MANUALE
DI
STORIA
DELLA PEDAGOGIA
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INTRODUZIONE
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4. strutturalismo e indagini quantitative: hanno posto l’attenzione su tutto ciò che è
impersonale nella storia, cioè sulle strutture che regolano i comportamenti in profondità e le
hanno studiate mediante ricostruzioni statistiche, come variabili quantitative. In tal modo, è
stato possibile rilevare, nel percorso storico, delle permanenze oggettive, dei dati di fatto
collegati sempre alla natura.
Dal contributo di queste posizioni, ma anche di altre, sono derivate le tre grandi rivoluzioni della
storiografia contemporanea, quali:
1. La rivoluzione dei metodi: la storia “si fa” mediante metodologie molteplici, differenziate,
diverse per procedure cognitive e per strumenti logici impiegati, in modo da far emergere il
pluralismo della ricerca storica. Essa si compone di ambiti diversi e tutti necessitano di metodi
specifici, ad hoc. Non parliamo più, quindi, di certezza del metodo, quanto piuttosto di più
metodi.
2. La rivoluzione del tempo: Braudel ha messo in evidenza come il tempo storico sia radicalmente
diverso dal tempo artificiale (delle ore, dei minuti…) o da quello vissuto (percepito nelle prassi
quotidiane). Il tempo della storia non è mai univoco, né unitario, ma plurale e problematico, non
è oggettivo ma è legato al punto di vista e all’intenzionalità. Per Braudel, i tempi dello storico
sono tre, tutti necessari per la comprensione della storia: quello degli avvenimenti, il tempo
della storia-narrazione, frantumato e variegato, che è vicino al tempo vissuto e cronologico;
quello delle brevi durate, connesso alle strutture politiche, sociali e culturali, al di sotto degli
avvenimenti, cioè il tempo della storia-scienza; quello, infine, delle lunghissime durate che
coglie le strutture profonde e quasi invariabili, il tempo della storia-interpretazione.
3. La rivoluzione dei documenti: i documenti non sono più intesi come monumenti, quanto come
dati frutto di interpretazione, che comprendono tutto quanto la memoria collettiva ha
conservato, immagazzinato, tramandato. I documenti comprendono ormai tutto quanto è
soggetto ad interpretazione storica e vengono utilizzati in modo dialettico, servendosi non solo
di quelli ufficiali ma anche di quelli marginali, come quelli relativi all’immaginario, per
esempio.
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formativa. Tuttavia, l’immaginario ha avuto e ha un ruolo essenziale nello sviluppo
dell’educazione e anche negli effetti che essa ha sulla società.
PARTE PRIMA
IL MONDO ANTICO
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Caratteri dell’educazione antica.
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neoclassica. La contemporaneità ha invece recuperato la dimensione passionale, concreta. Violenta,
tragica, del mondo antico, ponendo al centro dell’indagine conoscitiva non solo la theoria cioè il
sapere puro, ma anche il sapere tecnico-pratico. Il mondo classico, soprattutto greco, è stato studiato
anche per gli apporti che le altre culture vi hanno dato, ridimensionandone il peso o la presunta
superiorità rispetto alle altre civiltà coeve. Il nuovo approccio storiografico ha inoltre rivalutato
l’importanza di aspetti troppo a lungo sottovalutati, (in nome della razionalità platonico-aristotelica
o dell’ordine e dei valori espressi dai poemi omerici) come il linguaggio, il mito, la sessualità, la
tragedia, la figura dello straniero, e, soprattutto, la vita quotidiana che rappresenta il complesso
delle pratiche che incidono direttamente sulla cultura e sulla società. Il merito di questa svolta va
dato a molti studiosi che hanno posto l’antichità classica sotto una luce completamente nuova,
anche dal punto di vista della scienza pedagogica.
Certamente, in questo modo, l’unità del mondo greco è stata infranta, ma questo stesso mondo si è
reso più ricco, più complesso e decisamente molto più interessante da conoscere.
Il Mediterraneo-crocevia.
Come abbiamo già detto, la visione del mondo antico si è ampliata: esso non è più limitato
alla Grecia e a Roma, ma si estende a tutto il Mediterraneo che è stato un vero e proprio crocevia di
scambi culturali, economici, fra molteplici civiltà, di cui quella greca è stata l’interprete più matura.
Quest’ultima ha infatti saputo interpretare e rimodellare l’eredità proveniente dal mondo egiziano,
dalle grandi e fertili pianure del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate e, per certi versi, anche dal mondo
orientale. Basti pensare a tutto il complesso di ideologie e miti religiosi, che sono stati la fusione di
modelli provenienti da diverse culture ed etnie. Da tale crogiuolo mitopoietico, la Grecia ha poi
prodotto l’emancipazione del pensiero dal mito, la razionalizzazione che segnerà la frattura tra il
mondo greco e quello orientale.
Possiamo quindi affermare che proprio nel Mediterraneo si è operata la svolta dinamica e pluralista
che ha modellato i caratteri e le peculiarità dell’Occidente rispetto alla cultura orientale.
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dominanti e ceti sottoposti. Ai primi spetta l’educazione retorica, finalizzata a formare coloro che
intendono partecipare attivamente alla direzione della cosa pubblica e alla vita della polis. Si tratta
perciò di un’educazione che emargina la tecnica, il lavoro manuale, valorizzando al massimo
l’esercizio della parola. Anche con Platone, si ha una netta distinzione fra la formazione dei filosofi-
re, alimentata dalla dialettica, libera, autonoma, e la formazione banausica (tesa a finalità pratiche)
cui sono destinati coloro che compiono i lavori legati all’esperienza, come gli artigiani, una
formazione quindi non autonoma e non disinteressata.
Questo dualismo tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, e quindi questo doppio canale della
formazione, resta vivo e operante fino alla rivoluzione culturale del Cristianesimo. Lo ritroviamo,
per esempio, nell’Odissea, nell’episodio di Ulisse che resiste al canto delle sirene: qui, si indica,
infatti, una vera e propria prassi educativa. I marinai rappresentano il demos che viene privato di
alcune capacità propriamente umane (come l’udito) per essere preservato dal fascino delle idee (il
canto delle sirene), mentre il capitano Ulisse (aristos) è la loro guida e immerge se stesso nel rischio
e nell’ignoto, auto-limitandosi, mantenendo però la prerogativa di guidare gli altri con la sua libera
scelta. Non solo: la separazione e il dualismo fra logos e techne, fra scienza retorica e scienza
pratica, è alla base del metodo pre-socratico e dei sofisti, nell’età ellenistica e anche a Roma. Si
tratta di modelli pedagogici che riflettono una società statica e che ritroviamo anche nelle civiltà dei
popoli nomadi o ex-nomadi, come gli Ebrei.
Le origini e la differenza.
Abbiamo più volte ripetuto come la Grecia, grazie agli apporti delle altre civiltà sue
contemporanee, sia stata la terra in cui è nata e si è formata la cultura occidentale con tutti i valori
etici, morali e cognitivi e con tutte le lunghe prassi sociali, che si sono tramandate fino ai nostri
giorni (basti pensare alla ragione, all’etnocentrismo, al linguaggio, all’emarginazione femminile, al
governo come esercizio dell’autorità…). Dunque, conoscere il mondo classico significa risalire alle
origini del nostro mondo, tenendo conto non solo delle possibilità e delle alternative vincenti, ma
anche dei modelli culturali che non hanno avuto modo di esprimersi e diffondersi; se prendiamo ad
esempio la ragione, possiamo vedere come oltre al modello metafisico, il mondo antico avesse
sviluppato altre alternative come il modello scettico, quello tecnico; oppure pensiamo al modello
dell’uomo razionale socratico e platonico, soggettività metafisica e insieme concreta, composta da
corpo e anima, cui si contrappone l’idea dell’uomo tragico, che accetta gli istinti della sua
condizione vitale e che valorizza la lotta e la passionalità.
Come il mondo antico elabora diversi modelli di società, così esso produce differenti modelli
pedagogici, che vanno dalla valorizzazione del corpo (modello ginnico-agonale, cioè degli agoni, le
gare di atleti) alla razionalità deduttiva e non deduttiva, alla soggettività dei saperi, alla dialettica.
L’educazione in Grecia.
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Testimoni di questa unità sono i poemi omerici, frutto di secoli di tradizione poetica orale, in cui si
esprimono i valori e gli stili di vita della Grecia arcaica. L’Iliade racconta l’affermarsi di una
comune storia mitica ed etnica, mentre l’Odissea esalta le capacità dell’individuo, la sua
intelligenza e la sua capacità di accettazione del destino. Omero ci racconta il passaggio da una
società sfrenata e cruenta, legata ai culti orgiastici, verso una nuova società rigidamente
gerarchizzata, razionale, organizzata intorno ai valori della persuasione, dell’eccellenza fisica, delle
armi e della parola. In particolare, l’educazione tratteggiata nell’Iliade riprende la formazione di
Achille e si delinea come un’educazione pratica basata sulla parola e sul corpo, e organizzata
attraverso un rapporto personale di maestro e scolaro; essa si collega probabilmente alla pratica
della pederastia che prevede un rapporto personale tra maestro e scolaro, un rapporto di tipo anche
carnale (come accade tra Chitone, il centauro, e il suo discepolo Achille, appunto); nell’Odissea,
questo stesso modello lo si ritrova in relazione al giovane Telemaco. Tale formazione eroica è
rivolta agli adolescenti aristocratici che vengono educati nel palazzo del re ai combattimenti, alle
gare di atletica, e all’agonismo in generale, in un contesto ginnico, ma anche retorico, musicale, in
quella che si definisce una pedagogia dell’esempio, di cui Achille incarna il modello più completo e
ideale.
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18 anni, si iscrivono al proprio demo, cioè alla propria circoscrizione, e diventano cittadini veri e
propri, prestando poi servizio militare per due anni. Questo tipo di formazione si fonda dunque su
un ideale di armonico sviluppo della personalità individuale mediante la cultura e lo sport, per
preparare il cittadino ateniese ed educarlo ai valori base della società greca.
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la società in tre classi cui corrispondono tre tipi umani e morali molto diversi: i governanti,
razionali; i custodi, coraggiosi; i produttori, attivi. Ogni classe svolge separatamente le proprie
funzioni e tutte insieme sono vitali per la polis. Inoltre, ad ogni classe corrisponde un’educazione
differente: i produttori sono educati sul luogo di lavoro, attraverso l’apprendimento tecnico; i
custodi, che poi sono i guerrieri, sono educati attraverso il coraggio e la moderazione; infine, i
governanti sono i filosofi e la loro educazione si avvale della dialettica. Questi ultimi sono scelti tra
i migliori custodi, e quindi, in una prima fase, sono educati alla ginnastica, alla poesia, alla musica,
dopodichè sono avviati alla dialettica e questa istruzione dura fino ai 35 anni di età, educando gli
uomini al Bene, fonte della luce intellettuale, unico modo per assicurare il benessere della polis. In
questo modello di paideia, le discipline come la matematica, la geometria, l’astronomia, sono
preparatorie alla dialettica e contribuiscono allo sviluppo del pensiero astratto elevando l’anima
verso la contemplazione. Essa si fonda sull’idea di una società perfetta, di tipo aristocratico,
conservatrice, contraria ad ogni spinta di tipo democratico. E resterà un modello altissimo destinato
a perpetrarsi nel tempo, soprattutto per l’importanza data alla matematica e alla filosofia come
scienze ad altissimo valore formativo.
Modello alternativo a quello platonico è quello di Isocrate (436-338 a.C.), seguace di Socrate e dei
sofisti, fondatore di un’importante scuola di retorica. Infatti, l’oratoria è al centro dei suoi interessi;
nella sua scuola, l’insegnamento retorico dura 4 anni e si accompagna anche ad una filosofia della
vit pratica proprio perché egli è contrario ad un apprendimento fondato solo sui manuali; la retorica
dipende certamente da doti naturali ma anche dallo studio e dall’esercizio, e richiede un impegno e
una preparazione che formino il corpo oltre che l’anima. Ecco perché accanto alla filosofia, è
importante anche la ginnastica. Ad ogni modo, al centro della paideia di Isocrate c’è la parola
“creatrice di cultura”, grazie alla quale il soggetto si pone in posizione autonoma ma sempre come
interlocutore della città. Si tratta di un modello che avrà grande influenza nel mondo romano, su
Cicerone e Quintiliano, ma anche sul Cristianesimo, nel Medioevo e addirittura nella Modernità.
Ancora più significativa è la figura di Aristotele (384-322 a.C.) che peraltro svolge anche una vera
e propria attività di pedagogo e precettore di Alessandro il Macedone. Il grande filosofo riconferma
la pedagogia come disciplina in grado di formare l’anima ma anche di svolgere un’azione civile
legata alla polis. Sotto il primo aspetto, Aristotele pone al centro dell’individuo l’intelletto che
permette all’uomo di sviluppare la propria vita psichica e morale e di realizzarsi pienamente.
L’uomo, però, è anche un cittadino, inserito in uno stato e in una società. Infatti, nella “Politica”, il
filosofo delinea una concezione dello Stato molto realistica, non utopica, tesa a individuare il
modello di Stato migliore non in assoluto ma in base a circostanze concrete. Lo Stato aristotelico
non è ugualitario, e in esso gli uomini si dividono in liberi e popolo; i liberi vanno educati a vivere
in ozio per raggiungere la sapienza e la virtù e saper dominare le passioni e gli appetiti. A 7 anni,
vengono inseriti nelle scuole pubbliche dove apprendono 4 discipline: grammatica, ginnastica,
musica e disegno. Esse sono preparatorie alla filosofia e quindi, in questo senso, la paideia
aristotelica non è molto distante da quella platonica.
Meritano, infine, di essere menzionati, altri due modelli di paideia; da un alto, abbiamo quello
sviluppato dai medici, sotto la guida di Ippocrate, la cui formazione privilegia la dietetica e
l’attività ginnica giacché la salute del corpo è utile alla valorizzazione dell’intelligenza empirica e
sperimentale quale strumento di comprensione dei fenomeni. Dall’altro lato, abbiamo la paideia di
Senofonte (435-354 a.C.) che individua nell’educazione spartana il modello più adatto ad aiutare
Atene ad uscire dalla cristi che la attraversa; quindi, egli teorizza un’educazione familiare,
tradizionale, che valorizzi un’intelligenza solo pratica, e si oppone alla virtù platonica che si
identifica con la conoscenza.
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Sviluppo dell’egemonia culturale greca sull’intero Mediterraneo
Affermazione del modello culturale dell’humanitas
Costituzione della koinè greca (la lingua comune)
Sviluppo di una cultura scientifica e specializzata
Stabilizzazione di filosofia e storiografia in forme più mature
Costituzione di una vera e propria enciclopedia del sapere
Declino delle polis e nascita di monarchie territoriali burocratiche
Affermarsi del soggetto come uomo e non più solo come cittadino.
Siamo, quindi, di fronte ad un’età che matura intorno alla crisi nel rapporto fra l’individuo e lo
Stato, e che vede la crescita della cultura. In questa fase, accanto ad Atene, si sviluppano altri centri
culturali come Rodi, Pergamo e, soprattutto, Alessandria che, con la sua Biblioteca e con il suo
Museo, diviene il centro principale di tutta la cultura ellenistica. Dal punto di vista filosofico, si
sviluppano sistemi di pensiero nuovi legati alla ricerca della vita “buona” e ai problemi dell’etica,
nonché alla definizione del saggio, visto come colui che limita i propri bisogni e ricerca la felicità
individuale mediante l’ascesi. Nascono così l’epicureismo e lo stoicismo che individuano come
virtù proprie del sapiente l’atarassia (indifferenza) e l’apatia (imperturbabilità). Lo scetticismo,
invece, critica ogni tipo di ricerca della verità esaltando la sospensione del giudizio, l’afasia,
l’impossibilità di pervenire al vero oggettivo. Questi concetti, dalla filosofia, penetrano in tutte le
pieghe della cultura, in una unificazione spirituale che si compie grazie a Roma, conquistatrice
dell’Oriente e,a sua volta, conquistata dalla cultura greca.
La formazione alessandrina ed ellenistica è la formazione dell’uomo completo, moralmente
sviluppato, dotato di personalità autonoma ma, al contempo, legato alla tradizione scolastica e
libresca. La pedagogia di questo periodo si esprime nelle voci del commediografo Luciano, del
moralista Plutarco, dei filosofi Sesto Empirico e Plotino. Si valorizza l’educazione dei fanciulli,
considerata come compito di estrema importanza che porta all’eccellenza morale, e che deve essere
affidata a maestri competenti, in grado di sviluppare una prassi formativa sincera, non preconcetta, e
pratica, sensoriale, onde evitare di sviare la conoscenza verso la corruzione e il formalismo.
Soprattutto con Plotino, l’educazione si inserisce in una dimensione etica e religiosa, non solo
interiore ma anche metafisica: essa consente, mediante l’ascesi, di ricongiungere gli uomini verso il
principio, l’Uno, principio animatore e creatore di tutta la realtà. La paideia ellenistica esalta l’auto-
regolazione, l’armonia tra piaceri e rinunce, la capacità del singolo di ordinare e assicurare il
raggiungimento della perfezione individuale.
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scientifico e umanistico, mentre la seconda mira piuttosto ad insegnare un’enciclopedia del sapere,
anche se, in un secondo tempo, vi prevale sempre più l’aspetto scientifico.
In età ellenistica, infine, il sistema degli studi è organizzato in maniera più capillare dal livello
elementare a quello superiore, come abbiamo detto, con l’enkyklios paideia. La scuola elementare
inizia a 7 anni con lettura, scrittura, grammatica, musica e disegno. A 12 anni si passa alla scuola
secondaria al cui centro è collocata la grammatica ma si dà spazio anche alla matematica. Seguono
due o tre anni di efebeia in cui si forma il carattere del giovane mediante attività fisica, scambi
culturali, discussioni. La formazione scientifica si realizza invece nelle scuole filosofiche, di cui un
esempio è il Museo di Alessandria, grande centro culturale e massimo istituto di istruzione del
mondo ellenistico, affiancato dalla Biblioteca che raccoglie tutte le opere dell’antichità. In esso
l’insegnamento scientifico è molto importante proprio perché la condizione dell’uomo di scienza,
nell’età ellenistica, assume un ruolo nuovo: egli diviene uno studioso specializzato che trascura la
filosofia e la retorica per perfezionare unicamente il proprio lavoro scientifico.
Roma e l’educazione.
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moderna che vede la formazione dell’individuo come un percorso da costruire giorno per giorno
mediante un processo educativo costante e autogestito.
È evidente, in questa carrellata sommaria e superficiale dello sviluppo del pensiero antico, il
cambiamento che si è avuto dall’antichità greca, fino al maturo impero romano.
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Ma nel IV secolo d.C. lo scontro fra questi due modelli culturali è inevitabile, e vede la cultura
pagana soccombere anche per la stanchezza con cui ormai si tramandano pratiche e teorie concepite
in un contesto sociale e storico ben diverso. A ciò si aggiunga l’impoverimento delle scuole causato
dalle invasioni barbariche e dall’impatto, quindi, con popoli ignoranti e poco legati alla cultura
scritta. Le scuole cominciano a declinare e sopravvivono solo i grandi centri culturali di Oriente,
come Atene ed Alessandria, ma anch’essi sono destinati al tramonto, alla fine del VII secolo.
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Chiesa come comunità in autodifesa che si cementa mediante i valori e che insegna e
diffonde il proprio messaggio.
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PARTE SECONDA
L’ETÀ MEDIEVALE
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Medioevo deve vivere sulla terra tendendo sempre a superare la dimensione mondana per elevarsi
nella religione; egli, dunque, vive sempre una profonda lacerazione tra carnalità e misticismo,
elevazione spirituale e possesso, sofferenza e etica del sacrificio. Questa concezione del mondo dà
vita ad un duplice immaginario: aristocratico, veicolato dal libro, e popolare, veicolato
dall’immagine. Il secondo è notevolmente più semplificato, e trova testimonianza nei predicatori
che si servono di un linguaggio fortemente aggressivo ed evocatore, o provocatorio e controcorrente
(basti pensare a Francesco d’Assisi) o nei cicli pittorici (la cosiddetta Bibbia dei poveri) che
attraverso le immagini codificano modelli di vita e comportamenti esemplari. In entrambi questi
immaginari, si sviluppano i processi educativi, cui contribuiscono anche i testi letterari (per esempio
le opere di Dante), le agiografie dei santi, le raccolte di meditazioni e poesie religiose. Ai sistemi
educativi diretti dalla Chiesa non è sottratta alcuna classe sociale: sia i depositari del potere che le
classi medie e i poveri sono avvolti da questo complesso tessuto culturale e dalla visione del mondo
edificata dal Medioevo.
L’educazione dell’Alto Medioevo è tutta incentrata intorno alla Chiesa, è uniforme e statica
e sono gli ecclesiastici a curarla e a radicarla profondamente negli individui; qui l’immaginario ha
un ruolo fondamentale. Nelle alte sfere, l’educazione si raffina e si formalizza: nasce la cultura
letteraria della Cavalleria, legata al castello, alle Crociate, si diffonde l’immagine della donna
idealizzata. È una cultura che si richiama ai modelli classici (Virgilio primo fra tutti) e ai miti
antichi. Presso il popolo, al contrario, la cultura parte dal basso, e si coagula intorno ai temi del
sesso, della morte, della magia, del godimento, del rovesciamento dei ruoli (pensiamo al
Carnevale). Possiamo dire che questa educazione popolare è molto più calata nel reale rispetto a
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quella aristocratica, poiché si svolge negli spazi aperti del sociale e non nell’interno delle corti di
palazzo, nei castelli o nei monasteri.
La rivoluzione più importante del Basso Medioevo è la nascita della borghesia che implica
una rivoluzione culturale ed anche economica; si tratta di una classe sociale in dualistica e
autonoma, attenta alla produzione dei beni e all’incremento della ricchezza. La borghesia fa
pressione sugli organismi politici e religiosi e comporta una trasformazione della mentalità. Infatti, i
nuovi ceti mercantili hanno una nuova visione del mondo, laica, attenta ai bisogni individuali e
sociali ma anche alla propria auto-realizzazione. Non a caso, anche la fede cristiana viene sottoposta
a rinnovamento sotto la spinta di movimenti ereticali ed escatologici, e la comparsa di voci religiose
nuove e profetiche. L’educazione naturalmente non può sottrarsi a queste trasformazioni; essa,
infatti, al livello superiore, si istituzionalizza nell’universitas studiorum, associazioni libere di
docenti e studenti in cui si formano i professionisti della cultura. Ma i processi educativi si
trasformano anche all’interno della famiglia e si rinnovano i processi formativi nelle botteghe, nei
conventi, nelle parrocchie; nascono istituti di carità e assistenza per orfani, malati, figli illegittimi,
emarginati in genere.
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Dopo il Mille: una svolta anche educativa.
Dopo l’anno Mille, si ha una vera e propria rivoluzione nella società medievale, in cui si
aprono nuove prospettive, si assiste alla rinascita delle città con una ripresa degli scambi, dei
rapporti commerciali (con le Repubbliche marinare in Italia, per esempio), con la comparsa della
nuova classe borghese, e con nuovi protagonisti (i Comuni, le Signorie) che si aprono a nuove
istanze di libertà.
L’anno Mille trova l’Europa cristiana in una posizione più favorevole rispetto al resto del mondo, e
questo le permette di sviluppare al massimo la propria civiltà. La rinascita dei centri urbani implica
anche una trasformazione nella concezione dell’educazione. Infatti, mutano le tecniche e il lavoro si
fa specializzato ad un punto tale da richiedere una preparazione specifica che viene attuata mediante
associazioni di individui legati da abilità e conoscenze comuni; è così che nascono le corporazioni.
Al contempo, col procedere delle lotte sociali per la conquista di diritti e libertà da parte del popolo,
si riorganizza l’ideologia e le lotte diventano lo strumento attraverso cui le città educano i propri
cittadini.
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fede e sulla ragione che attraversano tutto il Medioevo. I principali modelli di teorizzazione sono
offerti dai due grandi Ordini mendicanti: da un lato, i Domenicani che esaltano la ragione come
strumento per penetrare e comprendere pienamente il significato della fede; dall’altro, i
Francescani che sottolineano la preminenza della fede rispetto alla ragione, perché più piena e più
ricca dal punto di vista conoscitivo.
