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Con spazi ben definiti in modo che sia una scienza autonoma.
E’ una disciplina di confine, di frontiera,ma se si pensa solo a difendere i propri ‘’territori’’
non c’è scambio o confronto, non c’è possibilità di conflitto cioè di crescita. Dialettica con le
altre scienze. Bisogna saper comunicare, non mettere delle barriere invalicabili, ma ci
possono essere questi confini che non diventano elementi di incomunicabilità ma strutture
che connettono, che creano sinergie, alleanze, momenti di confronto. Non può dialogare
solo con sé stessa. VISIONE COLLEGIALE, una visione d’insieme dove le singole
competenze, i singoli linguaggi disciplinari sono riconosciute e rispettate in quanto tali.
Educatore, insegnante inclusivo ecc. devono essere rispettati e riconosciuti. Duplice natura
di stare in frontiera con spazi e confini ben definiti ma mai impermeabili, dialogare con le
altre discipline.
‘’SCIENZA DELLA COMPLESSITA' E DELLA DIVERSITA' ’’
Perché si occupa delle diversità che abitano il mondo. Ma comprendere ed interrogarci,
interpretare le diversità è una questione COMPLESSA = da complexus = tenere insieme,
intreccio. L’attuale scenario sociale e culturale si presenta complesso (secondo Edgard
Morin, la complessità racchiude in se la categoria della diversità) il paradigma della
complessità ci permette di interpretare la diversità in modo arricchito, cercando di fornirci più
chiavi di lettura, questo perché il paradigma della complessità si contrappone a quella della
linearità. Il pensiero della complessità è un pensiero reticolare, a larghe maglie dove da AB e
poi magari a D INTRECCIO che però segue un principio fondamentale ossia quello delle
Relazioni di significazioni cioè di significato e non di causa/effetto (quello della linearità).
Morin epistemologo della complessità, sistema reticolare e dice che esistono 3 principi:
principio dialogico, ricorsivo e ologrammatico.
Il principio dialogico afferma che due concetti apparentemente distanti tra loro, in conflitto,
(es. salute/malattia) in realtà ha bisogno di un dialogo.
Ricorsività: ogni elemento del sistema deve rincorrere l’altro, si riaggancia con l’altro perché
c’è un significato che li mette in collegamento.
Principio ologrammatico: leggere la disabilità, diversità attraverso un ragionamento flessibile,
da più punti di vista, con più chiavi di lettura.
Voglio superare la visione statica della valutazione diagnostica e quindi della
medicalizzazione e vado ad interpretare la diversità con linguaggi e discipline differenti. La
diversità si arricchisce e ne esce valorizzata, perché l’affronto con più chiavi di lettura e
riesco ad avere un reticolo di conoscenze, perché ha avuto la lettura di più scienze e
competenze.
La diversità è una componente intrinseca dell’attuale scenario culturale, sociale.
Es. malattia: rosalia, danno: lesione dell’ottavo nervo cranico, deficit: sordità permanente,
disabilità: lede la competenza linguistico-comunicativa se questo bambino a scuola non
riesce ad esprimersi a comunicare ecc -> handicap e quindi emarginazione, se invece ha
una didattica organizzata con i strumenti di supporto integrazione e piena partecipazione.
LEZIONE 3 14/10/2020
Ad un certo punto oltre a spiegare perchè scienza autonoma, perché ha un suo linguaggio
specifico, un suo oggetto di indagine specifico che non è coincidente con quello della
pedagogia generale. Caratteristiche= scienza che ha una componente teorica forte e una
componente pratica, è una scienza anche empirica e vuole mettersi in gioco e comunque
gettarsi nelle buone pratiche quotidiane, nell’esperienza, ricerca e azione nell’ottica
dell’agire. È una scienza sensibile, criticando che non è una branca della pedagogia
generale; caratteristiche della complessità e della diversità dove Morin spiega i principi
fondativi del pensiero complesso che sono il principio dialogico, il principio ricorsivo e il
principio ologrammatico Principio dialogico= ci consente di mantenere la dualità in seno
all’unità: associa due termini complementari e insieme antagonisti;
principio di organizzazione/ricorsivo= elemento ricorsivo vuol dire io mi ricollego a te, io
richiamo un altro concetto, un altro collegamento. processo in cui i prodotti e gli effetti sono
contemporaneamente cause e produttori di ciò che li produce. L’idea del ricorso è dunque
un’idea di rottura con l’idea lineare di causa/effetto, di prodotto/produttore, di
struttura/sovrastruttura. Relazioni di significazione, l’uno si richiama all’altro perché c’è un
significato che li mette in collegamento, l’uno insieme all’altro.
Il principio ologrammatico= non solo la parte è nel tutto, ma il tutto nella parte. L’insieme
della tematica, dell’evento di cui ci occupiamo, è la visione che vede in maniera olistica,
dinamica, più globale e totale la situazione.
La complessità e la diversità sono caratteristiche della pedagogia speciale.
Il pensiero della complessità è un pensiero che ancor più mette in crisi.
La pedagogia speciale è anche scienza che provoca (provocatoria), perché rompe idee
prefabbricate, stereotipi, pregiudizi e provoca perché ha una funzione più trasgressiva non in
senso negativo, anzi deviare per trovare una strada alternativa, una devianza che diventa
alternativa di vita, che diventa propositiva. Colui che sa divergere è colui che non si omologa
e lo fa in modo propositivo non in modo fine a se stesso, ma per raggiungere idee nuove.
Trasgredire per deviare, riproblematicizzazione= rimette in discussione e trova nuove strade.
Rompere il consueto per trovare l’inconsueto, la novità, un elemento significativo di
cambiamento.
Se la pedagogia generale per tanti anni non si è mai messa in discussione, la pedag
speciale invece si occupa di diversità proprio come categoria fondativa, nel senso che è
inconsueta e crea tra virgolette una dissonanza, un effetto dissonante; ma è un qualcosa di
differente, di diverso che fa interrogare, solleva interrogativi. La diversità è una lente di
ingrandimento, l’alunno con diversità è una lente di ingrandimento perché per interpretare,
capire i problemi dell’alunno con disabilità noi dobbiamo puntare il focus dell’attenzione su di
lui. Lente di ingrandimento perché ci concentriamo sulle esigenze speciali di quel particolare
bambino= nel momento che facciamo questo, migliora la qualità della vita, della didattica,
della partecipazione di tutti gli altri alunni. Se scopro una modalità didattica nuova che fa
bene e soddisfa i bisogni del bambino con disabilità, ne giovano tutti i componenti della
classe.
punto 5 delle definizioni- scienza del riconoscimento e dell’integrazione/inclusione=
l’inclusione è un figlio maturo dell’integrazione, non esiste inclusione senza integrazione;
accontentiamoci di sapere che sono le finalità: la psicologia speciale si prefigge la finalità di
integrare, includere, di far sì che la persona con disabilità possa essere allo stesso modo
integrata nei contesti sociali. Scienza del ri-conoscimento= le persone “diverse” vanno
riconosciute, accolte, comprese. Ri.conoscere= conoscere ex novo, nuovamente, andare
oltre una lettura medicalizzata.
