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03-03-2021
Programma articolato in due parti.
1) Carattere generale, questioni epistemologiche della disciplina. Parla delle finalità, del
problema di utilizzare un linguaggio preciso e vigoroso. Cura educativa, inclusione,
inclusione.
2) Contenuto dell’approccio narrativo, approfondimenti tematici, resilienza, cura, aiuto,
progetto di vita, il ruolo dell’educatore.
Esame scritto, consiste in una traccia aperta con tempo 1h/1:30h e spazio limitato.
1) La pedagogia è una scienza autonoma:
Epistemologia: discorso sulla scienza sulla sua origine e quali sono le condizioni che ci permettono
di dire che le discipline sono scienza. E tutto ciò che ci ostacola nel dire che non sono una scienza.
Com’è costituita una disciplina per essere considerata scienza:
Una disciplina può essere considerata scienza quando si verificano tali condizioni
1) avere un linguaggio e una terminologia specifica, particolare, originale che non viene presa
in prestito dalle altre scienze.
2) Deve avere dei suoi specifici oggetti e soggetti di studio e di ricerca che sono in parte
tradizionali e in parte nuovi e moderni.
3) Deve avere delle finalità alle quali tendere come scienza.
4) Deve poggiare su dei modelli di classificazione che nel corso del tempo di sono evoluti e
trasformati
quando si verificano queste condizioni si può dire che la pedagogia speciale è scienza.
Quindi la pedagogia speciale è una scienza autonoma, cioè una scienza che nonostante ha delle
radici con altre scienze ma che comunque è una scienza che si fa da sola. È una scienza di ricerca
teorico-pratica, empirica, euristica, sensibile.
Ha una sua terminologia, ha oggetti e soggetti di indagine propri.
La pedagogia speciale si differenzia dalle altre scienze e soprattutto dalla pedagogia generale
perché si occupa di persone diversamente abili, quindi ha altri oggetti di studio di indagine e di
ricerca.
Speciale: è il bisogno educativo di chi è in situazione di disabilità, diversità.
Che tipo di scienza è la pedagogia speciale?
È una scienza giovane, moderna. Nasce tra l’incontro di Victor e Itard. Victor è un ragazzo
selvaggio mentre Itard è un medico e pedagogista.
È nata a fine 700 inizio 800. Non è una scienza con una storia molto lunga.
I rapporti con le altre scienze:
Il rapporto più immediato è quello con la pedagogia ma anche con le scienze umane e
dell’educazione. Viene definita come una disciplina di frontiera. Cioè dialogare con le altre scienze,
dove dalle mie conoscenze si aggiungono altre scienze quindi avviene un evoluzione.
2) La pedagogia speciale è una disciplina di frontiera:
Se i confini e i sentieri nella loro malleabilità diventano poi rigidi il rischio è quello che i confini e le
frontiere diventano delle barriere. C’è il rischio quindi che la pedagogia speciale passi come una
disciplina chiusa ed isolata e che si auto emargina. La frontiera, quindi, è importante perché
permettono processi di scambio, di conoscenze, linguaggi e saperi. Quindi la frontiera permette
uno scambio di conoscenze. Quindi permette di allargare i suoi orizzonti e la rende alla pari con
altre conoscenze. Avviene un allargamento di vedute. La frontiera e il sentiero sono importanti
perché permettono processi di scambio di conoscenze e di sapere.
Frontiera: è un concetto di pedagogia speciale che ha una duplice condizione, di dimensione
teorica e pratica.
L’altro rischio è quello di essere troppo accoglienti in questi confini e sentieri e quindi di essere
usurpati dai nemici (psicologia e medicina) che con la loro forza scientifica tendono a impoverirci e
considerarci terra di conquista.
Rapporto pedagogia generale pedagogia speciale
La radice è la stessa, la pedagogia speciale è la figlia della pedagogia generale. Ferdinando
Montuschi in uno delle sue opere dirà che La pedagogia speciale è il nucleo più sensibile della
pedagogia generale.
Cosa c’è di buono in questa sua definizione e cosa c’è di sbagliato?
Se io parto dall’idea che è una scienza autonoma vuol dire che ha una possibilità di esistere
indipendentemente delle altre scienze. Mentre Montuschi dicendo che è il nucleo afferma
l’incontrario.
Montuschi però fa vedere che è una persona sensibile e la pedagogia speciale richiede sensibilità,
una scienza della cura, dell’accoglienza, dell’ascolto.
Cosa rende una scienza autonoma?
L’idea di non essere schiava e una parte di altre scienze compresa la pedagogia generale. Per
essere autonoma ha bisogno di avere un suo linguaggio, i suoi oggetti e soggetti di indagine perché
quelli si differenziano.
La pedagogia generale si prefigge gli stessi obiettivi della speciale, e si occupa di soggetti
Normoabili
Mentre quella speciale si occupa di studenti/adulti diversamente abili.
Quindi cambia l’oggetto di studio.
La pedagogia speciale è una scienza che ha un duplice dimensione una teoretica e una più pratica
e empirica.
PEDAGOGIA SPECIALE 04-03-2021
3) La pedagogia speciale è scienza della complessità e della diversità
AUTONOMIA EPISTEMOLOGICA: Prima della legge Iori per fare l’educatore non serviva una
laurea. L’autonomia di una disciplina non vuol dire essere autosufficienti, l’autonomia consiste in
realtà nell’organizzarsi per avere delle relazioni potenziate. Quindi l’autonomia per chi lavora con
persone con situazioni con disabilità è saper chiedere, a chi chiedere ecc., è appunto
un’organizzazione di aiuti e organizzazioni che servono per la nostra autonomia.
Il problema dell’autonomia della pedagogia speciale era un problema ribadito più volte.
La pedagogia speciale per tanti anni è stata una scienza che non è mai esistita.
La pedagogia speciale, alla base ci sono i concetti fondanti, le strutture concettuali più importanti
cioè la diversità, la cura, l’integrazione l’inclusione.
