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La Pedagogia Speciale (PS) è, per la maggior parte degli autori, quella disciplina che si
occupa dell’educazione di persone portatrici di diversità sul piano individuale o sociale a
causa di deficit o di difficoltà. Nel tempo la Pedagogia Speciale ha cambiato
notevolmente forma, in base ad una molteplicità di fattori, tra cui fa da fondamento
l’idea stessa della diversità e della minorazione. L’idea di minorazione, infatti, è mutata
negli anni, allontanandosi sempre più da quelle credenze o concezioni che ne hanno
condizionato l’impatto sociale.
Come la pedagogia generale, anche la Pedagogia Speciale non ha confini ben delineati
ed un approccio eterogeneo e complesso. Alcuni fattori che hanno influito positivamente
sulla definizione di Pedagogia Speciale che intendiamo noi oggi sono stati:
l’emancipazione civile generale;
la “scoperta dell’infanzia”;
le accelerazioni scientifico in ambito neurologico, psichiatrico, neuromotorio,
psicologico;
l’incremento dei saper inerenti le pratiche abilitative e riabilitative;
l’emergenza di nuovi professionisti e nuovi sapere professionali;
Appare evidente che la Pedagogia Speciale si è costruita sulle trame delle visioni del
mondo e delle concezioni dei saperi che hanno marcato la storia del pensiero negli ultimi
due secoli, passando attraverso l’illuminismo, il positivismo empirista, lo spiritualismo
del tardo ottocento, fino alla post- modernità ed al neorealismo ed oltre. Più della
pedagogia generale, la Pedagogia Speciale si è connessa in modo transdisciplinare con la
biologia, le “scienze cognitive” e le scienze neurofisiologiche.
Questa sua visione transdisciplinare rende difficile delineare una storia della Pedagogia
Speciale, perché non c’è una univocità concettuale e terminologica. Ciononostante
possiamo riconoscere che la vicenda della Pedagogia Speciale è fortemente ancorata a
storie individuali, di studiosi e di intraprendenti costruttori di servizi, che hanno scelto di
esercitare la loro professione in un ambito di lavoro caratterizzato dalla diversità e dalla
sofferenza.
Diversi sono gli autori che lavoreranno alla pedagogia curativa, soprattutto in Austria.
Con riferimento ai bambini con ritardo mentale o con disturbi neurologici, Vygotskij
indica la via della serrata coesione tra medicina e pedagogia, che si traduce in un confine
non definibile tra educazione e cura, con particolare attenzione agli ambienti di vita e di
pratica educativa.
Il concetto di salute acquisisce uno spazio semantico più ampio; al pari incrementa di
senso la categoria della cura. Intorno al principio del prendersi cura derivante dal
riconoscere l’unicità e l’irripetibilità di ciascun paziente o discente si sono consolidate
varie organizzazioni o società di Pedagogia medica. Molti autori concordano nel dire che
il 1900 è il secolo della mente, grazie alle molte ricerche che sono state fatte in ambito
neurofisiologico e neuropsicologico.
La prima parte del 1900 vede la centralità della fisica, delle particelle e del nucleare,
Durante la seconda metà è la biologia a farla da padrone. Infatti: Nel 1903 Matteucci e
Eindhoven scoprono l’Elettrocardiogramma;
Nel 1905 Einstein sviluppò la teoria della relatività;
nel 1909 Marconi inventò il telegrafo senza fili;
nel 1918 Planck formalizza la teoria dei Quanta;
Nel 1929 Berger inventa l’elettro encefalogramma; Nel 1938 Fermi scopre la
radioattività;
Nel 1941 Fleming scopre la penicillina;
Nel 1953 Watson e Crick scoprono la doppia elica del DNA;
Nel 1961 Jacob e Ronod rivelano la funzione dell’RNA;
Nel 1973 viene messa a punto la tecnica del “DNA ricombinante”, che apre le porte a
fine secolo alle prime sperimentazioni di clonazione genetica. L’utilizzo di nuovi
strumenti diagnostici consente di effettuare maggiori studi sul cervello, sia da un punto
di vista anatomico, sia dal punto di vista funzionale, per individuare quali aree del
cervello svolgono determinate funzioni. La situazione italiana di inizio 1900 è molto
variegata, ma soprattutto arretrata rispetto agli altri Paesi europei, a causa soprattutto
dell’ideologia fascista. Solo nel 1964 viene affidata a Zavalloni la prima cattedra di
Pedagogia Speciale. Fortunatamente il dopoguerra ha ribaltato la situazione, rendendo
l’Italia un Paese di spicco e di avanguardia nei confronti del fenomeno della disabilità
prima e della più estesa diversità dopo. In Italia il moto di presa in carico della disabilità
e della malattia mentale diventa diffuso e variegato, nonché segnato da alcuni eventi
singolarmente marcatori dell’epoca e delle sue tensioni culturali e civili:
Nel 1907 nasce la rivista “L’infanzia anormale” ad opera di de Sanctis e
contemporaneamente nasce a Roma la “Casa dei bambini” di Montessori.
Nel 1923 è resa obbligatoria l’istruzione elementare per bambini ciechi; Nel 1928
vari Regi Decreti regolano le scuole speciali per ciechi e sordi;
Nel 1929 de Sanctis fonda il primo reparto di Neuropsichiatria infantile;
Nel 1948 L’Organizzazione Mondiale della Sanità promulga la prima edizione del ICD
– International Statistical Classification of Disease e, l’anno dopo, nasce in Germania la
prima Rivista di Pedagogia curativa; Nel 1966 negli USA parte il programma
TEACCH – Treatment and Education of Autistic and related Communication
Handicapped Children, che affronterà il tema della Sindrome Autistica, la quale sarà in
tutto il mondo studiata e fatta oggetto di analisi varie.
Nel 1971 L’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta la Dichiarazione dei Diritti
delle persone mentalmente ritardate.
Nel 1975 la stessa assemblea fa propria la Dichiarazione dei diritti degli handicappati.
Nel 1978 il Warnock Report avvia il superamento dell’etichetta di handicap in favore
di SEN – Special Education Needs per indicare tutte quelle condizioni che hanno
necessità di una educazione speciale.