All’interno delle scuole, troviamo due personalità significative nella elaborazione di un quadro
innovativo dei processi educativi: Pietro Abelardo e Ugo da San Vittore. Abelardo, nelle sue opere,
si pone come individuo portatore di una personalità complessa e conflittuale, razionale e libera; la
sua idea di educazione (nell’opera Sic et non) si incentra sulla dialettica e si rivela critica nei
confronti del pensiero filosofico. La sua è indubbiamente una figura molto vicina alla sensibilità
moderna. Ugo di San Vittore, nel suo Didascalicon propone un approccio mistico alla realtà per
cui al formazione di ogni individuo, anche degli uomini del clero, si articola in tre momenti distinti:
cogitatio, meditatio e contemplatio. Questo significa che la conoscenza viene valorizzata in ogni
suo aspetto, poi viene circoscritta a precisi ambiti teorici ed infine fatta culminare con la conoscenza
religiosa. Ma l’aspetto più rilevante è il fatto che questa conoscenza venga poi fissata nel discente
attraverso la memoria e quest’ultima diventa la facoltà di apprendimento per eccellenza. Importante
è poi l’elaborazione pedagogica dei maestri di Chartres, che elaborano una metodologia
naturalistica e alle auctoritates del passato privilegiano piuttosto le posizioni dei moderni.
Il secolo XII è tutto percorso dalla grande disputa fra gli aristotelici (razionalisti) e gli agostiniani
(mistici) che è simboleggiata dalle due personalità contrapposte di San Tommaso d’Aquino (1224-
1274) e San Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274). Il primo, nella sua massima opera, la
Summa Teologica offre l’immagine di un sapere cristiano in cui fede e ragione si armonizzano, al
punto che anche Dio può essere razionalmente provato. San Tommaso si occupa anche
dell’educazione nel De Magistro in cui si ricollega a Sant’Agostino sottolinea l’importanza della
figura del maestro nel risvegliare i saperi latenti nella mente dello scolaro. La formazione intesa da
san Bonaventura è tutta intrisa di misticismo invece; nel suo Itinerarium mentis in Deum, condanna
ogni posizione razionalistica per valorizzare una particolare lettura della natura e della storia,
riconducendo tutto il sapere alla teologia.
Nel secolo XIV, la Scolastica si arricchisce con i contributi sia di altri mistici che di razionalisti e
nuove figure di studiosi, come Duns Scoto, Guglielmo d’Occam, Marsilio da Padova. Qui il tema
della formazione e dell’educazione è imprescindibile dal rapporto fra fede e ragione e tra individuo
e libertà e questo significa che la riflessione pedagogica resta ancorata alla metafisica che è
considerata la principale tra le scienze. In tal modo, la pedagogia assurge ad un livello di
universalità.
PARTE TERZA
L’ETÀ MODERNA
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geografico: l’asse della storia si sposta dal Mediterraneo all’Atlantico, con i viaggi-scoperta
e la colonizzazione di nuove terre
economico: si chiude il sistema feudale basato sull’agricoltura e si attiva, invece,
un’economia di scambio fondata sul capitale, sul commercio e sul denaro. Nasce il
capitalismo come sistema economico indipendente da principi etici e basato sul puro calcolo
economico
politico: nasce lo Stato moderno, accentrato e controllato dal sovrano mediante una rete di
istituzioni e di apparati burocratici
sociale: la nuova classe, la borghesia, emancipa la mentalità, laicizzandola e
razionalizzandola, opponendosi ad ogni forma di pregiudizio, e rivoluzionando i saperi. In
effetti, la cultura si sgancia dalla metafisica e si concentra sulle scienze e sul libero uso della
ragione.
Di conseguenza, si rivoluziona anche l’educazione; la formazione vive la trasformazione in senso
laico e razionale che invade tutta la cultura e l’ideologia. In un certo senso, si riattiva la paideia
antica e si segue il modello dell’Homo faber e del soggetto come individuo, potenziandone le sue
capacità di trasformazione della realtà. L’educazione non mira più a formare l’uomo per la città di
Dio, ma si rivolge ad un individuo attivo che intende farsi artefice della propria fortuna e
trasformare il mondo in cui vive. Oltre alla famiglia, alla bottega e alla chiesa, i luoghi educativi si
arricchiscono di altri istituti (esercito, scuola, prigioni, manicomi, ospedali) che operano sia in
funzione dell’educazione che per il controllo sociale. Le teorie pedagogiche non sono più un
esempio unitario definito a priori, ma si fanno carico di nuove esigenze sociali di formazione e
istruzione; questa si modella sul momento storico e sulle condizioni dell’uomo che ne fruisce.
Nasce una pedagogia come scienza e scienza che si applica a tutti gli ambiti: sociale, antropologico,
culturale, naturale.
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Istituzionalizzazione educativa e scuola moderna.
Sono in particolare due le istituzioni che assumono una nuova identità e si trasformano
radicalmente nell’età moderna: la famiglia e la scuola. Sappiamo che entrambe erano molto
importanti nel Medioevo, in cui la famiglia era considerata in senso ampio, era più dispersiva e
guidata dal padre che vi esercitava la sua totale autorità; la scuola, invece, era religiosa e legata ai
monasteri, non articolata per classi di età e si serviva di una didattica chiusa e poco specifica.
Le trasformazioni di scuola e famiglia nella Modernità sono state messe in rilievo dagli studi di
Ariès: in generale, la famiglia si ridefinisce come nucleo e si anima di una nuova attenzione verso
l’infanzia, per cui il bambino diventa il centro e il motore della vita familiare. Il bambino è ancora
visto come un adulto in miniatura ma se ne esalta la spontaneità e l’innocenza fino a valorizzarlo
come mito. Nasce uno spazio sociale per il bambino, si comprende che egli ha bisogno di cure e
affetto prima di essere responsabilizzato e trattato come un adulto. Inoltre, la nuova concezione
della famiglia impone di dare un’educazione a tutti i figli e non più solo al primogenito, l’erede.
Anche la scuola non serve più solo a trasmettere conoscenze ma insegna comportamenti e educa
alla vita sociale, pertanto, l’insegnamento viene programmato e razionalizzato, diviso per classi di
età, con una disciplina interna che limita la libertà degli scolari. Va detto che la disciplina scolastica
ha comunque una radice in quella religiosa, come testimonia il grande successo delle scuole dei
Gesuiti, organizzate per la formazione della gioventù. Il controllo, come abbiamo detto, parte dal
corpo: da qui deriva l’insegnamento delle buone maniere, delle pratiche ginniche, igieniche e simili.
Ma soprattutto, la scuola tende ad organizzare rigidamente il tempo, insegnando quindi a servirsene
nella maniera più produttiva, il che rappresenta un elemento chiave della mentalità moderna. Infine,
si dà grande valore all’esame come momento di massimo controllo e di conformazione dei soggetti.
Infatti, come afferma Foucault, tutta la trasformazione della scuola comporta la creazione di un
individuo normalizzato che si conforma al potere e quindi anch’essa assume un profilo ideologico.
Sostanzialmente, la scuola si fa apparato ideologico di stato, secondo la felice definizione di
Althusser.
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formativo, al grammaticalismo, ai residui della scolastica medievale, e si pongono le basi per la
pedagogia moderna.
La “rivoluzione” umanistica.
Da tempo, ormai, è stata superata la tesi di Kristeller per cui Umanesimo e Rinascimento
sarebbero due momenti separati, il primo contrassegnato dalla filologia e dalla letteratura, e il
secondo, invece, dalla scienza e dalla filosofia. Infatti, studiosi più aperti, come Burckhardt, li
vedono invece come due aspetti complementari della stessa civiltà di cui il Rinascimento
rappresenta il trionfo dell’irreligiosità, dell’individualismo e del materialismo, in netta
contrapposizione al Medioevo. La storiografia moderna, in particolare con Garin, non ritiene ci sia
più un’opposizione tra Rinascimento e Medioevo dal momento che il primo si sviluppa proprio a
partire dalle trasformazioni messe in atto in età medievale. Sono soprattutto due i fenomeni che
aprono la strada alla Rinascita dell’Europa: il declino del Papato e dell’Impero, da cui scaturiscono
le grandi identità nazionali, e la nascita della borghesia che mina il prestigio delle vecchie classi
egemoni. Infatti, il monopolio economico e politico è detenuto ormai dai grossi banchieri e mercanti
che si pongono anche come protettori del sapere non tanto per amore verso la cultura quanto per
22
ragioni di prestigio. In questo nuovo contesto di rinascita economica e politica, la borghesia delle
grandi città italiane continua a dominare la cultura e la società, fino al ‘500, quando a seguito della
scoperta di nuovi spazi geografici, con conseguente spostamento del baricentro commerciale, e a
seguito della formazione dei grandi regni assolutistici, si assiste ad una fase di lento declino.
La Riforma e l’educazione.
La Riforma protestante rappresenta il culmine della trasformazione politico-religiosa i cui
inizi erano radicati già nel ‘200. La Riforma prende avvio per ragioni religiose, cioè per
l’avversione nei confronti della gerarchia ecclesiastica considerata colpevole di aver permesso la
corruzione del clero romano, e per il desiderio di un ritorno all’autentico spirito del Cristianesimo,
vicino e in diretto contatto con i fedeli, senza la necessità di una mediazione da parte di un
ecclesiastico. Alla Riforma, però, contribuiscono anche motivazioni di tipo politico ed economico
come l’ostilità della borghesia finanziaria verso il fiscalismo papale. La richiesta di un
Cristianesimo rinnovato sfocia nella rottura dell’unità della Chiesa e la nascita della Chiesa
protestante, appunto. Si tratta di un rinnovamento che non investe solo l’aspetto religioso ma che
pervade l’intera vita degli uomini; sul piano dottrinale, il ruolo della Chiesa romana è messo in
discussione dai principi del libero esame e della salvezza tramite la sola fede, che svalutano la
figura dei sacerdoti come mediatori fra uomo e Dio per mezzo dei sacramenti. Dal punto di vista
sociale, invece, si va oltre la distinzione fra stato laicale e clericale e il mondo terreno diventa il
luogo in cui si compie l’opera di Dio. Soprattutto con l’azione di Calvino, poi, viene modificandosi
anche la concezione del lavoro che non è svalutato sotto nessun aspetto ma che è ritenuto strumento
di salvezza e stimolo per la fondazione del mondo moderno; i calvinisti, infatti, attribuiscono grande
valore al lavoro come produttore di ricchezza, ed è proprio da questo momento che nasce il
capitalismo coniugato all’etica del lavoro di matrice prettamente protestante.
La Riforma prende le mosse dalla predicazione di Martin Lutero in Germania (cui si affianca
anche quella di Melantone) e, sin dagli inizi, assume un importante significato educativo: infatti, se
lo scopo è creare un rapporto più stretto e diretto fra individuo e Dio e fra individuo e Sacre
Scritture, allora deve essere valorizzata la religiosità interiore e il principio del libero esame del
testo Sacro (cioè la possibilità di accedere direttamente ad esso, senza alcuna intermediazione);
pertanto, è necessario che i cristiani possiedano gli strumenti basilari della cultura, e che le
comunità religiose diffondano questo possesso il più possibile, attraverso istituzioni scolastiche
pubbliche. Possiamo dire che proprio con la riforma si afferma il principio del diritto di tutti allo
studio, e ad uno studio gratuito. Il modello culturale in questione è quello umanistico; Lutero si
richiama alla validità universale dell’istruzione che mette ogni uomo in grado di compiere i propri
doveri sociali. Infatti, l’istruzione prescinde dalla religione, ed è un obbligo sia per i cittadini che
per gli amministratori; questi ultimi non possono che trarre dei benefici dalla formazione di cittadini
colti perché essi saranno anche rispettosi della legge e ciò favorirà la pace sociale e rappresenterà di
conseguenza una fonte di risparmio per l’amministrazione della città.
Per Lutero, l’educazione deve basarsi innanzitutto sullo studio delle lingue, il mezzo per arrivare a
comprendere la verità del Vangelo. Oltre a questo settore, le scuole ne prevedono altri tre: quello
delle opere letterarie, quello delle scienze e delle arti, e quello della giurisprudenza e della
medicina. Tuttavia, la frequenza scolastica è limitata a poche ore nell’arco della giornata; il resto del
tempo va dedicato a imparare un mestiere e lavorare in casa. Centro della vita scolastica è la figura
del maestro, che sostituisce la famiglia, e deve mostrare di possedere il giusto equilibrio fra amore e
severità, il che significa che non ci devono essere punizioni eccessive e che lo studio deve sempre
avere una finalità precisa. Proprio grazie a questa predicazione, in Germania nascono i ginnasi e le
scuole aristocratiche ben organizzate e diffuse ampiamente, mentre più lenta è la diffusione delle
scuole popolari.
A Melantone, invece, spetta il merito di aver elaborato i contenuti culturali propri delle scuole
secondarie (infatti viene definito “precettore della Germania”); il suo modello di formazione si
indirizza esclusivamente ai rappresentanti della nuova religione e quindi ne esclude i ceti
23
aristocratici, la nascente borghesia e la classe dei contadini. Melantone è un sostenitore
dell’importanza della cultura antica per penetrare la verità delle Scritture; per lui il principale
nemico della fede è l’ignoranza che quindi va combattuta mediante una radicale riforma delle
scuole e un recupero dell’autorità morale e culturale degli educatori. Egli propugna la divisione del
corso di studi in tre cicli:
1. indirizzato ai principianti: finalizzato all’apprendimento dei rudimenti del latino, in cui si
studiano semplici brani di Catone e Donato
2. finalizzato allo studio della grammatica: vi si studiano Terenzio e Virgilio
3. orientato alla dialettica e alla retorica, con lo studio di tutti gli altri autori latini (Cicerone,
Orazio, Ovidio…); in questa fase, gli alunni migliori sono iniziati alla conoscenza del greco
e dell’ebraico, della matematica e delle arti.
Il piano di apprendimento organizzato da Melantone attribuisce molta importanza alla lettura e alla
conversazione. E lo stesso egli fa riguardo l’istruzione universitaria, di cui rinnova il corso di studi
introducendovi nuove materie come la matematica.
Il problema dell’istruzione viene affrontato anche da Calvino che vi contribuisce dando grande
impulso all’operosità, all’etica del lavoro e alla responsabilità personale degli individui.
Nell’ambito della Chiesa Romana, invece, un posto di rilievo va attribuito ad Erasmo da
Rotterdam, che, nel corso di un viaggio in Italia, resta profondamente colpito dal livello di
corruzione della Chiesa e del clero. Le sue idee sull’educazione sono presenti in molte opere: egli si
richiama agli studi classici ma ne accentua l’aspetto cristiano a scapito della dimensione laica. La
sua concezione delle lingue classiche lo porta ad opporsi al latino contemporaneo, a suo avviso
imbarbarito perché ridotto a mero apprendimento grammaticale; pertanto, egli propugna un latino
vivo, studiato mediante i testi degli autori classici che si interessano a problemi concreti e non fanno
solo esercizi di stile (perciò preferisce, per esempio, Ovidio a Cicerone). Ma Erasmo affronta anche
il problema del valore dell’educazione in un saggio (De pueris instituendis del 1529) che, pur nella
sua brevità, è uno dei documenti più importanti della storia dell’educazione della civiltà
occidentale. Il tratto peculiare dell’uomo è l’utilizzo della ragione, essenziale per realizzare la vera
umanità; il compito di coltivare la ragione spetta proprio alla scuola e all’educazione e questa deve
intervenire sin dalla più tenera età, cioè dal terzo anno di vita, in modo da impedire da subito che si
manifestino nel fanciullo delle cattive abitudini. Tre sono i fattori chiave dell’educazione: la natura,
il metodo e la pratica, ma essi non sono niente senza la figura dell’insegnante perché è costui che ha
il compito di individuare le diversità individuali dei soggetti e adattare le modalità di insegnamento
più opportune ad esse. Accanto all’insegnante, Erasmo pone anche la scuola e la comunità, tutti
responsabili allo stesso modo della funzione pubblica della scuola e quindi della formazione dei
fanciulli. Siamo così di fronte al sistema didattico più compiuto dell’Umanesimo europeo.
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che i sacramenti, le pratiche religiose, la catechesi, vengono strutturate e organizzate in modo
rigoroso, per agire sui comportamenti e sulle coscienze, soprattutto dei giovani. Mezzo e fine
dell’educazione, anche entro la famiglia, sono l’abitudine e l’obbedienza; quest’ultima deve essere
cieca e, in tutti i rapporti sociali, deve rappresentare l’accettazione dell’ordine stabilito.
La trattazione più ampia di questi temi si trova nell’opera di Silvio Antoniano in cui l’autore
considera l’educazione come mezzo per migliorare la società ed eliminare la corruzione, ma la
confina entro le pratiche della chiesa cattolica, tanto che le principali figure educative sono per lui il
padre naturale e soprattutto il padre spirituale che accompagna l’uomo nel suo cammino verso Dio.
L’elemento più importante della Controriforma è costituito dalla fondazione di nuove istituzioni
scolastiche legate al modello del collegio/convitto come quelli delle Orsoline, dei Barnabiti, degli
oratori, dei Gesuiti (a questo punto, il capitolo fa una descrizione dei diversi ordini religiosi ma è
una descrizione sommaria, come del resto è tutto il libro, ed inutile riassumerla. Mi limito a
parlare dei Gesuiti che sono i più importanti. Pertanto, la tralascio, ma, se hai intenzione di
leggerla, vedi pagg. 127-128). Il sistema di istruzione più organico e meglio strutturato è senza
dubbio quello dei Gesuiti (o Compagnia di Gesù), fondato da Sant’Ignazio di Loyola nel 1540,
come una sorta di milizia al servizio della Chiesa per ripristinare il controllo su tutti gli aspetti della
vita sociale ed individuale e diffondere la parola di Dio presso tutti i popoli del mondo, anche quelli
delle terre da poco scoperte. Si tratta di una congregazione dalla struttura fortemente gerarchica,
improntata alla totale obbedienza al capo supremo, ma anche un ordine missionario che attribuisce
grande importanza allo strumento educativo nell’affermazione del Cristianesimo. I Gesuiti aprono
quindi numerosi collegi per religiosi e per laici, in tutta Europa; per strutturarli in modo coerente e
unitario, questi vengono organizzati secondo una Ratio studiorum, apparsa nel 1599, che prevede
una rigida normativa relativa a tutta l’organizzazione della vita del collegio e degli studi. Oltre a
ribadire il principio chiave dell’obbedienza, la Ratio elabora un vero e proprio disegno di politica
culturale: il corso di studi dura complessivamente 8 anni (5 anni di studi linguistici e letterari e 3 di
filosofia, mentre gli ecclesiastici gesuiti vi aggiungono altri 4 anni di teologia). Non vi è spazio, in
questo curriculum, per la lingua madre ma il tutto privilegia il latino e il greco. Dal punto di vista
metodologico, si fa ricorso alla praelectio (lettura di un passo scelto, con spiegazione
dell’argomento nelle sue parti più oscure) e della concertatio (una discussione sollecitata dalla
domanda del docente, cui gli altri allievi contribuiscono con correzioni o interrogandosi a vicenda).
La Ratio resterà immutata fino al 1773, quando l’ordine dei Gesuiti verrà sciolto per ragioni
politiche, ma eserciterà notevole influenza sulle leggi successive relative alle istituzioni scolastiche
(la legge Boncompagni del 1848 e la legge Casati del 1859), per la sua capacità di organizzare gli
studi in maniera razionale, prevedendo un sistema premiante ma anche punitivo, anche se, e questo
è il limite dell’insegnamento gesuitico, si tratta di un sistema educativo troppo chiuso in se stesso e
inadeguato a rappresentare e interpretare le istanze del mondo moderno.
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regole. Ratke si oppone all’insegnamento mnemonico che considera passivo e sterile, anche perché
non può esserci apprendimento se la ricerca non si nutre anche di esperimento. Inoltre, afferma
l’importanza dell’istruzione per tutti, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali.
Il ‘600, in generale, pone la formazione in stretto contatto con i problemi dell’uomo e dell’esistenza,
e si avvia verso un modello di istruzione aperto a tutti, ma è con Comenio (1592-1670) che si porta
a compimento questo processo nel nome dell’universalità dell’educazione contro le tradizioni e gli
interessi di gruppo o di classe. La sua è una pedagogia scientifica, la sola che possa esaltare la
funzione creatrice dell’educazione, tesa a pacificare e ordinare il mondo, secondo un’esigenza tipica
degli uomini del ‘600, un secolo travagliato da calamità e guerre sanguinose, come quella dei
Trent’anni, di cui Comenio stesso fu spettatore. Le sue prime opere sono un’enciclopedia universale
e un vocabolario della lingua boema, e mirano a fornire ai suoi connazionali (i boemi, appunto) gli
strumenti per conoscere la propria storia. Di carattere fortemente combattivo, a causa delle lotte
politiche e religiose di quegli anni, Comenio è costretto a lasciare il suo paese e a pellegrinare per
tutta l’Europa, dove si dedica a ricerche sulla didattica delle lingue, e dove fonda anche alcune
scuole che però suscitano l’opposizione delle autorità. I suoi viaggi e i numerosi contatti con
personalità eminenti della cultura e della religione, lo mettono in condizione di elaborare un
modello di riforma didattica e religiosa del tutto originale, testimoniata dalla Didactica magna del
1657. Per Comenio, l’uomo e la natura sono le manifestazioni di un preciso disegno divino;
attraverso l’educazione, si può creare un modello universale di uomo virtuoso in grado di riformare
la società e i costumi. Questa formazione deve cominciare dalla più tenera età, all’interno di scuole
riformate, ben ordinate, e organizzate intorno agli ideali della sapienza, dell’onestà e della pietà.
L’educazione deve procedere con delicatezza e dolcezza, senza alcuna severità e coartazione, in
modo che la cultura appresa non sia né apparente, né superficiale, né faticosa soprattutto. Essa,
inoltre, deve essere universale, aperta a tutti, e, considerando lo stretto legame che deve avere con la
religione cattolica, Comenio propone una consultatio catholica, una riunione di tutti i cristiani per
una riforma di tutte le cose. Il principio di fondo è quello del “tutto a tutti completamente” cioè
dell’insegnare ogni cosa, servendosi di un metodo completo, a tutti gli uomini indipendentemente
dalla classe o dall’età.
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Locke: il nuovo modello pedagogico.
Tra ‘600 e ‘700 si diffondono due nuovi modelli pedagogici e culturali: da un lato lo
storicismo di Vico, dall’altro l’empirismo di Locke. Entrambi, pur essendo tra sé contrapposti, si
oppongono al razionalismo in nome di un’immagine educativa totalmente nuova. Lo storicismo
valorizza la storia e la considera il luogo deputato alla formazione e alla cultura, il che implica che
la personalità si costruisca proprio in quanto prodotto delle varie stratificazioni culturali e storiche.
L’empirismo, invece, valorizza la scienza come strumento e come fine dell’educazione. Il suo
rappresentante più significativo è John Locke (1632-1704) che è stato anche il teorico della
tolleranza e della democrazia liberale. Per Locke, ogni affermazione deve essere sottoposta alla
prova dell’esperienza in nome di un pensiero critico che procede sempre attraverso la verifica
sperimentale. Dal punto di vista pedagogico, egli sottolinea il legame tra lo sviluppo interno della
mente e delle funzioni intellettuali dell’individuo, e l’educazione che egli riceve dal mondo esterno.
Inoltre, come fautore della tolleranza, polemizza contro l’autoritarismo e le punizioni corporali che
minano la libertà e l’autonomia degli studenti. Il curriculum di studi lockiano, si modella sulla
figura del gentleman, il nuovo modello ideale della classe dirigente inglese, proprio in connessione
con le profonde trasformazioni sociali ed economiche dell’Inghilterra attraversata dalla rivoluzione
industriale. Il gentleman è l’uomo capace di moderare le proprie inclinazioni per seguire solo ciò
che la sua ragione gli indica come migliore, è un aristocratico nei modi e non certo per il fatto di
discendere da un nobile lignaggio, prova sentimenti di umanità, si esprime e si comporta con
cortesia e buona educazione. Raggiungere questo obiettivo di uomo virtuoso è fondamentale, per
cui le famiglie devono impegnarsi e perché i loro figli ricevano la giusta educazione, nell’interesse
non solo personale ma dell’intera Nazione. Nell’opera Pensieri sull’educazione, Locke indica i
principi fondamentali dell’educazione del futuro gentleman:
1. mens sana in corpore sano
2. insegnare ragionando con i fanciulli
3. privilegiare la formazione pratica e morale rispetto a quella intellettuale
4. seguire il criterio dell’utilità e porre al centro l’esperienza poiché questa sviluppa la naturale
curiosità dei fanciulli, ne matura gli interessi e si afferma mediante il lavoro e il gioco.