Al secondo piano abbiamo il linguaggio specifico che sottende un significato che richiama ad una
semantica.
Sono presenti anche degli oggetti di studio e di ricerca particolari. Ovvero studia e si occupa di
educare e formare le persone con bisogni educativi speciali, quindi si occupa di diversità.
Quali diversità? (oggetti di studio)
Quelle tradizionali categorie di diversità, cioè le persone che vivono in situazione di deficit e di
disabilità, e situazioni di handicap.
La connotazione speciale sottolinea un’avanguardia e un’esigenza. Vuol dire che abbiamo a che
fare con persone e soggetti speciali, la differenza non è difficoltà e diversità.
Nuove categorie di diversità: nuovi disagi, nuove devianze. Queste categorie di diversità vanno
aggiunte e non sostituite. Questa categoria comprende Anoressia, bulimia, disturbi del
comportamento, iperattività, depressione, dipendenze, DSA, Bes. Quindi nuovi problemi
relazionali e comportamentali.
Quando parliamo di scienza integrata si parla dei diritti che si devono avere e quando parliamo di
persone con disabilità noi sappiamo che hanno diritto di esistere e di esserci.
La disabilità spesso non è alla pari delle altre situazioni di vita. La disabilità è una conseguenza del
deficit.
RI-CONOSCERE: vuol dire non soffermarsi solo sulla patologia, ma andare oltre conoscerlo nella
sua globalità, andare oltre la diagnosi medica conoscendo la persona nella sua storia e nella sua
personalità.
PEDAGOGIA SPECIALE DEL 10/03/2021
La diversità è come una sorta di provocazione, crea dissonanza
4 punto: SCIENZA PROVOCATORIA E TRASGRESSIVA
Perché la pedagogia speciale è provocatoria e trasgressiva?
Perché il suo oggetto d’indagine rappresentato dalle tradizionali categorie di diversità che fanno
riferimento alle situazioni di deficit, disabilità ed handicap, occupandosi di diversità non può non
essere una scienza che grazie al bisogno di interrogarsi sulla diversità, non va a interrogare i
contesti.
La diversità è una categoria complessa (si pensi ad esempio ad un ragazzo cieco e sordo) è una
presenza che rompe le consuetudini, che crea un effetto dissonante, che rompe le simmetrie e
pone una domanda: ‘ per accoglierlo e comprenderlo, cosa devo fare? Come mi relaziono? Come
devo cambiare il contesto dove lavoro? Cosa faccio per accogliere la sfida della diversità?’
Diversità implica una riorganizzazione, un cambiamento di quello che noi chiamiamo L'ISTITUTO. Il
contesto che si presenta già organizzato come la scuola. Quando una persona con disabilità, vuole
esserci nel contesto con noi, non solo come una mera presenza improduttiva, è normale che la
diversità di questa persona con disabilità crea una provocazione a questo contesto, vuole esserci la
persona, avere una identità. La diversità fa emergere in modo amplificato le difficoltà del contesto.
Questa idea della trasgressione, andare oltre le logiche prestabilite---- Kant nella critica della
ragion pura, si interrogava riflettendo sul fatto di oltrepassare il limite. Il limite non è posto solo
dagli ostacoli e le barriere, ma anche dagli ostacoli etici, morali, culturali ed emotivi, che si creano
nei confronti delle persone più vulnerabili.
Diversità: Lente d’ingrandimento. La presenza di un alunno sordo cieco in classe, si è comunque
chiamati a interrogarsi sul senso della presenza della persona con questo tipo di deficit all’interno
di quel contesto. Focus sulla diversità di questo ragazzo ipotetico che in questo caso è sordo cieco.
Per affrontare i bisogni, le esigenze del ragazzo, dovremmo cambiare un po' tutto, il modo di
relazionarci, il modo di renderlo partecipe, il modo di insegnare, dovremmo individuare le
strategie, la modalità d’organizzazione, quali strumenti e quali strategie di fronte ad una persona
sordo cieca.
Provocazione della diversità- Bisogna andare oltre il limite, cambiare le cose, se un ragazzo ha
disabilità, bisogna aiutarlo. Cercare di adattare il contesto, il nostro modo di pensare a lui. Io mi
impegno a migliorare la qualità della vita, non solo di quella persona lì, ma quella di tutti.
Se vince la sfida di esserci, la vita di tutti è migliore. Con la pedagogia speciale si accettano le sfide,
non le si emarginano.
Bisogna rendere la diversità una categoria con le medesime opportunità di uguaglianza educativo-
formativa. Pari opportunità.
Perché la prof ha dato la definizione di pedagogia speciale come scienza della diversità e
complessità?
Cosa significa complessità? Ciò che è complesso non è complicato. COMPLESSO-COMPLEXUS DAL
LATINO, significa comprendere, abbracciare e intrecciare, creare interconnessioni e ricercare
connessioni, relazioni, mediazioni. Mentre la parola complicato- complicatus dal latino, significa
piegare insieme (come se piegassimo dei fogli) quando si piega qualcosa si fanno più pieghe e ciò
che ha più pieghe non è semplice.
Dagli anni 80 entra in uso il paradigma della complessità. La complessità non è complicata, anche
se la complessità non è semplicità. Non significa semplifichiamo, tagliamo o eliminiamo. Ma la
semplicità è il contrario della complessità. La complessità è un concetto che solleva interrogativi,
domande e dubbi; mentre la semplicità richiama all’idea che noi vogliamo andare a trovare
sempre una soluzione.
La complessità non è un paradigma da ridurre e non risponde nemmeno alla legge di andare a
risolvere un problema. Quando parliamo di complessità noi dobbiamo pensare: se il pensiero
lineare, apparentemente semplice, unidirezionale, per es: ragiona da A a B, da B a C, da C a D… ciò
che lega queste lettere sono dei meccanismi, ma non si può tornare indietro, perché ogni
passaggio è dato da quello precedente.
