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il nuovo
a CATTEDRA
Le Avvertenze generali
in 150 punti chiave
Ordinamenti, legislazione e normativa
sull’organizzazione e il funzionamento
delle istituzioni scolastiche
Le Avvertenze generali in 150 punti chiave – I edizione
Copyright © 2013, EdiSES S.r.l. – Napoli
9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
2017 2016 2015 2014 2013
Fotocomposizione e Redazione
Per conto della EdiSES – Via Nuova San Rocco, 62/A – Napoli
www.edises.it
ISBN 978 88 6584 2843 info@edises.it
Prefazione
Per tale motivo abbiamo ritenuto utile schematizzare e sintetizzare le nozioni principali
della legislazione scolastica contenute nelle Avvertenze Generali e ricondurle alle prin-
cipali voci del programma. Troverete, dunque, in apertura di ciascun capitolo l’esatta
dicitura usata nelle Avvertenze Generali del bando di concorso e brevi trattazioni dei
principali aspetti correlati all’argomento.
Pur senza alcuna pretesa di esaustività, i contributi presenti in questo volume possono
rappresentare validi strumenti per il ripasso di quanto studiato sui nostri manuali age-
volando la memorizzazione e consentendo di fissare le nozioni principali.
Indice
A La didattica personalizzata
1. La didattica personalizzata nella scuola italiana 1
2. La costruzione del Piano educativo individualizzato per gli alunni
con handicap 2
3. I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) 2
4. La collaborazione fra scuola e servizi di NPI per la formulazione del
Piano didattico personalizzato 3
5. Strumenti compensativi e misure dispensative 4
6. Didattica individualizzata e didattica personalizzata 5
7. Per l’integrazione degli alunni stranieri 5
C La valutazione
11. La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema 11
12. L’Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione
e formazione (INVALSI) 12
13. La prova nazionale nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo
dell’istruzione 12
14. Le azioni dell’INVALSI nella scuola secondaria di secondo grado 12
15. Il nuovo regolamento sulla valutazione degli alunni (DPR n. 122/2009) 13
16. La valutazione dell’IRC 14
17. La certificazione delle competenze 15
18. La valutazione delle scuole e degli insegnanti: iniziative sperimentali 15
19. Complessità dell’apprendimento e centralità dei processi valutativi 16
D Le Indicazioni nazionali
D1 Scuola dell’infanzia e del primo ciclo
20. Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo
del 2012 19
21. La scuola dell’infanzia 21
22. La scuola del primo ciclo 21
VI Indice
F I documenti europei
148. La Comunità Europea e i sistemi nazionali di istruzione e formazione 115
149. Il CLIL (insegnamento e apprendimento in altra lingua) 118
150. Il Quadro comune europeo per le qualifiche professionali (EQF) 119
Documenti 121
A La didattica personalizzata
La fase dell’iscrizione
Raramente l’iscrizione dello straniero avviene nei tempi previsti dalla normativa: è il
flusso della vita a decidere il momento e le condizioni del suo arrivo in Italia.
Rimane fondamentale il criterio generale di inserire l’alunno secondo l’età ana-
grafica (art. 45 del DPR 394/99). Slittamenti di un anno su classe inferiore possono
essere utili per dare al nuovo arrivato il tempo di orientarsi nel nuovo contesto, senza
l’immediato incombere di scadenze valutative.
È utile accertare alcuni livelli di competenze per definire l’assegnazione alla clas-
se: vi sono test idonei a rilevare il livello di sviluppo di abilità logiche, matematiche,
espressive. A volte l’inglese o il francese costituiscono un veicolo già presente di co-
municazione.
6 Le Avvertenze generali in 150 punti chiave
L’insegnamento dell’italiano
L’obiettivo prioritario nell’integrazione degli alunni stranieri è l’acquisizione di una
minima competenza nell’italiano scritto e parlato, nelle forme ricettive e produttive,
per assicurare il principale fattore di successo scolastico e di inclusione sociale. Gli
alunni stranieri, dal momento del loro arrivo, si confrontano con:
> la lingua italiana del contesto concreto, indispensabile per la vita quotidiana (la
lingua per comunicare);
> la lingua italiana specifica, necessaria per comprendere ed esprimere concetti, svi-
luppare l’apprendimento delle diverse discipline e una riflessione sulla lingua stes-
sa (la lingua dello studio).
La prima può essere appresa in un arco di tempo che oscilla da un mese a un anno.
Per apprendere la lingua dello studio, invece, sono necessari alcuni anni, considerato
che si tratta di competenze specifiche.
Lo studio della lingua italiana deve essere inserito nella quotidianità dell’appren-
dimento e della vita scolastica degli alunni stranieri, con attività di laboratorio lingui-
stico e con percorsi e strumenti per l’insegnamento intensivo dell’italiano. Occorre,
quindi, che tutti gli insegnanti della classe siano coinvolti.
La valutazione
Dal 2009, con l’entrata in vigore del Regolamento per la valutazione (DPR n. 122), è
stato chiarito che gli alunni stranieri vanno valutati alla stessa stregua degli alunni ita-
liani. Nella sua formulazione, la norma appare rigida e di difficile applicazione se la
scuola non ha promosso una vera uguaglianza di opportunità; né, del resto, elargire
attestati e diplomi senza averne costruite le competenze da essi certificate va nel senso
della cittadinanza vera e attiva, né per il singolo né per la società nel suo insieme.
Il citato art. 45 del DPR n 394/1999 prescrive che “il collegio dei docenti definisce,
in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei
programmi di insegnamento…”. Pur non essendo legittimo ricorrere, per gli alunni stra-
nieri, agli strumenti di individualizzazione previsti da specifiche leggi per gli alunni
con handicap o con DSA, la scuola è chiamata alla personalizzazione dei Piani di
studio (Legge n. 53/2003; D. Lgs. n. 59/2004). In questo contesto, si prendono in
considerazione il percorso dell’alunno, i passi realizzati, la motivazione e l’impegno,
le potenzialità di apprendimento dimostrate.
B Continuità didattica
e orientamento
Estratto delle Avvertenze generali del Bando
Conoscenza delle problematiche legate alla continuità didattica e all’orientamento.
per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di istruzione e formazione professionale”.
Il compito dello Stato (art. 117 Cost.) di impartire le “norme generali dell’istruzione”
ha il “fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi
dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della fami-
glia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autono-
mia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione” (art. 1, c. 1).
Queste finalità generali si sostanziano in direttive e provvedimenti specifici. Il Siste-
ma educativo di istruzione e di formazione:
> promuove “l’apprendimento in tutto l’arco della vita”;
> assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età;
> prevede investimenti a favore “degli interventi di orientamento contro la dispersione scola-
stica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione” (art. 1, c.
3, lett. i).
In particolare, la scuola secondaria di primo grado (art. 2, c. 1, lett. f):
> fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione;
> aiuta a orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione.
Il secondo ciclo è a sua volta “finalizzato alla crescita educativa, culturale e professio-
nale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi, è finaliz-
zato a sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale
e sociale”.
Costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e della formazione pro-
fessionale, prevede che:
> dal compimento del quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono
conseguire in alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato;
> è assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei
licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della forma-
zione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate
all’acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta;
> la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l’acquisizio-
ne di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa
degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi;
> esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realizzati in Italia o all’estero
anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, profes-
sionali e dei servizi, sono riconosciuti con specifiche certificazioni di competenza
rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative.
I Regolamenti istitutivi dei nuovi Istituti professionali e tecnici nonché dei nuovi
Licei (DD.PP.RR. n. 87, 88, 89/2010) ne proclamano la funzione orientativa in ordine:
> al proseguimento negli studi di ordine superiore e, comunque, alla formazione per
tutto l’arco della vita;
> all’inserimento nella vita sociale;
> all’inserimento nel mondo del lavoro.
