Sei sulla pagina 1di 138

AVVERTENZE

GENERALI

Riassunti
CAPITOLO 2
LA DIMENSIONE EUROPEA DELL’ISTRUZIONE
Agli inizi degli anni Sessanta, in concomitanza con l’espansione dei sistemi scolastici, la Comunità
europea avverte l’esigenza di avviare prime forme di cooperazione nei settori dell’istruzione.

1974 Primi documenti ufficiali. Il Consiglio diffonde una comunicazione dal titolo: «L’educazione
nella Comunità europea» sarà il primo programma di cooperazione in ambito educativo nel febbraio
del 1976. Nello stesso periodo vengono avviate le reti di informazione EURYDICE e il programma
ARION per lo scambio di dirigenti e funzionari.

1992 IL TRATTATO DI MAASTRICHT nel quale viene sancito il principio della cittadinanza
europea, come completamento di quella nazionale.
nell’art. 126 si afferma: La Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità
incentivando la cooperazione tra gli Stati membri. L’azione della Comunità è intesa a:
– sviluppare la dimensione europea dell’istruzione con l’apprendimento e la diffusione delle lingue
degli Stati membri;
– favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti;
– promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento;
– sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze ;
– favorire lo sviluppo degli scambi di giovani ;
– incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza

1993 LIBRO BIANCO di Delors il quale ritiene inadeguato il livello d’istruzione in relazione ai
mutamenti sociali ed economici dopo la caduta del muro di Berlino. Sottolinea che una delle cause
della disoccupazione è il basso livello d’istruzione.

1995 la Commissione presenta il LIBRO BIANCO che segna una tappa fondamentale nella storia
della scuola in Europa: il «RAPPORTO CRESSON». I cui obiettivi erano:

– elevare il livello generale della preparazione dei giovani;


– valorizzare la collaborazione tra scuola e impresa;
– combattere l’esclusione sociale;
– evitare un’eccessiva rigidità dei percorsi formativi

Promuove una solida cultura generale capace di orientare i giovani nelle scelte formative e
professionali

1996 L’UNESCO pubblica il Rapporto: «Nell’educazione un tesoro», in cui si sottolinea


l’importanza del capitale umano lungo l’arco della vita.
Già nel Libro Bianco del 1993, Delors aveva lanciato la sfida delle 3 elle: life long learning. In
quest’ultimo Rapporto egli evidenzia i quattro pilastri dell’educazione:
– imparare a conoscere;
– imparare a fare ;
– imparare a lavorare insieme ;
– imparare a essere.
I documenti emanati dalla Commissione europea non mutano il principio di sussidiarietà dei Paesi
membri dell’Unione. Con tale principio si afferma che, nei settori che non sono di sua esclusiva
competenza, l’Unione interviene soltanto se l’azione dei singoli Stati risulti insufficiente.

2000 MEMORANDUM DI LISBONA : prevenire la dispersione scolastica e innalzare il tasso di


istruzione secondaria. sottolineando i seguenti principi:

– qualità: dei sistemi di istruzione e formazione e dei processi di insegnamento-apprendimento;

– accesso: promuovere l’accesso all’apprendimento in tutte le fasi della vita;

– contenuto: procedere a una revisione delle capacità di base che i giovani devono possedere;

– apertura: si insiste sull’opportunità che i sistemi di istruzione siano aperti al mondo,


incrementando il legame con l’ambiente locale;

– efficacia: si sottolinea la necessità che i sistemi di istruzione facciano ricorso a sistemi di garanzia
della qualità.

Dopo Lisbona vengono fissati tre grandi obiettivi:

– migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione: elevare la preparazione dei docenti,
garantire l’accesso alle tecnologie informatiche, ecc.;

– agevolare l’accesso ai sistemi formativi a tutti: innovare gli ambienti di apprendimento, sostenere
la cittadinanza attiva;

– aprire i sistemi d’istruzione europei agli altri Paesi del mondo: rafforzare i legami con il mondo
del lavoro, migliorare l’apprendimento delle lingue straniere.

2006 Il 18 dicembre viene diffusa la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio dell’Unione
europea di otto competenze chiave per l’apprendimento permanente.

– comunicazione nella madrelingua;

– comunicazione nelle lingue straniere;

– competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;

– competenza digitale;

– imparare a imparare;

– competenze sociali e civiche;

– spirito di iniziativa e imprenditorialità;

– consapevolezza ed espressione culturale.

Ripreso nel 2007 dal nostro Ministero della Pubblica Istruzione nel DM 139/2007 che innalza
l’obbligo d’istruzione a 16 anni. In questo decreto, infatti, vengono delineate otto competenze
chiave di cittadinanza attuative della Raccomandazione. Esse sono:
– imparare a imparare;

– progettare;

– comunicare;

– collaborare e partecipare;

– agire in modo autonomo e responsabile;

– risolvere problemi;

– individuare collegamenti e relazioni;

– acquisire e interpretare l’informazione.

Le competenze relative al DM 139/2007 sono raggruppate attorno a quattro assi culturali: asse dei
linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale. Gli apprendimenti che vengono
acquisiti in questi ambiti dovranno rafforzare le competenze chiave di cittadinanza, senza il
possesso delle quali la persona rischia l’emarginazione sociale.

STRATEGIA EUROPA 2020 Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita e l'occupazione
che l'Unione europea ha varato nel 2010. Non mira soltanto a superare la crisi dalla quale le
economie di molti paesi stanno ora gradualmente uscendo, ma vuole anche colmare le lacune del
nostro modello di crescita attraverso Tre priorità chiave promuovendo una crescita :

– intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza, sull’innovazione e sulla


modernizzazione;

– sostenibile: promuovere un’economia più verde e competitiva;

– inclusiva: favorire un alto tasso di occupazione.

La Commissione, per raggiungere le finalità soprarichiamate, propone i seguenti obiettivi:

– il 75% delle persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni deve avere un lavoro;

– il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve
essere laureato.

Il concetto di cittadinanza, come sancito dall’idea di citoyen, secondo cui l’individuo è legato allo
Stato di appartenenza, è stato messo in discussione dalle rilevanti migrazioni di questi decenni e
dalla massiccia presenza di persone straniere di prima e di seconda generazione.

Anche il principio di cittadinanza europea si inserisce in tale contesto per poi evolversi in un’idea
universalistica di vivere oggi una cittadinanza planetaria, incentrata sull’istanza che i diritti umani
sono alla base di una nuova e costruttiva convivenza tra i popoli. L’educazione può contribuire a
rafforzare questa nuova costruzione e promuovere principi di identità, che si sostanzia nel concetto
di pluralità di appartenenza. L’educazione, in questo senso, è lo strumento privilegiato per
valorizzare un <<sentire comune europeo>>. L’Unione europea insiste sulla promozione di una
cittadinanza attiva e di una partecipazione diretta dei giovani alla loro crescita formativa, attraverso
appositi Programmi sostenuti dagli organismi dell’Unione europea

PEL ( PORTFOLIO EUROPEO DELLE LINGUE) è stato definito nel quadro della promozione
della cittadinanza, esso si pone come uno strumento per promuovere il plurilinguismo e favorire la
comunicazione. È uno strumento messo a punto dal Consiglio d'Europa. Sin dal 1962 il Comitato
dei Ministri evidenziò l'importanza delle lingue nel processo di cooperazione degli Stati membri, vi
era riferimento al documento già nella Raccomandazione n. 18 del 1982, nel quale le lingue erano
definite un bene inalienabile per favorire la comunicazione e la comprensione reciproca. Nella
Raccomandazione n. 6 del 1998 del Comitato dei Ministri viene auspicata l'attuazione, da parte dei
Governi degli Stati membri, di azioni tese ad "incoraggiare le Istituzioni a sviluppare e utilizzare
per gli studenti in tutti i settori dell'educazione un documento personale nel quale possano essere
registrate tutte le certificazioni e le esperienze linguistiche e culturali in modo coerente e
trasparente. In un' ottica di sempre maggiore mobilità dei cittadini europei è infatti necessario
promuovere l'uso di strumenti didattici e pedagogici che accompagnino l'apprendimento linguistico
e lo certifichino in modo trasparente, coerente e significativo per il discente. Nel novembre 1991 si
era tenuto a Rüschlikon un simposio intergovernativo nel quale era stata sottolineata la necessità di
avere un quadro condiviso di livelli di competenza per poter definire programmi di apprendimento
comuni e il riconoscimento reciproco di certificazioni. La soluzione sarebbe stata trovata nella
definizione del Quadro comune europeo di riferimento, articolato in tre livelli e due sottolivelli: A
indica elementare, a sua volta suddiviso in A1 e A2; B è riferito a intermedio ed è suddiviso in B1 e
B2; C indica il livello avanzato e ha C1 e C2.
Nel 1998 ha avuto inizio la fase di sperimentazione del PEL che si è conclusa nel 2000 con un
Rapporto finale. La sperimentazione è stata condotta in 15 Stati membri ed ha avuto luogo in scuole
di diverso ordine e grado.

Il PEL è formato da tre diverse sezioni:

Il Passaporto delle lingue che viene regolarmente aggiornato dal discente che vi registra le sue
competenze nelle diverse lingue. Si basa sul Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.
Il discente si autovaluta ed è valutato sulla base dei sei livelli comuni di competenza linguistica

La Biografia linguistica riporta i processi attraverso i quali sono state acquisite le competenze; essa
dovrebbe consentire di effettuare delle riflessioni sui personali processi di apprendimento e
promuoverne lo sviluppo. Essa ha anche funzioni di documentazione con l’ampliamento delle
informazioni già dichiarate nel passaporto;

Il Dossier offre al discente l'opportunità di selezionare e raccogliere documenti che illustrino i


risultati e le esperienze descritti nella biografia.

È stato individuato anche l’organismo europeo che dovrebbe esaminare e validare i vari modelli di
portfolio elaborati: esso è denominato Comitato validatore.

Nel corso di questi decenni, sono stati messi a punto diversi Programmi europei rivolti ai giovani
ma che coinvolgono anche il personale della scuola. Il programma Comenius è stato creato per
incentivare la cooperazione nel campo dell’istruzione scolastica, dall’infanzia alla secondaria di
secondo grado. Si sviluppa secondo tre azioni:
– creazione di partenariati tra scuole per la realizzazione di Progetti Educativi Europei. Si tratta di
gruppi di scuole di almeno tre Paesi diversi con l’obiettivo di dar vita a un progetto che può
riguardare la tradizione, l’arte, la cultura, ecc.;

– attività in ambito interculturale. Si prevede l’erogazione di sussidi per incentivare una dimensione
d’insegnamento scolastico interculturale;

– formazione continua di personale educativo, anche tramite l’erogazione di borse di studio per i
singoli partecipanti ad attività di formazione.

Gli obiettivi di Comenius sono quelli di sviluppare la conoscenza e la comprensione della diversità
culturale e linguistica e di aiutare i giovani ad acquisire competenze di base in vista della
promozione di una cittadinanza europea attiva.

Il programma Erasmus, nasce nel 1987 ed è aperto all’insegnamento universitario fino al dottorato.
Erasmus offre la possibilità a uno studente di effettuare un tirocinio in un Paese dell’Unione o di
studiare in una università straniera.

Il programma Erasmus ha assunto il nome di Erasmus + per l’istruzione, la formazione, la gioventù


e lo sport per il periodo 2014-2020. Raggruppa sette programmi già esistenti dell’Unione Europea;
per la prima volta include anche lo sport e intende offrire a oltre 4 milioni di europei l’opportunità
di studiare, formarsi, acquisire esperienze professionali e fare volontariato all’estero.

Il programma Leonardo da Vinci è stato avviato nel 1993 per attuare una politica europea condivisa
nell’ambito della formazione professionale. Attraverso questo programma s’intende offrire
opportunità a giovani studenti di aggiornare abilità e competenze in un altro Stato relativamente alla
propria preparazione professionale.

Comenius, Erasmus e Leonardo da Vinci sono i programmi europei che hanno permesso e
permettono una significativa e rilevante mobilità degli studenti e dei docenti in tutti i gradi
dell’istruzione, dall’infanzia all’Università.

IL QUADRO EUROPEO DELLE QUALIFICHE per l’apprendimento permanente (European


Qualification Framework- EQF) Dopo un lavoro preparatorio condiviso con i paesi, l’EQF è stato
adottato formalmente con Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio il 23 aprile
2008. È uno schema di riferimento per “tradurre” quadri di qualifiche e livelli di apprendimento dei
diversi paesi e che agisce come dispositivo per renderli più leggibili. Il Quadro europeo include tutti
i titoli di studio e le qualifiche, da quelli di base a quelli universitari e postuniversitari. È costituito
da una griglia di otto livelli che descrivono conoscenze/abilità acquisite da chi apprende livello 1
caratterizzato dal possesso di conoscenze di base , abilità di base necessarie a svolgere mansioni
semplici. lavoro o studio, sotto la diretta supervisione, in un contesto strutturato, corrispondente al
patrimonio di conoscenze e competenze conseguibile al termine del percorso
della scuola obbligatoria
Il livello 8, quello più elevato, invece è caratterizzato dal possesso di: conoscenze all’avanguardia in
ambito di lavoro o di studio; abilità e tecniche più avanzate e specializzate, corrispondente al
bagaglio di conoscenze e competenze che si consegue al termine di un percorso universitario post-
laurea.
Nell’EQF sono chiarite anche le definizioni fondamentali relative al concetto di competenza che è
la risultante di questa sequenza:
– risultato dell’apprendimento: si intende ciò che un discente conosce, capisce ed è in grado di
realizzare al termine di un processo di apprendimento. Conoscenze, abilità e competenze;
– conoscenza: comprende l’esito dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le
conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un settore di lavoro o di
studio.
Nel contesto dell’EQF le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche;
– abilità: si intende la capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a
termine compiti e risolvere problemi.
Nell’EQF le abilità sono descritte come cognitive (pensiero critico, creativo, logico…) e pratiche
(abilità manuali, uso di metodi, materiali, strumenti);
– competenze: capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o
metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale.
Nell’EQF le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
CAP 4
RICERCA IN EDUCAZIONE
La creazione del termine PSICOLOGIA risale a Filippo Melantone che considerava la psicologia
come l’insieme di conoscenze filosofiche, letterarie e religiose sull’animo umano. Il significato
della parola veniva fatto derivare dai termini greci psiche e logos, due termini che si riferivano allo
studio sistematico dell’anima.

La psicologia nasce, invece, come scienza moderna nella seconda metà dell’Ottocento; in Italia nel
1905 Giulio Cesare Ferroni pubblica il periodico scientifico «Rivista di Psicologia».

Una delle correnti che hanno tentato di definire l’oggetto della psicologia è il Comportamentismo
(studio del comportamento osservabile).

Uno dei maggiori esponenti del Comportamentismo è lo studioso americano John B. Watson che,
in un articolo pubblicato nel 1913, La psicologia così come la vede il comportamentista, parla della
psicologia riferendosi al controllo del comportamento. La concezione del Comportamentismo
sposta decisamente l’interesse della ricerca psicologica dalla coscienza ai comportamenti manifesti,
fino a includere un dato di analogia tra l’uomo e l’animale.

Watson indica nel lavoro di Pavlov sui riflessi condizionati il fondamento sperimentale del
Comportamentismo.

Pavlov sosteneva che se a uno stimolo che è in grado di evocare automaticamente un riflesso (ad
esempio, la vista di un cibo) si associa sistematicamente uno stimolo neutro (ad esempio, il suono di
un campanello), dopo un certo numero di associazioni lo stimolo neutro produrrà il riflesso (detto
condizionato).

In breve tempo le teorie di Watson divennero il principale riferimento di tutti gli psicologi
americani della prima metà del Novecento.

Con il tempo il Comportamentismo cominciò ad essere elaborato secondo differenti approcci. Uno
degli autori di questi differenti apporti è Edward Tolman che afferma che il comportamento
umano va interpretato anche considerando diversi fattori che operano come variabili indipendenti:
stimoli ambientali, memoria, pulsioni fisiologiche, eredità, età, sesso, esercizio pregresso e così via.
Il comportamento, dunque, ha uno scopo che è lo stesso, nonostante variazioni esterne: questa
concezione è stata definita anche Comportamentismo intenzionale.
Il maggiore esponente del comportamentismo è Burrhus Frederic Skinner. Egli si distacca sia
dalla concezione di Watson, sia da quella di Tolman e di altri ricercatori del behaviorismo. Si
discosta dalla psicologia che privilegiava il legame causale tra stimolo e risposta, ricercando
piuttosto le regolarità tra queste due classi.

Skinner distingue tra i comportamenti rispondenti, che si apprendono per stimolo-risposta (teoria
classica) e quelli operanti, che vengono emessi spontaneamente dall’organismo e la cui probabilità
di occorrenza aumenta o diminuisce a seconda del rinforzo (premio o punizione) che l’organismo
riceve in corrispondenza della loro emissione. Si parla di condizionamento operante e si può
applicare a qualsiasi tipo di risposta, comprese quelle più strettamente legate all’apprendimento.
Egli, infatti, elabora una tecnologia dell’apprendimento, le cosiddette «macchine per insegnare»
(teaching machines).

Gli studiosi sopra descritti si dedicarono allo studio del comportamento. Uno degli studiosi che si
dedicò allo studio dell’inconscio fu Sigmund Freud che formula agli inizi del Novecento una
nuova teoria della psiche.
Nel suo scritto Introduzione alla psicoanalisi, Freud sostiene che i processi psichici sono di per sé
inconsci e che di tutta la vita psichica sono consce soltanto alcune parti e alcune azioni singole.
Freud sostiene che lo sviluppo del bambino avviene seguendo alcune fasi:
– 1°/2° anno – fase orale: il bambino deve venire saziato con un’alimentazione adeguata alle sue
esigenze e anche un’adeguata stimolazione della mucosa orale;
– 3° anno – fase anale: primeggia sia nel bambino sia nell’adulto la considerazione del
funzionamento intestinale, del controllo degli sfinteri;
– 3°/6° anno – fase fallica: l’attenzione del bambino si concentra sulle zone genitali in
concomitanza con la differenziazione sessuale;
– 6°/11° anno – fase della latenza: in questo periodo il soggetto rafforza le proprie capacità di
dominio delle pulsioni sessuali: gli impulsi sessuali non cessano, si mitigano perché la loro energia
è utilizzata per il raggiungimento di altri scopi, intellettuali, scolastici. Questo processo si chiama
sublimazione.
Si tratta di una concezione che si riferisce anche alla scoperta della sessualità infantile
come dimensione a sé stante.
Nella fase orale, il piacere sessuale è legato all’eccitamento della cavità orale; in quella successiva
gli interessi si spostano dalla zona orale a quella anale; nella fase fallica l’energia libidica interessa
la regione genitale.
Un esponente molto importante nel campo dell’indagine psicoanalitica è Erik Erikson. Da Freud
recupera la storicità del bambino e parla del suo sviluppo inteso come triangolo «bambino-madre-
padre».Egli concentra il proprio interesse sulla risoluzione positiva delle crisi evolutive e delinea
otto fasi fondamentali, che vanno dalla nascita alla vecchiaia.
Le prime vanno dalla nascita all’adolescenza:
– Fiducia di base: il bambino deve venire saziato attraverso la saturazione
delle sue esigenze affettive: accarezzato, guardato, chiamato, amato. È fondamentale il rapporto
madre/bambino; alla fiducia si contrappone la sfiducia.
– Autonomia di base: il bambino avverte l’esigenza di manipolare l’ambiente,
prendere, lasciare, stringere non solo cose ma anche persone.
All’autonomia si contrappongono il dubbio e la vergogna.
– Iniziativa: il bambino penetra lo spazio con i giochi, le domande, le costruzioni. Se l’interazione
bambino/genitore è stata soddisfacente, si produce questa attitudine di base: al senso di iniziativa si
contrappone il senso di colpevolezza.
– Industriosità: la polarità di questa fase si manifesta in un senso di industriosità contro un senso di
inferiorità.

La Psicologia della forma (Gestalt) rappresenta la più importante scuola psicologica europea. Nel
1912, Max Wertheimer pubblica i risultati delle sue ricerche e sottolinea che le parti di campo
percettivo tendono a costituire delle forme che sono tanto più
unite quanto più gli elementi sono vicini (legge della vicinanza), simili legge della somiglianza),
tendenti a forme chiuse (legge della chiusura), disposti lungo una stessa linea (legge della
continuazione), concordemente mossi (legge del moto comune).

Uno dei principi che caratterizza la teoria della Gestalt è l’isomorfismo, principio che ipotizza una
corrispondenza tra l’ordine percepito nello spazio ambientale e l’ordine funzionale che caratterizza
la dinamica dei processi cerebrali sottostanti all’atto
Percettivo.
Il nostro cervello funziona come un sistema totale dinamico. Wertheimer fa l’esempio di chi è a
tavola e si accorge della mancanza di componente senza contare il numero di presenti. Il gruppo
normalmente riunito forma una struttura e l’assenza di una persona crea uno squilibrio.
Infatti, una delle leggi fondamentali della Gestalt è la seguente: percezione dell’intero è più della
somma delle parti.
Un secondo principio molto importante dei gestaltisti è costituito dalla teoria del campo,
strettamente collegata all’isomorfismo.
Il principale esponente della Gestalt fu Kurt Lewin. Secondo lo studioso tutti i fattori psicologici
che influenzano il comportamento di una persona sono presenti in uno
spazio vitale composto dall’individuo e dall’ambiente psicologico. All’esterno c’è il mondo che
interagisce con il campo vitale.
Secondo Lewin, affettività, percezione, motivazione, cognizione danno vita a una psicologia
topologica chiamata regione interno-personale, che incide sul comportamento umano molto più
degli influssi esterni (regione percettivo-motoria).

A metà del secolo scorso, negli Stati Uniti si sviluppa una corrente psicologica di matrice
umanistica. I principali esponenti di tale orientamento sono Abraham Maslow e Carl Rogers.
Entrambi individuano nel bisogno di crescita e di affermazione le principali spinte del
comportamento umano. L’espressione Psicologia umanistica viene coniata da Maslow nel 1962 e
viene riposta sulla persona.
In particolare Maslow propone un modello dello sviluppo umano basato su una sequenza di bisogni,
partendo da quelli fisiologici (fame, sete, sonno, ecc.) fino ad arrivare ai bisogni che caratterizzano
le motivazioni della crescita (sicurezza, amore, stima, conoscenza e autorealizzazione).
Carl Rogers avvia gli studi sulla Psicologia umanistica nel 1951. L’approccio
che il medico deve instaurare con il paziente si basa su alcuni elementi: l’ empatia cioè il terapista
deve far proprio il punto di vista del cliente e l’accettazione positiva incondizionata in quanto il
terapista deve esprimere una totale fiducia nelle capacità di autorealizzazione del paziente.
Secondo la teoria di Rogers le persone possono essere capite solo partendo dai loro sentimenti.
L’insegnante in un’ottica non direttiva assume il ruolo di facilitatore
dell’attività dello studente.

La parola ecologia è stata applicata a diversi ambiti di ricerca e di studio, comprese le scienze
sociali e dell’educazione.
In campo psicologico uno degli autori più rappresentativi di questo orientamento è Urie
Bronfenbrenner, che afferma la necessità di leggere i processi di crescita del bambino secondo una
prospettiva di differenti sistemi interagenti tra loro.
Secondo Bronfenbrenner, il bambino cresce all’interno di sistemi che interagiscono tra di loro,
chiamati microsistema, mesosistema, esosistema, macrosistema.
Il microsistema è uno schema di attività, ruoli e relazioni interpersonali di cui l’individuo in via di
sviluppo ha esperienza in un determinato contesto e che hanno particolari caratteristiche fisiche e
concrete.
Il mesosistema comprende le interrelazioni tra due o più situazioni ambientali alle quali l’individuo
in via di sviluppo partecipi attivamente (per un bambino, ad esempio, le relazioni tra casa, scuola,
gruppo di coetanei che abitano nelle vicinanze di casa sua; per un adulto, quelle tra famiglia, lavoro,
vita sociale).
L’esosistema è costituito da una o più relazioni ambientali di cui l’individuo in via di sviluppo non
è un partecipante attivo, ma in cui si verificano degli eventi che determinano, o sono determinati da
ciò che accade nella situazione ambientale che comprende l’individuo stesso.
Il macrosistema consiste nelle congruenze di forma e di contenuto dei sistemi di livello più bassi
(micro-, meso- ed esosistema), che si danno o si potrebbero dare a livello di subcultura o di cultura.

Uno degli psicologi più importanti del Novecento è Jean Piaget, studioso di scienze naturali e poi
professore di psicologia dell’età evolutiva dell’Istituto J.J. Rousseau.
Secondo Piaget, il bambino attraversa una serie di fasi evolutive e ogni periodo presenta una
strutturazione che la rende diversa da quella precedente sia sul piano della qualità sia della quantità.
Negli anni Venti, Piaget mette invece al centro delle sue ricerche la complessità dell’attività
mentale del bambino.
Secondo lo psicologo, l’intelligenza è una forma di adattamento e di conseguenza elabora un
modello generale di funzionamento dell’intelligenza, che rappresenta una forma di adattamento
all’ambiente esterno. I processi che caratterizzano questo adattamento avvengono in una duplice
azione, l’assimilazione e l’accomodamento. Infatti, Piaget sostiene che il bambino è disponibile alle
influenze dell’adulto, nella misura in cui riesce ad assimilarle,quindi a farle proprie.