Per quanto riguarda il corpo, Locke ritiene che esso vada temprato escludendo le eccessive
tenerezze e le cure, vestendosi in modo né troppo leggero né troppo pesante, mangiando in modo
regolare e semplice. Il carattere, invece, va modellato mediante l’abitudine, l’esercizio e,
soprattutto, il ragionamento e quindi è necessario parlare con i bambini in modo razionale,
trattandoli come esseri ragionevoli. La parte più difficile, e al contempo la più importante,
dell’educazione riguarda però la morale; essa deve essere guidata dalla virtù stimolata dall’esempio
e favorita da un’attenta analisi delle naturali predisposizioni del fanciullo da parte dell’educatore. Il
gentleman può pertanto fare a meno di tante delle nozioni abitualmente insegnate nelle scuole,
perché per Locke sono molto più significative le attività pratiche. Infatti, l’allievo dapprima deve
dedicarsi alla scrittura e alla lettura di testi piacevoli, per poi passare al disegno e alla stenografia, di
seguito alle lingue moderne e a quelle classiche, che devono essere apprese come quella materna,
quindi mediante la conversazione. Infine, l’allievo deve dedicarsi allo studio delle scienze, tra cui
principalmente l’aritmetica; la sua formazione si conclude con la filosofia naturale e con una serie
di ornamenti (ballo, scherma…) e l’apprendimento di un mestiere manuale. Locke attribuisce
rilievo anche ai viaggi, importanti per conoscere le arti, il carattere e le inclinazioni degli uomini,
ma anche per apprendere nuove lingue.
Notevole è l’attenzione e frequenti sono i richiami alla curiosità innata del bambino che deve essere
stimolata attraverso il gioco e le attività manuali. Locke ritiene pertanto che il precettore debba
essere dotato di buona educazione e conoscenza del mondo, ma anche di un carattere mite e calmo
in modo da forgiare il fanciullo e tenerlo lontano dal male, soprattutto attraverso l’esempio. La sua è
una proposta pedagogica di grande rilievo per quanto sia indirizzata esclusivamente all’educazione
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borghese e non si curi di quella popolare che egli relega ai margini e risolve mediante corporazioni
caritative o scuole di lavoro coatto per i ragazzi poveri.
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Oltre a Napoli, in Italia ci si occupa di pedagogia solo indirettamente, come accade per gli
intellettuali milanesi Soave e Gorani, mentre una figura del tutto a sé stante è quella di Sigismondo
Gerdil, professore di teologia assai ostile alle idee illuministiche, la cui proposta educativa si lega
allo spiritualismo cattolico, in pieno contrasto con Rousseau. Possiamo parlare, per lui, di una
pedagogia della restaurazione, nel senso che si richiama al principio dell’autorità e al valore del
metodo logico-sistematico, propugnando un metodo di studio rigoroso, disciplinato, metodico, in
polemica con le pratiche educative del tempo, accusate di utilitarismo e faciloneria.
In generale, nel ‘700, in varie regioni d’Italia, si moltiplicano iniziative pedagogiche di vario tipo
ma tutte mirano primariamente a formare funzionari più preparati ed efficienti per lo stato, non
certo a diffondere una nuova educazione pubblica, laica e moderna.
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luogo, egli unisce motivazione ed apprendimento di modo che la formazione intellettuale e morale
del fanciullo parta sempre da un preciso riferimento all’utilità e all’esperienza concreta dello stesso
(questo legame verrà ripreso successivamente dalla pedagogia dell’attivismo); infine, l’attenzione
per la contraddittorietà del rapporto educativo che Rousseau vede come improntato alla dialettica
tra autorità e libertà. Alla base di tutti questi concetti c’è sicuramente l’influsso dei contemporanei
come Montaigne e Fénelon, ma anche le tradizioni educative spartana, plutarchiana, o quella legata
a Locke e Condillac. Ma l’Emilio assume anche un carattere radicale e polemico nella sua
opposizione all’educazione aristocratica, o a quella legata ai collegi, come per esempio quella dei
gesuiti. A questi ultimi, in particolare, il filosofo ginevrino rimprovera l’intellettualismo, la
pedanteria, l’abitudine di abituare i fanciulli ad imitare passivamente gli adulti, in una parola,
l’artificiosità dell’educazione che trascura del tutto i reali bisogni dei giovani allievi. Protagonista
dell’opera è un giovane nobile ed orfano, Emilio, appunto, che viene allevato in campagna sotto la
guida attenta di un precettore; questi lo indirizza verso la via che segue la natura, per cui Emilio,
lentamente ma al momento giusto, apprende tutto ciò che gli è utile, ed è abbastanza maturo per
assimilare profondamente ogni cognizione. Il precettore fa di tutto per ritardare questo
apprendimento in modo che Emilio abbia tutto il tempo di godersi la sua infanzia e la sua libertà,
evitando inutili e pericolose anticipazioni. Al contempo, il precettore lo tiene lontano dalle cattive
abitudini, dalle deviazioni rispetto al cammino naturale, e fa tutto questo standogli costantemente
vicino ma senza che Emilio se ne accorga. Il suo scopo non è farlo diventare un dotto o un
gentiluomo, ma farlo essere uomo, insegnarli a vivere. Il romanzo è diviso in 5 libri, ognuno per
ogni tappa della formazione dell’uomo naturale:
1. infanzia: il fanciullo è allevato tenendo conto di prescrizioni igieniche che lo tengano
lontano dal contrarre cattive abitudini; si fa in modo che gli adulti non sviluppino una dipendenza
dai capricci dei bambini. Rousseau è contrario all’uso delle fasce in nome della libertà di
movimento, ed elenca anche quali debbano essere le caratteristiche della balia adeguata e come
debbano comportarsi i genitori verso il bimbo se piange, se ha fame ecc…
2. puerizia: (dai 3 ai 12 anni) questa età deve essere ben regolata dal momento che è un’età
debole, curiosa, caratterizzata dalla libertà, un’età pre-morale e pre-razionale, felice perché rivolta
solo agli interessi del presente. In questa fase, il precettore deve evitare di trasmettere qualunque
forma di informazione precoce, ma far prendere al fanciullo contatto con cose concrete, attraverso
l’esperienze, mirando principalmente alla fortificazione del corpo e al corretto uso dei sensi.
3. età dell’utile: noi la definiremmo una sorta di pre-adolescenza. In questa fase, Emilio è
ancora lontano dalle passioni ma è forte e curioso; è dunque il momento di iniziarlo allo studio di un
limitato novero di lezioni giuste, attraverso lo studio dell’ambiente che lo circonda, con l’esperienza
e non con lezioni astratte. Il suo unico libro deve essere il Robinson Crusoe, che rispecchia
l’autosufficienza del fanciullo; inoltre, Emilio deve imparare un mestiere onesto per imparare a
rispettare le regole, a stare a contatto con gli altri e per guadagnare qualcosa in modo da rendersi
autonomo; in tal senso, il mestiere più adatto è quello del falegname.
4. adolescenza: rappresenta una seconda nascita, in cui Emilio comincia a provare interesse,
pietà e amicizia per gli altri uomini. Questo è il momento giusto per insegnarli la storia, la morale e
la religione. A proposito di quest’ultima, Rousseau inserisce al centro del quarto libro la
“Professione di fede del vicario savoiardo” che è la sintesi dell’idea religiosa rousseiana: una
religione vicina al deismo con la differenza che pone al centro del sistema la coscienza come sede
della credenza nel divino e della legge morale. Emilio, intanto, è ormai un uomo e può innamorarsi
della sua donna ideale, Sofia.
5. maturità: Rousseau si concentra nell’ultimo libro sulla felice storia d’amore di Emilio e
Sofia e con la nascita di un bambino cui lo stesso Emilio farà da precettore. Questo è un libro
interessante in quanto comprende due parti assai significative: un progetto di educazione della
donna, esaltata come modello di virtù e di saggezza ma relegata comunque ai margini della società e
sottomessa al marito, peraltro in aperto contrasto con le istanze di emancipazione che proprio in
quel periodo si diffondevano in Europa. La seconda parte riguarda invece un progetto di educazione
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sociale e politica di Emilio, attraverso i viaggi e lo studio dei caratteri degli altri popoli; tutto questo
può servire a migliorare la società: infatti, Emilio sceglie di fermarsi a vivere nel proprio paese di
nascita, in campagna, lontano dalla città, per contribuire ad aiutare gli altri uomini, in qualità di loro
benefattore e modello.
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istituto, liceo, società nazionale per le scienze e per le arti) in cui l’istruzione sia, appunto, garanzia
di uguaglianza. Anche questo progetto subisce la stessa sorte di quello precedente, finché, sempre
nel 1791, la Costituzione stabilisce che si procederà a creare una scuola pubblica, comune a tutti i
cittadini e gratuita nelle parti di insegnamento indispensabili a tutti gli uomini, con istituti distribuiti
gradualmente in tutta la Francia.
2. 1793: il giacobino Le Peletier teorizza un’educazione, sia per maschi che per femmine, che
si svolga in collegi di stato, le case nazionali, in cui i bambini sono separati dalle famiglie e vivono
in una comunità che li tiene lontani dalla società corrotta e li forma secondo i modelli della virtù
civile, allo scopo di creare un “nuovo popolo”. Il progetto viene criticato violentemente, sia perché
considerato artificioso e innaturale, sia perché impone allo stato dei costi altissimi ma esso si
inquadra perfettamente nel radicalismo giacobino del momento.
3. 1794: si realizzano concretamente dei progetti i riforma; nascono le scuole speciali per
tecnici e tre anni più tardi si dà alla scuola francese un nuovo ordine: si fissa un minimo di
programma di studi, si affida la scuola primaria ai comuni, ma se ne nega la gratuità e
l’obbligatorietà. Segue la fondazione della Scuola centrale per l’insegnamento delle lettere, arti e
scienze, e la creazione della Scuola Normale per la preparazione dei maestri di cui lo Stato ha
bisogno.
Parallelamente, la Rivoluzione Francese innesca tutto un complesso meccanismo di educazione di
massa teso a sviluppare negli individui la coscienza di appartenere allo Stato, di essere cittadini di
una nazione, capaci di partecipare ai valori e agli ideali in maniera attiva. In questo senso, un ruolo
forte è assunto dai cosiddetti Catechismi laici, miranti a diffondere una visione laica del mondo,
un’etica civile ispirata a principi di tolleranza e impegno sociale. Accanto ad essi, svolgono una
funzione importante le feste rivoluzionarie e repubblicane, che si sostituiscono a quelle popolari e
religiose; lo scopo è appassionare l’uomo alla verità, mutarne i costumi e vincolarlo ai valori civili.
La stessa funzione è svolta dal teatro, dalla pittura e dalla poesia e si viene, così, a creare un
complesso circuito educativo civile, finalizzato a supportare il lavoro pratico e ideologico delle
scuole stesse. Proprio questa complessità e questo intreccio di ambiti diversi, pensati però come
integrati e interconnessi, avvia il modello di istruzione ed educazione collettiva e ideologica che si
diffonderà fino ai nostri tempi. Questi orientamenti laici, civili e statali, con l’età napoleonica si
diffondono in tutti i paesi che entrano in contatto con il potere e la cultura francese. Accade così con
il Piano generale di pubblica istruzione realizzato dopo il 1797 nella Repubblica Cisalpina, ma mai
applicato fino in fondo. Allo stesso modo, nel 1802, la Repubblica italiana si dota di scuole sotto il
controllo dello Stato e organizza in modo sistematico le scuole elementari, medie e superiori. Le
Università, le Accademie e le Scuole speciali sono definite Nazionali, i licei sono Dipartimentali, i
ginnasi e le scuole elementari sono Comunali. Un adeguato trattamento è previsto per gli insegnanti
cui si richiede fedeltà, disciplina e impegno, ma gli si riconoscono pensioni e compensi di buon
livello. Con Giuseppe Bonaparte, e poi con Gioacchino Murat, anche nel Regno di Napoli si
istituiscono Collegi reali laici, convitti per fanciulle, si stabilisce l’obbligo per la scuola elementare,
si fondano scuole professionali con programmi uniformi. La ventata di rinnovamento, dalla Francia
rivoluzionaria, si estende quindi in tutta l’Europa.
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PARTE QUARTA
L’ETÀ CONTEMPORANEA
Educazione e ideologia.
La pedagogia dell’età contemporanea si caratterizza per uno stretto legame con l’ideologia,
sia come dipendenza da essa sia come produzione di ideologia. Questo dato è stato messo in rilievo
dalla filosofia marxista; già Marx, infatti, aveva sottolineato come le idee dominanti in un
determinato momento storico, sono quelle delle classi dominanti, e sono dettate dai loro obiettivi
politici e sociali ma soprattutto economici. Analoghe riflessioni vengono fatte da Luhmann e da
Dewey. Sostanzialmente, quindi, la pedagogia si rivela funzionale all’assetto del potere politico e
della società; ha una funzione riproduttiva e critico-riproduttiva di saperi e comportamenti e lo
stesso, di conseguenza, vale per i processi educativi, sia quelli familiari che quelli scolastici che,
infine, relativi al tempo libero. Il fortissimo nesso pedagogia-società-ideologia è al centro del
dibattito sulla pedagogia contemporanea e si tratta di un tema ancora aperto e irrisolto. Quel che
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appare evidente è che la pedagogia è andata sempre più politicizzandosi, come dimostrano i
programmi educativi presentati dalla politica con lo scopo di creare consenso, specialmente dal
punto di vista intellettuale, per consolidare la propria egemonia. Questa politicizzazione è stata
enfatizzata dai totalitarismi del XX secolo: nazismo, fascismo, stalinismo si sono serviti della
pedagogia come strumento per intervenire nella società e operare un processo di conformazione e di
creazione di consenso, persuasivo o coatto, negli individui privandoli di ogni autonomia. In tal
modo, si è svelato il rischio enorme insito nel nesso politica-società- pedagogia, contro il quale è
necessario vigilare e predisporre le opportune contromisure.
Miti dell’educazione.
Nell’età contemporanea, è sorto un vero e proprio mito dell’educazione, vista come fattore-
chiave dello sviluppo sociale, luogo del ricambio e della coesione sociale. Essa ha finito per
sostituirsi alla politica nella creazione dell’uomo moderno animato da libertà, solidarietà, spirito
collaborativi. L’800 ha visto la nascita di diverse opzioni relative a questo mito: quella democratica
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(Dewey) che concepisce l’educazione come molla dello sviluppo; quella totalitaria (Hegel) che la
considera una socializzazione integrale conformistica e basata sull’adattamento alla società; quella
socialista (Marx) che ne sottolinea la politicità e il suo legame con le classi in ascesa. Queste
opzioni si sono concretizzate nel ‘900, e questo ha portato ad affievolire il mito dell’educazione, a
metterne in evidenza i contenuti mistificanti (infatti, l’azione educativa non può essere libera, ha dei
limiti, e dunque non può realizzare tutto) e autoritari (la centralità eccessiva dell’educazione porta
alla massificazione). Il mito è stato quindi ridimensionato ma non è crollato e, dopo la devastazione
bellica della Seconda guerra mondiale, si è affermato al suo punto massimo. E si è altresì arricchito
dal mito della società educante, che realizzi un modello di convivenza in grado di soddisfare i
bisogni di tutti, che sia gratificante e consenta all’uomo di realizzarsi in ogni suo aspetto. Al centro
di questo modello sociale, si pone la scuola, e accanto ad essa molteplici altre agenzie formative,
dirette ai giovani e agli adulti. L’uomo nuovo che ne deriva prende come paradigma da seguire
proprio il fanciullo (ecco quindi il mito dell’infanzia, anch’esso ereditato dalla lezione di
Rousseau), visto come essere libero, naturale, sottratto alle manipolazioni della società,
potenzialmente ancora capace di realizzare qualunque cosa. Tutte le pedagogie della
contemporaneità si ispirano al puerocentrismo e si mettono al servizio del bambino, e ulteriore
spinta in questo senso si ha da parte della psicoanalisi.
Ad ogni modo, la presenza dei miti sottolinea la funzione critico-progettuale assunta dalla
pedagogia, e riconfermano quanto essa sia scissa tra conformazione ed emancipazione.
Istruzione e lavoro.
La pedagogia contemporanea ha posto l’istruzione come diritto universale e compito sociale;
anche il lavoro si è imposto come dovere sociale e attività specifica di ogni uomo, per cui è naturale
che i due ambiti si siano incontrati e interconnessi in modo dialettico, dando vita a problemi nuovi,
tipici della contemporaneità.
Il problema lavoro è stato affrontato considerando il lavoro stesso come acquisizione di
professionalità diverse, che rendono possibile la riproduzione sociale, economica e culturale.
Inoltre, esso si è posto come attività peculiare dell’uomo, e anche come integrazione all’interno dei
curricula dei giovani, il che significa che il lavoro viene qualificato anche come vera e propria
materia di studio. L’istruzione si lega al lavoro non solo come effetto delle teorie di personalità di
spicco come Weber, Marx, Comte, ma anche come risultato della trasformazione sociale ed
economica cui è sottoposta la società. E si tratta di un legame inscindibile che, col passare dei
decenni, si è andato facendo sempre più urgente e pregnante. Il pensiero pedagogico ha messo in
rilievo l’importanza della prassi, della tecnica, che deve accompagnarsi alla teoria, secondo una
linea tracciata da Hegel, poi da Marx, Dewey, via via fino al cognitivismo. Il lavoro ha trovato il
suo spazio nella scuola (come lavoro fatto in classe, per valorizzare la manualità dello scolaro, in
gruppo, per favorire l’integrazione e l’interazione fra i discenti) e in luoghi appositamente deputati,
come le fabbriche, ma pur sempre legati alla scuola e alla formazione. Marxismo e attivismo lo
hanno usato come strumento di radicale revisione dei programmi di formazione, propugnando un
ritorno alla prassi e alla tecnica.
Questo percorso ha invertito direzione con il cognitivismo che ha invece posto al suo centro la
ricerca educativa e scolastica, e l’istruzione in generale; il cognitivismo ha infatti dato maggior
rilievo alla trasmissione di competenze e modelli di comportamento, per stimolare i giovani a
conformarsi alle regole sociali. Pertanto, il lavoro è stato estromesso dal centro della scuola
contemporanea: esso non è più il nucleo strutturale quanto piuttosto il fine, l’uscita ultima del
processo di formazione. Siamo di fronte ad una situazione problematica, poiché attualmente si sente
più forte l’esigenza di un recupero della professionalità e della tecnica all’interno del percorso
educativo e purtroppo finora non si è riusciti ancora a trovare la soluzione giusta e più opportuna.
Pertanto, siamo dinanzi ad un problema ancora aperto.
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La scuola e le riforme.
La vocazione riformatrice dell’organizzazione scolastica si realizza mediante una serie di
riforme che partono già dal ‘700 con l’intento di aggiornare l’organizzazione della scuola e la
gestione dei programmi per fornire modelli culturali nuovi funzionali ad una società ormai diversa.
Quattro sono le principali caratteristica della nuova istituzione scolastica:
1. obbligatorietà: l’obbligo scolastico si diffonde in tutti gli Stati moderni proprio per fare in
modo che tutti i cittadini si sentano membri di un’unica compagine, imparino a convivere e a
rispettare le leggi. Questo principio viene attuato, nei vari Paesi, secondo modalità diverse: in Italia
si afferma con la legge Casati nel Regno di Sardegna e poi si diffonde in tutte le altre zone del
Paese. Tuttavia, possiamo dire che si tratta di un principio non ancora perfettamente realizzato in
molte parti del mondo, anche quelle più vicine a noi.
2. gratuità: rendere la scuola gratuita significa garantirne la messa al servizio di tutti,
contribuire concretamente ad agevolare le famiglie che intendono aiutare i figli nell’apprendimento.
3. statalità: la scuola diventa statale il che significa che viene gestita direttamente dallo Stato,
al fine di sottrarla alle influenze delle ideologie di parte e attrezzarla come scuola per tutti; lo scopo
è anche renderla uniforme sia dal punto di vista geografico che da quello culturale, laicizzando
l’insegnamento e valorizzandone l’aspetto critico e razionale.
4. differenziazione interna: la scuola si articola in ambiti e settori culturalmente diversi e
disposti cronologicamente; in tal modo, ogni classe sociale ha a disposizione il tipo di scuola più
adatto alle proprie esigenze ma, ciononostante, è possibile che ci siano passaggi da un percorso ad
un altro e quindi si favorisce una certa mobilità sociale. Questa differenziazione e questo
dinamismo interno vengono favoriti fino all’età giolittiana ma con l’avvento del fascismo, la scuola
verrà bloccata in una struttura rigida, per poi riaprirsi nel corso degli anni ’60.
Ma nell’età contemporanea, la scuola si trova a vivere anche una costante ansia di cambiamento e
un perenne senso di insoddisfazione, anch’esso determinato dal suo trovarsi in bilico tra due
modelli teorici differenti: quello di istituzione tecnica e professionalizzante, finalizzata alla
riproduzione della forza lavoro, e quello di istituzione formativa e culturale che promuove la
crescita intellettuale e morale dell’individuo. Tutto il movimento della scuola contemporanea è un
cammino verso il tentativo di intrecciare e unificare questi due modelli, senza tuttavia riuscire ad
armonizzarli il che rappresenta un elemento di problematicità forte.
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quindi incerta; ciò significa che il sapere pedagogico va conquistato, nella sua interezza, volta per
volta, passo dopo passo, in una situazione di precarietà difficile ma che ne accresce la ricchezza.
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borghese o, all’opposto, la coscienza di classe, la rivoluzione, l’emancipazione. A questo
meccanismo non sfuggono le pedagogie elaborate dai gruppi conservatori che mirano ad agire in
modo paternalistico nei confronti del popolo, per integrarlo nell’ideologia borghese, come
testimonia la Rerum Novarum di Leone XIII.
A parte questi contributi, dobbiamo citare almeno 4 aspetti dell’educazione sviluppati in profondità
dalla pedagogia ottocentesca:
1. la riflessione intorno alla Bildung (sviluppo spirituale) per riformulare in modo critico il
modello di formazione tenendo conto dell’armonia tra le esperienze spirituali dei soggetti,
una formazione che non si concentra sul cittadino o sull’Homo faber ma sull’idea
dell’”anima bella”;
2. l’attenzione prestata alla funzione educativa dell’arte, di matrice prettamente romantica
(Schelling, Schopenhauer, Fröbel), che sviluppa le capacità cognitive mediante la fantasia
che proprio l’arte sa potenziare; la cultura romantica richiede che l’educazione, sin dalla
scuola primaria e dagli asili d’infanzia, metta al centro della sua prassi l’arte e il gioco;
3. l’importanza dell’epistemologia, cioè di una fondazione rigorosa della pedagogia come
sapere scientifico, con un metodo specifico, più controllato e più consapevole; è il percorso
avviato da Herbert e dal Positivismo;
4. la riorganizzazione tecnica della scuola che ne riqualifica il volto e correla finalità politiche
e strutture curriculari, con in più il compito di mantenere il legame tra eredità culturale del
passato e società contemporanea.
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1. l’educazione come processo che segue la natura: è un concetto di derivazione schiettamente
rousseiana, che prevede un’educazione che accompagni lo sviluppo armonico dell’individuo
facendo perno sul fatto che ogni bambino “ha in sé tutte le facoltà della natura umana”;
l’educazione però, diversamente da Rousseau, non deve essere solo negativa ma anche positiva;
2. la formazione spirituale dell’uomo come unità di mente, cuore e mano: l’educazione deve
essere di tipo morale, intellettuale e professionale; essa deve partire dall’Anschauung, cioè
dall’osservazione intuitiva della natura, per promuovere lo sviluppo intellettuale che a sua volta
promuove quello morale. In questo modo, nel soggetto si crea un senso di armonia sia con il mondo
esterno che con quello interiore. Pestalozzi delinea la formazione morale in termini prettamente
kantiani definendola come una sottomissione ad un imperativo interiore che si risveglia e si realizza
grazie anche alla disciplina;
3. l’istruzione a partire dal contatto diretto con le diverse esperienze dell’allievo: se non ci
fosse un fondamento intuitivo, ogni verità sarebbe noiosa per i fanciulli. Siamo dinanzi ad una
didattica dell’intuizione che segue le stesse leggi della psicologia infantile.
