare le tabelline.

Anche quando ci chiederanno di fare le UDA, prevedere momenti di circle-time e


brainstorming all'inizio non è auspicabile. Dobbiamo tenere in mente cosa fa il
bambino dargli i giusti stimoli con i quali lavorare ed improntare una discussione
interessante.

AUTOEFFICACIA, MOTIVAZIONE ED AUTOREGOLAZIONE.


Il senso di autoefficacia è un senso che i bambini cominciano a sviluppare nella
scuola primaria ma in realtà la struttura della percezione di sé prende forma mano a
mano che si procede verso l'età adulta Tuttavia poco a poco, il bambino inizia a
guadagnare una percezione di sé anche attraverso la valutazione, che il bambino
non riferisce solo alla prestazione ma la estende a tutto il suo essere. Ciò può
contribuire a strutturare una percezione di autoefficacia. Il bambino distingue poco
tra preferenze e capacità effettive. La società in cui viviamo chiede sempre più
precocemente di essere adeguati al contesto in cui si vive, certi fenomeni accadono
prima ma non sempre lo sviluppo evolutivo coincide con quello psicologico.
Autoaffermazione, motivazione ed autoregolazione pertanto sono concetti
fortemente legati tra loro.

La motivazione è Infatti il prodotto di due fattori: la percezione della competenza e


del valore che attribuiscono all'obiettivo che voglio perseguire. La motivazione crolla
quando percepisco di essere non capace e di fronte a questo sentimento attivo un
comportamento rinunciatario e di evitamento.

Se la percezione di competenza è bassa, lo è anche la motivazione, di conseguenza


il valore attribuito all'obiettivo crolla. Può essere utile far leva sulla percezione di
competenza valorizzando quel che di positivo, anche se piccolo fa il bambino in
quanto ciò può avere un grande potere motivazionale e può essere in grado di
trascinare anche il senso di
autoefficacia portando alla valorizzazione dell’obiettivo. Don Milani diceva che dare
parti uguali a disuguali non era giustizia. Se un bambino ha bisogno di un feedback
in più che può aiutarlo nel rinforzare il suo senso di efficacia allora va fatto.

I bambini che assistono a ciò devono accettare il trattamento differenziato come il


segno di una gestione democratica di quella comunità, Lo si fa per i BES per quelli
che hanno una scarsa motivazione eccetera.
27-04-2021 Didattica
Oggi ci occupiamo di trasposizione didattica,
del capitolo della dimensione negoziale-
attuativa.
Questo è un concetto estremamente importante
della didattica generale, anche se nel nostro
testo non viene molto approfondito.
Il concetto di trasposizione nasce nelle
didattiche disciplinari ma serve in molti ambiti
di applicazione didattica.( Solitamente si parla
di trasposizione didattica dei saperi ma in alcuni
ambiti,ad esempio nell’ambito della fisica, parliamo di ricostruzione didattica dei saperi)
Storia dell’elaborazione di questo concetto
L’origine della trasposizione didattica risale agli
anni ‘70 con l’opera ‘Les temps de l'études/ I
tempi degli studi’ di Verret, un sociologo che si
pone un problema rispetto all’insegnabilità del
sapere, ovvero si pone il problema delle
condizioni sotto le quali una materia è
insegnabile. Ma siamo comunque negli anni
‘70,precisamente nel 1975, quindi siamo
comunque in un periodo caratterizzato da
movimenti sociali molto forti intitolati alla partecipazione democratica, quindi il problema
dell’insegnabilità dei saperi è posto in opposizione tra l’organizzazione burocratica* del
sapere vs l’organizzazione aristocratica dell'insegnamento.
Cosa vuol dire, Verret sottolinea l’idea che a fronte di un’organizzazione che la scuola
prevede per l’insegnamento di un certo sapere, le occasioni di accesso a quel sapere al di
fuori della scuola sono legate allo status sociale a cui lo studente appartiene.
*Organizzazione burocratica: Com’è organizzata una disciplina dal punto di vista
istituzionale e l’accesso scolastico a quella disciplina.
Organizzazione aristocratica: Accesso alla disciplina al di fuori della situazione scolastica.
Il suo problema è: “Tutti hanno l’accesso all’organizzazione burocratica, a quello che la
scuola ha previsto per quella disciplina, mentre l’accesso ad un certo sapere al di fuori della
scuola in realtà è legato all’appartenenza alle classi sociali.” -> Solo le famiglie più abbienti
possono garantire un accesso alternativo a quello previsto dalla scuola.
Negli anni ‘70 questo problema era molto presente ed era soprattutto molto vivo il problema
di una mancanza di equità, di uguaglianza delle opportunità formative.
Verret quindi pone il problema che l’accesso al sapere non è per tutti uguale ed è un problema
che sia la scuola sia la società deve iniziare a porsi.
Verret comunque, nonostante sia il primo a citare il termine di trasposizione didattica, non
entra nel merito delle scelte didattiche che possono garantire questo accesso; a fare questo
passaggio è Chevallard, a partire dal 1980, la prima volta che lui, citando Verret, utilizza
questo concetto di transposition didactique fa un corso di didattica della matematica.
Vediamo quindi già un disciplinarista, che non si colloca nella didattica generale ma nella
didattica disciplinari (anche perchè in Francia non esiste la didattica generale, ma solo le
didattiche disciplinari).
Nel 1982 Chevallard trasforma questa idea in uno scritto che declina in termini più didattici
rispetto a Verret; Egli quando scrive di trasposizione didattica non scrive più solo di questo
concetto ma aggiunge ‘dal sapere sapiente al sapere insegnato = du savoir savant au savoir
enseigné’; già da qui ci dice la direzione in cui opera la trasposizione didattica. Dunque già il
titolo ci permette di intuire che qui si allude ad un passaggio che si compie, in chiave
didattica, dal sapere sapiente (ovvero il sapere scientifico, il sapere esperto. es. la matematica
dei matematici, la storia degli storici..) al sapere insegnato.
Si parla di trasposizione perché il termine trasporre è più eloquente perché allude sia ad una
collocazione in un altro luogo sia alla trasformazione che è implicito in questo passaggio.
Questi lavori iniziali, di Verret e Chevallard, sono la fortuna* di questo concetto ma anche un
pò il limite, poiché lo limitano ad una dinamica che va dall’alto del sapere esperto al ‘basso’
del sapere insegnato, quindi c'è un approccio discendente, cioè individuiamo il punto di
partenza, il s. esperto, ed il punto di arrivo, il s. scolastico.
*Questo rappresenta la fortuna del concetto perché riporta l’attenzione sul concetto del
sapere ma segna anche un pò il suo limite proprio per questo suo carattere discendente.
Poi bisogna tenere conto anche che sentendo parlare di trasposizione didattica molti si
fermano a questo concetto, mentre intorno alla trasposizione c'è una rete di concetti. Quindi è
come se Chevallard sia stato vincolato alla formulazione iniziale che ne ha dato e l’accesso
ai suoi concetti successivi sia rimasto molto limitato, qualcuno ancora non lo conosce proprio
neanche.
Tanto che Chevallard, nel 1991, per far passare in maniera più forte il fatto che dietro la
trasposizione did. ci sia una rete di concetti scrive proprio la teoria della trasposizione
didattica.
Questa rete di concetti viene articolata tra
la prima e la seconda edizione del libro
‘La transposition didactique: du savoir
savant au savoir enseigné’. Nella seconda
edizione lui risponde anche ad un pò di
critiche che gli erano state mosse dalla
comunità.
Questi concetti, che noi non
affronteremo, sono: il concetto di
ingegneria didattica(in cui sono state
sviluppate molti modelli di trasp. did. del sapere),il costrutto del sistema didattico ( che è un
costrutto chiave), la teoria delle situazioni didattiche di Brousseau(?) con la devoluzione, e
l’idea del contratto didattico ( che abbiamo già visto).
Nel libro Chevallard si pone un problema di tipo
epistemologico/ una preoccupazione che riguarda la
natura del sapere, cioè prima ancora di farne un
sapere adatto ad essere insegnato lui si pone il
problema del sapere tucur e quindi cerca di
descrivere che tipo di sapere è quello che poi abita le
aule scolastiche, quello che troviamo a scuole/nei manuali/nelle classi, questo è il sapere nella
sua veste didattica, lui si chiede proprio che rapporto c’è tra questo tipo di sapere con il
sapere esperto, perché questo sapere sembra oscillare.
Chevallard ci dice appunto che quando il sapere entra nella scuola ci entra come sapere
trasformato perché il sapere è costruito da una comunità di studiosi.
Ora quel sapere non può entrare così com’è nella scuola, nei manuali, ma neanche nelle
indicazioni nazionali, c’è quindi una trasformazione che viene compiuta. Queste
trasformazioni generano quindi un altro tipo di sapere, che dovrebbe essere un sapere adatto
ad essere insegnato ed appreso, tuttavia queste trasformazioni non sono esenti da delle
deformazioni, cioè queste trasformazioni sono assoggettate a dei principi pedagogici,didattici,
dell’apprendimento senza i quali a scuola arriverebbe un sapere che perde il suo potenziale
formativo; Quando il sapere è una cattiva trasformazione del sapere esperto, quest'ultimo
perde il suo potenziale formativo.
Es. se siamo degli insegnanti di storia sappiamo bene che non possiamo insegnare la storia
degli storici perché questo sapere risulterebbe inaccessibile a bambini troppo piccoli; Tuttavia
non possiamo fare della storia qualcosa che in realtà non è, cioè se noi facessimo storia
semplicemente leggendo il sussidiario noi avremmo passato delle informazioni ma non
avremmo trasmesso nulla della storia degli storici, cioè dovremmo avere un’attenzione agli
oggetti chiave del sapere storico, ai concetti chiave ai metodi chiave, cioè a tutti quegli
elementi attraverso i quali la storia degli storici costruisce se stessa.
Se la storia si basa su periodizzazioni bisogna prendere questo oggetto come un oggetto
epistemico e lavorarci, perchè l’idea di per. è estremamente sofisticata ma cruciale per il
sapere storico e non può essere semplicemente lasciata implicita perché proprio in quel
processo (di periodizzazione) c’è un mondo, c’è un senso del bambino di percorrere la storia.
Quindi lì c’è un nodo epistemico e di apprendimento molto forte che noi dobbiamo prendere
in carico per trasformarlo da un punto di vista didattico, ci si lavora su.
Lo storico costruisce la storia su un insieme di fonti fondate, documentarie,testuali, iconiche,
che permettono di fare delle ipotesi di ricostruzioni di eventi di quadri di civiltà. Questo
significa fare il lavoro dello storico, non dello storico-scienziato, ma è la trasposizione in
chiave didattica di quel lavoro e dell’insegnamento della storia deve rimanere questo, il senso
della storia. Se abbiamo il senso della storia possiamo imparare tutta la storia che vogliamo,
se non lo abbiamo possiamo imparare tutti i sussidiari ecc. ma io della storia capisco
pochissimo.
Quindi questa trasformazione dal sapere esperto al sapere da insegnare non deve perdere
l'aderenza, la vigilanza epistemologica con il sapere esperto; invece a scuola spesso il sapere
viene tradito nella sua natura e viene a diventare una versione scolarizzata del sapere storico
che non ha quasi più nulla a che vedere con il sapere esperto, allora lì perde il suo valore
formativo. Non dobbiamo dimenticare che il sapere ha la forma che ha perchè è un prodotto
della nostra mente, delle nostre azioni, il sapere così come lo abbiamo costruito è un sapere
prodotto da una mente che funziona così come la nostra, di una comunità umana che ha
manifestato degli interrogativi e ha cercato delle risposte. C’è una relazione stretta tra come i
saperi sono, anche nelle loro forme esteriori, e la storia dell’uomo.
Il funzionamento del sistema didattico prevede che affinché l’insegnamento di questo sapere
esperto sia possibile deve subire queste trasformazioni che lo rendono adatto ad essere
appreso, ma senza perdere il legame col sapere esperto.
Anche se io voglio insegnare il sapere musicale e faccio il giochino del battiam battiam le
mani tradisco il sapere esperto musicale, un bambino da 8 mesi riesce a percepire la
differenza tonale tra tonalità maggiori o minori, in 3/ 5 classe riesce a distinguere un tema da
una variazione.
Così come nella geometria si fanno le equivalenze per tre mesi, che va bene, ma dal punto di
vista dell’apprendimento quella cosa incide sull’apprendimento di tipo aritmetico, è una
sorta di gargarismo di tipo aritmetico che ha la sua utilità ma che prende una minima parte
con la teoria della misura e meno ancora nella teoria della misura nell’arte di misurare.

Ecco in questa traduzione da s. esperto a s. scolastico rischia di perdersi tutto questo, rischia
di perdersi parte del potenziale formativo di questi sapere. In questo risiede anche il segreto
della trasposizione didattica, la finzione di identità o di conformità accettabile tra i due saperi,
cioè noi facciamo finta che ad un certo punto il sapere da insegnare sia effettivamente
insegnato, o meglio che il sapere effettivamente insegnato è quello che avevo inteso di
insegnare. Qui viene introdotto un altro passaggio,
non si parla più da sapere esperto a s. insegnato ma da
s. esperto a s. da insegnare e poi a s. effettivamente
insegnato.
Chevallard arriva quindi a descrivere un secondo
passaggio che ora vedremo. Questi a lato sono una
serie di costrutti che sono all’interno della teoria delle
situazioni didattiche: Testo del sapere,
topogenesi,cronogenesi e rapporto al sapere che però
vedremo successivamente .