Definizione 6= scienza dell’accettazione del deficit e della riduzione dell’handicap. La parola
deficit non coincide con la parola handicap. Il deficit è un qualcosa che va comunque
accettato, l’handicap è qualcosa che si può ridurre.
Questo è un Modello lineare, parte dalla noxa patogena che è quel quid, quell’elemento che
genera, fa nascere il patos, la patologia. È quel virus, quel batterio che crea dei danni nella
salute della persona. La conseguenza del noxa patogena è la malattia, e questa condizione
di patologia danneggia alcune strutture e funzioni del corpo o della psiche e vediamo che c’è
un danno, il danno è l’elemento che può essere temporaneo oppure permanente. abbiamo
anche danni acquisiti, che durante il corso dell’esistenza abbiamo la sfortuna di poterci
ammalare, o avere un incidente che ci paralizza ad esempio e quindi abbiamo anche danni
che possiamo dire deficit che quanto diventano permanenti diventano dei veri e propri
deficit, la situazione di deficit è rappresentata da uno o più danni di natura acquisita o no,
che sono conseguenza della malattia che abbiamo avuto la sfortuna o di avere dalla nascita
o di incontrare nella nostra vita e il deficit quando è permanente e non temporaneo.se il
danno è permanente, il deficit non può cambiare ed assume una natura irreversibile, perché
purtroppo la lesione che abbiamo riportato o a livello di sistema nervoso o a livello fisico non
può tornare al suo stato normale. Dobbiamo accettarlo. Bisogna imparare ad accettare il
deficit. Deficit= danno di media, grave entità, congenito o acquisito, non temporaneo, ha una
natura irreversibile e quindi va accettato. Dis-abilità= alterazione, cambiamento, difficoltà
nelle abilità della persona. Di camminare, di parlare, sentire, vedere. Cambiamento delle
performance delle abilità che la persona di solito svolge. La disabilità cos’è? È la situazione
conseguente alla presenza di un deficit.
Quando ci troviamo a vivere una condizione di disabilità, per forza è necessariamente
scontato che noi arriviamo ad essere in una situazione di handicap? Possiamo sì
degenerare e trovarci in una situazione peggiore alla disabilità che è la situazione di
handicap. Quando può degenerare in situazione di handicap? Quando i sistemi come
scuola, famiglia con i loro sistemi insegnanti, educatori, genitori, medici, ass sociali… sono
capaci di accogliere e di rispondere in modo funzionale e idoneo e soddisfacente ai bisogni
educativi speciali dell’alunno con disabilità, allora in quel caso la situazione di handicap non
si verifica. Invece nel caso in cui al contrario i contesti (scuola, famiglia ecc) con i loro attori
principali (medici, genitori, terapisti, insegnanti) non sono pronti e non sanno rispondere in
maniera efficace e soddisfacente per una serie di ragioni alle esigenze dell’alunno allora
purtroppo alla situazione di disabilità si aggiunge la situazione di handicap che si traduce in
emarginazione, marginalità, non integrazione, non piena partecipazione. La situazione di
handicap è un costrutto non solo individuale ma antropologico, sociale, è un impatto mal
riuscito con il sociale. La situazione di handicap, a differenza di quella del deficit, è una
situazione reversibile, infatti Canevaro dice (“bisogna accettare il deficit per ridurre
l’handicap”), si può ridurre l’handicap perché la situazione di handicap è una situazione
reversibile, che è la risultante di una relazione dialettica funzionale o disfunzionale con le
risorse contestuali. Grosso concetto del lavoro educativo per ridurre la situazione
dell’handicap, valenza fondamentale del lavoro educativo per abbattere le materie non solo
architettoniche ma soprattutto mentali che impediscono un buon livello di integrazione
sociale e culturale della persona con disabilità.
ci sono più attori, più protagonisti, più persone che partecipano al progetto di integrazione.
LEZIONE 4 15/10/2020
Esercitazione
LEZIONE 5 21/10/2020
Correzione esercitazioni catena eziopatogenica.
MODELLO ICF nuovo modello di classificazione dell’OMS che supera il vecchio modello
ICDH1. Nuova concezione della diversità, delle condizioni di disabilità, nuova idea di saluta
che non è solamente assenza di malattia. Per la prima volta in un modello di classificazione
la condizione did disabilità viene vista come valore, ricchezza, fonte di stimolo e
apprendimento si supera la tradizionale concezione che risentiva fortemente di logiche
mediche; il vecchio modello era un modello logico-biologico, mentre quello nuovo ICF
multifattoriale, poliedrico, nuovo sguardo della disabilità, uno sguardo non solo medico ma
antropologico, sociale, educativo. Si passa da un modello lineare tipico della catena
eziopatogenetica con relazione causa effetto, modello rigido, statico ad una nuova visione
che è reticolare, dinamico, flessibile, reversibile dove i vari elementi non sono legati tra loro
solo da processi causa-effetto ma anche da relazioni di significazione. Le condizioni di
salute che precedentemente erano garantite dall’assenza della malattia vengono interpretate
in un modo nuovo, c’è una circolarità aspetto di maggiore comunicazione. Spariscono alcuni
vocaboli che erano presenti nei vecchi modelli es. scompare la parola disabilità,
menomazione, handicap, malattia i termini che vengono utilizzati in questo nuovo modello
del 1999-2000 sono tutti termini in positivo: invece di parlare di deficit si parla di funzione e
struttura del corpo, invece di disabilità di utilizza la parola attività, invece di parlare di
handicap si pone l’accento sulla finalità della p.s. ossia partecipazione, la prima parte di
questo modello interagisce, dialoga con i fattori contestuali (ambientale e personale).
Feedback frecce di comunicazione che possono essere sia retroattive che.
L’ICF è diventato fondamentale nella costruzione ed elaborazione del PEI (piano educativo
individualizzato) esso serve per venire incontro alle esigenze, bisogni educativi speciali
dell’alunno con disabilità se gli altri alunni seguono la progettazione comune a tutti, l’alunno
con disabilità ha una sorta di suo programma che è adattato sui suoi punti di forza e di
debolezza, differenziato ma mai separato o disgiunto. Questo è il PEI. Dal 2017 viene reso
obbligatorio elaborare il PEI su base ICF, meno medicalizzato e che tiene in considerazione
vari fattori. Se un alunno arriva a fornire un livello di performance che non è idoneo, non è
una performance adeguata si esprime nella problematicità ci si chiede da che cosa può
dipendere? nuovo modo di ragionare rispetto al vecchio modello, finalmente ci si interroga
in modo complesso, non si interroga solamente la persona/alunno ma ci si interroga anche
sul contento ossia sui fattori personali/ambientali che possono incidere fortemente. modo di
ragionare più flessibile. La performance problematica perché si verifica? Questa è la prima
domanda, ha eseguito male il compito perché non ha capacità? Non è adeguato ai suoi
livelli? La seconda, dipende dagli apprendimenti? Sono per lui praticabili? Le conoscenze
che io propongo sono accessibili? Allora devo provare magari semplificando o cambiando
metodo, altra domanda: ci sono menomazioni? Sicuramente la situazione di deficit c’è.