Oltre a queste teorie didattiche, Pestalozzi sviluppa anche una riflessione sociale e politica che
critica l’ordinamento della società del suo tempo e concepisce il modello di una società ideale,
modellata sui caratteri comunitari della famiglia in cui vigono forti principi etici e il cui scopo è
nobilitare l’umanità. L’educazione assicura dunque il perfezionamento dell’uomo che lo porta ad
agire come cittadino perché unisce la sua formazione individuale con la coscienza nazionale e con il
patriottismo. La specificità del messaggio di Pestalozzi sta proprio in questa somma di idee
romantiche e rousseiane, ma soprattutto nell’aver coniugato pratica e teoria pedagogica guardando
ad entrambe come educatore, e non perdendo mai di vista una precisa finalità antropologica e
politica. È questa la ragione che lo rende un grande maestro della pedagogia contemporanea.
La pedagogia più propriamente romantica si esprime nel neoumanesimo ma anche nella
lezione di Hegel ed Herbart. La pedagogia del neoumanesimo si richiama esplicitamente
all’Umanesimo dei secoli XV e XVI, pertanto essa è una riflessione critica intorno all’uomo e alla
società di cui egli è protagonista. Il tema centrale degli autori di questa corrente (Schiller, Goethe,
von Humboldt) è la formazione umana (Bildung) la tensione spirituale dell’io verso forme di
personalità sempre più complesse ed armoniche. Questo ideale di formazione si può realizzare solo
mediante un riavvicinamento alla cultura dei classici greci, gli unici capaci di unire insieme istinto e
ragione, individualità e cultura, spirito e corpo. È per questo che il ruolo dell’arte diventa
fondamentale, in quanto elabora, attraverso la fantasia, un equilibrio fra necessità e libertà, intelletto
e sentimento. A partire da queste premesse, i neoumanisti affrontano i problemi educativi dando vita
ad una vera e propria utopia pedagogica. Schiller (1759-1805) compone le Lettere sull’educazione
estetica nel 1795, in cui, sotto forma di ricerche sul bello e sull’arte, propone un modello di
formazione che unisca nobiltà morale e felicità. In tal modo, viene a crearsi un modello di uomo
nuovo, che si richiama al modello greco, come maximum dell’umanità, in netta contrapposizione
con l’utile, il grande idolo della sua epoca. Lo strumento migliore per realizzare questo tipo di uomo
è l’educazione del sentimento, realizzata, con l’ausilio dell’arte, nella congiunzione di intelletto e
sentimento, due facoltà che non devono mai separarsi nell’uomo, ma armonizzarsi nella creazione
dell’anima bella attraverso l’attività ludica.
Le idee fondamentali di Schiller sono riprese da Goethe nella parte chiamata Provincia pedagogica,
dell’opera Wilhelm Meister del 1801, sviluppandole in un contesto più pratico. Goethe immagina un
luogo dedicato esclusivamente alla formazione dei giovani, in cui, sotto la guida di saggi maestri, le
giovani generazioni apprendano una cultura ricca e libera insieme ad una profonda concezione del
mondo. Le attività intellettuali devono procedere di pari passo con quelle manuali, si deve favorire
il contatto del giovane con la vita dei campi e imporgli la scelta di un lavoro. Inoltre, Goethe invita
a dare ampio spazio all’educazione artistica, al canto, alla scultura, alla poesia. Riguardo la
concezione dell’uomo, la Provincia pedagogica esalta innanzitutto il rispetto di sé, degli altri, della
natura, ma anche dell’universo e di Dio, un Dio concepito in termini molto vicini al deismo. Tutto
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questo progetto viene raggiunto tramite una capillare organizzazione della vita della comunità
seguita in ogni scelta e in ogni momento.
L’importanza di recuperare il valore dell’educazione umanistica, soprattutto delle lingue classiche,
viene propugnata da von Humboldt (1767-1835), che si occupa di pedagogia a partire dal 1809, nel
momento in cui diviene Ministro dell’Istruzione in Prussia. Egli deplora l’interessamento che i
pedagogisti del suo tempo mostrano esclusivamente dei confronti della scuola elementare e
dell’esaltazione delle scienze matematiche. Il suo piano scolastico di riforma si rivolge a tutto il
percorso formativo con l’obiettivo di mettere la scuola in condizione di impartire solo una
formazione umana generale ma assolutamente non specializzata, perché altrimenti non si ha la
possibilità di formare degli uomini, o dei cittadini, completi. L’istruzione è divisa in elementare (sul
modello di Pestalozzi), scolastica e universitaria. Di quest’ultima von Humboldt ha un’idea
precisa: essa è il luogo in cui lo studente compie ricerche per conto suo, sotto la guida del
professore; il lavoro universitario si ispira all’unità delle scienze e il suo momento qualificante è
l’attività individuale mentre la lezione collettiva è solo un momento secondario. Soprattutto, è
importante che chi si dedica allo studio universitario viva in una comunità di pari, consapevole di
essere circondato da altre persone che si dedicano al medesimo studio con la medesima passione.
Humboldt, peraltro, cerca di concretizzare questa idea di università fondandone una a Berlino,
divisa in 4 facoltà, teologia, medicina, diritto e filosofia, attribuendo a quest’ultima il ruolo di
promuovere la scienza pura.
Si occupa di pedagogia anche il primo grande filosofo dell’idealismo, Fichte (1762-1814) e la fa
soprattutto nei Discorsi alla nazione tedesca in cui afferma che esiste una radicale convergenza tra
etica e nazione; a suo giudizio, l’educazione deve farsi educazione nazionale per poter interpretare
le energie del popolo, esaltarle e realizzare una vera comunità guidata dallo Stato. Questi ha infatti
un compito principalmente etico che è quello di sviluppare l’energia spirituale dell’individuo e
collegarla ad un compito collettivo che la elevi ad una dimensione più universale.
L’etica è posta al centro del discorso pedagogico anche da Schleiermacher (1768-1834) ma si tratta
di un’etica che si afferma come libertà individuale; questo processo è guidato dall’educazione la
quale nutre il fanciullo di cultura e di storia e ne sviluppa l’autonomia in unione con la sua vita
spirituale. A questo mirano l’educazione religiosa e quella scolastica, rispettivamente nella sfera
morale e in quella civile, ma esse sono coronate dall’educazione religiosa. Nelle Lezioni di
pedagogia, inoltre, Schleiermacher sviluppa un’epistemologia pedagogica che coniuga teoria e
prassi, anzi, afferma che la teoria nasce proprio dalla prassi e si sviluppa per forza propria per poi
tornare direttamente alla prassi.
Richter (1763-1825) riprende il concetto dell’armonicità della formazione e vi pone al centro
l’educazione estetica; il suo interesse si rivolge principalmente alla prima infanzia e all’educazione
familiare in cui si deve tener conto sempre dell’a spontaneità del bambino e si deve manifestare
rispetto nei suoi confronti. Anche in questo caso, quindi, siamo di fronte ad una pedagogia
liberatrice incentrata sull’amore per l’infanzia; infatti, l’educatore non deve essere autoritario e deve
preservare la spontaneità del fanciullo e la sua innocenza ispirandosi al modello materno poiché il
vero motore dell’educazione spirituale è il sentimento.
La pedagogia romantica tocca infine il suo apice con Fröbel (1782-1852), seguace di Rousseau e
Pestalozzi, fondatore dell’Istituto di educazione tedesca universale, e propagandista della
formazione pedagogica di insegnanti e genitori. La concretizzazione più alta della sua opera
educatrice è il “giardino d’infanzia” istituito nel 1839. Fröbel concepisce l’infanzia partendo da un
presupposto religioso: Dio è presente e coincidente con la natura, è immanente ad essa, e quindi la
natura è sempre buona, in quanto partecipa della bontà divina, soprattutto nel bambino, che non è
ancora condizionato dalla società. Pertanto, l’educazione deve lasciar emergere la voce di Dio
dall’interno del bambino, potenziandone la capacità creativa e la volontà di immergersi nel mondo-
natura e di conoscerlo. L’attività specifica del bambino è il gioco che, per lui, è un’attività seria e
rimane tale finché, allontanandosene, il bambino non la sostituisce con il lavoro. I bambini devono
essere educati nei giardini di infanzia, che non sono solo asili, ma sono spazi attrezzati per il gioco
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e il lavoro infantile, per le attività di gruppo, guidati da una maestra giardiniera che indirizza i
piccoli alle attività senza però far assumere ad esse una forma organica e programmatica; infatti, nei
giardini predomina il gioco e l’intuizione delle cose. Per quanto riguarda il metodo, Fröbel, oltre a
privilegiare il gioco e l’attività estetica, sviluppa anche una “teoria dei doni”: essi sono materiale
didattico costituito da oggetti geometrici solidi (cubi, palle, cilindri) che servono ad avviare il
bambino alla comprensione della natura. Dotati di valore simbolico, i doni possono essere utilizzati
in molti modi ma il loro scopo principale è quello di iniziare i bambini ad una comprensione
simbolica, e quindi filosofica, del mondo, attraverso la loro composizione e la scomposizione.
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concepisce la pedagogia come scienza, ma come scienza filosofica che congiunge pratica e teoria,
arte e scienza. Essa si struttura di etica e psicologia. Riguardo quest’ultima, Herbart la vede come
una ricerca sperimentale, mentre l’etica è un’etica kantiana del dovere in cui, però, si esige
impegno, sforzo, e soprattutto si dà peso e valore all’esperienza. Lo scopo fondamentale è realizzare
il governo del fanciullo, scopo che richiede parimenti autorità ed amore, sia da parte della famiglia
che degli educatori. Parliamo infatti di plurilateralità dell’interesse che si attribuisce alle modalità
di formazione dei fanciulli: esse si muovono dall’acquisizione di conoscenze sempre nuove, di
paradigmi di conformità alle norme, e arrivano alla partecipazione all’umanità e alla società nel
complesso. Perché ciò avvenga, è necessaria l’attenzione, vista come il momento essenziale della
pedagogia. Si stimola l’attenzione servendosi di un contatto con le cose, da cui procedere verso i
concetti astratti, andando quindi sempre dal particolare verso l’universale. Il lavoro scolastico deve
svolgersi secondo “episodi” che coordinino gli argomenti e lo sviluppo più personalizzato dello
studio, affinché le nozioni apprese vengano assimilate nel profondo. Molto innovativa è poi la presa
di posizione di Herbart nei confronti dell’autonomia della scuola rispetto alla Chiesa e allo Stato;
egli rivendica un’educazione laica e affidata a scuola e famiglia.
Nonostante, un impianto forse eccessivamente intellettualistico, la pedagogia di Herbart si diffonde
in Germania ma anche negli USA e in Italia (con Labriola e Credaro) alimentando in diversi Paesi
la nascita di istituti che si ispirano alle lezioni herbartiane sia per la formazione dei discenti che per
quella dei docenti.
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e non costrittivo, e una forma di educazione che non sia impartita in istituzioni statali ma in luoghi
liberi, affidata all’iniziativa di gruppi e di maestri che lavorino per insegnare la libertà.
Intanto, dal punto di vista pratico, alcuni filantropi si impegnano per migliorare la situazione
educativa inglese delle classi inferiori. A Raikes si deve l’apertura della scuola domenicale per i
poveri, a Bell la realizzazione del mutuo insegnamento, un modello per cui i poveri adulti e più
preparati insegnavano ai più piccoli; a Lancaster, infine, si deve l’aver portato questo progetto ad
un livello più alto: egli, infatti apre una scuola a Londra, molto frequentata, in cui l’insegnamento è
affidato ad un monitore, cioè ad un ragazzo già istruito che coordina il lavoro di apprendimento, in
un unicco ambiente, dividendolo in settori. Questo modello si diffonde non solo in Inghilterra, ma
giunge fino agli USA.
Sotto l’influenza di Pestalozzi, in Svizzera, si sviluppa un movimento pedagogico molto attento, di
cui due protagonisti di spicco sono Albertine Necker e Padre Girard. Negli anni 1835-1838, la
Necker pubblica L’educazione progressiva, un saggio nato dall’osservazione sui propri figli e da
un’accurata preparazione, in cui l’educazione è concepita come costante processo in divenire, verso
il perfezionamento di sé, un progetto progressivo che dura per tutta la vita anche se è scandito da tre
tappe fondamentali, infanzia, adolescenza, giovinezza, in un percorso che va dalla semplice
trasmissione di conoscenze, alla collaborazione fra educando ed educatore, fino ad una sorta di
auto-educazione. La Necker è totalmente contraria alla pedagogia rousseiana; inoltre, dedica alla
donna grande importanza, e ne sottolinea il fondamentale ruolo educativo. Per quanto concerne
Padre Girard, egli è un francescano che si interessa al mutuo insegnamento per le classi povere e
che, per le sue idee troppo avanzate, viene emarginato a partire dal 1815. Il tema centrale della
pedagogia di Padre Girard è l’insegnamento delle lingue che i bambini devono apprendere secondo
un metodo materno, che faccia leva su nozioni ed esperienze a loro note, e su lezioni non passive.
La Russia si trova in una situazione di grande arretratezza rispetto ai Paesi appena esaminati: qui,
solo all’inizio dell’800 vengono istituite scuole statali, ma quelle superiori vengono precluse ai
borghesi, e le scuole per l’infanzia nascono solo per iniziativa di privati. Il clima reazionario
instaurato dallo zar Nicola I sollecita richieste di maggiore libertà pedagogica e di interventi radicali
e mirati, da parte di diversi intellettuali, ma l’esperienza più interessante, dal punto di vista sella
formazione, resta quella del grandissimo scrittore Lev Tolstoj (1828-1910) che, nella sua tenuta di
campagna, nel 1861, si fa promotore dell’apertura di una scuola per i contadini, chiusa dalla polizia
dieci ani dopo. La sua pedagogia, di derivazione rousseiana concepisce l’educazione come il
formarsi della libertà attraverso la libertà; pertanto, Tolstoj ritiene che la scuola debba essere una
palestra di libere attività, che lo studio debba essere stimolato dall’interesse, e che il maestro debba
abbandonare i comportamenti autoritari e repressivi, per affidare agli allievi il compito di auto-
disciplinarsi. Una scuola allegra e serena è necessaria soprattutto per il popolo che deve apprendere
nozioni utili, che possano servirgli nell’attività pratica, ma che deve anche avere un contatto con i
valori estetici ed etici e deve sviluppare la propria formazione attraverso la prassi della solidarietà e
della fratellanza. La pedagogia di Tolstoj è stata valorizzata, dopo anni di severe censure,
dall’attivismo ed è stata considerata una delle voci più grandi, e ancora attuali, della pedagogia
ottocentesca.
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Vincenzo Cuoco (1770-1823), avvocato napoletano, partecipa alla vita della Repubblica
partenopea, e nell’esilio che ne segue, a Milano, scrive il Saggio storico sulla rivoluzione
napoletana del 1799 in cui critica l’astratto rivoluzionarismo illuminista e giacobino, in nome di
una più attenta analisi della situazione concreta al fine di stabilire le concrete possibilità di
promuovere una rivoluzione di qualunque tipo. I suoi saggi pedagogici risalgono al periodo in cui
ritorna a Napoli e, sotto Giuseppe Bonaparte, ricopre importanti incarichi pubblici. Cuoco propone
una riforma della pubblica istruzione che, nonostante non venga attuata, influenza ampiamente le
varie realizzazioni scolastiche napoletane e italiane, soprattutto per i caratteri di laicità e di impegno
civile. La sua idea è che l’istruzione, per essere utile, debba essere anche universale (comprendente
tutte le scienze e tutte le arti), pubblica (deve essere un’istruzione per tutti, una per molti e una per
pochi) e uniforme (ben regolata e uguale in tutto lo Stato). La scuola si divide in tre gradi: il grado
primario riguarda le nozioni necessarie a tutti gli uomini e deve essere gratuito e presente in ogni
comune; quello medio, privilegia le scienze necessarie alla vita, ed è destinato a pochi; infine, il
grado sublime o universitario, si basa sulla specializzazione e avvia alla formazione nelle
professioni liberali. Vi è, in questo progetto, il tentativo di separare l’istruzione popolare da quella
borghese e delle classi dirigenti, in piena consonanza con il clima dell’epoca, ma vi è anche un
atteggiamento storicistico che richiede di trattare i problemi legati all’istruzione guardando alle
tradizioni dei vari popoli.
A Milano si svolge l’attività pedagogica di Giandomenico Romagnosi (1761-1835) incentrata sulla
valorizzazione dell’educazione sociale che è la partecipazione delle giovani generazioni alla cultura
della comunità in cui vivono. Romagnoli invita alla formazione di una mente sana, attraverso la
congiunzione di sensazioni e senso logico; sulla base di queste considerazioni psicologiche e
didattiche, egli elabora un progetto di educazione nazionale per cui immagina una scuola primaria
gratuita e comune a tutti fino a 7 anni, ove si trasmettano le nozioni di base del leggere e scrivere e
un catechismo nazionale per i maschi, e la filatura e la tessitura per le femmine. Dai 7 ai 12 anni, si
ha la scuola preparatoria, riservata ai ceti medi e a pagamento. Fino ai 18 anni, poi, l’istruzione si
basa sull’insegnamento delle scienze e sulla formazione pratica del giovane, a partire dai sensi,
attraverso la fantasia, fino alla ragione, che rappresenta l’elemento capace di assicurare alla mente
la sua funzione più attiva.
Posto costante e significativo occupa la pedagogia nella vasta produzione di Carlo Cattaneo (1801-
1869), giornalista, studioso, fautore del Politecnico, la rivista che ha lasciato l’impronta più
significativa sulla cultura italiana in senso scientifico e laico. La sua riflessione sull’educazione
valorizza innanzitutto il valore dell’istruzione nella formazione di ogni uomo e cittadino, ma anche
il fine pratico dell’istruzione, di tutta l’istruzione, incluse le lingue morte; inoltre, attribuisce priorità
all’insegnamento delle scienze e alla formazione di una mentalità scientifica; infine, si richiama ad
una centralità dell’educazione nei processi di elevazione civile delle classi sociali e dell’intera
nazione. Ne deriva la proposta di aprire delle scuole di agraria, economia, chimica, meccanica, in
cui l’apprendimento avviene anche attraverso l’attività di laboratorio. Cattaneo crede
nell’importanza dei processi sociali nell’apprendimento e perciò esso deve essere sempre legato alla
storia e alla civiltà; la stessa filosofia viene ricollegata al terreno storico.
2. La pedagogia di Rosmini, Gioberti e Mazzini.
Antonio Rosmini (1797-1855) è il grande rappresentante dello spiritualismo personalistico
ottocentesco. Ha dedicato tre importanti scritti alla pedagogia:
Sull’unità dell’educazione, 1826: si tratta di un saggio giovanile in cui Rosmini sostiene
che l’educazione debba essere unica e coerente; questa unità può esserle garantita solo
dall’elemento religioso che deve dominare i processi formativi; infatti, essa si è avuta con la
comparsa del Cristianesimo e ha raggiunto l’unità nei suoi fini, nelle sue dottrine e nelle potenze,
cioè nelle potenzialità da realizzare. L’insegnamento deve adeguarsi anche all’ordine delle cose al
di fuori degli uomini e anche questo obiettivo si può realizzare solo tramite la conoscenza e l’amore
di Dio nello spirito umano. Questo saggio di Rosmini esalta dunque lo spiritualismo ma afferma
altresì il valore dell’individuo in tutto ciò che ha di proprio e caratteristico.
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Del supremo principio della metodica, 1839: quest’opera fondamentale presenta
un’analisi più diretta sull’educazione; in particolare, Rosmini osserva la mente infantile e la
qualifica come caratterizzata da benevolenza, pienezza di vita e sensibilità, anche se, con la crescita,
essa viene dominata dall’intelletto, dagli ideali e dal senso della realtà. Tutto ciò implica che
l’educazione si adatti alla specificità della vita psichica infantile e alla sua libertà; Rosmini fa
diversi riferimenti a Rousseau e anche fini osservazioni di psicologia infantile. Dal punto di vista
metodologico, egli esalta il metodo deduttivo che parte dal generale per arrivare al particolare,
perché è il metodo più fecondo in qualsiasi disciplina, purché il fanciullo venga accostato alle
conoscenze in modo graduale, logicamente e analiticamente, anche se, in altre opere, Rosmini si
corregge e auspica anche l’utilizzo del metodo opposto, quello deduttivo.
Della libertà dell’insegnamento, 1854: si tratta di articoli che rivendicano alla Chiesa il
diritto di insegnare contro ogni monopolio statale nell’ambito scolastico. Diritto esclusivo della
Chiesa è amministrare la formazione religiosa, mentre le altre parti dell’istruzione e dell’educazione
possono rientrare anche in un altro tipo di insegnamento. Questi articoli sono certamente più vicini
alla situazione politica e storica dell’epoca e quindi sono connessi strettamente alle battaglie
ideologiche del tempo.
Vincenzo Gioberti (1801-1852) ha trattato direttamente l’educazione nelle sue opere, inclusa
l’Introduzione allo studio della filosofia del 1840. Anch’egli si esprime in difesa dell’educazione
cristiana e cattolica, realizzata dalla Chiesa mediante il catechismo e la disciplina. Tuttavia, Gioberti
si oppone ai tradizionali metodi formativi ecclesiastici, principalmente ai Gesuiti, e pur respingendo
le tesi libertarie di Rousseau, e quelle liberali in materia di istruzione, aderisce alle esigenze
moderne di un’educazione pubblica gestita dallo Stato poiché, come affermavano gli illuministi,
l’educazione moderna non può più essere domestica o privata dal momento che si tratta di formare
dei cittadini. Inoltre, l’educazione deve rivolgersi, ad un primo livello, a tutto il popolo, per poi
specializzarsi ed essere indirizzata solo agli ingegni più eletti. Il cattolicesimo di Gioberti è un
cattolicesimo liberale, che si apre alle nuove istanze di libertà (di stampa, di educazione, di
associazione) senza però rinnegare i fondamenti metafisici e teologici del proprio sistema filosofico.
Ad uno spiritualismo di tipo laico ed etico si ispira invece Giuseppe Mazzini (1805-1872) che, dal
punto di vista meramente pedagogico, si pone come educatore del popolo e postula una “religione
dell’umanità” che si fondi sull’unione di Dio, azione e dovere, per vivere politicamente nel nome
dell’ideale della Patria.
3. I cattolici liberali: Lambruschini, Capponi, Tommaseo.
I cattolici liberali sono un gruppo che in Italia è presente soprattutto nelle regioni con economia più
avanzata, ed è caratterizzato da una radicale opposizione ai principi anticristiani e razionalistici
dell’illuminismo, da un’apertura culturale internazionale, e da una vivace sensibilità per le esigenze
di libertà del popolo, di stampo tipicamente romantico. Il loro cattolicesimo è ortodosso ma non
chiuso, e si ispirano ad uno spiritualismo di stampo nuovo; dal punto di vista politico, inoltre,
sostengono l’opposizione all’alleanza trono-altare della Restaurazione e cercano di valorizzare al
massimo il ruolo delle masse nella società. Al centro della loro pedagogia, disciplina considerata
eccezionale per la formazione di una lasse popolare evoluta, collaborativa verso lo Stato e guidata
dai genuini principi del cristianesimo. Il problema principale per i cattolici liberali è chiarire il
rapporto tra autorità e libertà per il quale cercano di trovare una soluzione di mediazione e di
compromesso senza però riuscirvi pienamente.
