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COMPENDIO DELLE
NUOVE AVVERTENZE
GENERALI E
METODOLOGIE
DIDATTICHE
LEAVVERTENZE GENERALI DEL
BANDO MIUR DEL 26 FEBBRAIO 2016
SVOLTE PUNTO PER PUNTO
SIMONE
EDIZIONI
La pubblicazione di questo volume, pur curato con scrupolosa attenzione dagli Autori e
dalla redazione, non comporta alcuna assunzione di responsabilità da parte degli stes-
si e della Casa editrice per eventuali errori, incongruenze o difformità dai contenuti delle
prove effettivamente somministrate in sede di concorso.
Per realizzare in tempi utili ai fini delle esigenze dei candidati questo volume, è stato ne-
cessario il lavoro di una squadra di collaboratori che ha cercato di coniugare sintesi e
completezza, teoria e pratica, approfondimento e chiarezza, correttezza formale e grafica.
Non sappiamo se ci siamo riusciti ma un doveroso ringraziamento va fatto ad alcuni in
particolare (ognuno di loro conosce bene il motivo): Carmine Delpino e Dario di Majo,
Pasquale Antignano, Salvatore Pagano e Roberto Lancia, Luisa Busiello, Roberto Pinto.
Hanno collaborato:
Rossella Micillo (Parte I), Chiara Palladino (Parte II),
Madga de Notariis e Maria Teresa Iacomino (Parte IV).
Anche nel bando del concorso a cattedre 2016 (in G.U. 26 febbraio 2016, n. 16)
le “Avvertenze generali” costituiscono parte integrante dei già vasti programmi
di studio disciplinari. Quest’anno poi le Avvertenze generali sembrano avere una
valenza maggiore, se è vero come il MIUR ha più volte annunciato che le prove di
concorso più che nozionistiche, saranno tese a valutare le competenze oltre che
disciplinari, anche culturali, professionali e soprattutto didattico-metodologiche
dell’aspirante docente. Non a caso in sede di stesura definitiva del bando, il Miur
è intervenuto a ridefinire in parte i punti delle Avvertenze generali, modificandole
rispetto alle bozze circolate nei mesi precedenti, e aggiungendo nuovi argomenti.
Al concorso quindi, non basterà conoscere a perfezione le materie di insegnamen-
to ma bisognerà dimostrare di essere capaci di insegnarle nel contesto scuo-
la tenendo conto di tutte le sue innumerevoli variabili. Potremmo riassume-
re il quadro delle competenze richieste in almeno tre ambiti:
— aspetti pedagogici (con cenni alle neuroscienze, alla psicologia dello svilup-
po e alla pedagogia);
— aspetti didattici (stili di apprendimento, didattica inclusiva per BES e DSA,
metodologie didattiche e nuove tecnologie a servizio dell’apprendimento ecc.);
— aspetti normativi relativi sia all’organizzazione del sistema scuola in Italia,
sia alle norme specifiche italiane ed europee, che l’insegnante deve quotidia-
namente applicare nell’ambito della sua autonomia didattica (come la nor-
mativa sulla programmazione, la valutazione, la continuità didattica, l’orien-
tamento, le stesse Indicazioni nazionali e le Linee guida, e le numerose Note
ministeriali).
Si tratta peraltro di aspetti molto complessi e in stretta interrelazione tra loro: si
pensi all’influenza che le varie teorie dell’educazione hanno avuto sulle stesse ri-
forme legislative adottate nel corso degli anni.
Alcune discipline come la pedagogia e la psicologia dell’età evolutiva presuppon-
gono inoltre competenze scientifiche. La didattica, di matrice filosofica, nasce, in-
vece, con un forte grado di astrazione ma deve poi essere declinata nella pratica
adattandosi, nell’ottica della programmazione e didattica personalizzata, ai diver-
si stili di apprendimento di bambini e ragazzi. Parlare quindi di didattica e delle
sue metodologie in senso generale è una contraddizione in termini: ogni docen-
te, infatti, deve nella pratica inventarsi il suo modello di insegnamento e utilizzare
le tecniche didattiche più appropriate in funzione non solo della materia che in-
segna, non solo della classe che ha dinanzi, ma addirittura del singolo studente.
Al concorso però tutte queste metodiche saranno oggetto di prova di esame. E
l’aspirante docente dovrà dimostrare di avere dimestichezza con tutti i fondamen-
ti teorici e normativi che poi dovrà applicare nella pratica.
Questo Compendio fornisce, allora, a chi si prepara al concorso — e ha poco tem-
po per farlo — tutti i fondamenti delle discipline richieste dalle Avvertenze gene-
rali, senza inutili approfondimenti accademici e digressioni teoriche e senza so-
vrabbondanza di nozioni giuridiche. Alla trattazione è stato dato un taglio sin-
tetico ma esaustivo e dal forte impatto pratico: impatto pratico che è possibi-
le riscontrare non solo nella parte sulle norme che regolano la scuola e le attivi-
tà dell’insegnante, ma anche in quella sui metodi didattici che pure hanno matri-
ce in correnti teoriche come l'attivismo, il cognitivismo ecc.
Il Compendio si struttura in quattro parti, in cui si riprendono fedelmente tutti
i punti delle Avvertenze generali. Per dare un ordine logico e sistematico alla
trattazione, non abbiamo seguito sempre l’ordine dei punti delle Avvertenze: ad
esempio prima di trattare della “capacità di progettazione curricolare” e dei BES
(punti 4 e 5) abbiamo ritenuto di dover illustrare la normativa scolastica (punto
10) che comprende alcuni argomenti preliminari (come autonomia didattica, PTOF,
ordinamento didattico ecc.). Una tavola sinottica introduttiva farà facilmente in-
dividuare i capitoli corrispondenti ai singoli punti delle Avvertenze.
Particolare risalto è stato dato ai metodi, alle tecniche e agli strumenti della di-
dattica applicata: da quelli più tradizionali a quelli più innovativi, anche se an-
cora poco utilizzati nelle nostre aule scolastiche.
In Appendice un approfondimento sulle competenze linguistiche del docente e sul
Quadro Comune Europeo di Riferimento (QCER) e un utile Glossario con i termi-
ni essenziali e le più comuni sigle utilizzate nell’ambito della scuola.
Il volume si arricchisce, infine, di una serie di espansioni online tra cui le Indi-
cazioni nazionali e Linee guida e alcuni modelli di atto come progettazioni curri-
colari, PTOF e altri materiali di approfondimento.
In ultimo i suoi destinatari. Un compendio è di per sé una sintesi; questo volu-
me quindi è indirizzato a:
— chi ha poco tempo per studiare;
— chi, avendo approfondito lo studio su vari testi, appunti e materiali online vuo-
le una visione organica e sintetica di quanto studiato;
— chi avendo già studiato in passato alcuni argomenti, ora vuole solo ripassarli
prima del concorso;
— chi già insegna a scuola, ma in previsione delle prove di concorso, vuole dare
un inquadramento teorico alla sua esperienza didattica.
Tavola sinottica Avvertenze generali
Allegato “A” Bando Concorso a cattedra G.U. 26-2-2016, n. 16
1. Avvertenze generali
I candidati ai concorsi per posti di insegnamento nella scuola dell’infanzia, primaria, e per gli istituti di
istruzione secondaria di primo e secondo grado, devono essere in possesso dei seguenti requisiti cul-
turali e professionali in ordine al settore o ai settori disciplinari previsti da ciascuna classe di concorso:
Cosa studiare Dove studiare
1 Sicuro dominio dei contenuti dei campi di espe- Volumi disciplinari della specifica classe di concor-
rienza e delle discipline di insegnamento e dei loro so (su www.simone.it trovi tutta la nostra produzione)
fondamenti epistemologici,
Sui volumi disciplinari delle Edizioni Simone tro-
al fine di realizzare una efficace mediazione meto- vi una parte di didattica generale e didattica disci-
dologico-didattica, impostare e seguire una coe- plinare dove sono approfonditi questi argomenti
rente organizzazione del lavoro, Parte IV “Metodologie didattiche e tecniche at-
tive di apprendimento
adottare opportuni strumenti di verifica dell’ap- Parte III, Cap. 3 “La valutazione degli alunni”
prendimento e per la valutazione degli alunni non-
ché di idonee strategie per il miglioramento conti-
nuo dei percorsi messi in atto.
2. Conoscenza dei fondamenti della psicologia dello Parte II “Fondamenti della psicologia dello svi-
sviluppo, della psicologia dell’apprendimento sco- luppo, della psicologia dell’apprendimento scolasti-
lastico e della psicologia dell’educazione. co e dell’educazione”
4. Capacità di progettazione curriculare della di- Parte III, Cap. 1 “Le attività di progettazione e
sciplina. programmazione”
5. Conoscenza dei modi e degli strumenti idonei Parte III “La disciplina della didattica e dell’inse-
all’attuazione di una didattica individualizzata e gnamento”, e in particolare Cap. 2 “La scuola dell’in-
personalizzata, coerente con i bisogni formativi dei tegrazione e dell’inclusione”
singoli alunni, con particolare attenzione all’obietti-
vo dell’inclusione degli alunni con disabilità e ai bi-
sogni educativi speciali.
6. Conoscenze nel campo dei media per la didatti- Parte IV, Cap. 5 “Gli strumenti didattici tradi-
ca e degli strumenti interattivi per la gestione del- zionali e digitali”
la classe.
Tavola sinottica 5
Cosa studiare Dove studiare
7. Conoscenza delle problematiche legate alla con- Parte III, Cap. 4 “Continuità didattica e orien-
tinuità didattica e all’orientamento. tamento”
8. Conoscenza dei principi dell’autovalutazione di Parte II, Cap. 8 “il Sistema Nazionale di Valuta-
istituto, con particolare riguardo all’area del miglio- zione e l’autovalutazione delle scuole”
ramento del sistema scolastico.
9. Conoscenza approfondita delle Indicazioni na- Parte II Cap. 6 “Gli ordinamenti didattici”
zionali vigenti per la scuola dell’infanzia e del pri-
I principi generali delle Indicazioni nazionali e Li-
mo ciclo, delle Indicazioni nazionali per i licei e del-
nee guida sono trattati in più punti di questo volu-
le Linee guida per gli istituti tecnici e professiona-
me. I documenti completi delle Indicazioni nazio-
li, anche in relazione al ruolo formativo attribuito
nali e le Linee guida sono allegate al volume come
ai singoli insegnamenti. espansione in versione stampabile. Consigliamo di
studiare con attenzione le parti pertinenti alla pro-
pria classe di concorso.
10. Conoscenza della legislazione e della normati- Parte II “Legislazione e normativa scolastica”
va scolastica, con particolare riguardo a:
c. Autonomia scolastica e organizzazione del siste- Parte II, Cap.4 “L’autonomia scolastica e l’or-
ma educativo di istruzione e formazione (con riferi- ganizzazione del sistema educativo di istruzione
mento, in particolare, al dPR 275/1999, al d. lgs 15 e formazione”
aprile 2005, n. 76, al d.m. 22 agosto 2007, n. 139);
d. ordinamenti didattici: norme generali comuni e, Parte II, Cap. 5 “Gli ordinamenti didattici”
relativamente alle procedure concorsuali, al relati-
vo grado di istruzione (L. 107/2015, dPR 89/2009,
dPR 87/2010, dPR 88/2010 e dPR 89/2010, dPR
122/2009);
e. governance delle istituzioni scolastiche (Testo Parte II, Cap. 2, Par. 4 “Ministero dell'Istruzione”,
Unico, Titolo I capo I); e Cap. 6 “La governance della scuola”
f. stato giuridico del docente, contratto di lavo- Parte II, Cap. 7 “ Lo stato giuridico del docente”
ro, disciplina del periodo di formazione e di prova;
g. compiti e finalità degli organi tecnici di suppor- Parte II, Cap. 9 “Il Sistema nazionale di valu-
to: l’Invalsi e l’Indire; tazione”
h. il sistema nazionale di valutazione (dPR 80/2013);
6 Tavola sinottica
Cosa studiare Dove studiare
i.normativa specifica per l’inclusione degli alunni di- Parte III, Cap. 2 “La scuola dell’integrazione e
sabili, con disturbi specifici di apprendimento e con dell’inclusione”
bisogni educativi speciali;
j. Linee guida nazionali per l’orientamento perma- Parte III, Cap. 4, Par. 7 “Linee guida sull'orienta-
nente (nota MIUR prot. n. 4232 del 19.02.2014); mento permanente (nota MIUR 4232/2014)”
k. Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione de- Parte III, Cap. 2, Par. 8 “Lo svantaggio socio-eco-
gli alunni stranieri (nota MIUR prot. n. 4233 del nomico, linguistico e culturale: gli alunni stranieri
19.02.2014); (nota MIUR 4233/2014),
I. Linee di indirizzo per favorire il diritto allo stu- par. 9 “Gli stranieri adottati (nota MIUR 7443/2014)”
dio degli alunni adottati (nota MIUR prot. n.7443
del 18.12.2014);
m. Linee di orientamento per azioni di prevenzione Parte III, Cap. 5 “Pedagogia del disagio e del-
e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo (nota la devianza”, Par. 2 “Bullismo a scuola (nota MIUR
MIUR prot. n. 2519 del 15.04.2015) 2519/2015)
11. Conoscenza dei seguenti documenti euro- Parte II Cap. 9 “La scuola italiana nell’ambito del
pei in materia educativa recepiti dall’ordinamen- contesto europeo”
to italiano:
a. Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendi- Par. 7 “Il quadro europeo delle qualifiche (EQF) per
mento permanente e relative definizioni di compe- l’apprendimento permanente (Racc. 23 aprile 2008)
tenza, capacità e conoscenza (raccomandazione del
Parlamento Europeo e del Consiglio 23 aprile 2008);
b. Raccomandazione del Parlamento europeo e del Par. 8 “Le competenze chiave per l’apprendimento
Consiglio 18 dicembre 2006 relativa a competenze permanente (Racc. 18 dic 2006)
chiave per l’apprendimento permanente;
12. Al fine di verificare la comprensione di una lin- Appendice “La conoscenza delle lingue stranie-
gua straniera comunitaria (inglese per la scuola re nella formazione degli insegnanti”
primaria), si rinvia all’art.5, comma 3 del Decreto. vedi anche i nostri volumi su comprensione brani
e quesiti a risposta chiusa 526/4 e 526/4B (Inglese)
13. Competenze digitali inerenti all’uso e le poten- Parte IV Cap. 5 ”Gli strumenti didattici tradizio-
zialità delle tecnologie e dei dispositivi elettronici nali e digitali”
multimediali più efficaci per potenziare la qualità Par. 13 “Il Piano Nazionale Scuola Digitale”
dell’apprendimento, anche con riferimento al Pia-
no Nazionale Scuola Digitale.
Tavola sinottica 7
Parte
Fondamenti della psicologia
I dello sviluppo, della psicolo-
gia dell’apprendimento scola-
stico e dell’educazione
In questa Prima parte sono trattati i punti 2 e 3 delle Avvertenze generali, che
riportiamo:
Punto 2 • Conoscenza dei fondamenti della psicologia dello sviluppo, della
psicologia dell’apprendimento scolastico e della psicologia dell’educazione.
1
Struttura del cervello, processi
cognitivi, linguaggio e comunicazione
Lobo frontale
Lobo parietale
Lobo occipitale
Percezione visiva
Lobo temporale
La nozione di “plasticità” tipicamente riferita alla natura del sistema nervoso im-
plica la capacità, tipica dei circuiti nervosi, di mutare le loro caratteristiche fun-
zionali e strutturali in ragione delle stimolazioni sensoriali esterne, e di adat-
tarsi progressivamente all’ambiente.
Si tratta di una proprietà che riguarda sostanzialmente la corteccia cerebrale,
ed è particolarmente feconda nella prima fase della vita neonatale, anche se, per
altri versi, si estende per tutto il ciclo di vita.