Pensiero complesso: In alto c’è la D la diversità, poi pensiamo a tante frecce, una in basso o in alto
o a destra o a sinistra, si chiama reticolo. Dalla diversità partono quindi tante diramazioni. Il
pensiero complesso è reticolare. Si hanno legami, connessioni tra loro. Cosa lega A con F? un certo
significato. La complessità non è complicata, ma arricchita, molto diramata.
Perché la complessità si lega bene alla diversità? Diversità componente intrinseca della
complessità.
La complessità arricchisce, potenza e migliora l’interpretazione della diversità, oppure crea
problemi?
La diversità è arricchita perché è accolta con più modi, più prospettive. La complessità garantisce
maggiori chiavi di lettura della diversità. La complessità non chiude le prospettive, le allarga.
La complessità arricchisce poiché non si pone dei limiti di pensiero avendo varie ipotesi, si collega
al punto 4.
Complessità e diversità, legame:
perché sono legate? Che relazione c’è?
-La complessità garantisce maggiori chiavi di lettura della diversità
-La complessità si lega alla diversità perchè quest'ultima fa parte del reale e della nostra società
-La complessità arricchisce perché non è un percorso lineare di imposizione di pensieri, ma un
percorso più vario e ampio per permettere più visioni della stessa tematica trattata
-Arricchisce perché crea interconnessioni molto importanti per cercare tutte le possibili soluzioni,
strategie
MORIN, è un epistemologo della complessità.
3 PRINCIPI:
DIALOGICO, RICORSIVO, OLOGRAMMATICO
La situazione di deficit non può essere così invalidante da oscurare la globalità della persona. La
persona, nelle sue tante abilità e capacità, nella sua totalità, va sempre oltre il deficit.
2) SECONDA PARTE: “per ridurre la condizione di handicap”
La condizione di handicap è RIDUCIBILE, riducendo quelle barriere (architettoniche e non).
⇨ CATENA EZIOPATOGENETICA
Sindrome di Turner
● NOXA PATOGENA: Anomalia nei cromosomi sessuali, il bambino nasce cono un solo cromosoma
● MALATTIA: Malattia genetica, cromosomica
● DANNO: è permanente e quindi si parla di situazione di deficit
● DEFICIT: Sindrome di Turner
● DISABILITA’: Nanismo, sviluppo incompleto sessualmente, ritardo cognitivo, problemi di
apprendimento e incapacità ad avviare spontaneamente la pubertà, difficoltà visive e uditive,
quoziente intellettivo normale ma deficit nella visualizzazione spaziale
● HANDICAP: Il contesto sociale risulta non essere predisposto per far interagire il ragazzo
⇨ ADATTAMENTO DELL’AMBIENTE E DELLE SITUAZIONI creando un contesto adeguato alle
esigenze e all’interazione con gli altri del bambino
PRINCIPI E. MORIN
● DIALOGICO- ogni elemento di questo sistema complesso dialoga con TUTTE le altre parti del
sistema.
● RICORSIVO- ogni elemento del sistema può ritornare indietro (feedback proattivi e retroattivi). Da A
a F, da F a C, etc.
● OLOGRAMMATICO- visione di insieme, corale dove a seconda del gioco di prospettive la condizione
può essere letta e interpretata in maniera diversa.
Alla base c’è un principio COMPLESSO, tutto è messo in relazione e non secondo una relazione lineare
⇨ RETICOLO
Schema RETICOLATO
Superamento della visione medicalizzata, maggiore flessibilità nel sistema e maggiore comunicazione:
RIVOLUZIONE ANTROPOLOGICA E EDUCATIVA.
Modi di agire collegati in modo interdipendente tra loro -> Visione multifattoriale.
Si parla delle capacità, delle possibilità, delle performance che una determinata persona che si trova in una
situazione di deficit riesce a fare. NON QUELLE CHE NON SA FARE.
Favorire la partecipazione eliminando ogni ostacolo, barriera che si oppone alla partecipazione.
CONDIZIONE DI SALUTE
● ATTIVITÀ PERSONALI (vita quotidiana): mobilità, cura della persona, comunicazione, autostima
e
● ATTIVITÀ SOCIALI (vita di comunità): scuola, lavoro, etc.
Anche se le funzioni/strutture corporee sono più ristrette possiamo comunque essere integrati nella società
Le ATTIVITÀ PERSONALI E SOCIALI sono influenzate dai FATTORI CONTESTUALI AMBIENTALI E PERSONALI
⇨ Se esse sono valide (facilitano la vita) non ci saranno problemi nell’interazione con gli altri, la
partecipazione all’interno della società avverrà in modo pieno e tutti saranno pienamente
partecipi nella vita con e insieme agli altri.
⇨ Se esse NON sono valide la condizione non presenta facilitazioni ma barriere e il livello di
partecipazione sociale sarà ridotto, minore, etc.
La persona deve, in questo caso, lavorare per eliminare l’handicap e non può partecipare
attivamente alla vita sociale.
Il funzionamento del soggetto, che si cerca di comprendere nella complessità delle situazioni attraverso il
modello ICF, può evidenziare difficoltà rispetto a
- Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari,
lesioni, ecc.;
- Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.;
- Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria ecc.;
- Fattori contestuali, ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile,
culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.; personali: scarsa autostima, reazioni
emotive eccessive, scarsa motivazione, ecc.
⇨ AMBIENTE può essere ostacolo o facilitazione e dipende principalmente dal contesto. L’impatto
del sociale è MOLTO RILEVANTE.
⇨ Modo di pensare del pensiero complesso.
