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Libri consigliati:

o Felisatti; Rizzo,2007, Progettare e condurre interventi didattici, Pensa Multimediale Editore;


o Pavone, 2015, Scuola e Bisogni Educativi Speciali, Mondadori Editore.
o D’Alonzo, 2017, La differenziazione didattica, Erickson.

PEDAGOGIA SPECIALE DELLA GESTIONE INTEGRATA DEL


GRUPPO CLASSE
Prof.ssa Marisa Pavone
23/11/2019
ESAME PROBABILMENTE IL 25 GENNAIO
PROGRAMMA DI LAVORO
1. Ci occuperemo di aspetti progettuali, ideazione del progetto e la sua
realizzazione (aspetti pedagogici e didattici).
2. Partiremo da una visione “accademica”, affrontando il tema del processo di
differenziazione finalizzato all’inclusione scolastica (strategie e attività);
3. faremo una riflessione sui diversi modelli di progettazione (per obiettivi –
che è la più diffusa nella scuola italiana; per concetti o processi; per progetti
o per “sfondo integratore”; per competenze – che è il concetto più diffuso
nei documenti di indirizzo alle scuole, sia a livello europeo sia nelle indicazioni
nazionali per il curriculo).
4. Una volta selezionato il modello di progettazione, si passa all’UNIVERSAL
DESIGN FOR LEARNING (da ricercatori americani che si sono occupati di una
progettazione inclusiva per le diversità di tipo etnico). In Italia iniziamo ad
interessarci a questo modello rispetto ad allievi con BES. Il modello ha
l’ambizione di accontentare tutti gli studenti.
5. Valutazione formativa ed inclusiva, meno selettiva. Promozionale per tutti.
Come si colloca la valutazione per gli alunni con disabilità in questo contesto?
6. Il profilo del docente inclusivo (Linee Guida dell’agenzia europea sui Bisogni
Speciali).
Slide: 1_1Fondamenti_Da disabilità a BES
La diversità nel pensiero post-moderno
Quando parliamo di allievi con disabilità, parliamo di diversità. Quando è entrata
l’idea di valorizzazione delle diversità nella società e nella scuola? Quando e come
è entrata l’attenzione alla diversità e la declinazione delle differenze tra le diversità
(BES_DSA_PROBLEMATICHE SOCIO-CULTURALI- DISABILITÀ); parleremo anche
dei RISCHI di questa categorizzazione.

La diversità è entrata agli inizi del ‘900.


Prima c’era la modernità, un modo di concepire l’educazione scolastica in subordine
ad un modo di intendere il ruolo delle società e l’importanza della razionalità

1
(l’illuminismo ha portato fiducia nel progresso, nella razionalità, nella ragione e che
le conoscenze scientifiche possano risolvere i problemi  i medici iniziano a
studiare la disabilità con l’intenzione di classificare, conoscere1 e con la credenza
che si potesse normalizzare i diversi con l’educazione2).
MA  l’educazione era separata dagli altri.
Tale modello è rimasto in vita fino alla metà del secolo scorso. È entrato in crisi a
scuola dopo essere entrato in crisi in ambito filosofico e scientifico.
Nel primo novecento nascono le scuole speciali3, la medicina si preoccupa della
riabilitazione di questi bambini.
Ma perché tenerli separati? (doppio binario: scuole normali e speciali)
L’interesse delle società è quello di migliorare, realizzare sempre maggior
benessere. In nome di questa idea, le persone più fragili sono ai margini perché
non produttive come gli altri: quanto più tendiamo a risultati evidenti, tanto più
diventa difficile tenere insieme agli altri chi ha difficoltà  ecco il senso delle scuole
speciali. In più, pensavano che tale divisione fosse per il loro bene! A scuola
trovano l’insegnante e il riabilitatore; non vedono la differenza con gli altri alunni
“normali”. tuttavia, tali scuole speciali erano spesso lontane dai piccoli centri, per
cui venivano allontanati dalla famiglia.
In alcuni paesi esistono ancora scuole speciali (Francia, Germania, Belgio, Olanda).
Nel frattempo, intervengono dei ragionamenti più ampi nella letteratura e nelle arti
4si fa strada l’idea della diversità come valore (non nella scuola).

Un altro fatto non trascurabile è l’istruzione di massa: nel dopoguerra c’è un forte
impulso verso la scolarizzazione.
Le leggi sull’obbligo dell’istruzione risalgono alla metà del 1800 circa. tuttavia, non
tutti frequentavano la scuola. Il processo di scolarizzazione di massa è collocato
dopo la guerra: c’è bisogno che le società si rimettano in sesto favorendo
l’educazione. Ci si accorge che di tutti gli studenti, un certo numero non ce la fa ad
imparare come gli altri, dimostra difficoltà di apprendimento (che non sono
disabilità perché i disabili sono nelle scuole speciali).5
Si iniziano ad indagare tali difficoltà di apprendimento.
Slide 14: è ancora salda l’idea della razionalità scientifica; si cerca dunque di
introdurre questo modello in ambito scolastico. Vengono in aiuto pedagogisti.
Nascono le teorie curriculari, teorie dell’istruzione (Bruner): si introduce nella
scuola il modello della programmazione: prevedibilità, controllo di quello che

1
Diderot studia i sordi e i ciechi.
2
Itard  normalizzare Victor.
3
Montesano, montessori, Sante de Santis
4
Derrida; Foucault  le società occidentali mettono ai margini una fascia di popolazione a causa della loro rigidità.
5
Nascono i testi sull’intelligenza di Binet e Simon che aiutano in questo senso.

2
succede in classe. Entra il modello degli obiettivi (Benjamin BLOOM, Block,
Nicholls). [diagramma di flusso della programmazione, ancora usato a scuola!]
Ci si rende conto che nella classe non si tratta soltanto di acquisire conoscenze, di
curare aspetti cognitivi, ma che anche quelli AFFETTIVI possono condizionare la
conoscenza e quindi bisogna tenerne conto (Bloom individua obiettivi a riguardo);
Emergono studi sulla METAGOGNIZIONE imparare ad imparare al fine di far
progredire le conoscenze autonomamente.
Indagini sulle variabili extracognitive della metacognizione: ansia, stress??
Cosa fare con chi presenta difficoltà di apprendimento? POTENZIARE ED AFFINARE
LA DIDATTICA. (Ex. Mastery learning: Percorsi individualizzati di potenziamento:
concedere più tempo; far fare attività pratiche – Bruner: simbolico, iconico, attivo
sono modalità della conoscenza).
Il concetto di individualizzazione didattica è stato fatto a partire dagli anni 70 del
900 (Bloom, Block -apprendimento per la padronanza)  studiano strategie di
aiuto per chi ha difficoltà di apprendimento.
Nonostante ciò, il fenomeno della dispersione scolastica non si riduce. Non si
riescono a cogliere le ragioni di tali differenze e a trovare un modello che vada
bene per tali diversità. Non esiste un modello ad hoc, ma non se ne rendono ancora
conto.
BES: ORIGINI, ASPETTI EPISTEMOLOGICI E SOCIALI
Istanza che accompagna il discorso precedente: l’ATTIVISMO PEDAGOGICO:
movimento che attraversa la prima metà del 900, situato tra la I e la II guerra
mondiale.
DEWEY -MONTESSORI- CLAPARÉDE-DECROLY- KILLPATRICK  Pretendono
un rinnovamento della scuola: porre al centro gli allievi e non gli insegnanti. È
l’insegnante che deve adattarsi alle esigenze degli allievi, e non viceversa.
Declinano il concetto di individualizzazione secondo i loro studi: Claparède era un
medico-pedagogista “La scuola su misura”: ogni bambino a scuola porta i suoi
BISOGNI ORGANICI di adattamento all’ambiente. Tale bisogno - che è individuale
-si trasforma in interesse. Pertanto è inutile proporre delle attività standard, ma
bisogna proporre delle attività che suscitino INTERESSE nei discenti.
Dewey studia l’intelligenza come funzione. L’intelligenza non si mette in
movimento se non in presenza di problemi da affrontare (funzione di problem
solving). Proporre attività di progetto, problemi autentici, situazioni concrete da
risolvere). Sarebbe meglio imparare socializzando-in gruppo. È molto interessato
anche all’educazione democratica.
Decroly, medico belga, trova modo per organizzare gli studi eliminando le
discipline: bisogna organizzare le materie di studio in maniera interdisciplinare,
ponendo il focus sugli interessi: alimentazione, difendersi dalle intemperie,

3
socializzare…individua centri di interesse che i docenti dovrebbero considerare per
progettare insieme.
Le idee appena esposte sono state riprese dall’attivismo di SECONDA
GENERAZIONE:
Dottrand, Freinet, Kilpatrick, Washburne

Si è cercato di tradurle in termini didattici: nascono percorsi di


individualizzazione didattica, adeguati ai singoli allievi; in America si sono
abolite le classi e organizzato gruppi di livello che prescindono dall’età.

Di tutto questo patrimonio dell’attivismo cosa è rimasto nel secondo 900?


Qualcosa, ma non tutto: le idee di Dewey, Decroly, Montessori di adeguamento dei
ritmi dell’insegnante a quelli dell’allievo restano; tuttavia, in società che
necessitano di produrre, tale istanza così “morbida” non può avere molto successo.
(Polemica di Bruner verso Dewey: critica le idee dell’attivismo dicendo che la
società non può permetterselo). Quindi, l’idea di individualizzazione è stata
accolta SOLTANTO PER ALLIEVI CON DIFFICOLTA’. Per tutti gli altri, si
traduce nel concetto di mastery learning.