Quindi inutile chiede a un bambino con sindrome di down di seguire una lezione di motoria,
di pretendere che usi un pennello e faccia un disegno grafico che richiede capacità motorie
sbagliamo noi perché non teniamo in considerazione quelle che sono le sue condizioni
funzionali e strutturali.
Allo stesso tempo bisognerà chiedersi: è motivato? La sua emotività è disturbata? Se il PEI
prevede una serie di obiettivi deve essere inserito nella cornice del progetto di vita, tutte le
informazioni che derivano dalle discipline fanno fatica a legarsi al ruolo della vita per cui
concetti astratti matematici e fisici risultano lontane, poco affascinante allora bisognerà
chiedersi, forse per stimolare la motivazione l’interesse per coinvolgere emotivamente devo
partire da quello che l’alunno sa fare, i suoi interessi, in modo che prende fiducia.
Bisognerà anche chiedersi: la classe come si presenta? Sono presenti mediatori facilitatori?
Es. presenza dei laboratori, tecnologia, spazi, superamento della visione della lezione
frontale, nozionistica. Sono presenti degli ostacoli? Noi dobbiamo intervenire per rimediare a
questo problema, riduzione degli ostacoli barriere. I fattori contestuali hanno un posto di
fondamentale rilievo all’interno di questo discorso perché il funzionamento globale
dell’alunno dipende dall’interazione di tutti questi elementi e non solo dalle condizioni
anatomo-funzionali. Condizioni fisiche che possono essere problematiche: es. mancanza di
un arto, lesione corteccia celebrale ecc. ne consegue che dobbiamo valutare quali sono le
attività personali ossia le difficoltà di apprendimento, come comunicare come interagire
osservare e comprendere bene l’alunno con disabilità come si comporta nelle attività
personali, è autonomo? Com’è il suo linguaggio? E quindi andare a sondare se ha raggiunto
o può raggiungere un buon livello di partecipazione sociale cioè avere un ruolo sociale,
essere un soggetto attivo all’interno dei vari luoghi e contesti formativi (scuola famiglia
territorio ecc) o invece quanto i fattori contestuali incidono sul livello di partecipazione
sociale.
Altra definizione di pedagogia speciale: ‘’ scienza del ri-conoscimento e dell’integrazione-
inclusione della diversità’’, perché? Integrazione e inclusione sono la finalità della pedagogia
speciale. Il suo scopo è quello di favorire adeguati livelli di integrazione scolastica sociale di
alunni in situazioni di disabilità. percorso molto lungo prima di arrivare al raggiungimento
dell’integrazione. Prima degli anni 60/70 abbiamo assistito a tutta una fase di
emarginazione/esclusione delle persone con BES dai principali luoghi e contesti formativi.
(Manicomi dove si poteva trovare di tutto, il povero, la donna con problemi ormonali non
curati o persone con traumi e mai aiutati era dell’esclusione, isolato dal contesto sociale
perché creava disturbo. Persona con disabilità non aveva alcun diritto era solo oggetto di
cure mediche, assenza di voce fino al 1976 esistevano ancora classi speciali e differenziali
(classi ghetto) che accoglievano tutti gli alunni con disabilità e addirittura con la stessa
disabilità, l’illusione era quella di dire che tra loro si capiscono e potevano fargli fare le
stesse cose ma soprattutto non ‘’disturbano’’ nella classe; mentre le classi differenziali erano
quelle classi per coloro che oggi chiameremo con Bes, svantaggiati dall’ambiente sociale,
economico. Documento Falcucci (1976) primo documento che ci parla di voler garantire un
diritto all’istruzione e alla formazione per questi soggetti che venivano ghettizzati nelle classi
sociali e differenziate inserire e non emarginare.
1977legge 517 diritto di ogni bambino indipendentemente dalle sue condizioni di poter avere
un’istruzione.
Venne parallelamente sostenuto un movimento dell’antipsichiatria; Vasaglia, Cooper
(psichiatri rivoluzionari che avevano colto la crudeltà limitatezza delle strutture segregative
manicomiali) hanno sostenuto l’idea di chiudere i manicomi e pensare ad un altro modo di
riconoscere, comprendere e favorire l’integrazione di soggetti affetti da disturbi rivoluzione
culturale molto forte.
Integrazione si divide in 2 parti: Scolastica VS sociale ma comunque interagiscono l’una con
l’altra. L’integrazione innanzitutto non è integralismo, integrismo, inserimento selvaggio né
inclusione.
Integrismo: integrazione a metà, parziale, limitata a certi ambiti, linguaggi. Es. l’alunno con
disabilità sta in classe socializza ma non apprende,
Integralismo: ipotesi opposta all’integrazione, violenza forte per ricondurre tutto ad un’idea
forte e violente, dominante egemone. (es. integralismo religioso)
Inserimento selvaggio: primi tentativi di integrazione ma non arrivano a risultati ottimali,
selvaggio perché? Questo perché gli insegnanti non hanno avuto modo di avere una
formazione adeguata, idonea per poter preparare/ progettare l’integrazione come processo.
Inclusione: è andare oltre l’integrazione, perché non si occupa solo di alunni con disabilità
ma anche di tutti i Bes, implica un allargamento del campo di indagine. Vengono anche
messi in gioco le macrocategorie di Bes, Dsa ecc.
Non esiste un processo di integrazione che non tenga conto del contesto scuola, classe,
extrascuola ma anche i bisogni personalizzati dell’alunno. Dialettica tra caratteristiche
individuali e contestuali, non si può prescindere da questa dialettica. Importante anche la
qualità del processo di integrazione, deve essere anche caratt. Da un rigore scientifico
senza però sfociare nello scientismo feedback di ritorno per capire se il processo si è
verificato o no utilizzo degli indicatori. Non esiste inclusione senza integrazione,
l’integrazione è la base dell’inclusione.
Integrare dal latino ‘’integer’’= completare.
LEZIONE 6 22/10/2020
Il modello ICF è diventato un grande punto di riferimento per il PEI (piano educativo
personalizzato). Il PEI è uno strumento didattico impiegato per venire incontro alle esigenze
dei
soggetti con disabilità.