B Continuità didattica e orientamento 9
Il progetto VALeS
All’interno del progetto VSQ il Ministero ha attivato il progetto VALeS (Valutazione
e Sviluppo Scuole) su una valutazione di tipo sistemico. Si differenzia dal VSQ per
una diversa impostazione, che tiene conto delle obiezioni sollevate sia in merito alla
premialità selettiva sia in merito alla valutazione effettuata dal nucleo interno alla
scuola. Infatti, la valutazione di VALeS è affidata a Nuclei di valutazione esterni coor-
dinati da ispettori.
Lo stimolo viene direttamente dall’ambito comunitario; il piano di lavoro vedrà
anche la collaborazione dell’OCSE, interessata ad allineare le esperienze italiane con
il panorama internazionale. L’intero processo si compone di tre fasi, corrispondenti
a ciascuno dei tre anni di attuazione del progetto.
1. Inizialmente la scuola viene analizzata come “sistema complesso” tramite la rile-
vazione degli apprendimenti. Al termine di questa prima fase alla singola istitu-
zione scolastica viene consegnato il Rapporto di valutazione, in base al quale essa
si impegna a progettare un Piano di miglioramento, per il quale è previsto un
finanziamento ad hoc.
2. Il Piano deve essere sviluppato nel successivo anno scolastico: le risorse conferite
possono essere utilizziate sia per riconoscere il maggior impegno del personale
scolastico sia per attingere a risorse culturali e professionali esterne (INDIRE,
Università ecc.).
3. Nel corso del terzo e ultimo anno di sperimentazione la scuola sarà nuovamente
valutata da parte del Nucleo di valutazione che, a partire dal Rapporto iniziale,
ne apprezzerà i risultati raggiunti.
VALeS si rivolge a 300 istituti del primo e del secondo ciclo d’istruzione e prevede
l’espressa adesione del dirigente scolastico, per il quale è previsto un distinto percor-
so di valutazione.
organizzazioni sociali, ha portato alla consapevolezza diffusa del fatto che, in una so-
cietà complessa, alla base del funzionamento delle organizzazioni, sta la valutazione
dei risultati sia di prodotto, sia di processo in funzione di automiglioramento dell’orga-
nizzazione stessa; dall’altro è cresciuta enormemente nel corso del secolo appena
terminato, e ancor più negli ultimi decenni, la consapevolezza della grande com-
plessità dei processi dell’apprendimento nella loro forte variabilità individuale sia a
livello di funzionamento cognitivo, sia per il loro intreccio essenziale con aspetti della
struttura emotiva e biografica del singolo alunno.
La ormai diffusa consapevolezza, anche se tuttora generica e ancora largamen-
te insufficiente, di una tale complessità è evidentemente incompatibile con una
concezione della valutazione centrata solo sull’alunno e in termini di semplice ade-
guatezza o inadeguatezza della risposta. Anche l’insegnamento è chiamato, infatti,
corrispondentemente, ad assumere caratteristiche di complessità, dovendo tener
conto della mutlifattorialità in gioco nei processi di apprendimento, dal riconosci-
mento e rispetto delle diverse propensioni cognitive (stili di apprendimento), alla
costituzione di un contesto motivante ecc. Dovendo non limitarsi a prendere atto
dei livelli raggiunti dall’alunno e a classificarli come sarebbe proprio di una scuola
con scopi di selezione sociale, ma fare di tutto per portare ognuno al massimo suc-
cesso possibile nell’apprendimento, una tale consapevolezza impone sia la riflessione
sistematica sulla stessa azione di insegnamento, cioè l’autovalutazione da parte del
docente e da parte della scuola, sia che la valutazione degli alunni abbia carattere
essenzialmente formativo.
dagogica che, alla fine degli anni Novanta, aveva portato alla “scuola di base” della
riforma Berlinguer-De Mauro: una scuola media depotenziata della secondarietà, fi-
nalizzata a essere fase conclusiva della scuola primaria. Al contrario, le Indicazioni del
2004 affermarono con forza la secondarietà della secondaria di 1° grado, parlando con
enfasi del “valore simbolico di rottura” del passaggio. Il testo del 2012 si colloca in una
posizione intermedia:
> ripristina la declinazione delle singole discipline, abbandonando quindi la forzatu-
ra del loro accorpamento in Aree;
> chiede che il curricolo sia impostato secondo i caratteri dell’unitarietà e della con-
tinuità.
Per questa ragione il percorso curricolare deve essere “elaborato unitariamente”: il
suo luogo naturale è l’istituto comprensivo, la cui generalizzazione crea le condizioni
perché sia progettato “un curricolo verticale attento alla continuità del percorso educativo e
al raccordo con la scuola secondaria di secondo grado”.
Introducendo “La scuola del primo ciclo”, nel paragrafo “L’alfabetizzazione culturale di
base” (pag. 22), il testo afferma che nella scuola secondaria di primo grado “si realizza
l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e sulle modalità di conoscenza, interpre-
tazione e rappresentazione del mondo”.
In realtà, il problema della discontinuità tra primaria e secondaria di primo grado
deriva sia dalla storia stessa della scuola italiana, che ha comportato una differente
strutturazione dei due gradi di scuola, sia dalla percezione sociale della funzione (e
della figura) del docente di scuola primaria, diversa da quelle del docente di scuola
secondaria.
tivo 17 ottobre 2005, n. 226, “Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge
28 marzo 2003, n. 53”. Il secondo ciclo era stato previsto con due percorsi formativi:
> quello dei licei, la cui normativa è di competenza statale, della durata di cinque
anni (artistico con più indirizzi, classico, economico con più indirizzi, linguistico,
musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane);
> quello dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) di competenza regionale,
della durata di tre anni (fino alla qualifica professionale) o fino a quattro anni (di-
ploma).
In appendice il D. Lgs. n. 226 riporta una serie di Allegati, tra i quali ricordiamo:
> Allegato A. Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione
del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione;
> Allegato B. Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione
del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione per il sistema
dei licei.
Le Finalità del secondo ciclo sono puntate su tre essenziali direzioni:
> crescita educativa, culturale e professionale dei giovani: essa trasforma la moltepli-
cità dei saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazioni e di fini;
allo stesso modo, trasforma le prestazioni professionali in competenze consapevoli
e creative;
> sviluppo dell’autonoma capacità di giudizio: esso si concretizza in metodo di studio,
spirito di esplorazione e d’indagine, capacità intuitiva, procedimenti argomentativi
e dimostrativi, consapevolezza e responsabilità morale, elaborazione di progetti e
risoluzione di problemi;
> esercizio della responsabilità personale e sociale: lo studente decide consapevol-
mente le proprie azioni in rapporto a sé e al mondo civile, sociale, economico, reli-
gioso di cui fa parte e all’interno del quale vive; si fa carico delle conseguenze delle
proprie scelte; si impegna nel rispetto e nella crescita delle istituzioni che possono
aiutarlo a ottimizzare le scelte personali in funzione del bene comune.
> Linee guida 2010 per gli istituti professionali: “Il secondo ciclo di istruzione e for-
mazione ha come riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professiona-
le definito dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
> Linee guida 2010 per gli istituti tecnici: “Il secondo ciclo di istruzione e formazione
ha come riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito
dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
> Indicazioni nazionali 2010 dei licei: “I licei sono dotati di una propria identità cul-
turale, che fa riferimento al profilo educativo, culturale e professionale dello stu-
dente, a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e forma-
zione di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo n. 226/05”.
missione emanò i nuovi programmi per la scuola elementare ma, nella scuola media
e superiore, si limitò alla revisione dei libri di testo, censurandone le parti più condi-
zionate dall’ideologia del passato regime. L’inizio nel 1947 della “guerra fredda” e la
rottura del fronte antifascista crearono in Italia quella contrapposizione fra schiera-
menti politici che non permise l’elaborazione di riforme condivise, almeno fino alla
svolta del centro-sinistra agli inizi degli anni Sessanta.