Piaget parla non solo dei rapporti di socializzazione con le persone adulte, ma anche di relazioni
tra pari (dei bambini fra loro stessi).
In breve le strutture dell’intelligenza non sono innate, ma si sviluppano nel corso di un processo
laborioso caratterizzato dalla relazione con l’ambiente esterno.
La teoria di Piaget distingue alcune fasi (stadi) che vanno dalla fase senso-motoria a quella delle
operazioni astratte.
Nella prima fase (dalla nascita a due anni circa), divisa in altri periodi, l’intelligenza si forma su una
base pratica attraverso l’azione. Rivestono molta importanza le cosiddette reazioni circolari, che
permettono ai bambini di compiere azioni solo per il piacere di compierle. Il bambino si adatta
gradualmente all’ambiente e tale adattamento avviene attraverso due processi: l’assimilazione e
l’accomodamento. Con la prima, egli incorpora ogni dato che proviene dall’ambiente nei propri
schemi mentali; l’accomodamento, invece, è il processo inverso, vale a dire la modificazione del
comportamento e delle strutture per accogliere nuovi oggetti dell’esperienza.
Questi due processi si alternano continuamente, determinando nuovi equilibri in tutte le altre fasi:
preoperatoria (2-6 anni), operatoria (6-11 anni), delle operazioni astratte (11-15 anni).
Nella fase preoperatoria inizia l’intelligenza rappresentativa, in cui però il bambino non raggiunge
schemi d’azioni reversibili. In questo stadio, la sua intelligenza è ancora rigida, egocentrica
(incapace di tener conto del punto di vista altrui). Il linguaggio è egocentrico e solo nello stadio
successivo diventerà sociale.
La fase operatoria è segnata dalla comparsa delle operazioni e quindi della reversibilità del
pensiero. Il bambino è capace di fare inferenze transitive, ad esempio di stabilire che, se un
bastoncino A è più lungo di un bastoncino B e questo è più lungo di C, A è più lungo di C. Il
bambino impara inoltre a distinguere le quantità e le relazioni di ordine di appartenenza, sviluppa il
concetto di numero e delle relazioni spaziali.
La fase delle osservazioni astratte rappresenta la conquista dei processi di formalizzazione del
pensiero. L’adolescente riesce a «operare con le operazioni», cioè con formulazioni simboliche,
quali le proporzioni, alcune forme di probabilità, duplici sistemi di riferimento, la formulazione di
ipotesi, ecc. Questo, secondo Piaget, rappresenta il livello più alto dello sviluppo dell’intelligenza,
soprattutto di quella logico-matematica.
Nell’osservazione del bambino, egli utilizza il metodo clinico, che consiste
nell’avviare con i bambini una conversazione partendo da domande formulate spontaneamente,
utilizzando la formulazione dei bambini stessi.

Un altro approccio alla psicologia è dato da Vygotskij che privilegia lo studio dello sviluppo
umano in relazione ai problemi di carattere psicologico nel contesto sociale e culturale in cui il
bambino vive. Si parla infatti di psicologia culturale.
Secondo Vygotskij lo sviluppo psichico dell’individuo (ontogenetico) è di natura culturale e si
fonda sul processo di interiorizzazione dei mezzi forniti dall’ambiente socioculturale.

Per queste ragioni le funzioni psichiche si sviluppano prima nelle relazioni sociali (funzioni
interpsichiche) e solo successivamente diventano interne all’individuo (funzioni intrapsichiche).
Questo significa che ogni funzione mentale nello sviluppo culturale del bambino appare su due
piani: prima su quello sociale e successivamente su quello personale. Le relazioni sociali sono la
base di tutte le funzioni superiori.
La sua concezione dello sviluppo infantile si distingue quindi nettamente da quella di Piaget.
Secondo Piaget il linguaggio del bambino fino a 6-7 anni è egocentrico, centrato cioè sul proprio
punto di vista e incapace di differenziazione.
Secondo Vygotskij, invece, l’origine del linguaggio risiede nelle interazioni sociali e solo
successivamente si interiorizza. Pertanto, il linguaggio prima è sociale e poi diventa interiore, di
comunicazione con se stesso.
Vygotskij sostiene inoltre che il linguaggio e il pensiero si sviluppino su linee diverse. Il primo è un
comportamento umano superiore, mentre il pensiero non verbale è presente anche negli animali.
Inizialmente il pensiero del bambino è non verbale (gestuale) e il suo linguaggio non intellettivo
(lallazione, pianto, ecc.). Con la successiva accumulazione di esperienze sociali, il bambino
comincia a usare le prime parole in funzione comunicativa, finalizzate al contatto e al
rapporto con gli altri. Quindi, il linguaggio prima è esteriore (sociale) e poi diventa interiore
(interpersonale).
Vygotskij attribuisce molta importanza al rapporto tra sviluppo e apprendimento in quanto egli
sostiene che l’apprendimento sia esso stesso una fonte di sviluppo.
Lo studioso parla infatti dell’area di sviluppo prossimale intesa come uno spazio di funzionamento
psicologico che diventa attivo solo se sostenuto dall’aiuto di un adulto, che fa emergere quelle
funzioni che ancora non operano da sole, ma che hanno bisogno di supporto esterno.
È pertanto in tale zona che diventa significativo il ruolo della scuola e degli insegnanti.

L’esponente che ha dato una svolta alla psicologia è Jerome Bruner che ha vissuto sul piano
culturale il passaggio dal Comportamentismo al Cognitivismo.
Fu il primo a dare importanza non solo al comportamento ma anche al significato che gli esseri
umani utilizzano per costruire e attribuire un senso non solo al mondo ma anche a se stessi.
Nel corso degli anni Bruner si è allontanato dalla concezione del modello computazionale della
mente cioè da quei cognitivisti che equiparano il funzionamento della mente a quello di un
processore informatico. Quindi vi fu il passaggio dal Cognitivismo allo studio del pensiero
scientifico e del pensiero narrativo.
Bruner sostiene che la cultura dà forma alla mente di coloro che vivono in un determinato ambiente.
Essa è il prodotto della storia più che della natura.
La cultura viene rappresentata sin dall’infanzia in tre modi:
– attivo: legato al contatto, alla manipolazione di oggetti. Tale rappresentazione deriva dall’azione
diretta che il bambino sperimenta concretamente; l’apprendimento si connette al fare;
– iconico: collegato alla percezione della vista e dell’udito. È un modello di apprendimento
imitativo che si genera osservando gli altri per poi riproporre gesti, parole e stili;
– simbolico: correlato alle capacità linguistiche. L’apprendimento in questo caso avviene tramite il
linguaggio e lo studio di sistemi simbolici.
Si tratta di tre forme presenti a ogni età, anche se quella che caratterizza maggiormente l’attività
mentale dell’uomo è quella simbolica, in quanto permette a ciascun individuo di cogliere il
significato profondo della cultura che nel tempo si è sedimentata e il senso dei cambiamenti
a cui è soggetta.
Bruner, dagli anni Ottanta, accentuerà il suo interesse per il principio narrativo. Nel testo La cultura
dell’educazione, egli chiarisce le caratteristiche delle due «intelligenze» che caratterizzano il modo
di pensare degli uomini: la prima è più specializzata per trattare di cose fisiche, l’altra per trattare
delle persone e delle loro condizioni. Queste due forme di pensiero sono convenzionalmente note
come pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo.
La dimensione narrativa del pensiero alimenta un pensiero dialettico, formativo e trasgressivo
(come nella poesia) in tutta la sua pienezza ed è legato al contesto della storia dei popoli.
La dimensione scientifica è fatta di regole, principi deduttivi, leggi generali; si sviluppa per
astrazione, come avviene in matematica, fisica, chimica, ecc.

Uno degli studiosi che parlo di intelligenza fu Howard Gardner che non parlò di una sola forma di
intelligenza ma di diverse forme di intelligenza che si combinano tra loro, rendendo possibile la
capacità da parte degli individui di affrontare e risolvere problemi e situazioni più o meno
complesse. Egli sostiene che tali intelligenze siano relativamente indipendenti l’una dall’altra e che
possano essere plasmate e combinate da individui e culture in una varietà di modi
adattivi.
Gardner sottolinea che, rispetto alla pluralità di intelligenze possedute dai bambini, la scuola tende a
privilegiare solo quella linguistica e logico-matematica. Gli alunni, invece, devono poter imparare
in modi distinti, valorizzando tutti i potenziali di cui dispongono.
Prima parlava di sette intelligenze (linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale,
corporeo-cinestetica, intrapersonale e interpersonale). Successivamente, le intelligenze sono
diventate nove; egli aggiunge infatti l’intelligenza naturalistica e l’intelligenza esistenziale.
Con il termine Costruttivismo si indica un complesso di contributi culturali non presenti solo in
psicologia o nelle scienze sociali, ma anche in altre discipline e in diversi campi del sapere. Il
principio basilare del Costruttivismo considera la realtà non come un dato oggettivo e
indipendente rispetto al soggetto che su di essa interviene. Secondo questa concezione la realtà è
una rappresentazione del mondo derivata dalla nostra esperienza.
Possiamo distinguere un Costruttivismo psicologico-individuale da uno interattivo-sociale.
Il primo trova un precursore di rilevante importanza in Piaget, che ha studiato i processi cognitivi
prevalentemente al singolare: questo può condurre a un radicalismo individualista, secondo il quale
la conoscenza è un percorso esclusivamente personale, quasi solitario.
Il secondo è molto vicino alle posizioni di Vygotskij, il quale ha dato molta importanza alla
dimensione storico-relazionale.
In realtà, alla base della conoscenza si diramano processi che sono allo stesso tempo individuali e
sociali. Infatti,i concetti principali che caratterizzano il Costruttivismo sono essenzialmente tre:
– la conoscenza è una costruzione attiva del soggetto;
– ha carattere situato, ancorato nel contesto concreto;
– si svolge attraverso forme particolari di collaborazione e negoziazione
Sociale.

Ad interessarsi di intelligenza non fu solo Gardner ma anche Daniel Goleman, che ha studiato un
tipo di intelligenza che secondo lui Gardner non ha approfondito abbastanza. Nel 1996 pubblica un
libro dal titolo Intelligenza emotiva.
La vita emotiva, afferma Goleman, influisce enormemente sulle condizioni di vita di una persona e
degli alunni in particolare. Quando gli studenti sono ansiosi faticano a imparare: paura, collera,
malinconia,felicità, piacere si ripercuotono sui nostri comportamenti agendo in negativo o in
positivo a seconda delle emozioni provate.
Gli individui posseggono due forme di conoscenza, molto diverse tra loro, che contribuiscono a
costruire la nostra vita mentale.
La mente razionale agisce quando desideriamo conoscere la realtà in modo ordinato, cosciente e
riflessivo. La mente emotiva, invece, fa scattare un’altra forma conoscitiva, affidata ad
atteggiamenti e stili impulsivi, spesso illogici e immediati. La dicotomia emozionale/razionale
ricorda la popolare distinzione tra «cuore» e «mente»; il rapporto tra le due dimensioni varia da un
gradiente continuo: la mente emozionale è direttamente proporzionale all’intensità del sentimento
provato, mentre in questa condizione risulta meno efficace la razionalità.
CAP 5
LA LEGGE 107/2015: LA SCUOLA CAMBIA… VERSO?
La legge 107 del luglio 2015 sulla Buona Scuola (Riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti) è stata approvata in
concomitanza con un secondo provvedimento, la legge n. 124 in vigore dal 28 agosto 2015
(Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), che inciderà
in modo significativo su vari aspetti del pubblico impiego, scuola compresa. Infatti, la legge 124
interviene in tema di organizzazione degli uffici statali, centrali e periferici, di procedimenti
amministrativi, di trasparenza, di contrasto alla corruzione, di digitalizzazione, di rapporti di lavoro,
di dirigenza pubblica, di valutazione e riconoscimento del merito e premialità, di disciplina della
responsabilità dei dipendenti. Alcuni interventi indicati nella legge 124, quali il sistema di
premialità del personale docente e dirigente, sono già compresi nella legge sulla Buona Scuola.

Obiettivo della 107 è quello di dare piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche,
prevedendo una serie di interventi che riguardano principalmente la gestione degli insegnanti e dei
dirigenti. In particolare, la realizzazione dell’organico dell’autonomia, destinato a definirsi
compiutamente nell’arco del biennio 2016-2018, potrà costituire una carta estremamente decisiva
nel conferire alle singole scuole un assetto più stabile ed effettivamente funzionale a una
migliore qualità del servizio erogato.

Il Documento sulla Buona Scuola, diffuso dal MIUR nei primi giorni di settembre del 2014, si
basava sul presupposto che il miglioramento del sistema d’istruzione sarebbe dovuto partire dalla
rimozione dell’ostacolo principale, la precarietà del personale docente. Di qui la soluzione di un
piano straordinario di assunzioni che assicurerà il potenziamento dell’organico delle singole
istituzioni scolastiche in quelle discipline e ambiti richiesti dalle scuole stesse. Si perverrà, in tal
modo, alla determinazione dell’organico funzionale d’istituto che era (ed è) la prerogativa
principale dell’attuazione dell’autonomia

2. L’autonomia scolastica nella Buona Scuola

La legge 107/2015 si prefigge l’obiettivo di dare «piena attuazione all’autonomia delle


istituzioni scolastiche. In particolare, le singole istituzioni scolastiche dovranno essere messe nella
condizione di concretizzare le forme dell’autonomia (didattica, organizzativa, di ricerca e
sperimentazione) esplicitate sia nella legge 59/1997, che, soprattutto, nel regolamento attuativo, il
DPR 275 del 1999. Le scuole, attraverso l’organico funzionale, potranno esercitare tutte le possibili
forme di flessibilità in vista della piena realizzazione del curricolo d’istituto e del raggiungimento
degli obiettivi generali della legge 107.

La scuola nella legge di riforma dovrà finalizzare la propria azione:

• Al rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento

• Alla valorizzazione delle competenze linguistiche

• Al potenziamento delle competenze matematiche e scientifiche

• Al potenziamento delle competenze nella cultura musicale, nell’arte, nelle tecniche e nei media di
produzione e diffusione delle immagini e dei suoni

• Al potenziamento delle discipline motorie

• Allo sviluppo delle attività laboratoriali

• Alla promozione della cittadinanza attiva e democratica attraverso l’educazione interculturale

• Alla prevenzione e contrasto della dispersione scolastica (art. 1, comma 7 della legge 107)

Le flessibilità delle istituzioni scolastiche, in concreto, si possono ricondurre:

– all’articolazione modulare del monte ore annuale di ogni disciplina;

– all’estensione dell’orario scolastico per offrire servizi aggiuntivi in un’ottica di personalizzazione


dell’istruzione e della didattica;

– alla programmazione plurisettimanale dell’orario di servizio dei docenti ed eventualmente anche a


un’articolazione del monte ore annuo differente nei primi quattro mesi rispetto a quello dell’ultimo
quadrimestre;

– all’ipotesi di co-docenze in situazioni di classi numerose o particolarmente impegnative.

Gli strumenti e i dispositivi principali che la legge 107 introduce sono:

– il piano straordinario di assunzione dei docenti;

– l’organico dell’autonomia;

– il POF triennale;

– le reti di scuole;
– il sistema premiale per i docenti che chiama in causa la responsabilità del dirigente scolastico e
del Comitato di valutazione (rivisto nella composizione e nella durata);

– l’obbligatorietà della formazione in servizio degli insegnanti;

– il piano scuola digitale;

– il rafforzamento delle funzioni del dirigente scolastico;

– i rapporti tra norme di legge e contrattazione collettiva di lavoro;

– l’alternanza scuola-lavoro.

3. Il piano straordinario delle assunzioni e la formazione in servizio dei docenti

Come già accennato, con la legge 107 il MIUR ha autorizzato l’assunzione straordinaria di
numerosi insegnanti. Questo piano è strettamente collegato a nuova impostazione della formazione
in sevizio dei docenti, la quale costituisce una vera e propria centralità della struttura della legge.

La legge 107/2015 prevede un cambiamento di enorme portata in merito alla formazione in servizio
dei docenti. Infatti, nell’art. 1 comma 124 si afferma che: nell’ambito degli adempimenti connessi
alla funzione docente la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente
e strutturale. I tre aggettivi utilizzati hanno due destinatari: gli insegnanti da un lato, e le istituzioni
scolastiche dall’altro.

L’obbligatorietà riguarda i docenti. L’obbligatorietà della formazione in servizio non contraddice


l’autonomia gestionale delle scuole. Anzi, i due profili si coniugano armonicamente, poiché la
scuola delibera (ed è tenuta a farlo), entro uno spazio di autodeterminazione, tramite apposita
procedura (il piano) e in una sede collegiale, quali siano le iniziative alle quali i docenti sono tenuti
a partecipare.

Non si tratta di obbligare i docenti a frequentare per un certo numero di ore corsi di aggiornamento
routinari e basati essenzialmente su conferenze, ma di impegnarli in percorsi significativi di
sviluppo e ricerca professionale, che li veda soggetti attivi dei processi.

Questa nuova condizione va collegata a un’altra importante novità contenuta nella legge 107, nella
quale l’art. 1 comma 121 istituisce la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del
docente di ruolo. La carta, dell’importo nominale di 500 euro per ciascun anno scolastico, potrà
essere utilizzata per acquistare libri, testi, riviste, hardware, software…; può inoltre essere
impiegata per l’iscrizione a corsi di aggiornamento, di laurea inerenti al profilo professionale, per
l’ingresso a musei, mostre, eventi culturali, spettacoli e, in ogni caso, per tutte quelle iniziative che
siano coerenti con le attività indicate nel PTOF.

Gli aggettivi permanente e strutturale riguardano invece l’istituzione scolastica e, in


particolare, la leadership educativa del dirigente. Infatti, è fatto obbligo alla scuole di indicare
nel Piano Triennale dell’OF le iniziative formative che si intendono realizzare, collegandole nello
specifico al piano di miglioramento indicato nel Rapporto di Autovalutazione (RAV) del singolo
istituto. Da un lato, quindi, il docente è obbligato a formarsi, dall’altro l’istituzione scolastica ha il
dovere di organizzare in modo sistematico, continuo e seguendo un criterio di priorità, i corsi che
gli insegnanti saranno tenuti a frequentare.

4. L’anno di formazione e prova

L’immissione in ruolo dei docenti è condizionata al superamento positivo del periodo di


formazione e di prova, della durata di almeno 180 giorni (dei quali almeno 120 per attività
didatiche). Il personale docente e educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto a
valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione… sulla base
dell’istruttoria di un docente al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor. [...]
In caso di valutazione negativa del periodo di formazione e di prova, il personale docente ed
educativo è sottoposto ad un secondo periodo di formazione e prova, non rinnovabile. (art. 1,
commi dal 115 al 119)

Nella legge 107 e nel DM attuativo del 27 ottobre 2015, n. 850, ci sono importanti segnali di
cambiamento. Le attività formative previste nel DM 850/2015 per il superamento del periodo
di formazione e prova hanno la durata complessiva di 50 ore, articolate in quattro fasi:

– incontri propedeutici e di restituzione finale (non più di 6 ore);

– laboratori formativi (12 ore);

– peer to peer e osservazione in classe (12 ore);

– formazione on line (20 ore).

L’accoglienza e la funzione di tutorship (dell’insegnante tutor) rappresentano uno dei momenti più
rilevanti della fase iniziale dell’anno di prova. Da questo punto di vista, il docente tutor assume un
ruolo significativo non solo, nella fase conclusiva, quando dovrà rilasciare parere motivato al
dirigente scolastico circa le caratteristiche dell’azione professionale del docente a lui « affidato»,
ma soprattutto nel corso dell’intero anno scolastico, quando dovrà esplicare un’importante funzione
di accoglienza, accompagnamento, tutoraggio e supervisione. Come accennato, il MIUR ha
emanato un apposito Decreto Ministeriale il 27.10.2015, n. 850, seguito a distanza di pochi giorni
da due note del 5.11.2015, n. 36167, e del 7 gennaio 2016, n. 35. Di questi dispositivi, si riportano
alcune essenziali informazioni:

a) Il bilancio di competenze. Al docente neo-assunto è richiesto di svolgere una forma di


autovalutazione con la supervisione del collega tutor. Questa richiesta è finalizzata a personalizzare
nella misura più elevata possibile il percorso formativo del docente «in prova». Il bilancio di
competenze è propedeutico all’elaborazione di un apposito patto per lo sviluppo professionale che
sarà redatto dall’interessato, dal dirigente scolastico e dal docente tutor. Dirigente, neo-assunto e
tutor stabiliscono gli obiettivi di sviluppo delle competenze di natura culturale, disciplinare,
didattico-metodologica e relazionale da raggiungere attraverso le esperienze formative previste
nelle 50 ore.

b) La costituzione di laboratori formativi. Coerentemente con il principio di personalizzazione,


gli Uffici scolastici territoriali predisporranno piani di formazione adottando metodologie
laboratoriali. Ogni docente neo-assunto, si legge del DM 850/2015, in conseguenza del patto per lo
sviluppo professionale, segue obbligatoriamente laboratori formativi per complessive 12 ore di
attività, con la possibilità di optare tra le diverse proposte formative offerte a livello territoriale.

c) La formazione peer to peer. Alle 12 ore delle 50 che il docente neoassunto è tenuto a svolgere,
se ne aggiungono altre 12 di osservazione in classe, svolte dall’interessato e dal suo tutor. Questa
attività è finalizzata a migliorare le pratiche didattiche nella gestione della classe. Il tutor è
impegnato direttamente nell’attività di osservazione nella classe del docente neo-assunto ed è, a sua
volta, osservato da quest’ultimo. Questa reciprocità dà luogo ad un’originale forma di peer to peer,
che va vista ancora in forma sperimentale, senza forzature, come possibile esempio di cooperazione
professionale. (Cerini, 2016)

d) Il portfolio professionale. Questa innovazione era già stata inserita nelle disposizioni normative
del precedente anno scolastico, anche se unita ad altre opzioni. Con la legge 107 diventa invece uno
strumento obbligatorio; nel DM 850 si sottolinea che l’insegnante neo-assunto cura la
predisposizione di un proprio portfolio personale, in formato digitale. Si afferma, inoltre,
coerentemente con le caratteristiche della formazione in servizio, che il portfolio professionale
assume un preminente significato formativo per la crescita professionale permanente di ogni
insegnante. In esso, infatti, il docente dovrà documentare il proprio curriculum, le fasi significative
della progettazione e delle attività didattiche, la previsione di un piano di sviluppo del proprio Sé
lavorativo. La collaborazione del tutor con il docente neo-assunto può esplicarsi anche nella
consulenza per la costruzione del portfolio, che rappresenta il punto di coagulo di tutto il percorso
formativo.

5. Il portfolio e il «nuovo» Comitato di valutazione

I temi legati all’anno di formazione e prova e al portfolio dell’insegnante sono strettamente correlati
alle competenze del dirigente scolastico e del «nuovo» comitato di valutazione. Nel comma 129
della 107 si afferma infatti che presso ogni istituzione scolastica ed educativa è istituito, senza nuovi
o maggiori oneri per la finanza pubblica, il comitato per la valutazione dei docenti. Il comitato è
presieduto dal dirigente scolastico e dura in carica tre anni. La sua costituzione è la seguente:

– tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio
d’istituto; – due rappresentanti dei genitori (per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo
d’istruzione); un rappresentante degli studenti e uno dei genitori per la scuola secondaria di secondo
grado, scelti dal consiglio d’istituto;
– un componente esterno individuato dall’Ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti
scolastici e tecnici.

I criteri per la valorizzazione dei docenti sono individuati dal comitato sulla base:

a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica,


nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;

b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo dei docenti in relazione al potenziamento delle
competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione
alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;

c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo, didattico e nella formazione del
personale (comma 129).

Le principali funzioni che è chiamato a svolgere sono:

– individuazione dei criteri per la valorizzazione del personale docente della scuola;

– espressione di un parere obbligatorio sul superamento del periodo di formazione e di prova del
personale docente e educativo. In questa circostanza, il comitato è formato solo: dal dirigente
scolastico che lo presiede e dai docenti, ed è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di
tutor. Il parere espresso dal Comitato, come detto, è obbligatorio, ma non vincolante per il dirigente
scolastico, che può discostarsene con atto motivato.

Dunque, al termine dell’anno di formazione e prova, dopo il termine delle lezioni, il Comitato è
convocato dal dirigente scolastico per procedere all’espressione del parere sul superamento di tale
periodo. Il docente sostiene un colloquio dinnanzi al Comitato, che prende avvio dalla
presentazione delle attività di insegnamento e formazione e della relativa documentazione contenuta
nel portfolio professionale.

6. Reti tra istituzioni scolastiche e governance

Nella legge 107/2015 si prevede che gli Uffici Scolastici Regionali promuovano la costituzione
di reti tra istituzioni scolastiche del medesimo ambito territoriale. Le reti, costituite entro il 30
giugno 2016, sono finalizzate alla valorizzazione delle risorse professionali, alla gestione comune di
funzioni e di attività amministrative, nonché alla realizzazione di progetti o di iniziative didattiche,
educative, sportive o culturali di interesse territoriale, da definire sulla base di accordi, definiti
«accordi di rete». Nell’ambito di tali accordi, la legge 107 prevede la possibilità di utilizzare
insegnanti nell’organizzazione delle reti, per:

– assistenza e integrazione sociale delle persone con disabilità;

– insegnamenti opzionali e specialistici;

– coordinamento nella progettazione funzionale di piani triennali dell’offerta formativa;

– piani di formazione del personale scolastico;

– risorse da destinare alla rete per il perseguimento delle proprie finalità.

Il sistema di governo di questa dimensione orizzontale del «fare scuola» accresce le possibilità di
migliorare fattivamente l’educazione e l’istruzione dei ragazzi. La governance, in questa ottica,
diventa la capacità dei decisori politici e delle istituzioni (scolastica, in primis) che vivono in un
determinato territorio di costruire dal basso una rete di servizi finalizzata a promuovere un adeguato
sviluppo della collettività. Sia nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 che nella legge
107/2015 l’apertura della scuola al territorio con il pieno coinvolgimento delle realtà locali è
fortemente sottolineata e ripetutamente ribadita. Nelle Indicazioni si afferma che la scuola
perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i genitori; [...] essa si
apre alle famiglie e al territorio circostante facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia
scolastica, che prima di essere un insieme di norme è un modo di concepire il rapporto delle scuole
con le comunità di appartenenza, locali e nazionali.

È del tutto evidente che il dirigente scolastico ricopre un ruolo strategico nella costruzione di una
governance interna all’istituto ed esterna con le altre realtà istituzionali. Infatti, da un lato, è
chiamato a promuovere legami, relazioni e competenze che rafforzino l’identità della «sua» scuola
(leadership educativa), e, dall’altro, deve intensificare gli sforzi nel promuovere condivisione nella
comunità più ampia (leadership partecipata). Il dirigente scolastico, infatti, svolge funzioni di
direzione e organizzazione dell’offerta formativa ed è responsabile della gestione delle risorse
finanziarie e strumentali, nonché dei risultati del servizio.
CAPITOLO 12
La gestione della scuola: dai decreti delegati agli organi di
autogoverno

1.Verso la gestione sociale della scuola

Alla fine degli anni Sessanta viene dichiarato una nuova visione dell’istruzione nel nostro Paese e
anche nei Paesi occidentali, mediante i movimenti culturali. La scuola di massa si sviluppò e
sostituì la scuola per pochi e raggiunse questo sviluppo nel periodo degli anni Settanta e Ottanta.
Nel processo di istruzione avvengono due cambiamenti radicali: nel 1968 si istituì la scuola
materna statale mentre nel 1971 si istituì la scuola elementare. Fu introdotto la legge di riforma
n.820/1971 e afferma che il modello educativo è finalizzato a rappresentare molti bisogni del
bambino, della famiglia e anche della società; la scuola a tempo pieno per offrire la qualità degli
interventi, inoltre,la scuola viene definita non solo come luogo di istruzione ma anche di educazione
e di servizio. Nell’ambiente scolastico si creano quel processo di collaborazione soprattutto con le
risorse territoriali e con le famiglie; all’interno della scuola si creano delle organizzazioni e fu
introdotta l’inserimento di due insegnanti nella stessa classe. Il modello della scuola a tempo pieno
viene considerata come una moderna forma educativa ma anche come una garanzia democratica che
offre il diritto di studio a tutti. La legge della riforma n.820/1971 cambia perché si avvia al turno
antimeridiano e vengono ampliate delle attività formative nelle ore scolastiche e diventa un
momento cruciale. Le scelte del sistema scolastico vengono avviati dai democratici, nel 1970 il
ministro Riccardo Misasi propone una indicazione che è quello di invitare i direttori didattici e
presidi a far partecipare i genitori alla vita scolastica. Questo disegno di legge presentato dal
Governo nel 1970 e viene approvato, diventò legge n.477 del 30 luglio 1973 il quale il Parlamento
affidò al Governo di emanare i decreti per gestire i vari aspetti della scuola. Nel 1974 sono stati
emanati i cinque decreti delegati: hanno formulato una concezione di scuola “considerata” come
una comunità educativa e si intende un luogo di incontro tra alunni,insegnanti e genitori con lo
scopo di realizzare una scuola nuova e pronta ad affrontare la società nelle diverse realtà territoriali.

2. I decreti delegati

Nel periodo degli anni Sessanta furono approvati i decreti delegati . Tra i sostenitori di questa
scelta riformatrice è Luciano Corradini , sosteneva che la scuola di Stato diventa la scuola della
comunità con l’obiettivo di essere liberi a partecipare; e questo passaggio avviene mediante i
decreti delegati. Con il DPR n.416/1974 si avvia alla gestione sociale della scuola con gli organi
collegiali a livello di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale. Le istituzioni scolastiche
costituiscono gli organi collegiali (OO.CC.) e sono: il consiglio di intersezione nella scuola
dell’infanzia, il consiglio di interclasse nella scuola primaria e il consiglio di classe nella scuola
secondaria di primo e secondo grado, partecipano i docenti delle classi e i genitori di sezione e di
classe (il capo di Istituto presiede i consigli per ogni ordine di scuola).

Il collegio dei docenti è un organo che interessa tutti i docenti della scuola e ha vari compiti tra cui
la programmazione educativa, l’insegnamento di attività delle discipline didattiche, la proposta di
formazione delle classi, la valutazione sull’andamento dell’Istituto. Vengono eletti gli insegnanti
per valutare il servizio del personale docente (il dirigente scolastico presiede il collegio dei docenti).
Il comitato per la valutazione del servizio dei docenti per ogni ordine scolastico (introdotto
dall’art. 8 del DPR n.416/1974) tale organo collegiale è costituito dal dirigente scolastico, da 2 o 4
membri effettivi ed 1 o 2 supplenti. Devono essere presenti tutti i componenti, è di durata annuale e
il dirigente scolastico presiede tale organo; con la legge n. 270/1982 è stato proposto con
l’obbiettivo di valutare gli insegnanti nell’anno di prova. Il consiglio di istituto: in questo organo
fanno parte gli insegnanti, il personale ATA, i genitori e il capo d’istituto. Il consiglio d’istituto ha
molteplici compiti tra cui: regolare l’istituto e il piano dell’offerta formativa (POF) , vengono
proposte le indicazioni per la formazione delle classi, definire e organizzare l’orario delle attività
didattiche, proporre il programma annuale delle attività. Gli organi territoriali vengono avviati con
il DPR n.416/1974 , e costituiscono:

- Il Consiglio di Distretto propone alle comunità locali e alle forze sociali la possibilità di
gestire la scuola
- Il Consiglio Scolastico Provinciale ha l’obbiettivo di esprimere i pareri obbligatori e
facoltativi ai provveditori agli studi, accaduto nel periodo 1999-2001 fino alla soppressione
dei provveditori per tutti gli ordini scolastici.
- Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione si riferisce a tutte le componenti delle
scuole statali e non statali con l’obbiettivo di formulare considerazioni al ministro della
Pubblica Istruzione.

Si definisce il nuovo profilo del docente di ogni ordine e grado scolastico, mediante il DPR
n.417/1974 . La funzione del docente è considerata come una persona che sa aggiornare il proprio
bagaglio culturale e professionale ma soprattutto a trasmettere e rielaborare e fare sviluppare questo
impulso creativo agli alunni. L’insegnante è intesa come una persona colta con quella abilità di
poter definire i problemi e i bisogni della società. Esso/a deve avere una preparazione disciplinare
quindi aggiornare le conoscenze, le competenze didattiche, gestionali-organizzative e relazionali. Il
DPR n.417 e n. 419/1974 sono collegati perché si riferiscono a 2 ipotesi di sperimentazione e di
ricerca. Quindi l’art. 2 si riferisce ai processi del piano metodologico-didattico e senza aggiungere
le risorse straordinarie, mentre l’art. 3 richiede le risorse o gli interventi straordinari dal Ministero
della Pubblica Istruzione.

3. Gli organi collegiali e gli istituti comprensivi:

Negli anni Novanta la riforma del sistema scolastico (la legge n. 148/1990) ha approfondito le
funzioni di due organi collegiali : il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto. Questa fase è
fondamentale perché comprende molti cambiamenti per la scuola primaria dove non esiste un unico
docente ma un team di insegnanti, dal terzo anno viene introdotta la lingua straniera, vengono
definiti gli ambiti disciplinari. Nel Collegio dei Docenti si sono ampliati dei punti di riferimento:
definire le linee generali per la programmazione, stabilire il tempo da percorrere negli ambiti e nelle
singole discipline, introdurre la lingua straniera, realizzare il piano annuale delle attività all’inizio
dell’anno scolastico. Mentre per il Consiglio di Circolo e d’Istituto sono stati assegnati dei
compiti: la decisione per il tempo a scuola con l’orario antimeridiano e pomeridiano nei 5 o 6 giorni
settimanali, e la lingua straniera introdotta nelle classi. Nel 1994 grazie agli organi collegiali
vengono creati gli Istituti Comprensivi, questo nuovo modello di istituzione è diventato un punto
di riferimento di un unico sistema scolastico. L’art.21 della legge n.97 del 31 Gennaio 1994
afferma che si possono formare gli istituti comprensivi per tutti i gradi di scuola, solo se i comuni
costituiscono meno di 5mila abitanti. Mentre la legge n.111/2011 prevede la formazione degli
istituti comprensivi nel territorio nazionale. Nel DPR n.233 del 18 Giugno 1998 è stato
riconosciuta l’autonomia in tutti gli istituti scolastici. Nell’art. 3 dell’OM (Ordinanza Ministeriale)
n.267/1995 si forma un Unico Collegio dei Docenti organizzato in sezioni per ogni grado
scolastico. Nell’art.4 dell’OM (Ordinanza Ministeriale) si forma un Unico Consiglio d’Istituto
dove vengono organizzate le elezioni dei rappresentanti dei docenti, del personale ATA, vengono
create le liste dei candidati senza fare distinzione con gli ordini scolastici. I Collegi dei Docenti
eleggono un insegnante per ogni grado scolastico con il supporto pedagogico e didattico (nota
n.48363 del 27 settembre 1996). L’unico bilancio è utilizzato negli istituti comprensivi per la
gestione finanziaria, amministrativa e contabile.
4. L’avvento dell’autonomia

L’art. 21 della legge 59/1997 ha riconosciuto l’autonomia scolastica nel nostro Paese, e vengono
sviluppati i compiti del collegio dei docenti e del consiglio di istituto. Le scuole hanno ottenuto una
soggettività interna mediante i dirigenti e i docenti con l’autonomia didattica, organizzativa, di
ricerca e di sperimentazione; e una soggettività esterna cioè con i centri giuridici sono diventati
autonomi. Nell’art. 3 del Decreto n.275/1999 si definisce che l’autonomia funzionale della scuola
e degli enti locali costituiscono il piano dell’offerta formativa (POF). Il piano dell’offerta
formativa è inteso come un documento della scuola, e vengono definite le scelte pedagogiche,
culturali, organizzative, gestionali, la progettazione curriculare, extracurriculare e didattica che
esercita ogni ordine scolastico in ogni determinato territorio. Il POF viene elaborato dal collegio dei
docenti sulle scelte adottate dal consiglio di circolo o di istituto, mentre il dirigente scolastico ha
l’obbiettivo di controllare con regolarità cercando di arricchire l’azione educativa relativa alle
attività educative in base alle diverse situazioni culturali, sociali ed economiche. Il Programma
Annuale è l’unico documento contabile annuale realizzato delle istituzioni scolastiche, è utile per
svolgere le proprie attività finanziarie e dei progetti che la scuola ha definito nel POF. Il programma
annuale viene organizzato dal dirigente scolastico e dopo viene approvato dal consiglio d’istituto,
ogni istituzione ha l’obbligo al controllo contabile da parte dei revisori che devono affermare le
regolarità e le irregolarità dei punti amministrativi e contabili nelle attività d’istituto.

5. Verso nuovi organismi di governo della scuola

Il disegno di legge n.953 del 10 ottobre 2012 è stato approvato dalla Commissione cultura della
Camera , è una proposta di legge che indica le modificazioni degli organi collegiali. I nuovi organi
di governo delle scuole devono promuovere il patto educativo fra studenti, insegnanti e famiglie:
stimolare gli alunni all’apprendimento e alla partecipazione della vita scolastica, arricchire il
dialogo tra insegnanti e genitori, conseguire le azioni formative in rete per compiere i piani
formativi territoriali. Gli organi delle istituzioni scolastiche sono:

- Il Consiglio dell’autonomia: prendono il posto dei consigli d’istituto, hanno vari compiti
di indirizzo per le attività della scuola tra cui adottare lo statuto, adottare il POF,
promuovere il programma annuale, promuovere il conto consuntivo, decidere il
regolamento d’istituto.
- Il Dirigente scolastico: è una figura fondamentale nelle istituzioni scolastiche, esso/a
gestisce le varie risorse umane, finanziarie e strumentali ma possiede una molteplicità di
responsabilità.
- Il Consiglio dei Docenti: sostituisce l’attuale collegio dei docenti, vengono affidati a
compiti di programmazione delle attività educative e didattiche. È suddiviso in consigli di
classe, commissioni e dipartimenti.
- Il Nucleo di Autovalutazione: ha funzioni tecniche e svolge attività di autovalutazione per
le scuole, coinvolgono gli operatori scolastici, gli studenti e le famiglie sulla base di
indicatori nazionali e strumenti forniti dall’INVALSI.

6. Il Comitato di valutazione e la legge n. 107/2015

La legge n.107/2015 ha modificato l’art.11 del testo unico, Decreto legislativo del 16 aprile 1994
n.297. La legge 107/2015 definisce un nuovo organo denominato il Comitato per la valutazione
dei docenti, si tratta di una modifica fondamentale che riguarda la composizione, la durata e le
funzioni. Questo organo sarà presieduto dal dirigente scolastico e sarà composto da docenti e da
altre figure scolastiche, sarà composto anche da 2 rappresentanti dei genitori per la scuola
dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, un rappresentante degli studenti e dei genitori per il
secondo ciclo di istruzione e avrà una durata triennale in carico. Il comitato per la valutazione dei
docenti svolgerà le seguenti funzioni: definire i criteri per valorizzare il docente, esprimere un
parere sul superamento del periodo di formazione e di prova dell’insegnante. In questa situazione il
dirigente scolastico affida al docente le funzioni di tutor per guidare il docente, il Comitato deve
obbligatoriamente esprimere un parere attraverso un colloquio svolto dal docente. La scelta di
questa innovazione è fondamentale per stabilire i principi di meritocrazia e di premialità con lo
scopo di offrire garanzia e partecipazione. La legge n. 107/2015 afferma che alla durata di 3 anni
(quindi triennio 2016/2018) gli uffici scolastici dovranno presentare al MIUR una relazione sui
criteri adottati e dovranno essere analizzate dal Comitato Tecnico (nominato dal MIUR) e dopo il
confronto dovrà indicare le linee guida per valutare gli insegnanti a livello nazionale. Le procedure
di questa scelta è costituita da sue questioni:

- I criteri di scelta dei docenti ma anche dei genitori e studenti che faranno parte del
Comitato.
- I conflitti d’interesse che potrebbero essere riconosciuti dei meriti; i docenti e i genitori
faranno parte del collegio con il compito di nominare nel comitato di valutazione. Il
dirigente scolastico premierà ed individuerà dei criteri di valutazione.
CAPITOLO 13
IL QUINDICENNIO DELLE RIFORME
1. I PASSAGGI PIU SIGNIFICATIVI
Negli ultimi decenni del 1900, c’é stato un riordino del nostro sistema di istruzione. In
particolare , il tentativo di riordinare tutte le norme della scuola in un Testo unico, il D.lgs
n. 297 del 1994.
Ad apparire obsoleta, era la struttura del nostro sistema scolastico , che era rimasta disegnata
sul modello gentiliano con una netta separazione tra istruzione, e formazione professionale.
Tale esigenza trovava, poi, una sponda su una questione che ormai si poneva con sempre
maggiore vigore all’attenzione di tutti i paesi occidentali: la ricerca di una migliore qualità
della formazione scolastica, sia in termini di costi per il sistema, sia in termini di esiti in
uscita per gli utenti. Proprio per questa ultima questione si richiedeva ai sistemi scolastici di
porre in atto efficaci strategie di orientamento al successo formativo per tutti e per ciascun
utente.
Questa ricerca di modernizzazione era giustificata anche dalle profonde trasformazioni
economiche e sociali che i maggiori Paesi industrializzati ormai vivevano, anche in termini
di recupero di una propria identità culturale all’interno della globalizzazione.
Si sono susseguiti nel nostro paese ben 4 interventi di riforma, alcuni significativi altri
meno, ma tutti finalizzati a promuovere la modernizzazione del nostro sistema di istruzione.
Nella primavera del 1997, furono affidati a 44 membri del ministero, definiti “Saggi”, il
compito di definire il quadro delle conoscenze irrinunciabili che avrebbero dovuto
padroneggiare i ragazzi al termine del percorso scolastico.
Tali documenti furono alla base del primo progetto di riforma che aprì il XXI sec e che fu
effettuato dal ministro Berlinguer e poi dal suo successore De Mauro. Berlinguer cambiò
l’intero sistema scolastico italiano, anche in previsione del completamento del ciclo
d’istruzione a 18 anni anziché a 19 anni. Fu la legge n. 30/2000 a delineare , che oltre la
scuola dell’infanzia, prevedeva la creazione della scuola di base, che avrebbe dovuta
assorbire la scuola elementare e quella media in un percorso di durata settennale. Quindi, la
riduzione di un anno e la creazione della cosiddetta “onda anomala”. Ciò, infatti implicò
un eventuale passaggio anticipato di singoli o gruppi di alunni.
Altra fonte di problemi era la scelta di unificare i profili professionali di maestri e di
professori che, se da un lato era finalizzata a valorizzare la preparazione psicopedagogica
dei maestri, dall’altro mirava a qualificare la competenza disciplinare dei professori della
scuola media, nella prospettiva di dar vita a una scuola che, fosse in grado di rispondere ai
bisogni differenziati di bambini di 6 anni e di preadolescenti di 13 anni.

Nel frattempo, sempre nel 2000, il Parlamento votata un’altra importante legge per la
parità, la n. 62 del 10 marzo 2000, dal titolo “Norme per la parità scolastica e disposizione
sul diritto allo studio e all’istruzione.”
Tale legge si affermava che il sistema nazionale d’istruzione è costituito dalle scuole statali
e dalle scuole parietarie private e degli enti pubblici.
Per ottenere il riconoscimento della parità, le scuole non statali devono possedere:
-un progetto educativo; un piano offerta formativo e un ‘attestazione della titolarità della
gestione, conforme alle norme;
-disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche conforme alle norme;
-l’istruzione e formazione degli organi collegiali;
-l’iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta;
-l’applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento si studenti con disabilità o in
condizioni di svantaggio;
-l’organica costituzione di corsi completi;
-personale fornito del titolo di abilitazione;
-contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnanti;
Il Ministro della pubblica istruzione ha il compito di accertare tali requisiti.
Dal 2001 al 2006 subentra una coalizione di centrodestra, l’istruzione fu retto dal ministro
Letizia Moratti, che il 18 luglio nel 2001, illustrava le proprie intenzioni.
Uno dei suoi primi provvedimenti fu la sospensione della legge n.30/2000, degli indirizzi di
Tullio De Mauro., seguita da una fase di riorganizzazione del sistema di istruzione che
sarebbe culminato con la legge del 28 marzo 2003, n. 53. Si trattò di una legge delega,
rilasciata al Governo per la definizione di norme generali sull’istruzione e formazione. In
essa, all’art.2, si affermava che è assicurato il diritto all’istruzione e alla formazione per
almeno 12 anni o comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il 18° anno di età.
Nel 2006 ritornò al governo dal centrosinistra, sotto la presidenza di romano Prodi,
l’istruzione fu retto da Giuseppe Fioroni: l’evento più importante fu costituito dalle
pubblicazioni delle Indicazioni per il curricolo relative alla scuola dell’infanzia, primaria, e
secondaria di primo grado.
Nel 2008 ritornò il centrodestra, sotto Berlusconi. Il Dicastero dell’Istruzione fu assegnato a
Maria Stella Gelmini, con provvedimenti nei cosiddetti “tagli lineari”, che, nei 3 anni e
mezzo di durata di governo Berlusconi, avrebbero portato a una consistente diminuzione di
tutto il personale della scuola.

2. Il primo progetto di Riforma: Berlinguer e De Mauro


a) La scuola dell’infanzia

Tre diversi scenari.

Negli anni ’70, si era diffusa l’idea che l’educazione in quella fascia di età potesse essere
considerata come l’estensione di un compito familiare.

Negli anni ’80 si era sviluppata la convinzione molto condivisa nella pubblica opinione di
un più chiaro riconoscimento dei bisogni dell’infanzia e di un bambino portatore di diritti e
di nuove esigenze educative.
Negli anni ’90, era stata riconosciuta la centralità non solo pedagogica ma anche
istituzionale della scuola dell’infanzia.
La Legge n. 33/2000, prevedeva il riordino delle scuola di base, dai 3 ai 14 anni,
riconoscendo un valore alla scuola dell’infanzia sul piano istituzionale, nella prospettiva di
una scolarità lunga dai 3 ai 18 anni.
Negli Indirizzi per i Curriculi della scuola di base si prefigura un sistema di istruzione
comprendente la scuola dell’infanzia di durata triennale a ciclo unico, suddiviso in un
biennio iniziale (6-7anni), un triennio successivo e, infine, un biennio conclusivo
(corrispondente alla scuola media).
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia , si sottolinea che la legge n.30 /2000 ha sancito:
il definitivo riconoscimento del ruolo educativo di tale scuola per i bambini dai 3 ai 5 anni,
inserendola a pieno titolo nel sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione.
Viene confermata l’impostazione degli Orientamenti del 1991; in particolare, la validità dei
campi di esperienza e i traguardi di sviluppo declinati nelle finalità della maturazione
dell’identità, dell’autonomia e dell’acquisizione di competenze.
Tali traguardi, devono offrire a ogni bambino la possibilità:
1. di esprimere la propria soggettività, governarla, così da sviluppare la maturazione della
propria identità;
2. di interagire e comunicare con gli altri, rafforzando così l’autonomia;
3. di sviluppare quelle abilità sensoriali, percettive, motorie, linguistiche e intellettive che
lo impegnano nelle prime forme di esperienza e di esplorazione e ricostruzione della
realtà.
Gli Indirizzi per il Curricolo della scuola dell’infanzia del ministro De Maro, anche se
non sono mai diventati operativi, costituiscono un documento di basilare importanza che
verrà ripreso nella breve parentesi (2006-2008) del ministro Giuseppe Fioroni.

b) La scuola di base
Il percorso formativo settennale. I profondi cambiamenti che la legge n. 30/ 2000
aveva previsto coinvolgevano soprattutto la scuola elementare e la media, che venivano
compattate in un unico ciclo di durata settennale, articolato in un biennio iniziale , in un
successivo triennio e in un biennio finale: la scuola di base.
I primi 2 anni prevedevano:
1.l’ambito linguistico-espressivo, che comprende l’italiano;
2. l’ambito matematico-scientifico, che comprende la matematica, le scienze e la
tecnologia;
3.l’ambito antropologico-ambientale, che comprende la storia, la scienza e la geografia e
le scienze sociali;

I 3 anni successivi:
1.l’ambito linguistico-espressivo, che comprende l’italiano;
2.l’ambito matematico;
3.l’ambito scientifico-tecnologico
4.l’ambito geo-storico-sociale.

Gli ultimi anni prevedevano: italiano; prima lingua europea moderna; seconda lingua
europea moderna; arte e immagine; musica; scienze motorie; storia; geografia; scienze
Sociali; matematica, scienze; tecnologia; storia, geografia, scienze sociali.
Pertanto, la durata di 7 anni.
Le finalità della scuola di base:
a) acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base;
b) apprendimento;
c) potenziamento e orientamento;
d) educazione alla convivenza sociale;
e) consolidamento dei saperi;
f) sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali;

Gli ultimi 2 anni coincidevano con le scuole medie.

c) La scuola secondaria di secondo grado

La legge n.30/ 2000 ne confermava la durata quinquennale e proponeva 5 aree liceali: umanistica,
scientifica, tecnica, e tecnologica, artistica, musicale.

Il termine dell’obbligo scolastico era fissato al termine del biennio, con relativa certificazione da
parte della scuola. Era stato anche previsto il sistema dei crediti scolastici.

Al termine del percorso era previsto anche l’esame di stato.

Era stata prevista anche la possibilità di attività complementari, su richiesta del genitori.

3. La svolta della Moratti


a) La scuola dell’infanzia

Aveva la durata di 3 anni. Con la promulgazione del D.lgs. n. 59 del 19 feb 2004, la scuola
dell’infanzia concorre allo sviluppo integrale dei bambini e delle bambine, promuovendone
le potenzialità di relazione , autonomia , creatività e apprendimento.
Il D.lgs n 59 / 2004 prevede un orario che varia da un 875 ore annuali (sezioni in orario
antimeridiano) a un massimo di 1700 ore.
La legge 53/2004 ha introdotto per la prima volta l’anticipo scolastico per i bambini che
hanno un’età inferiore ai 3 anni.
L’anticipo sarebbe stato attivato sino al 2006, abrogato nel 2007 e nuovamente applicato nel
2009.
Si parla di Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle
scuole dell’infanzia.
Gli obiettivi sono ricondotti alle finalità di identità, autonomia e competenze, mentre gli
obiettivi specifici sono sotto responsabilità delle istituzioni scolastiche.
b) Il primo ciclo di istruzione: scuola primaria e secondaria di primo grado

La primaria. Viene articolata in un monoennio iniziale e in due bienni successivi. La scuola


elementare cambia il proprio nome diventando la scuola primaria.
La scuola preadolescente ( o scuola media) è invece suddivisa in un biennio iniziale e un
monoennio conclusivo. Di qui la necessità di caratterizzare la scuola primaria come scuola del
bambino e quella secondaria di primo grado come triennio preadolescente.

Le finalità della scuola secondaria di primo grado sono delineate nell’art. 9 del D.lgs. 19 feb 2004,
n.59 in cui afferma che essa, attraverso le discipline , promuove le capacità autonome di studio e il
rafforzamento delle attitudini all’integrazione sociale.

Per i piani di sviluppo personale nella scuola secondaria di primo grado, riprende quello
dell’infanzia:

-obiettivi generali del processo formativo;

-obiettivi specifici di apprendimento;

-unità di apprendimento e piani di studio personalizzati;

-portfolio delle competenze generali.

Quindi: capacità di esprimersi verbalmente, di tener conto del punto di vista altrui, di organizzare,
elaborare, ricostruire l’esperienza in modo personale, ecc.

c) La scuola secondaria di secondo grado.

Il ministro Letizia Moratti definisce 2 filiere: la prima dei licei e la seconda dell’istruzione e
formazione professionale.

Il sistema dei licei, articolava in 8 ordini: artistico, classico, economico, linguistico,, musicale,
scientifico, tecnologico e delle scienze umane.

Per i l licei era previsto una durata quinquennale, distinta in 2 periodi biennali e in un quinto anno
che si concludeva con l’esame di Stato e il conseguimento del titolo necessario per accedere
all’università. E all’istruzione tecnica superiore.

Per quel che riguardava l’istruzione professionale era previsto il conseguimento di titoli e
qualifiche di differente livello; la durata era quadriennale e i titoli e le qualifiche conseguiti
consentivano di sostenere l’esame di Stato, previa frequenza di un quinto anno da realizzarsi
all’interno all’università, mentre l’abbandono poteva avvenire solo con il conseguimento di una
qualifica su base triennale. Vi era possibilità di effettuare stage, esperienze formative e altro con
attestati rilasciati dalle scuole.
4. Intervento di Fioroni

a) La scuola dell’infanzia.

Le Indicazioni del 2007 sono state raccolte in un unico testo, riguardante la scuola dell’infanzia,
primaria e secondaria di primo grado, secondo una visione unitaria che interessa la scolarità 3-14
anni. Si è inteso così la continuità fra i 3 ordini scolastici dove cultura, ordine e persona vengono
delineati obiettivi, finalità e centralità. Della scuola del primo decennio del XXI sec.

Le finalità sono le stesse degli Ordinamenti del 1991 con l’aggiunta dell’educazione alla
cittadinanza.

Sviluppare l’identità, cioè imparare a conoscere se stessi;

Promuovere l’autonomia, che comporta l’acquisizione della capacità di realizzare se stessi, in


relazione agli altri, imparare a comprendere le regole della vita quotidiana;

maturare competenze, cioè sviluppare attitudini, provare curiosità, interesse per le attività che si
fanno a scuola, riflettere e negoziare significati;

sviluppare il senso di cittadinanza, cioè rapportarsi correttamente con gli altri.

Per ogni campo vengono indicati i traguardi per lo sviluppo delle competenze dai bambini dai 3-6
anni; la scuola deve essere luogo di relazione di cura e apprendimento.

Spazi caldi, accoglienti, curati, dove il bambino possa giocare, dialogare, effettuare sport…

b) La scuola primaria e quella secondaria di primo grado

Il ministro Fioroni riaffida la definizione del curricolo alle singole istituzioni scolastiche nel piano
offerta formativa, nel rispetto delle finalità dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e degli
obiettivi di apprendimento. Competenze che rappresentano la capacità di saper utilizzare in modo
finalizzato i differenti rapporti delle discipline di studio. Ogni disciplina si conclude al termine
della scuola primaria e secondaria di primo grado con i traguardi per lo sviluppo delle competenze,
seguendo un percorso continuo da 6-14 anni, un vero e proprio curricolo verticale.

Le Indicazioni per il curricolo del 2007, delineano rispetto ai piani del 2004, un percorso continuo
e progressivo.

Sia alla scuola dell’infanzia e sia alla scuola di primo grado, si da importanza all’ambiente di
apprendimento e agli spazi di studio e di lavoro.
Queste impostazioni metodologiche vengono così sintetizzate:

-valorizzare le esperienze;

-attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità;

-favorire l’esplorazione e la ricerca;

-realizzare percorsi in forma di laboratorio.

Le Indicazioni del 2007 rappresenta una tappa fondamentale tanto che viene confermata dal
successivo ministro.

c) La scuola secondaria di secondo grado

Il ministro Fioroni ebbe solo il tempo del ripristino dell’istruzione tecnica e professionale.

5. Il periodo 2008-2012
a) La scuola dell’infanzia

In questa fase dominata dal ministro Gelmini, DPR del 20 marzo 2009, n. 81, relativo alle norme
per la riorganizzazione scolastica, si sottolinea che le sezioni delle scuole dell’infanzia sono
costituite da un numero non inferiore di 18 e non superiore di 26 alunni. Nel DPR del 20 marzo
2009,ma n. 89, viene ripristinata la possibilità di poter anticipare l’iscrizione per i bambini entro il
30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, norma abrogato dal ministro Fioroni. L’orario è di 40
ore settimanali con possibilità di estensione fino a 50 ore, e permane la possibilità di un tempo
ridotto antimeridiano di 25 ore settimanali.

Vengono poi chiamate esperienze , quali la casa dei bambini, ideata dal Maria Montessori e le
sperimentazioni di dei progetti ALICE;ORME;ASCANIO e il modello REGGIO CHILDREN,
quest’ultimo è importante a livello sia nazionale che internazionale.

In particolare Reggio Emilia Approach è conosciuto in tutto il mondo e richiama insegnanti,


pedagogisti, ricercatori, amministratori provenienti da tutti i paesi europei, dagli USA, dal Canada,
dal Giappone, dal Sud America, India, Cina…che stanno investendo nel settore educazione. Il
modello dell’infanzia di Reggio Emilia si rifà ai contributi di Bruner e Gardner che seguono sin
dagli anni ’80, con interesse, l’evoluzione del progetto educativo delle scuole reggiane.
b) La scuola primaria

Le vere novità apportate dal DPR n.81/2009 per la scuola primaria sono legate all’introduzione del
maestro unico. Il tempo funzioneranno a 24,27 e 30 ore settimanali. Nulla cambia per il tempo
pieno che rimane 40 ore.

c) La scuola secondaria di primo grado

Essa ha subito alcuni importanti tagli che hanno ridotto drasticamente il tempo prolungato e
impedito la possibilità di completare l’orario di cattedra con ore a disposizione dell’istituto.
L’orario di cattedra è di 990 ore, 29 ore settimanali, più 33 di attività di approfondimenti.

Per quanto riguarda il temo prolungato , le classi vengono ricondotte all’orario normale, in
mancanza di servizi e strutture idonei a consentire lo svolgimento obbligatorio di attività in orario
pomeridiano e nell’impossibilità di garantire il funzionamento di un corso intero.

L’Atto di indirizzo dell’8 settembre 2009 riprende finalità assegnate alla scuola secondaria di primo
grado, sottolineando che la ex scuola media non è più scuola terminale; deve assicurare ad ogni
allievo il consolidamento delle padronanze strumentali e delle capacità di apprendere. Vengono
sottolineate specifiche criticità:

-la difficoltà del passaggio dalla primaria alla scuola secondaria;

-la presenza di un curricolo molto ampi;

-l’elevata dispersione nel passaggio della scuola secondaria di primo grado al biennio superiori;

-l’appannamento dell’esame di Stato;

d) La scuola secondaria di secondo grado

Il ministro Maria Stella Gelmini riprende le soluzioni dei due precedenti colleghi dando vita a 6
licei, 2 settori tecnici e 2 settori professionali.

La Riforma delle superiori della Gelmini è stata avviata a cominciare dall’anno scolastico 2010/
2011.

6. La scuola nell’ultimo periodo: 2013-2016

Va ricordato che insieme alla legge Madia n. 124/2015, il documento più rilevante è la legge 107/
2015 sulla buona scuola. Vi sono 2 interventi particolari, entrambi nel feb 2014:
-La linea guida per l’orientamento permanente;

-La linea guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.

Il 2 dic 2015 il MIUR ha diffuso le prime indicazioni operative per la lotta al bullismo e al
cyberbullismo.

Sempre lo stesso anno sono state diffuse le Linee guida per la certificazioni delle competenze nel
primo ciclo di istruzione e la sperimentazione di un nuovo modello. Anche sul fronte delle
valutazione delle istituzioni scolastiche si è registrato l’avvio della prima fase del RAV, il Rapporto
di autovalutazione delle scuole, che dovrebbero essere completato entro un triennio.

A tale operazione si è collegato, per certi versi, il disposto della legge sulla Buona Scuola, che ha
come scopo fondamentale quello di realizzare definitivamente e pienamente l’autonomia delle
istituzioni scolastiche. Mentre, per altri aspetti è stata fatta delega al Governo. Tali aspetti
riguardano:

-l’adozione del PTOF, Piano triennale dell’offerta formativa e il principio della flessibilità;

-l’istituzione dell’autonomia, che consente alle scuole di progettare specifici percorsi potendo
contare su un organico più ampio;

-le funzioni e i compiti dei dirigenti scolastici e degli collegiali: ai primi si affida un lavoro di
concertazione ma anche di indirizzo, mentre ai colleghi dei docenti è assegnato il compito di
redigere il PTOF, ai consigli d’istituto e approvarlo definitivamente. Modifiche sono state fatte
anche al funzionamento del Comitato per la valutazione, per la quale è prevista, in alcuni casi, la
presenza di genitori e di studenti;

-la revisione dello stato giuridico dei docenti, rendendo triennale la permanenza dei docenti sulla
stessa sede;

-la realizzazione del Piano Nazionale per la scuola digitale.

Una certa attenzione è stata dedicata anche al patrimonio edilizio scolastico, con l’approvazione nel
2012 di un Piano nazionale per iniziative di recupero. Cioè una riforma che porterebbe alla
sospensione delle provincie e al riordino delle competenze tra Stato ed enti locali in materia di
istruzione.

7. La scuola secondaria di primo grado: l’anello debole.


L’istituzione, nel 1962, di questo nuovo segmento scolastico risponde a 3 grandi finalità:
l’espansione del nostro sistema d’istruzione, assicurando l’obbligo fino a 14 anni; l’affermazione di
equità evitando la dispersione di potenziali apprendimenti dei ragazzi; il rafforzamento di
uguaglianza delle opportunità di accesso, garantendo a tutti i ragazzi /e, di prolungare il loro
percorso formativo.

Per quanto riguarda l’equità in senso generale , la scuola media sembra ancora non aver conseguito
i risultati sperati.

Infatti, nel passaggio scuola elementare alle medie si registra un calo degli apprendimenti in
matematica e italiano, oltre che un calo del rendimento complessivo degli alunni.
CAP 18
Il piano triennale dell’offerta formativa (PTOF)

Il piano dell'offerta formativa POF previsto dall'art. 3 del D.P.R. 275/99 è un documento
fondamentale operativo e progettuale delle singole istituzioni scolastiche. Con la Legge 107/2015 è
stato sostituito dal PTOF ( piano triennale offerta formativa). La principale novità rispetto al POF
consiste nel fatto che la progettazione formativa contenuta deve guardare ad un triennio, anche per
le risorse finanziarie, ma resta uno strumento di programmazione interna contenente la
programmazione curricolare ed extracurricolare, nonché la programmazione educativa, didattica e
organizzativa. In realtà l'idea di formulare un documento che definisse la capacità progettuale di
ciascun istituto scolastico risale alla alla circolare ministeriale n. 362 del 22 dic. 1992
sull'educazione alla salute, con la proposta di definire il Progetto Educativo di Istituto PEI come il
documento che identificasse la scuola. In seguito la sigla PEI verrà utilizzata per indicare il Piano
Educativo Individuale che riguarda l'integrazione scolastica. Il passaggio successivo grazie
all'autonomia delle istituzioni scolastiche art.21, legge 59/1997 per l'ampliamento dell'offerta
formativa porta all'adozione del POF documento costitutivo dell'identità culturale e progettuale
delle istituzioni scolastiche in cui si esplicita la progettazione curricolare , extracurricolare ed
organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito dell'autonomia. L'ultimo passaggio, quello
attuale, vede l'adozione del PTOF.
PEI, POF, PTOF rappresentano ciascuno l'evoluzione dell'altro. Se il PEI era vincolato da testi
programmatici nazionali, il POF si è distaccato da tale ottica con specifici percorsi ispirati alle realtà
territoriali, e con l'ampliarsi degli spazi dell'autonomia è stato possibile procedere a scelte
curricolari, al monte ore dei curricoli, alla creazione di gruppi di studio e all'adattamento del
calendario scolastico al territorio. IL PTOF basandosi su questa logica, fa delle flessibilità, della
responsabilità dell'integrazione alcuni dei suoi principi fondanti. Il piano triennale si configura
come una vera e propria pianificazione della vita scolastica in riferimento agli obiettivi generali e
educativi dei vari indirizzi di studi, alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico nel
quale la scuola opera. Il documento viene costruito basandosi su un piano interno relativo alla
scuola, le finalità educative, le scelte organizzative, didattiche e finanziarie; ed uno esterno che
caratterizza la missione educativa che la scuola intende perseguire verso l'utenza e la comunità
territoriale. Il PTOF esplicita gli impegni e la responsabilità che dirigenti,alunni, genitori, personale
ausiliario e amministrativo intendono assumere. I livelli di progettualità sono essenzialmente 4
- PEDAGOGICO: capacità della scuola di dare adeguate risposte alle richieste di alunni,
genitori, docenti stessi.
– SOCIALE: proprietà caratteristiche istituzionali nei confronti del territorio e organismi
locali
– ORGANIZZATIVO: scelte di organizzazione sia rispetto al piano interno delle attività, sia
a quello esterno relativo alle esperienze. Novità è la possibilità di un organico aggiuntivo che
favorisce l'ampliamento formativo.
– FINANZIARIO: indicazioni per la destinazione del fondo a disposizione della scuola.
Nell'ambito del principio della flessibilità, nel piano vanno riportate le scelte per il potenziamento
dell'offerta formativa e tutte le iniziative che riguardano la formazione per studenti e alunni in
materia di sicurezza, primo soccorso, educazione alla parità dei sessi, prevenzione alla violenza, al
bullismo e a tutte le forme di discriminazione. Viene richiamato anche il PAI Piano Annuale per l'
Inclusività D.M. 27 dic. 2012 il quale mantiene però carattere annuale. Per la costruzione del piano
triennale occorre l'impegno di tutti gli attori coinvolti sulla scena educativa, garantendo le istanze di
fondo: UNITARIETA', AFFIDABILITA', RENDICONTABILITA', INTEGRAZIONE.
Le finalità del PTOF sono il successo formativo di tutti e ciascun alunno, la pianificazione delle
attività didattiche che vanno orientate all'apprendimento significativo. Attenzione va riportata alle
opportunità educative offerte dal contesto territoriale che vanno inserite nel progetto educativo
rapportandole agli obiettivi della scuola. Il piano è elaborato dal collegio dei docenti, sulla base
delle scelte di gestione e amministrazione definite dal dirigente scolastico che quindi assume un
ruolo guida determinante, che tiene conto tra l'altro, delle proposte formulate dalle associazione dei
genitori e per le secondarie di secondo grado dagli studenti. E' approvato dal consiglio d'istituto e
pubblicato sul sito della scuola. Aspetto fondamentale del PTOF è il piano di miglioramento anche
in ottica RAV, valutazione e autovalutazione al fine di verificare il grado di raggiungimento degli
obiettivi ed evitare eventuali errori. Il piano va predisposto entro il mese di ottobre precedente al
triennio di riferimento e può essere rivisto e aggiornato annualmente entro l'ottobre di ciascun
anno.
Capitolo 19

“Il profilo e lo sviluppo professionale del docente”

Nonostante nel tempo non ci sia stata una particolare attenzione rispetto la figura dell’insegnante,
oggi, in molti Paesi si effettuano ricerche e approfondimenti sulle differenti dimensioni e funzioni
della figura dell’insegnante .

L’aspetto relativo la qualità dell’insegnante, gode della stima dei genitori. Questo è essenzialmente
legato non tanto al titolo di studio dell’insegnante, bensì al suo saper fare con ciò che sa.
Naturalmente questa stima è nutrita non solo rispetto alla padronanza della discipline che insegna,
ma anche a ciò che egli è nei rapporti con i colleghi e gli studenti.
Ma chi è il bravo insegnante?
Da una ricerca effettuata e conclusasi nel 2010, in cui ha partecipato anche l’italia, quello che
emerge sono alcuni tratti fondamentali della loro professione riconducibili ai seguenti tratti:
- qualità delle relazioni educative con gli alunni;
- conoscenze e competenze del proprio ambito disciplinare;
- capacità di gestione della classe e del gruppo;
- comportamento degli studenti a scuola, in classe e negli altri spazi (laboratori, aule
attrezzate, ecc.) di studio e di lavoro;
- modalità con le quali i docenti si rapportano ai colleghi, al dirigente e alle altre figure
educative, in una prospettiva di interazione costruttiva e collaborativa.
Quindi così come riportato dal Miur Valorizza: vi è la convinzione che esistano davvero quegli
insegnanti su cui nessuno ha da discutere, quelli che anche dopo 40 anni saranno ricordati dai loro
studenti come gli insegnanti che hanno lasciato un segno positivo nelle loro vite, quelli apprezzati
dai docenti come colleghi e anche dai genitori come guida per i loro figli.
Nel progetto del Miur, la commissione era composta dal dirigente, da due docenti e dal presidente
del consiglio di istituto (in qualità di osservatore senza diritto di voto).
La raccolta delle informazioni riguardo gli insegnanti ha conosciuto le seguenti fasi:

– compilazione da parte dei docenti di un questionario di autovalutazione (e del curriculum vitae);


– compilazione di un questionario da parte dei genitori, in cui dovevano indicare tre nomi di docenti
riconosciuti come eccellenti;
– coinvolgimento degli studenti (solo dell’ultimo biennio dell’istruzione superiore);
– valutazione del nucleo interno di valutazione e scelta dei candidati indicati in almeno due «liste».
2. Profilo professionale

Il profilo dell’insegnante e i contenuti (attività, azioni, strategie, ecc.) che riguardano la sua
progressione sul piano professionale sono strettamente correlati. Tale interdipendenza può essere
rappresentata come nella figura seguente.
Il profilo può essere può essere considerato la parte statica dell’attività a cui un insegnante deve
rispettare (ruolo formale), mentre l’evoluzione della professione (lo sviluppo) interessa di più la
parte dinamica (ruolo agito).
Entrambi si definiscono nel periodo della formazione iniziale, ma soprattutto nel corso della propria
formazione: la formazione in servizio diventa pertanto una dimensione strategica della professione.
Le principali dimensioni del profilo professionali sono rappresentate nel seguente schema:
Profilo e sviluppo professionale dell’insegnante

IL PROFILO
PROFESSIONALE: LO SVILUPPO
sapere chi si è e quali PROFESSIONALE:
saperi del proprio sé prendersi cura del
lavorativo sono richiesti proprio percorso
formativo

Dimensione oggettiva Dimensione soggettiva


Dimensione oggettiva (statica)
(statica) (dinamica)

Reciprocità tra l’identità della


scuola e quella delle persone.
Le aree del profilo professionale

Area disciplinare Area pedagogica

Insegnante colto Insegnante riflessivo

Area della ricerca Area organizzativa

Insegnante innovativo Insegnante collaborativo

Area didattiva

Insegnante relazionale

Questi ambiti del profilo sono implicitamente richiamati anche nel testo delle nuove Indicazioni
laddove si mette in evidenza: la presenza di insegnanti motivati, preparati, attenti alle specificità dei
bambini e dei gruppi di cui si prendono cura, è un indispensabile fattore di qualità per la costruzione
di un ambiente educativo accogliente, sicuro, ben organizzato, capace di suscitare la fiducia dei
genitori e della comunità.
L’insegnante colto sottolinea l’importanza della conoscenza aggiornata e approfondita dei campi di
esperienza e delle discipline oggetto di insegnamento.
La dimensione riflessiva sottolinea la singolarità del lavoro del docente ovvero la conoscenza
psicologica degli alunni in relazione alla loro età.
Pertanto egli stabilisce un dialogo educativo, accetta le idee e i vissuti degli studenti, ponendosi in
modo coerente come guida e testimone di una visione positiva della vita. L’insegnante non può
pretendere dagli allievi il rispetto dei propri doveri, l’assunzione di atteggiamenti responsabili e
l’apertura necessaria al dialogo educativo se egli stesso per primo non sa porsi come esempio di
questi comportamenti. (Rosso, 2005).
Il docente innovativo è colui che elabora e utilizza strumenti necessari all’arricchimento delle
strategie di lavoro ed è disponibile alla ricerca educativa e didattica, che cerca di migliorare con
sistematicità e con padronanze legate all’uso delle nuove tecnologie.
L’ambito organizzativo vede il docente impegnato ad accrescere le proprie competenze gestionali
sia con i colleghi sia nella gestione della classe. Sa lavorare in team (dentro la scuola, tra scuole e in
rapporto con il territorio), si rapporta in modo collaborativo con i colleghi, con altre figure
professionali e con le famiglie. In classe, sa gestire con sicurezza sia le didattiche di tipo
tradizionale sia strategie incentrate sulla valorizzazione del gruppo e, più in generale, di didattiche
collaborative.
L’insegnante relazionale si pone in modo adeguato ed efficace con gli alunni su due livelli: quello
interpersonale e quello culturale. La prima dimensione lo rende partecipe ai problemi che gli allievi
incontrano nel loro percorso di crescita; la seconda riguarda la sua capacità di coinvolgere i ragazzi
ai contenuti dell’attività didattica e alle materie di studio. Questo duplice livello è sottolineato nelle
Indicazioni del 2012 in cui si sottolinea l’importanza di uno stile educativo ispirato a criteri di
ascolto, di interazione partecipata e di accompagnamento.

3. Lo sviluppo professionale

Lo sviluppo professionale può essere ricondotto a una duplicità di fattori: estrinseci e intrinseci. È
connesso a una premialità che interessa sia gli aspetti della progressione della carriera sia la
gratificazione e la soddisfazione del proprio lavoro.
Fattori estrinseci e intrinseci

Estrinseci Intrinseci

– vincoli e prospettive contrattuali – motivazioni di base


– sviluppo di carriera – differenziazione della funzione
– incentivi economici – partecipazione a comunità di pratica
– riconoscimenti professionali – senso di appartenenza a una comunità
locale

L’interdipendenza di queste due dimensioni determina un percorso professionale che si sviluppa


generalmente secondo alcuni stadi:

Principianti: Esperto : Maturo:


accesso alla professione partecipazione attiva alla vita responsabile di sistema
(per caso, per scelta, ecc..) della scuola (collaboratore vicario ,
responsabile di sede, ecc…)
L’ immagine che il docente sviluppa del proprio lavoro, delle responsabilità e della sua
appartenenza alla scuola come istituzione chiarisce la relazione tra i compiti assegnati alla scuola e
le caratteristiche di una determinata società.
È dunque necessario considerare quanto l’autonomia delle scuole agisca sul miglioramento
dell’apprendimento degli allievi e che cosa significhi la domanda di professionalità posta
dall’autonomia stessa. Nello stesso tempo è opportuno anche valutare come possa ciascun
insegnante articolare il suo personale progetto professionale con quello dei colleghi e della scuola.
Una riflessione sui compiti dei docenti diventa, in ultima analisi, un’analisi sul «posto» della scuola
nell’attuale momento storico.

4. Gli aspetti professionali nei contratti

Con la privatizzazione del pubblico impiego, si è modificato anche il profilo professionale dei
docenti dal punto di vista del loro stato giuridico. Esso viene promossa con la legge delega n. 421
del 23 ottobre 1992 e completata con i decreti legislativi n. 29 del 3 febbraio 1993, n. 470 del 18
novembre 1993 e n. 546 del 23 dicembre 1993: ulteriore sistemazione è stata data alle norme con il
D.lgs. n. 165/2001, ormai considerato un testo unico per il pubblico impiego.
Questa scelta ha portato alla progressiva distinzione tra pubblica amministrazione e il rapporto di
lavoro del personale della scuola: la prima mantiene regole essenzialmente di tipo pubblicistico; al
personale scolastico è riconosciuto il carattere pubblicistico del proprio lavoro ma il contratto è di
tipo privatistico. Il primo contratto viene sottoscritto il 4 agosto 1995, con validità quadriennale per
gli aspetti giuridici e biennale per quelli economici.
Il contratto prevede anche che il personale scolastico conosca le norme di garanzia per il
funzionamento dei servizi pubblici essenziali, presentando, con un sistema di diritti e di relazioni
sindacali, nuove regole sullo stato giuridico di tale personale.
Si tratta di un contratto ponte che accoglie elementi di privatizzazione, ma conferma ancora molte
norme del pubblico impiego: si è trattato di una scelta obbligata se si considera la profonda portata
del cambiamento introdotto. Per quanto riguardò il personale docente, l’art. 38 ha provveduto a
chiarire l’area della funzione docente e tutte le categorie che rientravano in essa:
1. Il personale docente ed educativo degli istituti e scuole di ogni ordine e grado (compresi i
conservatori di musica, delle accademie di belle arti, dell’accademia nazionale di danza,
dell’accademia nazionale d’arte drammatica, delle istituzioni educative e degli istituti e scuole
speciali statali) è collocato nella distinta area professionale del personale docente.
2. Rientrano i docenti della scuola materna; i docenti della scuola elementare; i docenti della scuola
media; i docenti della scuola secondaria superiore diplomati e laureati; il personale educativo dei
convitti e degli educandati femminili; i vicerettori aggiunti dei convitti; gli assistenti delle scuole
speciali statali; gli assistenti delle accademie di belle arti e dei licei artistici; i docenti dei
conservatori di musica, delle accademie di belle arti e dell’accademia nazionale di danza. (art. 38)
Come sempre accade nei momenti di cambiamento, gli intenti che i sottoscrittori si sono posti sono
stati molti: dal favorire una più equa distribuzione dei carichi e delle responsabilità di lavoro alla
promozione della qualità delle prestazioni professionali; dal promuovere una più adeguata gestione
delle risorse e una maggior efficienza del servizio all’impegno a dare una diversa immagine del
lavoro scolastico e ottenere maggiori riconoscimenti sociali.
Nel contratto il personale della scuola viene suddiviso in due categorie, quello assunto a tempo
indeterminato e quello a tempo determinato.
L’atto pubblico di nomina è sostituito da un contratto individuale di lavoro che riporta tutti gli
elementi del patto (dalla sua data di decorrenza al tipo di qualifica, dal livello retributivo iniziale
alle mansioni, alla sede di lavoro).
Per quanto concerne il carico di lavoro, vengono previste:
– per gli insegnanti della scuola dell’infanzia, 25 ore settimanali;
– per gli insegnanti della scuola elementare 22 ore settimanali di lezione e 2 di coordinamento;
– per i docenti delle secondarie, 18 ore settimanali.
Le prestazioni possono essere incrementate con attività di insegnamento (art. 41), attività funzionali
all’insegnamento (art. 42), attività aggiuntive, a loro volta suddivise in attività di insegnamento e
attività ad esso funzionali (art. 43).
La configurazione professionale del docente, può essere articolata attraverso la definizione di
particolari profili di specializzazione, relativi agli aspetti scientifici, didattici, pedagogici,
organizzativi, gestionali e di ricerca. (art. 38).
Un aspetto del contratto rimarrà inapplicato, il disposto dell’art. 77 che aveva introdotto il principio
della valorizzazione delle capacità professionali attraverso la corresponsione di compensi legati a
specifiche competenze professionali e alla qualità delle prestazioni.
La sottoscrizione di questo primo contratto è stato oggetto di dibattiti; in particolare, gli
schieramenti si sono polarizzati su due posizioni: coloro che hanno riposto grande fiducia negli
effetti di questa scelta e coloro che hanno visto in essa più una operazione di facciata che non
avrebbe apportato significative modifiche alla scuola.
Il secondo contratto (CCNL 1998-2001), anch’esso con validità quadriennale per gli aspetti
giuridici e biennale per quelli economici, viene sottoscritto il 26 maggio 1999. È il momento
dell’avvio dell’autonomia scolastica e tale enfasi si avverte anche per la definizione della
professionalità degli insegnanti: la funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e
professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nelle attività di
aggiornamento e formazione in servizio; [...] il profilo professionale dei docenti è costituito da
competenze disciplinari, pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, tra
loro correlate ed interagenti, che si sviluppano con il maturare dell’esperienza didattica,
l’attività di studio e di sistematizzazione della didattica. Vengono rivisti alcuni aspetti del
contratto precedente, in particolare quella dell’art. 77 e quella dei gradoni economici di sviluppo
della carriera. La prospettiva è di promuovere una diversificazione delle prestazioni professionali e
per questo viene prevista la possibilità di nominare docenti con funzioni obiettivo, in sostituzione
delle figure di sistema introdotte dal precedente contratto, per curare particolari aspetti dell’attività
scolastica.
Si introducono forme di incentivazione per la valorizzazione delle prestazioni professionali con
meccanismi simili a quelli dei concorsi per merito distinto: in base all’esperienza professionale e
alla preparazione culturale i docenti avrebbero usufruito di accelerazioni di carriera e
incentivazioni. Si introduce la possibilità di realizzare prestazioni non di cattedra, quali le
collaborazioni con altre scuole per specifici progetti, e di svolgere attività didattiche per il pubblico,
esclusi i propri alunni per le materie del curricolo scolastico. Infine, viene prevista la possibilità, per
le scuole nelle zone a rischio di devianza sociale e a forte immigrazione, di ottenere ulteriori
finanziamenti. Molti problemi, soprattutto relativi agli insegnanti, non hanno trovato adeguata
soluzione in quel secondo contratto: in particolare, l’insoddisfazione ha riguardato la mobilità e la
valutazione della qualità delle prestazioni professionali, oltre che la questione del riconoscimento
dei titoli per l’accelerazione della carriera.
La terza tornata contrattuale, CCNL 2002-2005, si è concretizzata nella sottoscrizione, il 24
luglio 2003, del nuovo documento con validità quadriennale per gli aspetti giuridici e con scadenza
per quelli economici al 31 dicembre 2003. L’aspetto più rilevante di quel contratto, sottoscritto in
continuità con quelli precedenti, è stata la raccolta in un unico testo delle varie norme pattizie che
sono state sottoscritte nelle varie sedi di contrattazione, comprese le interpretazioni autentiche.
Ancora, il particolare rilievo di quella tornata contrattuale è legato all’accoglimento di tutte le
novità istituzionali introdotte con l’autonomia scolastica e con la riforma del Titolo V della
Costituzione, legge n. 3/2001. Per quel che riguarda le specifiche novità, la prima è relativa al fatto
che nel contratto non è rientrato più il personale dirigente, in quanto il primo marzo 2002 è stato
sottoscritto il primo contratto di categoria per il periodo 2000-2002. Nel contratto trovano pertanto
definizione le specifiche problematiche relative al personale ATA e a quello docente. Un secondo
elemento innovativo riguarda la sostituzione delle funzioni obiettivo con le funzioni strumentali al
POF; si tratta di una scelta che apre la strada a una progressiva differenziazione del carico di lavoro
dei docenti ai quali potranno essere affidati specifici compiti per la realizzazione dell’autonomia.
Sul piano retributivo, l’indennità integrativa speciale è stata inglobata, come per gli altri comparti
del settore pubblico, nello stipendio.
Il contratto 2002-2005 è stato da più parti definito come contratto di transizione in quanto
sottoscritto in una fase di definizione di profonde riforme della scuola, anche perché si sono
ipotizzati nuovi scenari per i docenti, con possibili differenziazioni di responsabilità e di carichi di
lavoro. La stessa prospettiva di un possibile inquadramento in ruoli regionali ha aperto scenari
innovativi tutti da ridefinire e non sempre rassicuranti. Tale istanza è stata recepita dallo stesso
contratto nel quale, all’art. 22, è stato formulato l’impegno a costituire una commissione di studio
per definire una nuova piattaforma per la carriera professionale dei docenti in funzione di una
scuola di elevato profilo culturale che assicuri agli alunni i massimi livelli di apprendimento.
1. Le parti stabiliscono di costituire, entro 30 giorni dalla firma definitiva del presente CCNL, una
commissione di studio tra ARAN, MIUR e OO.SS. firmatarie del presente CCNL, che, entro il 31-
12-2003 elabori le soluzioni possibili, definendone i costi tendenziali, per istituire già nel prossimo
biennio contrattuale, qualora sussistano le relative risorse, meccanismi di carriera professionale per i
docenti.
2. Le parti convengono che la commissione di cui al comma precedente finalizzi la propria attività
alla realizzazione di meccanismi di carriera che contribuiscano alla costruzione di una scuola di alto
e qualificato profilo, che assicuri agli alunni i migliori livelli di apprendimento, valorizzi i talenti e
prevenga situazioni di difficoltà e disagio.
Tra gli strumenti a tal fine necessari si conviene essere utile l’istituzione di un sistema nazionale di
valutazione del sistema scolastico. (art. 22) In realtà, anche il terzo contratto è stato oggetto di forti
critiche soprattutto per il fatto che la sua definizione è avvenuta a seguito di una negoziazione
diretta tra ARAN e parti sindacali, mentre la categoria è rimasta un po’ ai margini della trattativa: la
conseguenza è stata che, malgrado i sensibili miglioramenti che riguardano singoli aspetti
professionali e di svolgimento della carriera, è mancata la fase cosiddetta pattizia, per cui non vi è
stato quello che i giuristi definiscono il rapporto giuridico bilaterale con la mancata assunzione di
responsabilità diretta da parte di molti docenti.

6. Docenti e tutorship: la diversificazione dei compiti degli insegnanti


Il complesso delle innovazioni che hanno investito il nostro sistema scolastico negli ultimi anni ha
delineato nuovo modello professionale degli insegnanti.
Infatti, oltre alle competenze pedagogiche, didattiche, metodologiche, organizzative, relazionali,
nella scuola attuale sono state valorizzate ancora di più le competenze progettuali e la capacità di
iniziativa.
Con l’avvento dell’autonomia sono stati, infatti, introdotti vari elementi innovativi, dal lavoro in
team alla progettualità di istituto e nella classe, dalla personalizzazione dei percorsi di studio alla
multimedialità,
che hanno condotto a delineare una figura professionale molto più complessa e ricca di quella
tradizionale.
Anche gli incarichi e le collaborazioni sono stati valorizzati, in quanto possano risultare
determinanti per il miglioramento complessivo dell’azione della scuola. Ci si riferisce alle funzioni
strumentali,da assegnare a
docenti disponibili e competenti, per la realizzazione delle finalità istituzionali della scuola
autonoma.
7. La nuova formazione iniziale dei docenti
Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 117 del 21 maggio 2012 è entrato definitivamente
in vigore il Decreto dell’8 novembre 2011 che riordina i corsi di laurea per il reclutamento dei
docenti di ogni ordine
e grado, come indicato nella legge del 6 agosto 2008, n. 133 (art. 64).
La formazione iniziale degli insegnanti è finalizzata a valorizzare la funzione docente attraverso
l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche,
organizzative e relazionali.
Per la scuola dell’infanzia e primaria si prevede un corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo
unico, comprensivo di tirocinio da avviare(quest’ultimo) a partire dal secondo anno. In questi due
ordini scolastici,
il tirocinio è incardinato nei cinque anni di durata del corso di laurea e, a partire dal secondo anno,
avrà la durata di 600 ore, pari a 24 crediti formativi universitari. Va sottolineato che il tirocinio era
un istituto già
presente nei corsi che hanno preceduto quest’ultima riforma. Al termine del quinquennio lo studente
acquisisce una laurea magistrale che lo abilita sia all’insegnamento nella scuola dell’infanzia sia
all’insegnamento nella scuola primaria. L’insegnamento nell’istruzione secondaria di primo e di
secondo grado è articolato in un corso di laurea magistrale quinquennalee un successivo anno di
tirocinio formativo attivo, il cosiddetto TFA, sostitutivo delle «vecchie» SSIS, che si differenzia dal
tirocinio della scuola
dell’infanzia e primaria, in quanto lo svolgimento del TFA comporta un ulteriore anno di università,
dopo il quinquennio.
Al termine di questo percorso, che dura complessivamente sei anni, previo superamento di un
esame finale, il futuro insegnante consegue il titolo di abilitazione all’insegnamento nella
secondaria di primo e/o di
secondo grado, nella classe di concorso per la quale è stato inizialmente ammesso.
Il TFA comprende quattro gruppi di attività:
– insegnamenti di scienze dell’educazione;
– tirocinio diretto e indiretto di 475 ore, pari a 19 crediti formativi
presso istituzioni scolastiche accreditate;
– insegnamenti di didattiche disciplinari, anche in un contesto di laboratorio;
– laboratori pedagogico-didattici indirizzati alla rielaborazione di prassi
educative e di esperienze di tirocinio particolarmente significative.
Per lo sviluppo di tutte queste azioni, l’art. 11 del Decreto n. 249 del 10 settembre 2010 prevede la
«discesa in campo» di diverse figuretutoriali, appartenenti al ruolo docente e dirigenziale delle
istituzioni
scolastiche. Tali figure dovranno essere in possesso di determinati requisiti e titoli indicati in
un’apposita tabella.
Per quanto concerne la scuola dell’infanzia e primaria, si prevedono:
– tutor coordinatori, con esonero parziale dall’insegnamento;
– tutor dei tirocinanti;
– tutor organizzatori.
Ai primi (coordinatori) è affidato il compito di assegnare gli studenti alle diverse sezioni, classi e
scuole, formalizzando il progetto di tirocinio del singolo studente, supervisionare e valutare le
attività di tirocinio stesso.
I secondi (dei tirocinanti) hanno il compito di orientare gli studenti agli aspetti didattici e
organizzativi della scuola di riferimento, di accompagnarli nelle aule/sezioni e monitorare il
rapporto tra tirocinante
e docenti delle classi.
I terzi (organizzatori) devono organizzare e gestire i rapporti tra le università, le istituzioni
scolastiche e gestire le attività amministrative legate ai distacchi dei tutor coordinatori e i rapporti
delle scuole con
l’ufficio scolastico regionale.
Per la scuola secondaria di primo e di secondo grado sono previste solo le prime due tipologie di
tutor: coordinatori e dei tirocinanti.
.
8. La legge 107/2007 e lo stato giuridico dei docenti
La legge 107/2015 introduce significative novità sullo stato giuridico
degli insegnanti, a partire dall’organico dell’autonomia, che comprende i posti comuni, i posti di
sostegno e i posti per il potenziamento dell’offerta formativa.
Tale organico, in quanto funzionale alle scelte delle singole scuole, sarà determinato, ogni tre anni,
a partire dall’a.s. 2016-2017, su base regionale e ripartito con provvedimento del Direttore Generale
di ciascun
Ufficio Scolastico Regionale fra gli ambiti territoriali in fase di definizione (entro 30 giugno 2016).
In particolare, gli insegnanti assunti in base al piano straordinario, così come quelli che
risulteranno in esubero o in soprannumero nell’a.s.2016-2017, sono assegnati agli ambiti
territoriali. Dallo stesso anno,
si afferma nella legge 107, la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli
ambiti territoriali.
La legge 107/2015 sembra andare nella direzione giusta: interviene,infatti, a sostegno della
professionalità docente, introducendo alcuni dispositivi che interessano tutti e un sistema premiale
che, invece, dovrà
gratificare gli insegnanti più capaci e impegnati, quindi una cerchia più ristretta.
– la formazione in servizio dei docenti, che dovrà essere obbligatoria, permanente e strutturale (art.
1, comma 124); essa si configura pertantocome vero e proprio obbligo di servizio. Infatti:
la formazione rientra a pieno titolo tra le attività funzionali all’insegnamento, equivale a tutti gli
effetti ad attività di servizio ed è programmata attraverso procedure collegiali che vincolano i
singoli docenti [...]
– la carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del personale
docente di ruolo, dell’importo di 500 euro per ciascun anno scolastico.
Nella legge 107 si afferma che:
al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze
professionali, è istituita la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di
ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. (art. 1, comma 126 e segg.)
Invece il dispositivo che dovrà riconoscere il merito tramite un sistema premiale differenziato è
costituito dal cosiddetto bonus. Sarà il dirigente scolastico a ripartire le somme attribuite a ciascuna
istituzione scolastica, sulla base dei criteri che verranno stabiliti dal comitato per la valutazione dei
docenti. Il bonus è finalizzato a valorizzare le specifiche competenze e responsabilità del personale
docente di ruolo, soprattutto di quegli insegnanti che costituiscono la leadership intermedia
(collaboratori, funzioni
di coordinamento, ecc.) delle scuole e senza i quali il dirigente sarebbe in gravi difficoltà a gestire la
complessità organizzativa e gestionale del funzionamento complessivo delle singole realtà
educative.
Sul piano prettamente economico, il bonus ha natura di retribuzione accessoria ed è una fase di
sperimentazione della durata di tre anni.
9. Il periodo di formazione e di prova
Il periodo di formazione e di prova per i docenti che vengono assunti a partire dall’a.s. 2015-2016 è
stato aggiornato dalla legge 107/2015 rispetto alle modalità fin qui seguite. L’immissione in ruolo è
condizionata,
come in passato, al superamento del periodo di formazione e di prova, della durata di almeno 180
giorni.
Il personale docente e educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto a valutazione da
parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione [...] sulla base dell’istruttoria di
un docente al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor. [...] In caso di
valutazione negativa del periodo di formazione e di prova, il personale docente ed educativo è
sottoposto ad un secondo periodo di formazione e prova, non rinnovabile. (art.
1, commi dal 115 al 119)
Nel DM 27 ottobre 2015, n. 850, che attua le disposizioni contenute nella 107, sono previste
specifiche attività che coinvolgono i docenti neo-assunti, il dirigente scolastico e l’insegnante tutor.
Tali attività formative ineludibili per il superamento del periodo di formazione e di prova hanno la
durata complessiva di 50 ore, articolate in quattro fasi:
– incontri propedeutici e di restituzione finale (non più di 6 ore);
– laboratori formativi (12 ore);
– peer to peere osservazione in classe (12 ore);
– formazione on line (20 ore).
Nel Decreto Ministeriale del 27.10.2015, n. 850, seguito a distanza di pochi giorni dalla Nota MIUR
del 5.11.2015, n. 36167 (Periododi formazione e di prova per i docenti neo-assunti. Primi
orientamenti
operativi), si prevede che in ogni istituzione scolastica si perfezionino i seguenti momenti e
strumenti:
a) Il bilancio di competenze. Al docente neo-assunto è richiesto di svolgereuna forma di
autovalutazione con la supervisione del collega tutor.
Il bilancio di competenze è propedeutico all’elaborazione di un apposito patto perlo sviluppo
professionale, che sarà redatto dall’interessato, dal dirigente scolastico e dal docente tutor.
Dirigente, neo-assunto e tutor stabiliscono gli obiettivi di sviluppo delle competenze di natura
culturale, disciplinare, didattico-metodologica e relazionale da raggiungere attraverso le esperienze
formative previste nelle 50 ore.
b) La costituzione di laboratori formativi. Coerentemente con il principio di personalizzazione, gli
Uffici scolastici territoriali predisporranno piani di formazione adottando metodologie laboratoriali.
Ogni docente neo-assunto, si legge del DM 850/2015, in conseguenza del patto per lo sviluppo
professionale, segue obbligatoriamente laboratori formativi per complessive 12 ore di attività, con
la possibilità di optare tra le diverse proposte formative offerte a livello territoriale.
c) La formazione peer to peer. Alle 12 ore delle 50 che il docente neoassunto è tenuto a svolgere, se
ne aggiungono altre 12 di osservazione in classe, svolte dall’interessato e dal suo tutor. Questa
attività è finalizzata a migliorare le pratiche didattiche nella gestione della classe.
d) Il portfolio professionale. Questa innovazione era già stata inserita nelle disposizioni normative
del precedente anno scolastico, benché unita ad altre opzioni. Con la legge 107 diventa invece uno
strumento
obbligatorio; nel DM 850 si sottolinea che l’insegnante neo-assunto cura la predisposizione di un
proprio portfolio personale, in formatodigitale.
10. Il portfolio del docente e il nuovo Comitato di valutazione
Nell’art. 1, comma 129 della 107/2015, si afferma che: presso ogni istituzione scolastica e educativa
è istituito, senzanuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il comitato per lavalutazione dei
docenti.
Questo organo collegiale nella nuova formulazione della legge 107 è presieduto dal dirigente
scolastico e dura in carica tre anni.
La sua costituzione è la seguente:
– tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei,docenti e uno dal consiglio
d’istituto;
– due rappresentanti dei genitori (per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione); un
rappresentante degli studenti e uno dei genitori per la scuola secondaria di 2° grado, scelti dal
consiglio d’istituto;
– un componente esterno individuato dall’ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici
e tecnici.
I criteri per la valorizzazione dei docenti sono individuati dal comitato di valutazione sulla base:
a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica,
nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo dei docenti in relazione al potenziamento delle
competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione
alla ricerca
didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo, didattico e nella formazione del
personale (comma 129).
Le principali funzioni chiamato a svolgere sono:
– individuazione dei criteri per la valorizzazione del personale docente della scuola;
– espressione di un parere obbligatorio sul superamento del periodo di formazione e di prova del
personale docente e educativo. In questa circostanza, il comitato è formato solo: dal dirigente
scolastico che lo presiede, dai docenti, ed è integrato dal docente a cui sono affidatele funzioni di
tutor. Il parere espresso dal Comitato, come detto, è obbligatorio, ma non vincolante per il dirigente
scolastico, che può discostarsene con atto motivato. Dunque, al termine dell’anno di formazione e
prova, dopo il termine delle lezioni, il Comitato è convocato dal dirigente scolastico per procedere
all’espressione del parere sul superamento di tale periodo.
Il docente sostiene un colloquio innanzi al Comitato, che prende avvio dalla presentazione delle
attività di insegnamento e formazione della relativa documentazione contenuta nel portfolio
professionale.
(MIUR, DM 27.10. 2015, n. 850)
Considerata l’importanza che il portfolio (e-Portfolio nella versione digitale, dove e sta electronic)
assumerà nello sviluppo professionale dei docenti, segnaliamo il portfolio formativo di ogni
insegnante assume il ruolo di dispositivo per lo sviluppo professionale ed è caratterizzato da una
funzione autoformativa.
Il portfolio del docente (o meglio l’e-Portfolio) assume una funzione molto importante sia per il
docente neo-assunto che per il collega esperto, il docente tutor, figura che accompagna il neo-
immesso in ruolosuggerendo strategie, metodologie, buone prassi, buone documentazioni.
Il portfolio è il dispositivo che documenta e permette ai docenti di sviluppare il loro cammino ri-
narrando se stessi in termini di intenzioni personali e di capacità di influire sulle esperienze che
progettano, elaborano e vivono. In questo senso, il portfolio assume le connotazioni di valutazione
formativa (autoriflessione) che il docente fa nei confronti di se stesso.
CAPITOLO 22
L’INCLUSIONE DEGLI ALUNNI CON CITTADINANZA NON ITALIANA
Le scelte del nostro Paese sono orientate ad una logica interculturale che integra culture differenti
cercando un reciproco arricchimento tra ospiti ed ospitanti. Nei primi anni ’90 l’integrazione dei
minori stranieri nella scuola dell’obbligo è stato regolato da alcune circolari. Nel 1989 l’Onu vota la
Convenzione dei diritti del bambino recepita dal Parlamento con la L. N.176 91. In essa si afferma
che i diritti dei bambini devono essere assicurati a prescindere dalla razza, lingua e dalla religione.
Con la circolare 205/90 si parla per la prima volta di ed.interculturale come massima forma per
contrastare il pregiudizio ed il razzismo. La Legge Moratti 53/2003 ha confermato i principi degli
anni ’90 affermando che la scuola primaria dovrà far acquisire agli alunni la consapevolezza delle
varie forme di diversità. Nel 2006 la Moratti ha emanato le Linee Guida per l’accoglienza e
l’integrazione degli alunni stranieri in cui si evidenziano il contesto e le indicazioni operative.Nel
2007 il ministro Fioroni con le indicazioni Nazionali per il curricolo, in Cultura Scuola Persona, vi è
un riferimento esplicito all’ed. interculturale . Nell’atto di indirizzo dell’ 8 settembre 2009 emanato
dalla Gelmini si ribadisce la priorità di interventi intensivi nei confronti degli stranieri in particolare
per gli alunni di recente immigrazione. La C.M. 2010 pone il problema dell’eventuale eccessiva
presenza nella classe di alunni stranieri, stabilendo un tetto che non può oltrepassare il 30 %.Con
l’espressione multiculturalità si indica una situazione in cui individui di appartenenza diversa per
cultura, religioni e tradizioni linguistiche, convivono accanto all’altro, senza rapporti di scambio. La
dimensione interculturale , invece, è riferita a realtà in cui le persone appartenenti a sistemi culturali
diversi costruiscono una relazione significativa improntata sulla valorizzazione reciproca. Circa il
75% dei bambini stranieri frequentanti la scuola dell’Infanzia sono nati in Italia da entrambi i
genitori stranieri pertanto sono definiti alunni stranieri di seconda generazione. La parola
accoglienza pone le persone dinanzi ai temi di fondo della società moderna: l’ospitalità, la
solidarietà, la convivenza democratica, l’amicizia. Ma non solo! In realtà , l’accoglienza è una
forma di conoscenza e di miglioramento del proprio sé. Si possono definire tre modalità di
accoglienza:
1- Accoglienza nel tempo: è un periodo temporale caratterizzato dal primo incontro tra chi emigra e
chi abita nel Paese di arrivo. È inutile ribadire l’importanza di figure capaci di una buona
accoglienza, di servizi efficienti per orientare le iscrizioni scolastiche, l’assegnazione alle classi,
ecc.
2. Accoglienza negli atteggiamenti: è il quadro complessivo delle attenzioni e delle «cure»
educative rivolte ai bisogni dell’altro. Gli atteggiamenti fanno parte di quell’implicito e di quei gesti
che non si scrivono ma che si vedono immediatamente.
3. Accoglienza nei dispositivi: coincide con l’insieme delle procedure, dei protocolli e delle risorse
che caratterizzano l’impegno delle persone e delle istituzioni.
L’iscrizione scolastica di un bambino non italofono avviene seguendo le procedure previste per i
suoi coetanei italiani, quindi, nella classe corrispondente all’età anagrafica dell’interessato, «salvo
che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione in una classe diversa».
La documentazione richiesta ai genitori è costituita dal permesso di soggiorno e dai documenti
anagrafici e sanitari. In mancanza dei documenti, la scuola è tenuta, in ogni caso, a iscrivere il
richiedente (Linee guida 2014). Nelle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieri del febbraio 2014 si ipotizzano, anche per gli studenti stranieri, forme di valutazione
personalizzata, nel caso ricorrano condizioni particolari; si fa esplicito riferimento nel Documento
ministeriale agli alunni neo arrivati ultratredicenni, provenienti da Paesi di lingua non latina. Per
queste tipologie di alunni e per eventuali situazioni che configurino la presenza di particolari
bisogni educativi, vale per gli stranieri quella cura personalizzata, compresi i criteri di valutazione
degli apprendimenti, riservata a tutti gli atri studenti. La prospettiva interculturale delinea una
funzione formativa della progettazione delle attività e dell’accertamento degli apprendimenti,
compresa anche la predisposizione del Piano Didattico Personalizzato e, quindi, di una valutazione
personalizzata. Infatti, nelle Linee guida si assicura che nel corso dell’esame conclusivo del primo
ciclo d’istruzione, nel caso si sia in presenza di notevoli difficoltà comunicative è possibile
prevedere la presenza di docenti o mediatori linguistici competenti nella lingua d’origine degli
studenti per facilitare la comprensione.
Capitolo 24
La valutazione degli apprendimenti
1. Breve excursus

La legge n. 517 del 4 agosto 1977 introduce nella scuola elementare e media la scheda personale di
valutazione dell’alunno, sostituendo la vecchia pagella. Si passa, così, dalla valutazione espressa in
voto su scala decimale al giudizio descrittivo formulato da docenti per le singole materie.

La pagella che aveva accompagnato molte generazioni di bambini dall’Unità d’Italia (17 marzo
1861), viene mandata definitivamente in soffitta.

Lo scopo della scheda personale dell’alunno è di rendere formativa la valutazione degli


apprendimenti, coinvolgendo gli insegnanti in attività di aggiornamento individuali e collegiali, per
acquisire conoscenze e competenze adeguate. La nuova valutazione sembra essere stata una buona
scelta fino a quando, agli inizi degli anni Novanta, da parte degli insegnanti si diffonde un
malcontento per gli esiti conseguiti dalla <nuova> valutazione. Infatti, i giudizi descrittivi dei
docenti, risultavano disomogenei. La stessa scheda personale, in molti casi, veniva impiegata
impropriamente e, a volte, sostituita da strumenti elaborati dagli insegnanti delle singole scuole.

Così, la scheda personale, con l’OM n.236 del 2 agosto 1993, viene sostituita con il documento di
valutazione in cui si introduce una scala non decimale, ma pentenaria in lettere: A, B, C, D, E. Per
ogni singola disciplina venivano indicati alcuni ambiti di conoscenza e su questi l’insegnante
doveva formulare con una crocetta il livello raggiunto dall’alunno dalla A( piena competenza) alla
E (livello non adeguato alla competenza).

Nel 1996, si cambia nuovamente, in quanto l’allora ministro Giancarlo Lombardi, lo ritiene poco
chiaro e scarsamente efficace sul piano comunicativo. Con la CM del 7 agosto 1996, n. 491,
vengono introdotti al posto delle lettere, i giudizi: ottimo, distinto, buono, sufficiente, non
sufficiente.

Tale impostazione caratterizzerà la valutazione , nella scuola primaria e secondaria di primo grado,
fino al 2008, quando con la legge n. 169 del 30 ottobre verranno reintrodotti i voti.

2. Il senso della valutazione

La valutazione è attribuire valore in base a convinzioni e orientamenti personali. Essa implica


processi soggettivi, che tengono conto anche dei valori simbolici che dipendono dal momento
storico e, per quanto concerne la scuola, dal rapporto tra società ed educazione. Ma la nuova legge
n. 169/2008, che reintroduce i voti riflette una tendenza secondo la quale la valutazione scolastica
deve essere oggettiva e sanzionatoria. Va sottolineato, però, cha la valutazione oggettiva in ambito
educativo è difficile sostenibile. Infatti, tra chi valuta e chi è valutato si istituisce una relazione di
interdipendenza, quasi di complicità.

L’idea di alunno che traspare dalle norme introdotte nel triennio 2008-2011, in cui il MIUR è stato
retto da Mariastella Gelmini, è quella di un soggetto che deve essere controllato e giudicato a tal
punto che, nella scuola secondaria di primo grado, potrebbe bastare l’insufficienza in una disciplina
per non essere ammesso alla classe successiva.

Diverso orientamento, era contenuto nelle Indicazioni per il curricolo del 2007( ministro Giuseppe
Fioroni) in cui si sottolineava che la valutazione assume funzione formativa, di accompagnamento
dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.

In questo senso essa serve all’alunno a capire i lati più critici del suo cammino e della sua crescita
culturale, ma anche all’insegnante per regolare le strategie d’insegnamento e di gestione della
classe. Lo scopo della valutazione degli apprendimenti è, dunque, duplice: di controllo e di
sviluppo. Infatti i docenti devono attestare i risultati conseguiti nelle specifiche discipline di studio e
sviluppare gli apprendimenti coinvolgendo l’alunno a partecipare alla costruzione del suo cammino
conoscitivo.

3. Che cosa e come valutare

La valutazione degli apprendimenti dell’alunno è correlata alla progettazione e all’azione educativa


dei docenti. In essa bisogna tenere conto della misurazione e valutazione, che sono le due fasi che
qualificano lo stesso, Ma anche del prodotto a cui giunge l’allievo e il processo, cioè la modalità
attraverso cui egli consegue tali risultati. Per quanto concerne l’esito o profitto, gli insegnanti
impiegano prove di verifica, cioè attività didattiche per accertare i risultati raggiunti o meno dagli
alunni.

Solitamente le prove di verifica vengono classificate in base allo stimolo proposto, distinguendo tra
stimoli aperti e chiusi in relazione al grado di libertà consentito allo studente. Pertanto possiamo
distinguerle in prove non strutturate: lasciano un’ampia libertà (non totale) allo studente; strutturate
lo vincolano completamente a un’unica soluzione e infine prove semistrutturate scritte e orali. Gli
elementi raccolti e osservati vengono interpretati alla luce di criteri di giudizio che possono essere
ricondotti a tre differenti tipologie: assoluto, posizione del soggetto rispetto al gruppo, progresso
personale.

Lo standard assoluto evidenzia la prestazione rispetto agli obiettivo indicati nella programmazione
didattica. Il giudizio o il voto saranno più elevati nella misura in cui si avvicinano all’obiettivo
prefissato. Con riferimento all’andamento della classe il voto del singolo può variare: il 6
conseguito dall’alunno in una classe scadente può trasformarsi in un 5 in una classe mediamente
migliore.

Infine, il terzo criterio fa riferimento al progresso rispetto a sé: il giudizio apprezza il progresso in
rapporto alle caratteristiche iniziali.

4. Individualità e collegialità

La valutazione dell’alunno presuppone da parte degli insegnanti equilibrio professionale e


conoscenza del quadro normativo per evitare atteggiamenti improntati a individualismo e
arbitrarietà.

La conoscenza della normativa è importante soprattutto quando sono coinvolti alunni con disabilità
e con disturbi specifici di apprendimento, senza la quale ognuno rischia di imporre il proprio punto
di vista.

A questo proposito il DPR n. 122/2009, afferma che la valutazione è espressione dell’autonomia


propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché
dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. La valutazione, dunque , è un’operazione
collegiale del team (scuola primaria) e del consiglio di classe (scuola secondaria di primo e secondo
grado). La collegialità garantisce che un giudizio o un voto sia preso con ponderatezza ed
equilibrio.

La collegialità purtroppo è spesso ostacolata dalla discontinuità della permanenza docenti nella
scuola da un anno all’altro. Va, pertanto, costruita nelle specifiche realtà scolastiche da parte del
dirigente e delle figure intermedie ( coordinatori di classe, coordinatori di progetti particolari, ecc.).

Nella fase iniziale, in cui la valutazione ha funzione diagnostica, i docenti devono condividere
l’azione educativa , ad esempio nella progettazione del Piano educativo individualizzato di un
alunno con disabilità. Il momento successivo è quello dell’organizzazione delle attività e dei
contesti di studio e di apprendimento. In questa fase la valutazione assume lo scopo di fornire utili
informazioni all’alunno e allo stesso insegnante.
Infine, nella fase conclusiva, i docenti che compongono il consiglio di classe devono condividere i
tempi e le forme delle verifiche e i criteri nell’attribuzione dei voti sul documento di valutazione. La
culture della valutazione favorisce il raggiungimento di criteri di omogeneità(uniformità dei
comportamenti degli insegnanti), equità ( riduzione di atteggiamenti arbitrari) e trasparenza
(comunicazione agli studenti e alle famiglie), sottolineati nel DPR n. 122/2009 e affidati alle scelte
del collegio dei docenti.

5. Dal giudizio al voto

Con l’approvazione della legge n. 169 del 30 dicembre 2008, si ha un ritorno al voto numerico in
decimi sia nella scuola primaria che secondaria di primo grado. Solo per l’insegnamento della
religione cattolica la valutazione è indicata con un giudizio sintetico.

Nella scuola primaria le discipline sono valutate con un voto numerico dai docenti contitolari della
classe mentre il comportamento con un giudizio sintetico. I docenti possono non ammettere un
alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e con una delibera assunta all’unanimità da
tutti gli insegnanti della classe.

Nella scuola secondaria di primo grado, discipline e comportamento sono valutati con voti in
decimi. Per l’ammissione alla classe successiva, gli alunni devono conseguire una valutazione
positiva in tutte le discipline, comportamento compreso.

Nella scuola secondaria di primo e secondo grado, un’insufficiente valutazione nel comportamento
determina l’automatica non ammissione alla classe successiva.

Nella scuola del primo ciclo di istruzione, nel caso in cui l’ammissione ala classe successiva sia
deliberata in presenza di carenze al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, la scuola
provvede ad inserire una specifica nota al riguardo nel documento individuale di valutazione e a
trasmettere quest’ultimo alla famiglia dell’alunno. (art.2, comma 7, DPR n. 122/2009)

Il ritorno al voto ha cambiato l’approccio alla valutazione da parte degli insegnanti; mentre prima
l’espressione del giudizio avveniva su 5 livelli, dal non sufficiente all’ottimo, adesso si utilizza una
scala espressa in 10 livelli, anche se in realtà non vengono pienamente utilizzati. Infatti si tende ad
appiattire la
valutazione su forme di tipo misurativo e matematico. Ad esempio, l’esito (il voto) dell’esame
conclusivo di licenza media è determinato attraverso la media aritmetica di tutte le valutazioni delle
prove scritte, del colloquio orale e dei voti dell’ammissione all’esame e della prova INVALSI.

Così, le istituzioni scolastiche, attraverso i rispettivi collegi dei docenti, hanno deliberato di
utilizzare solo parzialmente la scala decimale, partendo dal voto 4 o 5.

6. La valutazione degli alunni con disabilità

La valutazione degli alunni in situazione di disabilità presuppone due livelli di azione: quello
dell’istituzione scolastica da un lato, e quello dei team e dei consigli di classe dall’altro. Infatti, la
scuola deve mettere i docenti nelle condizioni di poter condividere gli stessi criteri di valutazione e
sostenere decisioni che rispecchino i principi del quadro normativo; gli organi collegiali, i consigli
di classe, preposti alla formulazione dei giudizi e dei voti, dovranno essere presieduti, per le
situazioni più complessi, dal dirigente scolastico in modo da assicurare la presenza autorevole
dell’istituzione, nel momento in cui vengono valutati alunni con disabilità o allievi che richiedono
maggiore attenzione.

I principi fissati dalla legge-quadro n. 104 del 1992, recepiti nel Testo unico ( D.lgs. n. 297/1994),
sono stati riconfermati in tutte le ordinanze e le circolari, perché la conoscenza di tali principi sono
fondamentali per una corretta valutazione degli studenti in situazione di disabilità.

Il primo importante principio sul tema della valutazione degli alunni con disabilità è affermato nella
Sentenza della Corte Costituzionale n. 215/1987, in cui si sottolinea che “capacità e merito degli
alunni handicappati vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di
minorazione”. Questo principio viene recepito nella legge-quadro n. 104/1992 e ribadito
nell’art.318 del D.lgs. n. 297/1994 in cui si afferma:

1. Nella valutazione degli alunni handicappati da parte dei docenti è indicato, per quale discipline
siano state adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state
svolte. 2. Nella scuola dell’obbligo sono predisposte, prove d’esame corrispondenti agli
insegnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell’allievo in rapporto alle sue potenzialità e
ai livelli di apprendimento 3. Nell’ambito della scuola secondaria superiore, per gli alunni
handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l’effettuazione delle prove
scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione. 4. Gli alunni
handicappati sostengono le prove di valutazione che di esame con l’uso di ausili loro necessari.
Il principio contenuto nell’art. 318 del D.lgs. n. 297/1994 confermato anche nell’art. 9 del DPR n.
122/2009 sottolinea che nella scuola primaria e secondaria di primo grado, le prove differenziate
hanno valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento
del diploma di licenza. Nella scuola del primo ciclo può avvenire con prove corrispondenti nella
scuola secondaria di secondo grado, invece, la frequenza dell’alunno con disabilità può avvenire
con un percorso differenziato secondo PEI o con un percorso equipollente, con la possibilità di
conseguire la qualifica professionale o il diploma.

Nella valutazione degli allievi in situazione di disabilità, il giudizio e il voto sono riferiti al
conseguimento o meno degli obiettivi del PEI, e potranno essere positivi o negativi nella misura in
cui le prove somministrate , secondo PEI, saranno svolte in modo convincente oppure risulteranno
scadenti.

7. La valutazione degli alunni con DSA

La legge n. 122 del 22 gennaio 2009, all’art. 10 recita che, per gli alunni con difficoltà specifiche di
apprendimento (DSA) certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti devono tenere
conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini sono adottati gli strumenti
metodologici-didattici compensativi e dispensativi più idonei. Inoltre, nel diploma finale rilasciato
al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della
differenziazione delle prove.

A sua volta il Decreto Ministeriale che accompagna le Linee guida per il diritto allo studio degli
studenti con DSA del 12 luglio 2011 ribadisce che la valutazione scolastica di questi alunni deve
essere coerente con l’attivazione di strategie didattiche individualizzate e personalizzate che
quest’ultime consentono all’alunno o allo studente con DSA di dimostrare il livello di
apprendimento raggiunto. In relazione agli esami del primo e secondo ciclo d’istruzione , le
Commissioni esaminatrici sulla base del disturbo specifico, anche in sede di esame , possono
riservare ai candidati tempi più lunghi di quelli ordinari, l’utilizzazione di idonei strumenti
compensativi e adottare criteri valutativi attenti ai contenuti piuttosto che alla forma , sia nelle prove
scritte che in fase di colloquio.

In presenza di alunni con DSA, i docenti collegialmente devono redarre un Piano didattico
personalizzato al quale la valutazione stessa è riferita, e in cui si evidenzia l’uso degli strumenti
compensativi e le misure dispensative adottate.

Nel piano personalizzato devono essere indicate:


La descrizione dei punti di forza e di criticità dell’alunno; Le modalità di funzionamento delle
abilità strumentali di base (lettura, scrittura, calcolo); Le caratteristiche del processo di
apprendimento: lentezza, difficoltà dei processi di automatizzazione, di memorizzazione nello
svolgimento di particolari tipologie di compiti, ecc.

E’ possibile esonerare l’alunno dalle prestazioni scritte in lingua straniera, anche in sede di esami di
Stato, se sussistono le seguenti condizioni:

Certificazione di DSA attestante la gravità del disturbo e recante esplicita richiesta di dispensa
dalle prove scritte; Richiesta di dispensa dalle prove scritte di lingua straniera presentata dalla
famiglia o dall’allievo se maggiorenne; Approvazione da parte del consiglio di classe che
confermi la dispensa in forma temporanea o permanente, tenendo conto delle valutazioni
diagnostiche.

8. La valutazione periodica e finale degli alunni con bisogni educativi speciali

Nella Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 al punto 1.3, si afferma la necessità di estendere a
tutti gli alunni con bisogni educativi speciali le misure previste dalla legge 170 per gli studenti con
disturbi specifici di apprendimento.

Gli strumenti compensativi e le misure dispensative previste dalle Linee guida del luglio 201 per gli
alunni con DSA vengono estese anche agli studenti con BES.

Nella CM 6 marzo 2013, si allarga l’area degli alunni con BES anche agli alunni stranieri che
dovessero presentare particolari esigenze relative all’apprendimento della lingua italiana; in tal
caso, la scuola secondaria di primo grado può disporre che le due ore di insegnamento della seconda
lingua comunitaria nella scuola secondaria di 1°grado possono essere utilizzate per potenziare
l’insegnamento della lingua italiana.

Per la valutazione finale nel corso degli esami conclusivi del primo e del secondo ciclo d’istruzione,
i consigli di classe dovranno fornire alle Commissioni esaminatrici utili indicazioni per consentire
agli alunni con BES di sostenere l’esame di Stato. Le commissioni d’esame, esaminati gli elementi
forniti dal Consiglio di classe , tiene in considerazione le situazioni soggettive dei candidati con
BES per i quali sia stato redatto apposito Piano Didattico Personalizzato. In ogni caso, non è
prevista alcuna misura dispensativa in sede di esame, mentre è possibile concedere strumenti
compensativi, previsti per alunni e studenti con DSA.
Relativamente agli esami di licenza media, restano confermate le disposizioni contenute nella CM
n. 48 del 31 maggio 2012, contenente indicazioni a carattere permanente.

Per quanto concerne gli alunni con BES, nella nota del MIUR n. 3587 del 3 giugno 2014, dovranno
essere fornite alla Commissione d’esame utili indicazioni per permettere a tali alunni di sostenere
l’esame. La Commissione esaminati gli elementi forniti dai Consigli di classe, terrà in
considerazione le specifiche situazioni soggettive, relative ai candidati con BES, per i quali sia stato
redatto apposito Piano Didattico Personalizzato. In ogni caso, non è prevista alcuna misura
dispensativa in sede di esame, sia scritto che orale, mentre è possibile concedere strumenti
compensativi, in analogia a quanto previsto per gli alunni con DSA.
CAPITOLO 25

Il sistema nazionale per la valutazione del sistema educativo (D.P.R. n. 80/2013)

Con l'entrata in vigore dell'autonomia è subentrato un duplice sistema di controllo della qualità delle
prestazioni e del funzionamento del sistema scolastico in rapporto agli standard nazionali: la valutazione
svolta da organismi nazionali si combina con l'autovalutazione di istituto.

Ai fine del progressivo miglioramento e dell'armonizzazione del sistema educativo, il D. Lgs., n. 286/2004 ha
istituito un articolato Sistema Nazionale di valutazione (SNV), del sistema educativo di istruzione e di
formazione. L'obiettivo è quello di valutare l'efficienza e l'efficacia del complessivo sistema di istruzione e
formazione, inquadrandone la valutazione nel contesto internazionale, soprattutto europeo.

Il SNV, regolato oggi dal D.P.R. n. 80/2013 è articolato su tre livelli rappresentati da:

-INVALSI

-INDIRE

-contingente ispettivo.

Alla base del SNV vi è l'intento di attivare processi di automiglioramento della qualità dell'apprendimento,
della didattica e dei comportamenti professionali degli insegnanti.

INVALSI

Il suo scopo è la valutazione, attraverso strumenti di misurazione quantitativi e sulla base di parametri
standard e internazionali, della qualità del sistema scolastico italiano. Ha il compito di mettere a punto
prove di rilevazione degli apprendimenti, di carattere nazionale, in italiano e matematica, al termine della
(II e IV classe della primaria; esame scuola secondaria di primo grado; seconda e quinta secondaria secondo
grado)

L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, INVALSI, soggetto
alla vigilanza del MIUR, è un ente di ricerca che si occupa di:

- effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità
complessiva dell'offerta formativa delle scuole (cd. prove INVALSI);

- studiare le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle
tipologie dell'offerta formativa;

- promuovere periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti che interessano le istituzioni scolastiche;
- predispone annualmente i testi della nuova prova scritta, a carattere nazionale, volta a verificare i livelli
generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti nell’esame di Stato al terzo anno della scuola
secondaria di primo grado;

- predispone modelli da mettere a disposizione delle autonomie scolastiche ai fini dell'elaborazione della
terza prova a conclusione dei percorsi dell'istruzione secondaria superiore;

- provvede alla valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti a conclusione dei percorsi
dell'istruzione secondaria superiore, utilizzando le prove scritte degli esami di Stato secondo criteri e
modalità coerenti con quelli applicati a livello internazionale per garantirne la comparabilità;

- fornisce supporto e assistenza tecnica all'amministrazione scolastica, alle regioni, agli enti territoriali, e
alle singole istituzioni scolastiche e formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio,
valutazione e autovalutazione;

- svolge attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, connessa ai processi di
valutazione e di autovalutazione delle istituzioni scolastiche;

- svolge attività di ricerca, sia su propria iniziativa che su mandato di enti pubblici e privati;

assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo,


rappresentando il Paese negli organismi competenti;

- formula proposte per la piena attuazione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici, definisce le
procedure da seguire per la loro valutazione, formula proposte per la formazione dei componenti del team
di valutazione e realizza il monitoraggio sullo sviluppo e sugli esiti del sistema di valutazione.

INDIRE

L'Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa è il più antico ente di ricerca del
MIUR. L'istituto interviene soprattutto a supporto dei piani di miglioramento, adottati autonomamente
dalle singole scuole. Ha il compito di definire e attuare i piani di miglioramento della qualità dell'offerta
formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti.

Ha inoltre il compito di sostenere processi di innovazione, come la diffusione e l'utilizzo delle nuove
tecnologie, progetti di ricerca tesi al miglioramento della didattica, nonché interventi di consulenza e di
formazione del personale docente, amministrativo e dirigenziale.

L'Istituto, quale soggetto promotore di ricerca educativa e di innovazione didattica nell'ambito del sistema
scolastico, ha competenze in materia di :
- formazione del personale docente;

- formazione del personale non docente e dei dirigenti scolastici;

- utilizzo delle nuove tecnologie per l'innovazione della didattica;

- sviluppo della dimensione di collaborazione internazionale delle istituzioni scolastiche ed universitarie;

- aggiornamento continuo alle scuole sulle iniziative di cambiamento e innovazione sul sistema scuola.

Invalsi e indire fanno parte della valutazione esterna.

Autovalutazione interna: l'istituzione scolastica è chiamata ad analizzare e valutare se stessa e la propria


offerta formativa al fine di riadattare la propria organizzazione alle esigenze della comunità e del contesto
in cui opera e rendere quindi i suoi servizi più efficienti. Il processo di valutazione delle scuole è articolato in
quattro fasi:

1 autovautazione ed elaborazione del Rapporto di autovalutazione secondo un quadro predisposto


dall'INVALSI e formulare un Piano di miglioramento; 2 valutazione esterna; 3 azioni di miglioramento; 4
rendicontazione sociale.

L'autovalutazione delle scuole: il Rapporto di autovalutazione (RAV)

Il Rapporto di autovalutazione è il documento che tutte le scuole devono elaborare all'esito del processo di
autovalutazione. Esso esprime la capacità della scuola di compiere un'autentica autoanalisi dei propri punti
di forza e di criticità. La sua compilazione è obbligatoria in ase al D.P.R 80/2013 sul sistema di valutazione
delle scuole. Il RAV, alla cui elaborazione sovraintende il Dirigente scolastico con la collaborazione del
Nucleo interno di valutazione (o Unità di valutazione), si compone di cinque parti:

Contesto e risorse; esiti degli studenti; processi messi in atto dalla scuola (in cui si analizzano le pratiche
educative e didattiche attuate nella scuola, nonché le pratiche gestionali e organizzative); processo di
autovalutazione; individuazione delle priorità, ovvero individuazione dei traguardi e obiettivi con
l'elaborazione del Piano di miglioramento che entra a far parte del PTOF.

L'autovalutazione delle scuole: il Piano di miglioramento

Il Piano di miglioramento è il documento elaborato da ogni scuola, in cui sono condensati gli obiettivi
connessi alle priorità individuate nel RAV. Il modello di Piano di Miglioramento proposto da INDIRE prevede
interventi di miglioramento che si collocano su due livelli: delle pratiche educative e didattiche e delle
pratiche gestionali ed organizzative.
Una volta elaborato, il Piano di Miglioramento della scuola va a integrarsi con PTOF, che rappresenta il
documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale dell istituzioni scolastiche ed
esplicita la progettazione curricolare, educativa e organizzativa che l singole scuole adottano nell'ambito
della loro autonomia. Pertanto ogni scuola deve indicare nel PTOF le priorità, i traguardi di lungo periodo e
gli obiettivi di processo già individuati nel Rapporto di Autovalutazione (RAV).
Capitolo 26
La continuità nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione.
La legge n. 111/2011 (art. 19) ha stabilito che, a partire dall’anno scolastico 2011-2012, :
➢ la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado siano
obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi
➢ gli istituti comprensivi per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000
alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree
geografiche caratterizzate da specificità linguistiche.
Le Indicazioni nazionali, la cui versione definitiva è stata emanata il 16 novembre 2012,
stabiliscono che l’itinerario scolastico dai tre ai quattordici anni, che si organizza oggi nella forma
dell’istituto comprensivo, richiede di progettare un curricolo verticale attento alla continuità del
percorso educativo e al raccordo con la scuola secondaria di secondo grado.
La funzione orientativa generale della scuola.
La scuola è orientativa per natura, da quando alle finalità dell’istruzione (tipiche dei suoi esordi) si
sono affiancate le finalità educative.
Se “educare” significa “tirare fuori (ovviamente: ciò che è già dentro)”; la scuola che educa è la
scuola che fa prendere coscienza di quel progetto di vita innato nell’essere umano fin dal suo
concepimento.
Ogni attività di insegnamento assume quindi valenza orientativa perché favorisce le scelte
autonome degli alunni, fa maturare la consapevolezza delle inclinazioni effettive, dei percorsi
possibili e delle prospettive probabili
Il Sistema educativo di istruzione e di formazione:
➢ promuove “l’apprendimento in tutto l’arco della vita”.
➢ assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età.
prevede investimenti a favore “degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per
assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione”. In particolare, la scuola secondaria
di primo grado.

➢ fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione


➢ aiuta a orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione.
Il secondo ciclo è a sua volta “finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale dei
giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi, è finalizzato a
sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e
sociale”.
Esso è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e della formazione
professionale; e prevede che:
➢ dal compimento del quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono
conseguire in alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato.
➢ è assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei,
nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della formazione
professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate
all’acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta.
➢ la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l’acquisizione di
crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi
eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi
➢ esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realizzati in Italia o all’estero anche con
periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi,
sono riconosciuti con specifiche certificazioni di competenza rilasciate dalle istituzioni
scolastiche e formative.
I Regolamenti istitutivi dei nuovi Istituti professionali e tecnici nonché dei nuovi Licei
(DD.PP.RR. n. 87, 88, 89/2010) ne proclamano la funzione orientativa in ordine nel
proseguimento negli studi di ordine superiore e, comunque, alla formazione per tutto l’arco
della vita:
➢ all’inserimento nella vita sociale.
➢ all’inserimento nel mondo del lavoro.
La funzione orientativa nelle Indicazioni nazionali e nelle Linee Guida
Le Indicazioni nazionali costituiscono il raccordo tra le “norme generali sull’istruzione”, che la
Costituzione assegna alle competenze dello Stato, e l’autonomia didattica conferita alle istituzioni
scolastiche. Le Indicazioni nazionali infatti “esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte
le scuole del Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute per garantire il diritto personale, sociale e
civile all’istruzione e alla formazione di qualità”.
Con la denominazione di “Indicazioni nazionali” esse sono state emanate:
- per le scuole dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione (versione definitiva allegata al
Regolamento del 16 novembre 2012).
- per i percorsi liceali (Decreto interministeriale n. 211 del 07 ottobre 2010).
Con la denominazione di “Linee Guida” esse sono state emanate:
- per gli istituti professionali (allegate al DPR n. 87/2010).
- per gli istituti tecnici (allegate al DPR n. 88/2010).
Indicazioni nazionali per le scuole dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione
Ne esce accentuata la funzione formativa della scuola, che abbandona trasmissioni standardizzate e
normative delle conoscenze, favorisce l’autonomia di pensiero degli studenti, orienta la didattica
alla costruzione dei saperi a partire da concreti bisogni formativi.
La didattica orientativa permea di sé le dense pagine introduttive: sotto il titolo “Cultura Scuola
Persona” viene delineato il percorso dei bambini tra gli orizzonti dei diritti e delle differenze,
dell’interculturalità, delle nuove tecnologie, della costruzione dei saperi di base, con l’occhio
puntato al cambiamento che ha investito le relazioni fra il sistema formativo e il mondo del lavoro.
La persona cresce orientata alla mobilità del pensiero e dell’azione, pronta a “riorganizzare e
reinventare i propri saperi” per adeguare le proprie risposte alle mutate domande della vita e del
lavoro.
Indicazioni nazionali del 2005 per il secondo ciclo
Nelle Indicazioni Nazionali del 2005 (allegato A al D. Lgs. n. 226/2005), richiamate e aggiornate
dalle successive del 2010, è affermata la centralità della funzione orientativa dei percorsi del
secondo ciclo, così declinata:
> conoscere i punti di forza e le debolezze della propria preparazione; verificare costantemente
l’adeguatezza delle proprie decisioni circa il futuro scolastico e professionale; operare
flessibilmente gli opportuni cambiamenti o integrazioni di percorso nella consapevolezza
dell’importanza dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
> elaborare un’ipotesi per la prosecuzione degli studi, la ricerca del lavoro, la riconversione
professionale e la formazione continua anche attraverso la valorizzazione del Portfolio delle
competenze personali.
> elaborare, esprimere e sostenere un progetto di vita, proiettato nel mondo del lavoro o
dell’istruzione e della formazione superiori, che tenga conto, realisticamente, del percorso umano e
scolastico intervenuto.
> vivere il cambiamento e le sue forme come un’opportunità di realizzazione personale e sociale e
come stimolo al miglioramento individuale e collettivo.
Indicazioni nazionali 2010 per i percorsi liceali
In attuazione delle indicazioni della legge n. 53 sulla “permeabilità” dei percorsi successivi al primo
ciclo, vi è stata superata la tradizionale configurazione “a canne d’organo” del secondo ciclo
dell’istruzione, attraverso il raccordo con le Linee guida dell’Istruzione tecnica e professionale. Pur
nella necessaria diversità di impostazione fra i diversi percorsi, sono state individuate identità e
competenze comuni, anche al fine di:
> fornire a tutti gli strumenti culturali utili a esercitare la propria cittadinanza, potendo continuare
ad apprendere lungo l’intero arco della propria vita.
> favorire l’eventuale ri-orientamento e passaggio da un percorso all’altro ai fini della lotta alla
dispersione scolastica e del successo formativo, implementando nuclei comuni di conoscenze e
competenze da riutilizzare e arricchire nel nuovo percorso intrapreso.
CAPITOLO 27
CULTURA DIGITALE
Il capitolo è interamente dedicato al tema della tecnologia nella scuola; si analizzano le
trasformazioni sociali che hanno determinato la necessità di importanti aggiornamenti nella
didattica e le normative che hanno dato voce a tali necessità: l’Agenda Digitale Italiana e il recente
Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), l’introduzione degli e-book, l’uso delle LIM.

1. La cultura
Era stato il canadese Marshall McLuhan a prevedere, già nel 1980, una rivoluzione informatica.

Se da un lato questa evoluzione ha liberato risorse straordinarie e aperto grandissimi spazi


comunicativi, dall’altro ha fatto emergere tutti i pericoli che un utilizzo incontrollato di tali mezzi
potrebbe procurare.

I rischi e le problematiche che tali mezzi possono produrre sono evidenti. Essi stanno
riconfigurando la vita stessa dell’uomo, legandola alla rete con una forza comunicativa impensabile.

Siamo certamente all’inizio di una nuova era in cui l’incapacità di accedere a questi nuovi scenari
diventerà una discriminante molto forte; in questo senso, le competenze digitali diventeranno gli
elementi per esercitare i propri diritti. L’economia immateriale è destinata ad avere uno spazio
sempre più rilevante nell’interdipendenza dei rapporti tra i popoli e condizionerà fortemente la
politica e l’economia: la rappresentatività di un popolo dovrà fare i conti con una piazza virtuale.
Possiamo parlare, in questo senso, di una democrazia blended, caratterizzata da impegni in presenza
e da altri che avvengono per via telematica.

2. Una nuova realtà culturale

Il rapidissimo affermarsi del mondo digitale ha spinto molti studiosi ad affermare che siamo agli
inizi di una terza fase nello sviluppo della cultura dell’uomo dopo quella dell’invenzione della
scrittura e di quella della stampa. Se la scuola dovesse sottovalutare tale processo in atto,
limitandolo all’idea di semplice cambiamento degli strumenti di rielaborazione culturale, potrebbe
uscire definitivamente sconfitta nelle strategie per la formazione.

L’avvento del digitale sta aprendo nuove prospettive al futuro stesso del genere umano, anche se si
presentano suggestivi e al tempo stesso inquietanti.

Zavalloni e Mc Luhan hanno chiamato questa nuova fase l’era elettrica, sottolineando che se la
stampa è stata l’estensione dei nostri occhi, l’elettricità è l’estensione del nostro sistema centrale:la
conoscenza si apre a un mondo di esperienze e di saperi nuovi. Tale processo produrrà modelli e
forme culturali molto diversi. Ciò non significa che i digital immigrant, cioè coloro che hanno
appreso l’uso delle tecnologie da adulti, finiranno necessariamente con l’essere esclusi e col
contrapporsi ai digital native, cioè a coloro i quali hanno avuto la possibilità di utilizzare le
tecnologie sin dalla nascita. Non esistano barriere insormontabili per nessuno.

Tali mezzi richiedono la formazione di solide capacità critiche e di autonomia di giudizio per
affrontare questa nuova stagione, senza correre il rischio di perdere la propria identità culturale.

3. Dalla cittadinanza statalistica alla cittadinanza digitale

L’avvento del digitale sta modificando anche la concezione dei diritti civili e di cittadinanza.

La cittadinanza statalistica, infatti, si riconosce dal rispetto delle norme, quella societaria
dall’impegno diretto del cittadino nella città. Con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e, più in
generale, dell’utilizzo della rete da parte di milioni di persone in ogni angolo del pianeta, si sta
sviluppando una nuova idea di cittadinanza, quella digitale. Si pensi all’importanza delle funzioni
svolte dai social network nelle rivolte in Iran, Siria, ecc . Stiamo vivendo una riconfigurazione dei
diritti dei cittadini legata alla forza comunicativa e aggregatrice di Internet.

Le competenze digitali diventano, quindi, necessarie per esercitare i propri diritti e far sentire la
propria voce.

Di tutto ciò è consapevole la scuola italiana, impegnata a garantire l’insegnamento di Cittadinanza e


Costituzione anche attraverso la realizzazione di percorsi multidisciplinari, che pongano particolare
attenzione allo studio della nostra Costituzione quale strumento della tutela dei diritti del cittadino
e, allo stesso tempo, di promozione della cultura della legalità, di cittadinanza attiva e di
partecipazione democratica.

4. Lo scenario europeo e quello italiano


Anche l’Europa ha sempre riservato una grande attenzione al mondo digitale, considerato come una
delle strade da percorrere per rilanciare la produttività del nostro Continente.

Sono state molte le iniziative realizzate in questa prospettiva dall’UE. Tra le più recenti, ricordiamo
il piano Agenda digitale, presentato il 19 maggio 2010, con cui sono stati fissati gli obiettivi di
crescita da conseguire entro quell’anno, e che comprendono tra le altre cose lo sviluppo di
competenze e inclusione nella cultura digitale.

Anche il nostro Paese si è mosso seguendo la linea europea; in particolare, nel definire le
competenze chiave di cittadinanza nel Regolamento per l’adempimento dell’obbligo scolastico, ha
inserito tra esse anche quella digitale.

Va anche ricordato che la nostra scuola ha realizzato in passato rilevanti iniziative nel settore
tecnologico:Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche (1997-2001) e il piano Infrastrutture
tecnologiche nelle scuole (2001-2003). Anche l’Amministrazione scolastica è stata interessata da
questo progetto innovativo con l’informatizzazione degli istituti, realizzato curando il
potenziamento di strutture e dotazioni informatiche. Nell’Agenda Digitale Italiana in continuità con
le strategie europee, sono state definite le azioni da compiere per lo sviluppo del digitale.

Il Piano nazionale scuola digitale (PNSD) é stato creato per diffondere la cultura digitale e
incrementare le dotazioni tecnologiche delle scuole.

5. La scuola come gruppo che apprende


La scuola si configura oggi come una comunità di apprendimento nella quale spesso si attuano
forme di lavoro di tipo cooperativo (cooperative learning) in base alle quali ai componenti del
gruppo è richiesta la massima responsabilità nel perseguire gli scopi che si intendono ottenere.

Nelle scuole, soprattutto tra gli studenti, accanto ai gruppi di studio in presenza, negli ultimi tempi
si sono sviluppate enormemente le comunità virtuali, che non condividono uno spazio fisico, ma
che si organizzano tramite la rete; tali comunità si formano nel cyberspazio, attraverso l’uso del
computer.

La scuola deve favorire lo sviluppo di queste dinamiche predisponendo ambienti e laboratori


finalizzati all’organizzazione di comunità di apprendimento virtuali. Gli stessi docenti dovranno
operare per promuovere lo sviluppo della cultura digitale, anche utilizzando i social network come
strumenti didattici, nonché tutte le opportunità che la scuola può offrire.

6. Gli e-book
Con i termini e-book ed electronic book, vengono oggi definiti i libri di testo in formato digitale, i
quali sono in procinto di sostituire i tradizionali testi in formato cartaceo. La legge n. 133 del 6
agosto 2008 diede le prime indicazioni sull’adozione dei libri di testo, suggerendo l’opportunità di
preferire in tutto o in parte a quelli presenti i libri in formato digitale, e indicò per l’anno scolastico
2011/2012 l’adozione di libri in versione online scaricabili direttamente dalla rete.

Tale scelta è stata successivamente confermata con il DM n. 41 dell’8 aprile 2009 che ha stabilito
che: A partire dall’anno scolastico 2011/2012 non potranno più essere adottati testi scolastici redatti
esclusivamente nella versione cartacea.

Il processo innovativo è comunque in atto, anche se occorrerà ancora del tempo.

Tutto ciò è destinato a modificare profondamente sia le metodiche operative della scuola, sia la
cultura dell’editoria scolastica italiana.

La scuola sembra aver intrapreso la strada del digitale. Per migliorare l’offerta formativa, al digitale
si riconosce un posto di grande rilevanza, tanto che è stato proposto un piano per la formazione dei
docenti.

Tale scelta è stata condivisa anche dal MIUR che, nell’Atto di indirizzo per le priorità del 2012,
nell’indicare le azioni da realizzare, ha proposto la promozione dell’alfabetizzazione informatica:
(e-literacy,TIC, utilizzo di e-book).

7. Le LIM, Lavagne Interattive Multimediali


Una vera e propria rivoluzione è stata promossa dall’avvento delle lavagne interattive multimediali,
LIM, dispositivi tecnologici realizzati con gli stessi criteri dei mouse che consentono di interagire
con i software di un computer su un pannellolavagna con il semplice dito, la mano, un’apposita
penna-stilo. Si tratta di strumenti tecnologici che consentono di migliorare il rapporto tra le persone
e il mondo digitale, aprendo orizzonti inimmaginabili per la conoscenza, la comunicazione,
l’apprendimento. Esse fanno parte delle tecnologie cosiddette HID (human interface device) o HCI
(human computer interface), e sono classificate in riferimento alle loro caratteristiche tecniche. Si
distinguono LIM:
– elettromagnetiche
– resistive,
– capacitative,
– utilizzatrici di flussi d’onda acustici, laser o infrarossi.

Le LIM utilizzano un computer e un sistema di videoproiezione.

D’altra parte, esse sono tra i prodotti tecnologici che i progressi della tecnica stanno rapidamente
innovando; si parla, infatti, di una nuova generazione che dovrebbe incorporare in un’unica struttura
computer, schermo, sistema di proiezione, e di un’ulteriore applicazione con utilizzo orizzontale per
creare banchi e scrivanie come piani didattici multimediali.

Le LIM non rappresentano solo uno strumento formidabile di innovazione didattica; esse si stanno
rivelando particolarmente efficaci anche per il miglioramento dei livelli di apprendimento degli
alunni. Infatti, esse utilizzano in contemporanea più canali di comunicazione e più linguaggi, dando
maggior forza ai messaggi, ma anche conservando maggiormente l’intensità dell’interesse degli
allievi. Per quanto riguarda i materiali e gli oggetti multimediali utilizzabili con le LIM, essi
possono presentarsi secondo modelli semplici se utilizzano un solo elemento o complessi se hanno
più componenti (audio, video, testo, immagine, animazione).

Mayer ha proposto per la loro progettazione e realizzazione il rispetto di sette principi:


1. quello della multimedialità,
2. quello della contiguità spaziale,
3. quello della contiguità temporale,
4. quello della coerenza,
5. quello della segmentazione e della modularità,
6. quello della ridondanza,

La grande potenzialità delle LIM in educazione è testimoniata dal fatto che la scuola sembra averle
accettate sin da subito.
Le opportunità offerte dalle LIM riguardano anche la qualità dell’esperienza formativa in quanto
consentono il superamento dei tradizionali modelli di insegnamento a favore di modalità più
coinvolgenti ed efficaci.

Le LIM possono rendere molto più vari gli stessi percorsi di studio in quanto favoriscono
connessioni, collegamenti, ampliamenti sugli argomenti affrontati. Naturalmente, sarebbe anche
impensabile utilizzare le LIM come se fossero delle semplici lavagne solo più tecniche che
accompagnano le lezioni frontali. Rientra in questo caso in gioco la questione della formazione del
personale docente.

8. La questione dei software


L’utilizzo degli strumenti digitali richiede l’impiego di programmi specifici, software, che di solito
sono coperti da copyright; accanto a questi, però, con lo sviluppo della cultura digitalica e della
comunicazione, si è affiancato il mondo di FLOSS, acronimo ottenuto unendo free software e open
source, che oggi ha dato vita addirittura a un movimento, il Free Libre and Open Source Software.

Si sta così componendo un quadro legislativo ampio, articolato ai vari livelli, europeo, nazionale,
regionale, finalizzato a promuovere per i cittadini l’accesso alla conoscenza, la riduzione del divario
culturale, la garanzia del pluralismo nell’informazione, la protezione dei diritti delle persone, la
tutela delle informazioni nel tempo, lo sviluppo dell’economia e della capacità competitiva.

Nella scuola l’applicazione di FLOSS potrebbe trovare un grande spazio soprattutto nella didattica:
si pensi al loro utilizzo con le LIM, per le produzioni culturali, per la costruzione di ipertesti. Grandi
opportunità sono presenti anche sul web: si pensi, ad esempio, alle banche dati o a prodotti aperti
all’aggiornamento da parte di tutti, quali Wikipedia e altri.

9. Il digitale e la Buona Scuola


Anche nei documenti per la Buona Scuola viene riservata una grande attenzione alla cultura
digitale. Viene, in questo senso, annunciata la realizzazione del Piano nazionale per la scuola
digitale.

Tale Piano è stato definitivamente adottato con Decreto n. 851 del MIUR il 27 ottobre 2015. Si
tratta di una scelta in continuità con quanto già realizzato, delineando un ampio e organico
intervento finalizzato a dare un assetto definitivo al digitale nella scuola.
Gli obiettivi riguardano lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento delle
dotazioni didattiche e laboratoriali delle scuole, la formazione del personale della scuola, lo
sviluppo di reti, l’adozione diffusa di testi digitali.

Proprio per definire la pianificazione degli interventi, in una Nota del 26 novembre 2015 il MIUR
ha chiesto all’Osservatorio Tecnologico permanente di effettuare una rilevazione nazionale circa le
attrezzature tecnologiche per la didattica già presenti nelle scuole: tale azione mira ad aggiornare e
monitorare gli strumenti per la dematerializzazione e l’innovazione dei propri servizi, le dotazioni
tecnologiche, la connettività di laboratori e aule, la presenza di dispositivi mobili e fissi, le fonti di
finanziamento.

Dal loro canto, le stesse scuole sono chiamate a realizzare dal prossimo anno azioni che si
ricolleghino a finalità e principi del Piano nazionale per la scuola digitale. Tali azioni potranno
riguardare anche studenti e alunni, visto che per l’ampliamento dell’offerta formativa collegata
all’organico dell’autonomia, sono previste azioni di sviluppo delle competenze digitali, con
particolare attenzione al pensiero computazionale, all’utilizzo critico e consapevole dei social
network e dei media, alla produzione e al mondo del lavoro. A buon punto sembra anche un’altra
innovazione introdotta di recente nelle scuole con la Nota del 19 novembre 2015 del MIUR, gli
animatori digitali previsti dal PNSD (Piano nazionale per la scuola digitale): si tratta di docenti, uno
per istituto, esperti e dotati di capacità organizzative che curano l’innovazione digitale, realizzando
attività, creando laboratori, diffondendo la cultura digitale.
CAPITOLO 29
LE NUOVE INDICAZIONI PER IL CURRICOLO
Dal 2007 al 2012

Nell’ultimo decennio i documenti nazionali a sostegno dell’attività didattica dei docenti sono stati
molteplici.

2004: la L. n.53/2003 di riforma del primo ciclo di istruzione ha introdotto le Indicazioni per i
Piani di studio personalizzati emanate dal Ministro Letizia Moratti.

2007: il Ministro Giuseppe Fioroni ha emanato le Indicazioni Nazionali per il curricolo.

2009: il Ministro Maria Stella Gelmini auspica ad un’armonizzazione dei due testi ( Indicazioni del
2004 e del 2007) che di fatto non è mai avvenuta soprattutto per le difformità e le distanze fra i due
testi).

2012: il Ministro Francesco Profumo ha emanato le nuove Indicazioni per il Curricolo.

Dalle Indicazioni 2007

Le nuove Indicazioni per il curricolo ripartono dal testo del 2007 riproponendo alcuni punti cardine
già presenti nelle Indicazioni del 2007.

Primo punto: Verticalità del curricolo

Già nel 2007 si valorizzava l’esigenza di un curricolo progressivo dai 3 ai 14 anni. Esigenza che
viene confermata e rafforzata anche nel nuovo testo, dove si afferma che l’itinerario scolastico dai 3
ai 14 anni richiede di progettare un curricolo verticale attento alla continuità del percorso educativo
e al raccordo con la scuola secondaria di secondo grado. Le nuove Indicazioni però vanno oltre la
continuità educativa concentrandosi su altri aspetti centrali:

• la progressione delle competenze


• la ricorsività degli apprendimenti
• la linearità o ciclicità di certi contenuti ( per esempio nell’insegnamento della storia)
• la necessità di differenziare gli ambienti di apprendimento in relazione all’età e alle
motivazioni dei ragazzi.

Secondo punto: curricolo come espressione della progettualità delle scuole

Si sottolinea che il curricolo di Istituto è espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia


scolastica e, al tempo stesso, esprime le scelte della comunità professionale e l’identità dell’istituto.

Terzo punto: Traguardi di sviluppo delle competenze

La scuola finalizza il curricolo alla conquista delle competenze previste nel profilo dello studente al
termine della terza media, che saranno oggetto di certificazione orientando e sostenendo gli alunni
verso la scuola del secondo ciclo.
La cornice pedagogica del curricolo verticale

Il curricolo d’istituto si fonda su alcune finalità che sono riconducibili alle competenze chiave per
l’apprendimento permanente dell’ Unione Europea e a quelle di cittadinanza del DM 139 del 2007
del nostro Miur.

Prima finalità: educare i giovani al senso del limite; vi è un’attenuazione della capacità adulta di
presidio delle regole e del senso del limite; sono diventati così più faticosi i processi di
identificazione e di differenziazione da parte di chi cresce e anche i compiti della scuola investita da
una domanda che comprende sia l’apprendimento che il saper stare al mondo.

Seconda finalità: assumersi la responsabilità delle proprie azioni

Terza finalità: riconoscimento della diversità; elemento importante per l’inclusione scolastica e
sociale.

Le Indicazioni nazionali per il curricolo: due testi a confronto

Le Indicazioni nazionali del 2012 costituiscono una revisione delle indicazioni del 2007. Qui di
seguito i principali cambiamenti.

Prima parte: Cultura, scuola, persona. E’ stato aggiornato solo il primo dei quattro paragrafi che
la compongono. Gli altri sono rimasti invariati.

Il primo paragrafo ( La scuola nel nuovo scenario) presenta contenuti di straordinaria attualità che
fanno riferimento:

• alla frammentazione educativa nella società della complessità;


• all’importanza dell’insegnamento del senso del limite;
• al presidio delle regole;
• alla costruzione di una rinnovata e nuova alleanza tra scuola e famiglia.

Parte nuova: quella riguardante le finalità generali del sistema scolastico. Si tratta di una parte
molto importante nella quale si afferma che il sistema scolastico italiano assume come orizzonte
verso cui tendere il Quadro delle competenze chiave per l’apprendimento permanente definite
dal Parlamento Europeo. In essa viene descritto anche il profilo dello studente in uscita dal primo
ciclo di istruzione. Tale profilo descrive le competenze che un alunno deve dimostrare di possedere
al termine della scuola secondaria di primo grado. Richiama il PECUP ( Profilo Educativo,
Culturale e Professionale) presente nelle Indicazioni del 2004.

PECUP: era uno strumento molto ampio, articolato in diversi punti, che si concludeva con una
sintesi in cui venivano esplicitate una serie di qualità che l’alunno a 14 anni avrebbe dovuto
esprimere:

• riconoscere e gestire i diversi aspetti della propria esperienza(motoria,emotiva,razionale);


• abituarsi a riflettere con spirito critico;
• possedere strumenti di giudizio sufficienti per valutare se stessi e le proprie azioni;
• essere disponibili al rapporto di collaborazione con gli altri.

PROFILO 2012: è ricondotto alle 8 competenze chiave contenute nelle raccomandazioni del
Parlamento europeo. Lo studente al termine del primo ciclo dimostra:

• padronanza della lingua italiana;


• nell’incontro con persone di diversa nazionalità è in grado di esprimersi a livello elementare
in due lingue europee;
• le sue conoscenze matematiche e scientifico- tecnologiche gli consentono di analizzare dati
e fatti della realtà e di verificare l’attendibilità delle analisi proposte dagli altri;
• utilizza in modo sicuro le tecnologie della comunicazione con le quali riesce a ricercare e
analizzare dati e informazioni;
• rispetta le regole della convivenza civile;
• dimostra spirito di iniziativa, imprenditorialità e intraprendenza inventiva.

Parte aggiornata: riguarda l’organizzazione del curricolo. In essa sono esplicitate le condizioni
e le procedure del funzionamento educativo e didattico.

Ulteriore aggiornamento: riguarda le discipline di insegnamento. Nel testo del 2007 erano
aggregate in tre macro-aree: linguistico –artistico -espressiva; storico-geografica; matematico-
scientifico- tecnologica. Nel 2012 vengono presentate singolarmente e riguardano:

• Italiano
• Inglese e seconda lingua comunitaria
• Storia e Geografia
• Matematica e Scienze
• Musica
• Arte e Immagine
• Educazione fisica
• Tecnologia
• Cittadinanza e Costituzione
Capitolo 30
LE INDICAZIONI VISTE DA VICINO
Le Indicazioni nazionali del curricolo del 2012 si sviluppano in sei punti:
1. Cultura, scuola, persona
2. Finalità generali
3. L'organizzazione del curricolo
4. La scuola dell'infanzia
5. La scuola del primo ciclo
6. Appendice

1.Cultura, scuola, persona


Questa prima parte è una premessa alle Indicazioni che illustra il contesto entro cui esse si
sviluppano e consta di 4 parti:

1. La scuola nel nuovo scenario


2. Centralità della persona
3. Per una nuova cittadinanza
4. Per un nuovo umanesimo

Rispetto alla precedende edizione del 2007, solo il primo paragrafo, La scuola nel nuovo scenario,
ha subito delle modifiche.
-La scuola nel nuovo scenario:
nella società odierna è meno scontata l'intesa tra gli adulti all'interno delle istituzioni educative, si
affievolisce il patto implicito tra genitori e insegnanti riguardo al rapporto tra giovani e adulti e di
conseguenza l'interazione scuola-famiglia è più faticosa da costruire.
- Centralità della persona:
si ribadisce la centralità dello studente, che deve essere appunto al centro dell'azione educativa in
tutti i suoi aspetti (cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi).
La scuola deve fornire le basi di un apprendimento che durerà per tutta la vita (apprendere ad
apprendere) per una formazione solida, creativa e critica.
-Per una nuova cittadinanza:
la sfida dei docenti è quella di insegnare ad essere per la costruzione di una cittadinanza, che
poggia le sue radici sulle tradizioni e memorie nazionali ma che sappia confrontarsi anche in ambito
europeo e mondiale.
-Per un nuovo umanesimo:
si sottolinea la necessità di superare il semplice accumulo di informazioni in vari ambiti e così
delineare un nuovo umanesimo, che racchiuda una serie di capacità irrinunciabili per un giovane e
nello specifico: cogliere gli aspetti essenziali dei problemi; comprendere le implicazioni, per la
condizione umana, degli inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie; valutare i limiti e le
possibilità delle conoscenze; vivere e agire in un mondo in continuo cambiamento.

2.Le finalità generali: il profilo dello studente


E' una parte completamente nuova, divisa in pue paragrafi:
1. Scuola, costituzione, Europa
2. Profilo dello studente

Scuola, costituzione, Europa:


Il primo paragrafo sottolinea il rapporto tra scuola e i principi ispiratori della nostra Costituzione
all'interno del quadro europeo.
La scuova viene identificata come protagonista fondamentale nella formazione di ogni persona e
per la crescita civile del Paese, specialmente la scuola che accoglie i bambini dai 3 ai 14 anni che
contribuisce in modo determinante all’elevazione culturale, sociale ed economica del Paese.
Si precisa inoltre, che le Indicazioni fissano gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per
lo sviluppo delle competenze per ciascuna disciplina o campo di esperienza che i bambini e i
ragazzi devono raggiungere. Spetta poi alle singole realtà scolastiche elaborare il curricolo d’istituto
nel rispetto delle Indicazioni.
Le finalità del sistema scolastico italiano vengono inserite quadro delle competenze chiave per
l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione nel
dicembre del 2006.