Storia del dibattito


Quando Chevallard introduce questa idea della
trasposizione didattica viene criticato perché egli
parte dal sapere matematico, e quindi queste
differenze (che abbiamo cercato di intuire con
l’esempio del sapere storico) lui le va a
contestualizzare nell’ambito della matematica;
Allora riceve le critiche perché gli si viene detto che
non in tutte le discipline esiste un sapere esperto così
universalmente condiviso come la matematica. In
effetti nella matematica è facile trovare un sapere esperto da cui trarre un sapere da insegnare
e un sapere insegnato, ma ci sono molte altre discipline il cui status epistemico è molto meno
definito, quindi questo costrutto non può essere applicato a
quelle discipline in cui il sapere esperto non è così consolidato.
Quindi la nozione di sapere esperto viene un pò messa in
discussione, questa che gli fu posta è una critica molto
importante che oggi è assai riconosciuta (quella di Martinand del 1997) in quanto questo s.
esperto sembra essere eccessivamente formalizzato, cioè nel sapere esperto sembra che ci sia
solo il sapere teorico/sistematizzato, troppo formale, mentre non sembrano essere contemplati
,nella concezione di Chevallard, i saperi di pratiche esperte. Oggi siamo più sensibili a
riconoscere che teoria e pratica vanno insieme innanzitutto, ma anche che il sapere teorico
dell’esperto passa attraverso le pratiche. es. un ricercatore in fisica non deve solo sapere la
fisica ma deve anche saper allestire un esperimento.
Capiamo bene quindi come la critica di Martinand si sia consolidata negli anni e oggi
troviamo che all’interno dello schema della trasposizione didattica troviamo anche le pratiche
sociali di riferimento, che è un sapere esperto, è un saper vedere e un saper agire e questo
vale per tutti gli ambiti di studio.
Quindi oggi nella trasposizione si è arricchito dell’idea della pratica sociale
dell’apprendimento anche grazie a queste critiche. es.Noi non dobbiamo far passare
nominalmente l'idea della periodizzazione storica ma anche come lo storico, attraverso il
sistema di fonti indiziarie ricostruisce quel periodo, un quadro storico ecc. cioè dobbiamo far
passare anche una parte della pratica sociale di apprendimento.
Per questo l’idea della formazione degli insegnanti alla disciplina ha, o dovrebbe avere, la
disciplina e la didattica della disciplina. Perché se noi non accediamo al livello del s. esperto
perchè poi sono da trasporre; non possiamo trasporre ciò che già è stato trasposto, cioè se noi
andassimo dalle indicazioni nazionale all’insegnamento in classe noi ci siamo perse tutto il
passaggio tra saperi sapienti e saperi da insegnare. I saperi da insegnare li scegliamo noi.
Dobbiamo prendere in carico la selezione del sapere esperto come sapere teorico ma anche
sapere di pratiche; partire dalle indicazioni nazionali vale a dire partire dai saperi da
insegnare, da dei saperi che qualcuno ha scelto per noi.
Allora la preoccupazione epistemologica di non perdere mai il rapporto diretto con il s.
esperto è fondamentale. Perché i saperi hanno moltissimo da insegnarci, se noi accedessimo
più direttamente ai linguaggi e ai metodi che il sapere esperto ci propone noi abbiamo un
materiale più vivo tra le mani. Le indicazioni nazionali ci devono servire da orizzonte, da
guida.
Quindi quando abbiamo un programma didattico dobbiamo cercare di andare ad interrogare il
sapere e chiederci “ ma la matematica come fa,ma nella storia della matematica cos’è
successo rispetto a questo, ma c’è qualcosa che potrebbe interessare i bambini?”
Lavorare sul piano delle discipline per come sono fatte, per la storia che hanno avuto è
estremamente funzionale a trasporre in maniera intelligente il sapere. Troviamo ormai molti
libri anche di aneddoti che possono essere interessanti per i bambini, anche se spesso questi
vengono utilizzati solo inizialmente per interessare e poi vengono dispersi. Invece sarebbe
utile introdurre questi concetti per introdurre poi le varie idee.
Nello schema di Develay il lavoro dell’insegnante è messo accanto la voce saperi da
insegnare/ saperi insegnati ma la prof. lo metterebbe su tutto lo schema, alla fine però
interviene il lavoro dell’allievo perché nel momento in cui noi andiamo effettivamente ad

insegnare poi la classe vive di propria vita, quindi dirotta anche un po il nostro lavoro, di
certo tutto quello che noi insegnamo non arriva tutto nei termini in cui noi lo abbiamo
insegnato perché la pragmatica della comunicazione umana fa sì che tra emittente e ricevente
in realtà ci siano anche dei cambiamenti. Dobbiamo quindi essere consapevoli del fatto che
nel sapere appreso vi è sempre uno scarto rispetto al sapere che volevamo insegnare, perchè
ognuno apprende per le proprie caratteristiche individuali, per il loro livello, per la loro
motivazione ecc.
Lo schema di Develay è la forma più conosciuta ma la trasposizione didattica la troveremo
formalizzata spesso nei soli tre passaggi di Chevallard, mettendo dentro il savoir savant anche
le pratiche sociali di riferimento e trascurando l’ultimo blocco che andrebbe messo dopo il
sapere insegnato come sapere effettivamente appreso dagli allievi. Diciamo quindi che la
forma più canonica è questa. Qua vediamo contestualizzazione/personalizzazione e
ricontestualizzazione / ripersonalizzazione, cosa vuol dire? Vuol dire che quando il sapere fa
questi passaggi( da s. esperto a s. da insegnare a s. insegnato) l’insegnante compie delle
decontestualizzazioni e delle ricontestualizzazioni, in realtà queste lle potrebbe pensare anche
prima, cioè il s. esperto è a sua volta un sapere decontestualizzato, cioè un contesto tolto dal
s. in cui nasce ( es. la legge fisica come s. esperto è una legge che ha perso il legame con il
contesto esperienziale, osservativo di quella legge ed è stata messa alla fine come un modello
idealizzato al quale tutti possiamo far riferimento in maniera universale) ecco questo
passaggio di togliere dal contesto per trattare il sapere e ricostruirlo per poterci tornare a
lavorare dentro, sia a livello della ricerca sia dell’apprendimento, è sempre presente. Anche
con gli allievi spesso devo ricreare un contesto, quando diciamo che si ricrea un contesto
Brousseau lo chiama ricreare la genesi fittizia del sapere. Quando parlavamo del sapere
storico, che potrebbe essere affrontato a partire da una ricotruzione storica fatta un pò
attraverso una trasposizione del metodo delle fonti, lì cerchiamo di ricostruire quel contesto,
è un contesto fittizio perché le fonti sono fonti che costruisco ad arte affinché gli allievi
possano fare questo lavoro di ricostruzione e di scoperta, però è comunque una
ricontestualizzazione. Allora nel libro di testo c’è un sapere decontestualizzato e nel mio
lavoro didattico, che fa lavorare i bambini, c’è una ricontestualizzazione.
Quindi non possiamo fabbricare un sapere scolastico totalmente sganciato dal sapere esperto,
perchè ogni sapere ha una propria capacità di trasformare la nostra mente e la nostra persona
ma se noi ne facciamo qualcos’altro non siamo garantiti sul fatto che questo sviluppo
avvenga, siamo garantiti sul fatto che si apprendano delle cose ma probabilmente queste cose
hanno un valore più nominale. La scelta tra nozionismo e non nozionismo non è una scelta di
valore è una scelta che chiede la padronanza di trasformazione del sapere perché nessuno fa
una scelta di valore all'ostruzionismo, nel nominalismo ecc. perché non c’è; già il fatto che lo
qualifichiamo come -ismo già ci porta a capire che lo consideriamo con un’accezione
negativa, Ma non è che se noi abdichiamo al nozionismo allora abbiamo la possibilità di
creare qualcosa che il nozionismo non è. Bisogna andare a lavorare sui saperi, per
trasformare il nozionismo ed usarlo a nostro vantaggio della costruzione attiva del sapere.
Ugualmente non è perché ho fatto un giochino che mi sono allontanata dal nozionismo e mi
sono affiancata a qualcosa di pratico.No, quell’attività pratica deve avere una cifra sistemica
forte, deve far agire la nostra mente, perché altrimenti non succede nulla ed il fare per il fare
non ha mai insegnato nulla a nessuno. Bisogna essere competenti sul piano del sapere e la
genesi del sapere è fondamentale, bisogna sapere da dove nasce e come funziona perché è
quello che bisogna trasporre, poi molte trasposizioni sono ormai in uso nella scuola, sono
molto interessanti e ci sono anche degli strumenti che ci aiutano, però non si potrà nemmeno
accettare l’idea di fare delle cose che non c’entrano. L’insegnante però deve avere un filtro
per poter interrogare le trasposizioni esistenti alla luce di quello che so perchè sennò è come
se passassi da un espediente all’altro senza alcun senso logico.

La tendenza attuale è che in realtà ormai si


cerca di trovare dei denominatori comuni che
nella trasposizione delle diverse discipline
possano individuare tutte, come dei cardini che
ruotano intorno a tutte le modalità di
trasposizione didattica che vengono fuori nel
contesto di discipline differenti ma che vengono
fuori come delle idee generali.Questo lavoro è
molto interessante e permette inoltre di guadagnare padronanza su dei principi generali che
possono ispirare la trasposizione.

Per inserire la trasposizione didattica nella


dimensione negoziale e attuativa è come se
noi lavorassimo all’interno di una
relazione educativa insegnante-allievo per
il mezzo del sapere. Cioè noi andiamo a
considerare non tanto la relazione insegnante- allievo quanto il sistema didattico costituito tra
tre elementi: Insegnante, Allievo ed il terzo elemento che è il sapere, questo sapere trasposto
che io vado a trasporre attraverso dei passaggi che abbiamo detto prima. Quindi questa idea
della trasposizione didattica interviene nel processo di negoziazione e di scelta didattica
attraverso le scelte che applico sul sapere.
Viene chiamato terzo pedagogico perché si allude che questa negoziazione non è diretta
dall’insegnante all’allievo ma è mediata dalla trasposizione didattica, questa mediazione è
proprio il sapere che io rendo adatto ad essere insegnato e appreso.
Compendia il sapere professionale dell’insegnante e il sapere degli oggetti culturali = perché
il saper fare la trasposizione è un sapere professionale, più si è professionalmente evoluti e
più questa trasposizione è ricca, efficace, didatticamente valida.

Il terzo pedagogico è sostanzialmente un


sapere sul quale si opera attraverso
quest’idea che in una parola è un sistema
di processi che ha tradotto la
trasposizione didattica come l’insieme dei
processi che trasformano ecc.

In pratica si opera all’interno di un sistema didattico, questo sistema didattico è un concetto


che rientrava tra l’insieme dei concetti che compongono la trasposizione (che abbiamo visto
all’inizio).
Questo sistema allude ad una sorta
di triangolo in cui quello che
contano non sono tanto i poli
(sapere, insegnante e allievo)
quanto i sottosistemi, le relazioni
che intercorrono tra essi. Quindi la
relazione insegnante- sapere lo farà
lavorare sul sapere nella maniera
più adeguata possibile nel processo
di trasposizione ma all'interno del
sistema si allude anche a tutte le relazioni che hanno luogo, alla relazione allievo- sapere che
dipende molto dal tipo di esperienze che l’allievo fa con il sapere, se io faccio svolgere
all’allievo un certo tipo di attività, queste costruiscono questo rapporto allievo-sapere.
Il GAP tra uomini e donne che prendono una strada ‘scolastica’ legata all’ambito scientifico è
dovuto fortemente al tipo di esperienze che vengono fatte a scuola. Dobbiamo quindi cercare
di offrire delle esperienze significative nel campo stem (science,Technology Engineering e
Mathematics) e steam (si aggiunge arts) per far guadagnare un buon rapporto sia pubblico
che personale.
Qua abbiamo un altro schema in cui vi è sempre lo stesso sistema didattico, questa volta

però questo sapere è articolato molto di più in un sapere scientifico ed un sapere scolastico.
La trasposizione didattica viene collocata appunto tra questi due saperi. Le rappresentazioni
alludono invece un pò all’immagine che l’insegnante ha del sapere, il valore personale che gli
attribuisce.È lo stesso schema di prima ma articolato in maniera differente.

Questa è una definizione che ci dà Chevallard.


Quindi l’oggetto che io voglio insegnare ha subito degli adattamenti.
Gli adattamenti dipendono dalle caratteristiche del sapere.

Al passaggio tra saperi sapienti e da insegnare non ci lavora solo l’insegnante ma anche
persone esterne all’insegnante, ad esempio gli autori dei testi divulgativi ma anche dei
sussidiari.
Anche quello che viene segnato nelle indicazioni nazionali è frutto di una trasposizione
didattica. A volte non è una
trasposizione troppo ‘densa’ dal
punto di vista epistemico e spesso
non sono organiche.
Questa è la trasposizione didattica
esterna, mentre la trasposizione
didattica interna è propria
dell’insegnante.
DIDATTICA GENERALE – 28/04/21 – 15 LEZIONE

La lezione sarà dedicata all'analisi del video di cui trovate il link nella pagina-risorsa.
Si tratta di una lezione per la classe V primaria sulle potenze.
Sarà l'occasione per analizzare le caratteristiche della trasposizione didattica e del
funzionamento del sistema didattico insegnante-allievo-sapere.

Link del video che si va ad analizzare:

https://drive.google.com/open?id=1eQz-mX1RQ5hdcXc5Eq-2icLxE482QpZ7

Focus principale: capitolo secondo dedicato alla dimensione attuativa e negoziale, in


particolar modo gli ambiti comunicativo e simbolico.
Si vedrà un video, in maniera segmentata.
Verranno fatte delle osservazioni su come l'insegnante gestisce questo rapporto tra se stesso,
l'organizzazione, quindi la trasposizione, la didattica del sapere, il suo rapporto con gli allievi
e le varie dinamiche che o in senso comunicativo o in senso simbolico vengono attivate.
Quindi l'attenzione è sui registri della comunicazione, sulle modalità di gestire la classe e
sulle modalità con cui questa insegnante ha inteso trasporre questo sapere da insegnare.
In questo caso, il sapere che l'insegnante intende insegnare è una prima lezione sulle potenze,
è una quinta classe.

Video:
All'inizio l'insegnante ha fatto un'enunciazione, dicendo qual è l'argomento che avrebbe
trattato.
Poi la prima domanda che fa ai bambini, per introdurre l'argomento, è “che cosa vi fa venire
in mente? Avete mai sentito parlare di potenza? Questa espressione cosa vi fa venire in
mente?”.
Quindi è andata su un registro estremamente generale, quasi ad evocare una sorta di
brainstorming, riferita al concetto di potenza ma anche proprio solo al termine.
Perché se chiedo ad un bambino di quinta classe cosa gli fa venire in mente il termine
“potenza”, vuol dire che il mio focus è sull'uso del termine nella lingua.

Nella comunicazione verbale abbiamo distinto tra una comunicazione verbale in linguaggio
naturale e in linguaggio specifico.
Il termine potenza è un termine che è suscettibile di un diverso significato a seconda che sia il
linguaggio naturale o il linguaggio matematico.
L'insegnante per ora questa cosa non la evidenzia, poi la dinamica della classe, che lei ha
previsto in questa prima sessione di lavoro, è che i bambini danno una serie di risposte; i
bambini, riferiti alla loro esperienza, dicono “ho sentito il papà che parlava di potenza, la
potenza di un camion” ...
Le risposte non danno però luogo a nulla.
Quindi c'è un'insegnante che chiede “cosa vi fa venire in mente”, ma quello che viene in
mente ai bambini non viene utilizzato per poter costruire il proseguo dell'attività.
Quando un bambino dice “la potenza di un numero” l'insegnante fa un verso di soddisfazione,
perché le è arrivato il là che stava aspettando per poter stare nella sceneggiatura che aveva
previsto.

Questa è una dinamica particolare, questa bambina aveva sentito che si può parlare di potenza
di un numero, e sembra che tutta questa fase iniziale serva solo da espediente per poter dire
“ecco, ci siamo, parliamo della potenza di un numero”.
Se l’insegnante si rivedesse in questa dinamica, probabilmente si renderebbe conto che c'è
qualcosa che non torna, perché se io introduco la mia lezione con un brainstorming di questo
tipo, non può essere un espediente per arrivare alla risposta giusta, affinché la regia che avevo
in mente funzioni e si realizzi.
Sono lì perché, se coinvolgo i bambini, ho interesse a seguire l'andamento di quello che
comunicano.
Per adesso il divario tra linguaggio matematico (potenza di un numero) e linguaggio naturale
(potenza di un camion, il papà che parla di potenza...) è lasciato cadere nel vuoto.