Se una persona in situazione di deficit risponde a una nostra richiesta in maniera problematica allora ci si
pone tali domande:
Prima degli anni 70 c’è stata tutta una fase storica che parlava della segregazione delle persone con le
disabilità. Prima dell’integrazione c’è stata una fase di non accettazione di queste persone che vivevano
nelle condizioni di disabilità, creando per esempio all’interno della scuola delle classi speciali in cui venivano
messi solo coloro che erano afflitti da disabilità. Era una logica selettiva e “Razzista”, le classi differenziali
erano quelle classi che accoglievano anche le persone che vivevano in una condizione di svantaggio e di
disadattamento sociale. Ci sono delle leggi che hanno consentito l’inclusione di queste persone.
L’integrazione non va intesa come inserimento selvaggio e non va intesa nemmeno come integralismo e
integrismo. L’inserimento selvaggio sta a significare che inizialmente non era facile mischiare all’interno
delle classi persone normali con persone che avevano delle disabilità. Questi tentativi sono stati diciamo
una sorta di spartiacque. E dobbiamo riconoscere che i primi tentativi di integrazione sono risultati
fallimentari e poco rigorosi dal punto di vista di una cultura scientifica. Questi termini non vanno intesi
come coincidenti o come ereditari. Per un po' di anni la selvaggeria dell’inserimento è stata molto
frequente. Inserire vuol dire collocare qualcuno all’interno di un contesto. Non basta solo la presenza fisica.
In quel modo possiamo parlare solo di una socializzazione in presenza. Avere pari opportunità formative ed
educative è tutta un’altra storia. L'integrismo è un inserimento parziale, ma c’è una parte mancante. Vuol
dire che hai sviluppato alcuni aspetti della socializzazione ma non tutti. Per quanto riguarda l’integralismo
invece è un’idea opposta a quella dell’inclusione e dell’integrazione, infatti se io per esempio non sono
cattolico vengo tagliato fuori. L’inclusione è figlia dell’integrazione. L’integrazione va letta in una duplice
declinazione, dobbiamo pensare a come il contesto è barriera o ostacolo. Bisogna pensare che quando una
persona con disabilità si presenta in un nuovo contesto e bisogna capire se favorisce inclusione o
esclusione, tutto ciò attraverso un processo chiamato contestualizzazione, l'altro processo è quello della
personalizzazione, ovvero creare quegli obiettivi, traguardi ecc che rispondono a quelle che sono le loro
esigenze particolari. Tutto ciò vuol dire diversificare, cambiare metodi, strategie ,attività, al fine di renderle
adattabili al soggetto con disabilità. Noi dobbiamo pensare anche se abbassare o elevare gli obiettivi.
Quando noi entriamo in contatto con una persona che ha un disturbo dell’apprendimento si deve mettere
in atto il PDP il piano didattico personalizzato.
La parola Integrazione deriva dal latino “Integer” In senso generico, il fatto di integrare e di rendere intero,
pieno perfetto ciò che è incompleto o insufficiente. Le categorie fondative dell’integrazione sono
l’accoglienza, l’aiuto e la cura. Non c’è un clima di integrazione se noi non siamo predisposti all’ascolto e
alla cura dell’altro. Dobbiamo pensare che l’integrazione deve favorire la partecipazione da parte di tutti.
C’è un connubio inscindibile tra il PEI e il progetto di vita e quindi integrare il PEI nel nostro processo di vita.
L’integrazione è l’accettazione del deficit e la riduzione dell’handicap. L’integrazione è un adattamento
reciproco che è una condizione imprescindibile, vuol dire che deve esistere un equilibrio dinamico tra la
persona con disabilità e il contesto scolastico che desidera essere accolto e integrato con gli altri. Deve
essere una dialettica di reciprocità che porta all’adattamento del contesto ai disturbi educativi speciali di
quella persona, sennò quella persona si aliena e viene disintegrata se non c’è questo sforzo di adattamento.
Questo adattamento deve avvenire sia da parte della persona che da parte del contesto. Molto spesso è
più la persona con la disabilità che rincorre ciò che è istituito o l’idea dominante e non vede quindi lo sforzo
da parte del contesto. È nella reciprocità che ci si può incontrare. Parlando di questo abbiamo anche
parlato del fatto che l’integrazione è cultura del cambiamento. Questa dimensione è veramente fondativa
se noi parliamo di integrazione e successivamente quando parleremo di inclusione. Con la differenza che
l’inclusione ha una visione più critica rispetto all’integrazione.