L'alunno con disabilità ha una sorta di suo programma adattato ai suoi punti di forza e
debolezza. È come un abito su misura che tiene conto della particolare condizione di
disabilità
della persona.
Nel 2017 una normativa rende obbligatoria l'elaborazione del Pei su base ICF. Quindi la sua
elaborazione deve tener conto dei fattori personali contestuali ed ambientali. Se un alunno
con
BES con o senza disabilia’ arriva a fornire un livello di performance non efficace che si
esprime
nella problematicità, ci si deve chiedere da cosa può dipendere?
Il modo di comprendere la problematicità non deve nascondersi dietro la malattia. Ci si
interroga
in modo più complesso non solo focalizzandosi sull'alunno, ma si guarda anche a quei fattori
contestuali che possono incidere sulla performance.
Si adotta quindi uno sguardo al plurale e meno medicalizzato. Le domande che ci si
possono
porre Sono del tipo: Perché sì verifica la performance problematica? Abbiamo richiesto Al
soggetto un compito troppo difficile? Abbiamo richiesto livelli di apprendimento da lui
effettivamente raggiungibili? E motivato? Com'è la sua autostima? E' sereno? Il progetto di
vita è
chiaro?
Per coinvolgere emotivamente devo partire da ciò che l'alunno sa fare, dai suoi interessi, da
ciò in
cui ha fiducia. Questo ci fa partire con il piede giusto. Devo partire inizialmente da quei
contenuti
di apprendimento per i quali l'alunno deve fare un piccolo sforzo, non uno grande. Noi
possiamo
aiutarlo in modo soft, non invadente. I fattori ambientali, il contesto scuola, la classe, come si
presentano? Ci sono su cienti facilitatori ad esempio della tecnologia che può essere utile?
ffi
Abbiamo tante possibili domande e tante possibili risposte .
E' quindi un modello multidimensionale e dinamico. I fattori contestuali hanno un ruolo molto
importante, non si valutano solo le caratteristiche anatomo-fisiologiche del soggetto.
Attraverso il
ICF si possono evidenziare difficoltà nel funzionamento del soggetto su diversi piani: sul
piano
delle condizioni fisiche ad esempio malattie varie, sul piano delle strutture corporee ad
esempio la mancanza di un arto, sul piano delle funzioni corporee ad esempio deficit
sensoriali, motori, attentivi, sul piano delle attività personali ad esempio scarse capacità di
apprendimento di comunicazione e di autonomia personale, sul piano della partecipazione
sociale ad esempio di coltà a rivestire ruoli sociali nei vari contesti, ffi sul piano dei fattori
contestuali /ambientali ad esempio una famiglia problematica una cultura diversa.
Quali sono le finalità ultime e prime della pedagogia speciale? La pedagogia speciale è
scienza
del riconoscimento e dell'integrazione ed inclusione scolastica e sociale della diversità.
L'integrazione e l'inclusione sono la finalità ultima della pedagogia speciale.
Prima degli anni 60-70 abbiamo assistito ad una fase di emarginazione delle persone con
bisogni
educativi speciali. Una volta al manicomio venivano internati tutti coloro catalogati come
diversi
,dal povero, alla donna con problemi ormonali non curati, a persone che avevano subito
traumi e
che non avevano ricevuto nessun tipo di sostegno nel corso della loro vita. Negli anni 50-60
la
pedagogia che si occupava dei bisogni educativi speciali veniva definita come pedagogia
differenziale, il termine stesso suggerisce una vera e propria separazione da ciò che veniva
invece definito normale. Era l'era dell'esclusione. Ciò che era problematico veniva isolato
perché
creava disturbo.
La persona con disabilità era solo oggetto di cure mediche ,internamenti ed isolamenti. Fino
al
1976 a scuola esistevano
le classi speciali e quelle differenziali. Le classi speciali accoglievano solo alunni disabili e
tutti
con la stessa disabilita .
Erano classi ghetto
. L'illusione era quella di dire che, essendo numericamente inferiori, c'era più attenzione
individuale, tra di loro potevano capirsi meglio e gli si facevano fare le medesime
cose.Inoltre in
questo modo non disturbavano la classe.
Le classi differenziali erano quelle classi che ospitavano persone che avevano uno
svantaggio
,che vivevano in situazioni di degrado da un punto di vista socio culturale e con ridotte
competenze linguistiche.
Nel 1976 il documento della Senatrice Falcucci stabilisce che occorreva porre fine a questo
tipo
di classi e sosteneva che questi soggetti andavano inseriti. La legge 517 del 1977 è la prima
disposizione u ciale che sancisce il diritto di ogni bambino indipendentemente dalle sue ffi
condizioni fisiche, sociali, economiche, culturali ad avere un'istruzione, diritto peraltro anche
sancito dalla nostra Costituzione.
E' la tappa fondamentale per la fine dell'isolamento è l'inizio dell'integrazione. Anche a
livello
sociale si fa sentire questo cambio di rotta, c'è in atto una rivoluzione culturale .
Con la legge Basaglia si chiudono i manicomi.
Quindi si può affermare che l'integrazione è un processo.
Integrazione sociale e scolastica non vanno viste in maniera disgiunta ma sono
interdipendenti.
L'integrazione Non è integrismo, l'integrazione Non è integralismo , l'integrazione Non è
inserimento selvaggio, l'integrazione Non è esclusione.
L'integrismo è un integrazione parziale, l'alunno con disabilità sta in classe, socializza ma
non
apprende, quindi non è una vera integrazione. L'integralismo è il contrario dell'integrazione,
persegue infatti un'unità egemonica fissa che sopprime le differenze. L'inserimento
selvaggio è
un integrazione rudimentale, che non arriva a risultati ottimali. E' un inserimento fisico, ma
non
basta, selvaggio perché spesso gli insegnanti non hanno avuto modo di avere competenze
per
preparare l'integrazione.
Deriva perciò da una logica di emergenza.
Il processo di integrazione va declinato in una duplice dimensione. Deve tener conto del
contesto
scuola classe e degli altri luoghi formativi. Sappiamo infatti che il contesto può essere un
ostacolo
o una barriera oppure un oggetto facilitatore.
L'altro elemento è la personalizzazione. La personalizzazione avviene quando cerchiamo di
tenere conto delle esigenze educative di quel bambino particolare .E' una dialettica tra
caratteristiche contestuali e personali.
È importante che l'alunno con disabilità raggiunga un buon livello di integrazione che va
monitorato con appositi indicatori.
L’integrazione è base dell'inclusione , non esiste inclusione senza integrazione.
L'etimologia della parola integrare ci fa capire bene il significato di questa parola. Infatti
integer dal latino significa rendere completo, completare qualcosa che prima era
insu ciente. ffi Normative di riferimento 517 del 1977 e successivamente la legge 104
del1992.