Nel 1990 la Prima Conferenza Mondiale UNESCO attua il programma “Education for
All”. 12 Seconda Sezione, L’Età Moderna
Il primo caso documentato di educazione dei sordi risale al 16° secolo, quando Ponce
prende in carico due bambini sordi e muti dalla nascita e, attraverso l’apprendimento
della scrittura, insegnò loro a parlare, grazie all’imitazione dei movimenti delle labbra.
Successivamente Bonet di Aragona scrive il testo Riduzione delle lettere e arte per
insegnare ai muti a parlare, in cui partendo dal metodo orale utilizzato dal Ponce, diede
vita ad un nuovo metodo di insegnamenti che consisteva nel ridurre la pronuncia di ogni
singolo fonema ad una posizione articolatoria ben precisa, accompagnata dall’utilizzo
dell’alfabeto manuale.
Tra 1600 e 1700 si affermano in Europa due diversi orientamenti di metodo: la scuola
tedesca e la scuola francese:
La scuola tedesca, con a capo Amman, si concentra sul metodo orale. Amman studiò la
loquela e comprese che essa è innata nell’organismo umano, ma non può essere
esercitata senza l’ausilio dell’udito. Inserì i principi della sua didattica ai sordi nel libro
Surdus loquens, diviso in tre parti:
1. la prima parla degli organi vocali, della loquela e delle sue origini;
2. la seconda parla delle singole lettere dell’alfabeto e come formarle;
3. la terza parla dei metodi di istruzione dei sordomuti e di correzione dei vizi di
pronuncia.
La scuola francese, invece, con a capo De l’Epee, si basava sul metodo epeano o dei
segni metodici. De l’Epee conosceva l’alfabeto manuale e gli altri metodi tradizionali;
prese le mosse dai gesti spontanei che i sordomuti utilizzavano nella comunicazione tra
loro, che riguardavano quasi esclusivamente oggetti e situazioni concrete, e li
perfezionò, affiancando all’uso dei gesti delle mani (o dattilogia) quello delle braccia e
delle espressioni del volto. Ne uscì un codice linguistico che conteneva anche nozioni di
grammatica. Anche i ciechi a lungo hanno vissuto ai margini della società, perché
ritenuti oziosi parassiti. La didattica per i ciechi si può datare a partire dall’attività del
filantropo francese Haüy, che per primo notò gli aspetti vicarianti del tatto rispetto alla
vista. Haüy si trovò ad educare – quasi per caso – un ragazzo cieco dalla nascita,
mediante l’uso di lettere stampate a rilievo. 15 Itard nella terapia morale del selvaggio
dell’Aveyron segue 5 obiettivi principali: 1. La socialità: introdurlo alla vita sociale,
rendendogliela più dolce di quella che conduceva un tempo e soprattutto più simile alla
vita che aveva appena abbandonato; 2. La sensorialità: risvegliare la sensibilità nervosa
mediante gli stimolanti più energici e qualche volta suscitando i più vivaci affetti
dell’animo; 3. Gli interessi: allargare la sfera delle sue idee, stimolando in lui nuovi
bisogni e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri che lo circondano; 4. Il linguaggio
verbale: condurlo all’uso della parola, determinando l’esercizio dell’imitazione
attraverso la legge imperiosa della necessità; 5. Il pensiero: esercitare per qualche tempo,
sugli oggetti dei suoi bisogni fisici, le più semplici operazioni del suo spirito e
determinarne poi l’applicazione su oggetti che possano istruirlo. Il lavoro con Victor si
interrompe nel 1806: Il giovane non guarirà dal suo mutismo e dimostrerà sempre ritardo
mentale, ma i progressi realizzati furono formidabili e raccontati “con veridicità” nella
seconda ‘Memoria, successi e sconfitte’. Il giovane Victor consegue un sorprendente
guadagno evolutivo che gli consente di svilupparsi nel fisico e nella motricità, di
maturare un controllo emozionale e le funzioni affettive, di comprendere il linguaggio e
di sviluppare (seppur a livello parziale) una serie di competenze intellettive, come il
leggere e lo scrivere. L’utilizzo e il potenziamento dei sensi vicarianti ha consentito lo
sviluppo delle idee. Il processo educativo globale della persona ha permesso al giovane
di “riconoscere i segni convenzionali del pensiero, vivere le relazioni, esprimere i propri
bisogni, avere un libero e continuo scambio di pensieri”. 16 CAPITOLO 2.3 – Edouard
Séguin Séguin: persegue l’obiettivo di definire l’insufficienza mentale, in modo da
separare definitivamente idiozia e follia. Come criterio base per il suo lavoro, il medico
assume la distinzione fra ricoverati privi della possibilità di sviluppo intellettuale e
ricoverati (soprattutto più giovani e con problemi meno gravi) recuperabili mediante un
vero e proprio percorso di educazione intellettuale. Apre la prima scuola speciale in
Europa in cui, in una visione olistica dell’individuo, toglie dall’isolamento bambini e
ragazzi derelitti. Si ispira a Leroux, il quale distingue la carità (rende gli uomini passivi
e dipendenti) dalla solidarietà (rende gli uomini autonomi e liberi), preferendo la
seconda alla prima. I suoi principi educativi si ispirano alle leggi della “medicina
filosofica” e al nuovo cristianesimo di Saint Simon. In tale visione si sostiene che, così
come l’unità di Dio si manifesta nei suoi tre principali attributi (Padre, Figlio e Spirito
Santo), così l’unità dell’uomo si esplica nelle sue tre manifestazioni d’essere:
sensorialità, intelligenza e volontà (cuore, spirito e corpo). Séguin diceva, quindi, che
l’idiota è debole nella sua trinità: debole nella sua sensibilità; debole nel suo
ragionamento; debole nella sua volontà. Quindi l’educazione doveva essere finalizzata
principalmente a sviluppare la loro autonomia, attivare tutte le loro capacità e ad agire
con un minimo di intenzionalità consapevole. Egli è dunque un precursore nel
rivendicare un sistema di educazione legato al progresso della società, teso
all’emancipazione dell’individuo, comprendendo che “la libertà e la fortuna dei nostri
figli, dipende dall’educazione che noi diamo loro oggi”. Inoltre lui considera
l’apprendimento un “fatto sociale” e attribuisce rilevante importanza al contesto in cui
esso avviene, al gruppo e alla collettività. Pone in evidenza l’importanza di creare
situazioni concrete e significative per l’apprendimento, in cui risalta la necessità del
soggetto di comprendere ancor prima di apprendere. A partire dalla centralità del
rapporto uomo-ambiente, il trattamento della patologia mentale può essere realizzato
solo all’interno di una profonda interconnessione tra medicina, pedagogia ed etica.