• La prospettiva psicofisiologica
Uno dei temi maggiormente affrontati dagli psicofisiologi è la capacità di discriminare i co-
lori. La teoria sulla percezione dei colori fu formulata dal tedesco Hermann von Helmholtz
(1821-1894) che sostenne l’esistenza, nell’uomo, di recettori differenti, sensibili agli spettri
cromatici del rosso, dell’azzurro e del verde.
A parte la specificità dello stimolo, Helmholtz considerava fondamentale per l’esperienza
percettiva, l’attiva organizzazione dei dati sensoriali. Un oggetto non è solo il semplice ri-
sultato di sensazioni, ma anche l’effetto implicito delle esperienze passate.
Il cervello, secondo questa teoria, opererebbe delle inferenze inconsce, a partire dalle
sensazioni elementari, componendo i dati semplici in una unità, grazie ai processi supe-
riori del pensiero.
• La prospettiva funzionalista
Questo indirizzo si è interessato all’aspetto soggettivo della percezione, cioè al modo in cui
le sensazioni vengono integrate in relazione alla personalità dell’individuo.
• La prospettiva cognitivista
Oggetto di analisi di questa corrente psicologica sono i processi con cui l’individuo acquisi-
sce le informazioni dall’esterno, le elabora e le consolida in una struttura.
A differenza del comportamentismo, per il quale ogni esperienza, anche percettiva, è effet-
to di semplici associazioni S-R (stimolo-risposta), i cognitivisti rivalutano le operazioni che
consentono quel tipo di risposta.
Tali operazioni vengono analizzate sulla base della convinzione che la mente umana funzio-
ni come un elaboratore elettronico. Per i cognitivisti, dunque, bisogna comprendere i mec-
canismi mentali che permettono di trasformare input sensoriali in organizzazioni comples-
se e valutare i tempi che intercorrono tra uno stimolo e l’output da parte del soggetto (ov-
vero la sua reazione) ( Cap. 2, par. 4).
3. L’attenzione
L’attenzione si può definire come la capacità cognitiva di mettere a fuoco specifi-
ci contenuti e, all’opposto, inibire informazioni valutate come irrilevanti.
Essa costituisce una potentissima attività di filtro, impedendo l’accumulazione di
dati inutili. L’attenzione opera sull’informazione in entrata (input), selezionando-
la in base a interessi, motivazioni e aspettative.
Lo psicologo inglese Donald Eric Broadbent (1926-1993) ha dedicato i suoi stu-
di ai processi di selezione che la mente opera sulle informazioni in entrata. Sul-
la scorta delle sue osservazioni, egli suppose che l’attenzione umana operasse in
base ad un sistema di filtraggio. Il filtro agirebbe in relazione:
• alle finalità;
• ai compiti;
• alle aspettative del soggetto.
Tale azione avverrebbe selezionando gli stimoli significativi e scremando quelli
privi di interesse. Tuttavia, molti esempi ci dimostrano che siamo capaci di ese-
guire nello stesso tempo compiti diversi. Le ricerche della psicologia cognitiva
si sono quindi spostate, sul finire del secolo scorso, dallo studio dell’attenzione
intesa come processo di selezione di dati all’attenzione come abilità di differen-
ziazione delle risorse da destinare a compiti differenti.
4. La memoria
La memoria è generalmente definita come la struttura psichica che conserva e or-
ganizza le informazioni. Si tratta di una struttura di archivio e di recupero dati, dal
momento che funziona come un magazzino di eventi, solitamente definiti “tracce”.
Studiare la memoria significa, dunque, studiare il modo in cui le tracce vengono
incamerate e organizzate.
In una prima fase, quella dell’acquisizione, il soggetto incontra le informazioni.
Si tratta di un processo che coincide generalmente con un atto percettivo molto
semplice: il cosiddetto “registro sensoriale” (RS).
Per spiegare il funzionamento della memoria umana sono stati proposti nel tem-
po diversi modelli. Vediamo i principali.
• Il modello associativo
È il modello più antico: sostiene che la capacità di ricordare viene favorita dalle
relazioni associative. Le tracce, cioè, si ricordano meglio se possono essere as-
sociate tra loro per contiguità, per somiglianza o per contrasto.
Tuttavia, solo gli studi sperimentali di Hermann Ebbinghaus sulla sua memoria
alla fine dell’Ottocento conferirono a questo modello un primo assetto scientifico.
Egli si propose di studiare la memoria come capacità pura, cioè non influenzata
dalle conoscenze pregresse né dalle strategie organizzative del soggetto. Lo psi-
cologo tedesco introdusse così delle novità tecniche, tra cui la più interessante fu
l’uso di liste di sillabe senza senso (cosiddetta “presentazione seriale”) per
verificare la sua capacità di trattenerle in mente e riprodurle.
Usando gruppi di lettere senza senso, nei suoi esercizi lo studioso voleva valuta-
re le capacità della memoria di ricordare informazioni neutre, ovvero dati che non
avessero per il soggetto alcun valore, né di significato né affettivo. In questo modo
non sarebbero intervenuti fattori (esperienze, ricordi, emozioni) che avrebbero
potuto facilitare il compito.
Questo tipo di tecnica mostrò che l’esercizio favoriva in modo significativo l’ap-
prendimento.
Egli imparava a mente delle triplette di sillabe senza significato (ad esempio ZUC,
DAX ecc.), verificando quotidianamente il suo potere di ricordarle. Dopo la prima
lettura non riusciva a ricordarne più di sette. Aveva bisogno di leggere la lista se-
dici volte per ricordare dodici sillabe, leggerla quarantaquattro volte per ritener-
ne ventiquattro e cinquantacinque per rammentarne ventisei. Ebbinghaus con-
siderò come momento del ricordo esatto quello in cui poteva riprodurre tutta la
lista senza dimenticare nessuna sillaba. Egli verificò che con la ripetizione si ri-
I metodi di studio dell’apprendimento e della memoria che sono seguiti nel Nove-
cento hanno approfondito la presentazione seriale, già proposta da Ebbinghaus.
Tale tecnica, come abbiamo visto, consiste nel presentare ai soggetti nomi, sillabe,
numeri in modo costante, e nell’invitarli a riprodurre i singoli stimoli nello stes-
so ordine in cui sono stati presentati. Si chiede poi ai soggetti, dopo un intervallo
di tempo stabilito dal ricercatore, di riapprendere la stessa serie finché non vie-
ne riprodotta correttamente.
Emerge allora un fenomeno definito risparmio, e consistente in una riduzione,
rispetto alla prima acquisizione, del tempo e del numero delle prove richieste ai
soggetti per svolgere il compito. Ciò significa che apprendere di nuovo un compi-
to che si era già imparato in passato costa meno fatica che studiarne uno ex novo.
• Il modello “pluri-componenti”
I sostenitori di questo modello affermano che la memoria non ritiene gli stimoli
in una traccia univoca, ma ne conserva anche le differenti componenti, ad esem-
pio quella emotiva, le coordinate spazio-temporali, la frequenza di presentazione
ecc. Alcuni esperimenti hanno dimostrato, ad esempio, come informazioni a cui
sono associate delle immagini siano più facilmente ricordate rispetto ad altre che,
seppur molto significative, abbiano un basso corredo iconografico.
Questo fenomeno viene spiegato supponendo l’esistenza di due sistemi di codifica:
il sistema verbale e il sistema per immagini. Se associamo il nome di una persona
con l’immagine del suo viso, quindi, abbiamo più possibilità di ricordarla, perché è
possibile attribuire a quell’informazione una doppia codifica: verbale e immaginativa.
• Il modello HIP (Human Information Processing)
Si tratta di un modello di memoria che considera quest’ultima come una funzio-
ne psichica attiva, e non come un semplice contenitore di dati. Questo modello
è sorto nell’ambito dell’approccio cognitivista, che promuoveva l’analogia tra la
psiche umana e il computer. Sulla scia di questa analogia, si sostenne una diffe-
renziazione tra fasi o livelli nell’elaborazione dell’informazione.
La memoria, secondo questo approccio di studi, opera sull’informazione che pro-
viene dal mondo esterno, decodificandola, elaborandola e codificandola a sua vol-
ta, proprio come farebbe un elaboratore elettronico.
Come modello consideriamo quello proposto da K.C. Atkinson e R.M. Shiffrin (nel
1968), che prevede tre sistemi di memoria:
• un registro sensoriale (RS) che riceve gli stimoli tramite gli organi di senso
e che li trattiene per pochissimo tempo (decimi di secondo);
• Imparare a parlare
In pochissimi anni ogni bambino normalmente sviluppa un complesso e assai ric-
co sistema linguistico con una rapidità e una facilità che hanno sempre affascina-
to gli studiosi del comportamento umano e del linguaggio.
Comprendere e parlare correttamente una lingua sembra, infatti, essere la cosa
più complessa fra tutte quelle che gli esseri umani possono fare, poiché richiede
non solo l’apprendimento di migliaia di vocaboli ma anche quello di un insieme
numerosissimo di regole grammaticali, alcune delle quali assai sottili, che consen-
tono di combinare e modificare le parole.
Eppure, nonostante la complessità della struttura linguistica e le sottigliezze gram-
maticali, i bambini di tutto il mondo imparano la loro lingua-madre, anche in quel-
le situazioni in cui gli insegnamenti espliciti sono carenti o addirittura assenti.
Numerosi sono stati gli studi che hanno tentato di capire se il linguaggio sia una competen-
za che si acquisisce dopo la nascita, e quindi dal contatto con l’ambiente, oppure una fa-
coltà innata e in grado di guidare lo sviluppo linguistico del bambino secondo un percorso
predeterminato nella specie.
Diverso invece il punto di vista di un altro importante studioso del linguaggio, Noam Chom-
sky (1928), il quale sostiene che imparare a parlare richiede una particolare competen-
za che è innata e che permette all’individuo di pronunciare parole e costruire frasi nuove,
utilizzando espressioni e termini che non ha mai ascoltato prima da nessuno. Il bambino,
quindi, non si limita a ripetere ciò che ascolta dagli adulti, ma è in grado di costruire un suo
lessico; la teoria di Skinner, in altri termini, non sarebbe in grado di spiegare l’aspetto cre-
ativo della capacità linguistica. A partire da ciò che ascolta intorno a sé, infatti, il bambino
elabora una grammatica che gli servirà a capire e produrre un numero indefinito di frasi
nuove. In sintesi, i bambini non imparano tanto parole e frasi; piuttosto, essi si appropria-
no di regole per formarle.
Ciò è dimostrato dal tipo di errori che i bambini compiono nel corso dello sviluppo: verso i
3-4 anni, infatti, spesso pronunciano parole come “uovi” al posto di “uova”, “bevere” inve-
ce di “bere”, “aprito” per “aperto”. Si tratta di errori, definiti, come abbiamo visto, di iper-
correttismi, determinati dall’applicazione delle regole standard di grammatica ai casi irre-
golari e che non possono essere causati dall’imitazione del linguaggio degli adulti.
È stato inoltre osservato che anche i bambini figli di genitori non udenti attraversano la fase
della lallazione, e quindi pronunciano suoni che normalmente non ascoltano.
Da queste osservazioni Chomsky deduce che la capacità di usare il linguaggio non dipende
da meccanismi generali di apprendimento ma da un programma biologico, geneticamente
determinato, e dedicato specificamente all’acquisizione del linguaggio. Il bambino nascereb-
be dunque dotato di un dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD, acronimo
di Language Acquisition Device), che gli permette di riconoscere le regolarità negli input lin-
guistici ricevuti dall’ambiente e che contiene i principi della Grammatica Universale (GU).
A partire da questi principi il bambino costruisce la grammatica particolare della comuni-
tà linguistica a cui appartiene.
In questo quadro teorico, lo sviluppo del linguaggio somiglia alla crescita di un organo: è
qualcosa che succede nel bambino in quanto parte della sua costituzione biologica. Scrive
Chomsky: «L’apprendimento della lingua non è proprio qualcosa che il bambino compie; è
qualcosa che a un bambino, posto in un ambiente appropriato, capita, più o meno come
il corpo del bambino cresce e matura in modo predeterminato quando gli vengono forniti
l’adeguato nutrimento e gli stimoli ambientali».
Seguendo Chomsky, Steven Pinker (1954) definisce il linguaggio un istinto che, in quanto
tale, non viene appreso, essendo innato nell’uomo. Vengono apprese invece le diverse lin-
gue, ma esse non sono altro che i differenti modi in cui si combinano i fattori della Gram-
matica Universale.
Nella teoria di Piaget ( Cap. 2, par. 5), lo sviluppo del linguaggio avviene nella fase sen-
somotoria e dipende dalla concomitanza di fattori genetici e di fattori sociali. L’esplosione
del vocabolario dei bambini verso i 18 mesi si spiega, ad esempio, con il fatto che proprio
intorno a quell’età essi raggiungono lo stadio della permanenza dell’oggetto, prerequisito
indispensabile per comprendere che esistono cose a cui applicare un nome.
Se per Piaget l’apprendimento del linguaggio dipende dalla concomitanza dello sviluppo
cognitivo e dell’interazione con l’ambiente, Jerome Bruner ( Cap. 2, par. 7) pone invece
l’accento sul fattore sociale. Egli sostiene infatti che senza il rapporto con gli altri e con il
mondo esterno, la facoltà linguistica del bambino non si potrebbe manifestare. È la comu-
nità di appartenenza ad offrire al bambino, attraverso il linguaggio, gli strumenti necessa-
ri per pensare. Il linguaggio, pertanto, ha le sue radici nel rapporto comunicativo che coin-
volge i bambini e gli adulti (in particolare le madri).
Pur non escludendo l’esistenza del LAD, ovvero della struttura innata ipotizzata da Chom-
sky, Bruner sostiene che un ruolo parimenti importante nell’apprendimento linguistico è
quello svolto dal LASS, ossia dal Sistema di Supporto all’Acquisizione del Linguaggio, forni-
to dall’ambiente sociale.
Già prima di parlare, infatti, i piccoli giocano con gli adulti e vengono stimolati a condivi-
dere esperienze che danno al bambino l’opportunità di collegare i suoni che ascoltano dai
genitori, con azioni e oggetti a lui familiari. Da qui, pian piano, il bambino imparerà a com-
prendere i significati dei suoni che ascolta e a riprodurli a sua volta.
Lev Vygotskij ( Cap. 2, par. 9), ad esempio, immagina il rapporto tra linguag-
gio e pensiero come due circoli che si sovrappongono parzialmente. L’area di so-
vrapposizione corrisponde al pensiero verbale, che dunque non include né tut-
to il pensiero né tutto il linguaggio. Esiste infatti un’ampia area del pensiero che
non ha rapporti con il linguaggio (per esempio, il pensiero pratico che ci guida
• La cinesica
La cinesica indaga la mimica e la gestualità. L’atteggiamento del volto è una fonte inesauri-
bile di indizi: il modo in cui le persone si guardano e le sfumature dei movimenti della mu-
scolatura facciale costituiscono dei supporti molto forti riguardo l’intesa e il significato di
ciò che le persone si stanno comunicando.
Queste abilità, seppur diversamente codificate da cultura a cultura e all’interno di una stes-
sa società, si possono ritenere patrimonio di tutti gli individui, anche se sono usate con un
diverso grado di competenza e di consapevolezza da parte delle singole persone.
In questo ambito, importantissimi sono i gesti, che possiamo classificare in vario modo:
• i rituali, cioè gesti connessi a specifici riti religiosi o civili (ad esempio il segno della cro-
ce, o il gesto di alzare la mano destra in tribunale per il giuramento);
• gli emblemi, vale a dire gesti con un netto significato convenzionale e traducibile a pa-
role (come la “mano a borsa” che sta per “che vuoi?”);
2
Teorie della psicologia dello sviluppo
e dell'apprendimento
1. Le teorie dell'apprendimento
Le prime teorie sperimentali sull’apprendimento sono state dominate da due
orientamenti, entrambi concentrati sull’osservazione del comportamento (cd. com-
portamentismo), che possono essere indicate come il condizionamento classi-
co (Pavlov) e il condizionamento operante o strumentale (Thorndike e Skin-
ner). Ricordiamo preliminarmente che oggetto di studio del comportamentismo
è solo il comportamento osservabile.