Definizioni di pedagogia speciale -> in questa lezione toccheremo definizioni numero : 4-5-8-7-13
INTEGRAZIONE -.> CULTURA DEL CAMBIAMENTO -> non c’è educazione senza cambiamento e viceversa,
non si può verificare integrazione senza cambiamento, + non si può pensare a un cambiamento se non è
pensato e costruito (progettualità)
EDUCAZIONE-CAMBIAMENTO-INTEGRAZIONE-PROGETTUALITÀ = TERMINI UNITI TRA LORO
Il CAMBIAMENTO si provoca nella persona con disabilità MA SOPRATTUTTO nelle condizioni, nei requisiti,
elementi strutturali del contesto che accoglie le diversità
L'ISTITUTO -> è il contesto, agenzia educativa formativa già prefabbricata secondo regole, criteri, tempi,
modalità di lavoro, attività organizzative che sono già prefissate e sono diventati elementi costanti e
permanenti -> fa molta fatica a cambiare e adattarsi -> MA il contesto istituito deve continuamente
cambiare in ISTITUENTE -> si evolve, deve diventare un contesto significativo e funzionale per rispondere
alla persona con la difficoltà
La persona con bisogno educativo speciale si trova in un contesto che è già organizzato -> già istituito
L’istituzione sorda, rigida -> si evolve, cambia e diventa ISTITUENTE -> accetta e accoglie la diversità e
cambia nella sua istituzione già prestabilita e ferma
L’INTEGRAZIONE non può essere un processo individuale ma è un patto di alleanze, è un insieme di processi
che chiamano in causa più linguaggi, risorse e competenze -> processo collettivo, che deve assumere una
visione corale -> traguardo che vede impegnati tutti e non solo alcuni a scapito degli altri ->
neuropsichiatra, psicologo, insegnante, genitore ecc.. 🡪 tutti collaborano, tutti protagonisti anche il ragazzo
con difficoltà per raggiungere l’integrazione
SI RAGIONA IN OTTICA DI -> EDUCAZIONE PERMANENTE -> non una cosa che inizia e finisce -> tutti devono
continuamente informarsi, formarsi
INTEGRAZIONE è uno stare insieme agli altri ma anche FARE ->partecipare, apprendere MA questo non
basta,per un’integrazione ottimale conta un fare e uno stare con gli altri MA facendo qualcosa di
significativo sia per se stessi che per gli altri 🡪 PROGETTO DI VITA (punto 13) -> la pedagogia speciale è
scienza che offre possibilità, occasioni di riscatto, luogo di ulteriorità (ciò che non è fermo, scontato, luogo
del futuro, del possibile) -> pensare al futuro 🡪 è questo fare significativo per sé e per gli altri
L’altro ha orizzonti ristretti, chiusi, limitanti visto che vive in situazione di emarginazione NOI dobbiamo
essere provocatori per far si che l’altro (con difficoltà) possa mettere in gioco propria esistenza e ricollocarsi
in proprio progetto di vita 🡪 questo può avvenire se dilatiamo il suo campo di esperienza -> Questo può
avvenire se accettiamo l’idea che dobbiamo colpirlo nell’ottica della staticità della sua vita, per favorire
questo approccio attivo alla vita. -> trovare nuove possibilità di vivere, riprogettarsi
progettazione: serie di fasi,
strumento di organizzazione
che ci permette di formulare
idee, ipotesi -> cercare di
capire come fare per
arrivare a determinati
traguardi, obiettivi e ci sono
degli INDICATORI che
testimoniano validità di certi
passaggi
(definizione 5) ->pedagogia
speciale è scienza del
riconoscimento e dell’integrazione
L’inclusione in qualche modo non coincide con l’integrazione anche se ci sono forti similitudini. Pur
mantenendo alcuni obiettivi assolutamente in una logica di complementarietà con l’integrazione è
differente. Inclusione è il processo di voler comprendere e chiudere dentro e di implicare di far appartenere
all’interno del sistema stesso. Un filosofo parla del concetto di esserci all’interno del mondo. Il concetto di
inclusione lo decliniamo sia in ambito sociale sia in ambito scolastico. L’integrazione era un intrecciare,
dove c’era un elemento che doveva riagganciarsi per arrivare ad una completezza, e quindi c’era l’idea del
ragazzo che stava dentro o fuori dal contesto. Per quanto riguarda l’inclusione si parte da un cambiamento
di rotta che concepisce strutturalmente un contesto che abbia la caratteristica di comprendere e di rendere
parte strutturale del contesto ognuno di noi. Questo implica una innovazione forte dal punto di vista della
didattica che va resa più innovativa e più in movimento, ma anche proprio nell’idea che abbiamo della
scuola e nell'extra-scuola come comunità che formano con pari diritti ognuno. C’è una politica nuova che
sembrerebbe utopistica anche se in realtà potrebbe essere del tutto raggiungibile. Questa è una scuola che
lotta contro le disuguaglianze, la marginazione e la marginalità. I concetti basilari su cui poggia il concetto
di inclusione sono 4:
Oltre all’ICF, un altro documento che testimonia il passaggio da integrazione a inclusione è L’Index for
inclusion con la casa edizione Erickson del 2008. Un altro testo importante dopo la legge Iori è quello di
educatori e pedagogisti scritto proprio dalla stessa Iori.
Un altro elemento evidente è il punto 9, dove per la prima volta hanno introdotto un nuovo concetto, il
concetto di B.E.S che parte dall’inglese e che è stato portato in Italia dai decreti ministeriali del 2021 e del
2013, per la prima volta si allarga il campo d’indagine, se prima le situazioni di deficit di disabilità e di
Handicap, adesso aggiungono delle nuove categorie che sono proprio le Categorie di B.E.S che consentono
la partecipazione, la capacità e l’appartenenza ai contesti scolastici e extra scolastici. Non si parla più di
persone con disabilità ma di B.E.S.
Qui entriamo più nello specifico, il B.ES. non è solo il DSA, sono tutte e persone che vivono in una
situazione di difficoltà o con svantaggio. Chi vive una situazione di disagio affettivo, di
comportamento o chi proviene da un altro paese, non ha un deficit ma ha una difficoltà non
devono essere presi in considerazione? Sotto il segno dell’inclusione ci siamo tutti, i momenti di
svantaggio, di difficoltà e di disadattamento li possiamo provare tutti all’interno del contesto
scolastico e non. Alcuni di noi apprezzano molto il fatto delle slides che ci permettono di utilizzare
anche il canale visivo e non solo le parole. Lo scenario dei B.ES. è molto ampio e non limitato solo
a persone che hanno dei certificati medici, si sono allargati gli orizzonti a tante situazioni che
magari prima non venivano considerate.