Séguin fonda così il “metodo fisiologico”, basato sui seguenti principi: 1. L’educazione
sensorio-motoria: sviluppare i sensi e le abilità motorie attraverso specifici esercizi
ginnici; 2. La differenza tra nozioni ed idee: contrariamente all’idea di Condillac,
secondo cui la conoscenza deriva dall’esperienza sensibile, Séguin teorizza che nei
processi di conoscenza il bambino prima acquisisce le nozioni e poi sviluppa, attraverso
il ragionamento su queste stesse, le idee; 3. La regola dei “tre tempi”: l’insegnamento si
fonda sul principio di funzionamento della memoria a lungo termine, il quale comporta
tre fasi: - fissazione = l’allievo assimila un nuovo apprendimento; - riconoscimento =
l’allievo riconosce l’apprendimento e lo discrimina; - evocazione = l’allievo richiama
alla mente l’apprendimento appreso, anche in sua assenza; 17 4. L’educazione morale:
l’azione educativa dell’idiota è diretta a sollecitare la sfera dell’attività, del pensiero, del
lavoro, del dovere e dei sentimenti affettuosi; 5. Un’educazione concreta e nel concreto:
ogni intervento educativo acquista senso solo nel concreto, nel reale e nel ludico; 6.
Individualizzazione: per garantire le pari opportunità educative, gli interventi devono
essere necessariamente differenziati, affinché ciascuno possa esprimere le proprie
capacità; 7. Gradualità dell’insegnamento: l’educazione dell’idiota deve procedere in
senso graduale, cioè dal noto all’ignoto, dal semplice al complesso, dal concreto
all’astratto, mediante l’uso di stimoli sistematici e differenti; 8. Sviluppo del linguaggio:
per Séguin il mutismo degli idioti deriva da una incapacità di muovere volontariamente
ed abilmente gli organi della parola, per cui persegue l’acquisizione progressiva del
linguaggio attraverso la ginnastica della parola e programmi logoterapeutici; 9. Uso della
musica: usare la musica nei programmi educativi, non solo come attività terapeutica, ma
perché essa stimola disposizioni affettive ed effetti positivi nei confronti delle pratiche
educative. 20 CAPITOLO 2.5 – Giuseppe Ferruccio Montesano Montesano: Si è
laureato in medicina e ha lavorato alla clinica psichiatrica di Roma insieme a de Sanctis
e Montessori. “La formazione di questo famoso trio generò quella grande linfa che
trasmise alla scienza medica psichiatrica l’interesse per i problemi annessi
all’educazione e all’assistenza dei bambini con disturbi psichici. Così per merito di
questi tre pionieri l’Italia sia trovò all’avanguardia europea in questa materia”. Gli
obiettivi del lavoro di Montesano si focalizzano in due direzioni: 1. Sensibilizzare
l’opinione pubblica e le politiche di programmazione economica sul vantaggio sociale e
morale di una pianificazione nazionale di educazione e recupero dei bambini con
handicap mentale; 2. Perfezionare strumenti didattici e strategie metodologiche per
l’educazione dei bambini subnormali. In merito al primo punto, egli nel 1898 presenta
alla Camera dei Deputati un Disegno di Legge sulla necessità dell’assistenza ai bambini
deficienti; Nel contempo fonda il Comitato per la protezione del Fanciullo, che poi
diventa Lega Nazionale; Nel 1902 propone l’accoglienza dei subnormali in scuole
pubbliche speciali; Sottolinea il vantaggio economico di sottrarre alla criminalità
minorile tanti bambini, evidenziando una responsabilità etica nella non integrazione dei
minori amorali. In merito al secondo punto, i luoghi strategici in cui metodologie e
materiali specifici vengono sperimentati e descritti per l’educazione speciale sono: la
Scuola Magistrale Ortofrenica per la formazione degli insegnanti specializzati e i
Bollettini Trimestrali della rivista “L’Assistenza dei Minorenni Anormali”. All’interno
dei curricula, la carta biografica è lo strumento di pianificazione basilare con cui il
maestro specializzato costruisce e controlla il percorso educativo dell’allievo con
disabilità. Tale carta si compone di 8 sezioni specifiche: 1. dati anagrafici, 2. quadro
familiare, 3. esame morfologico, 4. esame fisiologico, 5. stato di educazione dei
movimenti coordinati, 6. stato di educazione dei sensi, 7. estensione del patrimonio
ideativo extrascolastico, 8. cultura scolastica. Invece i suggerimenti didattici forniti da
Montesano, sono: 1. Insegnamento con tempi frazionati: le lezioni devono durare poco e
devono avere un tempo di riposo o di esercizio muscolare; 2. Didattica diversificata ed
individualizzata: il metodo deve essere quanto più possibile adatto alle esigenze di
ciascuno. 21 CAPITOLO 2.6 – Ovide Decroly Decroly: È medico di formazione,
costruttore del “Metodo globale di apprendimento”, docente di psicologia e pedagogia
dell’infanzia; Fonda insieme a Claparède, Ferrière e Montessori la “Lega
internazionale per l’educazione nuova”; Scrive diversi saggi sull’educazione.
Dichiara che tra i fanciulli normali e gli anormali non c’è differenza di qualità e di
natura, anzi le stesse leggi psicologiche valgono in entrambi i casi. Tuttavia, afferma che
per quanto riguarda gli anormali lo sviluppo mentale è generalmente ritardato e tutti i
processi sono estremamente rallentati. Ma dallo studio dei “bambini irregolari” si arriva
a conoscere meglio il fanciullo in generale e a migliorare le tecniche educative, che
valgono per tutti. Per Decroly l’irregolarità del bambino sta nel suo sviluppo e non nella
sua natura; infatti secondo lui l’irregolarità è funzionale, non strutturale. Nel trattato
sui bambini irregolari affronta la questione evidenziando 6 aspetti del processo educativo
del bambino disabile: 1. L’educazione sensoriale; 2. L’educazione motrice; 3.