Il concetto di BISOGNO EDUCATIVO nasce culturalmente nell’era dell’attivismo


pedagogico grazie a profili pedagogici e medici. La matrice del bisogno è quella del
bisogno organico, primario, la cui matrice si traduce nell’interesse.
Il concetto di BES nasce ben più avanti: nel 1978 nel Regno Unito (SEN: Special
Educational Needs). Grazie ad una collaboratrice del governo Tatcher, Mary
Warnock, c’è stata un’indagine sulle scuole del Regno unito che ha fatto emergere
un’alta percentuale di allievi con difficoltà nello studio per varia natura in ogni
classe (20%) (non si tratta di allievi con disabilità).
Mentre nel Regno Unito si parlava di SEN, in Italia si parlava di integrazione degli
allievi con disabilità grazie a Franca Falcucci, che dà indicazioni al Ministro Malfatti
sull’impreparazione della scuola ad accogliere la diversità. Tuttavia, intanto l’Italia
non si occupa degli altri BES.
Il concetto di BES entra negli organismi internazionali: UNESCO 1997:
“IL BES si estende al di là di quelli che sono inclusi nelle categorie di disabilità,
per coprire quegli alunni che vanno male a scuola (failing) per una varietà di altre
ragioni che sono note nel loro impedire un progresso ottimale”
[l’UNESCO riprende l’idea del mastery learning: dare di più aggiungendo risorse ed
adattando le attività di apprendimento e di insegnamento ai loro bisogni].
Il concetto di BES è acquisito in Italia dal 2012/2013. (direttiva del 2012 e circolare
del 2013).

4
EQUAZIONE TRA BES E BISOGNO DI SERVIZI AGGIUNTIVI (pei, PDp);
PRONUNCIAMENTI INTERNAZIONALI E RAPPORTO OECD:
Convenzione ONU 2016, pur essendo riferita soltanto alla disabilità, sottende un
ragionamento inclusivo.

Mentre nella scuola lo spettro dei Bes è molto ampio, all’università i tutelati sono
soltanto gli allievi con disabilità e con DSA; non tutelati: ADHD, disprassici.
Dove ci ha condotto questo traguardo?
 Ad individuare una macrocategoria di studenti con esigenze eterogenee e a
rischio educativo, con difficoltà nello studio e nella socializzazione.
 Ad individuare il diritto di tali studenti ad avere una didattica individualizzata
e personalizzata, con percorsi più adeguati ai bisogni.
La scuola deve garantire pratiche più inclusive in classe.
Gli studenti con BES possono essere individuati attraverso le risorse aggiuntive in
supporto alla loro educazione: dai bisogni dell’allievo all’offerta formativa
scolastica.
 Il pdp è un altro modo per ragionare di BES: è questo un approccio positivo
alla diversità?
Anche senza bisogno di diagnosi, è nella professionalità dell’insegnante
comprendere chi ha maggiori difficoltà.
Il PDP può diventare un alibi per insegnanti: l’insegnante eroga una didattica
normale per la classe e poi fornisce misure dispensativi e compensative. Ciò crea
divisione nel gruppo classe. Esso può essere uno strumento per mettere in luce le
difficoltà dell’allievo e mettere nero su bianco perché in futuro restino nella
continuità didattica.
OPINIONE DELLA PROF.SSA PAVONE:
 Il bes può essere un qualificatore di difficoltà personali per gli insegnanti (la
mia difficoltà è di avere dei PDP in classe: il pdp diventa un qualificatore di
difficoltà);
 con i pdp si porta in luce l’entità del rischio educativo in classe.
RISCHI DI UNA INTERPRETAZIONE RIGIDA DEL MODELLO DI BES
Il BES è indicatore per l’erogazione dei servizi: in caso di disabilità, va individuato
il progetto didattico e i servizi di cui avrà bisogno; in caso di alunno stranieri,
costruire un PDP metodologico e didattico.
Ciò è mediatore di appartenenza alla classe? Il PDP migliora l’inclusione
oppure no?

5
Pavone condivide le idee di Benoit ed Ebersold:
Dal punto di vista dell’allievo:
 diagnosi a tutti i costi;
 visione “difettologica”, marcatore di minus habens di potenzialità;
 logica “compensativa” poco progettuale: bisogno=prestazione di servizi
aggiuntivi, come se gli strumenti compensativi e le misure dispensative
fossero di per sé sufficienti a migliorare quello che manca. Il progetto c’è
perché vi è un PDP, ma non c’è progettualità con la classe; crea divisione 
la logica non è inclusiva, ma di separazione. Gli allievi sono consci di queste
differenze: “tu hai un PDP, quindi funzioni di meno” e le dinamiche di classe
rischiano pertanto di essere condizionate da questo modello.
Dal punto di vita del rapporto tra lo studente con BES e il gruppo classe:
 visione consumistica della scuola (ricevo PEI o un PDP in base al bisogno)
 diventa difficile compenetrare il modello individualistico ed inclusivo: come
si può fare integrazione se il PDP è così rigido e non si riesce ad adattarlo
alle attività della classe?
 Visione programmatica sommatoria, additiva.
L’intenzione del nostro confronto è mettere in discussione l’equazione tra BES e
necessità di servizi aggiuntivi.
Purtroppo, in Italia ci sono buone leggi e cattive prassi  nella pratica il docente
di sostegno è assegnato all’allievo. Il docente di sostegno dovrebbe, invece,
costruire una progettazione inclusiva, ma ciò non avviene sempre.
Il docente di sostegno non deve arrendersi di fronte alle cattive prassi, ma portarle
al Dirigente Scolastico, indicando i riferimenti di legge.

Limiti del concetto di integrazione: prevedere che sia l’allievo con disabilità o
con DSA, ecc. ad integrarsi; che sia il docente di sostegno a doversi integrare nella
progettazione di classe.  rapporto tra l’uno e il gruppo; e poi si dice che l’ambiente
si deve modificare. Qui sta la debolezza nel concetto di integrazione: che pensare
che per accogliere l’uno tutta la classe si modifichi e tutti gli insegnanti accettino
di lavorare insieme. È un ragionamento debole sistemicamente.
L’unità didattica va costruita a prescindere dalla presenza di Bes; va costruita una
didattica MULTIMEDIALE per classi eterogenee, il più possibile accessibile per tutti
[esempio, a priori possibilità di usare il PC; fornire testi formattati in maniera
accessibile].

6
Slide: 1_2Individualizzazione_personalizzazione
INDIVIDUALIZZAZIONE E PERSONALIZZAZIONE
Fanno parte entrambi della cultura pedagogica italiana.
A) INDIVIDUALIZZAZIONE: Ha a che fare con la storicità esistenziale del
minore: un dato allievo, con una data diagnosi e con le sue esperienze. Il concetto
ci riporta all’attivismo pedagogico: ogni allievo è diverso dall’altro. Adeguare
l’offerta formativa per consentire all’allievo di raggiungere i TRAGUARDI
COMUNI6. È il caso dei BES.
Cosa andiamo ad adeguare? Obiettivi, contenuti, linguaggi, ritmi alle peculiari
esigenze dello studente.
Il concetto di individualizzazione ci riporta all’idea di ETEROCRONIA DELLO
SVILUPPO (progressione a velocità diverse, secondo differenti settori di sviluppo
psico-biologico.). Studiato da un medico francese ZAZZO. Frequentemente,
soggetti con disabilità hanno personalità eterocronica:
Ex1: un ragazzo autistico ha uno sviluppo fisico normale; quello intellettivo a
diversi tipi di funzionamento; quello emotivo, affettivo, comportamentale alterato
 nella sua persona diversi settori procedono a tappe di sviluppo differenziate.
Ex2: ragazzo cieco ha uno sviluppo sensoriale bloccato (vista), uno affinato (olfatto
e/o udito); nessun problema ad altri livelli.
Ex3: sindrome di Down, sviluppo fisico normale; affettivo spiccato; problemi di
linguaggio.
In realtà, tutto ciò è un equilibrio naturale; non vi è disarmonia. Dobbiamo
insegnare ai ragazzi che questo tipo di allievi hanno un equilibrio originale e che
questa apparente disarmonia può modificarsi nel tempo grazie a stimoli educativi,
quindi non è statica. Le cosiddette “capacità residue” sono un concetto da rivedere
perché è come se il resto fosse deteriorato e solo tali capacità fossero buone.
Il soggetto disabile non è un sistema chiuso; è un individuo con relazioni aperte.
“L’epoca delle passioni tristi” di SCHMIT e BENASAYAG: nei confronti dei
disabili abbiamo il nostro SAVOIR e lo colleghiamo al ça à voir  il sapere è ciò che
vediamo: se vedo un tetraplegico il mio savoir è quello che vedo; il ça à voir è ciò
che penso di lui, ciò che vedo.
Bisogna dare agli allievi con disabilità delle chances non di perfezione ma di
progressivo miglioramento.
Il nostro lavoro è proprio sollecitare capacità presenti, scoprirle e valorizzarle:
attraverso questo canale prossimo migliorare il funzionamento della persona
(FEUERSTEIN).

6
Libri di Massimo Baldacci : adeguarsi alle esigenze dell’allievo per portarlo agli obiettivi comuni di classe.

7
Non possiamo comunque ignorare i vincoli, i problemi esistenti, dovuti alla severità
del disturbo. Vincoli sull’educabilità:
Blu: fattori personali; Rosso: fattori ambientali

 Severità del disturbo;


 Età;
 Grado di comunicazione/comprensione7/motivazione/concentrazione;
 Qualità del supporto ambientale (Piano dell’offerta formativa, progettazione
del team di classe, la competenza professionale degli insegnanti e degli
specialisti, la mancanza di barriere architettoniche. Tutto ciò che può
riguardare le professionalità e l’organizzazione della scuola).
 Qualità della relazione (affettivo-emozionale: le variabili extracognitive dellla
meta cognizione: autostima, affettività, emozionalità; buoni rapporti tra
scuola e famiglia)

B) PERSONALIZZAZIONE: Nel pei, invece, possiamo differenziare gli obiettivi.


Piano Educativo INDIVIDUALIZZATO, quindi, non fa riferimento
all’individualizzazione dei percorsi di apprendimento.

7
È la base di ogni progetto: è difficile elaborare un PEI se non troviamo con l’allievo una relazione comunicativa.

8
Continuo Slide: 1_2Individualizzazione e personalizzazione
30/11/2019
PERSONALIZZAZIONE EDUCATIVA
(e didattica)
Per personalizzazione educativa si intende un processo con cui la scuola ha a che
fare. Fa parte della concezione scolastica a partire dal 2003 (Riforma Moratti
L.53/2003 ha proprio tale impostazione personalistica). Cosa è rimasto di questa
impostazione? Il PDP.
Da dove arriva il concetto di personalizzazione? All’origine è ancora più denso di
significati, anche profondi. Non è un’espressione soltanto didattica. Nasce da
un’impostazione pedagogica. Il personalismo è una corrente filosofica del 900
(MAniten , Munier, Merieu, Buber….) NON è una metodologia didattica, come
invece è l’individualismo.
L’interesse è per lo sviluppo morale della persona.
Moratti: la scuola ha il fine della realizzazione della persona e le discipline sono
degli strumenti per la formazione della persona.
Negli ultimi 20 anni tale idea ha avuto delle declinazioni, anche didattiche (victor
maria Hotz?); altri autori francesi come Marguerite Alté…
Da qui nasce la didattica differenziata di cui parleremo oggi.
Essa è stata favorita dal DPR275/1999 sull’autonomia delle istituzioni scolastiche :
le scuole acquisiscono una discrezionalità e responsabilità ad elaborare i curriculi.
La centralità dello Stato riduce le proprie prerogative di intervento sulla scuola ed
affida alle scuole l’elaborazione dei curriculi  DECENTRAMENTO
Su questa idea dell’autonomia, La legge Moratti ha dato un nuovo impulso: non ci
sono più i programmi, ma le indicazioni nazionali

PERSONALIZZAZIONE: DOPPIA INTERPRETAZIONE:


1. LIVELLO PEDAGOGICO, di impostazione educativa generale. Quando
pensiamo alla persona dell’allievo, dobbiamo uscire dal recinto dell’individuo.
L’individuo è ciò che vedo concretamente, le sue caratteristiche, le sue
difficoltà. Da qui, il percorso di individualizzazione da adattare alle sue
caratteristiche.
Ma la persona è anche il suo diritto a sviluppare tutte le capacità che ci sono
dentro di lui. L’educatore deve stimolarne lo sviluppo.
Tre aspetti della persona:
a) La sua singolarità, l’individuo concreto, che vedo.

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b) La sua direzione di senso: la sua esistenza tende ad uno sviluppo personale.
Ciascuno ha la propria meta, il suo Progetto di Vita.
c) Relazionalità: non si può sviluppare se stessi se non in gruppo.
Questi sono i principi del personalismo pedagogico. Il volto dell’altro può
essere anche molto compromesso, ma non perde l’istanza della relazione del
sé (P.Ricoeur).
EDUCAZIONE GLOBALE E PROGETTUALE.

2. LIVELLO DIDATTICO: itinerari formativi personalizzati, da ricondurre al


profilo individuale di ciascun allievo.
Matrice nella L Moratti, L.170/2010 e nella DM 12 Luglio 2011 e annesse
linee guida; direttiva del 27/12/2012 e circolare n.8 del 06/03/2013.
L’idea di PDP vuole riportare l’insegnante ad inserire strumenti compensativi
e dispensativi non in logica additiva, ma in coerenza con lo stile di
apprendimento dell’allievo. Tale concetto vale anche per gli allievi con
disabilità. RISPETTO DELLA PERSONA CON LA SUA ORIGINALITA’.
In realtà, il PDP segue una logica di individualizzazione; il PEI quella di
personalizzazione, anche se nel primo caso si parla di piano personalizzato

PEI: introdotto con la L.517/77, dove non si parla di strumenti compensativi e


misure dispensative, ma si parla di adattamento ad esigenze della classe, si parla
di laboratori e lavori di gruppo. Termine che esiste solo in Italia. Per contrastare
l’inserimento “selvaggio” di allievi con disabilità a scuola, si introduce questo
strumento in cui vengono esplicitati obiettivi e strumenti.
PDP: nasce nel 2012/2013. È riferito ad allievi con BES di categoria C, di DSA.
Esso non si risolve solo in una logica di strumenti compensativi e misure
dispensative. La sua ricchezza sta nel riportare gli insegnanti a rispettare
l’originalità degli allievi. Adeguamento metodologico che rispetta le sue
caratteristiche personali.
ESORTAZIONE: Acquisire ANCHE verso gli alunni con disabilità la mentalità della
PERSONALIZZAZIONE del PDP.
COMPENSAZIONE: (da cui scaturiscono gli STRUMENTI COMPENSATIVI) (altra
slide). Concetto approfondito dallo psicopedagogista Vygotskij del primo 900, fa
parte dell’attivismo pedagogico, come leva strategica nel trattamento della
disabilità.
Alla base della compensazione c’è Legge psichica che spinge il soggetto a superare
in modo reattivo globale una insufficienza organica, alla ricerca di, o per ritrovare
un equilibrio funzionale originale.  Il motore della compensazione è ritrovare un
proprio equilibrio interno. Ex, il fatto di non vedere genera delle nuove forze:
Adatto l’ambiente e rafforzo l’udito o il linguaggio, cioè le FUNZIONI VICARIANTI
che si riescono a potenziare e sviluppare nel tempo.

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In presenza di disabilità, si devono favorire le tendenze psicologiche
all’orientamento opposto.

STRUMENTI COMPENSATIVI – COMPETENZE COMPENSATIVE


L’approccio va oltre il semplice uso di strumenti e misure perché deve coinvolgere
l’originalità dell’allievo.
Transitiamo dallo strumento compensativo alle competenze compensative: la
compensazione è dinamica, deve sviluppare nell’allievo la capacità di usare quello
strumento non in modo meccanico, ma facendolo proprio. Lo strumento deve
mettere in modo una competenza (costruire mappe da solo ed adattarle alle proprie
esigenze).

Visualizzazione video da “Il mio piede sinistro” (1989, regia di Sheridan) per
ragionare sul concetto di persona (al di là di ciò che vedo con gli occhi) ed individuo
e di come la compensazione ci sia nella persona con disabilità, ma non è compreso
dalle persone con cui vive.
Uomo che vive in famiglia accogliente irlandese con una tetraparesi spastica. Nasce
con problemi dalla nascita a causa della mancanza di ossigeno.
Scena del protagonista quando è adolescente: è in soffitta, non pranza con gli altri,
la madre lo imbocca, gli dice che non potrà per sempre occuparsi di lui perché è
malata. Lei sale su per le scale per portarlo a letto, ma si affatica molto e nello
scendere le scale, cade. Il bambino sente il tonfo della caduta, scende a suo modo
le scale, bussa alla porta con i piedi e chiama i soccorsi. I soccorsi trovano i due
vicino il portone: il vicinato pensa che siano caduti insieme per le scale, mentre lui
era immobile lì come un “pupazzo”; gli danno della “croce”, del “poverino”.
Non hanno soldi per acquistare sedia a rotelle e gli danno una carriola.
Altro episodio: con il piede sinistro e del gesso disegna un triangolo sul pavimento
mentre i suoi fratelli stanno studiando. La madre pensa che si tratti di una A e non
di un triangolo. Il bambino con grande sforzo scrive “mother”. Il padre dice “è un
vero Brown!” ed è molto fiero di lui. Tutti sono commossi.
Pur in una famiglia accogliente e amorevole, aveva una identità negata finché non
si capisce che è un bambino intelligenza. È lui che ha dovuto dimostrare dopo vari
tentativi di avere un’intelligenza vivace. Quando capiscono che è in grado di
ragionare, lo riconoscono come figlio. Capiscono quale sia il suo canale privilegiato
di comunicazione: il piede.
A 19 anni intraprende un percorso di riabilitazione logopedica: imparerà
finalmente, a suo modo, a parlare. “Una speranza differita rende il cuore
sofferente” è la sua risposta alla dottoressa che gli chiede se vuole andare in una
clinica a farsi “curare”. Nella clinica si accorge che ci sono solo bambini e quindi

11
non ci vuole andare. La dottoressa fa la riabilitazione a casa. Si innamora della
dottoressa, la quale gli dà l’opportunità di esporre ad una mostra i suoi quadri:
diventa pittore e scrittore. Ma la delusione d’amore lo mette in crisi e tenta il
suicidio, non vuole più uscire dalla stanza. Quindi i familiari allargano la sua stanza
per consentirgli di realizzare appieno la sua persona. Con la morte del padre, c’è
un’altra crisi familiare: è lui che mantiene la famiglia con i suoi libri ed i suoi quadri.
Riflessioni:
l’ironia è importante  Chris apre la porta alla dottoressa soltanto quando lei dice
che aprendo la porta potrà insegnargli meglio a pronunciare le parolacce che le
stava dicendo per mandarla via.
Ipertrofia identitaria  Le stereotipie atrofizzano la nostra visione sul bambino:
è autistico e quindi ha delle determinate caratteristiche, ma non è sempre così.
Bisogno di verità  Il bambino è il motore delle sue capacità di riequilibrio, quindi
va informato sulle sue difficoltà, dev’esserci un rapporto di verità con il docente.
Esso richiede una buona relazione con il docente.
Difficilmente i compagni di classe conoscono l’alunno con disabilità, le sue
caratteristiche.
Progressiva separazione  Transitare dal ruolo personale al ruolo posizionale 
deriva da impostazione psicoanalitica: l’allievo deve diventare sempre meno
dipendente dall’adulto. L’autonomia comporta dei rischi, ma è necessaria.
RUOLO PERSONALE: nei rapporti personali prevale l’affetto (come in genitori-figli);
è bene che ci siano questi rapporti anche con allievi con disabilità.
RUOLO POSIZIONALE: si instaura in ambienti in cui il rapporto tra persone è
vincolato dal ruolo professionale.
Le persone con disabilità tendono a suscitare il ruolo personale e non posizionale:
ci troviamo di fronte ad uno studente. Se non raggiunge gli obiettivi del PEI va
rimproverato come gli altri, bisogna pretendere da lui ciò che deve dimostrare.
Evitare IPERPROTETTIVITA’, ASSISTENZIALISMO, ma favoriamo i contatti e le
interazioni con gli altri. (considerazioni di Montobbio -ASL 3 di Genova nel
collocamento al lavoro per persone con disabilità per far sperimentare loro anche
il ruolo posizionale nel loro lavoro)

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Slide: 2_1Differenziazione_fondamentidid.
Considerare la programmazione come strumento NARRATIVO, non un
tabellario rigido e schematico.
Funzioni della narrazione in educazione (Demetrio):
 Metacognitiva: aiuta l’insegnante a riflettere sul suo insegnamento;
 di apprendimento: ogni anno impara qualcosa di nuovo sui propri allievi,
sulle varie metodologie
 trasformativa/formativa: serve per crescere professionalmente
essa attiva lo sviluppo della bilocazione cognitiva (guardare la programmazione
come un altro da me, come se l’avesse fatta un altro da mee cerco di cogliere i
limiti e i margini di modificazione. Aiuta a prendere le distanze da vissuti difficili o
dolorosi)
Cos’è la scuola? Un ambiente nel quale noi insegnanti trattiamo gli oggetti
culturali (le discipline) socialmente e scientificamente legittimati e accreditati (il
legislatore prevede le materie di studio per ciascun individuo. Essi vengono
sottoposti ad azioni di ristrutturazione in funzione della classe mediante
un’azione di ricostruzione e rappresentazione attraversi mediatori attivi, iconici
e simbolici in modo da renderli accessibili e disponibili all’apprendimento (Elio
Damiano).
I mediatori (Bruner) possono essere attivi, simbolici e iconici (parola, testo scritto,
immagini, esperienza concreta, adattando il tutto al proprio grado di istruzione).
Attivi: uscite didattiche
Iconici: disegni, schemi, mappe, modelli
Analogici: simulazioni, drammatizzazioni, giochi
Simbolici: verbalizzazioni orali e scritti, formule, codificazioni. Più usati.
(slide immagine Oggetto della didattica) Cosa accade in classe? L’insegnante
propone delle esperienze di apprendimento (concrete)  ma l’ambiente classe è
anche legato a delle esperienze fuori scuola (contesto extrascolastico). Il fine è
raggiungere traguardi di apprendimento per poi ricominciare da capo il ciclo.

AZIONE DIDATTICA COME MEDIAZIONE


Da Demetrio, ripreso da Castoldi.
L’insegnante è un mediatore ed usa dei mediatori didattici.
SAPERE SCOLASTICO VS SAPERE REALE (esperienza)
Il SAPERE SCOLASTICO è un’azione di mediazione nei confronti della realtà per
realtà intendiamo l’ambiente esterno, che in classe viene manipolato attraverso
immagini, video, racconto dell’insegnante (la scuola non è la vita reale, ma il nostro

13
compito è proprio mediare la realtà perché non sempre la realtà ci insegna). Noi
mediamo anche la disciplina (l’insegnamento della storia, ad esempio, è influenzato
dal docente che decide quali argomenti approfondire, da che punto di vista
guardarli).
Azione didattica come mediazione
TIPOLOGIE DI MEDIATORI

ATTIVI ICONICI ANALOGICI SIMBOLICI


ricostruzione rappresentazione simulazione astrazione
Uscite Disegni Simulazioni Verbalizzazioni
Esperimenti Schemi Drammatizzazioni Formule
osservazioni modelli giochi codificazioni

realtà rappresentazione
rischio sicurezza
caldi freddi
distesi concentrati
Esempio di mediatore ICONICO: rapporto ravvicinato con la realtà.
ricostruzione di un’esperienza diretta attraverso immagini
rapporto fisico-percettivo con il reale attività percettiva
oggettivazione del fenomeno scarsa trasferibilità
possibilità di analisi possibile ambiguità di significato
condensazione o organizzazione difficoltà di rappresentare
dell’informazione concetti astratti

realtà rappresentazione
rischio sicurezza
caldi freddi
distesi concentrati
Esempio di mediatore SIMBOLICO
astrazione esperienza diretta attraverso codici simbolici
elevato grado di generalizzabilità distanza dall’esperienza
rapporto economico informazioni/tempo difficoltà di decodifica
copertura gamma infinita di esperienze scarso coinvolgimento
sinteticità necessità di un lessico comune

L’attività di azione scolastica se è vicina alla realtà è lontana alla mediazione.


Se abbiamo in classe un ragazzo sordo è difficile insegnare la poesia, che richiede
metafore e concettualizzazioni. L’insegnante deve dunque operare delle
concettualizzazioni perché la sua mente usa delle immagini, devo supportare la
mediazione con mediatori iconici,

14
realtà rappresentazione
rischio sicurezza
caldi freddi
distesi concentrati
Esempio di mediatore ATTIVO: è vicino alla realtà, ma non coincide con essa.
ricostruzione di un’esperienza diretta a scopi didattici
alta motivazione fattibilità
selezione intenzionale dell’esperienza tempi lunghi
riferimento al contesto particolarismo
consistenza fisico-percettiva memorizzazione aspetti salienti

Ricapitolando, le premesse utili prima di fare differenziazione didattica sono:


 liberarsi dal considerare la programmazione come una imposizione rigida,
ma come strumento di lavoro.
 Essere consapevoli che l’insegnante possiede un importante strumento: la
mediazione che si può esprimere attraverso diversi mediatori.
Riflessione:
Come attuare differenziazione all’interno dei Dipartimenti a scuola? La scuola ha
una sua identità formativa espressa nel PTOF ed ispirata dal Collegio dei Docenti.
Quindi è opportuno che tutti gli insegnanti per dipartimento si confrontino sui
traguardi importanti per quell’insegnamento perché non è ragionevole che
all’interno di uno stesso istituto gli allievi raggiungano traguardi diversi/livelli
essenziali differenti se provenienti da classi diverse. Bisognerebbe accordarsi anche
sulla valutazione. Tale confronto non può mortificare l’autonomia
professionale del docente: bisogna negoziare.

Che cos’è differenziazione didattica? [Slide 19] Processo dinamico che


vuole fornire agli allievi delle opportunità di apprendimento per sviluppare le
potenzialità (Convery, Coyle.)

È una proposta metodologica che vuole migliorare il successo scolastico degli


allievi, in contrasto alla dispersione scolastica e drop out. Intende produrre
apprendimenti significativi.

15
Da chi è stata ispirata? Referenti scientifici della diff. didattica

Teoria della zona di sviluppo prossimale (Vygotskij): l’insegnamento è


significativo se si colloca in quell’area di potenzialità dell’allievo per cui non
ha ancora imparato, ma può imparare se aiutato, se ben stimolato. Lo
stimolo non dev’essere né troppo basso (noia), né troppo basso
(insuccesso);
La teoria delle intelligenze multiple (Gardner): ciascuno di noi ha
intelligenze e di conseguenze stili cognitivi differenti. L’adulto maturo le
possiede tutte, a condizione che la scuola le abbia esercitate.
La prospettiva tripartita dell’intelligenza (Sternberg): intelligenza
analitica, pratica e creativa.
La teoria degli stili di apprendimento (Silver, Strong, Perini)

La nostra capacità sta nell’offrire ai ragazzi delle esperienze di apprendimento che


solleciti queste differenze attraverso i mediatori didattici  usare TUTTI i tipi di
esperienza.

Possiamo pensare in classe ad un modello per ciascun allievo?! Sono necessari 25


percorsi per altrettanti allievi?
Dottrand elabora materiali diversificati per ciascun allievo mediante
l’AUTOISTRUZIONE, formula impraticabile nelle nostre classi, che non favorisce
ambienti attivi e collaborativi.
Piuttosto, approdare al modello MOLTE MISURE IN UN SOLO CONTESTO nel quale
promuovere interazioni e creare interdipendenze reciproche tra gli allievi:
l’insegnante utilizza diversi mediatori perché sa che nella sua classe ci sono allievi
che imparano di più facendo, altri ascoltando, altri guardando.
Le misure devono essere condivise con i colleghi.

16
[continuo slide 2_1Differenziazione_fondamentidid] da slide 24

14/12/2019

L’APPROCCIO DELLA DIFFERENZIAZIONE

Differenziare è richiesto a tutti i docenti del Consiglio di Classe.

Gli indirizzi di orientamento pedagogico-didattico generale ci indicano quali sono


gli aspetti in cui il docente può differenziare:

 contenuti  COSA: hanno a che fare con i TRAGUARDI dell’apprendimento


(cosa il docente si aspetta che imparino). Si può spiegare un concetto nella
forma essenziale oppure fare degli approfondimenti, usare degli esempi,
usare metafore, analisi di caso, di situazione problematica. Sono vie che
favoriscono motivazione e interesse.

 Processi  COME: attraverso la parola parlata; tener conto dei tempi di


attenzione, quindi affiancare altri media (immagini, slides); attraverso
esperienze concrete (dunque: mediatori attivi-simbolici-analogici).

 Prodotto  cioè prevedere a priori che non vi sia una sola prova di verifica
standardizzata, per tutti, ma che abbia delle articolazioni interne, ad
esempio per livelli di difficoltà. Bisogna preannunciarlo agli allievi perché li
responsabilizza e li orienta verso ciò che vogliono ottenere.

Occorre:
 conoscenza approfondita del profilo di apprendimento degli allievi (stili
cognitivi
 sostegno alla motivazione degli studenti

Tali scelte devono essere condivise da tutto il Consiglio di Classe (estendere


anche ai dipartimenti, possibilmente) perché il modello della differenziazione è
trasversale e non tipico di una sola disciplina.

EVIDENZE NELLA CLASSE CHE FUNZIONA (HATTIE)

 I traguardi di apprendimento devono essere chiari


 I feedback sono frequenti (non solo le verifiche, ma anche domande dal
posto)
 Gli insegnanti esprimono passione per le attività proposte
 Gli allievi, tutti, sono rispettati e sono cercati dall’insegnante (nessun
allievo dev’essere “invisibile”. Ciascun allievo è un capitale umano.)
 È promossa la partecipazione degli allievi (non è semplice: la vita di una
classe riproduce anche gli umori della società: indifferenza, razzismo, sono

17
molto diffusi). Sviluppare collaborazione e non competizioni tra compagni.
Le innovazioni sono frutto di gruppi che lavorano e non di menti singole.
L’insegnante è capace se sa differenziare e gestire la classe

o Sa usare modalità efficaci per presentare l’insegnamento


o Sa creare un buon clima di classe
o È costante nel monitorare e offrire feedback
o È convinto che ogni allievo può raggiungere la meta a lui adeguata
o È consapevole che il suo operato influenza in gran parte i risultati degli allievi

Il principio della personalizzazione/differenziazione è contrario a quello


dell’inclusione?

Non è né praticabile, né auspicabile pensare di insegnare in modo individualizzato


a 25-30 allievi. Sarebbe possibile soltanto attraverso l’auto-istruzione.
Washbourne, Pankrast, hanno immaginato una classe simile. In Europa con
Dottrand attraverso delle schede di lavoro individualizzate. Nella scuola italiana
non abbiamo esempi simili. Montessori si avvicina a questo pensiero, anche se la
differenziazione dei materiali non consente di sviluppare relazioni tra i bambini.
La persona dell’allievo va vista come esito di INTERAZIONI CON GLI ALTRI: ci si
realizza nel dialogo, nel confronto, perché ciò stimola la mente e prepara ad
accogliere ciò che l’altro ha da dare.
Il processo di personalizzazione ha a che fare con la valorizzazione della
partecipazione, attraverso vissuti di appartenenza e partecipazione.
Bruner dice che il sapere è un’esperienza collettiva, prodotta attraverso l’iniziativa
personale – co-costruzione collettiva di conoscenza, collaborazione tra identità
personali attraverso il confronto.
Di fronte a difficoltà scolastiche (tutti i BES), gli interventi di supporto non sono
solo di contenimento, compensativi o riparatori. Vanno collocati in una prospettiva
di valorizzazione e potenziamento delle risorse personali.

18
[slide: 2_2Differenziazionestrategie]

APPROCCI

TRADIZIONALE DIFFERENZIAZIONE DIDATTICA


 Modello della lezione frontale  Tempo e metodologie flessibili
 Stessa attività per tutti  Le differenze sono riconosciute e
 Differenze tra studenti ignorate valorizzate
 Idea unica di intelligenza  Molteplicità delle intelligenze
 Non rilevati gli interessi individuali  Eccetera….
 Non considerato il profilo dell’allievo
 I testi sono gli stessi per tutti
 L’insegnante prende le decisioni
 Il tempo per le prove è uguale per
tutti
 Processi valutativi identici per tutti

STRATEGIE UTILI (D’Alonzo  prevedere organizzazione delle attività in classe


per AMBIENTI: gruppi diversi di allievi svolgono attività diverse -che chiama
stazioni)

Impiego accurato delle stazioni


Predisposizione di centri di apprendimento e di interesse stabili
Utilizzo frequente di tabelle di scelta
Consuetudine di lavorare con l’utilizzo di organizzatori grafici (mappe)
Gruppi flessibili
Approfondimenti a diversi livelli (stratificazione)

Atre strategie:
COMPILARE IL PROFILO DELLA CLASSE (il risultato delle prove di verifica
di ingresso non è il primo voto da inserire nella scheda di valutazione. Serve
soltanto a rilevare il profilo della classe)
FAVORIRE UN CLIMA POSITIVO

L’inclusione degli allievi con BES

Traguardi della programmazione di classe


Traguardi del profilo di funzionamento /PEI

19
La programmazione dovrebbe essere uno strumento narrativo utilizzabile per
modifiche eventuali e non un adempimento burocratico, fisso e immodificabile.

Ricercare ponti, negoziazioni, mediazioni tra:


a. traguardi della classe
b. pdf e PEI

Due linee di pensiero:


1. Quali traguardi del PDF entrano nel PEI?

Il PDF descrive la persona nella sua totalità. LUNGO TERMINE: Esso,


tendenzialmente, dura per tutto il ciclo scolastico, ma sarebbe opportuno
aggiornarlo all’occorrenza. Esso contiene le risultanze educative della diagnosi,
i traguardi di sviluppo A LUNGO TERMINE attesi che riguardano 5 DIMENSIONI:
I. autonomia personale e sociale,
II. comunicazione declinata in diversi codici linguistici,
III. socializzazione,
IV. relazione,
V. apprendimento.
Queste dimensioni sono contenute nell’art.12 e 13 della L.104/1992

Il PEI sceglie su quali obiettivi a BREVE TERMINE (anno scolastico) lavorare.


Questa operazione richiede le competenze di tutti i docenti curriculari e di sostegno.

2. Quali traguardi previsti dal curriculo possono essere aggiunti, con un


maggiore o minore adattamento?

Dipende dalle discipline di studio. È necessario adattamento dei contenuti e della


valutazione.
- Traguardi per tutte le aree di funzionamento (funzioni corporee, attività e
partecipazione, fattori contestuali, personali e ambientali per
l’apprendimento);
- I traguardi non riguardano solo la vita scolastica dell’allievo, ma anche
l’extra;
- Si pensa a traguardi a breve, medio e lungo termine.

I traguardi del PEI non sono solo scolastici, ma anche SOCIALI e SANITARI.
Infatti, il progetto di vita è globale. La collaborazione delle famiglie è indispensabile
per il raggiungimento di taluni obiettivi; lo stesso dicasi per interventi del
logopedista o psicomotricista, per esempio.

20
Raccordo tra PEI e piano di lavoro di classe  partecipazione alla CULTURA DEL
COMPITO8:
 Partecipare all’attività formativa di classe secondo il possibile livello di
approfondimento;

 Partecipare al clima emotivo delle diverse attività: condividere la tensione


cognitiva, la socializzazione dei risultati, la gioia per i traguardi raggiunti.

Traguardi sulla base del curricolo della classe [slide 14]

1. Sostituzione (del codice di comunicazione, sia nell’input che nell’output: se


ho in classe un sordo segnante, devo tradurre il codice verbale in un codice
dei segni. È la meno impegnativa sul versante dell’adattamento al curricolo
di classe)
2. Facilitazione (dare più tempo, ridurre il carico didattico senza ridurre
l’obiettivo)
3. Semplificazione (intervenire sull’obiettivo: sulla quantità, cioè quante
informazioni o competenze in entrata o in uscita voler sviluppare e qualità,
cioè la riduzione della complessità del traguardo  soglia tra PEI per obiettivi
minimi e differenziati)
4. Scomposizione in Nuclei fondanti (scomporre il traguardo fondante in
sotto-traguardi. L’allievo può raggiungere anche un sotto-obiettivo.)
5. Partecipazione alla cultura del compito (partecipare all’attività formativa di
classe secondo il possibile livello di approfondimento; partecipare al clima
emotivo delle diverse attività: condividere la tensione cognitiva, la
socializzazione dei risultati, la gioia per i traguardi raggiunti

PEI PER OBIETTIVI MINIMI E DIFFERENZIATI: come effettuare una scelta tra l’uno
o l’altro? Non c’è una risposta univoca.

8 Accade frequentemente che la disabilità impedisca che l’alunno con disabilità


possa raggiungere i traguardi della classe. In questi casi, cosa si fa?
Prendiamo un esempio di famiglia di padre ingegnere, madre insegnante e due
figli. Fanno una visita a Firenze. Il marito non è interessato. Chi fruirà di più
dell’esperienza culturale sarà la madre. I figli non comprendono quanto vedono,
ma percepiscono l’atmosfera culturale.
In classe ci sono allievi interessati (madre), allievi che pur potendo non partecipano
(padre) ed altri che, pur partecipando, non colgono il vero significato
dell’apprendimento (figli).
Pertanto, bisogna che i docenti creino dei ponti tra il piano di lavoro di classe e
l’attività dell’allievo e prevedano i traguardi raggiungibili (in maniera flessibile).
Esempio: classe studia le frazioni; allievo con disabilità lezione molto adattata sulle
frazioni  lavora in un ambiente condiviso, a cui appartiene: partecipa alla
cultura del compito. Ciò aiuta anche i compagni ad accettare la presenza
dell’allievo con disabilità. È una lezione disciplinare ed anche formativa.

21
[Slide: 3_1Modelliprogdid]

Modelli di progettazione didattica e inclusione


modello per obiettivi – per progetto – delle competenze

Premessa: progettazione e programmazione NON sono sinonimi:

La progettazione  disegno del futuro, aspettativa, istanza di personalizzazione.


È pluriennale; sottende una logica dell’impegno: si fa un progetto a scuola perché
si crede in esso. È corredato al profilo di funzionamento.
Comprende gli obiettivi del ciclo scolastico.

La programmazione  risponde ad un’istanza di pianificazione ed organizzazione


dell’intervento educativo verso un esito desiderato. Risponde ad una logica di
efficienza. Ha un respiro annuale (PEI):
 Scelta e organizzazione delle attività, contenuti, metodi, strumenti.
 Valutazione continua e finale. È lo strumento che ci dice se stiamo
camminando nella direzione giusta.

Scolarizzazione – rischi per allievi con disabilità:


povertà di progettazione
prevalenza di programmazione

non bisogna lavorare soltanto su programmi didattici a breve termine. Il PEI non
può diventare un alibi. Bisogna recuperare una buona dimensione progettuale.
Bisogna fare anche attenzione a non soffermarsi sui traguardi a lungo termine,
senza individuare bene i traguardi a breve termine necessari. Alcuni PEI peccano
di tecnicismi, altri peccano di indeterminatezza. Proporre gli stessi obiettivi per
anni diversi significa che non sono stati individuati bene o sono stati scelti senza
una motivazione ragionata.

PROGRAMMAZIONE PER OBIETTIVI DIDATTICI [RIVEDERE DALLE SLIDES]

 Quali le finalità che la scuola deve raggiungere? (finalità) Le Finalità sono gli
obiettivi generali, cioè quelli che appartengono al ciclo scolastico.
 Quali esperienze educative porre in essere (contenuti)
 Come organizzare queste esperienze? (metodi)
 Come verificare le finalità raggiunte? (valutazione)

Gli obiettivi sono organizzati per livelli di complessità e tempo:


 obiettivi educativi (finali)
 a medio termine - comportamenti operativi (didattici)
 a breve termine azioni pratiche da realizzare (didattici)

22
L’obiettivo non è l’intenzione dell’insegnante, bensì descrivere quali attività deve
dimostrare l’allievo perché possiamo dire che abbia raggiunto l’obiettivo.

Traguardi di apprendimento che devono essere raggiunti dall’allievo a breve


termine, espressi in termini di comportamento, cioè di prestazione concreta,
indicati con un verbo concretamente osservabile. Si definiscono
OPERAZIONALMENTE, cioè
• usando verbi indicanti azioni osservabili
• descrivendo cosa deve fare il soggetto

BLOOM: Uno stesso obiettivo può consistere in: conoscenza, comprensione,


applicazione, analisi, sintesi, valutazione. (sistema classificatorio gerarchico di
Bloom).
Come fa un insegnante in classe per condurre l’azione didattica finalizzata
agli obiettivi?
Il percorso di progettazione
- Si informa sugli studenti;
- definisce gli obiettivi;
- sceglie i contenuti;
- sceglie e organizza i metodi e le attività;
- sceglie i materiali e gli strumenti didattici;
- ripartisce il processo in sequenze di apprendimento/insegnamento;
- realizza gli interventi didattici;
- passa alla valutazione.

Esempi: ASSE MOTORIO


dal PDF si evince che un alunno ha un impaccio psicomotorio.  Rafforzare le
potenzialità soggettive a livello psicomotorio
Traguardi nel PEI: sviluppare la coordinazione di schemi motori di base. (NON corsa
ad ostacoli)

Esempi: ASSE AFFETTIVO RELAZIONALE


Dal PDF si evince che lo studente Tende a isolarsi dai compagni e cerca un rapporto
privilegiato con l’insegnante.  Migliorare il rapporto con i compagni di classe.
• Traguardi nel PEI: sedersi vicino ai compagni; intervenire nelle discussioni;
condividere il materiale didattico con i compagni

23
Vantaggi della programmazione per OBIETTIVI: [De Landsheere][slide 15]
- rendere più democratici i processi educativi perché c’è trasparenza: il
docente deve chiarire i traguardi a se stesso, ai docenti, alunni e alle
famiglie;
- rende l’azione educativa più facile;
- favorisce i processi di valutazione.

Criticità:
Il PEI è un esempio di programmazione per obiettivi individualizzata. La formula
inventata nel secolo scorso, come padre putativo del PEI è il Mastery Learning
(Bloom & Block); BLock &co. non si occupavano della massa, dei disabili, ma di
allievi in Drop out, che non rendevano bene a scuola  percorso didattico adattato:
obiettivi semplificati; tempo aggiuntivo; metodi attivi; attività pratiche.
 Controllo dei risultati.
Il PEI non è altro che un modello di mastery learning.

- Prevede un unico percorso uguale per tutti gli studenti; nega, dunque, la
specificità de singoli;
- Richiede che tutto sia previsto in anticipo. Impossibile: la realtà si sviluppa
in modo complesso e mutevole, ristrutturandosi secondo condizioni di
contesto, processo e i profili degli studenti.

PROGRAMMAZIONE PER CONCETTI


ANALIZZEREMO 21/12

21/12/2019 [slide modelliprogdid]

Modelli di progettazione didattica e inclusione

 Apprendimento e inclusione degli allievi con disabilità.

Programmare per OBIETTIVI DIDATTICI

Ventaggi: De Landsheere
 Rendere più democratici i processi educativi

La programmazione per traguardi molto ben identificati e interpretati in modo


operativo, tradotti in comportamento che l’alunno deve possedere  secondo gli
esperti garantisce carattere democratico perché la forma è chiara e trasparente: il
docente sa cosa vuole e lo comunica all’allievo e alle famiglie.
CURRICOLO
Strettamente collegato alla programmazione per obiettivi c’è l’idea di CURRICOLO
 non esistono più programmi, ma indicazioni per il curricolo. È un concetto nato
negli anni 70-80 (Nicholls e Stenhouse). Esso è un tentativo di rendere pubblici i
principi e le caratteristiche di una proposta educativa, suscettibile di una efficiente

24
conversione in pratica. È un’offerta formativa organizzata, con dei traguardi da
raggiungere, con la chiarezza delle metodologie, degli strumenti, dei modi di
verifica e va resa pubblica.
La logica curriculare dovrebbe sia animare la programmazione di classe, sia anche
il PEI che è una sotto-programmazione della programmazione di classe, una sua
articolazione.
Sia il curriculo che il PEI si elaborano entro i primi 2 mesi dell’anno. Per il pei si
parte dalla programmazione di classe, per poi distanziarsene eventualmente
semplificando il carico didattico, l’obiettivo, articolandolo in sotto nuclei.

Come si collocano il PAI e il PTOF rispetto alla programmazione?

 Il PTOF è il piano triennale dell’offerta formativa scolastica; ogni scuola deve


obbligatoriamente elaborarlo; è la carta di identità culturale, educativa e
didattica della scuola. Cosa contiene?
I valori formativi in cui quella scuola si riconosce. Dev’esserci
l’affermazione che l’inclusione sia un valore. Non basta elencare i valori, i
traguardi a lungo termine, bensì dare indicazioni metodologiche e operative
al collegio dei docenti e al consiglio di Istituto e al DS affinché i valori
diventino realtà.
ES. il Consiglio di istituto per favorire le uscite didattiche favorisce la figura
di figure assistenziali e che le spese per farsi carico dell’alunno con disabilità
siano affidate all’istituzione scolastica.
Esso deve essere reso pubblico sul sito della scuola (trasparenza e
democraticità).
È di competenza del DS, dei docenti e dei genitori.

 Il PAI è il piano annuale dell’inclusione; è di competenza dei docenti. Esso


ha una valenza didattica, cioè dà indicazioni sul piano didattico agli
insegnanti. Il PAI è un progetto, dev’essere dinamico e non statico. Deve
contenere indicazioni circa il possibile miglioramento futuro, cioè sul da farsi
per migliorare la situazione presente. Non deve essere un mero elenco di
dati.

La scuola è un’organizzazione a legami deboli: possono esserci buone


indicazioni di valori e di percorsi, ma talvolta non sono condivisi. Non c’è una
comunità che cammina tutta nella stessa direzione.
Noi possiamo dare il nostro contributo affinché il lavoro di classe abbia un
rispecchiamento nelle scelte condivise della scuola.
[Thomas J. Sergiovanni -pedagogista americano: “è difficile fare comunità a
scuola”].

Criticità: La logica amministrativa, purtroppo, prevale su quella progettuale.


Il PEI di giugno è previsionale, di bilancio -utile per la richiesta di ore
necessarie per il sostegno.

25
PROGRAMMAZIONE PER CONCETTI [slide 17]
Questo modello, di fatto, non viene adottato come modello in sé. La
programmazione viene intrecciata con quella per obiettivi.
L’insegnante deve essere consapevole su quale piano di programmazione si sta
muovendo.
Il padre della programmazione per concetti è BRUNER [strutturalismo:discipline
come strutture di concetti].
Il presupposto bruneriano è che ogni disciplina è caratterizzata da proprie categorie
concettuali e reti di concetti. Ciascuna di esse esprime un punto di vista attraverso
il quale descrivere la realtà. Il docente di ciascuna disciplina deve insegnare i
fondamentali della disciplina (ES. non le date in storia, ma il ragionamento tipico
dello storico;ecc.).

FUNZIONE PARENTETICA DELLA SCUOLA: su due piani.


Il sapere scolastico ha funzione parentetica: descrive la realtà secondo la
categoria  un po’ la semplifica e un po’ la stravolge, proteggendo dall’esperienza
diretta. semplificazione ed adattamento del proprio sapere.

IMPADRONIRSI DEI LEGAMI TRA I CONCETTI FONDAMENTALI. NON I


CONTENUTI, MA I CONCETTI. Devo organizzare la mappa mentale dello studente,
considerando in che modo la mia mappa (flessibile) incontra le preconoscenze dello
studente e le sue caratteristiche, come lo stile di apprendimento.

 La conoscenza è costruzione ed organizzazione di concetti (a diverso livello


di astrazione e complessità socialmente condivisi).

 La concettualizzazione è il compito di sviluppo per l’uomo.

 La complessità dell’esperienza didattica è rappresentata da: (vedi slide)


-oggetto culturale strutturato per nessi concettuali
- Soggetto in apprendimento
- azione di insegnamento

 La conoscenza, per essere significativa, deve comportare produzione e


organizzazione di strutture concettuali.

L’allievo deve dimostrare di saper fare un ragionamento, di avere delle capacità


procedurali. Non basta che arrivi al risultato, ma che spieghi il procedimento usato,
motivare la scelta del metodo tra i diversi metodi che conosce  è un lavoro sul
METODO DI STUDIO, è un lavoro di METACOGNIZIONE  consapevolezza di
ciò che si fa, fornendo strumenti che consentano di imparare autonomamente.
Bisogna giungere ad un APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO [Piaget: nella
mente dell’allievo che impara non dev’esserci solo assimilazione, ma anche
accomodamento, cioè saper riutilizzare un apprendimento in un’altra
situazione]:

26
 Ciò che si deve apprendere è potenzialmente significativo;
 L’alunno possiede già le idee e i concetti di base;
 Lo studente può e vuole apprendere;
 Deve comportare una trasformazione attiva e dinamica della struttura
conoscitiva che deve subire, almeno in parte, una ristrutturazione.

Vantaggi e criticità del modello


Vantaggi:
È più flessibile rispetto al modello per obiettivi perché è previsto che il docente
si occupi di conoscere il livello di partenza dell’allievo.
Prevede una condivisione della costruzione sociale della conoscenza (classe
come comunità di ricerca.

Criticità:
Il sapere scolastico è lontano dall’esperienza di realtà (astrattezza e
formalismo)
Fa conto su insegnanti molto competenti sulle discipline, per sviluppare saperi
di elevato spessore culturale e formativo;
Rischi di rigidità e di automatismi: le concettualizzazioni vanno relazionate in
forma interconnessa, ricorsiva, flessibile;
Rischi di verbalismo e astrattezza (poco spazio alle esperienze soggettive).
Questo modello nasce e muore all’interno del contesto scolastico. Non si
possono valutare le conoscenze al di fuori del contesto scolastico.

MODELLI A CONNOTAZIONE STRATEGICA


SCUOLA E REALTÀ (VEDERE ANCHE SINTESI SLIDE 32)
Nel modello per obiettivi non è necessario che si crei un clima di condivisione:
gli allievi non hanno bisogno di lavorare insieme.
Nella vita reale siamo immersi in un mondo di confronto, di condivisione.
Nella scuola (accusa di verbalismo) ciò che interessa ai docenti è che l’allievo
faccia con la sua testa, con le sue forze, non può aiutarsi con altro durante
le verifiche, se non ciò che c’è nella sua testa. Nella vita reale, usiamo archivi
fuori dalla nostra mente. La conoscenza non è solo ciò che abbiamo in testa,
ma anche come sappiamo usare archivi di dati.
Nella scuola si coltiva il sapere formale; nella realtà c’è il sapere formale e
concreto.
Il sapere scolastico non si misura con il sapere reale, purtroppo: la scuola
non insegna sempre competenze da riutilizzare a di fuori del contesto
scolastico. Ciò ha condotto all’elaborazione di altri modelli, che non sono
alternativi, ma possono intrecciarsi con gli altri.

LA SFIDA PER IL SAPERE SCOLASTICO


SFIDA: NON CREARE UN MURO, MA UN PONTE.

27
Necessaria scuola a contatto con la vita reale.
Per semplificare la riflessione sulla realtà, a scuola frammentiamo il sapere in parti
(quadrimestre) perché facciamo arrivare gradualmente l’allievo alla conoscenza.
Nella realtà non c’è questa frammentazione, ma le situazioni si presentano nella
loro complessità.

DUE LOGICHE A CONFRONTO: MURO VS PONTE.


MURO PONTE

La conoscenza come prodotto La conoscenza come processo


predefinito elaborativo

La conoscenza viene frammentata in La conoscenza viene vista nelle sue


parti per facilitare l’assimilazione reciproche relazioni

Lo studente riproduce la conoscenza Lo studente produce la conoscenza

Prevede un percorso lineare Prevede un percorso ricorsivo


insegnante-conoscenza-studente insegnante-conoscenza-studente

Usa il libro come strumento principe Usa fonti e materiali diversi

Organizzato intorno a contenuti Organizzato intorno a problemi

Strutturato e uniforme Differenziato e regolato sulla persona

Procede in modo individualistico Procede in modo cooperativo

28
Programmare per PROGETTI/ SFONDO INTEGRATORE
(sfondo integratore: declinazione scuola infanzia)

Si propone di mettere l’allievo di fronte ad una situazione reale, ad una questione


pratica da risolvere  compito autentico, compito di realtà.

Non basta che l’allievo sappia riprodurre, ma deve riutilizzare le conoscenze per
fronteggiare la situazione: applicare idee acquisite per verificarne l’applicazione
nella pratica; sviluppare soluzioni in modo ordinato.

Si può lavorare individualmente o in gruppo.

CARATTERISTICHE:
 CAMBIA IL RUOLO DEL DOCENTE, che fa lavoro di regia: è presente, dà
feedback frequentemente. Sceglie oculatamente dove inserire allievo con
disabilità.
 La gestione è non direttiva, ma c’è una forma di autogestione. È una didattica
indiretta.
 Si parla di coevoluzione degli allievi: si cresce insieme. L’errore non è
un’esperienza da sanzionare, ma da rettificare.
 Gli allievi sono opportunamente indirizzati e monitorati.
 Il copione non è rigido: non conosciamo a priori i risultati. Ci aspettiamo dei
risultati, ma non ne siamo certi a priori. C’è un’aspettativa, ma il progetto ha
dei rischi, delle incertezze, ma resta un itinerario aperto.
 La cornice progettuale è importante e funge da:
-contenitore spazio-culturale;
- organizzatore e motore di percorsi didattici;
- organizzatore di mediazioni, di regole di comunicazione.

Fasi della programmazione:


a) Analisi della situazione (caratteristiche, interessi, motivazione degli allievi);
b) Definizione dello sfondo istituzionale e narrativo;
c) Definizione della mappa di obiettivi e di competenze in uscita;
d) Elaborazione dei nuclei e dei nodi progettuali (unità di progetto, parti del
percorso);
e) Controllo, feedback e valutazione.

VANTAGGI:
 Favorisce la motivazione;
 L’esperienza del progetto permette di collegare la dimensione cognitiva con
quella affettiva perché c’è un vissuto di coinvolgimento;
 È una didattica aperta e flessibile;
 Ha un’affinità con il modello didattico per competenze perché è immerso nella
esperienza concreta;

29
 È un tipico modello di ricerca-azione: si costruisce pian piano l’esito del
progetto, il che richiede ricerca, anche da parte degli allievi.
Ricerca  osservazione  rimodulazione.
 Più consono a scuola infanzia/primaria.
 Consente di integrare gli allievi con difficoltà, che potranno dare il loro
contributo lavorando con gli altri  valorizzazione delle sue caretteristiche,
farle conoscere a tutti.

CRITICITÀ:
 Incertezza sul risultato (indeterminatezza);
 Scarsa attenzione ai contenuti culturali. Come contrastare questo rischio?
Nella fase preliminare, chiarendo le aspettative, facendo bilancio di medio
termine e conclusivo.

30
PROGRAMMAZIONE PER COMPETENZE [slide 40]

LA COMPETENZA
La scuola sembra privilegiare la trasmissione di conoscenze, la capacità di
memorizzazione e di verbalizzazione, mentre dovrebbe formare individui
competenti.
La cultura delle competenze è più anglosassone e francese.
È nato in ambito professionale negli anni 70 ed entrata nel mondo scolastico negli
anni 90.
Competenza:
Sapere -saper fare- saper essere.
capacità di risolvere problemi di natura pratica o intellettuale con carattere di
complessità. Risolvere problema reale in un contesto, facendo interagire le sue
conoscenze (ciò che sa), la sua abilità (ciò che ha imparato nella pratica) mettendo
anche in gioco il suo stile personale
Capace di trasferire la conoscenza in situazioni analoghe: competenza è
contestualizzata e TRASFERBILE in altri CONTESTI.

L’ICE-BERG DELL’APPRENDIMENTO (Spencer, 1995)


Che cosa si apprende: conoscenze e abilità.
Come si apprende: impegno, motivazione, consapevolezza, strategie
metacognitive, ruolo sociale, immagine di sé, sensibilità al contesto.

Programmare per competenze: Centrare il percorso di


insegnamento/apprendimento su una tematica di una certa ampiezza e
complessità, attinta dal mondo dell’esperienza, che richiede: esplicitazione
degli scopi, organizzazione delle esperienze di apprendimento, valutazione dei
risultati.
 Sapere agire in una situazione problema, cioè: focus su una situazione
problema (progetto) da affrontare, che dà senso alle diverse azioni di

31
apprendimento; traguardi formativi da raggiungere attraverso l’esperienza
(il laboratorio come ambiente privilegiato)

Si può insegnare una competenza mediante la lezione frontale? NO. Perché in


questo caso il docente trasmette contenuti culturali. Nemmeno la verifica stabilisce
se vi siano competenze.
Per formare le competenze, in classe deve entrare esperienza concreta attraverso
laboratori, uscite didattiche, situazioni problematiche.
Sono necessari compiti autentici, compiti di realtà.

ANALOGIA: L’attività per progetti ha analogie con apprendimento di


competenze: l’allievo deve misurarsi con la realtà, trovare soluzioni, mettere
in gioco il suo stile e saper argomentare quello che sta facendo.
Le attività per competenze possono essere interdisciplinari.
Bisogna chiarire le competenze in uscita.
Chiarire strumenti e fare censimento delle risorse a disposizione (risorse materiali
e personali, cioè le conoscenze all’interno del gruppo).
Sono necessari insegnanti competenti.

Le competenze si possono promuovere? Sì.


 Apprendimento dell’esperienza, cognitivo e pratico;
 Affrontare situazioni problema.

Nella programmazione di classe devono esserci COMPETENZE legate a progetti


scolastici, cioè compiti autentici. Organizzare almeno 1 o 2 volte l’anno delle
verifiche attraverso compiti autentici (Es. problemi ad ogni gruppo in cui mettere
in pratica ciò che si è imparato).
Nel modello per competenze si fa spesso il bilancio delle competenze acquisite
per sollecitare la consapevolezza a livello personale e di gruppo.

Principi di metodo:
 Coinvolgere l’allievo nelle attività.
 Confrontare il bilancio di competenze presenti e le caratteristiche della
competenza da acquisire.
 Guidare l’attività autoriflessiva e interpretativa sull’esperienza.

La competenza stimola la fiducia e la sicurezza in sé.

32
11/01/2020 [slides: Valutazione]

La valutazione formativa, dinamica, orientativa, inclusiva

Valutazione: processo che non consiste in un atto unico, ma ha diverse “fasi”.


Non è soltanto un atto conclusivo. Più di controllo, è un processo di supervisione.

Funzioni convenzionali della valutazione:

 selezionare gli allievi secondo il merito;


 controllare gli apprendimenti: il docente valuta per capire se gli allievi hanno
compreso ed apprezzare il livello degli apprendimenti;
 documentare gli esiti del programma scolastico (funzione certificativa sul
piano sociale: gli esiti scolastici hanno un riverbero sulla prosecuzione degli
studi).

Focalizzazione sul:
 contenuto (il voto documenta se gli allievi sono in grado di riprodurre,
ricostruire ciò che l’insegnante ha insegnato. Metafora: libro di testo 
dimostrare di aver studiato);
 tempo (BES più tempo per le verifiche; per gli altri, standardizzato); (tempo
anche per le valutazioni – entro gli scrutini);
 i voti (in passato erano giudizi – L.517/1977 : schede di valutazione della
scuola dell’obbligo. I giudizi corrispondono alla gamma dei voti. È equivalente
valutare con voti o giudizi).

Una funzione della valutazione è il CONTROLLO  è uno strumento potente nelle


mani dei docenti, con cui accresce la sua autorevolezza, il suo carisma in classe. Il
docente talvolta può decentrare questo potere e consentire agli alunni di effettuare
un’autovalutazione.

La valutazione come processo di supervisione e…

 indicatore di percorso (un navigatore che ci indica il percorso verso il


traguardo da raggiungere. La rotta è indicata passo per passo. Se si “sbaglia
strada”, si indica un nuovo percorso per trovare la strada corretta. Queste
indicazioni sono tecniche, non prevedono un giudizio: NON “sei stupido
perché hai sbagliato strada”, ma “proviamo a intraprendere una strada
diversa per raggiungere il traguardo”)

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Aspetto intrinseco: valutare significa realizzare un confronto,
esaminare il grado di adeguatezza tra:

insieme di informazioni – insieme di criteri (prodotto (il prodotto dell’allievo è


il dato oggettivo. Da qui si fa il confronto tra il prodotto e una serie di criteri, ovvero
i livelli di prestazione degli allievi: se il prodotto ha determinate caratteristiche,
decise dal docente9, allora è sufficiente; se non le possiede, non lo è, ecc.).

COSA NON È LA VALUTAZIONE?


Questo confronto tra prodotto e giudizio serve non per selezionare né per fare
graduatorie in classe, ma PER PRENDERE DELLE DECISIONI, far capire al
docente e al discente cosa va cambiato nel percorso.
 L’obiettivo, dunque, non è atto conclusivo ma atto di ripartenza.
 Non è dare un giudizio;
 non è fare una constatazione;
 non è esprimere un’opinione (relativa)  spesso si fa con gli allievi con disabilità:
la valutazione è personalizzata in base al PEI, non c’è un confronto con altre
situazioni analoghe in classe, quindi mancano elementi di soggettività.
(logica delle conclusioni)

COSA E’?
 Porre dei criteri;
 Far conoscere “cosa si valuta” (spiegare cosa sarà valutato e quali sono i
traguardi. Indicare i livelli di valutazione -rubriche valutative.);
 Fondare una decisione:
- Per migliorare l’apprendimento e l’insegnamento;
- Ricorrere a un insegnamento correttivo)
Il vero significato è sostenere la prosecuzione di un percorso.
(logica delle decisioni)

Il processo di valutazione è sostanzialmente FORMATIVO:

 Documenta la progressione e la crescita degli apprendimenti;


 Favorisce il riposizionamento dell’allievo rispetto al suo apprendimento e alla
classe;
 Rinforza la motivazione ad apprendere;
 Permette all’allievo di costruire un’immagine realistica e positiva di sé.

Una sequenza di voti negativi può alimentare disaffezione alla materia e/o allo
studio in generale. La valutazione deve, invece, rafforzare la motivazione.

Aspetto di SOGGETTIVITA’ DELL’INSEGNANTE


9

34
La valutazione (cosa)
o Non è un processo conclusivo fine a sé stesso;
o È una fase della progettazione/programmazione;
o È stimolo al perseguimento del massimo sviluppo possibile negli
apprendimenti;
o Sostanzialmente NON ha funzione selettiva;
o Il giudizio riguarda anche l’intervento didattico del docente.

Funzione della valutazione (perché)


o Funzione dinamica: Regolazione continua dei processi di
insegnamento/apprendimento;
o Funzione di individualizzazione: adeguamento dei percorsi alle
caratteristiche individuali;
o Funzione di controllo: attenzione alla qualità dei processi formativi.

I momenti della valutazione (quando)


o Valutazione osservativo-diagnostica (rilevazione in ingresso: non
devono essere il primo voto! Non devono influenzare i voti successivi!);
o Valutazione formativa e orientativa (valutazione in itinere: verifiche,
interrogazioni, domande “dal posto”);
o Valutazione sommativa (valutazione di bilancio conclusivo);
o Valutazione di follow up (a distanza temporale  valutare da ordini di
scuola precedenti: giudizi sul sentito dire, sulla collaborazione con la scuola
di ordine inferiore; oppure, comparazione nazionale – INVALSI – o
internazionale; progetti di continuità: non un giudizio su come ha lavorato
la scuola precedente, ma un bilancio di quanto l’alunno ha già appreso, in
modo da impostare un PEI in base agli apprendimenti precedenti. Gli
insegnanti dell’ordine di scuola precedente devono prendere tale iniziativa.
Con autorizzazione dell’ufficio scolastico, il docente può prendere servizio
presso l’ordine di scuola successivo per accompagnare l’allievo nel nuovo
contesto scolastico.)

I modi della valutazione (come)


o Interpretazione (assenza di criterio predeterminato: non argomentare le
ragioni che hanno condotto a quel voto. ASSOLUTAMENTE DA EVITARE: è
dovere del docente informare gli allievi sui criteri);
o Stima (impiego di criterio ordinale -maggiore minore  l’insegnante spiega
la gamma dei voti che userà – dal 4 al 10, spiegando a cosa corrisponde
ciascun voto. Gli alunni sono più consapevoli di cosa e come studiare):
o Misurazione (preesistenza di criterio e scala di misurazione formalizzata: è
ancora poco impiegato a scuola. Maggiormente usato in materie scientifiche
o educazione motoria; quasi mai usato con allievi con disabilità per mancanza
di campioni di misurazione da confrontare). Si può usare quando si

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concordano le prove a livello di dipartimenti per dare omogeneità alla
didattica nelle diverse classi dello stesso istituto.

Nel PTOF sarebbe bene indicare quale modalità di valutazione impiegare.

Difficoltà nel valutare

 Trovare criteri di trasparenza dei giudizi;


 significatività del processo di valutazione degli apprendimenti.

Valutare – verificare
Verificare = conoscere + scegliere
- le evidenze da verificare
- i mezzi per ricavare dati
- i mezzi per rendere leggibili i dati

= compiere misurazioni
(su conoscenze, abilità, competenze, comportamenti)

Valutare = da ambito quantitativo a ambito qualitativo


fare riferimento….
=Interpretare i dati delle misurazioni e trasferirli da un ambito quantitativo ad
uno più astratto e generale.

Dalle verifiche alla VALUTAZIONE.

Caratteristiche delle verifiche

Pertinenti: riguarda l’omogeneità del campione. È pertinente se adeguata o all’età


o al tipo di disabilità: tarare su un campione di soggetti che presentino un carattere
di omogeneità.

Valide: adeguatezza rispetto al traguardo di apprendimento da controllare:


capacità di identificare e descrivere con precisione l’oggetto da controllare
(conoscenze, abilità, competenze, ecc.).

Affidabili: -omogeneità degli stimoli proposti (chiusi/aperti);


- omogeneità nelle operazioni di somministrazione degli stimoli (nel
tempo e tra diversi istruttori);
- omogeneità negl strumenti di rilevazione

Capaci di discriminare: in grado di distinguere con chiarezza se e in che modo


sono stati raggiunti i risultati.

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Dimensione PROGNOSTICA del voto: Insieme all’attribuzione del voto, è molto
importante argomentare il voto: indicare le ragioni del voto, gli aspetti su cui
lavorare, i passaggi sbagliati e un suggerimento su come rimediare.

Disabilità – VALUTAZIONE E PROVE D’ESAME

Legge 104/92 art. 16


(il 1° comma si riferisce a tutti gli ordini e gradi di istruzione)

1) La valutazione è individualizzata per gli allievi con disabilità: è riferita agli


obiettivi del PEI, che possono essere anche molto diverse rispetto ai
traguardi di classe (valutazione individualizzata; particolari criteri didattici,
attività integrative)  necessaria chiarezza di idee su soglia minima per la
disciplina;
2) Nella scuola dell’obbligo sono predisposte prove d’esame:
-corrispondenti agli insegnamenti impartiti;
- Idonee a valutare il progresso dell’allievo (in rapporto alle potenzialità/livelli
di apprendimento iniziali).
Gli esami di scuola media sono differenziati in base alle scelte dei docenti di
classe.

3) Nella scuola secondaria di secondo grado sono consentite:


- Prove equipollenti (prove metodologicamente diverse, ma uguali per
il contenuto culturale  diversificare lo stimolo e non il traguardo).
Anche la programmazione dev’;
- Tempi più lunghi per l’effettuazione di prove scritte o grafiche;
- Presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione;
- Utilizzo di ausili necessari.

Conseguenze della valutazione personalizzata sono evidenti nella scuola


secondaria di II grado perché non è più scuola della formazione obbligatoria,
pertanto gli studenti devono mostrare di aver raggiunto gli stessi traguardi
di classe.

Lo studente può:

a. OBIETTIVI MINIMI: seguire il programma di classe a livello minimo di


classe  lo studente può accedere all’esame di maturità ed acquisire al
diploma, spendibile anche all’università;

b. OBIETTIVI DIFFERENZIATI: seguire traguardi del PEI molto diversi


rispetto al programma canonico  lo studente avrà un esame di maturità
differenziato e non otterrà un diploma, bensì un ATTESTATO DI
FREQUENZA che deve indicare le competenze acquisite dallo studente.

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Può accadere che il Consiglio di Classe disponga di cambiare da obiettivi
minimi o obiettivi differenziati.
Se ci sono divergenze di vedute con la famiglia? Se la famiglia non concorda,
la competenza valutativa resta di responsabilità dei docenti. Deve restare
traccia documentale in cui la scuola informa la famiglia in tempo debito.
Secondo la L.104/92 art.12 l’allievo va informato sulla tipologia di PEI già a
partire dai 14 anni.

DSA VALUTAZIONE E PROVE D’ESAME


DSA – legge 170/2010 art. 5 e Linee Guida,
Con questa legge, pensata per i DSA, sono stati introdotti nuovi strumenti
utilizzabili anche con allievi con disabilità:
Misure dispensative
 Tempo supplementare;
 Privilegiare verifiche orali piuttosto che scritte o viceversa, tenendo conto
anche del profilo individuale di abilità;
 Prevedere nelle prove scritte l’eventuale riduzione quantitativa
 ….
Strumenti compensativi
 Uso del PC;
 Registrazione delle lezioni;
 Programma di sintesi vocale;
 Strumenti di facilitazione dello studio (mappe, calcolatrice, formulari, ecc…)

L’AUTOVALUTAZIONE

Unità tematica: ___________________________ Data:________________

Ho imparato: __________________________________________

Ho fatto:______________________________________________

ho scritto:_____________________________________________

ho letto:______________________________________________

I miei lavori migliori sono stati:____________________________

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Valutazione ORIENTATIVA
Aspetti metacognitivi della valutazione  essa mette in luce le strategie e gli stili
di apprendimento, le attitudini, le convinzioni e gli atteggiamenti, la motivazione
ad apprendere, le dimensioni della personalità che via via definiscono i contenuti
del progetto scolastico e di vita.

Le mie attività ed esperienze fuori della scuola (con la scuola) da solo (con la
famiglia o con altri adulti)

-data___________________Attività, progetto, esperienza______________-


Descrizione_____________________________
Perché mi è o non mi è piaciuta ________________________
- Che cosa ho imparato, che cosa so fare meglio ___________
-Il mio giudizio complessivo ____________________________

Portfolio degli studenti con disabilità e UDL? non fa parte della verifica
finale, da trattare eventualmente il giorno dell’esonero.

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