LEZIONE 7 28-10-2020
Il rischio è che si cada in un’eccessiva classificazione, in una storta di Gabbia dorata
sistema eccessivamente meccanicistico, poco rispettoso della libertà come atto creativo
ICF dovrebbe essere visto come orientatore di senso per costruire una didattica inclusiva,
ma che non dipenda direttamente da tutti i qualitatorila didattica inclusiva deve basarsi
sull’intelligenza e la creatività degli insegnati.
Integrazione:
Integrazione dal latino intĕger, il fatto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è
incompleto o insufficiente aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con
mezzi opportuni.
integrazione rivolta ad alunni con disabilità
inclusione rivolta principalmente ad alunni con disabilità, ma NON solo BES e anche
normodotati
integrazione risente dell’idea dominante secondo la quale tutti devono raggiungere il 100%
(anche quando basterebbe un 90-95%),o ci si aggrega alle logiche prestabilite o si viene
tagliati fuori, in questo senso si configura in una continua rincorsa da parte del bambino con
disabilità per raggiungere gli alunni normodotati (Betelaim)è pertanto necessario
personalizzarla e contestualizzarla
Personalizzarla significa rispondere ai bisogni educativi speciali di quel determinato
individuo deve essere costruita sul modello delle esigenze, capacità, risorse e difficoltà di
quel dato alunno si riferisce agli alunni con disabilità, svantaggi, DSA
Contestualizzarla il contesto può essere caratterizzato da ostacoli, ma anche da
risorse e agenti facilitanti
Inclusione non è un processo oppositivo all’integrazione, ma un processo che ha messo in
crisi il modello integrativo. Perché?
Non c’è integrazione senza alcune categorie fondative della pedagogia speciale:
accoglienza, cura (educativa), aiuto (pensare come aiutare gli alunni in difficoltà)
adattamento reciproco, biunivoco ( ), se l’alunno con disabilità è l’unico a compiere
uno sforzo non si verifica l’integrazione, ma si torna all’integrismo. In questo modo Betelaim
dice che non solo non c’è integrazione, ma si verifica disintegrazione.
Piaget parla di adattamento nella sua teoria del costruttivismo secondo la quale
l’intelligenza è intesa come “costruzione” basata su due processi: assimilazione e
accomodamento.
Assimilazione si tratta di un processo passivo di assorbimento, “assorbire” concetto
che Piaget riprende dal libro di Maria Montessori, “la mente assorbente”, in cui si paragona
la mente del bambino a quella di una spugna (soprattutto nei primi tre anni di vita)
Accomodamento riorganizzazione degli schemi mentali sulla base di nuovi input
esterni, gli schemi precedenti vengono messi in discussione, modificati, “aggiornati” sulla
base delle nuove informazioni assimilate
2.+1 Equilibriazione successiva alla fase di accomodamento, è la fase in cui il bambino
cerca una coerenza con quanto già conosceva e le nuove scoperte, per poter restare “in
equilibrio”. In presenza dei risultati di nuove ricerche , li assimila alla sua teoria e, se non si
adattano perfettamente, può tralasciare i dati anomali o modificare leggermente la sua
teoria.
cultura del cambiamentoscienza metabletica (scienza del cambiamento), non c’è
cambiamento senza educazione e non c’è educazione senza cambiamento, inoltre non può
verificarsi un cambiamento senza una cultura progettuale. Non esiste integramento senza
questi tre fattori (educazione, cambiamento e progettualità). Si mettono quindi in gioco due
processi: ISTUITO e ISTITUENTE (termini portati in Italia da Canevaro, ma ripresi dalla
pedagogia istituzionale di Vasquez e Oury)
ISTITUITO ciò che è già stato deciso programma da affrontare, disposizione interna alla
classe, materiali usati, regole, la necessità di dare valutazioni
ISTITUENTE modifica di ciò che è istituito “a priori”, la scuola vien messa in discussione, in
funzione dei bisogni educativi speciali di alunni con disabilità o BES.
accettazione del deficit e riduzione dell’handicap (sostituito dalla parola
partecipazione nel modello ICF)
LEZIONE 8 29/10/2020
INTEGRAZIONE: È LA CULTURA DEL CAMBIAMENTO CHE IMPLICA ANCHE CULTURA
PROGETTUALE:
La cultura del cambiamento scienza metabletica (scienza del cambiamento), non c’è
cambiamento senza educazione e non c’è educazione senza cambiamento, inoltre non può
verificarsi un cambiamento senza una cultura progettuale. Non esiste integramento senza
questi tre fattori (educazione, cambiamento e progettualità). Si mettono quindi in gioco due
processi: ISTUITO e ISTITUENTE (termini portati in Italia da Canevaro, ma ripresi dalla
pedagogia istituzionale di Vasquez e Oury)
ISTITUENTE: scuola che cambia, ha modifica di ciò che è istituito “a priori”, la scuola vien
messa in discussione, in funzione dei bisogni educativi speciali di alunni con disabilità o
BES.
Cultura del cambiamento si basa sul “to project to” (concetto di progettualità) ossia sulla
formulazione di ipotesi, previsioni che devono essere verificate, vegliate ed eventualmente
modificate o addirittura confutate.
Programmazione e progettazione sono due cose diverse e distinte:
Ipotetico percorso di progettazione curricolare per gli alunni con disabilità e BES:
A.S.P. analisi della situazione di partenza capire quali sono le abilità di ingresso e
raccogliere le informazioni sul vissuto esistenziale dell’alunno
Analisi delle evidenze, che l’alunno con BES manifesta rilevazione, tramite protocolli
osservativi, e creazione di una descrizione dei punti forza e punti debolezza
¾. Profilo dinamico funzionale e diagnosi funzionale, sono entrati a far parte con la Lgs 66
del 2017 nel profilo di funzionamento (punto 4)à bilancio critico di ciò che l’alunno sa o non
sa fare
5. Bisogno di costruire un PEI su piano ICF (per alunni con un deficit conclamato,
certificati)à ossia elaborare, costruire, pensare un piano educativo personalizzato
Bisogno di costruire un PDP (piano didattico personalizzato) per alunni con BES o con
svantaggi (es: DSA)
Tutto ciò rientra nel progetto individuale che a sua volta rientra nel progetto di vita (punto 6),
che fa da cornice. Ogni PDP deve avere un aggancio con il progetto esistenziale
7. D.O.Gà definizione degli obbiettivi generali che possono essere raggiunti solo tramite la
definizione e il raggiungimento degli obbiettivi specifici à D.O.S (punto 8) es: imparo ad
allacciarmi le scarpe D.O.Sà in funzione del raggiungimento delle autonomie generali D.O.G
Ragionare su quali metodi adottare più efficaci e funzionali per raggiungere quel
determinato apprendimento
LEZIONE 9 4/11/2020
INCLUSIONE
Comparsa per la prima volta in Italia il 27-12-2012 C(M. n. 8 dell'08.03.2013)
Inclusione comprende anche i BES non solo disabilità, in cui dobbiamo includere:
• Alunni con disabilità → (L. 104/1992)
• Alunni con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento es. disgrafia, discalculia, dislessia,
disaortografia) → L. 170/2010
• ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) → sostenuta da una valutazione
diagnostica (è quindi formalmente riconosciuta)
• Alunni con difficoltà, svantaggio di varia natura
• Alunni stranieri (educazione interculturale)
• Alunni con problemi di disadattamento, in situazione di marginalità
• Alunni eterogenei, con differenti stili, ritmi e modalità di apprendimento e alunni
«normotipici»
• Alunni con disagi affettivi disturbi di relazione e di comportamento
Gli ultimi gruppi che non hanno categoria medica o certificata, ma vanno comunque presi in
considerazione, Canevaro gli definisce “i bambini che si perdono nel bosco”.