L’educazione affettiva; 4. L’educazione intellettuale; 5. L’educazione del linguaggio; 6.
La preparazione e l’orientamento professionale. L’educazione sensoriale per Decroly
non è solo riferita alle sensazioni provenienti dal mondo esterno, ma anche alle
sensazioni interne, che costituiscono la molla che fa scattare l’azione, il fare, lo
sperimentare, l’apprendere. Nel suo lavoro con la disabilità troviamo una vera
fenomenologia educativa della percezione (non lontana da quella elaborata dal filosofo
Merleau-Ponty), in cui il corpo è considerato non solo un’entità materiale fatta di pure
sensazioni, ma un insieme di funzioni bio-psico-sociali che costituiscono la personalità
del bambino ed il suo modo di essere. Il corpo vissuto, infatti, forma la psiche, o meglio
è parte integrante dell’apparato psichico, appartiene alla sfera centrale dell’affettività,
soprattutto nel caso del bambino con deficit. Egli si serviva in modo spregiudicato
delle fonti più varie per rielaborare la sua esperienza pratica. Usa sia i lavori
dell’antropologo francese Lévy-Bruhl sul pensiero sincretico dei primitivi, sia del
filosofo Bergson sull’intuizione, che considera i bambini con disabilità intellettiva dotati
di intelligenza pratica ed intuitiva. Prende in prestito le categorie elaborate da questi due
pensatori per interpretare il mondo psico-affettivo del bambino in generale e del
bambino irregolare in particolare. L’opera di Lévy-Bruhl mette in evidenza la legge di
partecipazione e il modo sincretico di percepire e comprendere l’universo della mentalità
primitiva, la cui spiegazione, per l’etnologo francese, si trova nei meccanismi della
mentalità prelogica. 22 I primitivi non hanno un torpore mentale o una carenza, ma un
modo di pensare, vivere, muoversi e agire totalmente diverso dal nostro. Di conseguenza
molte delle nostre questioni per loro non esistono, perché non sono interessanti ai loro
occhi. Decroly assimila il concetto di partecipazione e di mentalità prelogica per
interpretare i modi di conoscere del bambino disabile. La logica del bambino irregolare,
come del bambino in generale, non è di tipo astratto-analitico, ma di tipo “intuitivo” ed è
in questo modo che l’educazione affettiva diventa fondamentale per gli apprendimenti.
Decroly è anche molto attento al tipo di deficit del bambino irregolare (sensoriale,
motorio o intellettivo), in quanto è convinto che l’educazione debba creare le
compensazioni necessarie e i supporti utili allo sviluppo delle sue potenzialità. Lo scopo
dell’azione educativa è l’autonomia e la socializzazione; occorre perciò sviluppare il
“sentimento dell’io”, creare delle attività che diano delle opportunità di confrontarsi con
gli altri, di conoscere il rendimento delle proprie capacità, di farle crescere promuovendo
l’autostima. Possiamo individuare nel suo pensiero spunti metodologici: - Decroly ci
invita a definire con precisione le categorie e i concetti che usiamo, soprattutto nel
campo dell’osservazione diagnostica; - Considera come impossibile modificare,
cancellare il deficit (si può migliorare sul piano clinico, ma non eliminarlo); - Non
bisogna indentificare il deficit con l’handicap, perché il secondo è spesso il prodotto del
contesto sociale e della situazione psico-affettiva. In centro Europa si stava diffondendo
la teoria della Gestalt, la quale riguarda il fenomeno del sincretismo, ad indicare la
primaria tendenza sia della percezione che del pensiero a far proprie forme d’insieme,
schemi generali, prima che analizzare i dettagli degli stessi. Il concetto di globalità
richiama la funzione di globalizzazione di Decroly. Egli insegnerà ai bambini a leggere
prime le parole intere e poi le lettere (metodo globale). Decroly elabora e propone un
“Dossier medico-pedagogico” che non è assimilabile ad una cartella clinica, ma si
presenta come un dossier che contiene una serie di informazioni sullo stato bio-psico-
sociale ed educativo del bambino. Questo Dossier è strutturato in 5 parti: 1. L’ambiente
fisico, familiare e sociale; 2. Precedenti e stato attuale dei genitori; 3. Precedenti e stato
attuale dei fratelli e delle sorelle; 4. Precedenti del fanciullo; 5. Stato attuale del
fanciullo. Decroly propone anche l’uso di test quantitativi e qualitativi sull’età mentale
del soggetto, un esame delle diverse funzioni e abilità ed un esame particolare del
linguaggio. Inoltre ritiene importante fare un’attenta osservazione dello stato affettivo
del fanciullo. Nel lavoro educativo Decroly sperimenta “l’iniziazione all’attività
intellettuale e motrice tramite i giochi educativi”. 25 Le esperienze con il mondo della
malattia mentale, della disabilità, nonché delle condizioni di deprivazione sociale e
culturale costituì per la Montessori un formidabile ambito di criticità, verso cui mosse
l’osservazione e lo sguardo problematico, ricavandone linee di pensiero per l’educazione
anche dei bambini “normali”. Nel metodo montessoriano, estendibile a tutti, notevole
significato appartiene ai materiali ed alle procedure educative, proposte per migliorare le
capacità di base del bambino, configurandosi come risorse funzionali per una
moltitudine di sindromi e patologie, ma anche per la prevenzione di possibili disturbi
dello sviluppo. Per la Montessori il bambino deve essere libero, ma inserito in un
ambiente organizzato, che funge da aiuto per l’autoeducazione, perché dall’ordine
esterno il bambino possa acquisire il proprio ordine interno. Organizzazione e iterazione
connotano il procedere delle attività secondo il principio montessoriano della
“ripetizione dell’esercizio”, derivante dall’idea che la ripetizione sia un decisivo atto
mentale che concorre alla costruzione della competenza; infatti l’attività lungamente
ripetuta risponde al bisogno di consolidare la conoscenza. I materiali utilizzati sono
conduttori di essenziali funzioni cognitive: - la sequenzialità e la linearità del processo; -
le azioni di autocontrollo; - le attivazioni di sinestesie senso-coordinative, senso-motorie,
verbo-motorie ecc. Anche la scuola deve essere trasformata, vista come sede di libertà
spirituale, di crescita interiore, di attività fisiologiche e motrici. Pertanto deve avere degli
spazi che consentano il libero movimento, un mobilio leggero e lavabile, che sia
soprattutto bello nella sua semplicità, una bellezza che si connota di 4 indicatori: - non
essere ridondante; - essere armonico nelle sue linee e colori; - essere elegante nelle sue