La spaccatura politica a livello nazionale riproduceva le analoghe contrapposizioni
a livello europeo e mondiale. Nella primavera del 1945, tutta l’Europa era ridotta
a cumuli di rovine; nulla eguagliava l’orrore degli stermini programmati di intere
popolazioni, conseguenze di ideologie disumane e antidemocratiche. Ne venne la
determinazione di ricostruire creando le condizioni perché i popoli del vecchio con-
tinente non fossero mai più trascinati in nuove guerre.
Nel 1950 il ministro degli esteri francese, Robert Schuman, propose di mettere in
comune le risorse europee di carbone e di acciaio. Gli obiettivi erano quelli di:
> raddoppiare la produzione dell’acciaio e insieme abbassarne i costi;
> sottrarre alle sovranità nazionali un settore fondamentale per l’industria degli ar-
mamenti.
Il 18 aprile 1951, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi fir-
marono a Parigi il primo dei Trattati, quello istitutivo della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (C.E.C.A.).
Con la firma dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957 prese avvio la Comunità Eco-
nomica Europea, con l’obiettivo di creare il Mercato comune europeo, cioè un’area
di libera circolazione delle merci e dei lavoratori.
32. Gli anni Sessanta: la scuola media per tutti e la rottura della con-
testazione globale
Nel 1962, con l’arrivo dei socialisti nell’area di governo, si inaugurò la stagione del
centro-sinistra. Il IV governo Fanfani (in carica dal 21 febbraio 1962 al 28 aprile
1963) varò due storiche riforme: la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la scuo-
la media unica obbligatoria. Si dava finalmente concretezza all’obbligo scolastico di
otto anni rimasto per decenni solo una proclamazione di principio nell’art. 34 della
Costituzione.
La stagione delle riforme sembrò perdere ogni possibilità di controllo con l’arrivo
del Sessantotto. In esso si compì la rivolta generazionale dei figli del “boom” econo-
mico e delle libertà ritrovate; dentro di esso si inserì il tentativo di ribaltamento dello
Stato democratico compiuto dalle c.d. “avanguardie” rivoluzionarie. Furono dichia-
rati superati i concetti di autorità nella famiglia e nella scuola, di rigore negli studi,
di primato del merito; furono poste le basi di marcate presenze ideologiche da cui la
scuola italiana non si è più liberata.
Nella scuola italiana uno dei primi bersagli fu la valutazione del profitto tramite
il voto. Il binomio scuola/voto era stato un pilastro storico della scuola, il segno del
riconoscimento del merito (o del demerito) del singolo. Il voto fu identificato con lo
“strumento di selezione e di espulsione degli studenti proletari” dai gradi alti dell’istruzione;
fu assunto a simbolo della scuola autoritaria, funzionale alla “trasmissione della cultura
32 Le Avvertenze generali in 150 punti chiave
dominante e dei modelli borghesi” del merito e del successo personale. Il secondo, facile
obiettivo da abbattere fu l’esame di maturità: esso costituiva sicuramente una prova
dura, che richiedeva solida preparazione sul programma del triennio finale della
scuola superiore.
Tale riforma aveva preso le mosse dal documento sui “saperi essenziali”, elaborato
dalla Commissione dei Saggi, e si era definita con la legge n. 30 del 2000, con la quale
i “cicli scolastici” diventarono due:
> il primo di sette anni definito “scuola di base”;
> il secondo di cinque anni o scuola secondaria superiore.
Riducendo da 13 anni a 12 il percorso scolastico, gli studenti italiani avrebbero
avuto l’accesso all’università a 18 anni, come nella gran parte dei paesi europei. La
legge, varata alla fine della legislatura, non fu accettata soprattutto dagli insegnanti
dei due tronconi che avrebbero dovuto confluire nella scuola di base, cioè della scuo-
la elementare e della scuola media. Le critiche riguardavano:
> anzitutto la riduzione di organico dei docenti insita nel passaggio da 8 a 7 anni;
> la paventata “elementarizzazione” della scuola media;
> la cosiddetta “onda anomala”: la riduzione di un anno sarebbe avvenuta facendo
saltare un anno scolastico ad alcune delle classi in corso.
Avvenne poi che sia la legge n. 30 che la legge n. 9 furono cancellate nella succes-
siva legislatura, con il varo della c.d. “riforma Moratti”.
do ciclo (PISA 2003) si è occupato della matematica; il terzo ciclo (PISA 2006) si è
occupato delle scienze. I risultati della ricerca OCSE-PISA hanno fornito elementi di
ampia discussione: la preparazione dei nostri quindicenni è sempre risultata inferiore
alla media dei Paesi OCSE. Tuttavia, a causa dell’autoreferenzialità storica dei nostri
docenti, in Italia la discussione non è stata produttiva. Mentre in Germania il dibat-
tito ha determinato una mobilitazione nazionale di scuola e famiglie, con il risultato
di risalire dal 18º posto del 2003 al 13° del 2006, l’Italia è scesa nel frattempo dal 27°
al 36º posto.
> la “disapplicazione” della figura del docente tutor con la “sequenza contrattuale”
del 17 luglio 2006;
> il varo di nuove Indicazioni nazionali (denominate “Indicazioni per il curricolo” -
DM 31.07.2007), da affiancare sperimentalmente a quelle vigenti ex D. Lgs. n.
59/2004.
Le nuove Indicazioni sono più aperte e meno dense di prescrizioni organizzative
e didattiche. Danno particolare attenzione alla continuità del percorso educativo dai
3 ai 14 anni, strutturando percorsi disciplinari unitari dalla primaria al termine della
secondaria di primo grado.
Il Governo è organo costituzionale formato dal Presidente del Consiglio e dai Ministri:
insieme costituiscono il Consiglio dei ministri. La forma di Governo prevista dalla Co-
stituzione è di tipo parlamentare in quanto il Governo è emanazione del Parlamento.
Il Governo estrinseca la sua attività nella funzione di direzione politica dello Stato:
> con gli strumenti del programma di governo, dei disegni di legge che attuano il
programma di governo, dei decreti legge e dei decreti legislativi;
> con l’esercizio del potere esecutivo, cioè delle funzioni amministrative mediante la
pubblica amministrazione, nel rispetto delle autonomie riconosciute.
Formazione del Governo:
> il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su
proposta di questo, i Ministri;
> il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri prestano giuramento nelle mani
del Presidente della Repubblica;
> il Parlamento dà il voto di fiducia al Governo così costituito.
40 Le Avvertenze generali in 150 punti chiave
44. La Magistratura
Il potere giudiziario ha pari dignità rispetto al potere legislativo del Parlamento e a
quello esecutivo del Governo; nel contempo è autonomo e indipendente rispetto a
essi. La separazione del giudice dal legislatore e dall’amministratore è propria degli
Stati democratici (principio della separazione dei poteri) ed è posta a garanzia delle
libertà dei cittadini.
La Magistratura è l’insieme degli organi della giustizia civile, penale e amministra-
tiva che esercitano il potere giudiziario (o funzione giurisdizionale), cioè uno dei
tre poteri fondamentali dello Stato. Il fine della funzione giurisdizionale (dal latino
ius dicere, iuris dictio) è quella di dichiarare il diritto da applicare nelle situazioni con-
troverse e costringere i destinatari ad assoggettarsi alla decisione emessa. L’esercizio
della giurisdizione presuppone l’esistenza di una controversia sull’applicazione del
diritto dovuta a incertezza della norma giuridica o a un rifiuto del cittadino a osser-
vare tale norma.
La giurisdizione penale
È competente per le violazioni delle norme del Codice penale cui sono collegate le
sanzioni penali: è volta ad accertare, attraverso il processo penale, la responsabilità
della persona accusata di reato. In primo grado la giurisdizione penale è esercitata
dal Tribunale o dalla Corte d’assise. L’azione penale è sempre promossa dal pubblico
ministero e il suo esercizio è un obbligo (art. 112, Cost.). Vi sono casi tuttavia in cui
l’azione penale può essere promossa dalla persona offesa dal reato, con un atto che
si chiama querela. Il sistema giudiziario si basa sul principio di presunzione di non
colpevolezza fino alla condanna definita dell’accusato.