Ianes dice: E' necessario rivedere costantemente le modalità didattiche, parla di didattica in
movimento.
La didattica inclusiva strutturalmente intesa non separa i bisogni personali dagli obbiettivi
formativi,
dialoga costantemente tra PEI e PDP e il progetto comune dell'intera classe.
L'individualizzazione pensa che tutti debbano e possano raggiungere gli stessi obbiettivi
minimi di
apprendimento, quindi non vuole abbassare il livello di complessità degli obbiettivi, ma
cambia solo gli
strumenti, i materiali o le modalità di apprendimento, laddove questo non basti o non sia
applicabile
interviene la personalizzazione, la quale vuole cambiare anche gli obbiettivi e i traguardi
formativi
(semplificarli in caso di disabilità complessa, oppure alzare il livello degli obbiettivi per alunni
iperdotati, bambini prodigio).
Etimologia
INCLUṠIONE → dal lat. inclusio -onis = L’atto, il fatto di includere, cioè di comprendere in un
gruppo,
in un tutto, ‘chiudere dentro’, appartenere (‘essere’ il sistema) , ‘esser-ci’ Husserl (filosofo),
valorizzare,
riconoscere i differenti bisogni formativi individuali.
L'inclusione critica l'integrazione perché quest'ultima è un'idea più rigida in cui è necessario
adattarsi e
uniformarsi.
L'inclusione deve valorizzare i bisogni anche non speciali di ogni alunno.
Secondo l'Index for inclusion (T. Booth, M. Ainscow, Erickson, 2008), l’inclusione scolastica
e sociale
poggia su alcuni concetti fondamentali:
1. l’inclusione implica il cambiamento in quanto è un percorso verso la crescita illimitata degli
apprendimenti e della partecipazione di tutti gli alunni;
2. l’inclusione è una politica ed una cultura ideale cui le scuole possono aspirare, ancora
oggi
utopistica in quanto mai realizzabile compiutamente (ottimi principi ma non sempre
realizzati);
3. l’inclusione è cultura della piena partecipazione (pieni diritti e doveri, responsabilità, ..);
4. l’inclusione fa sì che ogni alunno, nessuno escluso, raggiunga pieni diritti di cittadinanza
(educare alla cittadinanza significa accrescere conoscenze, responsabilità e valori,
potenziando il
senso di efficacia e di riconoscimento di sé, dell’altro, in termini di competenze, limiti e
risorse);
5. l’inclusione necessita di accessibilità (ai luoghi → abbattere le barriere architettoniche, ai
contenuti, ecc) e, quindi, di dare visibilità e pieno riconoscimento ai diritti e ai doveri di tutti
gli
alunni senza esclusioni;
6. l’inclusione poggia sul concetto di appartenenza ai micro e macro contesti sociali e
culturali
(=esserci dentro);
7. la scuola inclusiva è necessariamente una scuola in movimento (che si mette
continuamente in
discussione strutturalmente) e riconosce i bisogni formativi della vasta gamma di differenze
e
diversità;
8. l’inclusione implica l’adesione ad una educazione democratica, egalitaria, di giustizia
sociale (A.
K. Sen, M. Baldacci);
9. per favorire l’inclusione degli alunni con disabilità e BES (DM 27.12.12; C.M. n.8 del
06.03.2013) all’interno dei contesti formativi scolastici ed extrascolastici, rendendo ogni
soggetto partecipe, appartenente, rispettoso delle sue possibilità/capacità, è necessario
ridurre
ogni forma di marginalità;
10. le pratiche inclusive richiedono una didattica della individualizzazione e della
personalizzazione,
all’interno della quale è necessario rispettare le capacità e non solo le mancanze degli alunni
(partire dalle sue capacità, da quello che sa fare);
11. la prospettiva inclusiva reinterpreta il concetto di disabilità all’interno delle fondamentali
questioni legate alla giustizia e all’uguaglianza, un’uguaglianza che promuove la
valorizzazione
delle capabilities di ogni individuo per raggiungere un buon livello di qualità della vita e di
benessere scolastico ed extrascolastico (capability approach). (A. K. Sen, M. Nussbaum).
La prospettiva inclusiva rafforza il livello di partecipazione sociale offrendo beni, servizi e
politiche capaci di potenziare capacità-facoltà e possibilità di scelte individuali e collettive,
non
solo legate ai bisogni primari, ma alle dimensioni delle libertà e i diritti fondamentali e
inalienabili delle persone tutte;
12. l’inclusione non si limita alle persone con disabilità ma si fa carico di potenziare le
capacità
inclusive dei contesti sociali e culturali, per rispondere ai bisogni di tutti e di ciascuno;
13. l’inclusione non segna barriere, confini tra diversità e normalità ma è contaminazione,
ibridazione, come afferma D. Ianes, «dialettica della speciale normalità»
L’inclusione nell’educazione implica:
• Valorizzare in modo equo tutti gli alunni e il gruppo docente → collaborazione
• Accrescere la partecipazione degli alunni per ridurre la loro esclusione rispetto alle culture,
ai
curricoli e alle comunità sul territorio
• Riformare le culture, le politiche educative e le pratiche nella scuola affinché corrispondano
alle
diversità degli alunni (da istituito a istituente)
• Ridurre gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, non solo di
quelli
con disabilità o con BES;
• Apprendere, attraverso tentativi, a superare gli ostacoli all’accesso e alla partecipazione di
particolari alunni, attuando cambiamenti che portino beneficio a tutti;
• Vedere le differenze come risorse per il sostegno all’apprendimento dell'intera classe,
piuttosto
che come problemi o guasti da riparare;
• Riconoscere il diritto degli alunni ad essere educati all'interni della propria comunità;
• Migliorare la scuola in funzione del gruppo docente e degli alunni;
• Enfatizzare il ruolo della scuola nel costruire comunità e promuovere valori
• Promuovere il sostegno reciproco tra scuola, extrascuola e comunità (utilizzare risorse
formali e
non formali);
• Riconoscere che l’inclusione scolastica è un aspetto del più vasto concetto di inclusione
sociale;
Sotto il segno dell'inclusione, 2011, Gaspari: mettere in evidenzia i bisogni e non le
limitazioni, quindi i
punti i forza, operare su ciò che l'alunno sa fare. Momento dell'accoglienza in classe
fondamentale, per
favorire la partecipazione dell'alunno.