Raffaello Lmbruschini (1788-1873), genovese, iniziato alla carriera ecclesiastica, dopo il 1816, si
ritira in una sua tenuta dove crea una scuola convitto; intanto ha contatti con gli intellettuali
contemporanei e si dedica ad una intensa attività politica nell’ala federalista e moderata. Scrive
molti testi dedicati all’educazione tra cui quelli più audaci e innovativi, sono restati inediti e sono
stati riscoperti solo recentemente. Il suo capolavoro resa la rivista Guida dell’educatore
specializzata in pedagogia, prima rivista di questo genere in Italia, in cui affronta tematiche relative
all’arte, alla scienza, alla teoria e alla didattica educativa. La visione religiosa di Lambruschini parte
da una critica ala forma storica del cristianesimo in cui la politica si immedesima in una religione
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dogmatica e autoritaria; ad essa, contrappone la religione del Vangelo, mirante ad edificare
l’armonia tra gli uomini. Quello che Lambruschini rifiuta è la Chiesa che viene fuori dalla
Restaurazione, rigida e autoritaria, immobile, dal momento che per lui la religione è un legame
dell’uomo con Dio e degli uomini tra loro, una forza dinamica e liberatrice che agisce sia entro il
singolo che entro la società. La Chiesa deve riformarsi e spogliarsi dei suoi dogmi per ottenere
questo risultato: il clero dovrebbe essere ridotto di numero, i parroci dovrebbero avere più
responsabilità, il celibato ecclesiastico dovrebbe essere abolito ecc… Lambruschini presta anche
una particolare attenzione al tema della libertà, intesa come rimozione degli impedimenti per poter
seguire i dettami della coscienza. Egli in Dell’autorità e della libertà afferma che “la moralità è
inseparabile dalla libertà” ma si tratta di una libertà che si esplica sempre in un contesto sociale
fatto anche di leggi e di vincoli, per cui essa va temperata con la sottomissione, soprattutto laddove
ci sono debolezza e ignoranza. L’autorità è un principio creato appositamente per gli uomini, e
questo principio alimenta la religione cristiana: se la libertà è la coscienza che rispetta la legge,
l’autorità è la legge che rispetta la coscienza. Da questa teoria deriva la separazione netta che
Lambruschini fa tra Chiesa e Stato, due autorità che devono aiutarsi a vicenda, stare tra loro in
rapporti amichevoli, ma restare comunque distinte e separate. Peraltro, egli cerca di realizzare i suoi
principi in maniera concreta nelle istituzioni, asili, scuole di mutuo insegnamento, bande musicali,
che crea nel corso della sua carriera di pedagogo. Senza contare che il rapporto tra autorità e libertà
viene applicato anche al legame fra alunno e docente: quest’ultimo deve spingere il primo a fare
quello che è giusto anche se a lui ciò possa dispiacere, ma nello stesso tempo, come affermava
Pestalozzi, l’educatore deve mostrare dedizione amorevole verso il suo allievo.
Gino Capponi (1792-1876) unisce al suo cattolicesimo liberale una punta di scetticismo filosofico,
e un certo pessimismo antropologico; nato in una ricca famiglia toscana, Capponi entra presto in
contatto con tutti i più famosi intellettuali del suo tempo, e nel 1848 è nominato Presidente del
Consiglio. I suoi scritti principali sono rivolti all’indagine storica mentre quelli di pedagogia sono
relativamente scarsi ma significativi. Capponi mostra una esplicita diffidenza nei confronti della
filosofia metafisica e sistematica, tanto che il suo pensiero si avvicina alle riflessioni dei moralisti o
degli empiristi. Al centro della sua teoria vi è la valorizzazione del buon senso e l’attribuzione di un
peso al “fare” che è ben maggiore rispetto al “conoscere”; il momento supremo della conoscenza è
la riflessione religiosa, aspetto supremo della verità. L’opera a più alto valore pedagogico di
Capponi sono i Pensieri sull’educazione, in cui si intrecciano 4 temi fondamentali: critica al
naturalismo di Rousseau, rapporto educazione-proprietà, critica all’educazione ecclesiastica e studio
del carattere dell’infanzia. secondo Capponi, Rousseau avrebbe basato la sua pedagogia su
un’immagine di fanciullo impossibile, da cui sarebbe derivata una forma di educazione altrettanto
impossibile (leggi la critica a Emilio pag. 231) per cui a questo modello va sostituito un modello di
educazione sociale che colleghi la formazione dell’individuo e la partecipazione alla vita delle
comunità, mediante norme, regole e ideali. La forza dell’educazione degli antichi stava proprio in
questo legame con le leggi della città, mentre il cristianesimo ha rotto questo rapporto, privilegiando
la coscienza individuale e dando vita all’educazione moderna, problematica e inquieta che separa
individuo e società. Se col cristianesimo l’educazione passa nelle mani degli ecclesiastici e tende a
formalizzarsi e irrigidirsi, e ad acquisire un metodo specifico, specialmente con i Gesuiti, colpa
della modernità, per Capponi, è aver espropriato il clero del compito di educare. Al centro del
processo educativo, inoltre, si valorizza la natura dell’infanzia e il suo pensiero tipico che Capponi
definisce sintetico, caratterizzato dal sentimento e dalla ragione insieme. Ad ogni modo, il suo
progetto educativo prevede la centralità della religione poiché egli ritiene inutile ogni discorso
morale che non sia avvalorato dai precetti del Vangelo.
Niccolò Tommaseo (1802-1874), ardente patriota, studioso di lingua e letterato, si occupa di
educazione anche se non in forma sistematica. Per lui vitale è l’educazione del popolo, che va
attuata in ogni atto della vita pubblica, allo scopo di risvegliare negli individui il senso morale e
politico. L’educazione nazionale va affidata alla milizia delle arti e delle scienze, in istituzioni
scolastiche sia pubbliche che private. A queste tesi, Tommaseo affianca riflessioni sulla didattica e
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sul rapporto fra maestro e scolaro, ma anche osservazioni sulla psicologia dell’infanzia e
sull’educazione della donna.
4. Ferrante Aporti, Enrico Mayer e gli asili infantili.
Nel corso dell’800, da più parti, in Italia, si sente l’esigenza di un’educazione popolare, e su questo
punto sono unanimi le voci dei liberali e dei democratici, benché l’espansione dell’istruzione a
livello popolare, per molto tempo, sia affidata all’iniziativa dei privati. Vi si oppongono i reazionari,
i Gesuiti prima di tutti, convinti che l’istruzione distrugga la morale, che allontani il popolo dalla
felicità. La borghesia al contrario si interessa vivamente del problema e cerca di avviare esperimenti
locali di alfabetizzazione e di formazione etica e civile dei ceti inferiori. Larga diffusione hanno le
scuole di mutuo insegnamento, soprattutto a Nord e al Centro Italia, miranti a mettere i giovani
delle classi subalterne in condizione di saper leggere, scrivere, far di conto, ma anche a favorire
atteggiamenti di reciproca solidarietà.
Ferrante Aporti (1791-1858), sacerdote e professore mantovano, apre a Cremona il primo Asilo
Infantile, modello per la diffusione di altri istituti simili nelle più diverse città italiane. Gli asili
aportiani (da lui stesso definiti “scuole infantili per i poveri”) fioriscono soprattutto in Piemonte,
Lombardia e Toscana, mentre vengono avversati a Napoli e a Roma; ad ogni modo, il loro successo
si lega anche al fatto che essi vengono incontro alle esigenze delle famiglie più povere che, in un
momento di radicale trasformazione economica e sociale, non sono in grado di occuparsi
dell’adeguata educazione dei fanciulli. Gli asili sono aperti per i fanciulli dai due anni e mezzo ai
sei; l’educazione avviene attraverso varie attività organizzate, gioco, preghiera, canto, disegno.
L’interesse dei ragazzi è stimolato da storie e racconti, soprattutto di tipo sacro, sempre tenendo
conto che l’obiettivo finale dell’insegnamento è la formazione morale che indirizzi i fanciulli verso
le virtù tipicamente cristiane.
Enrico Mayer (1802-1877), di posizioni politiche democratiche, scrive opere e saggi pedagogici,
confluiti nella raccolta Frammenti di un viaggio pedagogico del 1867. Egli ha una precisa visione
dei rapporti tra le classi sociali che si basano sullo sfruttamento e la miseria del popolo, un popolo
che è certo in una condizione di dipendenza ma da essa può essere riscattato mediante un intervento
educativo e politico insieme. Proprio per cominciare ad educare i fanciulli sin dalla più tenera età,
Mayer ritiene che un ruolo cruciale sia svolto dagli asili, gli iniziatori di un nuovo sistema di
educazione popolare, riformatori della pubblica morale, talmente importanti che le istituzioni
dovrebbero esigere disposizioni coercitive per le famiglie che per ragioni economiche non mandano
i figli all’asilo. Il merito di Mayer non sta tanto nell’elaborazione teorica, che non è originale ma si
ispira a lezioni precedenti, quanto per l’impegno concreto svolto nel mettere in relazione politica,
società ed educazione e per le lotte a favore dell’emancipazione delle classi subalterne.
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a trasformarsi in una disciplina organica e rigorosa, ridefinendo i propri strumenti concettuali, così
come i curricula formativi, e adeguando i metodi di ricerca a quelli delle scienze fisiche e
matematiche. Questo significa che l’educazione diventa il dovere essenziale della società moderna e
il diritto fondamentale di ogni cittadino, nella direzione di un’evoluzione in senso laico e razionale
della vita collettiva. I limiti di questa impostazione stanno nel fatto che tale pedagogia scientifica
resta a livello di abbozzo, di enunciato che non si concretizza mai fino in fondo, e sfocia anche in
una specie di eccessivo nozionismo ed enciclopedismo sterile. La prima diffusione del positivismo
pedagogico si ha a metà ‘800 in Francia e in Inghilterra. In Francia, troviamo il vero e proprio
fondatore del Positivismo, Comte (1798-1857) che, pur riproponendosi di elaborare un sistema
organico di pedagogia, non porta a termine questo compito, ma ad ogni modo espone il proposito di
una educazione che si faccia scienza, per essere realmente efficace, sganciandosi da ogni vincolo
con l’educazione tradizionale metafisica ed astratta. Un lavoro specifico per l’educazione dei
ragazzi handicappati viene invece portato avanti da Séguin (1812-1880) secondo un progetto
educativo che dal piano sensoriale e motorio giunga fino alla maturazione dell’intera personalità, in
un ambiente che non sia segregante e chiuso, ma stimolante, libero e meno istituzionalizzato.
Séguin pone quali elementi fondanti dell’educazione la sensazione, l’intelletto e la volontà e auspica
un potenziamento dello sviluppo di tutti gli organi. Con Durkheim (1855-1917), esponente di
spicco della sociologia positivista, la società torna ad occupare un ruolo chiave nei processi
educativi; egli definisce l’educazione come un mezzo per conformare gli individui a norme e valori
collettivi, e per tramandare alle giovani generazioni le tradizioni e le conquiste raggiunte dalla
società; essa si rivela un’azione che gli adulti esercitano sui giovani che non sono ancori per la vita
sociale. In generale, l’educazione si caratterizza prevalentemente come arte ma nelle complesse
società moderne, essa tende a specializzarsi come scienza e teoria pratica. Nelle sue opere
(L’educazione morale, Pedagogia e sociologia) Durkheim sviluppa un progetto educativo che si
adatti alla società attuale e che quindi abbia caratteri laici e razionali, senza trascurare lo spirito di
disciplina che pure è fondamentale per promuovere la formazione sin dall’età infantile.
In Inghilterra, invece, l’orientamento positivista si intreccia con la tradizione dell’empirismo.
Herbert Spencer (1820-1903) nella sua Educazione intellettuale, morale e fisica si propone due
principali obiettivi: la critica del costume educativo contemporaneo, meramente decorativo e quindi
lontano dall’utilitarismo, che privilegia l’educazione classica rispetto a quella scientifica, e la
proposta di un modello educativo nuovo che miri a formare un uomo capace di vivere una vita
compiuta. La pedagogia, pertanto, dovrebbe recuperare il suo fondamento naturale sia
nell’educazione fisica (in linea con la tradizione pedagogica di Locke) che in quella intellettuale e
morale. Al centro dell’interesse formativo deve esserci il principio dell’utile e per questo la
pedagogia si fa dinamica, industriale, scientifica e commerciale. Questo significa che anche il
metodo deve essere mutato: si deve partire non dalle nozioni e dal loro ordine logico ma dalle
esigenze dell’evoluzione psicologica del fanciullo e dalle esperienze concrete e utili che egli fa;
l’ordine con cui impartire le nozioni deve ricalcare le scoperte compiute dall’umanità, per garantire
un apprendimento più scandito, che vada dal semplice al complesso, e che sia sempre legato
all’esperienza. Più nello specifico, Bain (1818-1903) delinea un modello di pedagogia fisiologica e
psicologica che si organizzi in due settori fondamentali: la scienza e il linguaggio. La prima prepara
alla pratica e stimola una mentalità non dogmatica, mentre il linguaggio va appreso non mediante
l’insegnamento grammaticale ma attraverso l’uso pratico. Per Bain fondamentalmente il momento
culminante dell’educazione si situa sul piano morale, con l’abitudine all’obbedienza, forgiata con
l’esempio e con la giusta attribuzione di castighi e ricompense, e la presentazione di lezioni di
morale.
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riordinamento della scuola, nella convinzione che l’educazione sia lo strumento di una rivoluzione
pacifica. Anche la scuola italiana, a seguito del loro influsso, si pone come più moderna e inserita
nella cultura dell’era industriale. Quattro sono i fondamenti della pedagogia positivista: laicismo,
rapporto con scienza e società, educazione come strumento politico, problema del metodo
dell’insegnamento.
In Italia, la pedagogia positivista si dispone su due filoni di ricerca: da un lato, ci sono i positivisti
scientifici, fautori di una pedagogia sistematica, deterministica, ma astratta e lontana dai problemi
del reale, e dall’altro lato ci sono i positivisti pratici che si impegnano nella battaglia per il
rinnovamento pedagogico servendosi di canali non necessariamente scolastici. Nella cerchia degli
scientifici troviamo il padre della pedagogia positivista italiana, Andrea Angiulli (1837-1890),
autore de La filosofia positiva e la pedagogia. Per lui, la pedagogia è insieme una scienza sociale e
una scienza naturale per cui si raccorda in maniera complessa anche con altri saperi e altre scienze;
essa ha il compito di collaborare con l’attività dello Stato per instaurare una politica positiva.
Roberto Ardigò (1828-1920) è lo studioso che contribuisce alla definizione della pedagogia come
scienza dell’educazione. L’educazione va pensata come formazione naturale e si realizza sempre in
un determinato contesto ambientale che la condiziona; di esso fanno parte diversi agenti educativi
come la famiglia, gli educatori di professione, le scuole professionali, le istituzioni speciali. La
pedagogia di Ardigò è una pedagogia dell’abitudine, strettamente connessa sia alla filosofia positiva
che ai principi deterministici dell’evoluzionismo, ma con in più un carattere socializzante che ne
caratterizza la specificità. In questo ambito, troviamo altri autori come De Dominicis, Siciliani,
Fornelli, tutti accomunati dall’enfatizzazione della componente scientifica.
Tra i positivisti pratici, invece, merita di essere menzionato innanzitutto Pasquale Villari (1827-
1917) storico attento principalmente al problema economico rispetto a quello educativo. Villari
effettua una serie di inchieste sulla scuola e la formazione in molti Paesi stranieri mostrando un
approccio al problema educativo di tipo comparativo, molto utile per approfondire lo studio delle
istituzioni scolastiche. Infatti, la sua analisi rivela una concretezza singolare. Ma il maggior
pedagogista pratico è Aristide Gabelli (1830-1891) provveditore scolastico e senatore, autore di
molti saggi e articoli sulla scuola e sull’educazione. Gabelli è un uomo di destra, con idee liberali e
illuminate ma terrorizzato dall’ipotesi di una qualunque rivoluzione. Ritiene che le masse debbano
essere guidate da una classe autorevole e cosciente, ma al contempo autoritaria, auspicando una
democrazia che non è affatto universale; soprattutto si esprime in difesa della proprietà privata
considerata il cardine della vita sociale. Il suo modello politico è l’Inghilterra, ed egli ritiene che la
democrazia vada realizzata con l’azione pedagogica allo scopo di elevare il popolo. Dal punto di
vista più specificamente pedagogico, la scuola assume per Gabelli un ruolo centrale, intesa come
scuola statale, laica ed obbligatoria. L’educazione, infatti, grazie ad una formazione coordinata del
fisico, dell’intelletto e del sentimento morale, mira a formare lo strumento testa, cioè la capacità di
giudizio autonomo e razionale degli individui tutti.
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società è una grande famiglia in cui tutti hanno i medesimi diritti. Vanno soprattutto abbattuti i
pregiudizi dell’educazione corrente, come il mito della superiorità del talento di alcuni individui, o
il principio per cui il lavoro intellettuale meriti un salario maggiore rispetto a quello manuale. Molto
più moderato e decisamente conformista è invece il modello pedagogico di Saint-Simon (1760-
1825) dal momento che egli concepisce una società in cui i vertici, cioè industriali, scienziati e
artisti, e poi avvocati e banchieri, agiscano a vantaggio delle classi più basse, una società il cui
cemento è costituito dal nuovo Cristianesimo basato sulla fratellanza universale. Pertanto, Saint-
Simon sottopone a critica le strutture educative esistenti, e si interessa all’attività volta a
promuovere l’educazione del popolo. Anche per Proudhon (1809-1865) l’educazione è il principio
motore del rinnovamento sociale, dal momento che l’organizzazione dell’insegnamento è la
condizione dell’uguaglianza e la sanzione del progresso; tuttavia, in tal senso, la sola educazione
non basta, ma occorre una vera e propria rigenerazione per la quale non servono le iniziative
filantropiche delle classi superiori ma devono essere fissati i principi dell’educazione professionale
e i diritti dell’operaio. All’educazione borghese, che Proudhon critica fortemente, contrappone
l’educazione dell’operaio evoluto ed eticamente formato.
Indubbiamente, però, sono due gli autori più originali ed organici nell’ambito della pedagogia
utopistica. Il primo è Fourier (1772-1837); egli immagina una società organizzata secondo criteri
anti-autoritari, e secondo stili di vita artigiana e contadina, nel nome dell’armonia e della
solidarietà. La sua società ideale è strutturata in comunità in cui gli individui sono in totale libertà.
Oltre a questo, Fourier è sostenitore di dottrine che hanno fatto scandalo per molto tempo come
l’eliminazione del matrimonio, la liberalizzazione della sessualità, la totale uguaglianza fra uomo e
donna; critica, inoltre, la famiglia, accusata di un eccessivo autoritarismo che non fa altro che
provocare frustrazioni e ribellioni nel fanciullo, e la scuola, legata ai privilegi delle classi dominanti
e ad una visione del lavoro esclusivamente intellettuale. La formazione di tutti i giovani deve invece
essere integrale, rivolta allo spirito e al corpo insieme, e soprattutto deve essere socializzante.
Fourier immagina questo tipo di formazione nel paese di Armonia, da 0 a 19 anni, distinti in 9 gradi
differenziati. Il secondo autore del socialismo utopistico è Robert Owen (1771-1858); egli è
guidato dall’idea di fondare una perfetta colonia modello. A tale scopo, nel 1822, elabora un piano
di riforma generale della società ispirato a criteri comunistici che addirittura cerca di realizzare nel
territorio statunitense col nome di New Harmony, ma senza successo. Per Owen il lavoro e lo studio
devono procedere di pari passo e devono essere accompagnati da attività ludiche e fisiche, come il
canto o la danza, secondo un modello educativo uguale per tutti, e in edifici ampi, funzionali, dotati
da refettorio e infermeria. Inoltre, Owen presta grande interesse alle condizioni disumane in cui si
trova la classe operaia e dimostra di avere una profonda coscienza del rinnovamento cui deve essere
sottoposta l’organizzazione del lavoro per emancipare realmente il proletariato.
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sia dipendente dalla classe dominante, e come la scuola altro non sia che uno strumento ideologico
che esprime la concezione del mondo e gli interessi della classe al potere. L’industrializzazione ha
comportato una profonda divisione tra le classi sociali, principalmente borghesia e proletariato, così
come ha contribuito alla dissoluzione della famiglia, poiché hanno mutato le condizioni di vita dei
suoi membri e anche i rapporti tra i sessi e tra i genitori e i figli. Marx ha anche prestato particolare
attenzione alle condizioni di vita dell’infanzia nelle società industriali e allo sfruttamento cui
vengono sottoposti i fanciulli, condannati a condizioni di estrema miseria spirituale e materiale. In
sintesi, per Marx ed Engels non è possibile parlare di educazione se non facendo riferimento alla
realtà socio-economica e alla lotta di classe, di modo che la pedagogia viene a perdere ogni aspetto
idealistico e neutrale. Ma i due filosofi del materialismo storico, elaborano una proposta educativa,
sviluppata intorno al ruolo fondamentale assegnato al lavoro nell’ambito scolastico, il lavoro inteso
in senso produttivo, cioè legato alla fabbrica. Marx, nelle Istruzioni ai delegati, ipotizza la divisione
dei fanciulli in tre classi di età in cui essi si dedichino per un numero di ore prestabilite proprio
all’attività lavorativa. L’istruzione è suddivisa da Marx in:
Prima: Formazione spirituale
Seconda: Educazione fisica
Terza: Istruzione politecnica.
Questa terza parte è sicuramente la più significativa, caratterizzata dall’uso pratico e dalla capacità
di maneggiare gli strumenti elementari di tutti i mestieri.
Il pensiero di Marx ed Engels esercita una forte influenza soprattutto all’interno delle realizzazioni
educative intraprese dalla Comune di Parigi del 1871: qui, infatti, con un decreto, l’istruzione
popolare viene sganciata da ogni finalità religiosa, cercando di realizzare la fusione dello studio con
il lavoro produttivo, per avviare un nuovo tipo di educazione che comprenda un’ampia preparazione
professionale e, al contempo, una rigorosa istruzione scientifica, sempre allo scopo di formare
uomini completi. Infine, la Comune rivolge un’attenzione nuova agli asili, in cui si introduce
un’educazione completa dei bambini
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lettura di testi edificanti, ma anche con il gioco, il canto, il teatro, e un atteggiamento di
comprensione e affetto da parte degli educatori. Molto importanti sono anche le associazioni
sportive e corali, o quelle degli scouts, quelle studentesche ecc… Tutte hanno il medesimo
obiettivo: riunire i giovani intorno ad un interesse e organizzare capillarmente il loro tempo libero,
scandendolo in tappe con la previsione di determinati traguardi da raggiungere; nello stesso tempo,
soprattutto nelle associazioni sportive, si favorisce la creazione di uno spirito di corpo, si trasmette
l’etica del sacrificio e della lotta, dell’autocontrollo. In questo modo, l’associazionismo elimina
ogni elemento individualistico interpretandolo immediatamente come segno di vizio, e questo
atteggiamento ha un suo peso anche nella sfera sessuale. Il suo contributo è significativo anche
perché porta a riconoscere la specificità dell’adolescenza e dei suoi problemi e a dar corpo ai suoi
bisogni peculiari.
Per quanto riguarda la formazione dell’immaginario ottocentesco, la grande novità è costituita dal
ruolo svolto da stampa ed editoria. Infatti, l’800 è il secolo in cui la stampa produce saggi, poesie,
romanzi, articoli, diretti alle diverse figure professionali ma anche differenziati per sesso e per età:
nasce la pubblicistica per le donne e quella per i bambini (per esempio il Giornale dei bambini, su
cui esce a puntate Pinocchio), ma anche quella per il popolo di impronta laica, religiosa,
socialista… L’editoria ormai orienta i gusti del pubblico, lancia mode, crea miti; la poesia agisce
potentemente come strumento di formazione dell’immaginario ma, in questo senso, l’azione più
incisiva spetta sicuramente al romanzo, il grande educatore letterario. Il romanzo, infatti, suddiviso
per generi (romantico, nero, giallo, d’avventura, fantastico…) consente al lettore di vivere un
paradigma esistenziale in cui si riconosce oppure che è lontano da lui ma gli permette di apprendere
aspetti della vita diversi dalla propria quotidianità; non è un caso, infatti, che si diffondano stili di
vita e atteggiamenti derivanti proprio da romanzi, come il wertherismo o il bovarismo,
rispettivamente da I dolori del giovane Werther di Goethe, e da Madame Bovary di Flaubert. In
Italia casi esemplari sono I promessi sposi e i romanzi di D’Annunzio. Accanto al romanzo, poi,
troviamo la saggistica, fondamentale nell’imporre paradigmi comportamentali mediante slogan,
parole d’ordine, o martellamenti di temi-chiave: accade così per l’igienismo (esaltazione della cura
del corpo attraverso pratiche di vita sana, ginnastica, cibo salutare, astinenza sessuale…), il
lavorismo (etica del lavoro che lo presenta come l’attività più gratificante dell’uomo), il
selphelpismo (esaltazione dell’impegno, del sacrificio, al fine di “farsi da sé”, di migliorare la
propria posizione sociale) e per il nazionalismo, l’idea politica che condiziona tutta la visione del
mondo. Infine, Mosse ha messo in rilievo anche la funzione educatrice del teatro, come pure
bisogna sottolineare quella del mondo del lavoro (ove si realizzano pratiche di socializzazione, di
elaborazione culturale, tecnica e linguistica) due settori fondamentali della vita sociale su cui ancora
la storia della pedagogia deve approfondire le proprie indagini.