• Il condizionamento classico di Pavlov
La prima di queste impostazioni proviene dagli studi del fisiologo russo Ivan Pa-
vlov (1849-1936); la seconda deriva dal lavoro di Edward Lee Thorndike e Bur-
rhus Skinner.
Il paradigma del condizionamento classico di Pavlov è noto: uno “stimolo incon-
dizionato” (SI) (per esempio, un pezzo di carne), inserito nella bocca di un cane,
determina automaticamente un flusso di saliva, cioè un “riflesso incondizio-
nato” o “risposta incondizionata” (RI). Si definisce in questo modo qualsiasi ri-
sposta che dipende solo dalle condizioni naturali dell’individuo.
Ad esempio, uno stimolo “neutro” (per esempio, il suono di un campanello), che
normalmente non determina il flusso di saliva, viene presentato poco prima del-
la somministrazione del cibo. Dopo varie presentazioni dei due stimoli posti in
successione, otteniamo che lo stimolo neutro (il suono del campanello) determi-
na la risposta incondizionata (la salivazione) anche in assenza dello stimolo in-
condizionato (il cibo).
La nuova risposta viene definita “riflesso condizionato” o “risposta condiziona-
ta” (RC), poiché non è spontanea ma indotta, quindi frutto di un apprendimento.
Il condizionamento consiste, dunque, in un processo di sostituzione dello stimo-
lo, per cui uno stimolo neutro diventa capace di produrre la risposta originaria-
mente prodotta dallo stimolo incondizionato. Esso avviene per via associativa: è
l’associazione tra i due stimoli che produce il condizionamento.
• Il condizionamento “operante” (o “strumentale”)
Nel condizionamento operante (o “strumentale”) gli esperimenti sono stati
condotti su animali di cui, prima veniva osservato il comportamento spontaneo
e poi, in un secondo tempo, venivano offerti premi o somministrate punizioni al
fine di ottenere una data risposta. I due principali studiosi del condizionamento
operante furono Thorndike e Skinner.
Lo psicologo americano Edward Thorndike (1874-1949) studiò l’apprendimen-
to per prove ed errori, ovvero notò che, procedendo per tentativi finché non si
trova il comportamento giusto, si tende poi a ripeterlo.
Thorndike pose un gatto in una gabbia (che egli chiamò puzzle-box) piena di leve
e di pulsanti, ma solo uno di questi consentiva all’animale di uscire e di raggiun-
gere il cibo. In un primo tempo, in gatto si agitava forsennatamente fino a tocca-
re per caso la leva che gli permetteva di aprire la gabbia. Dopo una serie di vol-
te in cui lo psicologo faceva ripetere all’animale lo stesso esperimento, il gatto
impiegava sempre meno tempo a trovare la leva giusta. Thorndike arrivò così a
formulare la legge dell’effetto, secondo la quale si tende a ripetere quei com-
portamenti che producono un risultato vincente, cioè funzionale al nostro scopo.
4. Cognitivismo e Costruttivismo
Il cognitivismo è una corrente della psicologia che studia i processi mentali con-
siderandoli simili ai processi di elaborazione dell'informazione, simili cioè ad un
software che elabora le informazioni ricevute (input) restituendo conoscenza (ou-
tput). Il costruttivismo è considerato una corrente del cognitivismo, anche se non
tutti (Kelly) sono concordi con questa classificazione.
Se il comportamentismo prendeva in considerazione solo il comportamento os-
servabile dal soggetto, questo sistema teorico ed applicativo considera l’uomo nel-
la sua complessità e multidimensionalità e ne valuta sia i comportamenti esplici-
ti sia i processi motivazionali e conoscitivi (linguaggio, immaginazione, emozio-
ne ecc.). Si tratta di un modello che intende l’apprendimento come un proces-
8. L'Attivismo: J. Dewey
Il bambino si modifica incessantemente fin dalla fase del suo concepimento. Al-
cune trasformazioni riguardanti sia la struttura fisica che il modo di comportar-
si dipendono strettamente ed unicamente dal processo di crescita (maturazione
biologica). Un bambino di 3-4 anni, ad esempio, solo in virtù del suo sviluppo fisi-
co, riesce ad afferrare facilmente un oggetto posto su un tavolo che appena pochi
mesi prima non riusciva a prendere, perché non era ancora sufficientemente alto.
Nella maggior parte dei casi, però, le modificazioni del comportamento sono la
conseguenza di una serie di tentativi che man mano diventano sempre più riu-
sciti, ovvero conseguono da esperienze ripetute, come accade, ad esempio, quan-
do il bambino impara a camminare o a parlare. Ovviamente, affinché il bambino
possa imparare a camminare o a parlare, è necessario che il livello di maturazio-
ne della struttura ossea e muscolare, nel primo caso, e delle corde vocali e dell’ap-
parato fonatorio in genere, nel secondo caso, sia adeguato alle esigenze della de-
ambulazione e della emissione di suoni articolati. Anche questo, però, non è an-
cora sufficiente: infatti, se un bimbo non compie tentativi reiterati, magari aiuta-
to anche dai genitori, non diventerà capace di camminare, così come, allo stesso
modo, non apprenderà mai a parlare se non sarà stato immesso in un ambiente
di parlanti, cioè se non avrà sentito parlare intorno a sé.
È dunque possibile definire l’apprendimento come un cambiamento delle at-
titudini e delle capacità umane che non si può attribuire semplicemente al
processo di crescita. Questo cambiamento si manifesta come modifica del com-
portamento, al punto che l’apprendimento può essere verificato solo dopo aver
confrontato le prestazioni di cui era capace un individuo, prima di essere posto
in una “situazione di apprendimento”, con il comportamento e le prestazioni che
l’individuo stesso può eseguire dopo il periodo di apprendimento.
Tuttavia, bisogna riconoscere che non sempre la prova di un apprendimento è fa-
cilmente osservabile; infatti, la modifica del comportamento a seguito di un ap-
prendimento si manifesta chiaramente solo quando il soggetto ha imparato a fare
qualcosa che prima non sapeva fare. Non vi è dubbio che l’esperienza diretta sia
la prima ed insostituibile fonte di apprendimento: in un certo senso, i nostri pri-
mi insegnanti sono i nostri sensi, le nostre mani, i nostri piedi. C’è dunque da me-
ravigliarsi che una così evidente verità sia riuscita ad informare la prassi scola-
stica solo con notevole ritardo.
A partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento ha avuto larga diffusione, nelle isti-
Per Vygotskij l’interazione tra individuo e ambiente avviene attraverso due tipi
di strumenti:
— strumenti materiali, consistenti in oggetti più o meno complessi di cui l’in-
dividuo si serve per entrare in contatto con l’ambiente, costituito da elementi
sia fisici che umani;
— strumenti psicologici, a loro volta rappresentati dal linguaggio, da sistemi di
numerazione e di calcolo, dalla scrittura, dall’arte ecc.
Tali strumenti, insieme all’interazione con i propri simili, mettono il soggetto in
condizione di sviluppare funzioni psichiche elevate, fra cui:
— il ragionamento;
— la volontà;
— il pensiero e la memoria logica;
— i concetti astratti;
— le capacità progettuali in rapporto al raggiungimento di un obiettivo.
Le funzioni psichiche superiori dipendono in prima istanza dallo sviluppo storico
delle società umane, piuttosto che dall’evoluzione biologica della specie o dell’in-
dividuo stesso. Vygotskij sostiene che le interazioni sociali consentono e determi-
nano nell’individuo l’acquisizione di quegli strumenti culturali, materiali e psico-
logici che sono alla base dello sviluppo, il quale procede in rapporto alla legge di
sviluppo delle funzioni psichiche superiori.
Secondo questa legge l’individuo si serve delle funzioni psichiche superiori in due
modalità differenti, una propedeutica all’altra:
— nel primo caso ne fa un uso interpsichico, ovvero in relazione ad attività in-
terpersonali;
— successivamente, quando avrà interiorizzato tali strumenti, ne farà un uso in-
trapsichico, ovvero legato al dialogo interno volto ai fini più disparati, come
la progettazione, la riflessione, il ragionamento astratto ecc.
Questi due livelli individuati da Vygotskij nello sviluppo delle funzioni psichiche
superiori riguardano lo sviluppo di tutte le abilità che il soggetto acquisisce nel
corso della propria vita, cosicché è possibile distinguere:
— un livello attuale, rappresentato dai comportamenti che il soggetto ha già ap-
preso e interiorizzato;
— un livello potenziale, consistente in capacità ancora latenti o in formazione
che possono trovare concretezza solo attraverso il supporto dell’interazione
sociale.
• Anna Freud
Una delle opere più importanti per la psicoanalisi infantile della studiosa viennese Anna
Freud (1895-1982), figlia di Sigmund Freud e ideale continuatrice della sua opera, è L’Io e
i meccanismi di difesa (1936), in cui vengono approfonditi i contenuti dell’Io in rapporto
alle domande pulsionali e alle attività difensive.
Le misure difensive legate al Super-io, tipiche delle nevrosi degli adulti, scaturiscono dalle
proibizioni del Super-io e dal suo ruolo di controllo dei desideri pulsionali. Le misure difen-
sive connesse all’angoscia del reale, propri delle nevrosi infantili, nascono dall’incapacità
del bambino di fronteggiare le difficoltà che derivano dal mondo esterno.
L’autrice sostiene che la linea evolutiva tipica di un individuo è costituita da otto fasi evolu-
tive, lungo un percorso di base che va dalla dipendenza totale dell’infante dalla madre alla
relativa indipendenza del giovane adulto. Ciò che segna in senso normale o patologico lo
sviluppo del bambino sono le effettive situazioni nelle quali si svolge il rapporto del bambi-
no con il mondo. Lo sviluppo di ogni bambino è contrassegnato da momenti e percorsi ti-
pici e problematici che riflettono l’intreccio di vari fattori interni ed esterni.
3
Sviluppo psicologico
e apprendimento
Quelle che abbiamo esposto nel capitolo precedente sono solo alcune delle teo-
rie che nel tempo si sono succedute nell'ambito della psicologia dello sviluppo e
dell'educazione.
Tali teorie che spesso sono influenzate da approcci medico-scientifici (si pen-
si all'influenza di alcune terie psicoanalitiche che abbiamo appena accennato o
dell'evoluzione degli studi del cervello, che si sono succeduti nel tempo).
Esse rimangono però a livello teorico. Cercheremo in questo capitolo di trarre al-
cune conclusioni di carattere pratico e utili per poter affrontare poi lo studio degli
stili di apprendimento e delle pratiche didattiche che interessano maggiormente
la professionalità del docente.
Per ciò che riguarda la formazione della personalità questo periodo è molto
importante, in quanto il bambino che si accinge a fare ingresso nella scuola ele-
mentare (anche se ha già frequentato la scuola dell’infanzia) si trova ad affronta-
re una serie di problemi di adattamento a un nuovo ambiente (la scuola prima-
ria, appunto) che lo obbligano a regolare le proprie azioni sulla dimensione della
personalità dell’insegnante e dei compagni.
Affinché lo sviluppo psichico si realizzi nella forma più completa, è importante
che le nuove persone “autoritarie” (gli adulti che vivono nel mondo della scuola,
Il già citato psicoanalista tedesco Erik Erikson ( Cap. 2, par. 11) attribuisce al
periodo adolescenziale, da lui situato nella fascia d’età compresa tra i 12 e i 20
anni, una valenza fondamentale per lo sviluppo dell’identità personale adul-
ta, sollecitata dall’ambiente che, a partire da questo momento, comincia a chiede-
re al ragazzo comportamenti adulti.
A tale riguardo altri studiosi mettono in evidenza le ambivalenze presenti nella
nostra società, che destabilizzano ulteriormente l’adattamento del soggetto alla
moltitudine dei mutamenti in corso: da una parte, infatti, egli si trova a dover af-
frontare le richieste sociali di assunzione di responsabilità e di autonomia; dall’al-
tra, anche il contesto deve adattarsi a un individuo nuovo e in continua trasforma-
zione e non sempre le cure e il controllo da parte del nucleo familiare o del con-
4
Stili di apprendimento
e pratiche didattiche
2. Stili cognitivi
Per stile cognitivo si intendono le modalità preferenziali con cui gli individui ela-
borano l’informazione nel corso di compiti diversi, quindi lo stile di apprendimen-
to è un aspetto particolare del concetto più ampio di stile cognitivo.
Gli stili cognitivi di ognuno influenzano la strategia adottata per cercare di impa-
rare (il proprio stile di apprendimento) e determinano anche il processo di ac-
quisizione della conoscenza e le probabilità che tale processo abbia successo in
relazione alle caratteristiche del compito.
Lo stile cognitivo tiene conto:
• delle differenze individuali nei principi generali dell’organizzazione cognitiva
(in relazione alla semplificazione e alla coerenza);
• delle diverse tendenze soggettive, internamente coerenti, che quindi non si ri-
feriscono al funzionamento cognitivo generale (per esempio la memoria per
un particolare tipo di esperienze).
Il termine fa riferimento alle differenze di personalità e alle differenze, genetiche
e indotte dall’esperienza, nelle capacità e nel funzionamento cognitivo. Di fatto,
opera una mediazione tra motivazione, emozione e cognizione.
MOTIVAZIONE EMOZIONE
COGNIZIONE
c) stile verbale/visuale
Il soggetto che privilegia un codice verbale riesce a concentrare l’attenzione
sulla esposizione orale, sottolinea mentalmente le frasi e recepisce i messaggi
fondamentali, archiviandoli nella memoria, mentre quello che preferisce uno
stile visuale riceve più facilmente gli stimoli attraverso l’osservazione. Per lui
è essenziale l’utilizzo di diapositive, lavagne luminose, libri e computer.
Stile verbale: l’esposizione dei contenuti privilegia l’uso del codice verbale.
Stile visuale: l’esposizione dei contenuti privilegia l’uso del codice visuale.
d) stile convergente/divergente
Lo stile convergente/divergente è legato al tipo di intelligenza ( par. 7).
Il soggetto dallo stile convergente procede seguendo una logica lineare e con-
venzionale diretta verso una risposta unica e prevedibile.
Il soggetto divergente, invece, sviluppa l’informazione in modo autonomo e cre-
ativo, elaborando diverse risposte.
Stile convergente: i diversi problemi e le differenti questioni sono corredati da
una o più soluzioni preferenziali.
Stile divergente: i diversi problemi e le differenti questioni sono corredati da
soluzioni alternative.
e) stile risolutore/assimilatore
Chi adotta uno stile risolutore preferisce l’azione e la concretezza nell’affron-
tare un problema e cerca di ottenere soluzioni soddisfacenti con il minimo di-
spendio di tempo e risorse, trovando nelle informazioni già in suo possesso
ciò che serve a risolvere la necessità contingente, mentre chi adotta uno stile
assimilatore privilegia la ricerca di soluzioni articolate, non necessariamente
di utilità pratica e non limitate alla necessità contingente.
Stile risolutore: il percorso è sviluppato in modo non elaborato.
Stile assimilatore: il percorso è sviluppato in modo elaborato ed articolato.
f) stile sistematico/intuitivo
Lo stile sistematico/intuitivo considera il modo in cui un soggetto giunge all’in-
dividuazione di una regola o di un criterio di classificazione.
Il soggetto sistematico procede gradualmente prendendo in esame le variabi-
li una ad una, in modo elaborato, lento, consapevole. Il soggetto intuitivo pro-
cede per ipotesi che cerca di confermare o di confutare, è più rapido ed imme-
diato.
Stile sistematico: ogni percorso fornisce il completo processo concettuale ne-
cessario a comprendere un argomento specifico.
Stile intuitivo: ogni percorso si basa su programmi di simulazione relativi a
concetti chiave della disciplina.