Altro spezzone del video:


Intanto c'è stata la parte iniziale che è caduta un po' nel vuoto.
Quindi anche il bambino che pensava alla potenza del camion ha pensato “non ci ho preso, si
parla di un'altra cosa”.
Appurato che si parla della potenza di un numero, l'insegnante ha scritto sulla lavagna 2 alla
terza, quindi è passata direttamente ad una formulazione simbolica, per esprimere la potenza
di un numero, chiedendo che cosa significasse.
Questa è una scelta che mette un ulteriore elemento comunicativo in mezzo, questa volta di
linguaggio simbolico (2 alla terza), ancora per cercare di capire di che cosa stiamo parlando.

Per spiegare il significato di 2 alla terza, l'insegnante entra nel registro didattichese e dice “vi
propongo una situazione problematica”.
Questa situazione problematica ha dentro di fantastico il quadro astratto, quindi introduce un
altro elemento, un elemento che nella mente dell’insegnante è di contestualizzazione (il
quadro astratto), cioè qualcosa che l'insegnante introduce per far ancorare l'idea dei suoi
allievi ad una cosa concreta (che poi tanto concreta non è).
Segue una disquisizione di cos'è un quadro astratto.
Questo è un esempio di contestualizzazione sbagliata, inutile, ridondante, che non ancora il
pensiero di nessuno a nulla.
Quando si dice che serve contestualizzare, bisogna andare a vedere il tipo di
contestualizzazione.
Questo quadro è solo un'ulteriore informazione per avere un motivo per disegnare cerchi
dentro triangoli e triangoli dentro a quadrati.
Questo è l'esempio di una contestualizzazione, che di per sé è un dispositivo che ha senso in
didattica, ma che utilizzato in questo modo invece non ha molto senso.
Quando i bambini danno le risposte alla domanda “quanti cerchi ci sono?” (all'inizio
l’insegnante lo racconta, non lo rappresenta), l'insegnante attende di sentire le risposte
sbagliate, e poi manda una bambina a disegnare.
La bambina che disegna però partecipa limitatamente alla risoluzione del problema; la
bambina avrebbe potuto intanto lei passare al conteggio delle varie figure.
Invece le chiede la collaborazione solo per disegnare, ma la regolazione è sempre
dell'insegnante.
In didattica si dice che l'insegnante sta facendo una regolazione esterna forte, perché tiene
una regia molto serrata di quello che succede, ha in mente uno script, una sceneggiatura,
un'evoluzione del percorso comunicativo per poter realizzare ciò che lei ha in mente.
Questa dimensione è molto marcata forse perché sapeva di essere ripresa, quindi aveva
preparato una serie di attività, per cui era molto concentrata nel tener fede a questa regia, e
quasi lascia cadere la partecipazione dei bambini, tranne per quelle risposte che lei coglie per
poter proseguire nel suo discorso.

Ora l’insegnante è passata alla scrittura, a spiegare il significato di 2 alla terza; la potenza del
camion ce la siamo persa, anche se invece questa moltiplicazione poteva suggerire un legame
tra il significato nella lingua naturale e il significato della potenza di un numero, oppure
poteva esplicitare che le stesse parole nella lingua naturale e in matematica assumono
significati diversi.
Quindi la potenza del camion ce la siamo persa; il quadro astratto anche.
Questo è un tipo di contestualizzazione, un tipo di situazione problematica che non è efficace
e finisce per essere ridondante.
Se si parla di moltiplicazioni ripetute si fa meno confusione.

Se il nostro obiettivo è un obiettivo di lavoro aritmetico è utile l'ancoraggio visivo, quindi il


riferimento ad una figura che mi possa visualizzare in maniera diversa la ripetizione del
fattore.
Qui l'insegnante l'ha rappresentato in due modi: con la rappresentazione simbolica aritmetica
(2x2x2) e attraverso questo espediente di figure incluse dentro le altre, cioè di un
meccanismo ricorsivo (poteva essere una spirale, una matriosca, cioè qualcosa che inducesse
la ripetizione di un fattore sempre uguale).
Avere un codice visivo e un codice simbolico è utile perché fissa l'idea di un'operazione
reiterata, di una ricorsività, e la potenza di un numero allude alla reiterazione moltiplicativa di
un numero.
Però l'idea che questa reiterazione sia associata a dei quadri è poco efficace.
Eventualmente a delle rappresentazioni che sono costruite per reiterazione.
Non c'è utilità nel partire da una cosa artistica per andare a focalizzare un'operazione
aritmetica.
Questi sono quei legami interdisciplinari vuoti, in cui le discipline non sono a servizio l’una
dell’altra, sono fittizi.
Qui sarebbe opportuno il coinvolgimento del codice visivo e del codice aritmetico, essendo
una quinta classe.
Si arriva quasi subito, dopo qualche minuto dall’inizio della lezione, alla nomenclatura (la
base, l’esponente) e dopo 9 minuti siamo alla scrittura sul quaderno.
Il primo segmento della lezione, al di là dell’incerto incipit, è soprattutto un registro
comunicativo molto in linguaggio matematico, quindi in linguaggio specifico, con una certa
attenzione anche al sapere formale, perché ora l’insegnante fa scrivere sul quaderno.
C’è un’idea del quaderno delle discipline un po’ strana alla scuola primaria, come se
attestasse la quantità di lavoro fatte.
È un’abitudine che si è consolidata, che non è obbligatoria, perché poi ci sono i libri che
vanno utilizzati.
Quel segno simbolico di disuguaglianza potrebbe essere un segno estraneo ai bambini (in
questo caso non lo sappiamo). L’insegnante deve sapere se quella è una nomenclatura che
aiuta la comprensione, o una nomenclatura che può ostacolarla.

(Video: L’insegnante detta la definizione di potenza e i bambini la scrivono sul quaderno)


Continua la fase di nomenclatura, l’insegnante fa scrivere sul quaderno, l’insegnante passa tra
i banchi.
La classe è disciplinata, nel senso che basta poco per dare ordine, quindi i bambini sono
abituati ad alzare la mano e a rispondere quando interpellati.
Quindi la lezione è disciplinata, forse un po’ noiosa per un bambino.
Scrive alla lavagna cos’è l’esponente, cos’è la base e cosa indica.

Ora l’insegnante chiama i bambini alla lavagna.


Li fa andare tutti, quindi si è oltre il compito cognitivo, si innesta una dinamica che riguarda
la possibilità di gratificare i bambini.
È chiaro che i bambini hanno capito, ma l’insegnante continua a chiamarli alla lavagna
perché ritiene che possa essere positivo ricevere un’approvazione sia da parte sua che da
parte della classe.
Quindi in quest’ultima parte, può darsi che la maestra insista non tanto perché non sia sicura
della comprensione presso tutti gli allievi, ma perché lo trasforma in un elemento di
gratificazione.
I bambini vogliono andare alla lavagna perché sanno di essere capaci e vogliono far vedere
alla maestra di aver capito.
Questo fa parte del contratto didattico, di quel sistema di attese che il bambino vuol
soddisfare perché è un’occasione per dimostrare di saper far bene il mestiere di allievo.

Dopo che i bambini lavorano da poco meno di 20 minuti, la dinamica della classe può
cambiare.
C’è già stata, dal punto di vista dell’alternanza dell’attività, è una lezione abbastanza
articolata.
I bambini dovrebbero stare 10 minuti, un quarto d’ora al massimo su un’attività, poi bisogna
interrompere un po’, oppure cambiare registro, cambiare attività, dare una pausa fittizia anche
con qualche espediente.

Il registro cambia di nuovo, però la richiesta che fa l’insegnante è quella di andare sul libro.
Chiama i bambini a leggere le stringhe di testo, ma il testo chiede le stesse cose chieste prima
alla lavagna, quindi di individuare quali siano potenze e quali no.
Da questo punto di vista, l’attività non si differenzia molto dall’altra, perché si configura
come un’attività di consolidamento dal punto di vista dell’apprendimento.

Supponiamo che l’insegnante abbia già fatto l’attività di verifica della comprensione, con le
risposte dal banco, ha poi fatto andare i bambini alla lavagna. Adesso questa cosa di leggerlo
sul libro è un’ulteriore insistenza da questo punto di vista.
Questo potrebbe essere un compito da assegnare a casa, se non c’è un tempo pieno.
Allora potrebbe essere un consolidamento, perché a distanza di un po’ di tempo quell’attività
potrebbe servire per fissare nella memoria il significato della potenza, le varie nomenclature e
i termini per parlarne e per gestirla.

(L’insegnante fa lavorare i bambini a coppie, l’insegnante passa a controllare)


L’attività cambia poco. Si inserisce questo elemento di lavoro a coppie, che serve per
velocizzare la situazione.
C’è sempre questa regolazione esterna; in questa prima lezione il registro è quello di una
regia molto stretta, di una regolazione esterna.
È stato fatto l’esercizio alla lavagna, poi quello sul quaderno, poi quello sul testo, poi ora sul
testo a coppie, e ora l’insegnante sta passando a verificare la correttezza di quello che i
bambini hanno scritto negli esercizi da compilare nel testo.
Dal punto di vista del management della classe, la classe è rimasta sostanzialmente fissa e la
regolazione è totalmente nelle mani dell’insegnante.
Quindi quello che aveva fatto all’inizio, cioè tenere controllata la propria regia, ormai siamo
ai 25 minuti di lezione ed è ancora così.

L’insegnante si preoccupa di accertarsi della correzione di tutti i libri.


Questa cosa della correzione, da un punto di vista didattico, è qualcosa che è considerata
assolutamente naturale.
Tuttavia sappiamo che può essere diversamente efficace, a seconda di come lo si fa.
Cioè può scattare quello che viene chiamato il compromesso delle risposte corrette.
L’insegnante ha preso i libri, li guarderà, molti li ha già visti mentre andava tra i banchi.
L’intervento di correzione eventualmente necessario nella scrittura di un bambino non è detto
che risulti efficace ai fini della comprensione.
Cioè se quell’errore fosse un errore indiziario di una mancata comprensione, il fatto di
apporre la correzione sul libro non provoca nel bambino la sostituzione della risposta corretta
alla risposta sbagliata.
Questo succede in pochi casi: quando quell’errore, per esempio, è stato frutto di una
distrazione, di una svista, di una risposta eccessivamente intuitiva e quindi non riflettuta.

Ovvio che l’insegnante lo deve correggere, ma non bisogna delegare a questo atto di
correzione formale l’indizio decisivo della comprensione degli allievi, perché questo, con i
bambini specialmente alla primaria, accade poche volte.
Il bambino vede nell’errore se ha fatto bene o se ha fatto male, ma più per quello che riguarda
la sua persona, piuttosto che per quello che riguarda la cosa da comprendere.
Diverso è se questa correzione diventa un elemento di condivisione o di rapporto personale;
in questo caso ha un’incidenza molto forte. Perché il bambino ritrova nella relazione più
diretta e più carica di “traffico affettivo” (lo chiamava Frabboni) una concentrazione rispetto
all’analisi del suo comportamento, quindi anche ad essere più disponibile a fissare la risposta
corretta laddove c’era una risposta sbagliata.
Mentre le correzioni fatte, che lasciamo sul libro e sul quaderno con i compiti a casa, non
hanno un potere di fissazione cognitiva così forte, quindi non vanno ad incidere nel modello
del comportamento dell’allievo; se è un errore di distrazione sì, ma se è un errore più
profondo può darsi di no.

Le correzioni dei compiti sul libro e sul quaderno sono una consuetudine.
Allora bisogna essere avvertiti del fatto che la correzione sul quaderno o sul foglio, quella
fatta dall’insegnante, ha un potere di distrazione piuttosto forte.
Anzi, ci sono degli studi in psicologia che ci dicono che a volte, in casi estremi, serve a
fissare proprio l’errore.
Bisogna essere avvertiti che, se si vuole rendersi conto di qual è la comprensione profonda,
allora bisogna accedere ad altre modalità di verifica di questa comprensione.
Una modalità molto utile di verifica è quella di far raccontare le cose ad altri bambini, di
raccontarsele tra loro.
Il fatto di descrivere quello che si è capito, quello che si è compreso, di ricordare gli esempi
che si sono fatti è un indizio molto attendibile del reale livello di comprensione.
E anche il tipo di linguaggio che si utilizza nella descrizione, se è ad esempio un linguaggio
naturale che ci fa capire che le idee sono corrette anche se espresse in lingua naturale.
Mentre la ripetizione della definizione che si è fatta scrivere sul quaderno è una buona
risposta che può essere assunta come indizio positivo, ma che non ci fa essere sicuri che
dietro alla recita della definizione formale a memoria ci sia dietro una reale comprensione.

È apprezzabile il fatto che l’insegnante abbia costruito un memory (i giochi di carte sono
anche utili per verificare queste conoscenze procedurali, quindi giochi di memory o giochi di
carte, oppure giochi tipo domino, gioco dell’oca, che sono giochi che hanno delle meccaniche
che sono codificate).
L’insegnante ha quindi rotto la normale gestione per introdurre un momento di gioco.
I bambini erano contenti.

In questa fase di gioco viene coinvolto anche il bambino con disabilità.


Interviene nella fase di gioco, forse ha una disabilità abbastanza grave, quindi il suo
coinvolgimento nella fase di gioco, più che nella componente cognitiva del compito, è
probabilmente rivolta alla componente di socializzazione.
Perché prima non è mai stato interpellato, forse perché era un compito al di sopra del suo
piano educativo individualizzato, cioè questo contenuto non è tra le padronanze attese, perché
altrimenti ci si sarebbe dovuti aspettare un suo coinvolgimento anche nella fase precedente.
I bambini quindi giocano.
Nel memory c’è una doppia dinamica: c’è la dinamica della padronanza dei contenuti, perché
quando sollevo la carta, devo riconoscere se è una carta che funziona, ma funziona anche
rispetto al fatto che io mi ricordo dov’è posizionata.
Quindi la dinamica del memory ha sia l’elemento di conoscenza che io devo trattenere, sia
l’elemento di memoria.
Quindi è una meccanica particolare.

La classe è a gruppi, c’è un clima abbastanza confusionario, però è un clima abbastanza di


divertimento.
Quindi l’insegnante ha scelto il momento di gioco alla fine.
Si potrebbe anche partire da una situazione più vivace in una prima fase, per poi passare ad
una situazione che va a formalizzare dei contenuti alla fine, cioè invertire totalmente la
struttura di questa lezione.

L’insegnante assegna i compiti a casa.