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Le trasformazioni sociali, con l’impiego delle donne nelle fabbriche per moltissime ore al giorno,
richiedono istituzioni apposite per i bambini in età prescolare. Nascono così le sale di custodia, poi
gli asili e i giardini di infanzia; all’inizio sono gestiti da privati o dalla Chiesa e non sono altro che
luoghi in cui i bambini vengono tenuti in custodia. Con le proposte di Fröbel, della Montessori,
delle sorelle Agazzi, invece, gli asili e i giardini di infanzia diventano luoghi in cui i piccoli sono
avviati ad una libera crescita morale e intellettuale.
Già dall’800, comunque, si delineano, per quanto riguarda l’Italia, i due problemi chiave
della scuola, problemi ancora rimasti irrisolti. Innanzitutto c’è il contrasto tra scuola pubblica e
scuola privata che si interseca con il contrasto tra Chiesa e Stato e con il tentativo di opporsi al
rischio che la scuola diventi funzionale ad un’istituzione, ad un partito, e non alla formazione dei
cittadini; il secondo punto, invece, riguarda l’organizzazione della vita scolastica secondo un
modello disciplinare fatto di regole giuridiche e autorità che, nel nostro Paese, è particolarmente
travagliata e complessa. In effetti, a partire dall’800 la scuola si modella sempre più sul principio
del “sorvegliare e punire”, e si fa autoritaria, nozionistica, conformistica e repressiva. Fino al 1861,
la sua organizzazione in Italia è profondamente differenziata, sviluppata a Nord, disastrosa al
Centro e a Sud, con legislazioni diverse, tradizioni diverse, programmi diversi ecc… Con la legge
Casati del 1861, la situazione si regolamenta e il sistema scolastico è organizzato secondo principi
liberali; sostanzialmente, però, molti aspetti della legge non vengono applicati ed essa, specialmente
a Sud, produce scarsissimi risultati. Nuovi programmi e un processo di maggiore laicizzazione della
scuola italiana si hanno con la Sinistra al potere nel 1877 e la legge Coppino; si susseguono poi
provvedimenti diversi con passi in avanti e ritorni al passato, fino al 1923 e alla Riforma Gentile
che chiude ogni spazio di mobilità sociale entro i percorsi formativi, ma contribuisce a dare un volto
unitario alla scuola italiana sia dal punto di vista culturale che strutturale.
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parliamo infatti di cultura della crisi per sottolineare come entrino in gioco nuove istanze di
cambiamento (l’io, la volontà, l’azione e, soprattutto il dissenso e la critica) che portano ad opporsi
al positivismo e alla volgare e pacifica cultura borghese incapace di accendere gli animi, e di
mostrare vitalità e creatività. In questa fase, la pedagogia rimuove tutte quelle certezze di tipo
positivista e borghese-progressista; specialmente negli anni che portano all’inizio della Prima
guerra mondiale, il dibattito si fa intenso e si sentono voci critiche che, però, restano isolate perché
non hanno ancora un substrato di riviste, gruppi, iniziative culturali, tali da dare ad esse un
contenuto e un peso sostanziale, cosa che poi avverrà nel ‘900. Tra le voci significative di
rinnovamento, tre sono i modelli di rottura più radicali:
1. nichilismo di Nietzsche: Nietzsche (1844-1900) si fa portavoce di una proposta di paideia che
superi i valori della concezione metafisica greco-cristiana per dare corpo ai nuovi valori del
tragico e dell’Oltreuomo. Egli critica la tradizione educativa fino ad allora perpetuata in quanto
“essa non educa mirando alla cultura, ma solo mirando all’erudizione”; infatti, ha comportato la
riduzione della cultura a ciò che è utile o professionalizzante, e si è ancorata ad un modello
antropologico greco-cristiano-borghese (nato con Socrate e perfezionato col Cristianesimo) che
concepisce l’uomo come estraneo ai valori tragici e vitali e come immerso in un contesto di
repressione dei propri impulsi più veri. È necessario quindi, per Nietzsche, recuperare e
riattivare il modello della cultura classica e il suo legame con l’arte, poiché solo così
l’educazione può farsi realmente formativa, contribuendo a formare lo spirito libero e lo spirito
dionisiaco (che si alimenta del gioco, della leggerezza, senza credere a nulla e senza dare niente
per scontato, nel nichilismo appunto); in sostanza, il modello è qui un uomo che affermi i propri
slanci vitali sia nella propria esistenza che nella propria formazione e nella società. Nietzsche
intende porsi come educatore e applicare una pedagogia che scavi come una talpa per far
crollare i castelli delle false certezze, ispirandosi proprio a tutti quei valori che la tradizione ha
rimosso e censurato (il gioco, la danza, il sesso, ma anche la guerra, la violenza…).
2. storicismo di Dilthey: Dilthey (1833-1911) elabora un modello di pedagogia che non si fonda su
principi assoluti ma segue paradigmi culturali diversi, tenendo conto dell’evoluzione storica, e
collegandosi alla psicologia. Per lui, l’insegnamento non deve basarsi su elementi eruditi o
formalistici ma deve richiamarsi all’intuizione, alla capacità che ha l’educando di rivivere la
cultura e l’attività spirituale; inoltre, lo sviluppo formativo deve tener conto della sintesi, sempre
operante e immanente nella vita del soggetto, tra individuo e cultura. Questi due elementi
avranno grande peso nella pedagogia dei primi 50 anni del ‘900.
3. volontarismo di Bergson e di Sorel: Bergson (1859-1941) è considerato il teorico dello slancio
vitale, per la sua particolare idea di formazione che rivaluta una concezione dinamica della vita
spirituale. Egli critica ogni specializzazione professionale, sottolineando che l’istruzione deve
avere un valore di impegno etico, oltre a mettere in primo piano la creatività: il volontarismo
deve essere privilegiato rispetto all’intellettualismo. In Il buon senso degli studi classici
Bergson sostiene che la formazione debba recuperare il legame con gli studi classici e
indirizzarsi al soggetto. Sulla stessa linea si pone Sorel (1847-1922) che, nel suo pensiero
sociale, esalta la violenza e l’azione, nonché il senso di rivolta. Nell’opera La scienza
dell’educazione delinea una pedagogia che si fondi sulla scienza sociale ma che, al contempo, si
richiami ai modelli elaborati dal socialismo e dal darwinismo; nelle Considerazioni sulla
violenza, del 1908, Sorel sottolinea, oltre al volontarismo, un’originale valorizzazione della lotta
e delle più spontanee attività del proletariato considerato come la classe guida nel presente.
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3
Il secolo del fanciullo e delle donne, delle masse e della tecnica: trasformazioni educative.
Il ‘900 è il secolo in cui si afferma il capitalismo monopolistico che si trascina dietro
l’imperialismo, con tutte le tensioni che ne seguono, è il secolo dell’affermazione dello stato sociale
(Welfare State), mentre la società comincia a massificarsi e a fondarsi sui consumi e sulla crescita
delle classi medie; anche il modello industriale si trasforma, privilegiando l’espansione del terziario.
Il contraltare del capitalismo è rappresentano dal socialismo che l’altro grande tratto della società
novecentesca; quest’ultima è attraversata dallo scontro di due elementi opposti: la democrazia,
intesa come ideale da raggiungere e realizzare, e come principio da salvaguardare e difendere, e il
totalitarismo, visto come il perenne rischio nascosto dietro ogni angolo, come la scorciatoia cui si
ricorre nei momenti di grave crisi sociale ed economica (come dimostrano i totalitarismi in
Germania, Italia, ma anche Spagna, Argentina, Grecia, URSS).
Conseguentemente a questi fenomeni, cambia il comportamento della società, che si emancipa dalle
vecchie concezioni del mondo. Innanzitutto, il dato più significativo è il ritorno all’individualismo,
in forma esasperata ma moderna; infatti, esso si accompagna all’edonismo, alla cultura del
consumo, che privilegia il piacere personale, il gioco, il divertimento, il lusso, rispetto al lavoro,
all’etica del sacrificio, alla produzione. Tuttavia, l’uomo del ‘900 è un individualista che si trova a
vivere in mezzo a tanti altri uomini come lui, cioè fa parte della massa, compie riti collettivi di
gioco e divertimento (e non solo) e assume uno stile di vita sempre più individualizzato. Tutto il
‘900 è percorso da questo contrasto fra un individualismo edonistico e narcisista, e una
massificazione standardizzata e omogeneizzante. Ovviamente, anche la cultura subisce questa
trasformazione: si ideologizza e si iper-specializza, ma a costo di perdere in libertà ed autonomia.
Siamo di fronte ad un conflitto e ad un pluralismo che non può non condizionare anche la
pedagogia sia nelle pratiche che nelle teorie: la massificazione comporta la nascita di un nuovo stile
di vita e l’emergere di nuovi ceti sociali, fino ad allora restati al margine, oltre che l’affacciarsi di un
maggiore bisogno di partecipazione alla vita sociale determinato dall’affermarsi della democrazia.
In pedagogia compaiono quindi nuovi protagonisti come le donne, gli handicappati, i bambini, e
assumono un ruolo sempre più importante le scienze umane. Il percorso di trasformazione subito
dalle scienze pedagogiche nel ‘900 può essere scandito in 6 tappe:
1. l’avventura dell’attivismo e delle scuole nuove
2. la presenza delle grandi filosofie e ideologie come marxismo, idealismo, pragmatismo…
3. l’educazione totalitaria
4. il personalismo
5. il nuovo rapporto fra pedagogia e filosofia
6. le pedagogie dei paesi extraeuropei, soprattutto del Terzo Mondo.
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Le “scuole nuove” e l’educazione attiva.
Le scuole nuove nascono sotto l’influsso della psicologia e del fatto che essa, finalmente, ha intuito
la radicale diversità della psiche infantile rispetto a quella degli adulti, ma le scuole nuove sono
anche il frutto del movimento di emancipazione delle masse popolari, almeno nelle società
occidentali, contro una scuola e un profilo educativo esclusivamente elitari. Al centro di questa
educazione attiva, è il fanciullo; l’infanzia è vista come un’età pre-intellettuale e pre-morale in cui i
processi cognitivi si intrecciano con il dinamismo motorio, oltre che psichico, del fanciullo. Questo,
infatti, è spontaneamente attivo, e quindi ha bisogno di essere liberato da un’educazione scolastica e
familiare eccessivamente vincolante, ma deve poter vivere liberamente le sue inclinazioni. Pertanto,
la scuola deve essere allontanata dall’ambiente artificiale e costrittivo urbano, deve essere collocata
in campagna, preferibilmente, in modo che l’apprendimento avvenga a contatto con l’ambiente
esterno perché ogni bambino è naturalmente e spontaneamente interessato a conoscere ciò che lo
circonda. L’educazione attiva si oppone alla società industriale e all’ideologia tecnologica che la
anima: essa è invece ispirata da principi di democrazia e libertà, di partecipazione attiva alla vita
sociale e pubblica, sebbene sia comunque improntata a una concezione fortemente individualistica
dell’uomo, dal momento che ritiene che i rapporti con gli altri siano importanti ma non possano
intaccare mai l’autonomia della coscienza e la libertà personale. In Inghilterra, esperimenti di scuole
nuove sono portati avanti da Reddie che, nel 1889, fonda una scuola per ragazzi dagli 11 ai 18 anni
ad Abbotsholme, basata sullo sviluppo armonico di tutte le facoltà umane in contrapposizione ai
programmi antiquati dell’epoca, nella convinzione che la scuola debba essere un “piccolo mondo
reale e pratico”. A questo esperimento si collega l’Ecole des Roches di Demolins, sorta nel 1899 in
Normandia. La scuola, posta in campagna, si trova al centro di un parco ancora selvaggio in modo
da stimolare l’attività di esplorazione ma anche lavorativa, dei discenti. I ragazzi vivono in piena
libertà e in ambienti che cercano di riprodurre il calore e il confort delle case familiari. Anche qui,
lo scopo è la formazione morale, fisica, intellettuale e sociale del fanciullo; questi viene messo a
contatto con un percorso di studi che procede individuando dei ventri di interesse che hanno come
base il legame degli uomini con la terra. Il limite di queste scuole sperimentali, è però quello di
essere delle isole privilegiate aperte per pochi ragazzi di buona estrazione sociale e con una certa
disponibilità economica, quindi sono molto lontane dalla realtà della scuola di massa che va
affermandosi agli albori del nuovo secolo.
In Germania, gli esperimenti sulle scuole nuove si devono (oltre che a Lietz, con le sue Case di
educazione in campagna, ispirate all’ideale del neoumanesimo goethiano, e ancor più aristocratiche
di quelle di Reddie e Demolins) principalmente a Wyneken e Kerschensteiner. In particolare,
Wyneken (1865-1964) elabora un modello di educazione che ha grande influenza sulla gioventù
tedesca fino alla Prima guerra mondiale, e che addirittura alimenta e guida la protesta giovanile
tedesca, di impostazione borghese, indirizzata, in senso romantico, ad un ritorno al naturale e al
semplice. Nelle sue opere come Scuola e cultura giovanile del 1912 o Rivoluzione e scuola del
1924, teorizza un ideale pedagogico anarchico,, che si oppone alla tirannia della famiglia, degli
adulti dei metodi scolastici conformistici, e invita i giovani a organizzarsi in maniera autonoma
stimolandone l’autonomia di iniziativa. Kerschensteiner (1854-1932) progetta la scuola del lavoro,
nell’opera Il concetto della scuola del lavoro, in cui propone un rinnovamento del curriculum
tradizionale che introduca il lavoro anche nelle scuole elementari; deve però trattarsi di un lavoro
preciso e serio, svolto collettivamente, e dotato di un valore reale, cioè di un valore che non sia
necessariamente economico ma produttivo. Infatti, il lavoro ha una finalità educativa solo se è
consapevole delle proprie finalità complessive e per questo le scuole devono dotarsi di laboratori ed
officine. Il loro obiettivo deve essere, infatti, la formazione professionale, morale e sociale del
giovane. Soprattutto l’educazione sociale deve essere lo scopo della formazione popolare perché si
deve dare ai ragazzi un ideale di vita che sia quello di porsi al servizio degli altri, svolgendo con
precisione e responsabilità il proprio lavoro.
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Le scuole nuove in Italia.
Giuseppe Lombardo Radice ha definito il contesto in cui si sviluppano le scuole nuove in Italia,
come scuola serena, un modello ideale in cui c’è continuità tra scuola e famiglia, con
valorizzazione delle attività artistiche e una visione del fanciullo come artista spontaneo. Maria
Boschetti Alberti (1884-1951) descrive nei suoi testi come Il diario di Muzzano, la sua esperienza
come insegnante elementare e il fatto di aver gradatamente compreso come l’insegnamento
tradizionale sia ormai insufficiente e quanto sia necessaria una scuola rinnovata. La sua proposta
pedagogica attribuisce ruolo centrale al maestro, al suo impegno e alla sua coscienza. Il alvoro
scolastico viene diviso in tre gruppi di attività: l’accademia, in cui si stimola nei fanciulli il senso
del bello, il controllo, attuato dall’insegnante ogni giorno in una materia diversa, il lavoro libero
svolto in gruppi liberi, riguardante le attività verso cui i ragazzi si sentono più portati. Si tratta, però,
di un modello eccessivamente legato all’iniziativa personale dell’insegnante che si richiama
all’attivismo ma lo elabora in modo non scientifico bensì intuitivo, e pertanto non ha una portata più
generale. Rosa Agazzi (1866-1951) sviluppa un metodo innovatore fondato, principalmente sulla
continuità tra asilo e atmosfera familiare, in cui l’educatrice deve porsi come figura materna;
l’insegnamento deve svolgersi in un ambiente ordinato cui lo stesso bambino contribuisce gestendo
i materiali di arredo personali, che sono per l’appunto contrassegnati, in modo da collaborare a
mantenere l’ordine. Ciò stimola anche un forte senso di collaborazione tra i ragazzi. L’innovazione
didattica più significativa della Agazzi è il materiale didattico non preordinato, costituito non da
strumenti preordinati scientificamente ma da tutto ciò che gli stessi fanciulli raccolgono e portano a
scuola perché li interessa. Siamo di fronte ad un modello pedagogico sicuramente anti-Montessori,
in cui si crea quella spontaneità e intuitività che ha portato a qualificarlo come un esempio vivente
di scuola serena. Giuseppina Pizzigoni (1870-1947) è invece fondatrice della Rinnovata, aperta a
Milano nel 1911. Si tratta di un modello scolastico in netta contrapposizione con la scuola
tradizionale, che collega vita scolastica e vita sociale dando la precedenza assoluta all’esperienza
dell’alunno rispetto alla parola del maestro. In questo contesto, tuttavia, l’esperimento più
significativo è quello della Scuola-città Pestalozzi di Ernesto e Anna Maria Codignola: la scuola
ha lo scopo di formare i ragazzi mediante un’organizzazione interna che riproduce quella della
comunità adulta (con sindaci, assessori, tribunali ecc…), gestita direttamente dai ragazzi; qui si
parte dall’esperienza personale del fanciullo, dai suoi problemi, e si svolgono insieme attività
intellettuali e manuali, in un ambiente strutturato e corredato da laboratori e biblioteche.
Un ulteriore esperimento educativo, assai diffuso a livello europeo, è quello dei boys-scouts fondato
dall’ex colonnello inglese Robert Baden Powell (1857-1941) nel 1908. Il movimento si ispira al
colonialismo ed è organizzato in forma quasi militare; i ragazzi sono divisi in fasce di età (lupetti,
esploratori, pionieri) e vengono inseriti nei gruppi, guidati da un capo e da un istruttore, dopo una
cerimonia nel corso della quale leggono una promessa che contiene i principi fondamentali del
movimento quali l’amore per il prossimo, la pietà verso gli animali, la lealtà, l’amicizia, basandosi
su un’etica che valorizza il lavoro e l’autocontrollo, e la naturale disposizione alla gioia. I caratteri
attivistici dello scoutismo sono evidenti nello spirito di gruppo, di iniziativa, nelle capacità manuali,
nel legame con l’ambiente naturale, impegnandosi anche a risolvere il problema del tempo libero
giovanile.
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motivazione pratica che poi è ciò che rappresenta lo stimolo a sollecitare le scelte concrete e
creative. Le varie discipline vengono trasmesse adattandole alla maturazione dei ragazzi,
rappresentata dall’accrescimento del loro raggio di interesse.
2. Helen Parkhurst (1887-1973) si ispira alla Montessori per il suo Dalton Plan basato
sull’individualizzazione dell’insegnamento e della libera scelta del lavoro scolastico. Il programma
è articolato in minime unità di studio, e il fanciullo se ne appropria nei ritmi e nei tempi personali;
ad un programma così particolare non si accordano le aule tradizionali, nel senso che le aule devono
essere assegnate non ad una classe ma ad un insegnamento, diretto da un docente specializzato. Il
dalton plan, pur rischiando di offrire un modello di vita scolastica eccessivamente atomizzato, ha il
merito di dimostrare una sensibilità particolare per i problemi dell’apprendimento individuale.
3. Carleton Washburne (1889-1968) sviluppa un modello di insegnamento in cui gli alunni
sono liberamente raggruppati secondo un programma ugualmente libero. Questo programma
prevede una parte comune, con gli insegnamenti di base, e una parte libera e creativa, fruendo di un
materiale concepito per l’autocorrezione e per stimolare il ragazzo a sviluppare le proprie attitudini,
scoprire le proprie vocazioni e differenziarsi dai compagni. Washburne ha organizzato le famose
scuole di Winnetka, veri e propri laboratori di ricerca didattica i cui risultati vengono attentamente
valutati e studiati per migliorare i metodi di lavoro.
In tempi più recenti, in Europa, assistiamo allo sviluppo di una fase meno entusiastica delle scuole
nuove, ma allo stesso tempo più matura e conclusiva in relazione alle loro teorie. In tal senso, sono
due gli autori più importanti. Roger Cousinet (1882-1973) vede l’istruzione come un processo da
realizzarsi in un ambiente che stimoli la curiosità infantile e favorisca i processi di socializzazione,
attraverso le attività di gruppo. Nel curriculum di studi, un ruolo chiave è quello del lavoro storico
che ha lo scopo di legare il fanciullo alla storia della civiltà, partendo dalla storia delle cose per poi
arrivare ai concetti più astratti. Célestin Freinet (1896-1966) inaugura, invece, un metodo basato
sulla cooperazione di cui strumento principale è la stamperia della scuola. La pedagogia di Freinet
parte dalla concezione dell’infanzia come andare a tentoni, cioè come un procedere in avanti senza
una direzione precisa ma partendo dai bisogni stessi del fanciullo. La scuola deve orientare questa
esperienza e porsi come un vero e proprio cantiere in cui il lavoro si svolge in un pieno clima di
collaborazione. Il principale materiale didattico è il testo libero, scritto dal bambino quando ne ha
voglia, e la stamperia che consente la creazione di un giornalino di classe con cui comunicare con
l’esterno. La finezza di queste proposte didattiche, e il carattere progressista dell’ideologia di
Freinet hanno fatto sì che il suo influsso si sia manifestato in tutta Europa, particolarmente in Italia.
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struttura il tempo e lo spazio, e l’espressione, che può essere concreta (i lavori manuali, il disegno)
o astratta (linguaggio). Una particolare novità del metodo globale di Decroly riguarda
l’insegnamento della lettura, che deve avvenire mediante l’associazione di immagini scritte alle
cose medesime, e poi deve procedere in maniera contraria rispetto al metodo tradizionale: cioè non
dalle lettere, alle sillabe, alle parole, alla frase, ma seguendo proprio il percorso inverso.
Intorno alla figura di Edouard Claparède (1873-1940) nasce la scuola di Ginevra, un gruppo di
studiosi di pedagogia tra cui troviamo anche Jean Piaget. Claparède elabora le nozioni di
educazione funzionale e scuola su misura, in due opere omonime del 1920 e del 1931. Egli parte
dall’idea che l’educazione deve poggiarsi sempre su un bisogno e che quindi i programmi di studio
vadano rivisti, così come i metodi della scuola tradizionale. Al contrario, i nuovi programmi e
metodi devono essere strutturati su misura del fanciullo ed appositamente individualizzati, per
consentirgli di scegliere liberamente all’interno di un’ampia proposta formativa. All’interno della
Scuola di Ginevra, la figura più impegnata è certamente quella di Adolphe Ferrière (1879-1961),
autore di molte opere pedagogiche; egli, in linea di massima si ispira a Bergson, ma si impegna
anche attivamente nella difesa dei diritti e dei bisogni fondamentali del fanciullo, il che costituisce,
a suo avviso, la premessa perché la scuola attiva realizzi il suo scopo di educare alla libertà
attraverso la libertà. Il suo contributo più importante riguarda proprio il lavoro di sintesi e
interpretazione delle varie esperienze di educazione nuova.
Altro momento essenziale per la storia dell’attivismo pedagogico è Maria Montessori (1870-1952)
la cui pedagogia ha una maggiore diffusione all’estero rispetto che in Italia, in patria. Al centro delle
sue opere, sia teoriche che concrete, si pone l’infanzia, con i suoi diritti e con l’intrinseca religiosità
di cui questa età è portatrice. La Montessori mette in risalto l’importanza delle attività senso-
motorie del fanciullo che vanno sviluppate mediante esercizi di vita pratica e con il supporto di
materiale didattico scientificamente organizzato. La sua riflessione generale sull’educazione si
sviluppa intorno a tre principi cardine:
1. la liberazione del fanciullo: ogni bambino deve poter svolgere le proprie attività
liberamente, perchè solo così può maturare tutte le sue capacità e raggiungere un comportamento
responsabile; tuttavia, tale libertà non va confusa con lo spontaneismo, dal momento che essa è
crescita armonica e ricca della persona, ma va guidata in modo attento e discreto dall’adulto;
2. il ruolo formativo dell’ambiente: l’ambiente ha un ruolo formativo secondario
nell’apprendimento e nella crescita, poiché esso può modificare, aiutare, distruggere, ma mai creare.