6. Costruttivismo e Sociocostruttivismo
Kelly è considerato uno dei padri fondatori del costruttivismo (insieme a Piaget e
Vygotskij Cap. 2, par. 4 e ss.): secondo questa teoria, l'apprendimento è influen-
zato da una serie di interrelazioni tra l'individuo e l'ambiente in cui vive e opera.
La conoscenza non viene quindi trasmessa, ma “costruita” creativamente da cia-
scun individuo in base al contesto in cui avviene l'apprendimento. Un'evoluzione di
9. Neuroscienze e apprendimento
Alla base delle neuroscienze c’è il riconoscimento dell’interazione tra discipline
apparentemente distanti, quali la biologia e la psicologia. In effetti, tra le scienze
umane, la biologia è quella che maggiormente aiuta a riflettere sul concetto di na-
tura e, di conseguenza, sul tema dell’interazione tra uomo e ambiente.
Alcuni antropologi, come Arnold Gehlen (1904-1976), hanno definito l’uomo
come un «animale indebolito», cioè dotato di un insufficiente corredo istintua-
le e quindi bisognoso di un surplus di sforzo cognitivo per adeguarsi al mondo. Da
questo punto di vista, l’essere umano, a differenza dell’animale, vive una neces-
sariamente una condizione di forte mediazione cognitiva e simbolica con l’am-
biente circostante: il suo rapporto con il mondo non è un processo spontaneo, in-
nato e dominato dall’istinto come per gli animali. Piuttosto, esso è sempre l’esito
di un lungo processo di apprendimento e di sviluppo delle capacità cognitive.
Di fronte alla sua insufficienza biologica, dunque, l’uomo può contrapporre una im-
pressionante capacità di adattamento che gli proviene dallo sviluppo dei processi
psichici superiori (pensiero, memoria, linguaggio) dalla sua attitudine tecnica, che gli
permette di intervenire sul mondo e di modificarlo. In questo senso, la specie umana
è quella che è maggiormente segnata dal fenomeno dell’apprendimento (uno scim-
panzé esaurisce nel giro di pochi mesi la propria maturazione cerebrale con un rad-
doppiamento del peso del cervello, mentre lo sviluppo cerebrale umano dura per ol-
tre quindici anni, e il peso del cervello aumenta di cinque volte rispetto alla nascita).
Questi dati di fatto pongono alla pedagogia l’evidenza di tre punti di riflessione
relativi all’interazione tra natura e tecnica:
— la natura umana in quanto caratterizzata dalla capacità tecnica;
— la trasformazione della natura umana rispetto alla tecnica (si pensi a come
l’invenzione della scrittura, della stampa e dei media in genere influiscano sul-
lo sviluppo delle capacità cognitive, logiche, audio-visive);
— il rischio di sopraffazione della tecnica sul mondo naturale.
5
Relazione educativa
e apprendimento
1. LA RELAZIONE EDUCATIVA
I motivi per i quali le persone si relazionano tra loro sono molteplici, ma probabil-
mente la spinta a stabilire delle relazioni è insita nella natura stessa dell’uo-
mo (basti pensare alla capacità tipica dell’essere umano: il linguaggio): la singola
persona si riconosce solo in riferimento all’altro, e attraverso l’incontro con l’al-
tro viene sottolineata la sua unicità e la sua differenza. Oltre alla relazione “io-tu”,
“io-mondo”, è da considerare anche la relazione dell’io con se stesso, con il suo
corpo, la sua mente, le sue emozioni ecc.
Ogni individuo è organizzato, anch’esso, in un sistema dinamico in cui i diversi li-
velli e parti, il corpo, i comportamenti, la comunicazione, le funzioni cognitive, le
emozioni, sono in relazione/interazione tra loro e questo sistema così complesso, a
sua volta, è continuamente in relazione/interazione con il mondo e con gli altri in-
dividui. L’identità personale, ciò che noi pensiamo di noi stessi e ciò che pensiamo
che gli altri pensino di noi, viene a costruirsi, pezzo dopo pezzo, in tutti gli scambi
di parole e di azioni che abbiamo con gli altri esseri umani. In tal senso è palese che
l’identità di ognuno si forma in virtù della relazione, del vincolo e dei condiziona-
menti che si stabiliscono sia con gli altri individui sia con l’ambiente che ci circonda.
Ogni relazione implica dunque uno scambio, un’interazione, o meglio sempre una
comunicazione: dell’io con se stesso, dell’io con l’altro, dell’io col mondo.
È impossibile separare la relazione dalla comunicazione ( Parte IV, Cap. 1).
La teoria dei sistemi suggerisce che la comunicazione stessa funziona come un si-
stema, come un insieme di elementi e processi che si influenzano a vicenda. Ogni
segmento comunicativo diviene comprensibile solo se considerato nella rete di
segmenti comunicativi di cui fa parte.
Paul Watzlawick, studioso dell’approccio sistemico e della pragmatica della comu-
nicazione umana, ha dichiarato che non si può non comunicare. La comunica-
zione è intesa come comportamento, perché ogni comportamento umano comu-
nica qualcosa: le parole, la mimica, i gesti, le posizioni, le azioni ecc.
Tutto il comportamento umano è comunicazione e tutta la comunicazione
influenza il comportamento umano.
Secondo Watzlawick, la relazione è un sistema dove i comportamenti sono circolari:
non è possibile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto, cosa viene prima e cosa
dopo. Ogni comportamento è, insieme, azione e risposta a un altro comportamento.
Per il sociologo polacco Zygmunt Bauman «il fallimento di una relazione è quasi
sempre un fallimento di comunicazione». Uno dei prerequisiti di un buon comu-
nicatore è la sua capacità di saper ascoltare. L’ascolto attivo si pone alla base di
ogni relazione positiva tra persone. Tale abilità comunicativa si fonda sull’empa-
tia, sull’accettazione, sulla creazione di un clima non giudicante e valuta la comu-
nicazione non verbale oltre a quella verbale.
La relazione educativa, la relazione tra insegnante e allievo, rappresenta quin-
di un elemento fondamentale e condizionante il processo educativo. Ma per com-
prenderne la dinamica interattiva dobbiamo riferirci alla teoria sistematica.
Sistemi/in- Contesto
Scuola, famiglia… Relazioni tra
fluenze esterne sociale
microsistemi
1
Costituzione e scuola
1. La Costituzione italiana
La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato. Essa contiene le norme e i prin-
cipi relativi all’organizzazione e al funzionamento degli organi dello Stato, nonché
le norme riguardanti i diritti e i doveri fondamentali dei cittadini.
La Costituzione italiana fu approvata dall’Assemblea costituente il 22/12/1947
ed è entrata in vigore il 1 gennaio 1948. È una costituzione lunga perché, oltre
alla norme sull’organizzazione statale, contiene i principi fondamentali che de-
vono ispirare l’azione dei cittadini e dei pubblici poteri. È, inoltre, un costituzio-
ne rigida, ossia non può essere modificata da una semplice legge ordinaria, ma
solo attraverso un procedimento legislativo (detto aggravato) particolarmente
lungo e articolato.
3. Libertà di insegnamento
Il comma 1 dell’art. 33 Cost. stabilisce che «L’arte e la scienza sono libere e libe-
ro ne è l’insegnamento». I termini «arte» e «scienza» devono essere intesi nell’ac-
cezione più ampia possibile, in modo da abbracciare qualunque manifestazione
dello spirito compatibile con l’insegnamento. Secondo la comune accezione, la li-
bertà di insegnamento dei docenti si specifica ulteriormente nella:
— libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione;
4. Autonomia didattica
La libertà nell’insegnamento si estrinseca relativamente all’aspetto del metodo e
dei contenuti, nella cosiddetta autonomia didattica.
L’art. 1 del Testo unico Scuola (D.Lgs. n. 297/1994) stabilisce appunto che «ai do-
centi è garantita la libertà d’insegnamento intesa come autonomia didattica e come
libera espressione culturale del docente» e che «l’esercizio di tale libertà è diretto a
promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena forma-
zione della personalità degli alunni».
L’insegnamento può essere impartito in qualsiasi luogo, anche isolatamente, sia ai gio-
vani che agli adulti; non è neanche necessario che si rivolga ad una categoria differen-
ziata di soggetti o che questi siano in rapporto di subordinazione rispetto al docente.
La libertà di insegnamento, come tutte le libertà, ha dei limiti. Restano escluse da
tutela tutte le manifestazioni propagandistiche di tesi o teorie che non ricevono
alcuna garanzia costituzionale. Nell’area di garanzia della libertà d’insegnamento
non può essere compresa neanche l’espressione di convinzioni personali opinabi-
li e arbitrarie, bensì solo l’esposizione di argomenti attuata con metodo scientifico.
L’insegnamento, inoltre, in qualunque ambito venga esercitato, deve sempre ri-
spettare, quale limite alla sua libera esplicazione, il rispetto del buon costume,
dell’ordine pubblico, della pubblica incolumità.
Nell’ambito dei comportamenti contrari al buon costume vi si possono far rientra-
re tutti quegli atti o fatti che in un dato momento storico suscitano scandalo o allar-
me sociale, violando il comune senso del pudore o la coscienza collettiva. Il rispetto
dell’ordine pubblico si traduce nel divieto di introdurre in aula elementi di turbati-
va sociale e di propaganda sovversiva per le istituzioni dello Stato. Per quanto con-
cerne invece il limite della pubblica incolumità, esso attiene a quelle attività pratiche
tecniche o di laboratorio e che, nel momento in cui vengono svolte senza le normali
cautele, possono essere pregiudizievoli per l’integrità fisica e la salute degli alunni.
2
Ordinamento costituzionale:
elementi fondamentali
• Governo
Il Governo è l’organo supremo del potere esecutivo, la sua principale funzione è quella di
indirizzo politico. In alcuni casi ha anche limitata funzione legislativa (decreti legge e de-
creti delegati par. 2). È formato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (nominato dal
Presidente della Repubblica) e dai Ministri (art. 92, comma 2, Cost.).
In Italia, non essendo prevista l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, la scelta del
Capo del Governo è demandata al Presidente della Repubblica che è chiamato, attraverso
una serie di consultazioni, a trovare e designare un leader (non necessariamente membro
del Parlamento) in grado di aggregare e guidare un Governo che goda della fiducia delle Ca-
mere. Negli ultimi anni è stato sempre nominato Capo del Governo il leader del polo (o del
partito) che ha vinto le elezioni e che, quindi, può contare sulla maggioranza in Parlamento.
Dopo la nomina da parte del Capo dello Stato, il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri
prestano giuramento. Dopo di che il Governo deve, entro dieci giorni dalla formazione, pre-
sentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, vale a dire l’atto di gradi-
mento politico con cui il Parlamento aderisce al programma dell’esecutivo. Se viene meno la
fiducia parlamentare (ad esempio in seguito a una mozione di sfiducia), il Governo decade.
A capo del Governo, vi è dunque il Presidente del Consiglio dei Ministri che dirige la poli-
tica generale del Governo, nomina i Ministri ed è in una posizione di supremazia rispetto a
questi: da ciò deriva che le dimissioni del Presidente del Consiglio implicano automatica-
mente le dimissioni di tutti gli altri membri del Governo.
• Magistratura
La giurisdizione è una delle tre funzioni tipiche in cui si esplica la sovranità dello Stato (in-
sieme a funzione legislativa e funzione esecutiva) e consiste nella potere diretto ad appli-
care ad una determinata controversia le norme stabilite dal potere legislativo, imponen-
done a tutti il rispetto.
L’organo costituzionale titolare del potere giurisdizionale è la magistratura, ossia il com-
plesso dei giudici civili, penali e amministrativi. La magistratura costituisce un ordine auto-
nomo e indipendente da ogni altro potere. Per assicurare l’indipendenza dei giudici è sta-
to istituito un apposito organo (Consiglio Superiore della Magistratura) che sovraintende
alla carriera dei magistrati, sottraendoli ad ogni controllo estraneo.
Nell’ambito del sistema giurisdizionale italiano si distingue tra:
— giurisdizione ordinaria che è esercitata dai magistrati ordinari, per tutte le controver-
sie che la legge non affidi a giudici speciali;
— giurisdizione speciale che è, invece, quella cui sono devolute soltanto determinate ma-
terie espressamente indicate dall’ordinamento.
La giurisdizione ordinaria si distingue in:
— giurisdizione penale, che è preposta all’attuazione delle norme penali, le quali si con-
traddistinguono per il fatto che sono munite di sanzione penale (reclusione, multa, ar-
resto ecc.);
— giurisdizione civile, che ha ad oggetto tutte le controversie tra privati per la tutela dei
propri diritti (si pensi alle controversie condominiali, a quelle matrimoniali per ottenere
il divorzio o la separazione, l’adempimento di un contratto, l’adozione di un minore ecc.).
Giudice di primo grado ordinario è il Tribunale (e per certe controversie il Giudice di Pace).
Le sentenze del Tribunale possono essere impugnate in appello davanti alla Corte di ap-
pello. Esiste la possibilità di un terzo grado di giudizio impugnando la sentenza di appello
in Corte di Cassazione.
Nell’ambito della giurisdizione speciale rientra invece la giurisdizione amministrativa, che
ha ad oggetto le controversie tra privati e Pubblica Amministrazione. La giurisdizione am-
8. Regioni
Mentre lo Stato, che è l’ente pubblico per eccellenza, ha competenza su tutto il ter-
ritorio nazionale, numerosi sono gli enti territoriali che operano invece, nell’am-
bito di un territorio circoscritto, per perseguire fini istituzionali che rientrano in
tale territorio. Tra questi vi sono le Regioni, le Province, i Comuni e le Città me-
tropolitane (art. 114 Cost.).
Nel nostro ordinamento esistono due tipi diversi di Regione: le Regioni a Statu-
to ordinario, disciplinate uniformemente nel Titolo V della Costituzione, e le Re-
gioni a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e
Friuli-Venezia Giulia), cui l’art. 116 Cost. assicura condizioni particolari d’autono-
mia secondo Statuti adottati con leggi costituzionali.
Le Regioni, ordinarie e speciali, godono di autonomia legislativa (art.117 Cost.) e
ciò pone l’ente Regione in una posizione primaria e sovraordinata rispetto a Pro-
vince e Comuni, titolari di potestà normativa limitata al solo ambito statutario.
Con la legge cost. n. 3 del 18 ottobre 2001 è stata riformata la parte della Costi-
tuzione riguardante il sistema delle autonomie locali e dei rapporti con lo Stato.
In particolare l’art. 117 Cost. ha fissato le competenze dello Stato e delle Regioni,
consentendo a queste ultime di legiferare autonomamente in alcuni ambiti di le-
gislazione concorrente con lo Stato.
L’art. 117 Cost. attribuisce infatti allo Stato una potestà legislativa esclusiva su
alcune materie (ad es. difesa, forze armate, moneta, immigrazione, cittadinanza,
giurisdizione, norme generali sull’istruzione etc.), che sono considerate di tale
importanza da richiedere una uniforme disciplina nazionale.
In altre materie (ad es. tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnolo-
gica, porti e aeroporti civili, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia etc.)
è prevista una legislazione concorrente fra Stato e Regione: in tal caso la leg-
ge regionale deve rispettare i principi generali fissati dallo Stato (mediante le cd.
«leggi quadro» o «leggi cornice») senza poterli derogare.
In tutte le altre materie non espressamente menzionate nell’art. 117 Cost. la Re-
gione può esercitare la potestà legislativa esclusiva (legislazione residuale del-
la Regione).
In materia di istruzione l’art. 117 Cost. prevede la potestà legislativa esclusiva del-
lo Stato in tema di norme generali (es. la definizione degli ordinamenti scolasti-
ci, gli ordini e i gradi delle istituzioni scolastiche, la durata della scuola dell’obbli-
go, la disciplina degli esami di Stato, la disciplina che regola lo stato giuridico del
docente sono regolati da leggi dello Stato). L’art. 117 Cost. attribuisce alle Regio-
ni la competenza legislativa esclusiva sul sistema di istruzione e formazione
3
Le riforme della scuola
e la legge 107/2015
La scuola è sempre stata al centro dell’attenzione del nostro legislatore, per adat-
tare il sistema istruzione e l’accrescimento culturale delle nuove generazioni al
mutare del mondo e delle esigenze sociali. I provvedimenti che si sono succeduti
dall’unità d’Italia in poi sono stati numerosissimi. Qui di seguito proponiamo una
carrellata sintetica dei principali.