La giurisdizione civile
È competente per la tutela dei diritti dei privati. Si svolge su loro iniziativa: si occupa
delle controversie relative ai diritti soggettivi, che riguardino sia rapporti di diritto
privato che rapporti di diritto pubblico. Le controversie civili sono instaurate davanti
al giudice di pace o davanti al tribunale secondo criteri di competenza stabiliti dal
codice di procedura civile. Le sentenze del Tribunale ordinario sono impugnabili,
mediante appello, davanti alla Corte d’Appello per motivi concernenti il fatto che ha
dato origine alla causa (motivi di merito) e davanti alla Corte di Cassazione mediante
ricorso per cassazione (motivi di legittimità). La Corte d’Appello è giudice collegiale
di secondo grado.
E Legislazione e normativa scolastica 41
La Corte di Cassazione
È al vertice della giurisdizione ordinaria e rappresenta il terzo grado di giurisdizione.
Tra le principali funzioni attribuite dalla legge sull’ordinamento giudiziario del 30
gennaio 1941 n. 12 (art. 65) vi è quella di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme in-
terpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse
giurisdizioni”.
La giurisdizione amministrativa
Nell’ordinamento italiano vige un sistema di giustizia amministrativa basato sulla re-
gola che distingue tra diritti soggettivi e interessi soggettivi:
> il giudice ordinario (magistratura civile) giudica le controversie tra soggetto privato
e pubblica amministrazione quando hanno a oggetto un diritto soggettivo;
> il giudice amministrativo giudica le controversie che hanno come oggetto un inte-
resse legittimo.
La distinzione tra i diritti soggettivi e gli interessi legittimi è presente anche in Co-
stituzione (artt. 24 e 113).
Si ha giurisdizione del giudice ordinario quando l’amministrazione abbia agito in
“carenza assoluta di un potere” attribuitole; si ha giurisdizione del giudice amministrati-
vo quando l’amministrazione abbia agito illegittimamente, “male esercitando un potere”
attribuitole. L’espressione sintetica “il giudice amministrativo” indica l’insieme dei
Tribunali amministrativi regionali (TAR), quali giudici di primo grado, e il Consiglio
di Stato, quale giudice di appello.
> Il numero complessivo dei membri del Consiglio è di 27 membri. Le funzioni del
Consiglio Superiore della Magistratura attengono allo stato giuridico dei magistra-
ti: trasferimenti, assegnazioni, promozioni e provvedimenti.
Quando le norme sono emanate da una fonte di pari livello, l’eventuale contrasto
è risolto sulla base del criterio temporale: la norma posteriore abroga la norma an-
teriore. Quando invece il contrasto è fra norme di grado diverso, prevale quella del
grado superiore. Per questa ragione le leggi che contengono norme in contrasto con
quelle stabilite nella Costituzione sono annullate dalla Corte costituzionale. A loro
volta i regolamenti che contengono norme in contrasto con quelle stabilite nelle leg-
gi possono essere annullati dal giudice amministrativo.
Ricordiamo che, in base al principio del primato del diritto dell’Unione europea
rispetto al diritto degli Stati membri, in presenza di una legge nazionale che contrasti
con una norma comunitaria, il giudice ordinario deve disapplicare, nel caso specifi-
co, la legge nazionale e applicare il diritto dell’Unione.
Fatta questa precisazione, elenchiamo le fonti nella loro gerarchia:
> le fonti statali del diritto:
– legge costituzionale (Cost. art. 138);
– legge ordinaria (Cost. art. 70);
– atti aventi forza di legge: decreto legge (Cost. art. 77), decreti delegati/decreti
legislativi (Cost. art. 76), referendum abrogativi (Cost. art. 75);
– regolamenti governativi e ministeriali.
> le fonti non statali del diritto:
– statuti regionali;
– leggi regionali;
– regolamenti provinciali;
– regolamenti comunali.
> dall’altro deve raccordarsi con le competenze degli Enti locali in materia di pro-
grammazione dell’offerta formativa sul territorio.
L’autonomia scolastica ha avuto riconoscimento costituzionale a seguito delle mo-
difiche al Titolo V della Costituzione (legge cost. n. 3/2001), che hanno cancellato la
tradizionale gerarchia verticale Ministero-Provveditorato-Scuole all’interno del nuo-
vo modello di Stato.
Gli strumenti attuativi della Delega contenuta nella legge n. 59/1997, con inciden-
za nell’ambito scolastico, furono:
> il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni e agli enti locali”;
> il D. Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, “Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto
delle istituzioni scolastiche autonome”;
> il D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, “Regolamento recante norme per il dimensionamento ot-
timale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli
istituti”;
> il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”;
> il decreto interministeriale 1° febbraio 2001, n. 44, “Regolamento concernente le
«Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche»”.
Questi cinque provvedimenti saldano fra loro gli elementi di un disegno unitario,
scaturito anzitutto dal I comma dell’art. 21 della legge stessa: “L’autonomia delle istitu-
zioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autono-
mia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”.
con le proprie finalità, in favore dei propri alunni e, coordinandosi con eventuali
iniziative promosse dagli Enti locali, in favore della popolazione giovanile e degli
adulti (art. 9 DPR n. 275/1999). I contenuti e le attività sono in relazione all’ordine
di scuola:
> nel primo ciclo possono essere maggiormente orientati verso l’inclusione, le attività
integrative, il potenziamento degli apprendimenti (corsi madrelingua, e-twinning),
il sostegno al disagio personale e sociale;
> nel secondo ciclo possono prevalere le attività orientative al lavoro (tirocini profes-
sionalizzanti e stages), progetti di dimensione europea (Comenius, apprendimento
delle lingue, scambi di classi), tecnologie informatiche.
> gli istituti comprensivi per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con alme-
no 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni
montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche.
Provvedono ancora a fornire edifici, arredamento e attrezzature alle scuole dell’in-
fanzia e del primo ciclo, rispettando gli obblighi relativi agli interventi necessari alla
messa in sicurezza; forniscono inoltre le utenze elettriche e telefoniche nonché le
provviste di gas e acqua per il riscaldamento e relativi impianti.
Assegnano fondi alle scuole (o provvedono direttamente) per le spese d’ufficio
necessarie al funzionamento delle segreterie amministrative (cancelleria, piccole at-
trezzature, registri, manutenzione degli strumenti informatici).
Definiscono il piano dell’assistenza scolastica e del diritto allo studio, comprese
la provvidenza per gli studenti capaci, meritevoli, privi di mezzi e dei disabili. Per
questi ultimi sostengono gli oneri per la frequenza delle scuole speciali e per l’assi-
stenza educativa (in aula o a domicilio) quando richiesto dal Verbale di accertamento
dell’handicap.
Vigilano sull’osservanza dell’obbligo di istruzione. Provvedono all’organizzazione
del trasporto scolastico, quando necessario, per assicurare il soddisfacimento del di-
ritto/dovere all’istruzione.
due ore settimanali, pari a sette ore al giorno per sei giorni la settimana. La conside-
razione di partenza era che il lavoro nella scuola materna fosse di tipo assistenziale,
inquadrabile più sotto il profilo della vigilanza educativa che sotto quello della docen-
za. L’orario di insegnamento fu poi ridotto a 36 ore settimanali (legge n. 477/1973),
quindi a 30 ore settimanali (oltre a 20 ore mensili di attività aggiuntive) con legge
n. 463/1978. All’orario attuale di 25 ore settimanali di insegnamento si arrivò con il
DPR n. 399/1988.
Da evidenziare:
> l’affermazione della sussidiarietà della scuola rispetto alla “primaria responsabilità
educativa dei genitori”;
> l’affermazione della continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia
(asilo nido) e con la scuola primaria, in autonomia e senza subalternità rispetto a
quest’ultima.