decorazioni, come nei disegni delle stoffe; - non coincidere con la ricchezza dei
materiali. Anche il bello, quindi, ha le sue funzioni: - ispira il raccoglimento; - riposa la
mente favorendo la sua tendenza all’ordine; - educa il senso estetico; - organizza la
mente; - evoca il rispetto. 26 CAPITOLO 2.8 – Ronald Gulliford Ronald Gulliford: La
sua esperienza e la sua formazione avvennero in un contesto socio- politico che vide
alternarsi al potere partiti con tendenze politiche contrastanti. Dopo il ritorno in auge del
‘Labour Party’, partito burista, l’organizzazione delle istituzioni scolastiche aveva
superato la logica della segregazione, formalmente espressa nell’Education Act del
1944. Si avviava pertanto il cammino verso l’integrazione degli alunni con bisogni
educativi speciali o con particolari disabilità nelle scuole ordinarie. In un periodo in cui
anche il successivo governo conservatore si impegnò a contrastare il divario sociale, che
vedeva come la povertà ostacolasse il regolare percorso formativo di tanti bambini,
l’attenzione di Gulliford si concentrò su coloro che vivevano disabilità di vario genere e
su coloro che a causa di condizioni sociali disagiate vivevano difficoltà di
apprendimento, individuando nell’intenzionalità dell’azione educativa e didattica, nella
creazione di curricula accessibili a tutti e nell’alleanza scuola-famiglia alcuni dei fattori
facilitanti. Tale approccio risentiva di un’influenza della psicologia dell’educazione, che
guardava allo sviluppo dell’individuo come frutto dell’interazione tra natura e cultura. Si
venne, così, a creare un sodalizio tra Gulliford e la psicologa dell’educazione Pringle,
autrice del saggio The Needs of Children. Entrambi nutrirono un particolare interesse per
le dinamiche sociali che influenzavano lo sviluppo dell’individuo. Nel 1973 i segretari di
Stato per l’educazione di Inghilterra, Scozia e Galles si riunirono nel “Warnock
Commitee” per rivedere l’educazione dei bambini con handicap o disabilità fisiche o
mentali. Il “Warnock Report” del 1978, sintesi finale dei lavori del Commitee,
respingeva la definizione dicotomica in bambini-handicappati e bambini-non-
handicappati, abolendo le etichette di bambini-handicappati e bambini-difettati a favore
della locuzione SEN-Special Educational Needs, bambini con bisogni educativi speciali.
Il “Warnock Report” fondava le basi per l’integrazione di questi bambini nelle classi
ordinarie e richiedeva, pertanto, un ripensamento delle prassi didattico-educative, che
venivano affidate alle autorità locali. L’Education Act del 1981 dichiarava le modalità di
identificazione di coloro che avevano bisogni educativi speciali. Nel 1971 Gulliford
scrive il libro “Special Educational Needs”, rivolto ai docenti che avrebbero dovuto
occuparsi dei bambini con speciali bisogni educativi. Questa locuzione segnò i lavori del
Warnock e fu adottata nel Warnock Report del 1978. L’ideologia di Gulliford invitata a
superare la visione whitin-child a favore di una logica interazionista delle cause che
determinavano i bisogni educativi speciali. Tale nuovo approccio valorizzava le
differenze individuali in termini di “educational quotients” ed era volto a mostrare le
percentuali di backword children (bambini arretrati), bisognosi di trattamenti educativi
speciali nei contesti scolastici ordinari. I bambini arretrati potevano incontrare difficoltà
nell’apprendimento per una pluralità di fattori interagenti, emozionali, sociali e fisici. 27
Gulliford proponeva un modello educativo che enfatizzava l’importanza di un approccio
olistico, globale, che richiama l’attenzione del docente non solo sui limiti del bambino
legati alle eventuali patologie, ma anche i suoi principali punti di forza e i vari livelli di
maturità affettiva, sociale ed intellettiva. Anche il governo italiano, in virtù
dell’inclusione, ha accettato ed utilizzato la locuzione di Gulliford “bisogni educativi
speciali”, la quale, però, ha agito da perturbatore, in quanto, non avendo una univocità
nella sua definizione, ha messo in crisi le politiche educative, non rendendo possibile un
confronto oggettivo. Nel 1998 l’UNESCO ha fatto propria la locuzione SEN e, col
programma Education for All, ha fondato la propria politica sulla lettura dei bisogni
educativi speciali anche in termini di svantaggio sociale e culturale per arginare i pericoli
dell’esclusione dal sistema scolastico di molti bambini che altrimenti non avrebbero
potuto beneficiarne. 30 Questo concetto, quindi, non vuole significare alcun genere di
“conformismo” al comportamento degli altri e neppure “livellamento” delle differenze
individuali. La scuola ha come fine “la promozione dell’individuo”, riportando verso il
normale, cioè verso le attività di una vita normale, quelle persone che vi si discostano.
Non tutti i soggetti potranno essere riportati alla completa normalità, ma ciascuno deve
essere aiutato in modo che sappia affrontare e risolvere i problemi della vita con sempre
maggiore indipendenza e maturità di giudizio. 31 CAPITOLO 3.1 – La Pedagogia
Speciale a scuola: il modello italiano L’Italia agli inizi degli anni 70 si adoperò
concretamente affinché venissero rispettati i diritti dei più deboli e scelse come
strumento di cambiamento la scuola. Con la legge 118 del 1971, ma soprattutto con la
legge 517 del 1977, si sancì il dovere che la scuola di tutti aprisse i suoi cancelli ai
bambini con deficit: Si era intuita la necessità che anche la persona con problemi fisici,
sensoriali o mentali potesse frequentare le aule scolastiche dove anche gli alunni senza
disabilità quotidianamente si attivavano per crescere come cittadini. All’articolo 2 della
legge 517/77 si afferma che “è possibile progettare attività integrative, per gruppi di
alunni della stessa classe o di classi diverse, finalizzate anche ad attuare interventi
individualizzati in relazione alle esigenze degli allievi in genere e interventi a sostegno
dei bambini disabili”. La scuola italiana, nonostante siano passati 40 anni da questa
legge, con tutte le sue difficoltà riesce ancora oggi a proporre, nonostante tutto, percorsi
formativi idonei, capaci di aiutare gli allievi con deficit a diventare più uomini. Il
“Modello italiano” si basa su questi punti: 1. Nessuno può rifiutarsi di accogliere un
soggetto con disabilità nel contesto classe; 2. La certificazione di disabilità porta
automaticamente alla collaborazione tra servizio sanitario-riabilitativo e scuola; 3.