Poi chiede di inventare una situazione problematica, tirando fuori nuovamente il pittore (cosa
che non avrebbe dovuto fare).
Inoltre, dice che è difficile.
Non serve a nulla dire che è difficile, se non ad inibire la risposta.
Si può dire dopo “bravo, perché non era facile” e quindi trasformare in un feedback positivo,
in una rassicurazione, in un rafforzamento dell’apprezzamento della prestazione.

(Una bambina risponde, inventando una situazione su una pizza)


L’idea della bambina, della pizza, non ha funzionato.
L’insegnante ha detto “non va bene”, dicendo il perché (perché 5 x3 x2), però ha chiuso la
situazione.
Dice subito alla bambina che l’esempio è sbagliato, ma non porta la bambina a dire
“proviamo a disegnarlo” o a scriverlo.
L’insegnante ha dedotto che fosse troppo difficile e quindi ha fatto un altro esempio.

(Esempio dei balconi, fioriere, vasi)


La bambina all’inizio aveva capito l’operazione (4x4x4), ma non ha più controllato se fossero
4 fioriere, 4 balconi, 4 vasi…
La bambina ha capito la potenza ma non si ricorda esattamente cosa l’insegnante ha detto.
Anche questa idea di dover per forza contestualizzare con 4 balconi, 4 fioriere, 4 vasi…
quando lo devo ricostruire, mi ricordo 4x4x4, ma non mi ricordo bene cosa.
Questo riguarda anche il tipo di intelligenza che abbiamo.
Cioè qualcuno di noi si aggancia di più a questo elemento delle case, perché vede le case,
vede i balconi, vede le fioriere e vede i vasi; mentre qualcun altro no, vede nella sua mente
direttamente l’operazione 4 x 4 x 4 x 4.
Questi sono stili preferenziali.
Non dobbiamo pensare che se parlo di case, di fioriere… la cosa funzioni necessariamente
meglio, piuttosto che se parlo di un’operazione ripetuta 4 volte che ha sempre lo stesso
fattore.
La bambina aveva detto l’operazione giusta all’inizio, ma poi quando è andata alla lavagna a
disegnare, tra case, balconi, fioriere e vasi, non sapeva più come uscirne.

Lo sforzo che la maestra richiede ai bambini non riguarda più tanto il concetto di potenza, ma
riguarda la possibilità di costruire una narrazione che sia coerente con la potenza.
È un’altra cosa.
È un’attività che può servire, però come insegnanti dobbiamo essere consapevoli di quello
che fa agire nella mente dei nostri allievi.
In questo caso si cerca di far agire un coordinamento tra la coerenza dell’elemento narrativo e
la coerenza di un’operazione aritmetica.
L’operazione aritmetica si dà per acquisita, ma quale tipo di narrazione potrei costruire,
coerente con quel tipo di operazione?
È un passaggio ulteriore che i bambini possono fare, ma che non ci dice più solo se ha capito
le potenze, ma se sa costruire una narrazione esprimibile attraverso una potenza.
Questo è qualcosa in più, che va oltre l’indizio della comprensione della potenza.
È un’abilità correlata, ma in più.

Il bambino viene interrotto non perché il meccanismo del 5 x 5 x 5, la cui padronanza


cognitiva che attesta la comprensione della potenza come moltiplicazione ripetuta, sia in
discussione, ma perché la narrazione non è coerente con il 5 x 5 x 5.

Questo è il tipo di attività che si chiama analisi delle pratiche, e serve per andare a vedere,
osservando delle situazioni concrete, quali possono essere queste scelte che l’insegnante
compie, e deve compiere istante per istante.
Quindi sia le scelte macroscopiche, quando l’insegnante organizza le lezioni, sia quelle
minute, quindi istante per istante, quando deve reagire con dei feedback alle comunicazioni
dei bambini, e che fanno dell’attività didattica un’attività intenzionale ma fatta di continue
scelte, alcune più progettuali, e altre più comunicative.
Quest’analisi delle pratiche si utilizza molto anche nella formazione delle insegnanti, perché
quando un insegnante si rivede mette più facilmente l’attenzione su aspetti particolari, e
quindi si può procedere in senso più analitico; si può porre l’attenzione sulla comunicazione,
sulla negoziazione, sul tipo di attività, sulle dinamiche che accadono…
LEZIONE 04-05
AMBITI DELLA DIDATTICA

Lo schema allude all’evoluzione del modo di concepire l’educazione in rapporto alle stagioni
della vita o le età generazionali. Per molto tempo l’insegnamento e l’istruzione riguardava
una prima fase della vita, iniziava ai 6 anni e finiva ai 18-21 anni, la stagione successiva era
quella del lavoro ed evidentemente poi quella della pensione. Questo vale fino agli anni 60
largamente, negli anni 70 in relazione ai movimenti che la società attraversa (perché gli anni
70 sono gli anni in cui si afferma l’idea di una partecipazione attiva alla vita democratica del
paese, quindi la scuola è un’istituzione alla quale tutta la società partecipa in questo
momento). Gli anni 70 sono quindi caratterizzati dall’istituzione di legami tra scuola e
territorio, questo legame che per noi oggi è abbastanza scontato perché è consolidata l’idea
che esista un curricolo anche orizzontale, che esista un sistema formativo integrato, ma le
idee di legame scuola-territorio di curricolo orizzontale e di sistema formativo integrato
nascono in questi anni 70 e in questi anni si afferma l’idea che l’apprendimento riguarda più
tipologie di contesti, non si fa solo a scuola, non solo all’interno delle istituzioni educative,
ma si fa anche nell’extrascuola (questa espressione venne proprio coniata negli anni 70).
Quindi l’apprendimento riguarda molti contesti e riguardando molti contesti riguarda anche le
diverse età della vita. Poi complice anche l’interessamento di altri paesi europei, questa idea è
maturata e si è sviluppata nell’idea di formazione permanente o formazione continua (ci sono
delle lievi differenze di significato ma l’idea complessiva è di un apprendimento che continua
per tutta la vita sia in ambito professionale che extraprofessionale). Quindi datiamo al 1996,
perché c’è l’anno europeo dell’istruzione e della formazione per tutta la vita e quindi si
sancisce la presenza di questa istanza, questa concezione della formazione per tutta la vita
come lifelong learning che tuttora è presente. Dalla recente audizione del ministro Bianchi
alla Camera dei deputati in cui ha presentato il piano delle linee programmatiche, questo
concetto sia nel piano RR (piano nazionale di ripresa e resilienza) che nel piano linee
programmatiche del nostro ministero è una cifra che in direzioni un po' più attuali è molto
presente. Una delle idee che attualizzano l’idea del lifelong learning è dire di rinunciare ad
una formazione degli insegnanti in ruolo solo obbligatoria secondo una concezione un po'
burocratica (perché gli insegnanti hanno l’obbligo di 20 ore di formazione continua quando si
è in servizio nelle classi assegnate): più si burocratizza questo obbligo di 20 ore e meno è
pregnante da un punto di vista formativo. Quindi già nel piano RR e anche nelle linee
strategiche è presente l’idea di agganciarlo alle carriere, a delle competenze che riguardino i
problemi reali della scuola anche immaginando la formazione a ricoprire delle figure di
sistema perché la scuola è un’istituzione che è diventata molto più complessa anche perché
oggi alla scuola si chiede qualunque cosa, cioè non si richiede più solo l’istruzione ma
un’attenzione sotto moltissimi profili e direzioni educative e si chiede anche di essere
un’istituzione che accompagna la famiglia in molte scelte. Quindi per stare dentro la scuola
oggi sono richieste anche delle figure di sistema, nel senso che già esistono da un punto di
vista formale però sostanzialmente al momento sono insegnanti di buona volontà, cioè sono
persone che diventano figure di sistema (una volta erano chiamate figure obiettivo) che per
loro interessi particolari o per esperienze guadagnate nel tempo diventano figure di
riferimento per alcune questioni (ad esempio il ministero ha istituito i referenti per gli
animatori digitali o i referenti per l’orientamento, si tratta di docenti che assolvono alcune
funzioni che il dirigente scolastico da solo non può assolvere proprio perché si tratta di
un’organizzazione complessa). Quindi nell’idea di lifelong learning per gli insegnanti ad
esempio c’è un’idea di formazione in servizio che però possa essere agganciata alla carriera,
cioè l’insegnante attualmente fa carriera solo perché invecchia dentro la scuola solo perché
accumula anni di esperienza indipendentemente dal merito e da alcune sue competenze: se
non bisogna farne un discorso verticistico aziendalistico che sarebbe sbagliato, tuttavia
siccome servono profili professionali differenti ormai all’interno della scuola allora è
ragionevole pensare anche ad un’alta formazione che una volta entrati a scuola essendo di
ruolo possa trovare queste linee di sviluppo professionale. Oggi infatti si parla soprattutto di
sviluppo professionale e ci sono delle ricerche che ci dicono che nei primi 5 anni la curva di
crescita delle competenze dell’insegnante è evidentemente crescente (abbastanza ripida),
dopo che l’insegnante è di ruolo dai 5 ai 10 anni la curva un po' si abbassa (non è ancora un
encefalogramma piatto, non è ancora una linea orizzontale all’asse delle ascisse,
considerando che nell’asse delle ascisse c’è il tempo mentre in quello delle ordinate c’è il
livello di professionalità), dopo i 10 anni invece diventa praticamente un asintoto parallelo
all’asse delle ascisse questo significa che il livello di professionalità rimane costante mentre il
tempo va avanti. Bisogna riconoscere che insegnanti ad un livello diverso di carriera hanno
bisogni formativi diversi poiché nei primi anni un insegnante può avere anche uno
spaesamento perché arriva con una serie di idee, progetti, proposte e si trova a dover imparare
a vivere dentro ad un’organizzazione che è fatta anche di cose che non si studiano sui libri,
poi nel tempo evidentemente i suoi bisogni formativi cambiano perché alcune competenze si
maturano sul campo altre invece bisogna nutrirle dall’esterno oltre ad assolvere a delle
funzioni che sono più di organizzazione del sistema scolastico che profilano un livello di
management (cioè non proprio dirigenziale ma a metà strada tra l’insegnante e la dirigenza
scolastica). Quindi dal 96 questo lifelong learning continua ad evolvere (ci auguriamo che
evolva nella direzione di poter garantire profili professionali evoluti e quindi qualità della
scuola), se comunque l’educazione è per tutta la vita se abbiamo occasioni formative in
diversi contesti a diverse età allora si capisce come necessariamente il sistema istruzione e
formazione debba essere riarticolato per contesto e per età.
Allora gli ambiti della didattica sono caratterizzati:
-dal tipo di utenza: cioè possiamo distinguere ambiti della didattica diversi tra loro perché
per esempio abbiamo utenti differenti (utenti più piccoli, più grandi, adulti). Oggi iniziano ad
accumularsi una serie di ricerche sulla didattica universitaria e la didattica universitaria è un
ambito della didattica diversificata rispetto al tipo di utenti perché in questo caso gli utenti
sono gli studenti universitari. Quindi il tipo di utenza è riferito molto all’età, esiste anche una
didattica professionale (una didattica degli ambienti professionali) quindi qui a parità di età
adulta ci possono essere dei contesti che sono di educazione professionale assolutamente
diversi tra loro perché da settore a settore i profili dei lavoratori cambiano. Quindi una
variabile che ci consente di distinguere gli ambiti della didattica che si spalma su contesti ed
età generazionali diverse è il tipo di utenza, utenti diversi richiedono di specificare principi e
metodi della didattica in maniera diversa. c Però chiaramente se devo pensare ad un bambino
piccolo, un bambino piccolo è caratterizzato da un’estrema varietà, quindi di fronte alla stessa
proposta didattica bambini piccoli della stessa età possono reagire in maniera estremamente
diversa. Ad esempio imparare a camminare o imparare a parlare dopo aver compiuto 12 mesi
o dopo essere prossimi ai 2 anni ci corre un anno (quindi 50% di tutto il tempo vissuto)
eppure non rappresenta una preoccupazione, mentre un altro tipo di apprendimento che
maturasse con un anno di ritardo rispetto ad altri coetanei in età più adulta potrebbe
rappresentare invece un indizio di un qualche tratto individuale particolare. Quindi è chiaro
che la didattica per i bambini piccoli include questo principio di variabilità in maniera molto
più ampia rispetto ad una didattica rivolta a bambini di una quarta o quinta classe, tuttavia
alcuni principi di didattica generale rimangono essenzialmente gli stessi (tra quelli che
abbiamo visto, l’idea degli ambienti di apprendimento e di un ideale di costruzione in prima
persona attiva della conoscenza è un principio che va bene per tutti gli ambiti della didattica e
per tutte le età generazionali).
-Un altro tipo di differenziazione che differenzia gli ambiti tra loro sono le finalità
educative: se sono all’interno di una scuola di conservatorio per esempio facendo anche la
scuola secondaria (ci sono conservatori che hanno all’interno anche la scuola secondaria di
primo grado), allora la finalità educativa potrebbe essere un po' diversa rispetto ad un’altra
scuola. Pur essendo una scuola dell’obbligo la finalità educativa in questa istituzione
all’interno del conservatorio è differente perché non è solo di alfabetizzazione musicale come
nella scuola normale ma proprio di addestramento musicale, c’è anche un intento ad un certo
livello di selezionare i migliori rispetto a questo talento musicale (cosa che può non esserci in
un’altra istituzione). Alcuni contesti formativi (che sono le scuole di) possono avere delle
finalità educative di socializzazione o al contrario di addestramento o di apprendistato, quindi
le finalità possono cambiare e quando cambiano i contesti queste finalità orientano i contesti.
Una scuola dei mestieri o una scuola altamente professionalizzante è una scuola le cui finalità
educative sono sensibilmente diverse da una scuola che invece assume come finalità quella di
una preparazione culturale generalista, sono proprio finalità diverse quindi anche le didattiche
che si effettueranno saranno diverse. Anche se pensiamo la nostra scuola (la scuola dove
potremmo essere a settembre) dichiara le sue finalità generali ma le finalità specifiche
risentono un po' anche del tipo di scuola, ad esempio posso privilegiare degli approcci che
conducano tutti a guadagnare le stesse competenze di base come il mastery learning e
l’istruzione individualizzata (che abbiamo già commentato), oppure posso considerare di dare
priorità a degli obiettivi e a delle finalità che sono diversificate e quindi la mia didattica può
cambiare anche a parità di finalità legate in generale alla scuola.
-Tipologia degli apprendimenti va un po' con le finalità educative se ho atteso che la finalità
educativa possa essere espressa anche attraverso i risultati di apprendimento attesi
- e poi il contesto socioculturale, qui vediamo molto bene la determinante del contesto
socioculturale se confrontiamo tra loro contesti socioculturali estremamente diversi. Se si
confrontano scuole diverse in diverse parti del mondo troviamo modelli assolutamente
diversi. Oggi si parla molto dei modelli finlandesi ad esempio o dei modelli svedesi che
hanno degli approcci meno rigidi del nostro approccio tradizionale per certi versi più libertari
e ci appaiono oggi anche più evoluti ma sono modelli educativi realizzati in un paese la cui
densità di popolazione è pari ad una delle nostre grandi città, quindi è difficile dire
realizziamo anche noi quel modello da noi perché ci piace. Da noi si va dalle scuole di
montagna in cui seppur in misura estrema si corre il rischio di fare le pluriclassi alle scuole
delle città o nelle coste che hanno una densità di studenti per classe molto elevata. Quindi non
è tanto un problema di numerosità della classe quanto di distribuzione e inoltre le scuole di
basso livello scolare le devo portare dappertutto perché la scuola superiore si concentra su
alcuni poli territoriali ma le istituzioni per i bambini piccoli (nidi, scuola dell’infanzia e
scuola primaria) in realtà sono anche nei luoghi più isolati. Ovviamente in contesto
socioculturale di tipo naturalistico è molto più facile sviluppare una didattica dell’outdoor
education perché sono già immerso nel verde (se devo fare l’outdoor education nella città del
messico è un po' più complicato).
Tutti questi sono tipi di variabili che ci guidano nella differenziazione della didattica per
diversi ambiti.
Se la didattica è diversificata in relazione a questi elementi, quindi utenza e contesti (queste
sono le variabili più forti ma anche finalità educative e risultati di apprendimento), allora il
nostro sistema di istruzione e formazione si riarticola.
Questo è un grafo che ci descrive un modo classico di articolare e pensare il sistema
formativo, che risente di alcune istituzioni che realmente esistono. Ovvero guardando la
prima ramificazione i contesti li distinguiamo in formali, non formali, informali: questo è una
differenziazione di tipo concettuale quindi io posso dire che si suddividono in contesti
formali, non formali e informali, ma non trovo nessuna legge o meglio ormai è entrata
talmente nel vocabolario didattico che anche i testi formativi (o anche in questa audizione del
ministro ci sono stati degli interventi da parte senatori e deputati con queste espressioni) a
volte la usano, però di certo non c’è un’istituzionalizzazione del sistema formale, non formale
ed informale. È un modo di concettualizzare il sistema di formazione per distinguere tra:
-Informale: tutte quelle occasioni formative, istituzioni formative, si dice anche agenzie
formative che non sono intenzionalmente educative anche se possono produrre effetti
formativi. Se non sono intenzionalmente educative significa che la formazione che producono
è sporadica, occasionale, è frutto dell’esperienza ma non c’è una progettualità per
raggiungere degli esiti formativi. Nell’informale rientrano le esperienze educative comunque
importanti, rientrano alcuni mezzi di comunicazione come il cinema (il cinema lo posso
utilizzare a fini formativi ma chi lo produce non ha in mente di voler formare le persone in un
certo modo rispetto certi obiettivi, finalità) anche se la fruizione di film può essere certamente
occasione che produce esiti formativi, per esempio se organizzo quello che una volta si
chiamava cineforum, cioè organizzo i film come risorsa per l’apprendimento collegandolo ad
attività, temi. Anche lo sport che abbiamo occasione di praticare soprattutto a livello non
agonistico è un’occasione certamente formativa ma non è un’occasione intenzionalmente
educativa (a meno che se all’interno di associazioni che utilizzano lo sport per perseguire
obiettivi educativi). Sono un esempio anche i gruppi tra pari, associazioni, hobbistica, tutto
quello che può rientrare nell’esperienza che può produrre esiti formativi ma non è
intenzionalmente educativa. Sull’informale troviamo quelle occasioni in cui guadagniamo
l’esperienza formativa indipendentemente da chi ha pensato e prodotto quell’esperienza per
altri scopi.
-Il sistema non formale è invece un insieme di occasioni formative, agenzie formative e
servizi che hanno un’intenzionalità formativa ma non sono formalizzati, non hanno carattere
formale. Ad esempio gli scout esistono come istituzione, non è formalizzata nel senso di non
essere obbligatoria, non essere definita da delle professioni non remunerate, quindi non è un
apparato ma è un’esperienza educativa (quella anche codificata da Baden-Powell in poi), è
organizzata e certamente è nata per perseguire delle finalità educative, quindi è
intenzionalmente educativa, è intenzionalmente formativa. La famiglia stessa è un’agenzia
formativa alla quale anche la nostra costituzione riconosce una finalità educativa, è la prima
agenzia formativa alla quale si delega parte dell’educazione quindi è intenzionalmente
formativa. Nel sistema non formale troviamo anche l’extrascuola e l’educazione degli adulti,
non essendo il sistema non formale istituzionalmente definito per l’extrascuola ad esempio
non esistono delle indicazioni nazionali per conseguire degli obiettivi, invece l’extrascuola
persegue poche finalità e ai livelli che ritiene che questo debba essere fatto a seconda della
singola istituzione o associazione. L’educazione degli adulti è come se fosse un’extrascuola
pensata per l’età adulta e quindi oggi ci sono i CPA ovvero i centri provinciali per l’istruzione
degli adulti e queste istituzioni per gli adulti sono un po' a metà strada, ad esempio sono per
l’insegnamento della lingua, per far guadagnare diplomi a chi nella sua storia professionale
non li ha finalizzati e che invece servono per tante ragioni (per partecipare attivamente alla
vita del paese, per il lavoro), allora troveremo nell’educazione per gli adulti pensando ad
esempio ai corsi di lingua 2 (i corsi di italiano fatti ad alunni stranieri che sono anche adulti
perché chi arriva nel nostro paese non ha la padronanza della lingua, quella è la prima cosa da
garantirgli e laddove non venga fatto con le strutture dello stato c’è una grossa e giusta
ragione di larga offerta per questa difficoltà).
-Il sistema formale: è invece assolto non solo dalla scuola, e la sua caratteristica è quella di
non solo essere intenzionalmente formativa ma anche di essere organizzata istituzionalmente,
formalmente all’interno della società. Ritroviamo in questo l’istruzione e la formazione.
L’istruzione fa riferimento al sistema scolastico ormai da 0 (visto che anche lo 0-3 è entrato a
far parte perché è stato istituito il sistema 0-6 dal sistema delle politiche sociali è andato a
finire nel sistema di istruzione, tanto è che oggi del sistema 0-6 se ne parla dentro il ministero
dell’istruzione non se ne parla più all’interno del Ministero del Welfare come era un tempo).
Quindi dentro il formale istruzione per tutte le età della vita e poi formazione, dopo che si
esce dal sistema scuola o dal sistema università si continua con la formazione che è
professionale e che poi anche quando si è usciti dal sistema produttivo è una formazione
continua (l’università della terza età ne è un esempio). Quindi il sistema formale è
intenzionalmente educativo e formale nel senso di essere istituzionalmente definito con
proprie finalità con cui si deve rispondere di fronte al paese. Per tutte le età generazionali c’è
il proprio segmento di istruzione fino all’università e poi si parla di formazione professionale
o continua.
In questa tabella presente nel testo, sono raggruppate le esperienze di apprendimento formale
e quelle non formali, quindi sulla base della caratterizzazioni di esperienze formali e non
formali si coprono una serie di didattiche abbastanza diversificate tra loro che vanno dalla
didattica della scuola (didattica scolastica), alla didattica universitaria, alla didattica nella
formazione professionale e continua, oppure per quanto riguarda le esperienze non formali la
didattica extrascolastica e la didattica per gli adulti. Sono qua enucleati sia i destinatari
prevalenti sia le tipologie di obiettivi formativi che perseguono. Poi il testo separa altri ambiti
che sfuggono dalla precedente ripartizione e che sono identificati come trasversali, non sono
più incasellabili nel sistema formale, nel sistema non formale, nel sistema informale, ma sono
un po' trasversali. Questo è il caso della didattica tecnologica, della didattica speciale (è
trasversale occupandosi da allievi con disabilità o con bisogni educativi specifici oltre che
speciali), anche della didattica interculturale. Ovviamente non sono didattiche rifondate ex-
novo, invece sono corpus di conoscenze che si aggregano in riferimento a particolari tipi di
problemi: la didattica interculturale non è una didattica assolutamente diversa dalla didattica,
bensì è una didattica i cui principi e metodi sono particolarmente attenti all’elemento delle
diversità culturali o aspetti della mediazione culturale, e la stessa cosa per la didattica
tecnologica che non è una didattica che prescinde dal modo che abbiamo già descritto di
pensare all’apprendimento però anziché concentrarsi solo sull’apprendimento tout court fa
propri i problemi dell’apprendimento quando questo è di tipo multimediale o mediato dal
computer (la comunicazione mediata dal computer nel secondo capitolo “dimensione
attuativa e negoziale” è una specificazione interna all’ambito madre della comunicazione e
tuttavia è certamente diversa da una comunicazione faccia a faccia). È come se questi ambiti
trasversali specializzassero la didattica in rapporto a fenomeni e problemi specifici, quindi
all’interno della didattica ci si confronta con problemi specifici per arrivare a soluzioni che
sono anch’esse specifiche.
Qui invece entriamo all’interno della didattica scolastica che è quella in cui ovviamente il
nostro focus è più ampio e lo schema dice come è organizzato il nostro sistema di istruzione.
Forse non sarà una delle prime riforme che il nostro paese farà ma c’è un po' nell’aria l’idea
di riformare i cicli scolastici, per esempio c’è una sperimentazione che va avanti da diversi
anni che riguarda il liceo quadriennale cioè la scuola secondaria di secondo grado
quadriennale, se si va a modificare la durata di un segmento di istruzione questo ha un
impatto sia per prima sia per il dopo. Ugualmente sono tanti anni che si discute sull’ultimo
anno della scuola dell’infanzia con l’intenzione di renderlo un anno obbligatorio (nel nostro
paese non è obbligatoria la scuola dell’infanzia anche se ormai più del 90% della popolazione
infantile la frequenta), anche per questo ci vorrebbe una riforma del sistema di istruzione per
considerare il terzo anno della scuola dell’infanzia obbligatorio. Attualmente però il nostro
sistema è così: abbiamo il nido che sulla base del decreto 65/2017 è stato portato dentro il
sistema istruzione e formazione se no prima del 2017 non avremmo trovato il nido all’interno
del sistema d’istruzione, il nido 0-3 anni e per fare questo ci vuole un diploma di laurea
triennale in Scienze dell’Educazione con un indirizzo specifico nei servizi dell’infanzia. Poi
la scuola dell’infanzia 3-6 e poi c’è il cosiddetto primo ciclo d’istruzione che include sia la
scuola primaria sia la scuola secondaria di primo grado (quella che fino ad un po' di anni fa
chiamavamo scuola media). La scuola media fu istituita nel 1962 come scuola media unica e
dopo le scuole che allora si chiamavano elementari si andava o all’avviamento professionale
oppure al ginnasio, tanto è vero che nella scuola media è rimasto un po' un residuo, facendo
riferimento ad una materia che prima era divisa tra maschi e femmine che si chiamava
applicazioni tecniche, le applicazione tecniche era quella parte che invece oggi è
implementata nell’area tecnologica non solo in senso digitale ma ciò che viene definita
tecnica (è rimasta un po' questa componente tecnica), era suddivisa in 2 ed era un po' un
residuo della scuola di avviamento per cui i maschi andavano a fare la meccanica e alle
femmine venivano sottoposte esperienze tipicamente di genere (come dipingere, fare
quadretti con abilità manuali, gli arazzi, il ricamo). Questo per capire come in realtà il sistema
evolve nel tempo. Questa scuola media unica che divenne scuola dell’obbligo oggi è scuola
secondaria di primo grado ma fa parte del primo ciclo di istruzione, fino a poco tempo fa
l’obbligo di scolarizzazione arrivava alla scuola secondaria di primo grado (da cui si esce sui
13 anni). Oggi l’obbligo è stato portato ai 16 anni, ma già si discute di renderlo fino ai 18,
comunque con il primo biennio della scuola secondaria di secondo grado. Quando dopo il
primo e il secondo ciclo troviamo educazione o istruzione terziaria (non si parla più di terzo
ciclo), allora qua siamo nel sistema universitario post secondo ciclo e poi alta formazione con
il dottorato che è dopo l’università e che in Italia è il più alto titolo di studio che si può
conseguire. Questo è il nostro sistema di istruzione.
La scuola dell’infanzia così come si chiama oggi, o ex asilo ex scuola materna, l’abbiamo
chiamata in diversi modi queste locuzioni segnano l’evoluzione dell’idea: non a caso
all’inizio era asilo quindi neanche una scuola, poi una scuola di maternage quindi ancora con
la marcatura del genere femminile e del ruolo anziché dell’insegnante un po' del badantato al
maternage, oggi scuola infanzia. L’unico possibile rischio a cui ci troviamo di fronte del
sistema 0-6 è di far regredire la scuola dell’infanzia alle prassi del nido piuttosto che far
evolvere il nido alle prassi della scuola dell’infanzia: molti nidi assomigliano molto alle
scuole dell’infanzia perché sono già organizzati (a parte tutte le attività routinarie di
accudimento, di nursery) per angoli di interesse, presentano degli ambienti di apprendimento
che stimolano i bambini rispetto a tutto ciò che abbiamo detto in chiave didattica. Quindi ci
sono delle esperienze evolute che sarebbe un peccato far regredire al regime semplicemente
di accudimento, ed il rischio del sistema 0-6 è che la scuola dell’infanzia sia più legata al nido
piuttosto che la scuola primaria, quindi c’è questa attenzione che va usata.

Qua c’è un focus del 1991 perché gli orientamenti del 1991 sono un documento
estremamente ricco, interessante che ci dice quale tipo di esperienze i bambini 3-6 anni
possono fare in relazione al curricolo. Oggi si parla di indicazioni nazionali per il curricolo
nella scuola dell’infanzia, tuttavia leggendo le indicazioni nazionali per il curricolo per la
scuola dell’infanzia in realtà sono più povere anche da un punto di vista contenutistico, di
prodromi, di substrato che con i bambini si può costruire da un punto di vista concettuale, dal
punto di vista linguistico nei diversi ambiti della conoscenza di quanto non lo fossero gli
orientamenti del 91 che hanno un’articolazione molto più forte. Oggi il terzo punto (lo spazio,
l’ordine, la misura) è insieme a le cose, il tempo, la natura con un’evocazione rispetto
neanche all’atteggiamento scientifico ma alla costruzione dell’esplorazione del mondo,
chiaramente più allargo più il rischio è che indebolisca, poi è l’insegnante che si trova nei
guai perché sull’esplorazione del mondo sfugge tutto di mano (cosa posso fare poi veramente
con i bambini). Se come al solito ritorno ad interrogare i campi di esperienza conoscitivi
prima ancora di quelli didattici, evidentemente trovo molti più spunti. La stessa cosa per la
natura, se io riduco tutto ad un’esplorazione mi sfuggono moltissime cose e finisco per
misurare l’altezza della piantina in terza classe primaria (ma non centra misurare la piantina,
tra l’altro il fagiolino messo tra due ovatte bagnate è un’attività usata da molto tempo e basta
con questa attività, nel senso facciamolo una volta per vedere qualcosa che cresce ma
addirittura poi succedono delle cose pazzesche come andare a fare le misure su questo
fagiolino per vedere quanto è alto). Questo momento del 91 è segnalato perché se pensiamo
in prima classe a delle esperienze che possono essere in continuità con la scuola dell’infanzia
(non tutti i bambini la frequentano ma in Italia oltre il 95% dei bambini la frequentano),
allora anche se si lavora nella scuola primaria e non si è mai lavorato nella scuola
dell’infanzia è importante conoscere questi orientamenti del 91 perché è come si fosse qua il
tentativo di anticipare in maniera non formale quelle idee che sono corrette da un punto di
vista disciplinare ma che sono intuitive dal punto di vista della loro proposta che sono
prodromiche al curricolo nelle sue parti disciplinari della scuola primaria.

Nei campi di esperienza delle indicazioni del 2012, oggi c’è una versione anche del 2018 che
però non va a ridefinire gli obiettivi semplicemente è una riflessione che allarga agli ambiti a
cui oggi siamo più sensibili (esempi: digitale, sostenibilità). Dal dettato delle indicazioni del
2012 è sparito “lo spazio, l’ordine, la misura”; è sparito anche “la natura”; poi sono andati
dentro a “i discorsi e le parole” linguaggi sarebbe stato un costrutto molto più incisivo prima
era “messaggi, forme e media”; anche rispetto al punto in cui sono presenti suoni perché
parlare di suoni anziché di musica.
Nella scuola primaria la cosa che ci interessa da un punto di vista didattico è che qui c’è il
primo riferimento alle discipline, qui c’è il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola
primaria dai campi di esperienza alle discipline. Questa idea dei campi di esperienza in realtà
da un punto di vista epistemologico è molto forte, da un certo punto di vista (lo studieremo in
pedagogia dei saperi) è come se non fossimo mai del tutto autorizzati a pensare le discipline
in maniera difforme dai campi di esperienza perché il sapere disciplinato (da qui disciplina)
lo è solo quando non solo è stato scoperto ma quando è stato accettato e ri-descritto in forma
normalizzata o manualistica (questo è un sapere disciplinato). E quello che noi percepiamo
come nozionismo, eccessiva rigidità della costruzione del sapere in realtà riguarda la forma
che diamo al sapere al momento del suo insegnamento, quindi è un problema di
trasposizione: se noi prendiamo un manuale e ne facciamo la forma didattica di
comunicazione è una trasposizione inadeguata ma non è il sapere che è nozionistico, è la
trasposizione che concede troppo a questa trasmissione unilaterale. Il sapere nel momento
della sua nascita vive all’interno di un campo di esperienza perché lo devo in tutti modi
manipolare attraverso strumenti intellettuali o strumenti pratici. Quindi questa idea che i
campi di esperienza siano l’ambito di costruzione della conoscenza nella scuola dell’infanzia
e smettano di esserlo di colpo nella scuola primaria, è un’idea che da un punto di vista dei
problemi legati alla conoscenza non funziona tanto bene. E quando troviamo negli articoli “la
gabbia del 900” è un problema posto malamente perché non guarda al sistema della
conoscenza per come questo si genera, vive e poi evolve. Quindi l’idea di un primo
riferimento alle discipline che dovrebbero essere sempre un po' trattate come campi di
esperienza è caratteristico della scuola primaria. Alla scuola primaria il carattere unitario
della conoscenza la dovrebbe far da padrone, anche quando passo attraverso le diverse
discipline non dovrei mai perdere il senso di legarle tra loro e di favorire questo carattere
unitario, non sono ad un livello di conoscenza specializzata e quindi posso fare salvo un po'
più il carattere unitario, mentre il carattere unitario viene meno quando moltiplico le
conoscenze specializzate quindi è più difficile portare la sintesi anche se oggi stiamo
scontando un po' i limiti di questo approccio. Poi anche l’ambiente di apprendimento, nella
scuola dell’infanzia ho la sezione ma l’ambiente di apprendimento nella scuola primaria
cambia perché ci sono cambiamenti forti nella strutturazione degli ambienti di
apprendimento. Un altro cambiamento troppo forte è tra la scuola primaria e la scuola
secondaria di primo grado, perché la scuola secondaria di primo grado assomiglia molto di
più alla scuola secondaria di secondo grado di quanto non somigli alla scuola primaria, e
questo nel giro di un paio di mesi in cui il bambino esce da un modello della scuola primaria
in cui c’è una relazione molto diffusa, lo spazio e la prossemica della didattica quindi quella
comunicazione che avviene attraverso il corpo è molto enfatizzata e si ritrova (o rischia di
ritrovarsi) in una scuola secondaria di primo grado con le file dei banchi, uno stile di docenti
(soprattutto quelli che provengono da discipline che non hanno avuto molta esperienza
didattica) immediatamente si ritrova adulto e quindi qui c’è un problema di discontinuità
forte. Quindi l’ambiente di apprendimento come spazio organizzato e finalizzato (con aule,
laboratori, palestre, biblioteche, giardini) anche nella progettazione dell’edilizia scolastica le
nostre scuole sono costruite in modo da prevedere questi tipi di spazi. Oggi si torna a parlare
(anzi fanno tutti un gran parlare al ministero i gruppi al lavoro, indire) tornando a difendere la
classe destrutturata, ma bisogna distinguere la classe come unità amministrativa (mi iscrivo
ad una classe, quella classe è quella a cui vengono somministrati i test invalsi ad esempio)
dall’unità reale quindi bisogna separare l’unità burocratica dall’organizzazione reale:
sull’organizzazione reale oggi parlano di classi destrutturate oggi l’Aprea (ha fatto ministro
dell’istruzione al tempo del governo Berlusconi ) ha fatto un intervento dicendo “ma ancora
si parla di classi, mettiamo i bambini nelle classi”, da una parte c’è da capirsi nel senso che i
modelli di openclassrom risalgono al 1950 sono soprattutto gli allievi di Dewey che
formalizzano questi modelli (primo tra tutti Killpatrick, allievo diretto di Dewey con il
metodo per progetti, oppure Parkhurst con la scuola dei laboratori che avevano i loro
antecedenti in un autore attivista). Bisogna distinguere tra metodologie didattiche che
possiamo approfittare di sistemi di openclassroom (classi aperte) e unità amministrative che
servono al sistema scolastico perché c’è una classe che viene assegnata alle cure di un
insegnante, questo non significa che non si possa rivoluzionare tuttavia non bisognerebbe
dare per perso un obiettivo di natura diversa come apertura delle classi anche qualora non ci
sia un’immediata rivoluzione del sistema scolastico anche da un punto di vista delle unità
amministrative. Poi si introduce nella scuola primaria la valutazione, cosa che nella scuola
dell’infanzia non c’è in nessun modo anche se ormai un po' di attività di osservazione in
funzione della riprogettazione dell’attività educativa viene fatto. Poi un ruolo strutturale della
famiglia che c’è anche nella scuola dell’infanzia ma gli organi collegiali sono previsti dalla
scuola primaria in poi. Gli organi collegiali è un qualcosa che andrebbe riformato perché la
nuova istituzione risale al 1974 però si sono modificati un pochino con la 59 del 97 con la
legge dell’autonomia (lì ci sarebbe margine per un diverso ruolo anche delle famiglie). Oggi
le famiglie a scuola, con il fatto che tutti siamo disponibili a riconoscere un ruolo alle
famiglie ma come si fa sempre nel nostro paese si finisce per riconoscergli talmente un ruolo
che non c’è più il ruolo dell’insegnante, cioè qualunque genitore può dire all’insegnante
qualunque cosa indipendentemente dal fatto che il professionista dell’istruzione dovrebbe
essere l’insegnante e non il familiare. Quindi tante volte ci sono insegnanti assediati dalle
famiglie, sotto assedio rispetto a genitori ai cui figli non si può dire nulla (ormai non si può
neanche dare insufficienze ai figli), delle cose raccapriccianti che avvengono: qua bisogna
tener duro, bisogna essere forti della propria professionalità, guadagnarla sul campo,
continuare a studiare e porre buoni argomenti a scelte individuali, gli insegnanti non sono a
difendere la propria supremazia rispetto al genitore però dovremmo essere più capaci del
genitore ad argomentare le nostre scelte, dal momento in cui abbiamo argomentato di fronte
ai colleghi, al dirigente, al collegio e ai genitori le nostre scelte didattiche se noi siamo in
grado di trovare ragioni per le nostre scelte allora poi quelle scelte sono insindacabili (il
problema è essere non attrezzati sul piano culturale e quindi essere esposti all’opinione, se la
mia opinione vale poco è chiaro che vale quanto l’opinione di un genitore magari attento,
colto). La rappresentatività del mondo delle famiglie nella scuola è un principio che nessuno
oggi si sentirebbe di negare ma la mancata possibilità dell’insegnante di esercitare la propria
professionalità, il proprio ruolo di essere riconosciuto come professionisti dell’educazione,
questo dipende molto da come facciamo le cose (e quindi ben vengano gli educatori che sono
laureati, ben venga i laureati per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria, però bisogna
anche fare le spalle forti per poter difendere le scelte non sulla base delle opinioni personali
ma per fondare le nostre scelte).

La scuola secondaria di primo grado si marca ancora di più in riferimento alle discipline.
Inizia la costruzione di un progetto esistenziale, perché qua si insiste molto sull’orientamento
anche dalla scuola secondaria di primo grado poi con la scuola secondaria di secondo grado,
perché l’orientamento gioca un ruolo eccessivamente predittivo: l’orientamento è
discriminatorio e non è possibile che sia discriminatorio ai 13 anni, cioè a chi destinare il
sistema di formazione professionale o il sistema dei licei nel nostro paese avviene
precocemente e si rischia un effetto predittivo (cioè un effetto di condizionare il destino
individuale delle persone perché non è che si basa su chissà quale diagnosi onnicomprensiva
quindi bisogna andarci un po' cauti). Quindi costruzione di un proprio progetto esistenziale,
perché dalla scuola secondaria di primo grado inizio a capire chi sono (periodo
dell’adolescenza) quali cose mi piacciono fare e quali cose vorrei fare fino alla scelta molto
precoce della scuola secondaria di secondo grado che rischia di essere una cosa
eccessivamente predittiva. La valutazione qui diventa anche sommativa perché qua si
introduce il sistema di certificazione formale delle competenze è chiaro che la valutazione
sommativa se la si intende di fine quadrimestre o di fine anno c’è anche prima ma il sistema
di certificazione formale delle competenze rispetto a standard nazionali attesi quello no, per
altro è un sistema che nel nostro paese è ancora da mettere a punto perché i standard non ce li
abbiamo e non si capisce bene (è un sistema un po' disallineato, invece un sistema di
certificazione delle competenze dovrebbe essere allineato), non posso certificare delle
competenze in prima media poi dopo il primo biennio e poi con l’esame di maturità che in
realtà non va a certificare le competenze bensì va a conferire un titolo di studio, nel nostro
paese c’è quindi un disallineamento sul quale bisognerebbe intervenire. Per quanto riguarda il
ruolo della famiglia e gli organi collegiali vale lo stesso discorso visto prima.

Nella scuola secondaria di secondo grado si consuma un po' i percorsi individuali (essere
orientati al liceo, o agli istituti tecnici o agli istituti professionali). Gli istituti professionali
sono la feccia del sistema d’istruzione, normalmente sono il raccapezzo della marginalità,
cioè spesso si dice è adatto per le scuole professionali, oggi le scuole professionali rischiano
di essere la sede in cui viene collocata una marginalità che magari è una marginalità
transitoria, quindi qui bisogna avere una grande responsabilità sul piano educativo perché
orientare ad un istituto professionale significa segnare un po' in maniera predittiva anzitempo
il destino individuale. Gli istituti tecnici invece oggi sono in grande discussione, in grande
auge tanto è vero che ci sono dei sistemi di riforma anche per le lauree professionalizzanti,
questi sono gli istituti tecnici - scientifici (ITS) che dovrebbero essere gli istituti che meglio
di altri recepiscono quella istanza di competenza tecnica e tecnologica di cui ha bisogno il
tessuto produttivo. Il rischio è proprio questo: che siano scuole tutte funzionali alla
produzione, cioè che sia il sistema produttivo (e attualmente sta succedendo questo) a dire la
scuola cosa dovrebbe fare e questa è una cosa che sulla scuola è abbastanza inquietante, è un
po' un modo tipico di pensare del pensiero liberale, se parliamo con Confindustria o
sentiamo al telegiornale qualche intervento di qualcuno di Confindustria che parla di scuola
sicuramente Confindustria dirà “la scuola deve affidarsi ai bisogni che sono nel territorio
perché se c’è bisogno di una certa figura la scuola deve formare quelli”. Ma noi abbiamo la
scuola come istituzione formale che garantisce un principio costituzionale, è vero che bisogna
anche andare incontro alle esigenze del mercato ma non potrà essere il sistema produttivo a
dire alla scuola cosa insegnare, quando e come, bisogna mettersi d’accordo. Questi istituti
tecnici - scientifici sono interessanti però bisogna stare attenti che non siano serviti al sistema
produttivo perché allora per esempio una parte del nostro paese che non ha uno sviluppo
produttivo dello stesso segno allora avrà gli istituti tecnici – scientifici di basso livello, questo
è inaccettabile. La diversificazione se comprende la logica e tuttavia bisogna salvaguardare
alcune finalità che riguardano la scuola tutta (istituti professionali, istituti tecnici, licei)
perché lo scopo della scuola secondaria di secondo grado è quello di dare a tutti gli strumenti
per realizzare sé stessi dopo di che bisogna anche che la società in termini di capabilities
metta a disposizione la possibilità di scegliere per tutti. Le discipline si formalizzano, gli
ambiti disciplinari che troviamo già dal primo grado sono specialistici nella scuola secondaria
di secondo grado. Inizia qui il collegamento con l’università, l’alta formazione e il mondo del
lavoro, anche se questo collegamento con l’università non va precocizzato, anzi oggi dai
gruppi ministeriali emerge l’idea di riformulare in maniera molto più generalista e ampia le
lauree triennali, c’è stata una stagione (10 anni fa) nel momento in cui si è passati dal sistema
quadriennale al 3 più 2 in cui era presente l’idea che già la triennale fosse orientata ad una
professione, ad un ambito professionale specifico tanto che sono nate lauree che oggi sono
anche morte (lauree della scienza di qualunque cosa, come il corso di laurea specializzato
scienze della coltivazione delle mele del trentino). Ora l’orientamento è quello di immaginare
(c’era già un decreto che il Ministro Manfredi aveva depositato prima di sapere di andarsene)
che allarga la possibilità nelle lauree triennali di allargare moltissimo l’offerta formativa,
anche qui è un problema di misura, è un problema di progettazione curricolare (non è mai
mettete dentro quello che vi pare o solo delle cose specialisitiche, come al solito questa
polarizzazione va messa in dialettica). Però certamente l’idea di un ampliamento di non
specializzare troppo precocemente sembra che stia passando.

Qua si apre un capitoletto che riguarda il concetto di competenza, (nel nostro testo in realtà
non è un focus assai sviluppato), questo concetto lo trattiamo perché la scuola si esprime nei
termini di competenza: espressi in termini di competenza sono i traguardi del curricolo,
espressi in termini di competenza sono i progetti , espressi in termini di competenza sono i
progetti in continuità, in termini di competenza sono espressi i piani per l’orientamento e il
tirocinio. Quindi si fa fatica a non saper maneggiare questo costrutto della competenza da un
punto di vista didattico. Abbiamo cominciato a lavorare sull’idea di competenza alla fine
degli anni 90 in ragione di una sollecitazione che proveniva dall’Europa perché l’Europa si
esprimeva in termini di skills noi avevamo posto mano alla riforma allora dei cicli (primo
secondo ciclo e istruzione terziaria) e quindi abbiamo assecondato questo indirizzo. Il
costrutto di competenza ha avuto il pregio di affrancare il modo di pensare l’apprendimento a
un modo di pensare che lo schiacciava troppo tra sapere e non sapere tra un livello di
padronanza che oggi definiamo padronanza delle conoscenze, concetti, nozioni e i saper fare:
questa dicotomizzazione tra sapere e saper fare, tra conoscenza e abilità in realtà trova nel
costrutto di competenza un’ulteriore specificazione di secondo livello. Incontreremo l’idea di
competenza come apprendimento di secondo livello nel corso di pedagogia generale (nel
manuale trattato di pedagogia generale in chiave pedagogica con riferimento a Dewey e si
ritorna a parlare del curricolo). Questo costrutto aiuta a non polarizzare il problema
dell’apprendimento tra sapere e saper fare, tra conoscenza e abilità immaginando che il
risultato a cui bisogna tendere è il seguente: bisogna far guadagnare livelli progressivi, più
elevati di competenza, ma la competenza che cosa è? È la capacità di mobilitare conoscenze,
abilità insieme a disposizioni interne (disposizioni interne si intendono disposizioni che sono
motivazionali cioè l’interesse ad apprendere e affettive cioè il guadagnare un buon rapporto
con la conoscenza) in funzione di una situazione (o più situazioni) che sono sfidanti
(potremmo dire al posto di sfidanti inedite). Questo significa che in questa capacità di
mobilitare c’è un apprendimento, cioè non è scontato che se ho conoscenze e ho abilità allora
poi le so utilizzare rispetto a situazioni inedite. Saperle utilizzare rispetto a situazioni inedite
è un apprendimento esso stesso e va sviluppato. Esempio: se io imparo a giocare a calcio e
imparo quali sono le regole del gioco (conoscenza) imparo a correre veloce e imparo a tirare
da fermo in porta io ho appreso delle conoscenze e delle abilità, ma se poi vado a giocare una
partita probabilmente sono il peggiore dei giocatori in campo perché devo apprendere a
sfruttare questa conoscenza (del gioco del calcio) e queste abilità all’interno di una partita
dove nel frattempo imparo anche altre cose (a coordinare la mia velocità in rapporto a quella
dell’avversario, a tirare in porta e a dribblare rispetto al difensore). Cioè tra giocare una
partita di calcio e saper essere abile nelle diverse abilità che pur sono convocate quando gioco
a calcio c’è differenza e imparare a giocare una partita di calcio non equivale a saper correre
veloce a saper tirare in porta o a saper fare un passaggio. Quindi la competenza è un
apprendimento di ordine superiore, esattamente come quando insegniamo a scrivere i temi:
se io imparo a scrivere, se studio letteratura, se conosce bene la grammatica, se guadagno una
padronanza linguistica perché leggo, ma non significa che so fare un tema di per sé. Fare un
bel tema significa saper coordinare la capacità di scrivere ortograficamente in maniera
corretta, la capacità di rintracciare dei contenuti, quella di organizzarli in maniera
argomentativa o narrativa (secondo lo schema che ho), mettere tutto questo insieme e
produrre un buon testo. Ma questo è un apprendimento di ordine superiore, infatti la prassi
che si studia letteratura e poi si va a fare il tema con la valutazione è un’aberrazione didattica
da questo punto di vista, io devo insegnare come si fa il tema, del resto in retorica si è sempre
fatto questo, cioè le 3 regole della retorica classica erano queste (andare a cercare gli
argomenti, di organizzarli in rapporto al testo detta la dispositio il modo in cui organizzo gli
argomenti tra loro, e trovare una forma per scriverli che era chiamata locutio cioè il modo in
cui li esprimo). Quindi la competenza è la capacità di mobilitare le conoscenze (quello che
so), abilità (quello che so fare) e disposizioni interne (l’essere motivato a farlo, l’essere
interessato a farlo, il resistere nonostante le difficoltà) in funzione di una situazione sfidante.
La competenza non è sempre qualcosa che mi richiede uno sforzo ogni volta ponderato, se io
dico devo insegnare a risolvere problemi ai bambini allora si configura sempre così (ogni
volta un problema che è dato come situazione sfidante sviluppa questo tipo di apprendimento,
cioè sviluppa la capacità dell’allievo di mobilitare quello che so, quello che so fare in
rapporto alla risoluzione di quel problema che io uguale non l’ho mai fatto prima perché non
è un esercizio codificato, non mi permette un apprendimento riproduttivo, devo inventarmi
qualcosa). Invece ci sono altri tipi di comportamenti competenti che invece si stabilizzano,
diventano quasi automatici, pensando ad un bambino della scuola dell’infanzia che impara a
contare, quella sua abilità di conteggio si configura come un’idea di competenza perché in
realtà se io scompongo questa abilità di conteggio trovo molte cose: trovo un principio di
cardinalità, trovo un principio di corrispondenza dell’ordine cioè il bambino sa che quella
raccolta di oggetti che deve contare è numerosa tanto quanto l’ultimo numero pronunciato (se
è una raccolta di 3 oggetti, 3 è la cardinalità di quell’insieme, ad un certo punto capisco che
l’ultimo numero pronunciato 3 corrisponde alla numerosità della raccolta), deve imparare un
principio di corrispondenza biunivoca (cioè che tutti gli oggetti sono contati una e una sola
volta), un principio di invarianza dell’ordine (se conto una raccolta di oggetti che sono in fila
da inizio a fine, dal centro a destra, da sinistra a destra il numero non cambia). In questo
esempio questi sono formalizzati li abbiamo detti come li controlliamo da un punto di vista
didattico, però di fatto sono tutte conoscenze e abilità che gradualmente il bambino attraverso
l’esperienza impara. Poi c’è un’altra abilità ancora, quella linguistica, un bambino che di
fronte ad una raccolta di 4 oggetti dice 1,2,3,6 è un bambino che sa abbastanza contare perché
ha pronunciato 4 parole di numero per 4 oggetti, ha associato una parola numero per uno e un
solo oggetto, ha contato tutti i numeri una e una sola volta, ciò che manca è la sequenza
linguistica dei nomi numero cioè l’aspetto nominale del numero: io li nomino secondo una
sequenza codificata che dice a tutti univocamente qual è il nome del numero in base alla
posizione occupata. Per altro oggi sappiamo che il meccanismo linguistico da un punto di
vista neurocognitivo è totalmente separato dai meccanismi legati alla quantificazione, quindi
in realtà con un bambino in questa situazione io devo cantare le filastrocche che gli fanno
memorizzare le parole numero, mentre di fronte ad un bambino che non sa fare una
corrispondenza biunivoca devo fare ulteriori esperienze con gli oggetti in maniera che ogni
numero sia contato una e una sola volta. Per il bambino piccolo che entra alla scuola
dell’infanzia il conteggio è una competenza, già in seconda classe primaria ma anche in
prima classe primaria (nei limiti di conteggio fino a 10 o fino a 20) quella è un’abilità riflessa,
cioè tutti questi principi che sono cognitivamente corrispondenti a delle conoscenze e abilità
seppur in maniera non formale ma intuitiva di saper fare sono già fissi, corrispondono già a
degli schemi di azione. Per le cose mentali anche per la grammatica e per la scrittura funziona
così: imparare a leggere è una competenza per un bambino piccolo, per noi no perché per noi
è un automatismo, è un’abilità riflessa in quanto noi non passiamo più dalla decodifica e
senza bisogno di passarlo dal linguaggio interiore essendo talmente automatico quel
meccanismo che ci basta buttare l’occhio ed è un meccanismo istantaneo, riflesso. Oppure
quando abbiamo dovuto imparare a guidare l’auto abbiamo dovuto imparare a fare molte cose
e all’inizio quelle cose sono conoscenze e abilità che non sono stabilizzate (tanto è che il
primo semaforo in salita rosso poi per ripartire ci vuole un po' per imparare a coordinarsi).
Quello schema d’ azione che il nostro corpo ad un certo punto fa automaticamente e poi si
può guidare mentre si parla con un’altra persona, mentre guardiamo fuori perché è riflesso,
perché noi non abbiamo più necessità di mettere il nostro stato cosciente dentro a quelle
abilità che sono diventate abilità riflesse, quindi guidare un auto è un’abilità che ad un certo
punto si stabilizza almeno guidando la nostra auto poi alzando il livello di competenza (ad
esempio se ci mettono in un circuito di formula 1) ritorniamo ad essere incerti. Questa idea
che la competenza è su un apprendimento di livello superiore che si serve in quanto li
mobilita degli apprendimenti di livello inferiore (quello che so e quello che so fare) è un
nucleo importante.
5/05 Didattica Generale

LA DIDATTICA DELLE DISCIPLINE

Le didattiche
A sx abbiamo la pedagogia generale che si collega ad altre scienze umane, (la biologia
come scienze della vita, ad esempio gli approcci biopsicologici). Le scienze
dell’educazione in particolare la pedagogia generale sono connesse alla didattica
generale, addirittura deriva dalla didattica generale, come specializzazione di studi
dagli anni 50 in poi. La didattica generale è connessa da una parte alla pedagogia
generale ma dall’altro lato è connessa alle diverse didattiche disciplinari (che
riguardano l’insegnamento di una specifica disciplina). La didattica generale si trova a
fare un lavoro di confine con la didattica dei saperi disciplinari. Ad esempio nell’ambito
della ricerca della matematica c’è un settore che si occupa solo di didattica della
matematica, lo stesso per fisica e lingua inglese, mentre per le altre discipline non
esistono settori specifici, anche se le didattiche corrispondenti si sono comunque
create, ad esempio gli studi sulla lettura e la scrittura. Ma i ricercatori non possono
esibire quei prodotti come scientifici, quindi è molto più faticoso. Ad esempio la
didattica della storia non esiste, ma esiste il ricercatore in storia, per cui il sistema è
un po’ zoppo perché non tutte hanno lo stesso sviluppo o livello di evoluzione. Tra le
più evolute c’è sicuramente la didattica della matematica nel nostro paese, è evoluta
perché eredita dai paesi di lingua francese un repertorio di studi molto specializzate.
è utile fare un riferimento temporale:

Sopratutto negli ordini di insegnamento superiore, l’insegnante deve conoscere la


didattica specifica del suo insegnamento. Le didattiche disciplinari è un problema a ci
offre delle risposte e tra gli anni ’70 ’80, alcuni studi francesi hanno fatto da
paradigma per questo. In Francia perchè
esiste la pedagogia e poi le didattiche disciplinari (non esiste la didattica generale)che
derivano da Piaget, si sono sviluppate le psicopedagogie delle varie materie, che hanno
dato origine poi alle didattiche disciplinari vere e proprie.

Le didattiche disciplinari sono collegate alla didattica generale ma sono collegate


alla discipline accademiche. La didattica non può prescindere dalla natura del sapere
insegnato.
L’assetto che possiamo avere oggi è quello rappresentato sotto:
Gli insegnanti devono affrontare anche le tematiche delle didattiche più specifiche.

Attenzione però il punto di vista che assume la didattica generale è diverso da


quello delle didattiche disciplinari.

Le didattiche disciplinari fanno intervenire in maniere esplicita il sapere di riferimento


che deve diventare prima un sapere esperto, poi un sapere da insegnare e poi un saper
insegnare. Tutte le didattiche disciplinari sopratutto quelle di tradizione francofona,
assumono questo come unico schema. La didattica generale invece assume uno schema
che deriva anche dalla tradizione pedagogica quindi uno schema con il quale
rappresenta quello che avviene a scuola e in classe e prende due diverse antinomie: il
soggetto e l’oggetto, il prodotto e il processo. Nella nostra scuola si distingue tra
questioni del prodotto di apprendimento o l’insieme dei processi. L’educazione e
l’insegnamento cerca di mettere in relazione il soggetto dell’apprendimento con
l’oggetto che è il contenuto dell’insegnamento. La didattica generale ormai utilizza
entrambi gli schemi sopra, mentre la didattica disciplinare solo quello specifico. Il primo
è uno schema concettuale per pensare la scuola, mentre lo schema di destra è lo
schema rappresentativo le relazioni che intervengono nella situazione didattica.
Dovendo differenziare, la didattica generale è la scienza dell’insegnamento e studia
l’azione dell’insegnare, e si occupa delle condizioni generali di apprendimento, a quali
condizioni l’apprendimento è possibile e favorito? ad esempio tenere conto delle
caratteristiche degli allievi o la sua motivazione. Condizioni indipendenti dalla materia,
ma valgono per tutti i saperi. Le didattiche generale invece si occupano
dell’apprendimento di uno specifico sapere. La didattica lavora sempre a cercare di
rendere razionale l’azione dell’insegnante, cioè intenzionale e giustificata. si occupa di
ragioni, principi e metodi che valgono per più discipline. Le teorie del curriculo e le
tassonomie sono oggetto di studio della didattica generale. La didattica generale studia
l’azione di insegnamento negli aspetti che sono indipendenti dallo specifico sapere
insegnato. Mentre le didattiche disciplinari si occupano degli aspetti che dipendono
dallo specifico sapere insegnato.