Bisogni fondamentali dell'alunno con disabilità o BES: competenza, autonomia, cittadinanza,
poter
apprendere insieme agli altri senza dover stare fuori dalla classe.
Didattica inclusiva: rispetto di tutti gli alunni, promuovere attività didattiche inclusive,
incentivare
momenti di forte motivazione dell'alunno e gratificazione, tutto ciò deve avvenire in un clima
di
accoglienza, ascolto, cura educativa (lezioni seguenti). Prendersi cura è compito di tutte le
figure
all'interno del corpo docente!
Alcuni punti critici del processo dell’integrazione secondo la prospettiva inclusiva
• Porre la normalità come modello di riferimento significa idealizzare i concetti di omogeneità
e di
uniformità negando il valore delle differenze: l’integrazione nell'intentio di offrire più
opportunità alla persone con disabilità compie una serie di modifiche all’interno dei contesti
formativi senza mettere mai in discussione il paradigma della normalizzazione che, di fatto, è
indiscusso e dominante. L’idea di inclusione, invece, si basa non sulla misurazione della
distanza
da un preteso standard di adeguatezza, ma sul pieno riconoscimento e partecipazione alla
vita da
parte di tutte le persone.
• Se l’integrazione tende ad identificare uno stato, una condizione, l’inclusione rappresenta
un
processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di offrire pari opportunità e valore
a
tutti gli alunni, a prescindere da abilità, genere, linguaggi, condizioni. L’integrazione, volendo
rendere completo, più valido e partecipe un elemento all’interno del gruppo, nella logica
aggiuntiva o esclusiva, richiama una situazione di mancanza e, quindi, conduce ad una
logica
assimilatoria delle singole parti in un tutto seguendo un’idea dominante spesso precostituita.
• L’idea di integrazione muove dalla premessa che è necessario fare spazio all’alunno con
disabilità all’interno della scuola: concezione ormai superata a favore di una progettualità
inclusiva più forte ed articolata che comprende la valorizzazione non solo degli alunni con
disabilità, ma di tutti e di ciascun soggetto, in quanto il paradigma a cui fa riferimento
l’integrazione è quello assimilazionista o quello di una separata predisposizione di un PEI
non
raccordato al progetto comune di tutti gli altri alunni. Secondo l’integrazione l’alunno con
disabilità deve essere il più possibile simile agli altri, ovvero il grado di appartenenza è
legato al
livello di normalizzazione
Differenze tra integrazione e inclusione:
integrazione → uniformità (si negano e non si rispettano le differenze)
inclusione → adattabilità
integrazione → il modello della normalizzazione non viene mai messo completamente in
discussione
inclusione → vuole riconoscere la rilevanza della partecipazione di tutti
integrazione → idea assimilazionista ( le strategie attivate per l'alunno con disabilità devono
far si che
egli arrivi ad un livello pari di quello di un normotipico)
inclusione → ogni alunno ha il suo livello individualizzato
Risultati attesi → integrazione: Orientamento a diagnosticare e a prescrivere, inclusione:
Orientamento
ad acquisire competenze risultati collaborative e diffuse
Spiegazione del fallimento educativi → integrazione: La causa delle difficoltà di
apprendimento è nelle
carenti capacità dell’alunno; inclusione: La causa delle difficoltà di apprendimento risiede in
un’elaborazione del cv non adeguata
VIDEO DI APPROFONDIMENTO
Si parla di alunni con BES nella direttiva del 22-11-2013
Se ipotizziamo di avere in una classe un bambino con sindrome di down o dislessia, questi
due
verranno trattati in base alla legge 104 e 170, con conseguente formulazione dei PEI e PDP
in
maniera molto specifica e meccanica.
Se abbiamo alunno con ADHD, problematiche comportamentali gravi o difficoltà di
apprendimento
normale bisogna formulare un piano personalizzato sulla base dei bisogni e della specifica
situazione→ funzione pedagogica del consiglio di classe
LEZIONE 10 5/11/2020
Parallelismo tra proposta dell’integrazione scolastica e sociale dei ragazzi con disabilità o
BES e l’inclusione:
Roberto Medeghiniprofessore di pedagogia speciale a Bergamo, fa parte della corrente
“disability studies” (corrente di pensiero all’interno della prospettiva inclusiva, a favore
dell’inclusione).
Propone una critica ai limiti dell’integrazione.
L’integrazione può articolarsi in 4 modalità:
Integrazione partecipata (è la migliore) l’alunno è cittadino attivo, partecipe, soggetto
di diritti, è parte del gruppo classe integrazione di qualità senza vizi o elementi
particolarmente problematici;
Integrazione progressiva cioè graduale, passo dopo passo tende a far sì che l’alunno
con disabilità partecipi attivamente alla comune visione della classe. È qualcosa che deve
essere costruito, preparato, per raggiungere gli obbiettivi comuni della classe;
Integrazione differenziale, non è una vera e propria integrazione, richiede un progetto
che implica una differenziazione educativo-didattica che condiziona fortemente la riuscita
dell’alunno e la piena partecipazione. Questa integrazione significa essere parzialmente
dentro/coinvolti nel gruppo classe;
Integrazione condizionale, è una sorta di integrismo, se non condiziona troppo il
lavoro degli altri, se rispetta determinati vicoli dell’istituito può parzialmente verificarsi
l’integrazione. funziona a condizione che si verifichi una determinata situazione.
Medeghini dice che quello che condiziona il discorso dell’integrazione è l’idea della normo
abilità, l’idea che bisogna avvicinarsi sempre ad esso, l’idea di abilismo (scuola selettiva,
legata alla produttività, all’efficienza, alla performance, alle capacità degli alunni di essere
all’altezza della situazione). Nell’idea di abilismo si pensa che l’autonomia dell’alunno esista
solo se egli è capace/abile.
Quindi tutte le differenze e le diversità sono distanti, si discostano rispetto al concetto di
norma. Questo è criticabile dai sostenitori dell’inclusione.
Un altro concetto fondamentale è il ruolo del contesto e degli attori che sono i protagonisti
della cura e dell’aiuto (insegnanti, assistenti sociali, educatori). Prima del modello ICF, il
contesto (gruppo classe, ambiente+relazioni umane) era ritenuto un elemento neutrale, ma
non è così. Il contesto e le relazioni sono molto importanti per l’integrazione, può essere
barriera o ostacolo, ma anche un elemento facilitatore, risorsa che facilita l’inclusione.