L’insegnante di sostegno non è per il solo soggetto disabile, ma reca il suo contributo
specializzato a tutta la classe; 4. I consigli di classe sono coscienti della situazione del
ragazzo disabile e lavoro in unità di intenti; 5. I genitori sono sempre coinvolti nelle
scelte operative e didattiche; 6. La scuola deve avere un piano dell’offerta formativa
significativo dal punto di vista dell’inclusione; 7. All’interno della scuola ci sono gruppi
di lavoro specializzati per l’educazione e la formazione dei soggetti disabili; 8. Le
famiglie dei bambini senza deficit accettano la presenza in classe di un bambino con
deficit. 32 La Pedagogia Speciale nelle istituzioni internazionali Eventi fondamentali
promossi da organismi internazionali sono: 1978: - Conferenza sull’istruzione speciale
per i bambini minorati nella comunità europea organizzata a Roma dalla commissione
europea in collaborazione con il ministero italiano della pubblica istruzione - l’OECD-
CERI avvia un programma di studio sugli adolescenti handicappati 1980: ICIDH =
prima classificazione internazionale della disabilità da parte dell’OMS. 1981: l’ONU
annuncia l’Anno internazionale dell’handicappato 1987: Programma di collaborazione
europea sull’integrazione dei minorati nell’ambito della scuola su decisione del
Consiglio dei Ministri dell’educazione della Comunità europea. 1988: avvio del primo
Programma Helios che proseguirà con Helios II e terminerà nel 1996. 1989: l’OECD-
CERI presenta il progetto “La vita attiva degli adolescenti handicappati”. 1990: Prima
conferenza mondiale per il programma d’azione Education for All (Thailandia), al fine
di rendere l’istruzione primaria accessibile a tutti i bambini e per ridurre massicciamente
l’analfabetismo entro la fine del decennio 1990-2000. 1993: Adozione da parte
dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite delle Regole standard per il
raggiungimento delle pari opportunità per i disabili. 1994: Dichiarazione di Salamanca
UNESCO-ONU sui bisogni educativi speciali. 1995-1998: Conferenze di Washington
organizzate dal Dipartimento degli Stati Uniti e l’OECD. 1995: Risoluzione del
Consiglio europeo per la nascita dell’European Agency for Develepment in Special
Needs Education (EADSNE), finalizzata con il sostegno della commissione europea.
1996: Carta di Lussemburgo Una scuola per tutti e per ciascuno a conclusione di progetti
HELIOS I e HELIOS II. 1997: Principio di non discriminazione nel trattato di
Amsterdam. 1999: OECD-CERI “Conference on Higher Education and disability” a
Grenoble. 2000: Conferenza mondiale di Dakar per il programma di azione Education
for All, World Education Forum (WEF) 2001: ICF (International Classification of
Functioning, Disability and Health) approvato dall’OMS. 2002: Dichiarazione di
Madrid: azioni positive inclusione sociale 2003: - “Anno europeo delle persone con
Disabilità”, proclamato dall’UE. - Definizione di “Design for All” adottata dalla
Commissione Europea, COM 650. 2003-2010: Piano d’azione dell’UE a favore delle
persone disabili. 2006: Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità 2007:
Incontro europeo dei giovani con BES a Lisbona, promosso dall’UE e dall’EADSNE.
2008: Guidelines for Inclusion 2009: Policy Guidelines on Inclusion Education. 2010-
2020: Strategia europea sulla disabilità 2010-2020. 2013: Colloque International,
“L’éducation inclusive: une formation à inventer” 2014-2020: Programma quadro per la
ricerca e innovazione dell’UE. 2014: “Raising achievement and attainment for all” 2015:
World Education Forum 2015 35 CAPITOLO 4.1 – Pedagogia speciale e disabilità
intellettiva Pinel riteneva l’idiozia come una categoria nosografica autonoma,
distinguendosi da qualsiasi altra forma di “sragione”. Secondo lui l’idiozia non era
curabile. Sulla sua scia, Esquirol, suo allievo, distingue l’idiozia in - idiozia vera e
propria, di grado avanzato, - imbecillità, di grado più lieve. Di fatto l’esperienza con
l’enfant sauvage di Itard e gli studi successivi di Séguin, hanno dimostrato che l’idiozia è
curabile. Séguin definisce l’idiozia come “un’infermità del sistema nervoso che ha per
effetto radicale di sottrarre tutti o parte degli organi e delle facoltà del bambino
all’azione regolare della volontà”. Per l’autore è possibile intervenire mediante un
metodo educativo che egli definisce “fisiologico”, che considera la persona globalmente,
con la finalità di una sua integrazione culturale, sociale e persino lavorativa. Alla fine
dell’800 Sollier, nel distinguere l’idiozia e l’imbecillità, supera i lavori di Esquirol
ponendo le basi per una prima distinzione tra dimensione quantitativa e dimensione
qualitativa delle possibili cause del deficit mentale. Per Sollier, infatti: - nell’idiota si
notano i tratti di un arresto più o meno grave dello sviluppo mentale, - nell’imbecille
sono presenti i tratti di uno sviluppo anormale. In Italia nel 1874 viene fondata la Società
di Freniatria. Il suo fondatore, Verga, definisce gli idioti frenastenici (dal greco FREN =
mente e ASTENIA = debolezza) per ricordare che più che una vera e propria malattia
della mente, si tratta di una “debolezza” delle funzioni cerebrali, considerata comunque
inguaribile. - Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo ci furono molteplici iniziative
con finalità educative e di ricerca: nel 1894 viene fondata la rivista L’Ortofrenia; - nel