DIDATTICA TECNOLOGICA
Educational Technology e Media Education sono ambiti di studio abbastanza differenti.
La prima sono quelle che in italiano chiamiamo le tecnologie didattiche ma includono
sia le tecnologie dell’istruzione sia le tecnologie per apprendere (ci si riferisce ai
dispositivi fisici o digitali es. compasso oltreché quelle digitali) che servono ad
insegnare. che sono il mezzo dell’insegnamento. ad es. comunicazione faccia a faccia
ma anche comunicazione mediata da pc. Focus sulle tecnologie di vario tipo che
servono come mezzo per insegnare: lib abaco compasso penna ecc.
Ma posso considerare anche le tecnologie come oggetto per l’apprendimento, ad
esempio se voglio consolidare la padronanza della lettura posso anche avvalermi di
piattaforme o software che crea per ogni bambino testi specifici per la padronanza di
lettura del bambino. ci rientrano anche le risorse delle piattaforme usate a scuola,
tutto ciò è la media education. Già ai tempi dell’introduzione di tecnologie come
cinema telefono o televisione (mezzi di comunicazione di massa), ci sono stati i
problemi come il rischio delle disabilitazioni. (problemi affrontati anche quando c’è
stato l’avvento della scrittura o l’avvento della stampa). Ogni tecnologia porta con se
rischi e resistenze è quindi necessario analizzarle e studiarle (attraverso la media
education).
Attualmente l’educational technology si attesta di studiare le tecnologie per
l’istruzione, cioè quelle che servono per insegnare e per apprendere. Attualmente la
media education si occupa di studiare le competenze digitali, e quali sono gli standard
che ognuno deve raggiungere. La media education si occupa anche di tutti i problemi
legati ai rischi come il cyber bullismo o l’isolamento.
L’istruzione programmata risale a Skinner e si basa sulla teoria
dell’apprendimento: l’associazionismo. La tecnologia mi permette di
programmare la sequenza dei segmenti dell’istruzione. C’è un interazione con
una macchina che presenta e verifica, in processi sequenziali.
Successivamente interviene il cognitivismo e il costruzionismo di Semyur Papert, anni ‘70
che introduce informazioni di informatica e coding, cioè l’idea di linguaggio artificiale e
di codifica del linguaggio. Introduce il linguaggio LOGO, linguaggio artificiale che
attraverso un dispositivo elettronico permette di far eseguire ad una tartaruga
elettronica delle azioni. Uso dei linguaggi simbolici è tipico della programmazione. Oggi
esistono i mattoncini LEGO programmabili e si possono costruire oggetti che fanno le cose
che richiediamo attraverso la programmazione.

L’introduzione delle diverse tecnologie trasforma spazi, tempi e modi della didattica.
L’esempio tipico è la didattica a distanza.
Se io interagisco con alcune tecnologie digitali annullo i divari di spazio e tempo, idem
se porto software in classe che cambiano spazi tempie modi della mia lezione. C’è una
introduzione degli strumenti tecnologici che variano il sistema didattico che non è più
l’insieme di relazioni tra allievo-insegnante-sapere, ma entra in relazione con gli
strumenti tecnologici, li introduce affinché entrino in relazione direttamente con
l’allievo.
Esempi di didattica tecnologica: una modalità è il sistema in cui ognuno porta il suo device,
didattica pensata per le aule 3.0. dove ci sono tablet per ogni allievo e l’insegnante ha il tablet di
regia. Un’altro dispositivo è la flipper classroom, l’insegnante produce brevi video che
sostituiscono il momento della presentazione di un argomento. Gli allievi possono guardare
l’introduzione a casa. In classe poi i bambini hanno già visuato anche più volte la spiegazione,
l’insegnante a quel punto lavora sul contenuto più profondamente. Sopratutto nelle classi 3,4,5
standardizziamo le informazioni da insegnare. Programma che si chiama deboot permette di
registrare contemporaneamente sia la voce che slide. EAS
Si va a enucleare le azioni di insegnante e studente e la logica didattica sottostante.
Internet: la didattica diventa tecnologica perché la conoscenza che trovo in internet cambia il
sistema didattico.
Modalità erogativa ha il grado di interazione più basso, l’insegnante fornisce materiali didattici.
Modalità interattiva individuale: più elevato. ad esempio tutti i programmi tutorial (modeling)
Modalità interattiva collaborativa: grado più alto, si collabora insieme attraverso le tecnologie,
es. un documento condiviso.
Già dagli anni ’30 ci si occupa dei nuovi media in modo preoccupato, poi diventano popolari e
infine dagli anni ’70 ad oggi abbiamo un atteggiamento più critico.

Distinguere tra MEDIA EDUCATION (problemi di rappresentazione della realtà) E LE TECNOLOGIE


EDUCATIVE (strumenti).
Lezione 18
11/05/2021
Ripasso del programma
2 risposte aperte a domande a stimolo aperto – compito di elaborazione di una
problema/situazione didattica. Sono oggetto di questa prova tutte le cose che abbiamo
trattato.
PBL metodologia di lavoro per problemi.
Ogni domanda è valutata in trentesimi e poi farà la media tra le due.
Criteri: pertinenza (siate incisivi non prendetela troppo da lontano ma andate a selezionare
quegli elementi che sono per una buona argomentazione) – ampiezza e completezza dei
contenuti (non portare le opinioni personali ma i contenuti del programma) – linguistico,
linguaggio pertinente (la padronanza linguistica, la possibilità di esprimere quello che
scriviamo come se fossimo specialisti della disciplina, padronanza della disciplina).
Operazionalizzazione degli obiettivi
Il problema della definizione degli obiettivi a seguito dell’esigenza di razionalizzazione del
lavoro didattico che chiedeva la società. Da un punto di vista operativo la questione degli
obiettivi può essere tradotta attraverso le tassonomie. Ulteriore questione: l’individuazione
degli obiettivi richiede una formulazione di tipo operazionalizzato, significa intervenire sulla
loro formulazione linguistica. Gli obiettivi devono trovare un modello linguistico esplicito di
tipo operazionalizzato, significa formulare gli obiettivi in termini delle operazioni che gli
allievi compiono all’interno delle diverse situazioni didattiche che allestisco per raggiungere
quegli obiettivi. Per mantenere stretto il legame tra la situazione didattica (le attività) e gli
obiettivi che devo raggiungere attraverso le attività, esprimo gli obiettivi nei termini delle
azioni che gli allievi compiono in quelle attività.
es. addizione di numeri a più cifre tramite un algoritmo che richiede di incolonnare
sa eseguire correttamente l’algoritmo dell’addizione con due numeri a tre cifre – individua
l’operazione attesa dall’insegnante e svolta dall’allievo. Quando vedo questo comportamento
e lo riesco ad osservare lo assumo a inizio del fatto che quell’obiettivo è raggiunto.
es. saper produrre un testo in cui racconta un’esperienza personale – formulazione già un po’
operazionalizzata perché individuo una prestazione ma potrei identificare quello che l’allievo
fa ancora più nel dettaglio – l’allievo sa produrre un testo corretto da un punto di vista
grammaticale e ortografico e che è originale.
es. l’allievo dimostra consapevolezza nel rispettare gli altri  buon obiettivo ma non è un
obiettivo operazionalizzato, non indica nessuna operazione che può essere indiziaria nel saper
stare insieme con gli altri. Quando è coinvolto in lavoro di gruppo partecipa attivamente e
porta il proprio contributo nella realizzazione del compito/rispetta il turno di parola/sa
ascoltare gli altri quando gli altri intervengono all’interno del gruppo  sono interventi che
mi indicano la relazione con gli altri, sono comportamenti indiziari. Comportamento atteso
dall’insegnante da parte dell’allievo e la situazione didattica deve far agire il comportamento.
L’operazionalizzazione serve per rendere osservabili i comportamenti degli allievi e
assumerli come indiziari/indizi/indicatori/segnali dell’acquisizione del raggiungimento
dell’obiettivo corrispondente. Per questa ragione normalmente si tende a definire obiettivi di
due livelli di generalità:
- obiettivi di lungo periodo, meno operazionalizzati, più generali
- obiettivi più operazionalizzati, più specifici nelle attività didattiche
Normalmente un curricolo è fatto da obiettivi generali di lungo periodo che vengono
raggiunti attraverso obiettivi più operazionalizzati, attività per attività. Attività che
concorrono al raggiungimento di un obiettivo generale. Sono correlati alla pianificazione e
alla valutazione dell’attività didattica.
Un altro elemento che abbiamo riferito agli obiettivi è che possono essere predefiniti o
possono essere definiti in corso d’opera, per obiettivi aperti. Quella per obiettivi predefiniti
individua in anticipo lo spettro degli obiettivi in una formulazione in parte generale e riferita
alle tassonomie in cui si vanno a ricercare le attività, invece possono avere uno spettro di
attività che posso ritenere valide e ampie che fanno intervenire diversi tipi di abilità e queste
stesse attività vengono successivamente analizzate come attività che mi dimostrano il
raggiungimento di certe padronanze. Allestisco delle situazioni problematiche abbastanza
aperte (modello PBL in 5 salti) alla fine di questa attività che comprende all’interno più
attività, posso rilevare più informazioni di valutazione di acquisizione di competenze. Deve
avere padronanze a cui ancorare, non posso fare attività aperte senza apprendimenti di base a
cui ancorarsi che siano consolidati. Bisogna sempre distinguere su tipi di apprendimento, le
tassonomie classificano i tipi di apprendimento, ci sono pratiche diatetiche adatte per
ciascuna tipologia di apprendimento.
Il curricolo è quasi un dispositivo chiave del fare scuola, un po’ come aveva suggerito Tyler
1959 (inizio della progettazione didattica??) aveva posto delle domande cruciali per la
didattica: i contenuti dell’insegnamento, i metodi e i mezzi dell’insegnamento, il perché, le
finalità la verifica e le valutazioni degli apprendimenti, il quando la progressione. Il curricolo
mi consente di governare queste scelte.
Ambienti di apprendimento di concezione costruttivista progettazione per obiettivi aperti/
situazione aperta, ambienti ad elevato grado problemico, nei quali si pone un problema che si
può affrontare in diversi modi, non sono esercizi riproduttivi secondo una procedura definita.
Consente una libertà di azione all’allievo che agisce in prima persona, è normalmente
disseminato di materiali dei quali possiamo definire alcune regole generali.
Competenza: capacità di mobilitare le conoscenze e le abilità
Tassonomie: nascono come classificazione degli apprendimenti (tipologie di apprendimenti o
apprendimenti di conoscenze di tipo diverso) ma è significativo che vengano assunte a scopo
didattico/utilizzate per individuare gli obiettivi di apprendimento. A un certo punto il
curricolo è stato messo un po’ in disparte come concetto, dagli anni ’80 a ora sono pochi gli
studi sul curricolo poiché questo legame che cerca degli obiettivi con le tassonomie è stato un
po’ osteggiato e criticato poiché se inizialmente era servito per conferire razionalità al lavoro
scolastico, dopo un po’ di tempo ne sono stati denunciati i limiti e la rigidità. L’idea di
tassonomia ha reso marginale l’idea di curricolo. Oggi l’idea di curricolo è aggiornata. L’idea
delle tassonomie è stata un’idea molto forte però dopo è parsa come un irrigidimento. Non
smetteremo mai di parlare di curricolo mentre oggi si parla meno di tassonomie.
Ci sono diversi modelli di PBL. Bisogna distinguere tra il modello di Barrows che è quello
originale e nasce per l’università in particolare per gli studi di medicina. Questo modello ha
delle analogie con il metodo dei problemi di Dewy “Come pensiamo” opera in cui formalizza
gli step del pensiero riflessivo, capace di risolvere problemi. Il primo modello è quello di
Barrow. Via via si sviluppano altri modelli, gradualmente, altri dei modelli che sono
interessanti per noi perché riguardano le scuole secondarie e primarie sono il modello di
Desilisle e di Lambros quello su cui noi possiamo ricavare gli elementi più utili. Il modello di
Barrows è anche detto PBL autentico, ha 11 fasi abbastanza complesse. Un altro modello
interessante è quello olandese dell’università di Maastricht in 7 salti elaborato a partire da
quello di Barrows. Quello di Lambros ci interessa perché è stato modulato per poterlo
applicare in ambito scolastico e perché si adatta a un lavoro di classi he sono numericamente
simili alle nostre. Rispetto al problema che si va di volta in volta a scendere si tiene conto
delle indicazioni nazionali per il curricolo e le esigenze dei bambini in termini di
apprendimento e dei loro interessi. Ha degli elementi che collimano con degli elementi che
scegliamo per? Prevede il lavoro in piccoli gruppi e l’autrice è abbastanza operativa e segnala
il modo con cui si va a costruire il problema oggetto di attività dei bambini. Coerenza tra
obiettivi e attività, questo è il nesso cruciale.
La situazione problematica che allestisco dovrebbe essere realmente una situazione
problematica e organizzo dei protocolli di lavoro/lavagne (es. organizzazione di una gita o il
merlo dall’ala rotta)
Dispositivi di valutazione – coerenza tra tipi di prova e tipo di apprendimento, così come le
attività non sono neutre rispetto al tipo di apprendimento così anche le tipologie non sono
neutre sempre rispetto ad essi. Es. il quesito aperto per stabilire che relazione c’è tra due
concetti è più indicato rispetto al v/f.
La scheda di Clark e Merril: l’idea che esistono dei formati dell’istruzione o pratiche
didattiche che corrispondono a delle architetture didattiche, cioè si definiscono delle
architetture che hanno alcune caratteristiche e all’interno delle quali sono chiamate in causa
delle attività didattiche, delle pratiche codificate. A volte più strettamente a volte meno.
La dimensione attuativa e negoziale: capitolo che distingue tra gli ambiti che
definiscono/regolano la interazione tra docenti e allievi in classe, questi ambiti sono quello
comunicativo, quello simbolico-cognitivo e quello del management della classe e ciascuno di
questi ambiti presenta degli aspetti che definiscono il tipo di interazione. La didattica si
avvale molto di comunicazione e dei diversi tipi di comunicazione (verbale, non verbale,
mediata da computer).
Il contratto didattico, le attese reciproche
le routine educative, metodiche di interazione di cui l’insegnante si avvale per rappresentare
le conoscenze e i modelli dia apprendimento
la trasposizione didattica costituisce gran parte del lavoro dell’insegnante insieme al curricolo
perché da una nuova forma al sapere rispetto al sapere esperto di cui è depositario, si avvale
del sapere sapiente, dei mediatori di comunicazione e delle pratiche sociali e di
apprendimento. Il sapere da insegarne e il sapere effettivamente insegnato
i comportamenti relazionali negativi sono quelli giudicanti, i bambini piccoli non distinguono
il giudizio fatto sulle loro prestazioni e il giudizio fatto su loro stessi, bisogna distinguere le
due cose es. nel compito c’è un errore ma tu sei stato bravo e ti sei impegnato
L’empatia e la gestione dei conflitti
l’insegnante per il bambino piccolo ha un’autorevolezza più frequente mentre negli anni
questo senso di autorevolezza e per alcune tipologie di scuola va guadagnata e nelle classi in
cui ci sono dei ragazzi con mancanze di figure di autorevolezza nel loro contesto di vita è
ancora più difficile. Il bambino ha bisogno di vedere l’adulto come persona di riferimento,
ferma nelle proprie convinzioni ma pacato, fermezza e estrema calma e normalità e legati a
regole che sono esplicite e che siamo sicuri che il bambino abbia compreso, il sistema classe
è gestito da regole semplici e condivise che danno gratificazioni personali nel momento in cui
vengono rispettate ed esplicitate e che quando vengono disattese non bisogna lasciarsi
spaventare ed evitare la lotta aperta, la fermezza non è la sfida, non bisogna dare adito a un
gioco di forza e ci saranno bambini che ci sfideranno, li costruiscono la loro personalità. Il
conflitto si risolve spesso facendoli ragionare su una situazione in cui aveva sbagliato e ne è
uscito.

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