Ci saranno vari canali in base alle difficoltà che ha un alunno. Nel primo caso si parla della legge
104 perché il bambino è sordo. Nel secondo caso l’alunno che si trova a vivere una difficoltà di
DSA ha sempre una diagnosi che lo accompagna e ha la 170. Se ci troviamo in una situazione di
ADHD se è diagnosticato dobbiamo utilizzare il PDP, se non è diagnosticato sarà compito o del
corpo docente, o degli educatori o dei collaboratori di dare delle modalità, dei linguaggi di
personalizzazione per cercare di dare una risposta equa e professionale all’interrogativo che non è
diagnosticato. Gli altri canali che non sono diagnosticati non devono essere messi in secondo piano
e non devono essere sottovalutati. Il bravo educatore non deve andare a caccia di sintomi, ma
deve valorizzare le potenzialità e i talenti di ogni alunno e di ogni persona, sia nell’ambiente
scolastico che non. Il nostro sguardo deve essere sempre capace di evidenziare le possibilità, il
nostro compito. Il nostro compito è quello di cambiare la didattica e di progettare delle buone
prassi di inclusione che individuino le capacità individuali. La prospettiva dell’inclusione
reinterpreta il concetto di disabilità alla luce di una visione più democratica dove possono
esprimere le proprie capacità, per migliorare il livello di benessere di ogni persona. L’inclusione
non fa altro che rafforzare, cercando di offrire delle nuove politiche che guardino in maniera più
elevata alla persona, nel rispetto della persona e dei suoi valori imprescindibili. Per questo si parla
di cittadinanza attiva. L’inclusione si riferisce a tutti. Lo scopo ultimo e primo è quello di superare
le barriere e gli ostacoli di differenze sociali. Le diversità non possono rimanere isolate. Ci deve
essere uno scambio, la normalità deve tingersi di specialità perché entrambi ne escono arricchite.
14/04/2021
L’inclusione ed indicatori di qualità
L’inclusione implica valorizzare tutti in modo equo quindi sia gli alunni che i docenti, cercare di
accrescere la partecipazione degli alunni cioè ridurre la loro esclusione rispetto alle culture ecc.…,
riformare le pratiche nella scuola affinché corrispondano alle diversità degli alunni a livello di
politica educativa, cultura. Ridurre gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli
alunni quindi non solo con quelli di disabilità o con BES; apprendere attraverso tentativi, a
superare gli ostacoli all’accesso e alla partecipazione di particolari alunni, attuando cambiamenti
che portino beneficio a tutti, vedere le differenze come risorse per sostenere l’apprendimento
anziché vederli come problemi, riconoscere che gli alunni hanno diritto ad essere educati nella
propria comunità. Migliorare la scuola in funzione di gruppo quindi gruppo docenti e degli alunni,
bisogna enfatizzare la scuola nel ruolo di costruire comunità e promuovere valori, promuovere il
sostegno reciproco tra scuola, extrascuola e comunità; ma bisogna anche riconoscere che
l’inclusione scolastica è un aspetto del più vasto concetto di inclusione sociale. Bisogna unire il
sostegno formale con quello non formale per fare in modo di arrivare a una inclusione autentica,
questa visione di progettazione integrata non solo nella logica del PEI che deve essere messo in
contatto con tutti gli altri alunni per rendere la didattica integrata ma l’altro modo è che bisogna
ragionare con una integrazione di extrascuola come i musei, i centri per lo sport ecc… bisogna
innovare la didattica, la scuola con l’idea di inclusione cioè un nucleo dell’inclusione sociale. Per
questa inclusione bisogna mettere in risalto le qualità non i limiti e accogliere le diversità, cercare
una piena partecipazione di un alunno. I processi di individualizzazione e i processi di
personalizzazione che cercano di individuare i bisogni di tutti, ma l’individualizzazione parte
dall’idea che è necessario cambiare il mondo del lavoro per fare in modo che tutti gli alunni
raggiungono obiettivi minimi di apprendimento come imparare a leggere, la personalizzazione è
leggermente diverse e dice che se bisogna cambiare è pur vero che non ha questa ossessione di
rimanere legata agli obiettivi minimi essenziali quindi non c’è questa affermazione di tappa ma
prevede una diversificazione cambiamento degli obiettivi che possono essere adattati sia sulla
base dell’alunno più svantaggiato e sia dell’alunno più dotato, quindi ha un ruolo di ragionare più
flessibile. Quindi la differenza sta se semplificare o complicarla. Bisogna concepire il PEI come vita,
esistenza, quindi il progetto esistenziale della persona vale più del PEI che noi vediamo solo come
appendice appunto del PEI, quindi integrato al progetto di vita.
L’idea di integrazione muove dalla premessa che è necessario fare spazio all’alunno con disabilità
all’interno della scuola: concezione ormai superata a favore di una progettualità inclusiva più forte
ed articolata che comprende la valorizzazione non solo degli alunni con disabilità, ma di tutti e di
ciascun soggetto, in quanto il paradigma a cui fa riferimento l’integrazione è quello
assimilazionista o quello di una separata predisposizione di un PEI non raccordato al progetto
comune di tutti gli altri alunni. Secondo l’integrazione l’alunno con disabilità deve essere il più
possibile simile agli altri, ovvero il grado di appartenenza è legato al livello di normalizzazione
Se il modello integrativo si occupa principalmente delle persone con disabilità, l’inclusione allarga
il suo oggetto di indagine epistemologico alla marco categoria dei BES di <<bisogni educativi
speciali>>
La neutralità dei contesti costringe ad essere prigioniero del non funzionamento, invece la
compensazione fa una richiesta alla persona e produce un tentativo di ridurre le distanze da una
condizione sociale già normata, questo processo di <<normalizzazzione>> è legato a richieste
adattive, pratiche compensative o sostitutive rivolte prevalentemente alla persona definita nella
sua difficoltà di adattamento al contesto
15/04/2021
Dario Ianes alunni con BES riflessioni sulla nota MIUR del 22.11.2013 🡪
https://www.youtube.com/watch?v=LabxcTIc17s
Filmato: abbiamo un consiglio di classe con all’interno un ragazzo down con certificato legge 104,
un ragazzo DSA con diagnosi e legge 170, un ragazzo con la ADHD con diagnosi, ragazzo con
difficoltà “normali” e un ragazzo problematico complesso che rientrano nel team (consiglio di
classe.)
PERS. IND. 🡪 down con PEI, dislessico con PDP, ADHD con PDP se necessario a seconda della
diagnosi, ragazzo problematico complesso con personificazione non formale. Rientrano nel BES
Il PEI E IL PDP hanno una valutazione molto lenta
I ragazzi con difficoltà “normali” non rientrano nel BES
Didattica strutturalmente inclusiva dovrebbe essere adottata dal consiglio di classe e distaccarsi
dai bolli medici.