1899 viene fondata la prima scuola per i bambini deficienti; - nel 1900 viene fondata la
prima Scuola Magistrale Ortofrenica. Questo era il contesto in cui ha operato la
Montessori, che ha sottratto alle cure prettamente assistenziali e filantropiche i bambini
deficienti mentali. In occasione del II Convegno dei Pedagogisti, che si tenne a Napoli
nel 1901, Montessori presentò una classificazione dei deficit mentali, che orientò la
distribuzione di questi bambini nelle varie classi: - i casi gravi-ineducabili finivano negli
istituti medico-pedagogici; - i casi medio-gravi finivano nelle classi speciali; - i casi
lievemente tardivi andavano nelle classi differenziali. Nonostante il lavoro di questi
pionieri dell’educazione speciale, le condizioni sociali delle persone “sub-normali”
rimasero le stesse per lungo tempo. Con la Dichiarazione dei diritti delle persone con
ritardo mentale emanata dall’ONU nel 1971 iniziano ad acquisire un minimo di
integrazione sociale e di interesse generale, almeno come casi di studio. 36 In Italia le
cure prettamente assistenziali, che non sono mai mancate verso questa tipologia di
persone, permette di creare quella sensibilità sociale tale, che dà avvio, nella seconda
metà degli anni ‘70, al processo di integrazione scolastica nelle “classi comuni” di tutti
gli allievi. Questo permette di capire, nell’arco di un trentennio, che con le dovute
attenzioni anche le persone con ritardo mentale possono aspirare ad una propria
maturazione e crescita personale, nella realizzazione di un percorso esistenziale orientato
all’autonomia. Con i nuovi studi sulla mente, sul pensiero e sull’intelligenza di fine
1900, si palesa l’idea che il Ritardo Mentale non sia una malattia e che anche l’indice di
Q.I. sia una nozione arbitraria nella demarcazione tra funzionamento “normale” e
“anormale”. Si concepisce ormai l’idea di una funzione in movimento, un processo che
costruisce strutture cognitive in relazione ai contesti culturali e linguistici e che evolve
lungo tutto l’arco vitale dell’individuo. Si tratta di consapevolezze che maturano
nell’elaborazione normativa internazionale e che trovano pieno riconoscimento nell’ICF,
il quale promuove un approccio bio-psico-sociale, che tenga conto di tutti gli aspetti che
coinvolgono la vita dell’uomo. In virtù di questo approccio i nuovi documenti ICD-11 e
DSM-V sostituiscono la locuzione “ritardo mentale” con quella di “disabilità
intellettiva”. Inoltre alle sole misure quantitative del Q.I., in questa nuova edizione
vengono preferite la valutazione delle funzioni intellettive e del funzionamento adattivo,
in relazione agli apprendimenti. 37 CAPITOLO 4.2 – Pedagogia speciale e deficit visivo
Braille intuì che la lettura tattile della linea o delle lettere contornate fosse lenta ed
artificiosa. Sostituì dunque la linea con il punto. Il metodo, ideato da Barbier, prevedeva
un sistema di 12 punti. Ma era ancora troppo artificioso. Braille ridusse i punti da 12 a 6,
quanti entravano in un polpastrello. Il codice Braille è un codice a rilievo, che con 64
segni indica il sistema alfabetico, numerico e musicale. Ciascuna lettera è inscritta in uno
spazio di 6mm di altezza per 3mm di larghezza. I punti sono disposti in 3 righe per un
massimo di due punti per ciascuna riga. Nonostante varie opinioni discordanti, il metodo
Braille è ancora oggi quello più utilizzato per l’inclusione dei ciechi. Il primo istituto per
ciechi in Italia in cui si insegnava il metodo Braille sorse a Napoli nel 1818, poi si
estesero nuovi istituti su tutto il territorio. Il maggiore tiflologo del Novecento fu
Romagnoli. Romagnoli: Era Ipovedente grave alla nascita per una congiuntivite
neonatale; All’età di 30 anni diventò cieco totale. Si laureò in filosofia con una tesi
su Introduzione all’educazione dei ciechi e divenne il primo professore di filosofia cieco
in Italia. Si occupò fin da subito di didattica dei ciechi. Nel 1910 fondò la Società
degli insegnanti ciechi italiani. Ebbe l’onore di essere chiamato dal Ministero della
Pubblica Istruzione a controllare su tutto il territorio quali fossero le migliori scuole per
ciechi per poterle rendere statali. Nel 1926 fu chiamato a dirigere la prima Scuola di
metodo per gli educatori dei ciechi a Roma. Arrivò a porsi come antesignano nella
teorizzazione dell’integrazione scolastica degli alunni non vedenti, proponendone
l’inserimento nelle scuole comuni, pur consapevole che la temperie culturale dell’epoca
non era ancora matura per concettualizzare questa soluzione inclusiva. Fu lo studioso
italiano che meglio riuscì ad elaborare la riflessione tiflopedagogica precedente e a
teorizzare in modo organico una pedagogia del non vedente e una criteriologia di
intervento volta dello sviluppo globale della personalità dei privi della vista. Nel caso del
non vedente i sensi vicarianti sono l’udito ed il tatto. Se viene iper-valorizzato solo
l’udito si hanno i cosiddetti blindismi o ciechismi, tra cui vi sono: - il camminare in un
certo modo, - il dondolarsi, - lo strofinarsi gli occhi in continuazione, - i monologhi
egocentrici prolungati. Occorre fare leva anche sulla percezione tattile, soprattutto per
quelle conoscenze che nei ciechi non sono automatiche, tipo l’esplorazione e la
percezione dello spazio, del proprio corpo e dei rapporti tra più oggetti nello spazio.