3. La scuola democratica
• Anni ’50 – ’60
Con la Costituzione del 1948, la neonata Repubblica Italiana opera una scelta a favore di
una scuola democratica. In particolare alcuni articoli sono dedicati all’istruzione, conside-
rata uno dei fini di benessere perseguiti dallo Stato.
Il primo importante provvedimento strutturale in materia scolastica, in un’Italia che da pa-
ese agricolo si trasformava in paese industriale, è la legge n. 1859 del 1962, che istituì per
la prima volta la scuola media unica e obbligatoria, che permetteva l’accesso a tutte le
scuole superiori, dando attuazione al principio costituzionale dell’obbligatorietà e gratuità
dell’istruzione impartita per almeno otto anni (cioè dal 6º al 14º anno d’età).
La legge n. 444 del 1968, che istituì poi la scuola materna statale come settore formativo
triennale a sé stante, che «accoglie bambini nell’età prescolastica dai tre ai sei anni e si pro-
pone fini di educazione e di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazio-
ne alla scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia». Il carattere statale della scuo-
la materna ne sottolineava la gratuità, mentre fino ad allora l’istruzione prescolastica era
stata affidata a enti locali, ecclesiastici e non, oppure a privati ed era spesso a pagamento.
Nel 1969 (L. 910/1969) fu poi approvata la legge sul riordinamento degli esami di Stato di
maturità (esame con 2 prove scritte e un orale su due materie scelte dallo studente) e si
aprirono tutte le facoltà a tutti i diplomati.
1. L’autonomia scolastica
Come abbiamo visto, l’attuazione dell’autonomia finanziaria, organizzativa e di-
dattica delle istituzioni scolastiche costituiva, nella dichiarazione d’intenti posta
in apertura dell’art. 21 della legge 59/1997 (Legge Bassanini), il percorso ob-
bligato che il legislatore doveva seguire per realizzare una riforma della scuola in
termini di modernità ed efficienza.
Con questa riforma si optava per un sistema organizzativo non piramidale ma di
tipo orizzontale, nel quale la scuola cessava di essere il terminale passivo di nor-
me, circolari e regolamenti, e diventava un centro di erogazione di servizi, un sog-
getto protagonista in grado di progettare, programmare percorsi didattici, elabo-
rare nuovi metodi e, infine, ottemperare ai compiti di ricerca e sperimentazione.
Elemento centrale e qualificante del suddetto art. 21 era rappresentato dalla co-
dificazione dei princìpi, in passato oggetto di aspre discussioni, di autonomia or-
ganizzativa e didattica, i quali si sono concretizzati nel potere, attribuito al capo
d’istituto dalle determinazioni degli organi collegiali, di:
— organizzare l’offerta di servizi didattici diversi (da somministrare anche in ora-
ri differenziati);
— introdurre nuove tecnologie;
— predisporre corsi extracurricolari finalizzati sia a raccordare la formazione
scolastica dello studente con il mondo del lavoro, sia ad attribuire un’istru-
zione agli adulti.
Per dare attuazione all’art. 21 della legge Bassanini fu emanato il D.P.R. 8 marzo
1999, n. 275 che analizzeremo nei paragrafi seguenti.
In particolare l’autonomia didattica si sostanzia nella scelta libera e programma-
ta di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adot-
tare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni ini-
ziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l’eventuale offerta di
insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze for-
mative degli studenti.
Con il riconoscimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche vennero meno
i Programmi nazionali, sostituiti da un lato con Indirizzi o Indicazioni nazionali e
orientamenti pensati per i vari ordini e gradi di scuola, allo scopo di indirizzare la
progettazione didattico-formativa; dall’altro con il curricolo didattico elaborato
dalle scuole all’interno del Piano dell’offerta formativa (POF, ora PTOF).
Spetta, infatti, alle singole istituzioni scolastiche autonome definire e attuare un
curricolo di scuola, da intendersi come sintesi progettuale e operativa delle con-
dizioni pedagogiche, organizzative e didattiche che consentono di realizzare un
insegnamento efficace e adeguato agli alunni.
Il Piano dell’Offerta formativa (ora PTOF) è invece il documento attraverso il
quale ogni singola scuola rappresenta la propria identità culturale e progettuale
delineando gli itinerari curricolari, extracurricolari ed educativi conformi all’indi-
rizzo degli studi e alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico del-
la realtà locale in cui opera.
Il processo autonomistico delle istituzioni scolastiche avviatosi con la legge
59/1997 è stato seguito, oltre che dal D.P.R. 275/1999, dalla legge cost. n. 3 del
18 ottobre 2001, di riforma federale dello Stato, che ha offerto un referente nor-
mativo al processo distributivo delle competenze fra gli organi dell’amministrazio-
ne diretta dello Stato, le istituzioni scolastiche e le autonomie territoriali, ricompo-
nendo i tasselli di un unico disegno riformatore, nel quale «le scuole, riducendosi il
rapporto unidirezionale con il Ministero e con le sue direttive, possono per alcuni ver-
si e debbono, per altri, far ricorso alle realtà vicine e, tra tutte, agli enti territoriali,
soggetti di competenze sull’istruzione nuove e di qualità diversa dalle precedenti».
Emerge da queste considerazioni un rinnovato sistema formativo nazionale nel
quale i principali attori sono:
— lo Stato;
— le Regioni;
— i Comuni e le Province;
— le istituzioni scolastiche autonome.
L’art. 117 Cost. sancisce così l’autonomia delle istituzioni scolastiche. A tale ri-
guardo le singole scuole e le loro reti hanno facoltà di prendere decisioni autono-
me in materia didattica, organizzativa e di sperimentazione, ricerca e svilup-
po, nel rispetto delle norme nazionali e regionali. Alle università e alle istituzio-
ni di alta cultura la Costituzione (art. 33) attribuisce un grado di autonomia mag-
giore, perché riconosce loro il diritto di darsi ordinamenti autonomi.
Il processo autonomistico che ha coinvolto la pubblica amministrazione e la scuo-
la nell’ultimo ventennio ha trovato il proprio fondamento nei cambiamenti che at-
traversano la società attuale. La scuola rappresenta l’organismo istituzionale de-
positario della formazione integrale della persona e, in quanto tale, è chiamata a
predisporre percorsi formativi adeguati alle caratteristiche specifiche dei desti-
natari, in sintonia con le esigenze emergenti dal territorio e con le potenzialità
formative extrascolastiche, tenendo conto cioè delle caratteristiche demografi-
che, economiche e socio-culturali del territorio in cui si innesta, nonché delle pre-
senze e dell’estensione di fenomeni di devianza giovanile e criminalità minorile.
4. L’autonomia finanziaria
L’autonomia finanziaria consiste nella gestione autonoma dei fondi pervenuti
per contributi statali, tasse e contributi degli studenti, più altre forme di autofi-
nanziamento. In tal senso l’art. 21 della legge 59/1997 afferma che la dotazio-
ne finanziaria essenziale delle istituzioni scolastiche è costituita dall’assegnazio-
ne dello Stato per il funzionamento amministrativo e didattico (per es. per l’acqui-
sto dei beni di consumo o strumentali alla didattica).
Le istituzioni scolastiche godono di autonomia contabile, amministrativa e di
bilancio e, sulla base di quanto evidenziato nel D.M. n. 44 del 1° febbraio 2001,
«le risorse assegnate dallo Stato costituenti la dotazione finanziaria di istituto sono
utilizzate senza altro vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimen-
to delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie dell’istituzio-
ne interessata, come previste e organizzate nel Piano dell’offerta formativa, nel ri-
spetto delle competenze attribuite o delegate alle Regioni e agli enti locali dalla nor-
mativa vigente. Le istituzioni scolastiche provvedono altresì all’autonoma alloca-
zione delle risorse finanziarie derivanti da entrate proprie o da altri finanziamenti
dello Stato, delle Regioni, di enti locali o di altri enti, pubblici e privati, sempre che
tali finanziamenti non siano vincolati a specifiche destinazioni».
L’attribuzione senza vincoli di destinazione implica la possibilità di utilizzare la
dotazione finanziaria indifferentemente per spese in conto capitale (riferite a inve-
7. Il curricolo obbligatorio
Nel Piano dell’offerta formativa le scuole determinano il curricolo obbligatorio
per gli alunni (vedi anche amplius Parte III, Cap. 1, par. 3).
Il curricolo è il piano di studi della singola scuola che deve essere elaborato
nel rispetto del monte-ore stabilito a livello nazionale. Può contemplare, oltre alle
discipline fondamentali, discipline alternative integrative. In tal modo ogni scuola
cerca di creare un’offerta formativa diversificata al fine di venire incontro, nel qua-
dro delle disposizioni nazionali e in considerazione della realtà locale, alle aspet-
tative delle famiglie, al contesto sociale e ai bisogni e alle capacità degli studenti.
Così in ogni curricolo c’è una quota obbligatoria di attività e discipline stabilite a
livello nazionale e una quota definita autonomamente da ogni istituto come am-
pliamento dell’offerta formativa.
Anche nella Riforma Gelmini della nuova scuola secondaria di secondo grado
viene prevista una quota obbligatoria nazionale dei curricoli, da integrare con la
quota riservata all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche.
Le scuole possono utilizzare la quota oraria loro assegnata per:
— realizzare compensazioni tra le discipline e le attività di insegnamento previ-
ste dagli attuali programmi;
— attivare ulteriori insegnamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi pre-
visti dal PTOF.
8. Le reti di scuole
Nell’ambito dell’autonomia scolastica le scuole, sia singolarmente che collegate
in rete (Reti di scuole), possono stipulare convenzioni con università statali o
private, con istituzioni, con enti, con associazioni o agenzie operanti sul territorio
che intendono fornire il proprio apporto alla realizzazione di determinati obietti-
vi in relazione alle istanze del territorio (Art. 7 D.P.R. 275/1999).
In base a questa norma le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi
di rete per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali inerenti al poten-
ziamento delle attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di for-
5
Gli ordinamenti didattici
1. Scuola dell’Infanzia
L’ordinamento delle scuole dell’infanzia (chiamate prima della Riforma Moratti,
scuole materne) e del primo ciclo è attualmente disciplinato dal D.P.R. n. 89/2009
(che faceva parte del pacchetto normativo denominato Riforma Gelmini), con il
quale si è provveduto ad introdurre nell’organizzazione e nel funzionamento del-
la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione misure di riorganizzazione e
qualificazione, al fine sia di assicurare migliori opportunità di apprendimento e
di crescita educativa, sia dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione.
La scuola dell’infanzia dura tre anni a la sua frequenza non è obbligatoria; le
sezioni devono essere costituite con un numero di bambini non inferiore a 18 e
non superiore a 26. Le sezioni di scuola dell’infanzia, che accolgono alunni con
disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni, quando il bambino
è un disabile grave.
L’orario di funzionamento della scuola dell’infanzia è stato stabilito in 40 ore set-
timanali, con possibilità di estensione fino a 50 ore. Le famiglie possono chiede-
re la fruizione di un tempo-scuola ridotto, limitato alla sola fascia del mattino, per
complessive 25 ore settimanali. Tali orari sono comprensivi della quota riserva-
ta all’insegnamento della religione.
Le istituzioni scolastiche organizzano le attività educative per la scuola dell’infan-
zia con l’inserimento dei bambini in sezioni distinte a seconda dei modelli-ora-
rio scelti dalle famiglie.
La scuola dell’infanzia accoglie bambini di età compresa fra i tre e i cinque anni,
compiuti entro il 31 dicembre dell’anno scolastico di riferimento. Su richiesta del-
le famiglie sono iscritti alla scuola dell’infanzia le bambine e i bambini che com-
piono tre anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento (con ciò
rendendo definitiva la sperimentazione avviata nel 2006 con le cd. “sezioni pri-
mavera”). Tuttavia, l’inserimento dei bambini ammessi alla frequenza anticipa-
ta può essere disposto solo se ricorrono le seguenti condizioni:
— disponibilità dei posti;
— accertamento dell’avvenuto esaurimento di eventuali liste di attesa;
— disponibilità di dotazioni e locali idonei sotto il profilo dell’agibilità e della fun-
zionalità, tali da rispondere alle diverse esigenze dei bambini di età inferiore
a tre anni;
— valutazione pedagogica e didattica, da parte del Collegio dei docenti, dei tem-
pi e delle modalità dell’accoglienza.
Rimangono, al momento, le cosiddette sezioni primavera con le quali, all’interno
delle scuole dell’infanzia, possono essere istituite delle classi dedicate ai bambini dai
2 ai 3 anni di età (da 24 a 36mesi). Le sezioni primavera, che costituiscono un pon-
te tra l’asilo nido e la scuola dell’infanzia, nascono da un accordo che viene siglato di
anno in anno, in sede di Conferenza unificata Stato, Regioni e Autonomie locali, a cui
seguono a livello locale le intese regionali tra Regione e Ufficio scolastico regionale.
La revisione delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’in-
fanzia e del primo ciclo di istruzione è avvenuta dopo una sperimentazione du-
rata tre anni ed ha portato al regolamento emanato con D.M. 16-11-2012, n. 254
( par. 13), che organizza le attività educative per i bambini di scuola dell’infan-
zia in base a cinque “campi di esperienza”:
— Il sé è l’altro
— Il corpo e il movimento Espansione Web
— Immagini, suoni, colori Indicazioni nazionali della scuola
— I discorsi e le parole dell’infanzia
— La conoscenza del mondo.
Settimanale Annuale
Italiano, Storia, Geografia 15 495
Matematica e Scienze 9 297
Tecnologia 2 66
Inglese 3 99
Seconda lingua comunitaria 2 66
Arte e immagine 2 66
Scienze motorie e sportive 2 66
Musica 2 66
Religione cattolica 1 33
Approfondimento a scelta delle scuole nelle discipline presenti nel
quadro orario 1o2 33/66
Le classi prime delle medie sono costituite, di norma, con un numero minimo di 18
alunni e un numero massimo di 27 (ma possono diventare 28 se ci sono dei resti).
Qualora si formi una sola classe prima, gli alunni possono essere 30. Le classi di
scuola secondaria di primo grado che accolgono alunni con disabilità sono costi-
tuite, di norma, con non più di 20 alunni, qualora si tratti di alunni disabili gravi.
Le Indicazioni nazionali per il curricolo sono quelle prescritte dal decreto n.
254/2012 per il primo ciclo di istruzione.