Prima l’integrazione dell’alunno era dominata dalla capacità adattativa dell’alunno con
disabilità, se egli non fosse riuscito a adattarsi, sarebbe emersa un’immagine deficitaria della
persona con disabilità.
La visione che ne emergeva nella prospettiva integrativa è quella di una visione omogenea
dove la strategia che veniva attivata per l’integrazione era l’adattamento, che era un po’ una
compensazione, rincorsa verso una omogeneità formativa.
Le epistemologie di riferimento (cioè i pensieri di fondo) per quanto riguarda l’integrazione
sono: norma e abilismo. Tutto ciò che non è normalità diventa deficit. Nasce una relazione
causa effetto tra norma deficit e bisogno. Era considerato un problema personale, interno e
veniva accostato ai fattori ambientali.
La prospettiva abilista costringe le persone ad essere prigioniere del non-funzionamento se
non sei abile non funzioni, se sei abile funzioni. (di questo argomento parla anche Miguel
Benasayag nel suo libro “funzionare e esistere?”).
Si nega l’importanza del ruolo del contesto.
Anche i protagonisti insegnanti educatori erano visti come elementi neutrali, ma non lo sono,
hanno la loro valenza e il loro impatto. Viene meno la responsabilità degli esiti con la
tendenza a delegare allo specialismo la gestione dei percorsi ritenuti difficili.
La compensazione Medeghini dice che è una sorta di normalizzazione, è una richiesta alla
persona che produce un tentativo di ridurre le distanze rispetto a delle condizioni già
normate. L’adattamento forzato dell’alunno con disabilità viene in qualche modo definito una
normalizzazione. Per cui tutte le buone pratiche compensative vengono a ridurre le difficoltà
dell’alunno a adattarsi ad un contesto già istituito. Porta ad un adattamento forzato
dell’alunno per potersi riagganciare alle linee formative comuni che caratterizzano il lavoro
comune degli alunni in classe. È tipica sia dell’integrazione, sia dell’inclusione.
Indagini e ricerche in cui viene problematizzata l’integrazione, valutano la validità
dell’integrazione scolastica:
2007 Bergamo e provincia Istituti professionali nella scuola italiana;
2009/2010 l’integrazione scolastica nella percezione degli insegnamenti
2010 indagine CIDI
2011 gli alunni con disabilità nella scuola italiana
Quali erano i nodi critici dell’integrazione?
Si occupava principalmente solo di alunni con disabilità;
Il ruolo dell’insegnate di sostegno era considerato inferiore rispetto agli altri docenti
della classe, in realtà non è l’insegnante di serie B e non deve occuparsi solo ed
esclusivamente di quell’alunno con difficoltà o disabilità;
Organizzazione della didattica (quante volte l’alunno con disabilità è presente in
classe?) disputa sella percentuale di presenza in classe di alunni con disabilità;
Quanto veniva veramente sviluppato il rapporto scuola ed extra-scuola? Spesso il
discorso del progetto di vita veniva a mancare o era appena accennato;
Fase dell’orientamento post-scolastico (individuazione degli sbocchi lavorativi).
L’alunno necessità di essere aiutato, sostenuto e accompagnato nel processo di entrata nel
lavoro;
Partecipazione alla comunità.
Dalla prospettiva dell’integrazione che sosteneva,
un’omogeneità dell’offerta formativa,
una relazione tra deficit e bisogno,
l’adattamento forzato,
il bisogno di autonomia che passa attraverso un sostegno e specialismo.
Passiamo con l’inclusione
a un’idea di valorizzazione delle differenze e delle disabilità,
alla pluralizzazione delle opportunità e delle condizioni,
alla relazione potenziale/capacità,
all’adattamento con ricerca di interazioni e partecipazione piena,
a competenze professionali dell’insegnante specializzato e educatore
socio-pedagogico che deve diventare diffuso, a disposizione degli altri docenti e degli altri
alunni.
L’INDEX FOR INCLUSION (l’indice per l’inclusione)
Documento programmatico del 2002 a cura di Booyh e Ainscow. È il primo dei manifesti che
parla di voler affermare la cultura dell’inclusione all’interno del contesto scuola.
L’indice per l’inclusione:
accompagna il processo di autoanalisi di un’istituzione scolastica con l’obiettivo di
ridurre le barriere all’apprendimento e alla partecipazione degli studenti;
mira a sostenere lo sviluppo inclusivo delle scuole, mettendo l’accento sui valori e
sulle condizioni dell’insegnamento e dell’apprendimento;
assume tutte le differenze come elemento fondante delle relazioni;
punta a rivedere le culture, le politiche gestionali e le pratiche affinché corrispondano
alle differenze di tutti gli studenti;
utilizza forme auto valutative che coinvolgono tutti gli attori che prendono parte
all’esperienza educativa.
Valutazione nella prospettiva dell’integrazione era un processo esterno che non coinvolgeva
i docenti o gli alunni, nella prospettiva dell’inclusione viene dato risalto all’autovalutazione
(valutazione interna, capacità di mettersi in gioco e in discussione e capire dove abbiamo
sbagliato).
Il problema centrale è come rispondere alle difficoltà e alle diversità degli alunni
presenti in classe, bisogna fare un’analisi delle relazioni fra le culture dell’apprendimento, le
culture organizzative e le modalità didattico-operative e valutativa utilizzate dalla scuola e
dagli insegnanti per rispondere alle differenze in essa presenti, allo scopo di individuare se
esse costituiscono o meno un ostacolo o una barriera alla partecipazione e
all’apprendimento.
L’educazione inclusiva mira a garantire la partecipazione di tutti gli alunni nel
processo di apprendimento in quanto persone e non perché appartenenti a una categoria
speciale (ad esempio disabile, straniero, rom, donna).
La prospettiva inclusiva, quindi, non è un sinonimo di uno stato fuori norma o
mancante da integrare, ma è un processo che assume sia l’idea di differenze, come insieme
di visioni, di senso, di modi, di stili che le persone utilizzano per costruire interazioni, sia
quella di ostacoli e barriere alla partecipazione, alla cittadinanza, all’educazione, alla
formazione, all’apprendimento di tutti. Viene qui evidenziato il possibile ruolo inclusivo o
disabilitante dei contesti fra i quali la scuola. Il tema delle differenze e il senso che viene loro
attribuito diventano quindi centrali e non eludibili.
L’educazione inclusiva si colloca nella prospettiva dell’ecologia delle relazioni fra
sistemi (persone, gruppi, territori, istituzioni) fra le loro culture e storie, in un rimando
continuo fra dimensioni macro (politiche, sistema sociale e istituzionale), dimensioni micro
(come i sistemi funzioni quali ad esempio la scuola, i servizi e la loro organizzazione) e i
sistemi di significati espressi dalle singole persone o da gruppi.
Sintesi estrema dei concetti spiegati fin ora: