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La storia della pedagogia può riguardare due piani significativamente diversi tra loro: quello della
"pratica educativa" e quello della riflessione teorica su quest'ultima.
Essa inoltre va distinta dalla storia dell'istruzione, la quale tratta delle istituzioni scolastiche
(legislazioni, organizzazione, personale, corporazioni e sindacati etc.). Recentemente, si è anche in
parte trasformata in storia dell'educazione, che tratta dei sistemi educativi in generale, e quindi
anche di quelli sviluppatisi al di fuori dell'ambito scolastico, come la famiglia, gli scout, le
associazioni sia laiche sia religiose, etc.
Indice
1 Le origini della pedagogia
2 Pedagogia classica
3 Pedagogia medievale
4 Pedagogia moderna
5 Note
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni
Pedagogia classica
Lo stesso argomento in dettaglio: Paideia.
Nel periodo più arcaico della Grecia antica, la questione della formazione umana, sorta
prevalentemente in un contesto aristocratico, trasse dai poemi omerici le sue prime ispirazioni, in
particolare dai modelli offerti dagli eroi Achille e Odisseo.[1]
In seguito giunse progressivamente a maturazione l'ideale della paideia con l'enfatizzazione delle
virtù del cittadino, quali l'obbedienza alle leggi e la dedizione alla vita collettiva della polis, nella
quale l'individuo poteva approdare a quella realizzazione e perfezionamento di sé conosciute come
kalokagathia (propriamente «bellezza e bontà»), fatta cioè di qualità sia esteriori che interiori,
mirante a fare di lui un essere umano nel senso più autentico della parola.[1]
Dal V secolo a.C. Socrate, con la sua maieutica, vede il lavoro dell'educatore simile a quello della
levatrice: il suo compito è solo quello di tirar fuori la conoscenza insita nelle persone, tramite una
serie di domande che indurranno l'interlocutore a cercare una risposta. Questo sarebbe stato
possibile in quanto, secondo Socrate e il suo discepolo Platone, l'anima già preesisteva alla sua
venuta al mondo, avendo appreso nel cielo iperuranio quella sapienza, successivamente caduta
nell'oblio al momento della nascita, che era compito dell'educatore risvegliare.
Platone affronta in uno dei suoi dialoghi il problema di come avvenga tale apprendimento, che
consiste essenzialmente in una reminiscenza, dando avvio ad un filone di studi composto da una
lunghissima e fitta schiera di pensatori che ha discusso sull'essenza della pedagogia, sui suoi metodi
e sui fini che dovrebbe proporsi.
Presso i Romani l'ideale greco della paideia si identificò con quello latino di humanitas, ad esempio
in Aulo Gellio,[2] Marco Terenzio Varrone,[3], e Marco Tullio Cicerone,[4] per essere portata avanti
dai primi Padri della Chiesa, come Clemente di Alessandria, Origene o Gregorio di Nissa, che
l'armonizzarono con i fondamenti della nascente teologia cristiana.
Pedagogia medievale
Per tutto il Medioevo restò vivo l'ideale di formare integralmente una persona completa, retta e ben
inserita nella società, dando luogo a numerosi trattati per ampliare la conoscenza sull'uomo, sulla
natura e su Dio. Questo desiderio di universalità fu alla base di un'educazione scolastica di alto
livello, basata sulle autorità classiche,[5] e consacrata nella formula del trivio e del quadrivio, che
pose le basi per la nascita e il consolidamento del sistema universitario.
Raimondo Lullo (1235-1315) scrisse il primo manuale conosciuto di istruzione dei bambini scritto
in una lingua romanza. La sua pedagogia era tesa a provvedere i mezzi per conseguire la salvezza
spirituale e, insieme, la cristianizzazione degli infedeli. Formulò anche i principi di un
insegnamento intuitivo e analogico, raccomandò che la lingua nativa si insegnasse prima della
lingua latina, e che fossero docenti stranieri a insegnare le loro rispettive lingue.
Pedagogia moderna
Con l'età moderna permase l'interesse degli umanisti rinascimentali a modellare l'uomo universale,
facendo del discepolo quasi come un'opera d'arte.
Il XV secolo vede un radicale rinnovamento culturale che gravita intorno a tre istituzioni principali
(arti liberali, cancellerie e corti) in cui l’educazione non attinge più dagli antichi testi medievali ma
dai classici in lingua originale. Con l’avvento dell’Umanesimo si affermano gli studia humanitatis
nell’ambito delle arti, come grammatica, retorica e dialettica, diffondendo l’uso dei grandi testi
greci. Dove la tradizione universitaria è più antica, come a Bologna e a Padova, la penetrazione
della nuova cultura è più faticosa rispetto a città come Firenze o Ferrara. A Firenze in particolare
l’umanesimo entra nello Studio con una cattedra nuova, di greco; ed è attraverso il greco e la
letteratura dei greci che vi domina.
Filologo insigne, convinto del valore del greco e della cultura greca, fu il Guarino, di grande rilievo
nella sua scuola è l’apertura non solo ai figli di grandi famiglie, ma anche a giovani modesti che
diventeranno a loro volta maestri o funzionari pubblici o faranno carriera ecclesiastica. L’Università
è scuola volta a preparare specialisti: medici, giuristi, teologi. Tutta questa educazione imperniata
sugli studia humanitatis è collegata al concetto di cittadino che caratterizza i secoli fra il
Quattrocento e il Seicento, in cui l’uomo, si ama ripetere con Aristotele e con Cicerone, è essere
politico, nato non per sé, ma per la patria e per il bene comune, per la res publica. La scuola deve
quindi prepararlo, innanzitutto, ad assolvere questo compito[6].
In seguito, con l'illuminismo, Rousseau teorizzò una nuova forma di pedagogia che riformulando il
concetto cristiano del male, prescindeva dalla nozione di peccato originale. Autore della teoria del
"buon selvaggio", Rousseau riteneva infatti che l'uomo fosse "buono" per natura: la corruzione e
l'inclinazione al male per lui vengono dal di fuori, avendo origine cioè dagli ordinamenti della
società. Nell'Emilio, egli trattava pertanto di un'educazione del fanciullo allo stato di natura, fuori
dalla società. Questa teorizzazione ha ispirato la fondazione dei Centri Rousseau in Italia.
Immanuel Kant espresse una teoria con una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia
nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale.
L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una
formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita.
Il teorico del positivismo Auguste Comte così come il sociologo Émile Durkheim sostenevano che
l'educazione dovesse portare l'individuo a condividere l'ethos della società, per consentirne il
progresso e che di conseguenza dovesse essere sovraordinata a deterministica.
Di diverso avviso Herbert Spencer, il quale rifacendosi a Darwin considerava l'evoluzione come un
processo evolutivo che dovesse coinvolgere il corpo (in fondo l'uomo è un animale che deve essere
pronto per la guerra) e la mente (razionalità scientifica). Il filosofo britannico riteneva che i valori
etici dipendessero dalla società e per questo l'educazione morale doveva rifarsi alla comprensione
empirica dei propri errori. Rispetto ai pensatori francesi Spencer riteneva che l'educazione dovesse
portare allo sviluppo personale della persona, secondo le sue aspettative, di conseguenza con una
maggiore dose di individualismo.[senza fonte]
Ralph Waldo Emerson teorizzò un'educazione liberale, senza restrizioni perché quelle verranno da
sé se si impianterà un atteggiamento morale perfezionistico, che prevede sempre scopi elevati,
associato alla fiducia in sé e nella capacità di utilizzo dei propri talenti.