Esso è comunque importante e deve essere adattato al fanciullo e organizzato secondo le sue
esigenze fisiche e psichiche, e l’educatore deve usare l’ambiente per stimolarlo indirettamente.
3. la concezione della mente infantile come mente assorbente: la mente infantile ha uno
straordinario potere di assimilazione inconscio e quindi bisogna aiutarla ad assimilare le conoscenze
anche con oggetti sperimentali organizzati scientificamente in figure solide geometriche e simili.
Va detto che, sempre in Italia, l’attivismo trova, nel secondo dopoguerra, molti sostenitori e
promotori di innovazioni didattiche, soprattutto tra il gruppo facente capo alla rivista Scuola e città,
fondata nel 1950 da Codignola. Ma proprio a partire dalla fine degli anni ’50, in tutto il mondo,
l’attivismo viene messo in discussione e sottoposto a radicale revisione, accusato di aver condotto la
scuola a dimenticare la sua finalità essenzialmente culturale e formativa. Al tramonto dell’attivismo
si accompagna una pedagogia nuova orientata da indirizzi di tipo cognitivo, ispirati allo
strutturalismo e alla cibernetica.
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Il pensiero pedagogico di Gentile.
Giovanni Gentile (1875-1944) è il teorico dell’attualismo, un indirizzo filosofico che considera
come principio unico e fondante di tutta la realtà, l’atto di pensiero. Gentile, nazionalista e fascista,
Ministro della Pubblica Istruzione tra il 1922 e il 1924, in questi anni vara una riforma della scuola
partendo dall’assunto che la pedagogia è veramente scienza solo se si fa filosofia; in particolare, la
vera pedagogia scientifica è quella che pensa l’educazione e l’uomo in termini di spirito, sviluppo
dialettico e unità. Per questa ragione, Gentile si oppone a tutte le concezioni a base naturalistica che
non riconoscono la natura spirituale propria dell’uomo e vedono nel processo formativo opposizioni
e dualismi, facendo della pedagogia stessa una tecnica, e degradandola. Queste pedagogie
tradizionali, per Gentile, sono bloccate su un terreno non scientifico a causa dell’assenza della
nozione dello svolgimento spirituale; ne è un esempio la psicologia pedologica, cioè quella
infantile, tutta incentrata su un modello di bambino mitico che non corrisponde a nessun bambino
vero e proprio, ma solo ad una figura astratta. Ne Il sommario di pedagogia come scienza filosofica,
il filosofo delinea una precisa concezione della vita della scuola: essa è il luogo specifico in cui si
compiono i processi di formazione spirituale per cui è essenziale rimuovere dal percorso formativo
tutte le opposizioni che non hanno fatto altro che rendere irrisolvibili i suoi problemi. Nell’idea di
Gentile, la vita della scuola viene ridotta al rapporto fra alunno e maestro, anzi: si recupera la
centralità dell’insegnante della sua cultura e della sua autorità; si tratta quindi di una scuola del
maestro e della cultura e non di una scuola del fanciullo e dei suoi bisogni. Negli anni ’20, Gentile
presenta nei Preliminari allo studio del fanciullo, una originale concezione dell’infanzia; distingue
tre diversi tipi di fanciullo: il fanciullo eterno, che incontriamo in qualunque età della vita. Anche
dentro di noi, il fanciullo fantoccio, quello mitico costruito dalla psicologia dell’infanzia, che non
esiste affatto, e il fanciullo reale, cioè quello vero e proprio, vero argomento di studio di una
filosofia dello spirito, sintesi di soggetto e oggetto, vera individualità completa. Il filosofo siciliano
attua, in sostanza, un recupero della scuola tradizionale e arriva addirittura a scardinare il principio
della sua laicità: infatti, persuaso che ogni educazione esiga un orientamento ideale, un insieme di
valori cui indirizzarsi, egli ritiene che il fanciullo vada iniziato ad una concezione religiosa e che la
religione debba diventare l’orientamento ideale della scuola. L’insegnamento si deve porre come
forma di comunicazione-creazione che si attua nei tre momenti fondamentali dell’arte, della
religione e della filosofia. L’arte è essenziale nell’insegnamento elementare, ed è vista come un
elemento costitutivo della personalità umana, elemento soggettivo imprescindibile in ogni processo
educativo, mentre la religione è il momento oggettivo e ha il compito di porre di fronte allo spirito
una verità e una legge cui esso deve conformarsi e che deve rispettare.
Possiamo dire, quindi, che con Gentile, la pedagogia si riduce nuovamente a filosofia, così come da
lui deriva la difesa della superiorità dell’educazione umanistica rispetto a quella scientifica, che
peserà a lungo nelle successive riforme del mondo della scuola e nelle teorie pedagogiche.
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religiosa, anche rispetto alla filosofia, dal momento che la religione rappresenta una prospettiva
dialogica io-tu-tutti.
Tornando alle personalità più eminenti di quello che definiamo il neoidealismo pedagogico italiano,
Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938) si fa promotore di cultura attraverso varie riviste
pedagogiche la più nota delle quali è L’educazione nazionale. Sebbene le sue idee si spostino col
tempo su posizioni antifasciste, quindi lontane dallo spirito di Gentile, egli matura un rigoroso
idealismo pensato come un processo auto-educativo e quindi legato alla concezione gentiliana.
Tuttavia vi sono delle differenze: Lombardo Radice risolve il rapporto fra io individuale e io
universale, assegnando maggiore attenzione ai diritti del “me” e quindi reintroducendo
nell’attualismo le istanze psicologiche che Gentile aveva respinto. Inoltre, insiste meno sullo stato
etico e più su uno Stato come educatore, in quanto espressione di tutto il pensiero e di tutti gli
uomini, e non di una sola classe sociale. Anche il nazionalismo di Lombardo Radice è peculiare
perché si lega ad uno sfondo socialista e si fa interprete delle istanze di una società più egualitaria.
Notevole è il suo contributo alla didattica, specialmente primaria ed elementare, ma si tratta di una
didattica viva che va contro l’eccessiva specializzazione, e si risolve in una “critica” didattica, in
una ricerca continua e problematica. La didattica di Lombardo Radice vuole che il maestro si apra a
collaborare con il fanciullo collocandosi sul suo stesso piano, quello del “comune spirito umano”; il
maestro è una sorta di spirito creatore, e la sua lezione è concepita in modo nuovo, come una ricca
e complessa unità organica, connessa a tutti gli altri atti educativi. La lezione è vista come un ciclo
di atti, in cui è prevista anche la ripetizione ma solo a condizione che sia come una lezione nuova,
altrimenti non ha effetti. L’infanzia è un’età creativa e attiva, mirante ad una conoscenza magica del
mondo, e il fanciullo è un poeta con una fantasia fortissima, che lo spinge a manifestarsi nel modo
più completo e genuino nell’espressione artistica (specie nel disegno e nel canto), e nel modo più
originale e sincero nell’educazione linguistica. Questa scuola che pone al centro l’espressione
artistica del fanciullo, unico protagonista del lavoro scolastico, è il modello della scuola serena, di
cui abbiamo già parlato. Una scuola di questo tipo non può essere laica ma deve vivere
intensamente i valori religiosi del popolo in cui si attua, quindi, in Italia, deve riferirsi alla religione
cristiano-cattolica. Lombardo Radice, inoltre, attribuisce importanza alla preparazione professionale
dei maestri prevedendo per essi delle apposite scuole di specializzazione.
Collaboratore di Gentile, pedagogo, direttore della casa editrice La Nuova Italia, autore di opere di
teoria e storia pedagogica e storia del pensiero religioso, è Ernesto Codignola (1885-1965) che
porta avanti una critica serrata agli orientamenti autoritari dell’attualismo e della pedagogia italiana
contemporanea, attuando uno spostamento culturale che rappresenta il passaggio da un’egemonia
dell’idealismo all’avvento del pragmatismo americano, a vocazione decisamente laica.
61
democrazia è poi la formazione dell’opinione pubblica, il mezzo con cui si crea la grande comunità
capace di autoregolarsi e di convivere liberamente e pacificamente.
Il pensiero e la filosofia di Dewey mostrano un costante sviluppo verso prospettive più organiche e
vaste, e per questa ragione il filosofo si mostra disposto, in più di un’occasione, a rivedere e
rettificare le posizioni raggiunte. La riflessione pedagogica si intreccia, in lui, con i problemi della
società moderna industriale e si contrassegna per il fatto di essere ispirata al pragmatismo, cioè ad
uno stretto contatto tra momento teorico e momento pratico, e per il fatto di intrecciarsi con le
ricerche e le scienze sperimentali, oltre che per l’impegno nel costruire una filosofia
dell’educazione che abbia anche un ruolo sociale. I caratteri fondamentali del pensiero deweiano
sono esposti nella sua prima opera pedagogica, Scuola e società, del 1899, edita in una fase di
particolare crescita degli USA legata all’espansione economica e alle richieste di partecipazione
politica da parte delle classi subalterne. La scuola, per Dewey, non può restare fuori da questo
processo di cambiamento, ma deve legarsi al progresso sociale e deve realizzare un più stretto
contatto con l’ambiente e con la realtà sociale del lavoro; a questo scopo, le scuole devono
attrezzarsi con laboratori di vario tipo che recuperino la funzione formativa del lavoro manuale. La
scuola deve anche valorizzare la vita del fanciullo con i suoi reali interessi, e principalmente 4 di
essi: l’interesse per la conversazione, per la scoperta delle cose, la costruzione delle cose e
l’espressione artistica. Successivamente, con l’opera Democrazia ed educazione (1916) Dewey
mette in rilievo il volto progressivo che l’educazione deve assumere poiché essa deve innanzitutto
avere una funzione democratica che non consiste solo nell’adeguarsi alla società, ma anche nel
promuoverne il cambiamento, nel renderla sempre meno repressiva e autoritaria e sempre più
collaborativi e partecipativa. È per questa ragione che il metodo della scienza deve avere un peso
centrale poiché esso è in se stesso un metodo democratico, in grado di avviare il soggetto umano
verso credenze elaborate in comune. In quest’opera, in sostanza, Dewey rivaluta il momento
intellettuale rispetto alla valorizzazione del “fare” presente in Scuola e società. Tuttavia, tra i
seguaci dell’attivismo, prevalgono interpretazioni di tipo individualistico che travisano la lezione
deweiana; contro di esse, si esprime lo stesso Dewey, per correggerle, con Esperienza ed
educazione del 1937 riaffermando il ritorno ad una coerente teoria dell’esperienza cioè ad una sua
organizzazione razionale attuata con metodo scientifico. Egli sviluppa le sue teorie pedagogiche
anche concretamente, in qualità di direttore della scuola annessa all’Università di Chicago: al centro
delle attività scolastiche si trova il fanciullo con tutti i suoi interessi che rappresentano la
motivazione profonda dell’apprendimento. Ma, siccome il fanciullo vive in una dimensione sociale,
i suoi interessi sono sempre legati alla vita sociale e all’ambiente umano e produttivo che lo
circonda, per cui la scuola deve aprirsi sempre alla società e ai suoi valori. In questa trasformazione,
il maestro deve diventare una guida che regola i processi di ricerca della classe, animando le varie
attività scolastiche, non imponendo idee e conoscenze agli allievi (Il mio credo pedagogico, 1897)
ma comportandosi come membro della comunità che assiste i suoi discepoli. Anche gli esami, e i
conseguenti voti, servono a far emergere le attitudini specifiche del bambino e a renderlo cosciente
del suo ruolo. Se il centro della didattica è rappresentato dalle attività espressive o costruttive, ad
esse devono affiancarsi materie più formali come le lingue e le scienze, che vanno introdotte
gradatamente ma sempre in modo che il lato attivo dell’apprendimento preceda quello passivo;
inoltre, un ruolo fondante va assegnato alla facoltà immaginativa del fanciullo stimolata
dall’educazione artistica.
La scuola di Dewey, in definitiva, si presenta come scuola democratica che addestra i giovani verso
una società e una politica anch’esse democratiche. Dewey si interessa anche di pedagogia cognitiva,
cioè della formazione dell’intelligenza attraverso un curriculum di studi in cui la scienza abbia un
ruolo centrale; infatti, la scienza abitua il pensiero ad affrontare le situazioni problematiche e a
trovare per esse le soluzioni più adatte. I valori della scienza (comunicazione, intersoggettività,
democrazia) devono applicarsi ad ogni campo dell’esperienza, avviando gli uomini verso una nuova
forma di religiosità umanistica e laica che ponga la centro i valori della verità, della giustizia e
dell’amore.
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Modelli di pedagogia marxista (1900-1945).
Il marxismo pedagogico ha rivisto i principi dottrinari fondamentali in relazione alle varie
tradizioni nazionali, alle diverse strategie politiche e alla crescita dei vari movimenti rivoluzionari,
il tutto, però, sempre all’interno di un patrimonio comune costante. Gli aspetti principali della
pedagogia marxista sono:
1. collegamento dialettico tra educazione e società, per cui ogni tipo di ideale formativo e di
pratica educativa si collega a interessi e valori ideologici
2. legame stretto tra educazione e politica, legato alla prassi rivoluzionaria
3. centralità del lavoro nella formazione dell’uomo
4. valorizzazione di una formazione integralmente umana di ogni uomo
5. opposizione ad ogni forma di spontaneismo, e accentuazione della disciplina e dello sforzo.
La pedagogia marxista si dispiega in una serie di momenti storici diversi che individuiamo nella
posizione della II Internazionale, nelle posizioni di Lenin, e in quelle dei pedagogisti sovietici che
ispirano i vari marxismo attraverso la III Internazionale.
La pedagogia della II Internazionale si allontana dalle posizioni classiche del marxismo e si
caratterizza per un atteggiamento prevalentemente riformista che crede sia possibile una
collaborazione tra socialdemocrazia e forze borghesi; si rivendica una educazione laica ma non ci si
oppone alla militarizzazione delle scuole. Oltre a voci di aperta critica all’educazione borghese,
come quelle di Clara Zetkin, le due figure più rappresentative sono Adler in Austria e Mondolfo in
Italia. Adler (1873-1937), massimo teorico dell’austro-marxismo, all’interno di una prospettiva
politica rivoluzionaria, cerca di saldare socialismo ed etica kantiana. Egli ritiene che l’educazione
socialista rappresenti solo la fase in cui la razionalizzazione si prepara in profondità, in quanto
l’educazione si immerge, con il socialismo, nella vita sociale ma poi va collegata alla politica,
mediante la lotta di classe, opponendosi ad ogni neutralità dell’educazione. Per Adler, l’educazione
socialista consiste nello staccare spiritualmente il fanciullo del vecchio mondo del capitalismo. Dal
canto suo Mondolfo (1877-1976) propugna una riforma della scuola in senso popolare e piccolo
borghese, improntandola ad un coerente laicismo e a corsi di studio adatti alle esigenze del popolo;
egli si schiera in difesa di una scuola media unica, ma non obbligatoria, e del controllo della scuola
privata da parte dello Stato, manifestando una costante attenzione alla scuola professionale.
Su posizioni più radicali, negli anni della Rivoluzione del 1917, si pone la pedagogia di Lenin. A
suo avviso, il comunismo deve servirsi di tutto l’apparato della società borghese e capitalista,
attraverso organizzazione e disciplina, soprattutto in relazione alla scienza e alla tecnica. I caratteri
nuovi dell’educazione comunista sono il rapporto tra scuola e politica (poiché la scuola non può mai
essere apolitica e la scuola migliore è quella che si lega alla lotta rivoluzionaria), e nell’istruzione
politecnica, che riprenda il motivo marxista dell’uomo onnilaterale. Tuttavia Lenin non trascura i
problemi organizzativi della scuola che si legano ad una serie di limiti materiali oltre che teorici.
Proprio le idee di Lenin si pongono alla base delle realizzazioni scolastiche del primo periodo
subito dopo la rivoluzione in Russia (cioè dal 1917 al 1930); in questi anni, viene realizzata la
“scuola unica del lavoro” che ricongiunge lavoro intellettuale e manuale. Decisa è l’opposizione
alla vecchia scuola di cui si aboliscono i contenuti religiosi e nazionalistici, e si modificano i
programmi e i libri di testo. Il lavoro culturale ritorna in auge con l’avvio del primo piano
quinquennale, mentre una riorganizzazione secondo principi più tradizionali si ha con l’avvento al
potere di Stalin che vede anche il rifiuto radicale di qualsiasi forma di attivismo. Nel 1936, per
esempio, viene condannata la pedologia, e si afferma una pedagogia senza fanciullo,
intellettualistica e conformistica.
Ma prima del periodo staliniano troviamo la figura del maggiore pedagogista russo del secolo XX,
Makarenko (1888-1939) autore di opere che avranno un successo e una diffusione mondiale. Egli
cerca di saldare insieme l’esperienza bolscevica e alcune istanze delle scuole nuove; il suo pensiero
ha una base sperimentale nel senso che si salda a concrete esperienze educative, fatte a contatto con
ragazzi abbandonati che necessitano di essere ri-educati. Questa ri-educazione avviene all’interno di
apposite colonie e si concretizza come processo dialettico, sempre in divenire e mai dogmatico. I
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suoi principi sono il collettivo del lavoro e il lavoro produttivo. Il collettivo è un organismo sociale
che rappresenta mezzo e fine dell’educazione, è un complesso di individui, guidati da un direttore,
con un fine preciso, legati tra loro mediante la comune responsabilità sul lavoro e la partecipazione
al lavoro collettivo. Il lavoro produttivo, invece, nasce dalla consapevolezza che il collettivo è
inserito nello sviluppo della società e deve partecipare attivamente ad essa facendo proprie anche le
conquiste attuate sul piano economico, e per questo Makarenko propone di organizzare la giornata
di lavoro in modo da dotarla di obiettivi e prospettive che si colleghino all’ideale di un uomo nuovo.
Il pedagogo russo si interessa anche al problema della famiglia, sede più idonea per la prima
educazione, in cui si riconferma l’autorità dei genitori ma si propugna anche un clima di affetto e
solidarietà reciproca, poiché la famiglia è il modello della più vasta società socialista.
L’esperienza pedagogica più ricca del marxismo è rappresentata dalle teorie di Antonio Gramsci
(1891-1937). A lui va il merito di aver ripensato i principi del marxismo (rapporto fra struttura e
sovrastruttura, dialettica, crisi dell’ideologia) e la sua visione della storia (come lotta di classe,
come successione di modelli economici e politici sempre più complessi) all’interno di una precisa
condizione storica: quella della non diffusione della rivoluzione proletaria in Europa dopo il 1917.
nei Quaderni dal carcere, Gramsci afferma che le nuove condizioni storiche ed economiche
richiedono un ripensamento delle strategie politiche del comunismo e della teoria marxista. Egli
ridefinisce il marxismo come teoria della prassi che muove da una visione critica della realtà e
riattiva il primato dell’economico-politico come fondamento dell’attività umana. La realtà è un
processo storico e dialettico che non può essere vissuto dall’uomo sulla base di un sapere
positivistico ed empiristico dato una volta per tutte. La realtà, per Gramsci, si trasforma, nel mondo
moderno, a partire non dalla struttura (l’economia) ma dalla sovrastruttura (l’ideologia e la cultura).
Questa rivoluzione della mentalità può vedere coinvolti tutti i ceti sociali interessati al
cambiamento, che vengono a costituire il cosiddetto blocco storico; tuttavia, lo scopo è quello di
costruire un’egemonia prima culturale e poi politica di cui si fa garante il Partito nuovo, cioè il
partito rivoluzionario e proletario, di massa. Inoltre, l’egemonia culturale si costruisce con l’apporto
di molte istituzioni educative e il contributo di “intellettuali organici” funzionali alla costruzione e
all’organizzazione di una cultura che deve investire ogni cittadino, liberandolo dal folklore,
integrando le classi, in collaborazione con la politica e il suo ruolo di guida della società.
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dovere di apostolato, e si fa opera di collaborazione con l’obiettivo fondamentale visto nella
formazione della persona umana; un segnale dell’apertura verso la modernità è il fatto che viene
approvata una positiva e prudente educazione sessuale. In seguito, si sviluppano una serie di forme
educative che vedono in prima linea l’associazionismo (nascono gruppi come l’Opus Dei, i
Focolarini, Comunione e Liberazione) e tutto il mondo cattolico si anima di azioni educative che
sono a stretto contatto con la società civile; anche la parrocchia stessa si assume nuovi compiti e
funzioni esplicitamente educative. Senza contare che questa esigenza di aggregazione e
associazione a fini pedagogici si fa sentire presso le altre Chiese cristiane e anche nelle religioni non
cristiane.
L’orientamento di dialogo con la cultura laica da parte della pedagogia cristiana, è rappresentato
dall’attivismo cristiano; in questa prospettiva, si pongono le “Scuole dell’Ave Maria” dello
spagnolo Manjon (1846-1923). Egli cerca di aprire l’educazione cristiana alle idee delle scuole
nuove, affermando l’importanza di un’educazione all’aria aperta, a contatto con la natura, della
valorizzazione del gioco come strumento didattico, e del richiamo alla centralità del lavoro. Il suo
esperimento educativo si rivolge ai figli del popolo e rappresenta un impegno concreto oltre che
teorico. Di stampo soprattutto teorico è invece l’attivismo cristiano di Devaud (1876-1942) in
Svizzera. Devaud si oppone sia al naturalismo pedagogico (incapace di cogliere i veri bisogni del
soggetto umano) che al tecnicismo attivistico (incapace di trasformare l’educazione in un effettivo
progetto di vita). La sua proposta didattica resta ancorata alla tradizione cattolica, in quanto
riconferma il ruolo privilegiato del maestro e quello positivo dell’autorità, e proprio per questo si
allontana dal puerocentrismo e dall’anti-autoritarsmo tipico del messaggio attivistico. L’indirizzo
più organico della pedagogia cristiana è però quello del personalismo, un sistema che tende
sviluppare una concezione totale dell’esperienza educativa in cui sono centrali i valori trascendenti;
il suo compito è, infatti, consentire lo sviluppo del valore della persona, affermarlo e realizzarlo in
ogni aspetto della vita. Orientamento neo-kantiano ha il personalismo del tedesco Förster (1869-
1966) in aperta polemica contro la pedagogia tedesca e in difesa di una formazione integrale
dell’uomo che trovi nell’etica il proprio momento fondamentale; proprio l’etica è concepita in senso
kantiano, come impegno verso valori trascendenti che si fondano nel divino. La filosofia è definita
mediante un legame indissolubile con la filosofia e con la teologia e unisce i problemi della tecnica
scolastica ai problemi fondamentali della vita. Förster afferma anche il valore dell’obbedienza e
quello del Cristianesimo considerato come l’evento più grande della pedagogia in quanto ha
collegato ogni lavoro e ogni disciplina umana con la vita più intima della personalità. Stesso
indirizzo presenta la pedagogia di Hessen (1887-1950) che si forma a contatto con la filosofia
dell’unità dei valori; si tratta di una pedagogia intesa come teoria della cultura che mira a rendere
l’individuo partecipe dei valori del gruppo sociale, soprattutto di quelli spirituali. La pedagogia è
una filosofia che si alimenta di altre scienze educative, ma trova la propria organizzazione
complessiva nella filosofia. Il processo formativo immaginato da Hessen richiede un impegno
creativo da parte del soggetto, una forma di auto-educazione della personalità; esso si orienta verso
la nostalgia dei valori intesi, platonicamente, come amore e desiderio di metterli in pratica. Hessen
sottolinea altresì l’aspetto democratico della scuola di cui propone di innalzare il limite
obbligatorio; in essa, poi, l’insegnamento deve strutturarsi intorno a tre caratteri fondamentali che
sono il tutto, la gerarchia e l’autonomia. Il pensiero di Hessen è significativo soprattutto per il suo
tentativo di sintetizzare, alla luce della tradizione platonico-cristiana, i presupposti di due civiltà
diverse, quella capitalistica e quella comunista, fra cui egli si trova a vivere. Maritain (1882-1973)
nelle sue opere L’educazione al bivio e L’educazione della persona, si pone in diretta polemica
contro il mondo moderno e la sua cultura, accusati di soggettivismo e naturalismo. Compito
primario dell’educazione è far conoscere la verità in relazione ai diversi gradi del sapere, e
sviluppare la capacità di pensare e di giudizio personale; oltre a questo, fine secondario è quello
assicurare la trasmissione dell’eredità di una data cultura. In tale prospettiva, l’educazione deve
essere liberale e per tutti, cioè orientata verso la sapienza; deve durare fino ai 18 anni e trovare il
proprio baricentro nella filosofia e nelle grandi opere della letteratura. Inoltre, l’educazione deve
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ispirarsi all’idea cristiana dell’uomo valorizzando la severa disciplina e anche un certo timore. Il
personalismo di Mounier (1905-1950) invece, mira a realizzare un uomo totalmente impegnato e
manifesta una esplicita valenza pedagogica. Il suo progetto è realizzare un’educazione in senso
comunitario la cui funzione primaria è suscitare la persona: questo significa incrementare nel
soggetto umano il senso di responsabilità e partecipazione sociale armonizzando le sue tre tensioni
interne fondamentali: quella verso il basso, il corpo, verso l’alto, lo spirito, e verso il largo, la
comunione. La pedagogia di Mounier si pone come dialogo costruttivo e comune così come
l’educazione si fa riconoscimento di una vocazione.