Coerentemente con l’impostazione di “scuola sussidiaria alla famiglia”, l’orario an-
nuale delle attività educative per la scuola dell’infanzia fu offerto nella diversificazione
da un minimo di 875 a un massimo di 1700 ore (su base settimanale, all’incirca: da 22
a 42 ore), a seconda dei progetti educativi delle scuole e delle richieste delle famiglie.
È dichiarata la centralità del rapporto scuola-famiglia: “i docenti curano la persona-
lizzazione delle attività educative, attraverso la relazione con la famiglia in continuità con il
primario contesto affettivo e di vita delle bambine e dei bambini”.
La personalizzazione del processo formativo comporta la flessibilità della program-
mazione nonché l’esigenza di documentare il percorso che quotidianamente si svi-
luppa, condividendolo con le famiglie tramite il “portfolio delle competenze indivi-
duali”. Al D. Lgs. n. 59 sono allegate le Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati
delle Attività Educative nelle Scuole dell’Infanzia: esse “esplicitano i livelli essenziali di
prestazione a cui tutte le Scuole dell’Infanzia del Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute per
garantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione e alla formazione di qualità”: non
contengono quindi i “programmi” bensì gli impegni che l’istituzione scolastica assu-
me a garanzia del diritto dei bambini alla formazione.
bambini nati nei diversi anni. Le sezioni sono costituite, di norma, con un numero di
bambini non inferiore a 18 e non superiore a 26. In caso di iscrizioni in eccedenza,
esse sono ripartite tra le diverse sezioni della stessa scuola senza superare, comunque,
le 29 unità per sezione.
Nel caso dell’inserimento di bambini portatori di handicap, si ricorda che non vige
più la norma della legge n. 517/1977 che stabiliva, come regola assoluta, il limite dei
20 alunni per le classi in cui fosse inserito un bambino portatore di handicap.
Oggi, ai sensi dell’art. 5, c. 2, del DPR n. 81/2009, il tetto dei 20 alunni può essere
autorizzato “purché sia esplicitata e motivata la necessità di tale consistenza numerica, in rap-
porto alle esigenze formative degli alunni disabili, e purché il progetto articolato di integrazione
definisca espressamente le strategie e le metodologie adottate dai docenti della classe, dall’inse-
gnante di sostegno, o da altro personale operante nella scuola”.
Le “sezioni primavera” sono state previste per i bambini dai 24 ai 36 mesi a seguito
dell’art. 1, c. 630, della legge n. 296/2006. Le finalità sono due:
> offrire una risposta alla domanda di servizi educativi per i bambini al di sotto dei tre
anni;
> contrastare i possibili effetti negativi dell’anticipo dell’età di accesso alla scuola
dell’infanzia.
Le “sezioni primavera” svolgono la funzione di anno-ponte fra l’asilo nido e la
scuola dell’infanzia. Non prevedono un organico proprio né figure professionali
specifiche; l’impostazione pedagogica e il Piano dell’offerta formativa sono lasciate
all’autonomia didattica e di sperimentazione del collegio dei docenti. Le iscrizioni
avvengono secondo modalità definite nelle singole realtà territoriali in base a intese
tra gli Uffici Scolastici regionali e le Regioni.
La riforma Moratti fu uno dei temi più accesi della campagna elettorale nella
primavera 2006. Vinse la coalizione di centrosinistra: tuttavia la nuova maggioranza
parlamentare non aveva né la coesione politica né i numeri (soprattutto al Senato)
necessari per sostituirla. Si limitò a modificarne o a neutralizzarne taluni aspetti in
modo specifico: il nuovo ministro Giuseppe Fioroni ricorse all’immagine di ritocchi
fatti con il “cacciavite” per sottolineare la limitazione degli interventi. Fece approvare
la legge n. 176/2007 che sancì, per il tempo pieno, l’orario settimanale indefettibile
di quaranta ore, comprensivo del tempo dedicato alla mensa. Dispose inoltre:
> la “disapplicazione” della figura del docente tutor con la “sequenza contrattuale”
del 17 luglio 2006;
> il varo di nuove Indicazioni nazionali (denominate “Indicazioni per il curricolo”,
DM 31.07.2007), da affiancare sperimentalmente a quelle vigenti ex D. Lgs. n.
59/2004.
Le nuove Indicazioni sono più aperte e meno dense di prescrizioni organizzative
e didattiche. Riservano particolare attenzione alla continuità del percorso educativo
dai 3 ai 14 anni strutturando percorsi disciplinari unitari dalla primaria alla seconda-
ria di primo grado. Il 16 novembre 2012, a conclusione di un anno di monitoraggio
nelle scuole, è stata emanata la versione definitiva delle Indicazioni nazionali, a parti-
re dal testo del 2007 rivisto e implementato.
Se la legge n. 133 (art. 64) aveva finalità di riduzione della spesa, il secondo prov-
vedimento volle invece entrare nel merito dell’attività scolastica. Le disposizioni im-
partite con la legge n. 169 si collocano su piani diversi, alcuni di tipo educativo, altri
conseguenti alle indicazioni dell’art. 64 della legge n. 133:
> introduzione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”;
> introduzione della valutazione in decimi del comportamento degli studenti: se in-
feriore a sei decimi, comporta la non ammissione al successivo anno o all’esame
conclusivo del ciclo;
> valutazione in decimi del rendimento scolastico degli studenti: ammissione alla
classe successiva o all’esame conclusivo del ciclo a seguito di attribuzione, con deci-
sione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, di voti non inferiori a sei decimi
in ciascuna disciplina;
> insegnante unico nella scuola primaria;
> adozione dei libri di testo, nella scuola primaria, ogni cinque anni.
Nella serie, ormai lunga, dei provvedimenti di taglio della spesa, ricordiamo infine
la legge n. 111/2011. Il c. 4 dell’art. 19 ha stabilito che, a decorrere dall’anno scola-
stico 2011-2012:
> la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado
sono obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi, con la soppressione delle
istituzioni scolastiche costituite separatamente da direzioni didattiche o da scuole
secondarie di primo grado;
> gli istituti comprensivi, per acquisire l’autonomia, devono essere costituiti con al-
meno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comu-
ni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche.
> qualora l’autonomia degli Enti territoriali di programmazione dei servizi scolastici
voglia mantenere istituti sottodimensionati, essi sono privati dell’autonomia e affi-
dati in reggenza a dirigenti scolastici di istituti viciniori.
85. Le successive Indicazioni per il curricolo del 2007, fino alle at-
tuali del 2012
In conseguenza del ritorno al governo del centrosinistra nella primavera 2006, il nuo-
vo ministro Giuseppe Fioroni dispose, tra l’altro, il varo di nuove Indicazioni nazio-
nali (denominate “Indicazioni per il curricolo”), da affiancare sperimentalmente a
quelle vigenti ex D. Lgs. n. 59/2004.
Le nuove Indicazioni sono più aperte e meno dense di prescrizioni organizzative e
didattiche. Danno particolare attenzione alla continuità del percorso educativo dai 3
ai 14 anni strutturando percorsi disciplinari unitari dalla primaria alla secondaria di
E Legislazione e normativa scolastica 67
Nella serie, ormai lunga, dei provvedimenti di taglio della spesa, ricordiamo infine
la legge n. 111/2011. Il c. 4 dell’art. 19 ha stabilito che, a decorrere dall’anno scola-
stico 2011-2012:
> la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado
sono obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi, con la soppressione delle
istituzioni scolastiche costituite separatamente da direzioni didattiche o da scuole
secondarie di primo grado;
> gli istituti comprensivi, per acquisire l’autonomia, devono essere costituiti con al-
meno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comu-
ni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche;
> qualora l’autonomia degli Enti territoriali di programmazione dei servizi scolastici
voglia mantenere istituti sottodimensionati, essi sono privati dell’autonomia e affi-
dati in reggenza a dirigenti scolastici di istituti viciniori.
> la possibilità di trasformare le due ore di seconda lingua comunitaria in due ore di
rinforzo della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessa-
rie conoscenze e competenze nella lingua italiana.