INIZIO LEZIONE :
L’inclusione intende valorizzare ogni singolo alunno, invece l’integrazione viene assimilato nel
contesto scuola, la prospettiva inclusiva vuole dare partecipazioni, appartenenza a ogni persona
Il ragazzo problematico non viene messo in posizione di essere incluso, quindi se il ragazzo fallisce
la colpa è sua e non del contesto che non lo mette in condizione di poterlo fare, quindi si cerca
omogeneità per includere il ragazzo
Quindi la società non offre la possibilità mostrando così problemi interni e non solo esterni, quindi
chi sostiene l’inclusione dicono che il contesto non è neutrale.
LA NEUTRALITà dei contesti→ la prospettiva abilista, piegando il deficit sulle persone, le costringe
ad essere prigioniere del non funzionamento→ negazione del ruolo causale e disabilitante dei
contesti→ i processi di insegnamento-apprendimento, le relazioni educative e sociali e gli attori
sono considerati come elementi neutri rispetto ad una condizione.--> viene meno la responsabilità
degli esiti con la tendenza a delegare allo specialismo la gestione dei percorsi ritenuti difficili.
Più si dà la colpa alla persona, senza dare la colpa al contesto non si potrà mai raggiungere
l'obiettivo
Il PEI non è un progetto di vita, ma non solo per il post-obbligo scolastico che servono per il mondo
del lavoro e non solo ed è importante alimentare il benessere di vita nella comunità
si passa da un linguaggio di omogeneità a un linguaggio che va verso l’inclusione, vengono rilevate
le possibilità, si passa dal sostegno individuale di un unico ragazzo al sostegno che deve essere
inserito all’interno del contesto che provoca una corresponsabilità, come le competenze
professionali che siano rivolte verso a tutti e non al solo ragazzo con il bisogno.
devono assolutamente dialogare perché ci deve essere una nuova formazione, cultura ecc… per
fare in modo di farle diventare comuni
Primo riquadro abbiamo l’integrazione, nel secondo riquadro abbiamo I.C.F. e nel terzo riquadro
abbiamo le inclusive education.
Canevaro dice:
Lezione 22/04/21
La cura educativa, è la cura dell’aiuto che deve accompagnare l’altro, spesso interrotta. L’educatore deve
avere cura dell’altro affinché riesca a recuperare il desiderio, la volontà dopo processi di resilienza nuovi
scenari della sua esistenza.
CURARE una menomazione
PRENDERSI CURA farsi carico di altri
AVER CURA prendersi responsabilità della tua forza intesa
come capacità o meno, e ricomporre la propria vita.
IORI ministra che ha rivisitato la legge riguardo all’educatore.
Dice che tra le competenze, il cuore delle competenze del
socio-pedagogico è prorpio l’aver cura, sensibilità, dell’altro,
infatti la competenza insieme alla sensibilità sono
cartteristiche fondamentali, e sono caratteristiche che
accompagnano una visione nuova di chi ne ha bisogno.
finalizzate all’individuazione di nuove direzioni di senso.
EMPATIA
È UN SENTIRE INSIEME.
Nel nostro ruolo da educatori è importante fare emergere quelle competenze innate.
Si cerca una ricompensa su ciò che si fa ma si cerca allo stesso modo di arricchire competenze che
diventano pro sociali e entrare in EMPATIA con l’altro, non superare o prevaricare l’altro ma capire l’altro.
Salvaguardare l’identità, non invadere l’altro, creatività come fondamento di principio di essere, come
libertà di personalità
Una traccia sarà sulla cura educativa e l’inclusione, 1° 2 punti sul progetto, non salto d’appello due tracce
scritte tempo 1h, massimo 1 pagina per entrambe le tracce.
L’aiuto come cura autentica, ma che sotto può essere ricca di inganni, perché quando arriva ad essere
troppo manipolatorio si inganna la persona.
Rapporto il più possibile simmetrico, non ci deve essere il primato del CAREGIVER massima importanza dei
gesti e dei comportamenti che non siano troppo invadenti.
L’aiuto che si può dare è l'aiuto che uno persona può dare a sé stessi, aver cura dell’altro questo è l’aiuto
nei confronti di chi si trova in difficoltà.
Dovere e aiuto civico, un esempio potrebbe essere dare aiuto in un
incidente stradale, dove la mancanza di questo è punibile
penalmente.
Il piacere di occuparsi dell’altro
La competenza dell’aiuto e di come lo aiuto è importante eoltre che
un senso etico e umani e il piacere di dare aiuto.
L’aiuto competente è un aiuto consapevole, e il come aiutare.
Per mettere in pratica questi concetti è necessario agire su compromessi che migliorano la vita dei
protagonisti della relazione di aiuto.
Nell’ultima affermazione il pensiero giusto è quello che nell’altro c’è sempre qualcosa da accettare e
qualcosa da rifiutare.
La competenza sociale , la ricerca dei mediatori per la vita del singolo, l’organizzazione dell’equità sociale.
Troppo spesso ci si dimentica che chi ha bisogno di aiuto vive una difficoltà e ci vuole coraggio e una grande
dignità di sé stessi nel chiedere aiuto.
La reciprocità è l’elemento fondamentale che mantiene in piedi una relazione, se così non fosse ci si
rinchiude in situazione di ostilità. La svalutazione dell’altro porta alla fine di un rapporto insoddisfacente.
È importante cercare dei mediatori, alcuni umani, altri tecnologici, tra chi aiuta e chi riceve aiuto si deve
mettere un mediatore, cambia la situazione di aiuto. E si cambia il decentramento dell’aiuto.