In tutte le classi della scuola seconda-
ria di primo grado è poi impartito l’in- Espansione Web
Indicazioni nazionali per il curricolo
segnamento della lingua inglese per
del primo ciclo di istruzione
tre ore settimanali e di una seconda
6 Licei
Liceo classico
Liceo scientifico
• con opzione scienze applicate
Liceo linguistico
396 indirizzi sperimentali Liceo artistico (6 nuovi indirizzi):
e • Arti figurative
• Architettura e ambiente
51 progetti assistiti • Audiovisivo e multimedia
dal Miur • Design
• Grafica
• Scenografia
Liceo musicale e coreutico
Liceo delle scienze umane
• con opzione economico-sociale
2 settori e 11 indirizzi
Settore economico (2 indirizzi):
• Amministrativo, finanza e marketing
• Turismo
Settore tecnologico (9 indirizzi):
10 settori • Meccanica, meccatronica ed energia
• Trasporti e logistica
e
• Elettronica ed elettrotecnica
39 indirizzi • Informatica e telecomunicazioni
• Grafica e comunicazione
• Chimica, materiali e biotecnologie
• Sistema moda
• Agraria e agroindustria
• Costruzioni, ambiente e territorio
2 settori e 6 indirizzi
Settore dei servizi (4 indirizzi):
• S ervizi per l’agricoltura e lo svilup-
po rurale
• Servizi socio-sanitari
5 settori • Servizi per l’enogastronomia e l’ospita-
e lità alberghiera
27 indirizzi • Servizi commerciali
Settore industria e artigianato (2 in-
dirizzi):
• Produzioni artigianali e industriali
• Servizi per la manutenzione e l’assi-
stenza tecnica
I percorsi Liceali
• Liceo artistico
Come precisato dall’art. 4 D.P.R. 89/2010, il percorso del liceo artistico è indirizzato allo stu-
dio dei fenomeni estetici e alla pratica artistica. Favorisce l’acquisizione dei metodi speci-
fici della ricerca e della produzione artistica e la padronanza dei linguaggi e delle tecniche
relative. Fornisce allo studente gli strumenti necessari per conoscere il patrimonio artisti-
co nel suo contesto storico e culturale e per coglierne appieno la presenza e il valore nella
società odierna. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abili-
tà e a maturare le competenze necessarie per dare espressione alla propria creatività e ca-
pacità progettuale nell’ambito delle arti.
Il liceo artistico si articola, a partire dal secondo biennio, nei seguenti indirizzi:
a) arti figurative;
b) architettura e ambiente;
c) design;
d) audiovisivo e multimediale;
e) grafica;
f) scenografia.
L’orario annuale delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 1122
ore nel primo biennio, corrispondenti a 34 ore medie settimanali; di 759 ore, corrispon-
denti a 23 ore medie settimanali nel secondo biennio, e di 693 ore, corrispondenti a 21
ore medie settimanali nel quinto anno. L’orario annuale delle attività e degli insegnamenti
di indirizzo è di 396 ore nel secondo biennio, corrispondenti a 12 ore medie settimanali e
di 462 ore, corrispondenti a 14 ore medie settimanali nel quinto anno.
• Liceo scientifico
Il percorso del liceo scientifico (art. 8 D.P.R. 89/2010) è indirizzato allo studio del nesso tra
cultura scientifica e tradizione umanistica; favorisce l’acquisizione delle conoscenze e dei
metodi propri della matematica, della fisica e delle scienze naturali; guida lo studente ad
approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità ed a maturare le competenze neces-
sarie per seguire lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e per individuare le inte-
razioni tra le diverse forme del sapere, assicurando la padronanza dei linguaggi, delle tec-
niche e delle metodologie relative, anche attraverso la pratica laboratoriale.
Nel rispetto della programmazione regionale dell’offerta formativa, può essere attivata,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l’opzione «scienze applicate» che for-
nisce allo studente competenze particolarmente avanzate negli studi afferenti alla cultura
scientifico-tecnologica, con particolare riferimento alle scienze matematiche, fisiche, chi-
miche, biologiche, della terra, all’informatica e alle loro applicazioni.
L’orario annuale delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 891
ore nel primo biennio, corrispondenti a 27 ore medie settimanali, e di 990 ore nel secon-
do biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 30 ore medie settimanali.
Con l’Intesa Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 è stato previsto che presso gli isti-
tuti professionali statali, a cominciare dall’anno scolastico 2011-2012, i ragazzi
6
La governance
delle istituzioni scolastiche
7
Lo stato giuridico del docente
Per “stato giuridico” del docente s’intende la posizione di questo nell’ambito del
rapporto di lavoro e nell’ambito del rapporto con gli alunni nello svolgimento
della funzione didattica: per quanto riguarda il rapporto di lavoro, si fa riferi-
mento alle modalità di reclutamento degli insegnanti, alla formazione degli stessi
(sia a quella “in ingresso”, durante il periodo di prova, sia a quella “in servizio”) e,
in generale, all’intera vita del contratto di lavoro (fino al termine dello stesso); per
quanto riguarda, invece, lo svolgimento concreto della funzione docente, ci si rife-
risce ai diritti conferiti agli insegnanti nello svolgimento della funzione medesima
(es. libertà d’insegnamento ex art. 33 Cost.) nonchè ai doveri su di essi incomben-
ti sia come dipendenti della P. A. “datore di lavoro”, sia nei confronti degli alunni.
Lo stato giuridico del corpo docente è regolato dal T.U. n. 297/1994, da altri
provvedimenti normativi e dal contratto collettivo (CCNL) del comparto Scuola.
1. La funzione docente
L’art. 395, co. 1, D.Lgs. 297/1994 (T.U. delle leggi sull’istruzione) definisce la fun-
zione docente come «esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cul-
tura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei
giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità».
In particolare, il CCNL 2006-2009 (art. 27) precisa che il profilo professionale de-
gli insegnanti è costituito da competenze:
a) disciplinari, consistenti nella padronanza dei contenuti e dei fondamenti del-
le discipline d’insegnamento;
b) psicopedagogiche e metodologico-didattiche, che si esprimono nel posses-
so, da parte del docente, delle capacità di mediatore culturale, in particolare nel-
la scelta dei metodi didattici che, di volta in volta, il docente medesimo ritenga
più opportuni ai fini di un più efficace apprendimento da parte degli alunni;
c) organizzativo-relazionali, che qualificano il docente nella scuola non più
come mero tecnico della disciplina di insegnamento, ma come promotore di
una serie di rapporti: con alunni, colleghi, famiglie e altre realtà educative.
La funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale (libertà
d’insegnamento) dei docenti e si esplica in attività individuali e attività collegiali.
Le attività individuali si suddividono in:
— attività di insegnamento;
— attività funzionali all’insegnamento, come ad esempio la preparazione delle le-
zioni e delle esercitazioni; la correzione degli elaborati; la gestione dei rappor-
ti individuali con le famiglie; la partecipazione alle riunioni del collegio dei do-
centi; attività dei consigli di classe;
— attività aggiuntive, deliberate dal Collegio dei docenti nell’ambito delle risor-
se disponibili che, a loro volta, si distinguono in: attività aggiuntive di insegna-
mento, che possono svolgersi in un arco temporale di 6 ore settimanali sup-
plementari all’orario di cattedra e sono destinate allo svolgimento di interven-
ti didattici ed educativi integrativi; attività aggiuntive funzionali all’insegna-
mento, che consistono nello svolgimento di compiti relativi alla progettazione
e alla produzione di materiali utili per la didattica, con particolare riferimen-
to ai prodotti informatici e nella partecipazione alle riunioni del Collegio dei
docenti, compresa l’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e
l’informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestra-
li e finali e sull’andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle
istituzioni educative quando le predette attività eccedano le 40 ore annue.
La legge prevede alcune situazioni d’incompatibilità tra la funzione docen-
te e altre attività:
— divieto di impartire lezioni private ad alunni della propria scuola o isti-
tuto o a quanti intendono sostenere esami nell’istituto in cui i docenti in og-
getto prestano la loro attività o dove prevedono di recarsi come esaminatori;
inoltre nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia rice-
vuto lezioni private, dunque, sono nulli gli scrutini e le prove d’esame svoltisi
in violazione a tale divieto (art. 508 D.Lgs. 297/1994);
— cumulo di impieghi, che si verifica quando il secondo impiego sia assunto
senza rinunciare al primo. Dunque, l’ufficio di docente non è cumulabile con al-
tro rapporto di impiego pubblico (art. 508 D.Lgs. 297/1994); quindi, il perso-
nale della scuola che assuma altro impiego è tenuto a darne notizia all’Am-
ministrazione e l’assunzione del nuovo impiego implica la cessazione di dirit-
to dell’impiego precedente.
5. La formazione in servizio
La formazione in servizio consiste nel dovere dell’insegnante di sviluppare e mi-
gliorare la propria professionalità e rientra, come accennato, nelle attività funzio-
nali all’insegnamento.
Ai sensi del comma 129 dell’art. 1 della L. 107/2015, questo tipo di formazione è
obbligatoria, permanente e strutturale; inoltre, a differenza della formazione
in ingresso, si svolge fuori dall’orario d’insegnamento; tuttavia, il personale docen-
te può usufruire di 5 giorni per anno scolastico per la partecipazione ad iniziati-
ve di aggiornamento riconosciute dall’amministrazione.
La formazione del docente ha rappresentato nella Buona scuola un passaggio im-
portante, in quanto strettamente legato alla qualità dell’insegnamento e, di con-
seguenza, al merito del docente.
In particolare, l’art. 1, co. 121, della legge 107 in esame prevede l’istituzione della
Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente, del valo-
re nominale di 500 euro all’anno, che può essere utilizzata per l’acquisto di libri e
testi, anche digitali e di supporti informatici e per corsi di aggiornamento, per ini-
ziative coerenti con il Piano triennale dell’offerta formativa, nel rispetto del Pia-
no nazionale di formazione.
Per l’attuazione del Piano di formazione e per l’attuazione delle attività formati-
ve, la L. 107/2015 autorizza la spesa di 40 milioni di euro all’anno, a decorre-
re dal 2016.
11. Le supplenze
Il personale supplente è chiamato all’insegnamento o ad altra funzione nella scuo-
la in sostituzione di dipendenti assenti o per coprire annualmente posti vacanti.
8
Il Sistema Nazionale di Valutazione
2. L’INVALSI
Un ruolo predominante nel SNV è, come abbiamo visto, assegnato all’Istituto Na-
zionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazio-
ne (INVALSI) che opera insieme alle istituzioni scolastiche e formative, nonché
le regioni, le province ed i comuni in relazione ai rispettivi ambiti di competenza:
tali soggetti attivano le opportune procedure atte a favorire l’interoperabilità tra
i loro sistemi informativi al fine di poter scambiare dati ed informazioni riguar-
danti i sistemi di istruzione.
L’INVALSI, che è soggetto alla vigilanza del Ministero dell’Istruzione, dell’Univer-
sità e della Ricerca, è un ente di ricerca che si occupa, come già visto, di:
— effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità de-
gli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni
di istruzione e formazione professionale;
— svolgere attività di ricerca nell’ambito delle sue finalità istituzionali;
— studiare le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica con riferi-
mento al contesto sociale ed alle tipologie dell’offerta formativa;
— assumere iniziative rivolte ad assicurare la partecipazione italiana a progetti
di ricerca europea e internazionale in campo valutativo;
— svolgere attività di supporto e assistenza tecnica all’amministrazione sco-
lastica, alle regioni, agli enti territoriali e alle singole istituzioni scolastiche e
formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio, valuta-
zione e autovalutazione;
— svolgere attività di formazione del personale docente e dirigente della scuo-
la, connessa ai processi di valutazione e di autovalutazione delle istituzioni
scolastiche;
— formulare al Ministro dell’Istruzione proposte per la piena attuazione del si-
stema di valutazione dei dirigenti scolastici;
— realizzare il monitoraggio sullo sviluppo e sugli esiti del sistema di valuta-
zione;
— studiare e predisporre strumenti e modalità oggettive di valutazione degli
apprendimenti e la cura dell’elaborazione e della diffusione dei risultati della
valutazione;
— promuovere periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti che inte-
ressano le istituzioni scolastiche e di istruzione e formazione professionale,
3. L’INDIRE
Anche l’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricer-
ca educativa) è un ente di ricerca (il più antico del MIUR). L’istituto dell’INDIRE
è articolato in 3 nuclei territoriali interregionali con sedi a Torino, Roma e Napo-
li e si raccorda con le Regioni.
L’istituto, quale soggetto promotore di ricerca educativa e di innovazione didatti-
ca nell’ambito del sistema scolastico, ha competenze in materia di:
— formazione del personale docente in direzione del sostegno dei processi
di riforma e della innovazione dei comportamenti professionali nella pratica
educativa;
— formazione del personale non docente e dei dirigenti scolastici per svi-
luppare ambienti di formazione continua per il personale non docente della
scuola e dei dirigenti scolastici, tenendo conto delle specificità delle diverse fi-
gure professionali e dell’evoluzione della normativa che ha impatto sulle fun-
zioni svolte da detto personale;
— utilizzo delle nuove tecnologie per l’innovazione della didattica, soste-
nendone i processi di apprendimento degli studenti e sviluppando specifiche
attività di ricerca per l’innovazione degli ambienti di apprendimento;
— sviluppo della dimensione di collaborazione internazionale delle istitu-
zioni scolastiche ed universitarie, sostenendo, anche attraverso la gestione
dei programmi comunitari, la crescita della dimensione europea del sistema
di istruzione e formazione nazionale, dando a docenti e studenti l’opportuni-
tà di collaborare con realtà analoghe di altri paesi;
— monitoraggio dei principali fenomeni del sistema scolastico italiano e docu-
mentazione dei processi e delle esperienze di innovazione qualitativa e quan-
titativa dei sistemi d’istruzione di primo e secondo grado, post-secondario e
della formazione integrata;
— aggiornamento continuo alle scuole ed agli insegnanti, dirigenti e persona-
le ATA, sulle iniziative di cambiamento e innovazione del sistema scuola.
La funzione dell’INDIRE è, quindi, diversa e articolata: l’Istituto interviene so-
prattutto a supporto dei piani di miglioramento, adottati autonomamente dal-
le singole scuole.
4. La valutazione esterna
La valutazione esterna delle scuole si realizza attraverso le visite dei nuclei
di valutazione costituiti dai dirigenti tecnici, che ne assumono il coordinamento,
e da esperti in materia di valutazione esterna dei sistemi scolastici e/o delle or-
ganizzazioni complesse (iscritti in apposti albi). La restituzione dei risultati del-
le rilevazioni degli apprendimenti presso le singole scuole è oggetto di parti-
colare attenzione da parte dell’INVALSI, in quanto i risultati stessi possono costi-
tuire, unitamente agli altri elementi conoscitivi in possesso delle scuole, la base
per l’avvio dei processi di autovalutazione e di miglioramento per tutte le istitu-
zioni scolastiche.
Viene operato un sempre più stretto collegamento tra gli esiti delle indagini inter-
nazionali e i risultati delle rilevazioni nazionali, soprattutto per fornire un ampio
quadro di sistema sullo stato degli apprendimenti nel nostro Paese.
9
La scuola italiana nell’ambito
del contesto europeo
Diploma accademico MIUR/ Istituti di alta Percorso biennale (120 crediti - CFA)
di secondo livello formazione artistica e
musicale
Master universitario di Percorso minimo annuale (min. 60 credi-
primo livello MIUR/Università ti - CFU)
7 (Percorsi formativi in apprendistato di alta
formazione e ricerca)
Diploma accademico MIUR/Istituti di alta for- Percorso minimo biennale (120 crediti - CFA)
di specializzazione (I) mazione artistica e mu-
sicale
Diploma di perfezio- MIUR/Istituti di alta for- Percorso minimo annuale (min. 60 credi-
namento o master (I) mazione artistica e mu- ti - CFA)
sicale
4. Competenza digitale
Definizione:
la competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tec-
nologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazio-
ne. Essa è supportata da abilità di base nelle TIC: l’uso del computer per reperire, valutare,
conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e par-
tecipare a reti collaborative tramite Internet.
5. Imparare a imparare
Definizione:
Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio
apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia
B. La competenza civica si basa sulla conoscenza dei concetti di democrazia, giustizia, ugua-
glianza, cittadinanza e diritti civili, anche nella forma in cui essi sono formulati nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle dichiarazioni internazionali e nella for-
ma in cui sono applicati da diverse istituzioni a livello locale, regionale, nazionale, europeo
e internazionale. Essa comprende la conoscenza delle vicende contemporanee nonché dei
principali eventi e tendenze nella storia nazionale, europea e mondiale. Si dovrebbe inol-
tre sviluppare la consapevolezza degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti
sociali e politici. È altresì essenziale la conoscenza dell’integrazione europea, nonché del-
le strutture, dei principali obiettivi e dei valori dell’UE, come pure una consapevolezza del-
le diversità e delle identità culturali in Europa.
Le abilità in materia di competenza civica riguardano la capacità di impegnarsi in modo ef-
ficace con gli altri nella sfera pubblica nonché di mostrare solidarietà e interesse per risol-
vere i problemi che riguardano la collettività locale e la comunità allargata. Ciò comporta
una riflessione critica e creativa e la partecipazione costruttiva alle attività della collettività
o del vicinato, come anche la presa di decisioni a tutti i livelli, da quello locale a quello na-
zionale ed europeo, in particolare mediante il voto.
Il pieno rispetto dei diritti umani, tra cui anche quello dell’uguaglianza quale base per la de-
mocrazia, la consapevolezza e la comprensione delle differenze tra sistemi di valori di diver-
si gruppi religiosi o etnici pongono le basi per un atteggiamento positivo. Ciò significa mani-
festare sia un senso di appartenenza al luogo in cui si vive, al proprio paese, all’UE e all’Eu-
ropa in generale e al mondo, sia la disponibilità a partecipare al processo decisionale de-
mocratico a tutti i livelli. Vi rientra anche il fatto di dimostrare senso di responsabilità, non-
ché comprensione e rispetto per i valori condivisi, necessari ad assicurare la coesione della
comunità, come il rispetto dei principi democratici. La partecipazione costruttiva compor-
ta anche attività civili, il sostegno alla diversità sociale, alla coesione e allo sviluppo soste-
nibile e una disponibilità a rispettare i valori e la sfera privata degli altri.
Punto 10 • […]
i. normativa specifica per l’inclusione degli alunni disabili, con disturbi spe-
cifici di apprendimento e con bisogni educativi speciali;
j. Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR prot. n.
4232 del 19-2-2014);
k. Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (nota
MIUR prot. n. 4233 del 19-2-2014);
l. Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati
(nota MIUR prot. n. 7443 del 18-12-2014);
m. Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo
e al cyberbullismo (nota MIUR prot. n. 2519 del 15-4-2015)
Capitolo
1
Le attività di progettazione
e programmazione
1. La programmazione
Per progettazione in ambito didattico, si intende genericamente, l’insieme di
tutte le strategie formative messe in atto dalla scuola nel suo complesso e dal
singolo docente consistenti nella elaborazione di una programmazione atta a
raggiungere determinati obiettivi educativi prefissati – espressi in termini di co-
noscenze e abilità – attraverso l’individuazione di tutte le operazioni e di tutti
gli strumenti necessari.
La progettazione didattica così intesa prende il nome di progettazione per com-
petenze e, superando altri modelli di progettazione didattica ritenuti ormai ina-
deguati, si pone come modello di riferimento nell’attuale sistema scolastico.
In concreto la programmazione si esplica nella elaborazione di tutti i documen-
ti necessari che formalizzano e pubblicizzano tali strategie didattiche. Da questo
punto di vista tutta l’attività di programmazione confluisce poi nel Piano (trien-
nale) dell’offerta formativa ( Parte II, Cap. 4, par. 6) che ogni scuola è tenu-
ta ad elaborare.
La programmazione è dunque un obbligo di legge nel nostro sistema scolasti-
co, previsto al fine di razionalizzare e finalizzare efficacemente i processi di inse-
gnamento/apprendimento in ambito didattico, ma è anche la più alta espressio-
ne dell’autonomia didattica delle scuole che attraverso la loro progettazione cur-
riculare esplicitano la loro migliore offerta formativa.
I docenti elaborano la programmazione individualmente, per le discipline che inse-
gnano, e collegialmente, nell’ambito dei Collegi dei docenti e dei Consigli di classe.
I principali riferimenti della programmazione sono:
— i documenti ministeriali, quali le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infan-
zia e il primo ciclo di istruzione, quelle per i percorsi liceali, le Linee guida per
i programmi di studio degli istituti tecnici e professionali;
— le peculiarità culturali del territorio di riferimento e le specifiche esigenze for-
mative della comunità in cui si opera;
— le caratteristiche socio-culturali e cognitive degli studenti.
3. La pianificazione di un curricolo
Il curricolo è l’insieme dei percorsi di studio offerti da una singola istituzione sco-
lastica ( Parte II, Cap. 4, par. 7).
Il curricolo deve tener conto degli obiettivi formativi minimi fissati a livello mini-
steriale (cd. curricolo obbligatorio), espresso anche in termini di monte-ore de-
4. Programmazione d’istituto
La programmazione di istituto ha inizio con l’analisi del territorio condotta dal
Consiglio d’istituto attraverso contatti e raccordi con enti locali, distretto scolasti-
co, associazioni culturali, dopodiché tale analisi è trasmessa al Collegio dei docenti,
dove si svolge un’analisi integrativa di carattere più specificatamente didattico, che
a sua volta s’intreccia con un’analisi interna dei bisogni e delle risorse della scuola.
Alla raccolta dei dati deve far seguito un attento lavoro di lettura e interpreta-
zione degli elementi analizzati, sia per individuare le esigenze reali, sia per pro-
grammare e promuovere tutte le attività di competenza dei vari organi collegiali.
Nella programmazione d’istituto è necessario acquisire e valutare le informa-
zioni e le conoscenze che si ritiene possano avere qualche rapporto con le
scelte didattiche da effettuare; ad esempio:
— dotazione della scuola in termini di spazi (presenza di laboratori, spazi da uti-
lizzare per aule speciali, aule per proiezioni a grandi gruppi etc.);
— dotazione della scuola per quanto riguarda il personale docente (indipenden-
temente dalla titolarità dell’insegnamento: disponibilità di insegnanti per at-
tività integrative, censimento di particolari competenze etc.);
5. Programmazione educativa
L’organo fondamentale della programmazione educativa è il Collegio dei docen-
ti. Il lavoro del Collegio, che inizia il 1° settembre di ogni anno, ha come momento
di partenza la programmazione d’istituto e traduce le finalità educative in obiet-
tivi generali (educativi e didattici) che costituiranno il punto di riferimento dei
vari operatori scolastici.
Nella programmazione educativa si possono mettere in risalto quattro aspetti:
1. composizione socio-culturale della popolazione della località in cui ha sede la
scuola;
2. atteggiamenti culturali ed educativi dei genitori e loro grado di partecipazio-
ne alla vita della scuola;
3. presenza e funzionamento di servizi culturali e sociali extrascolastici (biblio-
teche pubbliche, cinema, servizi socio-sanitari, impianti sportivi etc.);
4. livelli di partecipazione sociale e politica nel territorio (dibattiti, presenza di
associazioni culturali etc.).
6. Programmazione didattica
Il lavoro del Consiglio d’istituto e del Collegio dei docenti è preposto a quello del
Consiglio di classe, al quale compete un’analisi più realistica della situazione di
partenza degli alunni. Infatti, ogni classe evidenzia caratteristiche, risorse, biso-
gni diversi, cosicché ciascun Consiglio di classe deve adattare l’attività program-
matoria alle esigenze degli allievi.
La prima azione da compiere è la verifica dei prerequisiti e delle abilità, dopo-
diché occorre individuare interventi didattici mirati.
In linea generale si può dire che la programmazione didattica consista in una serie
di operazioni compiute dall’insegnante (o dagli insegnanti) per organizzare il pro-
prio lavoro didattico, in un tempo definito, all’interno della scuola in cui si opera.
Pertanto tale programmazione:
— è compiuta direttamente dall’insegnante, singolo o in gruppo;
— deve essere svolta prima di realizzare concretamente gli interventi didattici;
— prevede un’unità di tempo entro la quale portare a termine il lavoro didattico;
— riguarda una situazione particolare.
2
La scuola dell’integrazione
e dell’inclusione
2. L’insegnante di sostegno
L’insegnante di sostegno è un docente in possesso di specializzazione per le at-
tività di sostegno che viene assegnato alla classe (L. 104/1992) in cui è stato in-
serito almeno un alunno con disabilità, per promuovere l’integrazione al suo in-
terno. Pertanto, deve disporre del titolo conseguito mediante un percorso forma-
tivo aggiuntivo.
La L. 13-7-2015, n. 107 (cd. Buona scuola) ha previsto, tra le altre, una delega al
Governo in materia di inclusione scolastica attraverso la ridefinizione del ruolo
del personale docente di sostengo, al fine di incrementare l’inclusione degli stu-
denti disabili, con la previsione di appositi percorsi di formazione universitaria,
e la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli del sostegno, diretti a garantire
che l’alunno disabile abbia per l’intero percorso lo stesso insegnante di sostegno.
Per la funzione che assume il docente di sostegno nei confronti dell’alunno disa-
bile è essenziale il suo coinvolgimento nella stesura del Profilo dinamico funzio-
nale (PDF) e soprattutto del PEI.
In materia di valutazione degli alunni disabili, il D.P.R. n. 122/2009 di coordi-
namento delle norme vigenti in materia di valutazione degli studenti, all’art. 9,
nel precisare che nella valutazione degli alunni con disabilità si deve tener con-
to del comportamento e delle discipline e attività svolte sulla base del piano edu-
cativo individualizzato, ammette la possibilità di prove di esame differenzia-
te con valore equivalente a quelle ordinarie, ai fini del superamento dell’esame
e del conseguimento del diploma di licenza, che possono essere sostenute anche
con l’uso di attrezzature tecniche e sussidi didattici, nonché di ogni altra forma di
ausilio tecnico che sia ritenuta congrua alla disabilità. Per ragioni di pari oppor-
tunità rispetto agli alunni normodotati, sui diplomi di licenza è riportato il voto
finale in decimi, senza menzione delle modalità di svolgimento e di differenzia-
zione delle prove ( Cap. 3, par. 7).
DSA
↓ ↓ ↓ ↓
Dislessia Disgrafia Disortografia Discalculia
La legge n.170 tutela il diritto allo studio in maniera diversa dalla legge 104/1992,
concentrando l’attenzione su interventi didattici personalizzati e su strumenti
compensativi, su misure dispensative e su adeguate forme di verifica e valutazione.
Con il D.M. 12-7-2011 viene rafforzato l’invito ad adottare proposte di insegna-
mento che tengano conto delle abilità possedute e potenzino anche le funzioni
non coinvolte nel disturbo.
Vediamo nel dettaglio le principali caratteristiche dei DSA.
• La dislessia
La dislessia si manifesta attraverso una minore correttezza e velocità di lettura ad
alta voce, in relazione all’età anagrafica.
Elementi che consentono di individuare la dislessia sono:
— lettura lenta e stentata;
— difficoltà a riconoscere i grafemi diversamente orientati nello spazio (p/q; b/d;
u/n; a/e);
— difficoltà nel riconoscimento di suoni simili (m/n; s/z; f/v; b/d…) inversione
di lettere o numeri (lo studente legge li al posto di il, 15 al posto di 51);
— omissione di grafemi e sillabe (legge pota al posto di porta, mele al posto di
miele);
— omissione di parole e salti da una riga all’altra;
— ripetizioni di sillabe o grafemi;
— omissione delle consonanti doppie;
— difficoltà di riconoscimento dei gruppi consonantici (gn; ghi; ghe; chi; che; gli;
sci; sche);
— difficoltà accentuate nella decodifica di parole a bassa frequenza d’uso;
— difficoltà nella memorizzazione di sequenze (alfabeto, giorni della settimana,
mesi dell’anno);
— espressione orale molto incerta o confusa;
— difficoltà a consultare il dizionario;
— difficoltà nell’apprendimento di parole straniere;
— difficoltà a copiare dalla lavagna;
— difficoltà a svolgere due azioni contemporaneamente (ad esempio, ascoltare
e scrivere).
4. Il diritto allo studio degli alunni con DSA e gli strumenti compensativi
Il 20 luglio 2011 è stato presentato il decreto attuativo della legge 170/2010
(D.M. n. 5669/2011) con le relative Linee Guida per il diritto allo studio di alun-
ni e studenti con DSA.
Si tratta di un documento che chiarisce le indicazioni espresse nella legge riguar-
do alle modalità di formazione dei dirigenti scolastici e dei docenti, alle mi-
sure didattiche di supporto, all’uso degli strumenti compensativi e dispen-
sativi e alle forme di verifica e di valutazione previste per assicurare il diritto
allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di DSA, delle scuole di ogni
ordine e grado del sistema nazionale di istruzione.
Sul piano operativo, gli strumenti di intervento previsti dall’art. 5 della L. 170/2010
comprendono:
a) l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e
flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche pecu-
liari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una stra-
tegia educativa adeguate». Le istituzioni scolastiche possono esplicare le atti-
vità didattiche anche attraverso un Piano didattico personalizzato;
b) l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendi-
mento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da
alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da appren-
dere.
L’art. 5, comma 2, lett. c) prescrive «per l’insegnamento delle lingue straniere,
l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che
La tutela del diritto di accesso a scuola del minore straniero trova le sue fonti normative
nella legge sull’immigrazione n. 40 del 6 marzo 1998 e nel decreto legislativo n. 286 del
25 luglio 1998 “Testo unico immigrazione” che riunisce e coordina gli interventi in favo-
re dell’accoglienza e integrazione degli immigrati, ponendo particolare attenzione all’in-
tegrazione scolastica. La legge n. 189 del 30 luglio 2002 ha poi confermato le procedure di
accoglienza degli alunni stranieri a scuola.
Il presupposto di partenza è che l’esperienza scolastica di uno studente che è stato scola-
rizzato esclusivamente nelle scuole italiane è senza dubbio diversa da quella di un alunno
appena arrivato in Italia, soprattutto se adolescente, senza conoscenza della lingua italia-
na e delle regole, del funzionamento delle scuole e degli stili d’insegnamento, a volte mol-
to diversi da quelli del Paese di provenienza.
Le Linee Guida del febbraio 2014 (Nota MIUR n. 4233/2014) prevedono nel dettaglio le si-
tuazioni che possono verificarsi:
— Alunni con cittadinanza non italiana. Sono gli alunni che, anche se nati in Italia, hanno
entrambi i genitori di nazionalità non italiana.
— Alunni con ambiente familiare non italofono. Alunni che vivono in un ambiente familia-
re nel quale i genitori, a prescindere dal fatto che usino o no l’italiano per parlare con
i figli, generalmente possiedono in questa lingua competenze limitate, che non garan-
tiscono un sostegno adeguato nel percorso di acquisizione delle abilità di scrittura e di
Occorre partire dal presupposto che questi minori possono presentare difficol-
tà maggiori rispetto agli alunni stranieri che arrivano in Italia con la loro famiglia
di origine, e ciò sostanzialmente per due ordini di motivi:
— essi spesso arrivano da esperienze particolarmente sfavorevoli nel periodo an-
tecedente all’adozione: abbandono in età precoce, inserimenti in orfanotrofi
nel paese di origine, mancanza di figure affettive di riferimento, situazioni che
possono portare il bambino a costruire una rappresentazione di sé come sog-
getto indesiderabile;
— essi subiscono un distacco dal paese d’origine, dalle loro abitudini linguisti-
che, culturali, alimentari più traumatico: a differenza dei minori immigrati con
la famiglia, che mantengono un rapporto vitale con la cultura e la lingua d’ori-
gine, il bambino adottato è inserito in un ambiente familiare italiano, perden-
do velocemente la lingua d’origine, le abitudini, gli stili di vita originari e pos-
sono manifestare un’accentuata ambivalenza verso la cultura di provenienza,
con alternanza di momenti di nostalgia/orgoglio a momenti di rimozione/ri-
fiuto.
Ciò detto, le aree critiche d’intervento individuate dalla Nota MIUR del 2014,
sono le seguenti:
— Bambini con difficoltà di apprendimento, deficit nella concentrazione, nell’at-
tenzione, nella memorizzazione, nella produzione verbale e scritta, in alcune
funzioni logiche.