Bisogna prestare attenzione anche all’avvicinamento del bambino non vedente alla
lettura, che diventa lo strumento di inclusione sociale e di stimolazione della fantasia,
nonché facilitatore dell’astrazione e della rappresentazione mentale. 40 Un primo
approccio ad un intervento educativo va ascritto alla Elgar, che fece uso di un
insegnamento strutturato e di supporti visivi per fornire informazioni comprensibili agli
allievi. A lei si ispirarono i lavori di due grandi figure: Lovaas e Schopler. Lovaas
delineò un modello d’intervento rivolto ai bambini autistici elaborato secondo i principi
dell’analisi comportamentale applicata. Tale programma, pur avendo avuto diverse
critiche, ha comunque fornito risultati documentati estremamente significativi,
consentendo anche ad alcuni bambini di arrivare ad avere una vita discretamente
adattata. La principale riserva che fu fatta a Lovaas fu l’utilizzo di rinforzi negativi e di
stimoli punitivi. Attualmente l’analisi comportamentale applicata (ABA – Applied
Behavior Analysis) rappresenta forse il modello di intervento che riscuote maggiore
validazione scientifica e che, nelle sue applicazioni più recenti, prevede anche un
approccio molto naturalistico, con l’insegnamento del comportamento nel contesto in cui
lo stesso si manifesta, utilizzando stimoli e rinforzi sempre presenti nell’ambiente. I
principi su cui si fondava il trattamento proposto da Lovaas erano: 1. Il luogo
privilegiato dove svolgere l’intervento era la casa, la scuola e qualsiasi altro familiare al
bambino; 2. L’intervento deve essere iniziato precocemente, possibilmente prima dei 5
anni, e sviluppato intensamente; 3. L’intervento va condotto secondo le strategie
proposte dall’analisi comportamentale applicata; 4. Le unità di comportamento per
l’autonomia che vengono insegnate devono essere prima piccole e semplici, per poi
passare ad altre più ampie e complesse. Il lavoro di Schopler permise di realizzare il
programma TEACCH, il quale, al pari dell’ABA, riscuote grande successo a livello
internazionale. Il programma TEACCH mirò a favorire, sin dall’inizio, l’adattamento
della persona con disturbo autistico nel proprio ambiente di vita, attraverso precise
modalità organizzative e specifiche strategie educative personalizzate. Si concentrava su
due aspetti particolari: - da un lato potenziare le capacità del bambino, - dall’altro
modificare l’ambiente affinché potesse adattarsi alle capacità del bambino autistico. Alla
fine degli anni ‘70 una serie di studi permise a Wing e Gould di scoprire che non
esisteva una sola forma di autismo, ma ben tre diverse tipologie: 1. Gli isolati o
inaccessibili, che risultano simili ai soggetti descritti da Kanner; 2. I passivi, con
comportamenti di indifferenza nei confronti dell’ambiente circostante; 3. Gli attivi ma
bizzarri, che sono socialmente presenti, ma con azioni inconsuete. Si apriva la strada
verso la delineazione di uno spettro autistico. Lo studio metteva in mostra come i
disturbi della comunicazione, della socializzazione e dell’immaginazione avessero la
tendenza ad apparire insieme, piuttosto che in maniera isolata. 41 Dagli anni ‘80 in poi
sono stati sviluppati vari modelli per cercare di sviluppare i sintomi dell’autismo: 1.
Deficit di teoria della mente (Frith-Cohen) = nell’autismo la disfunzione cognitiva, da
cui deriverebbero gli altri sintomi, consiste in una incapacità di rendersi conto del
pensiero altrui; 2. Coerenza interna del sistema cognitivo (Frith-Happé) = ogni individuo
possiede una coerenza interna che permette di riconoscere la maggior parte degli
elementi comuni nei vari contesti; nell’autismo manca la coerenza interna; 3.
Compromissione delle funzioni esecutive (Ozonoff) = nell’autismo verrebbe mancare la
capacità di problem solving, che fa capo alle funzioni esecutive, ovvero quelle svolte dai
lobi frontali che consentono il controllo volontario del comportamento cognitivo e
motorio. 42 CAPITOLO 4.5 – Pedagogia e sindrome di Down 1866 Down pubblica il
primo articolo che descrive in maniera dettagliata le caratteristiche dell’idiozia mongola.
1876 Fraser e Mitchell forniscono la prima descrizione clinica di una paziente con la
Sindrome di Down. 1959 Lejeune individua nell’anomalia cromosomica la vera causa
della Sindrome di Down. 1961 la rivista The Lancet sceglie la locuzione “Sindrome di
Down”. 1966 Penrose e Smith pubblicano il testo Down’s Anomaly, inquadrando la
Sindrome di Down come condizione genetica specifica. Nel suo testo Down utilizzò la
classificazione etnografica su base craniometrica introdotta dall’antropologo tedesco
Blumenbach, il quale proponeva una classificazione dell’umanità in 5 razze: 1. Razza
bianca o caucasica; 2. Razza rossa o americana; 3. Razza olivastra o malese; 4. Razza
gialla o mongola; 5. Razza negra o africana. Partendo da questa classificazione delle
etnie e sulla base di un’attenta osservazione degli idioti, Down giunse alla conclusione
che questi potevano essere ricondotti alla razza mongola. Down descrisse in maniera
dettagliata e accurata le caratteristiche fisiche e comportamentali dell’idiozia mongola.
Secondo le credenze dell’epoca l’idiozia mongola di Down era una degenerazione della
“razza bianca” verso la “razza gialla”, sostenendo quindi che questo tipo di idioti fosse
riconducibile ad una tipologia evolutivamente regredita. Down però non riuscì ad
individuare le cause della sindrome. Nel 1876 Fraser e Mitchell fornirono la prima
descrizione clinica di un paziente con questa specifica sindrome, incanalando gli studi
verso i tratti somatici, lo sviluppo mentale e l’incidenza statistica. Soltanto nel 1959 si
riuscì a capire, grazie ai lavori di Lejeune, che la causa scatenante della sindrome era la
trisomia del cromosoma 21. I grandi cambiamenti socio-culturali del 1900 e le nuove
scoperte medico-scientifiche riguardo alla sindrome, richiesero per questa patologia una
nuova terminologia: grazie alla rivista The Lancet nel 1961 si mutò da “mongolismo”
alla locuzione “Sindrome di Down”, in onore del suo primo scopritore. Nel 1966
Penrose e Smith pubblicano il testo Down’s Anomaly, inquadrando la Sindrome di
Down come condizione genetica specifica e separandola da tutte le altre forme di ritardo
mentale.