Empatica competente
29/04
- L’educatore deve essere laureato L-19, rigorosa formazione universitaria soprattutto fondata sul
linguaggio psico-pedagogico didattica. La legge Iori Rafforza la legittimazione della figura
dell’educatore, e non confonderlo con altri educatore come sanitario, penitenziario. Prima anche
chi si era laureato in altri ambiti aveva la possibilità di fare l’educatore, lo stesso educatore socio
sanitario ha una laurea e specializzazione medica.
L’educatore socio-pedagogico deve essere specializzato, questa legge recupera passi importanti
anche in concorsi pubblici, e dice che può lavorare anche in ambiti socio-sanitari.
- Titolo universitario che fornisce una vasta gamma di teorie, abilità teorico pratiche soprattutto in
ambito socio-pedagogico. Chiaramente questo rimane una teoria che deve essere messa in pratica
con la conoscenza dell’azione, e si rafforza con alla conoscenza sul campo.
- La formazione dell'educatore socio-pedagogico sono importanti anche le conoscenze.
Tutto questo per superare vicoli ciechi che una professione è complessa.
- Il titolo rilasciato dalla laurea L-19 può avere anche condizioni dirigenziali, 6 grado di competenze.
Non necessario essere iscritto all’albo.
- Promuove progetti e iniziative permanenti per cercare di realizzare il progetto di rete dove vengono
a integrarsi le cooperazioni all’interno della scuola e dell'extrascuola.
- Oltre a gestire e coordinare, monitorare la qualità dell’inclusione, promuove le attività di ricerca di
documentazione, legate alla vita di tutti e ciascuno. Matura metodi e conoscenze a 360° che sono di
fondamentale importanza.
- Educatore come mediatore, per mettersi come protagonista inclusivo.
- Ampio raggio di azione spicca la natura metabletica del suo agire professionale.
- Distribuzione economica, penalizzante, le cooperative giocano al ribasso del pacchetto delle gare
d’appalto che vengono vinte da chi offre un prezzo minore del pedagogista.
- La legge iori tutela la figura professionale.
- Desanizzazione
Le competenze mediche o specialistiche non devono essere le sole ad essere comprese nel curriculum,
queste infatti sono legate alla comprensione, mediche cliniche che servono e vanno tradotte e riorientate in
uno sguardo emancipativi, educatore, aperto nell’accogliere l’altro e nella cura dell’altro. Conoscenze
mediche che fanno parte di un tutto, ma che la formazione di un educatore prevede.
Si trova quella categoria che favorisce il cambiamento proprio per accompagnare il cambiamento ed essere
un facilitatore del deficit.
Si sottolinea il fatto che si deve valutare il livello di inclusivisi raggiunto all’interno dei vari contesti.
È importante possedere una professione metodologica, ma che si possa spaziare in vari ambiti.
Garantire a tutti e a ciascuno in eguale misura opportunità e risorse per poter agire come protagonista.
L’educatore in prima persona deve allontanare i processi di emarginazione.
Il diritto alla salute e al benessere deve essere garantito a tutti.
Concetto di accessibilità
È necessario mantenere uno spirito critico e mettersi in gioco costantemente, solo così si riesce a
mantenere in gioco competenze diverse, comunicative, strategiche, progettuali, organizzative, al di là della
urgenza della logica dell’emergenza, pensando che il miglior modo di guadagnare il tempo è perderlo.
Pensare che ristrutturare il pensiero non deve essere finito e definito.
05/05
La narrazione è avere cura di sé stessi e dell’altro, buona pratica nei confronti dell’altro. Nel momento in cui
la persona con disabilità racconta vuol dire che si dona alla fiducia completa dell’altro, la persona che si
narra con disabilità, lo fa non solo per chiedere aiuto ma anche per essere legittimata, compresa,
empaticamente e avere un segnale di presenza, come punto di riferimento.
Mentre le persone con disabilità si metto in discussione e si evolvono nel momento in cui si raccontano,
Richiede grandi capacità e competenze di autocertificazione, che è impossibile separare la sfera personale
da quella professionale.
La narrazione è quindi è un approccio trasversale, che si offre come dimensione interdisciplinare, all’interno
della scuola come metodo di approccio qualitativo, che coniuga più discipline, più ambiti disciplinari.
Come per es. la sindrome di Down e si ha una presenza con un disturbo tale, la vera inclusione è nel trovare
come ponte di collegamento insieme a tutti gli altri alunni che può essere analizzata sia in ambito
scientifico, sia in ambito storico, sia semantico che letterario, sarebbe un modo molto valido se si parla di
inclusione.
Un approccio narrativo non è solo mi racconto ma sono anche tutte quelle caratteristiche che ne fanno
parte, come la mimica, la musica, la poesia, animazione, non è rilegare e far coincidere solo con alcuni
linguaggi, è unire e collegare l’interezza di una persona…
La narrazione è intesa come linguaggio evolutivo, trasformativo, come lettura educazione ermeneutica,
perché l’altro è più storie, più racconti ecc.
Aprire una scatola e comporlo e scomporlo sempre in maniera diversa e per variare gli interrogativi
Atto consapevole scambio reciproco.
La narrazione facilita molto, è una sorta di riprogrammazione e rivisitazione dell’altro e ricomposizione
migliorativa, è un linguaggio di richiesta di riconoscimento, implica una corrispondenza profonda.
La narrazione è anche un linguaggio inclusivo, poiché è un abito mentale, che ci permette di incontrare
l’altro con sensibilità, nell’ottica di una ricomposizione del progetto di vita dell’altro.
Un ascolto è implicito nella narrazione, questo deve essere non etichettante, e giudicante, deve essere
accolto e se questo avviene con molta attenzione e cura la persona con disabilità si sentirà sempre più
accettato. Esprimersi con una vasta gamma di linguaggi espressione.
Narrarsi vuol dire esporsi, ricollocarsi, vuol dire anche attirare un processo di locazione, emotiva, nello
stesso tempo che si racconta si descrive anche i tratti più dolorosi e più significativi. turning point
-LINGUAGGIO, STRUMENTO, METODO E RISORSE INCLUSIVA