Spetta al collegio dei docenti formulare la proposta di una o più lingue comu-
nitarie da proporre come seconda lingua; la delibera spetta al consiglio d’istituto,
come per qualsiasi offerta formativa del POF. È opportuna la consultazione dei
genitori, tenendo conto del contesto produttivo del territorio e delle opzioni lin-
guistiche offerte dalle scuole superiori. Eventuali richieste di trasformazione del-
le cattedre della seconda lingua comunitaria possono essere accolte alle seguenti
condizioni:
> la cattedra risulti priva di titolare;
> non si determinino situazioni di soprannumerarietà a livello provinciale.
Fanno parte del “Regolamento per il riordino degli istituti professionali” (DPR n.
87/2010):
> Allegato A - Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusio-
ne del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione per gli Istituti
Professionali;
> Allegato B - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore
servizi;
> Allegato C - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore
“Industria e artigianato”;
> Allegato D - Tabella di confluenza dei percorsi degli istituti professionali previsti
dall’ordinamento previgente.
Sono inoltre testi fondamentali per l’azione educativa e didattica:
> la Direttiva Stato 28 luglio 2010, n. 65, Linee guida per il passaggio al nuovo ordina-
mento, come previsto all’art. 8, comma 6, del DPR 15 marzo 2010, n. 87 (riporta la
Declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze e abilità per il primo
biennio);
> la Direttiva n. 5 del 16 gennaio 2012, Linee guida per il secondo biennio e quinto
anno per i percorsi degli istituti professionali a norma dell’articolo 8, comma 6, del
DPR 15 marzo 2010, n. 87.
Dalla sinossi possiamo ricavare alcune osservazioni sui tratti precipui della forma-
zione liceale:
E Legislazione e normativa scolastica 79
> i licei forniscono “strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita
della realtà”: non sono quindi espressamente indirizzati a preparare a “professioni
tecniche” o “alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento”, pur non escluden-
do “l’inserimento nel mondo del lavoro”;
> l’obiettivo è quello di trasformare i “saperi” in organica consapevolezza dell’uni-
tà della cultura, in grado di aiutare i giovani nella costruzione di una visione del
mondo capace di coglierne la complessità e stratificazione (Allegato A, PECUP,
p. 2);
> i licei chiedono allo studente di porsi “con atteggiamento razionale, creativo, progettuale
e critico di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi”: la realtà, così declinata, non
è specificamente quella dello “sviluppo economico e produttivo del Paese” o della “dimen-
sione operativa”.
Al termini dei percorsi liceali la prima opzione, fra quelle proposte, è quella del
“proseguimento degli studi di ordine superiore”, anzitutto l’università: si noti invece che il
“rapido inserimento nel mondo del lavoro” è la prima opzione che viene posta al termine
dei percorsi tecnici e professionali.
Tuttavia, solo apparentemente tali formulazioni richiamano l’ottocentesca conce-
zione dell’istruzione liceale come otium, cioè dimensione non economica e non pra-
tica dello studio, contrapposta al negotium della preparazione al lavoro, inteso sia nel-
la sua dimensione scientifica e organizzativa, sia nella sua dimensione applicativa ed
esecutiva. Non c’è spazio per l’istruzione che riproduce se stessa, essendo essa in ogni
caso finalizzata a una crescita economica sostenibile. Sono diversi gli accenti, diversi
e flessibili i tempi, differenti i contesti nazionali e locali; sono pure diversi vocazioni
personali e progetti individuali di vita. La sopravvivenza del sistema Europa è legata
all’elevazione per tutti della qualità della formazione, nella maniera massima possibile
e per tutto l’arco della vita.
Nel quinto anno dei licei è previsto l’insegnamento di una disciplina non linguisti-
ca in una lingua straniera (CLIL, Content and Language Integrated Learning: per la
trattazione si rinvia alla sezione sui documenti europei). Nel liceo linguistico, data la
sua particolare vocazione, è previsto un duplice insegnamento CLIL:
> dal primo anno del secondo biennio per il primo;
> dal secondo anno del secondo biennio per il secondo.
Sezione musicale
Gli studenti della sezione musicale, a conclusione del percorso di studio, sono in
grado di:
> eseguire e interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello
studio e capacità di autovalutazione;
partecipare a insiemi vocali e strumentali, capaci di interagire con il gruppo;
> utilizzare, a integrazione dello strumento principale e monodico ovvero polifonico,
un secondo strumento, polifonico ovvero monodico;
> conoscere i fondamenti della corretta emissione vocale;
> usare le principali tecnologie elettroacustiche e informatiche relative alla musica;
> conoscere e utilizzare i principali codici della scrittura musicale;
> individuare le tradizioni e i contesti relativi a opere, generi, autori, artisti, movimenti,
riferiti alla musica e alla danza, anche in relazione agli sviluppi storici, culturali e so-
ciali;
> cogliere i valori estetici in opere musicali di vario genere ed epoca;
> conoscere e analizzare opere significative del repertorio musicale;
> conoscere l’evoluzione morfologica e tecnologica degli strumenti musicali.
Sezione coreutica
Gli studenti della sezione coreutica, a conclusione del percorso di studio, sono in
grado di:
> eseguire e interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello
studio e capacità di autovalutazione;
E Legislazione e normativa scolastica 83
Opzione economico-sociale
Anche questo percorso liceale è nato dalliistituto magistrale, che era divenuto liceo
delle scienze sociali a seguito di una sperimentazione autorizzata a partire dal 1998.
È caratterizzato dal connubio delle c.d. “scienze umane” con gli studi di diritto ed
economia politica: a questo complesso di discipline sono dedicate 198 ore annue in
ciascuna annualità, pari a 6 ore settimanali. Vi si aggiunge, dal primo al quinto anno,
lo studio di una seconda lingua straniera per 3 ore settimanali. Non ha il latino, che
è invece presente liceo delle scienze umane con 99 ore annue (3 settimanali) nel pri-
mo biennio, poi ridotte a 66 (2 settimanali). Gli studenti, a conclusione del percorso,
devono:
> conoscere le categorie delle scienze economiche, giuridiche e sociologiche;
> comprendere i caratteri dell’economia come scienza delle scelte responsabili sulle
risorse di cui l’uomo dispone, e del diritto come scienza delle regole della conviven-
za sociale;
> sviluppare la capacità di misurare i fenomeni economici e sociali indispensabili alla
verifica empirica dei principi teorici;
> identificare il legame tra i fenomeni culturali, economici e sociali e le istituzioni
politiche, in relazione alle dimensioni nazionale, europea e mondiale.
E Legislazione e normativa scolastica 85
dell’utenza (genitori e studenti), con compiti che in alcune materie erano deliberan-
ti, in altre consultivi. Così, al direttore didattico o preside fu affiancato il consiglio
di circolo o istituto; al provveditore agli studi il consiglio scolastico provinciale; al
ministro il consiglio nazionale della pubblica istruzione (C.N.P.I.). A questi organi
simmetrici ai livelli dell’amministrazione si aggiungeva il consiglio scolastico distret-
tuale, che rappresentava un ambito territoriale allora coincidente con quello delle
Unità sanitarie locali.
Gli organi collegiali nacquero all’indomani della rivolta del Sessantotto, allo scopo
di favorire e regolare la partecipazione delle componenti scolastiche (personale do-
cente e non docente, genitori, studenti) alla gestione democratica della scuola. Nel
1999, con l’avvento dell’autonomia scolastica e il conferimento della dirigenza ai capi
d’istituto, gli organi collegiali della partecipazione divennero gli organi di program-
mazione, indirizzo e controllo dell’autonomia stessa.
> 6 genitori, 6 docenti, 1 non docente quando il numero degli iscritti non supera i
500;
> 8 genitori, 8 docenti, 2 non docenti quando il numero degli iscritti supera i 500.
Nelle scuole secondarie di secondo grado il numero dei genitori è dimezzato per
far posto ad altrettanti rappresentanti degli studenti. Le rappresentanze sono elette
per la durata di tre anni; la componente degli studenti è rinnovata annualmente. Il
presidente è un genitore, votato a scrutinio segreto nella prima convocazione del
neoeletto consiglio.
In quanto organo di raccordo fra scuola-apparato e scuola-comunità il consiglio
d’istituto è la sede del confronto fra l’istituzione e la società del territorio in cui la
scuola agisce. All’interno dell’istituto, il consiglio è l’interlocutore del collegio dei
docenti. Se il collegio è l’organo della elaborazione della programmazione educativa
e didattica nonché del Piano dell’offerta formativa (POF), il consiglio è la sede della
deliberazione sulle proposte del collegio in merito all’offerta formativa nonché del
sostegno organizzativo e finanziario per la sua attuazione. Esso ha quindi potere deli-
berante in tre settori fondamentali (art. 10 TU):
> l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola;
> la materia finanziaria;
> la materia regolamentare, con particolare riferimento alle responsabilità di cui agli
artt. 2047 e 2048 cod. civ. (responsabilità sugli alunni).
Il bilancio si compone di due atti, corrispondenti alla previsione per l’anno succes-
sivo e al controllo sulla gestione dell’anno precedente:
> programma annuale;
> conto consuntivo.
Una precisazione: il bilancio si riferisce all’anno finanziario che corrisponde all’an-
no solare, mentre l’attività della scuola si svolge per anno scolastico. Esso pertanto si
articola per 4/12 da settembre a dicembre e per 8/12 da gennaio ad agosto dell’anno
successivo. Il Programma annuale è predisposto dal dirigente scolastico e proposto al
consiglio d’istituto dalla giunta esecutiva col parere di regolarità contabile dei reviso-
ri del conto entro il 31 ottobre. Il consiglio d’istituto approva il Programma annuale
entro il 15 dicembre dell’anno precedente quello al quale l’esercizio si riferisce. Nel
Programma sono indicate tutte le entrate, aggregate secondo la loro provenienza e
cioè:
> avanzo di Amministrazione presunto;
> finanziamenti dello Stato;
> finanziamenti da enti territoriali o da altre istituzioni pubbliche;
> contributi da privati, proventi da gestioni economiche, altre entrate, mutui.
Anche le spese, cioè le uscite, sono aggregate per attività: finanziamento ammini-
strativo e didattico, spese di personale e d’investimento, progetti, gestioni economi-
che, fondo di riserva e disponibilità finanziaria da programmare.
Per ogni progetto attuativo del P.O.F. è redatta una scheda che indica l’arco tem-
porale in cui il progetto deve essere realizzato, le fonti di finanziamento, le spese
previste (distinte tra spese di personale, beni di investimento e di consumo e servizi
da acquistare).
Spetta al dirigente la procedura ordinaria di contrattazione riguardante acquisti,
appalti e forniture il cui valore complessivo non ecceda il limite di spesa di euro
2.000, oppure il limite preventivamente fissato dal consiglio.
Il conto consuntivo “si compone del conto finanziario e del conto del patrimonio” (D.I.
n. 44/2001, art. 18, c. 1). Il conto finanziario comprende le entrate di competenza
dell’esercizio, distinte tra:
> entrate: accertate, riscosse e da riscuotere;
> spese: impegnate, pagate e rimaste da pagare.
Il conto del patrimonio indica la consistenza degli elementi patrimoniali (beni
e strumentazioni della scuola, titoli) attivi e passivi, all’inizio e al termine dell’eser-
cizio, e le relative variazioni, nonché il totale complessivo dei crediti e dei debiti
risultanti alla fine dell’esercizio. Il conto consuntivo è predisposto dal direttore dei
servizi generali e amministrativi (D.S.G.A.) entro il 15 marzo ed è sottoposto dal
dirigente scolastico all’esame dei revisori dei conti unitamente a una relazione che
illustra la gestione dell’istituzione scolastica e i risultati conseguiti in attuazione de-
gli obiettivi prefissati col Programma. Il conto consuntivo, con allegata la relazione
dei revisori dei conti, è sottoposto all’approvazione del consiglio d’istituto entro il
30 aprile.
90 Le Avvertenze generali in 150 punti chiave
Da tale parere possono derivare anche la proroga di un anno del periodo di prova
o addirittura la dispensa dal servizio. Il dirigente scolastico può discostarsi dal parere
emesso, il quale non è vincolante: ha tuttavia l’onere dell’adeguata motivazione.
> qualora la richiedano cento genitori negli istituti con popolazione scolastica fino a
500, duecento negli istituti con popolazione scolastica fino a 1000, trecento negli
altri.
L’assemblea dei genitori deve darsi un regolamento per il proprio funzionamento
che viene inviato in visione al consiglio di istituto. All’assemblea di sezione, di classe
o di istituto possono partecipare con diritto di parola il dirigente scolastico nonché i
docenti rispettivamente della sezione, della classe o dell’istituto.
Anche agli studenti della scuola secondaria superiore il DPR n. 416/1974 ha dato
la possibilità di riunione in assemblee di classe o di istituto all’interno degli edifici
scolastici (artt. 43 e 44). L’assemblea d’istituto può essere convocata una volta al me-
se per tutta la durata delle lezioni della giornata, su richiesta della maggioranza del
comitato studentesco o del 10% degli studenti; anche l’assemblea di classe può essere
convocata una volta al mese, con il limite di due ore.
La norma nacque con l’intento di incanalare i movimenti di contestazione e pro-
testa, fornendo opportunità di crescita civile e di confronto democratico all’interno
delle scuole, tramite le assemblee definite “occasione di partecipazione democratica per
l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione cultu-
rale e civile degli studenti”. Rimane intatta nel tempo la subalternità della maggioranza
degli studenti a minoranze agguerrite che perseguono ritualmente obiettivi (di solito
etero diretti) di contestazione, anche tramite azioni violente e illegali (occupazione e
danneggiamento di edifici pubblici).
cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo in-
tervenuta l’autorizzazione del Ministro competente. L’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001
conferma tale incompatibilità per tutti i dipendenti pubblici. Per assumere particola-
ri incarichi da parte di enti pubblici o di privati, il dipendente deve essere preventi-
vamente autorizzato. L’eccezione rispetto al criterio costituzionale dell’esclusività del
lavoro pubblico è costituita dalla scelta del part time non superiore al 50%. Infatti i
dipendenti delle PA possono esercitare le libere professioni o svolgere altra attività
purché optino per il regime di part time con prestazione lavorativa non superiore al
50% rispetto a quella prevista per il tempo pieno (art. 53, c. 6, D. Lgs. n. 165/2001).
La norma introduce una significativa attenuazione del dovere di esclusività per chi
opta per l’orario di lavoro non superiore alla metà di quello ordinario: la regola da
applicare in questi casi è che la doppia attività è consentita, mentre il diniego ha
carattere residuale (attività in conflitto di interessi con la specifica attività di servizio
svolta dal dipendente). Il dipendente è tenuto a presentare alla propria amministra-
zione di servizio la richiesta di autorizzazione allo svolgimento del secondo lavoro.
Esistono, inoltre, norme particolari per i docenti, che derogano dal criterio assolu-
to dell’incompatibilità. Previa autorizzazione del dirigente scolastico e previa verifica
della compatibilità con l’orario di insegnamento e di servizio, il docente può:
> esercitare libere professioni che non siano di pregiudizio alla funzione docente
(art. 508 TU);
> impartire lezioni private ad alunni di altri istituti (non del proprio);
> accettare incarichi di docenza entro il limite di 6 ore settimanali (art. 35 CCNL).
POF. Quindi, in sede di contrattazione, il criterio di utilizzo del Fondo non può esse-
re quello della “distribuzione a pioggia” perché:
> la citata legge n. 15/2009 (art. 5) prevede la valorizzazione del merito nonché i
principi di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera e nel ricono-
scimento degli incentivi;
> per la direzione della scuola il FIS costituisce una leva importante per sollecitare le
collaborazioni e guidarle verso gli obiettivi prioritari dell’amministrazione scolastica.
Per i docenti vanno riconosciuti prioritariamente:
> i compensi ai collaboratori del dirigente scolastico (di norma due, aumentabili per
esigenze riconosciute in sede di contrattazione: ad. es. un maggior numero di sedi
staccate);
> le attività aggiuntive di insegnamento, consistenti nello svolgimento, oltre l’ora-
rio obbligatorio e fino a un massimo di sei ore settimanali, di interventi didattici
volti all’arricchimento dell’offerta formativa, di corsi di recupero e di potenzia-
mento;
> prestazioni connesse a particolari forme di flessibilità dell’orario;
> attività aggiuntive di programmazione (commissioni del collegio dei docenti,
compiti di progettazione, incarichi di responsabilità per i laboratori, la sicurezza
ecc.);
> compensi per ogni altra attività deliberata dal consiglio d’istituto nell’ambito del
POF.
I compensi, anche forfettari, vanno definiti in sede di contrattazione. Altre attività,
oggetto di contrattazione di istituto, sono finanziate con voci specifiche del Fondo di
istituto:
> funzioni strumentali conferite a personale docente (incarichi attribuiti ai docenti
individuati dal Collegio per specifici progetti attuativi del POF);
> incarichi specifici conferiti a personale ATA;
> personale impegnato su progetti in “aree a rischio” (ad es.: situazioni di diffusa
devianza sociale, emarginazione scolastica, forte processo immigratorio).
Tutti gli incarichi vanno conferiti con atto del dirigente scolastico, nel quale sono
specificati i compiti assegnati e il compenso riconosciuto dalla contrattazione.
organizzazione del lavoro. L’art. 7 “Gestione delle risorse umane” (c. 4) così recita: “Le
amministrazioni pubbliche curano la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso
quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l’adeguamento dei programmi formativi, al
fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione”.
Nella scuola, sistema nazionale dell’istruzione, la crescita culturale e professionale
degli insegnanti è la principale leva che assicura la qualità della formazione dei giovani.
146. L’INVALSI
Nella “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla collaborazio-
ne europea per la valutazione della qualità dell’insegnamento scolastico” del 3 agosto
2000:
> si incoraggia l’autovalutazione da parte degli istituti scolastici come metodo per
aprirsi all’apprendimento e al perfezionamento, mantenendo l’equilibrio tra auto-
valutazione e valutazione esterna;
> si sollecita lo sviluppo della “valutazione esterna, al fine di formare un sostegno metodolo-
gico all’autovalutazione della scuola e un’analisi esterna della scuola, badando a non limi-
tarsi al solo controllo amministrativo e sostenendo un processo di continuo miglioramento”;
110 Le Avvertenze generali in 150 punti chiave
147. L’INDIRE
L’INDIRE è l’acronimo di Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ri-
cerca Educativa. L’idea che la scuola avesse bisogno di un centro di documentazione
e di studio, finalizzato a investire in formazione e innovazione e a sostenere i processi
di miglioramento, è antica quanto la scuola stessa. La prima attivazione di quest’idea
risale al 1925; la sua storia moderna comincia con i decreti delegati.
L’art. 14 del DPR n. 419/1974 istituiva infatti la Biblioteca di documentazione pe-
dagogica (BDP), con sede in Firenze, per:
> raccolta, conservazione e valorizzazione del materiale bibliografico e di documen-
tazione didattico-pedagogica;
> sviluppo e funzionamento della biblioteca pedagogica nazionale a servizio delle
istituzioni e degli studiosi, oltre che del personale della scuola.
Contestualmente alla BDP il decreto delegato n. 419 istituiva gli Istituti regionali di
ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi (IRRSAE: art. 9 sgg.). Collegati
alle università, articolati in sezioni corrispondenti ai vari ordini di scuola, radicati nel
territorio, avevano ricevuto i compiti di:
> raccogliere, elaborare e diffondere la documentazione pedagogico-didattica;
> condurre studi e ricerche in campo educativo;
> promuovere e assistere l’attuazione di progetti di sperimentazione cui collaborino
più istituzioni scolastiche;
> organizzare e attuare iniziative di aggiornamento per il personale direttivo e docen-
te della scuola;
> fornire consulenza tecnica sui progetti di sperimentazione e sui programmi, sui
metodi e sui servizi di aggiornamento culturale e professionale dei docenti e colla-
borare all’attuazione delle relative iniziative promosse a livello locale.
> l’istituzione del sistema nazionale dell’istruzione, composto dalle scuole statali e
dalle scuole paritarie (legge 62/2000);
> la riforma dell’intero sistema dell’istruzione, prima con la legge n. 30/2000, non
attuata, poi con la legge n. 53/2003 (c.d. “riforma Moratti”).
Con l’art. 2 del D. Lgs. n. 258/1999 la BDP fu trasformata in Istituto nazionale di
documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa, sottoposto alla vigilanza del
Ministero della pubblica istruzione e collegato con gli Istituti regionali di ricerca, spe-
rimentazione e aggiornamento educativi (IRRSAE).
Al neonato Istituto furono attribuiti, oltre ai compiti già svolti dalla BDP, nuovi
campi di impegno a fianco delle istituzioni scolastiche autonome:
> lo sviluppo di un sistema di documentazione finalizzato alle esperienze di ricerca e
innovazione didattica e pedagogica in ambito nazionale e internazionale;
> la creazione di servizi e materiali a sostegno dell’attività didattica e del processo di
autonomia;
> lo sviluppo dei sistemi tecnologici e documentari;
> la collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione per la gestione dei pro-
grammi e dei progetti dell’Unione europea.
Le otto competenze-chiave
Si riporta di seguito la definizione ufficiale delle otto competenze-chiave (Raccoman-
dazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/
CE)).
1 La comunicazione nella madrelingua (Communication in the mother tongue) è la ca-
pacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni
in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, compren-
sione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo
creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali,
quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero.
2 La comunicazione nelle lingue straniere (Communication in foreign languages)
condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la comunicazione nel-
la madrelingua. La comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità
quali la mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di
un individuo varia inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione ora-
le, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e tra le diverse
lingue e a seconda del suo retroterra sociale e culturale, del suo ambiente e delle
sue esigenze ed interessi.
3 La competenza matematica (Basic competences in maths, science and technology) è
l’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una se-
rie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza
delle competenze aritmetico-matematiche, l’accento è posto sugli aspetti del
processo e dell’attività oltre che su quelli della conoscenza. La competenza
matematica comporta, in misura variabile, la capacità e la disponibilità a usa-
re modelli matematici di pensiero (pensiero logico e spaziale) e di presenta-
zione (formule, modelli, schemi, grafici, rappresentazioni). La competenza in
campo scientifico si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme
delle conoscenze e delle metodologie possedute per spiegare il mondo che
ci circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni
che siano basate su fatti comprovati. La competenza in campo tecnologico è
considerata l’applicazione di tale conoscenza e metodologia per dare risposta
ai desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in campo
scientifico e tecnologico comporta la comprensione dei cambiamenti deter-
minati dall’attività umana e la consapevolezza della responsabilità di ciascun
cittadino.
4 La competenza digitale (Digital competence) consiste nel saper utilizzare con di-
mestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il
lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa implica abilità di base nelle tec-
nologie dell’informazione e della comunicazione (TIC): l’uso del computer per
reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni
nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet.
5 Imparare a imparare (Learning to learn) è l’abilità di perseverare nell’appren-
dimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una ge-
stione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in
gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio pro-
F I documenti europei 117
Ciascuna fascia viene ripartita a sua volta in due livelli, per un totale di sei livelli
complessivi. Il QCER descrive ciò che un individuo è in grado di fare a ciascun livello
nei diversi ambiti di competenza:
> comprensione scritta (comprensione di elaborati scritti);
> comprensione orale (comprensione della lingua parlata);
> produzione scritta e produzione orale (abilità nella comunicazione scritta e orale).
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