— Bambini con difficoltà psico-emotive, incapacità di controllare ed esprimere le
proprie emozioni, assenza di adeguate relazioni di attaccamento, senso d’in-
sicurezza rispetto al proprio valore e di vulnerabilità nel rapporto con gli al-
tri, timore di essere rifiutati e nuovamente abbandonati, rabbia e dolore per
quanto subìto;
— Scolarizzazione nei Paesi d’origine. I bambini adottati internazionalmente pos-
sono provenire da Paesi prevalentemente rurali, con strutture sociali fragili,
con alto tasso di analfabetismo e/o di abbandono scolastico. Va inoltre consi-
3
La valutazione degli alunni
3. Verifica e valutazione
Valutazione e verifica sono due concetti che, benché posti su un piano di conti-
nuità, dal punto di vista tecnico devono essere ben distinti.
Il termine verifica, infatti, indica la raccolta di dati, mentre la valutazione indica
l’attribuzione di valore ad essi.
La verifica presuppone la definizione degli elementi da considerare: conoscenze,
competenze, bisogni, risorse ecc., nonché dei criteri di correzione, di analisi e di
interpretazione dei dati.
La valutazione richiama poi il concetto di valore, l’attribuzione di significato prodot-
ta da un’attività di interpretazione, centrata su giudizi di efficacia, di efficienza e di
ragionevolezza. Si tratta di un processo complesso in cui la valutazione non ha sol-
tanto la funzione di controllo degli apprendimenti e delle competenze degli alunni,
ma riveste anche il ruolo di regolatore del processo di insegnamento-apprendimento.
La cosiddetta valutazione formativa, soprattutto, ci mette in condizione di rica-
vare informazioni necessarie per la crescita personale e globale dell’alunno, per-
ché il suo obiettivo è fornire informazioni che permettano un adattamento dell’in-
segnamento alle differenze individuali nell’apprendimento. In tal senso essa è uno
strumento utile per realizzare l’individualizzazione e la personalizzazione dei
processi formativi.
Dalla valutazione iniziale degli alunni il docente ricava indicazioni fondamenta-
li per ipotizzare quali contenuti, materiali, attività, situazioni e strategie possa-
no risultare più efficaci in vista del raggiungimento degli obiettivi e vadano per-
tanto inseriti nella progettazione educativa e didattica. In itinere, il docente con-
trolla poi come procede l’apprendimento, raccogliendo una serie di informazioni
in base alle quali valutare l’efficacia delle strategie adottate. Perché la valutazio-
ne risulti effettivamente formativa, essa deve cogliere anche i processi cognitivi
messi in atto per apprendere e non solo i prodotti dell’apprendimento: il docen-
ti non deve porsi solo il problema di quali risultati ha raggiunto, ma di come li ha
raggiunti, in modo da individuare i procedimenti adottati e gli errori commessi.
Per quanto riguarda gli esami, nelle Linee guida del 2014 (nota MIUR n. 4233/2014) si leg-
ge: “La normativa d’esame non permette di differenziare formalmente le prove per gli stu-
denti stranieri ma solo per gli studenti con bisogni educativi speciali certificati o comunque
forniti di un piano didattico personalizzato. È importante che anche nella relazione di pre-
sentazione della classe all’esame di Stato, sia al termine del primo che del secondo ciclo, vi
sia un’adeguata presentazione degli studenti stranieri e delle modalità con cui si sono svol-
ti i rispettivi percorsi di inserimento scolastico e di apprendimento.
Nella scelta del percorso di scuola secondaria superiore più idoneo per l’alunno
certificato, si possono sostanzialmente seguire due itinerari: una programmazio-
ne riconducibile agli obiettivi minimi previsti dai programmi ministeriali, oppure
una programmazione differenziata. La programmazione riconducibile agli obiet-
tivi minimi, conforme ai programmi ministeriali, o, comunque, ad essi globalmen-
te corrispondenti è prevista dall’O.M. n. 90/01. In tale percorso è possibile pre-
vedere per gli studenti un programma con i contenuti essenziali delle discipline,
oppure un programma equipollente con la riduzione parziale o con la sostituzio-
ne dei contenuti, ricercando la medesima valenza formativa. Se, invece, gli obiet-
tivi sono differenziati, occorrerà predisporre un piano di lavoro ad hoc e, alla fine
Per la valutazione degli alunni con DSA si fa riferimento a due fonti normative.
Il primo è il DPR n.122/09, secondo cui per gli alunni con DSA la valutazione
e la verifica degli apprendimenti, compresa quella effettuata in sede di esame
conclusivo dei cicli, devono tener conto delle specifiche situazioni soggettive;
a tal fine nello svolgimento delle attività didattiche e delle prove di esame, sono
adottati gli strumenti metodologico-didattici compensativi e le misure dispensa-
tive ritenute più idonee. In questi casi è inoltre specificato che nel diploma rila-
sciato al termine degli esami non si faccia menzione delle modalità di svolgimen-
to e della differenziazione delle prove.
Il secondo documento è il D.M. n. 5669/11, secondo cui la valutazione scolastica,
periodica e finale, degli alunni con DSA deve essere coerente con gli interventi pe-
dagogico-didattici programmati nel PDP; le modalità valutative devono dimostra-
re il livello di apprendimento raggiunto, verificando la padronanza dei contenuti
disciplinari e prescindendo dagli aspetti legali all’abilità deficitaria.
Le commissioni degli esami di Stato, al termine del primo e del secondo ciclo di
istruzione, tengono in debita considerazione le specifiche situazioni soggettive,
le modalità didattiche e le forme di valutazione individuate nell’ambito del PDP.
Le prove di esame possono essere svolte con tempi più lunghi di quelli ordinari e
con idonei strumenti compensativi.
La decodifica delle consegne delle prove scritte può avvenire attraverso testi
trasformati in formato MP3 audio, lettura effettuata da un docente, trascrizione
del testo su supporto informatico da parte della commissione e suo utilizzo at-
traverso un software di sintesi vocale. Nella valutazione delle prove di esame, sia
10. I criteri di attribuzione del credito scolastico nel triennio delle scuo-
le secondarie di secondo grado
Negli scrutini di fine anno scolastico, i Consigli delle classi del triennio seconda-
rio superiore attribuiscono, agli alunni dei quali deliberino il passaggio alla classe
successiva, il credito scolastico, con riferimento ai seguenti parametri:
— profitto (media dei voti);
— assiduità nella frequenza delle attività curricolari e dell’area di progetto;
— impegno nella partecipazione al dialogo educativo;
— interesse alle attività complementari e integrative;
— eventuali «crediti formativi» documentati.
Nella determinazione del credito scolastico da assegnare, il credito formativo con-
corre in rapporto alla media dei voti riportati dallo studente, all’interno della «for-
chetta» minimo/massimo stabilita con le tabelle ministeriali.
Ai fini del riconoscimento del credito formativo, il Consiglio di classe prende in consi-
derazione gli attestati presentati dagli allievi, relativi ad attività coerenti con gli obietti-
vi formativi dell’indirizzo scolastico frequentato (musicali, sportive, informatiche, lin-
guistiche, di cooperazione, di volontariato sociale o ambientale, lavorative ecc.), docu-
mentate con indicazione dell’Ente, associazione o istituzione presso la quale si è com-
piuta l’attività, e con la descrizione dell’esperienza e della valutazione finale conseguita.
Nella categoria delle prove oggettive rientrano anzitutto le cosiddette prove strut-
turate, in cui, seppure con differenti modalità, gli alunni sono guidati nella rispo-
sta (vero o falso, quesiti a completamento, quiz a risposta multipla etc.). Tali pro-
ve hanno però il limite di non consentire una verifica della produttività e della
creatività dei discenti, ma soltanto il raggiungimento degli obiettivi di conoscen-
za e comprensione, fermo restando che si confermano altamente efficaci sul pia-
no dell’oggettività delle valutazioni, oltre che particolarmente veloci e dunque in
grado di economizzare il tempo.
• Le prove strutturate
Le prove strutturate sono invece considerate oggettive. Esse però non possono essere uti-
lizzate esclusivamente: se possono andare bene per le verifiche iniziali e intermedie, nelle
verifiche complessive devono essere affiancate agli altri tipi di prove più “classici”.
Richiedono molto tempo all’insegnante in fase di preparazione ma sveltiscono le fasi di corre-
zione e misurazione. Sono costituite da quesiti che hanno risposte predefinite per cui l’alun-
no può rispondere solo in maniera corretta o errata senza possibilità di ambiguità o equivoci.
le tipologie di prove strutturate sono molte (a scelta alternativa come vero/falso, corretto/
sbagliato, sì/no; a scelta multipla; di riordinamento; di completamento ecc.).
Le prove strutturate presentano il difetto di essere poco attendibili per la verifica degli
obiettivi cognitivi perché l’alunno potrebbe superare il test anche rispondendo in manie-
ra del tutto casuale ad alcuni quesiti.
• Le prove semistrutturate
Sono le prove «a risposta breve o aperta» in cui cioè l’alunno deve rispondere per iscritto
a delle domande formulate dal docente (un po’ come in un’interrogazione). Bisogna por-
re molta attenzione nel formulare la domanda, che non deve essere ambigua e deve ren-
dere accettabile una sola risposta.
Tra queste prove potremmo inserire anche il saggio breve che ha caratteristiche intermedie
fra le prove semistrutturate e il tema. La lunghezza della risposta viene indicata all’alunno
da chi prepara il saggio e di solito prevede un numero di righe non troppo elevato.
• La costruzione di un test
Terminato l’esame delle diverse prove strutturate, bisogna sapere come utilizzarle per mi-
surare il raggiungimento degli obiettivi da parte degli alunni.
Esse vengono proposte generalmente riunendo in un test un certo numero di prove che,
con termine inglese alquanto diffuso, vengono dette item; possono appartenere a un solo
tipo o a diversi fra quelli sopra descritti.
Il numero di quesiti da inserire nella prova dipende:
— dallo scopo del test;
— dal tipo di quesiti utilizzati;
— dalla classe.
• Le interrogazioni
Naturalmente questo tipo di verifica non risulta incompatibile con le tradizionali pro-
ve orali (le interrogazioni), che tuttavia saranno finalizzate ad accertare il raggiungimen-
to di altri obiettivi, come la padronanza espressiva e linguistica, la velocità nell’individua-
zione corretta delle soluzioni, la capacità relazionale etc. La prova orale presenta alcuni di-
fetti in quanto non lascia traccia nè documento, penalizza gli alunni più emotivi e ha biso-
gno di tempi più lunghi.
Nella classificazione tradizionale si individuano due modalità di somministra-
zione delle prove di verifica:
— la cosiddetta modalità normativa, in cui la valutazione della prestazione del
singolo è posta in relazione con quella di altri soggetti di riferimento;
— la cosiddetta modalità criteriale, in cui la valutazione delle prestazioni del
singolo viene effettuata in rapporto a un livello oggettivo di abilità o compe-
tenza precedentemente stabilito.
Nell’esperienza scolastica si ritiene preferibile questa seconda modalità, pur non
disdegnando, in piccole dosi, di favorire il confronto tra i singoli ed una sana com-
petizione nell’ambito del corpo classe.
In relazione al momento in cui viene effettuata la valutazione, la prova si distin-
gue in:
— iniziale al fine di motivare, aiutare, sollecitare, identificare i bisogni (es. le ve-
rifiche dei prerequisiti posti a monte di una UdA);
— intermedia o in itinere al fine di recuperare, sostenere, approfondire, modifica-
re il percorso didattico adattandolo alle esigenze che via via possono emergere;
— finale ovvero la ratifica del percorso formativo per prendere in considerazio-
ne l’efficacia e l’efficienza dell’intervento didattico.
Riguardo al momento della verifica degli esiti del processo di apprendimento/
insegnamento, viene particolarmente raccomandato il ricorso a verifiche forma-
tive in itinere, senza voto, le quali, fatte con strumenti di rapido impiego, quali
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Continuità didattica
e orientamento
1. La continuità didattica
La continuità didattica mira alla conoscenza approfondita dell’alunno, così che
il team docente possa programmare le attività educative e didattiche, scegliere i
metodi e i materiali e stabilire i tempi più adeguati alle esigenze di tutti gli alun-
ni del gruppo classe.
La continuità è verticale quando riguarda la continuità tra i diversi ordini di
scuola e tra classi dello stesso istituto. È orizzontale, quando si riferisce alla co-
municazione e allo scambio tra le diverse agenzie educative coinvolte nel proces-
so formativo: scuola, istituzioni, famiglia, territorio.
La classe, infatti, va concepita come un insieme duttile e dinamico, in grado di inte-
ragire con l’esterno e con le altre classi, in modo da raggiungere un equilibrio sin-
cronico nel quale le componenti delle diverse classi si fondono, per dar vita a grup-
pi organizzati capaci di rispondere alle diverse esigenze legate all’apprendimento.
Mediante la continuità è possibile creare strategie trasversali e mirate al recupero o
mettere in piedi percorsi tematici per coinvolgere particolari categorie di alunni.
2. La continuità verticale
Il bambino che inizia a frequentare la scuola dell’infanzia può aver vissuto l’espe-
rienza del nido oppure «lascia» la famiglia per la prima volta, il bisogno di intimi-
tà e di sicurezza dei primi anni di vita l’hanno spinto ad instaurare un rapporto
significativo con l’adulto che ha «mediato» l’esplorazione con il mondo. Le routi-
ne (pasto, bagno, riposo), le esplorazioni sensoriali, il gioco che lo hanno coinvol-
to in modo totale e indifferenziato hanno avuto un ruolo predominante per acqui-
sire la consapevolezza di sé, degli oggetti, dell’ambiente.
Dai due ai quattro anni si muove con disinvoltura, inizia a impadronirsi e a spe-
rimentare la lingua con i pari e i «grandi», dai quattro ai sei anni si esprime con
una notevole efficacia comunicativa, acquisisce una iniziale capacità di riflessio-
ne sulla lingua, sulla lettura, sulla scrittura; a tre-quattro anni inizia a porsi do-
mande, a simbolizzare, a classificare, a ordinare, ad utilizzare riferimenti topolo-
gici, abilità che svilupperà negli anni seguenti.
Quando inizia a frequentare la scuola dell’infanzia il bambino ha raggiunto ma-
turazioni importanti: coordina i movimenti, cammina con sicurezza, corre, sal-
ta, usa gli oggetti con padronanza, ha una vivace capacità rappresentativa, sa ri-
cordare, immaginare il futuro, sviluppa la capacità cognitiva che, pur dominata
dall’affettività, con limiti incerti tra realtà e fantasia, gli consente di comprendere
la realtà. Prende coscienza della propria individualità e tende ad affermarla, ini-
zia gradualmente ad interagire e collaborare con i coetanei.
Al termine della prima infanzia, la maturazione biologica, le conoscenze raggiun-
te gli consentono di affrontare, con maggior sicurezza ed autonomia, la «prima
scuola»: un ambiente diverso da quelli familiari, con nuovi adulti, altri coetanei,
in cui impegnarsi ad apprendere.
4. L’orientamento
L’orientamento oggi è considerato un diritto del cittadino in ogni età e in ogni
situazione. Per orientamento si intendono tutte quelle attività tese a mettere
un individuo in grado di gestire e pianificare il proprio apprendimento e le proprie
esperienze di lavoro in coerenza con i personali obiettivi di vita, in modo da sfrut-
tare appieno le competenze e gli interessi individuali, per poter raggiungere un
pieno soddisfacimento personale.
L’orientamento non riguarda un breve periodo dell’esistenza, ma deve essere
un’attività che accompagna ogni persona lungo l’intero arco della vita (longlife
learning), in quanto la complessità della società attuale riguarda tutti i campi, da
quello sociale a quello del lavoro, ed è soprattutto determinata dalla continua va-
riabilità delle situazioni.
L’orientamento può avere varie sfaccettature, a seconda dell’aspetto che si vuo-
le prendere in considerazione:
— orientamento educativo: serve per spingere gli individui alla conoscenza di
sé attraverso la consapevolezza delle proprie attitudini e la somministrazio-
ne di test che fanno emergere gli interessi personali;
— orientamento formativo: serve per sviluppare le competenze orientative di
base quali, per esempio, l’analisi del contesto, la ricerca autonoma delle fonti