Diversi sono i pedagogisti italiani che si sono ispirati al personalismo. In primo piano, Luigi
Stefanini (1891-1956) tocca il problema educativo nei saggi Personalismo educativo del 1954; egli
sottopone la scuola attiva ad un “vaglio personalistico” e propone un modello di educazione come
maieutica della persona, al cui centro sta la figura del maestro, quale guida intellettuale e morale del
fanciullo. Mario Casotti (1896-1975) parte da una concezione radicalmente pessimistica del
fanciullo, considerato un povero assoluto che si attende tutto dall’adulto, segnato, come ogni uomo,
dal peccato originale e quindi bisognoso della grazia. L’educazione deve compiersi attraverso una
limitazione della libertà e un rigorismo severo che spingano il fanciullo a trovare i valori superiori
della vita che coincidono con quelli religiosi. Ad un personalismo più aperto, vicino a Mounier, si
richiama Giuseppe Catalfamo (1921-1990) anche se, accanto all’esigenza di socialità
dell’educazione, egli pone una concezione più tradizionale del processo educativo in cui il maestro
appare come figura dominante. Giuseppe Flores d’Arcais, in numerosi saggi, come La scuola epr
la persona del 1960, rivendica alla pedagogia un impegno teorico: essa deve porsi come teoria della
persona. Questa realizzazione si è avuta solo nel Cristianesimo, che spiega la persona umana
richiamandosi alla Persona Divina. Pertanto, Flores d’Arcais propone un progetto educativo teso a
valorizzare il soggetto umano in se stesso.
Oltre a queste voci, assistiamo anche all’emergere di voci in dissenso con le posizioni ufficiali della
Chiesa, provenienti soprattutto da aree culturali e pastorali marginali, addirittura, in alcuni casi,
accusate di eresia e disobbedienza. Il tratto peculiare di queste istanze riguarda l’attenzione che esse
pongono a problemi di scottante attualità che portano anche a proposte molto audaci. All’interno di
quella che viene definita la crisi modernista, in campo pedagogico, troviamo la Teoria
dell’educazione di Laberthonnière, un orientamento pedagogico cattolico ispirato ai principi di
solidarietà e collaborazione; in esso, il momento dell’autorità è caratterizzato dalla carità e mette in
rilievo l’importanza della libertà dell’allievo. La “dottrina rivelata” deve essere insegnata in
maniera personale e viva, di modo che l’adesione ai principi di fede avvenga non più per inerzia ma
in maniera voluta. Nel 1945 si colloca poi l’esperienza di Nomadelfia, una comunità educativa
fondata da don Zeno Saltini (1900-1981) in cui la pedagogia si colora di spirito profetico e di
suggestioni utopiche. Nomadelfia si oppone alle direttive ufficiali della politica educativa cattolica,
ispirandosi al modello della famiglia; suo scopo dichiarato è ridare famiglia ai minorenni. In questo
modo, Nomadelfia si pone come una comunità educante che coinvolge nell’istruzione tutti i suoi
membri, minori e non, in uno sforzo di educazione permanente. Al suo interno, si cerca di realizzare
il ritorno dei cristiani allo Spirito del Santo Vangelo ma le modalità anticonformiste con cui si porta
avanti questo scopo, costano a don Saltini addirittura dei richiami dall’alto.
Dopo il Concilio Vaticano II, si hanno esperienze di comunità ecclesiali di grande respiro e
risonanza, soprattutto per influsso dell’opera di don Lorenzo Milani (1923-1967) che nella sua
celeberrima Lettera ad una professoressa, del 1967, fa un vero e proprio atto di accusa contro la
scuola pubblica discriminatoria e classista. Egli propone una scuola aperta a tutti, che realizza con i
suoi ragazzi di Barbiana, una scuola che non sia dei ricchi ma di tutti, anche dei poveri; contro la
scuola pubblica dispensatrice di una cultura elitaria ed inutile, don Milani propone una scuola che
non bocci, che sia capace di dare uno scopo ai ragazzi svogliati, che sia gestita dallo stato e dai
sindacati e abbia come fine quello di dedicarsi al prossimo. Inoltre, per quanto riguarda i contenuti,
questa nuova scuola deve prendere le distanze dalla tradizione letteraria aulica ma deve offrire ai
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ragazzi gli strumenti per possederla, se lo desiderano. Grande peso viene dato poi all’educazione
linguistica, importante per conferire efficacia comunicativa all’esposizione verbale e scritta.
Sull’esempio dell’opera di don Milani, troviamo altre esperienze significative come l’Isolotto a
Firenze, guidato da don Mazzi, o S. Paolo a Roma, diretta da don Franzoni; tutte manifestano un
preciso impegno pedagogico ma anche ecumenico e sociale.
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esempio, la Gioventù Comunista con gare, lavori di gruppo, giochi, conferenze, sempre impregnati
di ideologia e posti al servizio della creazione del cittadino comunista, laico e socializzato.
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corporeo, fatto di coccole, abbracci, carezze. Tutto ciò rende i giovani più giocosi e felici. Sulla
stesa linea si pone Margaret Mead che compie studi sull’adolescenza a Samoa: qui, l’antropologa
rileva l’assenza di una crisi adolescenziale, di quei conflitti che investono invece tutti i giovani
occidentali. A Samoa, inoltre, la sessualità è più libera e il passaggio alla condizione adulta è meno
problematico, i soggetti sono meno squilibrati, meglio socializzati, più armonici. In Italia, notevoli
sono gli studi di De Martino in Il mondo magico o Sud e magia, in cui si evidenzia il legame tra
culture popolari e mentalità arcaica, e se ne valuta l’impatto ancora attuale sugli uomini e come esso
investa il rapporto con la natura, la società e il potere.
2. innovazioni pedagogiche attuate nei paesi in via di sviluppo: in questo settore, gli studi
hanno interessato principalmente il contesto del colonialismo e quello della decolonizzazione. Sotto
il primo aspetto, i Paesi europei hanno alimentato la formazione di modelli economici e sociali
borghesi nei Paesi del Terzo Mondo, hanno imposto loro la propria cultura, hanno promosso
campagne di alfabetizzazione. Al contempo, risvegliando le culture locali, hanno stimolato la
nascita di orizzonti educativi altri, immersi nella cultura autoctona coloniale, come testimonia, per
esempio, la cultura indiana della non-violenza di Gandhi, che si alimenta anche dei valori del
buddismo e dell’induismo. La decolonizzazione, per converso, ha portato ad un processo di più
radicale alfabetizzazione delle masse e ad istanze di democratizzazione che, però, hanno visto
l’impiego di grandi energie ma hanno ottenuto risultati abbastanza modesti. Questo pluralismo dei
modelli educativi e pedagogici favorisce lo sviluppo di un nuovo ambito di ricerca pedagogica:
l’educazione comparata che consiste nel mettere a confronto sistemi educativi e scolastici diversi.
Si tratta di una disciplina nata già in Francia nell’800, ma che cresce nel XX secolo, al punto tale da
investire organizzazioni di ricerca e studi a livello internazionale, come l’UNESCO e l’OCSE.
3. campagne di educazione degli adulti: l’educazione degli adulti ha lo scopo di coinvolgere
gli adulti in un processo di presa di coscienza culturale che li porta a confrontarsi con i problemi
locali ma senza arenarsi all’individualismo e al localismo. Un analogo ruolo di promozione
culturale è svolto anche dall’associazionismo di partito e dalla sindacalizzazione. Il vantaggio
dell’educazione degli adulti è costituito dal suo carattere più informale che ne potenzia l’efficacia e
ne valorizza il processo di scambio e di dialogo; in esso, ciascuno interviene in funzione di ciò che
è, delle sue conoscenze, delle sue specifiche capacità, così come delle sue esperienze, senza dover
rispondere di modelli imposti dall’esterno.
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“Guerra fredda” e pedagogia.
Nel secondo ‘900, la pedagogia subisce un rilancio ideologico determinato dalla guerra
fredda, con la sua necessità di imporre una scelta, uno schieramento fra due opposte concezioni del
mondo e dell’uomo. La pedagogia si fa interprete di questo dualismo: ad Occidente è coinvolta
nella difesa della libertà, dell’iniziativa privata, della concorrenza, dell’individualismo; a Oriente,
invece, si fa pedagogia di Stato, di stampo marxista. La prima è la pedagogia americana
dell’attivismo di Dewey, Kilpatrick o Maritain, la seconda è ovviamente la pedagogia marxista.
L’Italia, in tal senso, è un Paese di frontiera in quanto p schierata a fianco degli USA ed è retta da
governi filo-occidentali, con un economia neocapitalistica, ma al contempo, nel suo governo e nella
sua vita sociale e culturale, c’è una forte presenza del PCI; senza contare che l’Italia è guidata dalla
DC che ha come referente privilegiato la Chiesa cattolica. Per queste ragioni, la pedagogia italiana
si delinea secondo tre fronti:
1. pedagogia cattolica: è la pedagogia ufficiale, ispirata allo spiritualismo e all’individualismo;
al suo interno, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si sono alzate voci di dissenso, come quella
di don Milani;
2. pedagogia laico-progressista: è la pedagogia dell’attivismo, che risente dell’influenza di
Dewey, aperta ai contributi delle scienze, la pedagogia di Codignola, Visalberghi, Laporta;
3. pedagogia marxista: concepisce l’educazione come connessa al lavoro, all’emancipazione,
alla dialettica tra scuola e società; è la pedagogia di Lombardo Radice, Manacorda, Jovine.
Tutte queste pedagogie di schieramento si contrastano e si contrassegnano politicamente; quella di
stampo marxista è la più feconda di cambiamenti, per il legame che va a creare fra lavoro
intellettuale e lavoro manuale, e si articola in modelli diversi a seconda del Paese in cui si viene
formandosi, come testimoniano i casi della Cina (in cui Mao unisce in una sintesi armonica cultura,
lavoro e politica, nella formazione della gioventù cinese, contro la pedagogia tradizionale e in nome
della rivoluzione culturale), di Cuba (dove si ha un processo di alfabetizzazione della popolazione
rurale e di educazione degli adulti, valorizzando il lavoro produttivo, secondo la lezione di Marx, e
diffondendo la cultura superiore a livello universale), dell’URSS. Non a caso, tra il 1945 e il 1949,
proprio i Paesi dell’Est avviano un processo di riorganizzazione dell’istruzione in senso
democratico, ma anche richiamandosi all’unità fra scuola e vita, fra cultura e lavoro. Particolare è il
caso della Polonia, che si trova a dover mediare fra marxismo e religione cattolica, una dimensione,
quest’ultima, profondamente vissuta a livello nazionale.
In Italia, il PCI fa una riflessione accurata sull’educazione facendo proprie le teorie elaborate da
Gramsci; pertanto, propone una scuola media unica, obbligatoria fino ai 14 anni, non basata sullo
spontaneismo ma sull’impegno e sullo sforzo. Per Gramsci, infatti, l’educazione è conformazione
alle regole sociali, socializzazione che solo in uno stato socialista perde l’alienazione e
l’autoritarismo che troppo spesso la connotano. L’obiettivo è formare un intellettuale organico alla
classe operaia, affinché ogni individuo possa essere, al contempo, governante e governato. In linea
con la lezione gramsciana, il PCI, negli anni ’50-’70, propone una riforma della scuola media per
diffondere maggiormente la cultura e gestire la scuola in maniera più democratica. È da qui che
deriva proprio l’egemonia del PCI sul terreno pedagogico italiano.
Infine, in ambito europeo, merita di essere menzionato Althusser che, in un suo saggio, rileva il
ruolo ideologico della scuola vista come cinghia di trasmissione della cultura della classe
politicamente egemone.
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quanto la sua teoria psicologico-evolutiva ha costituito il fondamento della pedagogia cognitiva.
Piaget ritiene che la mente infantile, di per sé animistica e soggettivistica, vada progressivamente
adeguandosi all’oggettività e ad un uso formale e astratto dei concetti logici, attraverso
l’assimilazione e l’accomodamento all’ambiente; testimone privilegiato di tale processo è il
linguaggio. Piaget individua 4 fasi del pensiero infantile:
1. fase senso-motoriag: va da 0 a 3 anni, ed è caratterizzata da un pensiero egocentrico,
assenza di causalità, ignoranza del futuro; in questa fase, il bambino ancora non distingue se stesso
dalle cose.
2. fase intuitiva: va dai 3 ai 7 anni; il bambino impara a distinguere se stesso dal mondo ma
continua a pensare in modo egocentrico e a spiegarsi i fatti con motivazioni animistiche.
3. fase operatorio-concreta: va dai 7 agli 11 anni; il bambino supera l’egocentrismo e il suo
linguaggio comincia a cogliere regole e rapporti fra le cose.
4. fase ipotetico-deduttiva: arriva fino ai 14 anni; è la fase in cui il pensiero matura, coglie le
categorie logiche ed è in grado di fare ipotesi e deduzioni.
Compito della pedagogia è dunque quello di ottimizzare questi passaggi, di produrre effetti pratici
nei soggetti. Per questa ragione, Piaget propugna una scuola attiva che fornisca ai bambini un
metodo utile per tutta la vita, seguendo il loro sviluppo e alimentandolo. La pedagogia di Piaget, in
sostanza, pone al centro della riflessione lo sviluppo della mente del bambino e dà un enorme
contributo alla pedagogia generale. Il suo limite, però, sta nel fatto che la mente cui egli fa
riferimento sia eccessivamente epistemologizzata, legata ad una visione dell’infanzia tipica delle
classi medio-alte occidentali, etnocentrica e scarsamente socializzata (Piaget non tiene conto
dell’ambiente sociale in cui cresce il bambino). Tuttavia, questi limiti non riducono il valore del
lavoro dello studioso francese.
Sulla scia di Piaget, si collocano Vygotskij e Bruner. Il primo, studiando il meccanismo di
apprendimento e i problemi dei portatori di handicap, mette in rilevo il ruolo della creatività; questa
deve essere stimolata mediante il gioco che è il motore dell’immaginazione e che educa al rispetto
delle regole. Perciò, il lavoro scolastico non deve fermarsi alle attuali capacità del bambino ma deve
considerarne lo sviluppo potenziale. Su questo punto, Vygotskij si allontana da Piaget, soprattutto
perché invita al superamento delle 4 fasi dello sviluppo e, in Pensiero e linguaggio, del 1934, il
distacco si fa ancora maggiore, nel momento in cui Vygotskij afferma che lo sviluppo del
linguaggio verso l’acquisizione del pensiero formale, non è spontaneo e innato, ma è il prodotto di
un processo storico e culturale. Ciò significa che l’educazione deve farsi guida di questo processo, e
che l’insegnamento ha un ruolo cruciale nello sviluppo della mente del bambino. D’altro canto,
Bruner, esponente di spicco della pedagogia cognitiva statunitense, elabora una pedagogia di tipo
strutturalista. I suoi studi si concentrano sui meccanismi che portano a classificare gli eventi
mediante precise categorie concettuali; lo sviluppo intellettuale infantile implica un complesso
apparato simbolico, un ruolo primario assegnato al linguaggio, e una interazione attiva fra educatore
e bambino. Nei diversi stadi dello sviluppo, perciò, si devono combinare azione, immaginazione e
linguaggio simbolico, in una scuola che si doti di una teoria dell’istruzione. Inoltre, la scuola deve
anche saper stimolare la volontà di apprendere e tener conto della progressione dell’apprendimento.
Brumer polemizza anche contro l’attivismo accusandolo di dare eccessivo peso al “fare” a scapito
del “conoscere” e propone un rinnovamento del curriculum di studi in senso maggiormente
scientifico. Le sue riflessioni toccano anche il valore sociale e politico dell’educazione che, per
Bruner, deve sapersi mettere sempre in discussione e andare a fondo nei problemi economici e
sociali, da cui resta pur sempre condizionata.
La pedagogia cognitiva, poi, si arricchisce dei contributi provenienti da altri due ambiti di ricerca:
1. le teorie del curricolo: nascono in area anglosassone, quindi in un contesto in cui alla scuola
si lascia ampia libertà e autonomia di programmazione. Questa libertà implica il bisogno di
avere consigli su come muoversi, di lasciarsi guidare, e per questo molti pedagogisti
propongono criteri per costruire i curricula, relativi agli obiettivi, ai metodi, ai contenuto.
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2. le tecnologie educative: sono il prodotto della centralità che ormai le macchine hanno
assunto nella nostra vita, in qualità non più di soli supporti ma di vere e proprie protagoniste
dell’insegnamento. Quest’ultimo ha dunque potuto farsi più controllabile, più impersonale e
più capace di auto-correzione. Rientra in questo ambito la metodologia del mastery
learning, cioè la costruzione di una didattica individualizzata, fatta ad hoc per l’allievo, a
sua misura, in modo da creare un percorso di apprendimento personalizzato di cui docente e
discente conoscano perfettamente tutte le tappe.
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anticonformistico. Tra le voci francesi della pedagogia della differenza, spicca quella di Schérer
con il suo Emilio pervertito del 1974, che critica radicalmente l’educazione così come viene
praticata in Occidente. Invece, la corporeità infantile deve essere liberata anche nelle sue
perversioni, per emanciparla dal controllo da parte degli adulti. Si tratta qui di una pedagogia
eversiva e anticonformista che, tuttavia, comporta il rischio di portare ad una mitizzazione e ad una
visione dell’infanzia al di fuori della storia. In Italia, la pedagogia della differenza segue due
percorsi: da un lato abbiamo Bertin con la sua proposizione di una formazione che abbia come
obiettivo la differenza e la creatività esistenziale, richiamandosi ai valori dell’oltreuomo di
Nietzsche, e reclamando un’educazione tesa a valorizzare la formazione di una personalità
originale, aperta al cambiamento e al dissenso, anche se inquieta e irrazionale. Dall’altro lato,
invece, abbiamo la figura di Pasolini, in un ambito fuori da quello strettamente pedagogico, ma pur
sempre di fronte ad una coscienza educativa sensibile e nuova. Pasolini ha la grande capacità di
saper far vivere le esigenze formative dei giovani attraverso un dialogo intimo e partecipato fra essi
e il maestro. Ciò è soprattutto evidente nelle sue rubriche sui settimanali in cui dialoga con i lettori
ma anche nel suo trattato pedagogico Gennariello del 1975. Pasolini si fa anche educatore civile,
propugnando un netto rifiuto dell’etica capitalistica e il ritorno ad una convivenza umana
radicalmente comunitaria, semplice e genuina nei suoi bisogni.
In definitiva, il ’68 agisce sull’identità della pedagogia in tre direzioni: riportandola alla sua
fondamentale dimensione politica, evidenziandone i limiti e i condizionamenti ideologici e
ridisegnandola come sapere critico, e infine mettendo a fuoco nuovi modelli formativi in senso
libertario, anti-autoritario, erotico e creativo. In tutto questo ampio movimento, c’è un ulteriore
aspetto che va evidenziato: l’estremismo; esso è inteso sia come illusione di poter ricostruire
l’ambito pedagogico da zero, sia come volontà di agire in vista di una rivoluzione considerata
sempre e comunque possibile.
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che riguarda la professionalizzazione. La scuola italiana si è invischiata in una serie infinita di
riforme, esito di altrettante discussioni infinite, che ha portato, per esempio, alla liberalizzazione
degli accessi alle Università e poi alla legge per l’autonomia, con la revisione dell’offerta formativa
e del curriculum scolastico; a partire dal 1997 si è avuta una riforma organica del sistema scolastico
italiano ma tutto questo itinerario si è svolto procedendo in modo disorganico, con passi indietro e
passi in avanti, il che, indubbiamente, non ha favorito l’efficienza di tutti questi cambiamenti.
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filosofia insieme, nel senso che si appropria di un metodo scientifico ma si svolge sempre in un
determinato momento storico e politico, e risente di una prospettiva ideologica. Proprio la crisi di
identità che l’ha investita negli anni ’60 ha portato allo sviluppo di una ricca produzione di ricerche
epistemologiche che si sono articolate principalmente in 4 modelli:
1. modello analitico: questo modello, a sua volta, si è diviso in due indirizzi. L’indirizzo del
neo-empirismo logico interpreta la pedagogia come portatrice di un discorso legato alla logica
scientifica (che procede per spiegazione e verifica), per cui alla pedagogia si applica il principio
dell’analisi formale; il secondo indirizzo, quello filosofico analitico, studia il linguaggio della
pedagogia in tutti i suoi aspetti informali (legame col discorso comune, procedure metaforiche,
ricorso agli slogan…). In Italia, in questo ambito, hanno operato la Di Lallo e Raffaele Laporta, ma
tale modello analitico si è sviluppato anche nel pensiero pedagogico statunitense.
2. modello strutturalistico e critico: su questo versante, troviamo le indagini di Brezinka che,
nella sua Metateoria dell’educazione del 1978, pone in luce gli aspetti scientifici delle pedagogie e
dei loro discorsi e anche le scelte storico-ideologiche.
3. modello dialettico: qui, oltre ai modelli classici di Lenin, Gramsci, Marx, ricordiamo le
posizioni di Broccoli, in Italia, con l’opera Ideologia ed educazione. Broccoli riconduce la
pedagogia all’ideologia come un sapere operativo condizionato da valori che sono espressione di
visioni del mondo e quindi di gruppi sociali.
4. modello ermeneutico: questo ambito si è sviluppato di recente in Italia e in Germania
(soprattutto con Rohrs); qui, il sapere pedagogico viene visto come radicato nel tempo storico, nelle
sue tradizioni e nelle sue abitudini e quindi esso va da un lato de-costruito, e dall’altro va
interpretato.
A questi 4 modelli, possiamo aggiungere anche il modello metafisico che ricollega la formazione
umana ad un modello unico di uomo. Tutte queste ricerche hanno portato ad una nuova immagine
della pedagogia vista come sapere complesso che può essere interpretato attraverso diversi
paradigmi. Si tratta di un sapere che va reso più rigoroso ma va anche “salvato” in quanto di
articolato contiene, e questo significa che il lavoro epistemologico non è mai compiuto una volta
per tutte ma che va costantemente ripreso e rivisitato.
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razzismo, aprendosi ad un compito difficile ma urgente, rispetto al quale essa non può agire da sola,
ma deve affrontarlo con un ruolo prioritario.
problema della terza età: l’aumento del numero degli anziani in tutte le società occidentali,
comporta la necessità di riqualificare la vecchiaia e darle un significato totalmente nuovo rispetto al
passato. Essa non può più essere considerata come marginalità, come momento di riposo, di
deposito di saggezza, ma deve essere concepita come età vitale e attiva da collocare a pieno titolo
nella vita sociale. Pertanto, si devono predisporre percorsi educativi di apprendimento per la terza
età, così come di ricreazione, di scambio sociale, di lavoro anche. Ciò implica non solo un impegno
pedagogico per la terza età ma anche uno studio di tipo psicologico e sociologico.
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