Profilo dello studente:


vengono descritte le competenze che un ragazzo dovrebbe possedere al termine del primo ciclo di
istruzione.
Il riferimento è alle competenze chiave del Parlamento, sia competenze di natura disciplinare
(comunicazione nella madrelingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza matematica,
competenza digitale), sia competenze trasversali quali imparare a imparare, competenze sociali e
civiche, senso di iniziativa e l’imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale.
3.L'organizzazione del curricolo
In questa parte vengono assegnati i compiti e funzioni alle varie istituzioni scolastiche, consta di 9
paragrafi, di cui gli ultimi tre completamente nuovi.
1.Dalle indicazioni al curricolo:
si ribadisce come sia compito di ogni singola scuola elaborare il curricolo d'istituto, all'interno dei
vincoli delle Indicazioni nazionali.
2.Aree disciplinari e discipline:
data l'unitarietà dei processi di apprendimento, non è auspicabile una rigida separazione delle
discipline. Esse non vengono aggregate in aree precostituite per lasciare alle singole scuole la
possibilità di gestirle in maniera autonoma.
3.Continuità ed unitarietà del curricolo:
viene ribadito il carattere progressivo e continuo del curricolo del percorso scolastico dai 3 ai 14
anni, anche se comprende 3 tipologie di scuola diverse per identità educativa e professionale.
Spetta alla scuola progettare tale continuità.
4.Traguardi per lo sviluppo delle competenze:
al termine della scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado vengono fissati i
traguardi per lo sviluppo delle competenze. Essi costituiscono riferimenti ineludibili per gli
insegnanti, indicano piste culturali e didattiche da seguire e aiutano a finalizzare l'azione educativa.
Sono prescrittivi nel senso che impegnano le istituzioni scolastiche a far in modo che ogni alunno
possa conseguirli per garantire l'unità e la qualità nazionale.
5.Obiettivi di apprendimento:
vengono individuati gli obiettivi di apprendimento (campi del sapere, conoscenze e abilità)
indispensabili per raggiungere i traguardi delle competenze. Sono definiti per ogni disciplina,
organizzati su periodi didattici lunghi.
6.Valutazione:
si evidenzia come la valutazione sia un elemento fondamentale per il miglioramento delle scuole e
del sistema nazionale d'istruzione.
7.Certificazione delle competenze:
viene precisato che a seguito di una regolare osservazione, documentazione e valutazione delle
competenze, esse vengono certificate secondo modelli adottati a livello nazionale.
8.Una scuola di tutti e di ciascuno:
si riconosce come fondamentale i principi dell'inclusione delle persone e dell'integrazione delle
culture, attribuendo all'accoglienza della diversità un valore irrinunciabile.
9.Comunità educativa, comunità professionale e cittadinanza:
si riconosce la dimensione collegiale della professionalità e l'importanza che all'interno della
comunità-docenti vengano riconosciute le diverse capacità, sensibilità e competenze per farle agire
in sinergia.
Fondamentale la leadership del dirigente scolastico.

4.Le coordinate del curricolo progressivo dai 3 ai 14 anni


Nelle parti successive le Indicazioni suggeriscono alcuni punti essenziali per l'elaborazione di un
curricolo sia nella scuola d'infanzia che nella scuola del primo ciclo.
Alcuni punti sono validi per entrambi i gradi scolastici e nello specifico il profilo professionale
degli insegnanti, l'importanza della ledeadership del dirigente scolastico, il senso dell'esperienza
educativa e l'ambiente di apprendimento.

5. L'unitarietà del percorso


Per ricomporre l'unità del curricolo dobbiamo fare riferimento a 3 parole che tengono insieme tutti i
punti precedentemente affrontati: SOGGETTI-SAPERI-CONTESTI.
Soggetti Saperi
I bambini L’alfabetizzazione culturale di base
I genitori Cittadinanza e Costituzione
I docenti Il senso dell’esperienza educativa

Contesti
L’ambiente di apprendimento

SOGGETTI:
l'azione educativa degli insegnanti va esercitata innanzitutto nei confronti degli alunni, che
dovranno essere considerati nelle loro dimensioni affettiva, cognitiva, sociale e organizzativa.
SAPERI:
non possono essere acquisiti con modalità meramente trasmissive ed espositive, bisogna evitare il
rischio sul piano culturale della frammentazione dei saperi e sul piano didattico, dell’impostazione
trasmissiva.
CONTESTO:
riguarda i modi e gli stili di lavoro degli insegnanti e vengono suggeriti alcuni principi
metodologici: valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni, favorire l’esplorazione e la
scoperta, incoraggiare l’apprendimento collaborativo, promuovere la consapevolezza del proprio
modo di apprendere e, infine, realizzare attività didattiche in forma di laboratorio.

Un curricolo essenziale dovrà poggiare sulla convinzione che le conoscenze e le competenze


potranno essere perseguite da percorsi scolastici caratterizzati da uno studio intensivo e
criticamente approfondito: si tratta di operare in profondità piuttosto che in superficie.
CAPITOLO 31
La didattica per competenze:
dalla progettazione alla certificazione
1.Il contesto di riferimento

La scuola italiana si riconosce in un modello di insegnamento centrato sui contenuti disciplinari che
devono essere acquisiti dagli studenti. Va sottolineato che tra conoscenza e competenza il legame è
strettissimo, infatti i docenti, di fronte a questo tema, si chiedono frequentemente che cosa distingua
la conoscenza dalla competenza.
Nei documenti in ambito europeo, in particolare nel Quadro delle Qualifiche e dei Titoli
(Raccomandazione del Parlamento europeo del 7 settembre 2006) si sottolinea che:
- conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento;
- abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine
compiti e risolvere problemi;
- competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali,
sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio.
In ambito nazionale, è condivisa la definizione di Michele Pellerey (2010): «Capacità di far fronte a
un compito (o insieme di compiti) riuscendo ad orchestrare le proprie risorse interne (cognitive,
affettive, volitive) e a utilizzare quelle esterne disponibili con efficacia e coerenza in modo stabile e
sistematico». La competenza è il punto di incontro tra i saperi del soggetto, le capacità/abilità
nell’applicarle e le sue risorse interne.

2. Senso e significato

Pellerey definisce la competenza come la capacità di combinare le risorse personali dell’alunno


(conoscenze, abilità possedute e qualità interiori) con quelle esterne (tecnologie, libri, motori di
ricerca, ecc.). Vi sono tre livelli di competenza:
1. soggettivo, i significati sviluppati dall’alunno posto di fronte a esperienze di studio e di
ricerca. Questa secondo la nostra scuola ha più importanza.
2. oggettivo, cioè la «misurazione» delle padronanze possedute attraverso appositi moduli o
protocolli di certificazione;
3. intersoggettivo, interessa le attese degli operatori scolastici e di coloro che lavorano in altri
contesti (comunità locale e nazionale).
Nel primo ciclo d’istruzione, i docenti dovrebbero far scoprire agli allievi il valore formativo del
sapere, facendo concepire le discipline come punti di vista sulla realtà utili allo studente a
comprendere e intervenire sul mondo attraverso un gioco di pensare e fare. L’alunno è competente
quando:
-coniuga le conoscenze possedute, dimostrando capacità di scegliere e di applicarsi a compiti
richiesti o che propone;
–svolge l’attività dando il meglio di sé;
-utilizza conoscenze e abilità in una molteplicità di contesti;
– è intraprendente di fronte a compiti inediti e resiste alle frustrazioni;
–riconosce la libertà come espressione anche dei limiti che questa comporta.
Le competenze disciplinari non sono disgiunte da quelle di cittadinanza, occorre un approccio
costruttivo alla conoscenza ed espressione del sapere agito. Per valorizzare quest’ultimo il docente
deve promuovere le condizioni per un reale protagonismo dello studente nel costruire il proprio
percorso formativo con strategie didattiche innovative e contesti d’apprendimento cooperativi, in
un’ottica di sviluppo di compiti autentici. Vi è differenza tra:
-compito esercitativo: dimostra che l’alunno sa applicare regole, quindi è utile per consolidare
procedure, automatismi (faccio);
-compito autentico: centrato sull’agire dell’alunno impegnato a realizzare un prodotto materiale o
immateriale, a risolvere un problema (conosco). Con il compito autentico si maturano le
competenze di cittadinanza.

3. Le Indicazioni 2012

Conoscenze, capacità, abilità, valgono per tutte le età. La variante che cambia il quadro concettuale
di base della competenza è rappresentata dal contesto in cui si è chiamati ad agire. Nella scuola del
1° ciclo di istruzione le competenze riguardano il possesso di strumentalità di base e di saperi
irrinunciabili. L’idea della competenza rafforza la propensione tesa a promuovere spazi innovativi
di apprendimento. Nelle Indicazioni per il curricolo del primo ciclo i traguardi per lo sviluppo delle
competenze segnalano che ci troviamo di fronte a processi da assecondare, da sostenere e da
promuovere, indica un orientamento al raggiungimento di una meta, piste culturali e didattiche che
un insegnante ha la responsabilità di percorrere. Nelle Indic. 2012 è esplicitata la promozione di un
ambiente di apprendimento finalizzato ad acquisire conoscenze e a conquistare competenze.
4. Il quadro europeo

In ambito europeo esiste una pluralità di documenti tesi a definire l’idea di competenza. Oltre alle
Raccomandazione del Parlamento europeo del 2006 in cui si descrivono le otto competenze chiave
per l’apprendimento permanente, è importante il concetto di literacy nel quadro delle prove
dell’OCSE-PISA, rivolte ai quindicenni di oltre 40 Paesi.
Per literacy si intende la padronanza del soggetto in un determinato dominio culturale a un livello
adeguato da consentire una partecipazione attiva alla vita sociale. Si distinguono:
Reading literacy: <Capacità di comprendere e utilizzare testi scritti e di riflettere sui loro contenuti
per raggiungere i propri obiettivi>.
Mathematical literacy: «Capacità di comprendere il ruolo che la matematica gioca nel mondo
reale>.
Scientific literacy: «Insieme delle competenze scientifiche e uso di tali conoscenze per identificare
domande scientifiche, per acquisire nuove conoscenze, per spiegare fenomeni scientifici, ecc.>
La scuola, secondo la Raccomandazione dell’Unione europea, deve perseguire e portare un elevato
numero di alunni ad acquisire quegli strumenti culturali che consentono a ciascuno di vivere
appieno la propria cittadinità.
In ambito europeo, nel 1997 l’OCSE ha promosso il progetto DeSeCo (Definition and Selection of
Competencies), nel quale si definivano tre categorie di competenze chiave:
1 capacità di utilizzare gli strumenti in modo interattivo,
2interagire in gruppi eterogenei,
3 agire in modo autonomo.
Nel solco del progetto DeSeCo, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato il 18/12/2006
la Raccomandazione sulle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente: comunicazione
nella lingua madre, comunicazione nella lingua straniera, competenza matematica e competenza di
base in campo scientifico e tecnologico, competenza digitale, imparare a imparare, competenze
sociali e civiche, senso di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale.
Ogni Stato dell’UE le ha fatte proprie: nel nostro Paese sono state recepite nel DM 139/2007
relativo all’innalzamento a 16 anni dell’obbligo d’istruzione attraverso le otto competenze chiave di
cittadinanza: imparare a imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo
autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e
interpretare l’informazione.
Pertanto si presuppone un cambiamento nelle strategie di insegnamento da parte dei docenti.
5. La certificazione delle competenze

13/02/2015 MIUR ha diramato la Circolare n. 3 Adozione sperimentale dei nuovi modelli nazionali
di certificazione delle competenze nel primo ciclo d’istruzione, attuando quanto previsto nelle
Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012. La sperimentazione avviata nell’a.s. 2014-2015 si
concluderà nell’arco di un biennio: l’adozione obbligatoria del modello definitivo avverrà, infatti,
nell’a.s. 2016-2017. Ciò risale al Regolamento dell’autonomia scolastica (DPR 275/1999), dopo 15
si utilizzerà uno strumento di certificazione delle competenze valido in tutta Italia, per scuola
primaria e secondaria di primo grado. Dal 99 sono intervenute le seguenti disposizioni:
-legge 53/2003 (ministro Letizia Moratti) all’art. 3 viene ripreso il tema della valutazione delle
competenze acquisite dagli studenti. Il Decreto attuativo della legge 53, D.lgs. 59/2004, agli artt. 8 e
11, affida ai docenti il compito di certificare le competenze rispettivamente al termine della scuola
primaria e della secondaria di primo grado.
-legge 296/2006 (nuovo obbligo d’istruzione) e reso applicativo con il D.M. 139/2007 (ministro
Giuseppe Fioroni) viene estesa la certificazione delle competenze al termine del percorso decennale
di istruzione e di formazione obbligatoria nel sedicesimo anno d’età.
-DM 9/2010 il MIUR ha emanato un apposito modello nazionale di certificazione riguardante la
scuola secondaria di secondo grado. La progressione delle competenze si articola su tre livelli: di
base, intermedio, avanzato.
-legge 169/2008 (ministro Maria Stella Gelmini) nella quale il voto numerico in decimi viene esteso
alla valutazione delle competenze sia nella scuola primaria che nella secondaria di primo grado.
Le certificazioni operate dalle istituzioni scolastiche, dall’a.s. 2008-2009 sino all’adozione del
modello sperimentale dell’a.s. 2014-2015, sono avvenute su modelli deliberati dalle singole scuole
autonome.

6. Progettare le competenze

Prima di certificare le competenze bisogna mettere le basi per un modello d’insegnamento


costruttivista richiedendo l’impiego di didattiche attive, costruttive, incentrate sul lavoro di gruppo e
sullo sviluppo di compiti di realtà. Un modello didattico nel quale gli studenti siano protagonisti
diretti del loro apprendimento. Infatti, come sostiene Ausubel, le conoscenze sono distribuite nella
mente degli alunni ed è da lì che bisogna partire.

7. Compiti autentici e valutazione


La dimensione relazionale dell’apprendimento è comprensiva di un triplice ordine di ragioni che
tiene insieme le domande dell’alunno, la struttura dei saperi e l’organizzazione del/i contesto/i.
L’apprendimento, nella prospettiva del costruttivismo, valorizza un contesto d’azione nel quale
l’allievo possa «mettere alla prova» conoscenze e abilità. La competenza, infatti, evidenzia
l’attitudine del soggetto a relazionarsi con la realtà in cui opera e a impegnarsi in compiti «aperti»
(autentici). La classe dovrà organizzarsi come gruppo che apprende e gli alunni impegnati in
compiti con interdipendenza reciproca. Le forme della valutazione sono:
-val. sommativa:accertamento degli esiti di apprendimento degli alunni,
-val. formativa: regolazione delle strategie di insegnamento in relazione ai processi di
apprendimento;
–val. autentica: consapevolezza dell’alunno circa il suo «procedere» nel proprio percorso
formativo.
La valutazione delle competenze è connessa al compito che può essere: esercitativo o autentico
(queste due definizioni sono spiegate nel paragrafo 2).

8. Le rubriche valutative o rubric

Sono gli strumenti di una valutazione per competenze. I docenti del team per la scuola primaria
decidono la competenza da valutare (es. acquisire e selezionare le informazioni), la quale può essere
condivisa con gli alunni, e poi ne prevedono l’individuazione degli elementi da sottoporre a
valutazione (possono essere 4/5) e i livelli (iniziale, base, intermedio, avanzato) di valutazione. Il
senso della certificazione viene ribadito nella Circolare del MIUR 3/2015 e si ritrova nelle Linee
guida allegate alla Circolare 3/2015, le quali parlano di osservazione sistematica del docente verso i
suoi allievi riguardante: autonomia, relazione, partecipazione, responsabilità, flessibilità e
consapevolezza. Mentre nel secondo punto della circolare riguarda i livelli di certificazione
ipotizzati e le caratteristiche degli indicatori. I livelli sono quattro:

A – avanzato: l’alunno svolge compiti e risolve problemi complessi, mostrando padronanza nell’uso
delle conoscenze e delle abilità; propone e sostiene le proprie opinioni e assume in modo
responsabile decisioni consapevoli;
B – intermedio: l’alunno svolge compiti e risolve problemi in situazioni nuove, compie scelte
consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite;
C – base: l’alunno svolge compiti semplici anche in situazioni nuove, mostrando di possedere
conoscenze e abilità fondamentali e di saper applicare basilari regole e procedure apprese;
D – iniziale: l’alunno, se opportunamente guidato, svolge compiti semplici in situazioni note.
Nella scuola primaria la certificazione ha valenza formativa, descrive la progressione del percorso
scolastico dell’allievo, come anche sottolineato nelle Indic 2012.
CAPITOLO 32
I CAMPI D’ESPERIENZA E L’IDENTITA’ DELLA SCUOLA
DELL’INFANZIA
Anche nelle Indicazioni nazionali 2012 viene data una rilevante importanza alla scuola
dell’Infanzia, quale primo grado di scolarizzazione del sistema scolastico italiano che lavora per lo
sviluppo armonico e integrale della personalità del bambino.

Le finalità della scuola dell’infanzia riguardano: il consolidamento dell’identità, lo sviluppo


dell’autonomia, l’acquisizione della competenza e la promozione della cittadinanza consapevole.

✓ Maturazione dell’identità: si tratta di consolidare la conoscenza di se stessi, del proprio


ruolo nella società, costruendo un’immagine positiva di sé, confrontandosi con l’altro per
conoscerlo, accoglierlo e condividere le proprie esperienze.

✓ Sviluppo dell’autonomia: si realizza quando si lavora sull’autonomia intellettuale e sociale


per assicurare al bambino un inserimento più attivo nel contesto sociale.

✓ Acquisizione delle competenze: avviene attraverso il gioco, la scoperta, la manipolazione, le


loro azioni nella quotidianità.

✓ Promozione di una cittadinanza consapevole: si concretizza nel conoscere l’altro,


riconoscere i diritti e i doveri di ciascuno, sperimentare il rispetto reciproco, l’accoglienza,
la condivisione.

Gli attori del processo formativo sono molti:

• Il bambino: è il più importante. È importante ricordare che ciascun bambino è il frutto delle
esperienze che ha compiuto, dell’ambiente in cui vive, della famiglia. I diritti del bambino
(legami affettivi, ritualità, serenità) non vanno ignorati, inoltre è fondamentale dare nuovi
stimoli per risvegliare la curiosità, la voglia di esplorare, toccare, plasmare.

• Le famiglie: prima agenzia educativa, è certamente il contesto che influenza maggiormente


lo sviluppo degli aspetti sociali, affettivi e cognitivi del bambino. È fondamentale che la
scuola sia aperta alla famiglia, la accolga e la valorizzi in tutte le sue potenzialità e diversità,
considerandola un arricchimento.
• I docenti: è indispensabile che siano qualificati, impegnati nella formazione continua, aperti
al confronto con i colleghi, con le famiglie e la società e che contribuiscano alla costruzione
di un ambiente educativo qualitativamente elevato. Il docente deve essere un regista delle
esperienze, un mediatore, facilitatore e avere sempre presente che i veri attori sono i
bambini.

• Lo scenario: in cui si sviluppa l’esperienza, l’ambiente di apprendimento educativo. Esso


deve essere curato (anche dal punto di vista estetico), in modo tale da accogliere il bambino
e stimolarlo, permettendogli di esplorare e sperimentare in sicurezza.

In questo contesto è importante la documentazione che esplicita i percorsi intrapresi e le


modalità scelte, che ci consente anche di valutare i singoli progressi dell’individuo e dei gruppi.
Non meno importanti sono la valutazione e l’autovalutazione, la prima di carattere formativo e
l’altra è orientata per migliorare la qualità del servizio.

I campi d’esperienza

Come nelle Indicazioni del 2007, essi sono cinque:

1. Il sé e l’altro: si stimola il bambino a porsi le “grandi domande” sul mondo,


sull’esistenza, sul futuro e sul significato della vita. Tale ambito favorisce il processo
conoscitivo personale, dell’altro e dell’ambiente, incoraggiando il rispetto, il senso di
responsabilità, di condivisione. Sviluppa inoltre il senso morale per permettere al
bambino di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

2. Il corpo e il movimento: è dedicato alla corporeità e al movimento. Contribuisce a far


sviluppare un’immagine positiva di sé. Tale campo d’esperienza favorisce anche
l’autonomia e promuove la cura del corpo e l’acquisizione di competenze igienico-
sanitarie di base.

3. Immagini, suoni e colori: promuove la creatività e l’espressività e permette al bambino


di comunicare in modi diversi. Di questo ambito fanno parte la gestualità, l’arte, la
musica e la multimedialità.

4. I discorsi e le parole: si propone di sviluppare le capacità comunicative verbali e non


verbali del bambino. Tale canale permette di conoscere e di approfondire la propria
cultura e di aprirsi anche alle altre culture per arricchire se stessi. Permette la conoscenza
della propria lingua in tutte le sue forme e funzioni e di affinare l’espressione. Infine
favorisce anche il plurilinguismo.

5. La conoscenza del mondo: promuove nel bambino la curiosità e gli permette di


conoscere la realtà che lo circonda tramite esperienze concrete. Stimola anche la
conoscenza dei numeri e delle quantità, dello spazio e delle forme geometriche.
Promuove, infine, lo sviluppo dell’orientamento.

Possibili collegamenti:

Il sé e l’altro → competenze sociali e civili del quadro europeo;

Il corpo e il movimento → consapevolezza e capacità di espressione culturale;

Immagini, suoni e colori → competenze digitali e capacità di esprimere la propria creatività;

I discorsi e le parole → comunicazione, sia nella lingua madre che in quella straniera;

La conoscenza del mondo → competenze matematiche, scientifiche e tecnologiche.

Spetta a ogni docente articolare i campi di esperienza, interpretare e tradurre le competenze chiave
sul piano operativo e didattico, in maniera tale da adeguarle all’età dei suoi alunni e creare
situazioni di apprendimento.

Per un apprendimento significativo, fondamentale importanza avranno le attività laboratoriali,


ludiche e esperienziali.

Al termine della scuola dell’infanzia ci si aspetterà che i bambini abbiamo acquisito alcune
competenze di base, come riconoscimento delle proprie emozioni, capacità di interagire con le
persone, le cose, il mondo, l’attitudine a porre domande, la voglia di esprimersi, la capacità di
accoglienza, la voglia di partecipazione e di realizzare la propria creatività.
CAP 33
L’INSEGNAMENTO DELLA LINGUA ITALIANA: DALLA SCUOLA
DELLA INFANZIA ALLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO

1. RIPENSARE LA DIDATTIVA NELLA SCUOLA DEL NUOVO SCENARIO


Oggi che il sapere si evolve a ritmi molto rapidi, la scuola deve pensare a un progetto in cui sia
possibile un’educazione alla mondialita’ senza tuttavia perdere il senso dell’identità di
appartenenza, nella ricerca costante di equilibrio fra globale e locale. L’apprendimento deve essere
dell’imparare a imparare e non ricezione possibile di conoscenze.
Già il Montaigne disse “ È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.

L’ITALIANO NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E NEL PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE


Le Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione
suggeriscono di elaborare un curricolo rispettoso delle esigenze locali di apprendimento degli alunni
ed esplicitano le competenze riferite alle discipline di insegnamento e al pieno esercizio della
cittadinanza che un ragazzo deve mostrare di possedere al termine del primo ciclo di istruzione.
Questo è l’obiettivo generale del sistema educativo e formativo italiano, che ha come orizzonte di
riferimento il quadro delle competenze –chiave per l’apprendimento permanente definite dal
Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea (Raccomandazione del 18 dicembre 2006)
le prime delle quali sono: “la comunicazione nella madrelingua la comunicazione nelle lingue
straniere. La padronanza delle competenze linguistiche, infatti, rappresenta la chiave per l’esercizio
pieno della cittadinanza, oltre tutto, parte integrante dei diritti costituzionali è proprio il diritto di
parola” (art 21 costituzione)
I DISCORSI E LE PAROLE: LA SCUOLA DELL’INFANZIA
La scuola dell’infanzia si pone la finalità di promuovere nei limiti lo sviluppo dell’identità,
dell’autonomia e della competenza per vivere le prime esperienze di cittadinanza , a partire dalla
curiosità dei bambini. Le differenze competenze linguistiche con cui i bambini si presentano alla
scuola dell’infanzia vanno valorizzate attraverso un ambiente linguistico curato e accattivante che
consenta loro di interagire. Fondamentale è l’attenzione alla routine (ingresso, pasti, riposo, ecc.)
che offrono una base sicura per far vivere ai bambini nuove esperienze ricche di stimoli linguistici.
Un primo approccio alla lingua scritta può essere favorito dall’ascolto della lettura dell’insegnante,
attività che motiva gli alunni ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura, il cui insegnamento è
delegato alla scrittura primaria. Anche il gioco è espressione e socialità dei bambini
L’ITALIANO NEL PRIMO CICLO: SCUOAL PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO
GRADO
Oggi, nel nostro Paese, l’apprendimento della lingua italiana avviene in un contesto caratterizzato
dalla dialettofonia, dalla persistenze di lingue minoritarie e dalla presenza di più lingue. Pertanto, il
docente deve partire dalle competenze linguistiche e comunicative gli alunni hanno maturato
nell’idioma nativo, ovviamente con la collaborazione dei docenti di tutte le discipline. Nel primo
ciclo, l’italiano, dal punto di vista epistemologico è organizzato in cinque nuclei tematici: 1) ascolto
e parlato, 2) lettura, 3) scrittura, 4) acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo, 5)
elementi di grammatica esplicita e riflessioni sull’uso della lingua. Nella seconda primaria, ogni
nucleo tematico viene declinato in obiettivi di apprendimento al termine delle classi terze e quinta,
con riferimento ai traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine delle scuole primarie. Sarà
cura dei docenti articolare gli obiettivi per le classi prima seconda e quarta, nell’elaborazione del
curricolo di Istituto prima, e del piano di lavoro, per le classe, poi della scuola secondaria di 1°
grado, invece, gli obiettivi di apprendimento sono relativi all’intero periodo didattico triennale.
Ascolto e parlato (linguaggio orale). Lo sviluppo del linguaggio orale, è un prerequisito
fondamentale per l’apprendimento degli altri aspetti della lingua: inoltre, è proprio nell’interazione
che si sviluppa l’identità linguistica di ogni soggetto si creano situazioni che consentono di
sperimentare i diversi usi della lingua.
Lettura: viene proposta su vari forme testuali: nei primi anni della scuola primaria in vista
dell’acquisizione strumentale e del superamento degli ostacoli alla comprensione, fino ad arrivare,
negli anni successivi il leggere per soddisfare il gusto dell’incontro con il testo letterario .
Nella scuola secondaria di 1° grado, la lettura di alcuni testi del patrimonio letterario italiano e/o
didattiche adeguatamente selezionati in base alla maturità degli alunni, deve indurre al dibattito per
il confronto tra ipotesi interpretativa e punti di vista e per riconoscere i modelli che sono alla base di
lettura di diverso genere e utilizzarli come punto di riferimento strutturate nelle proprie produzioni.
La scrittura: il percorso relativo alla scrittura è finalizzato in una prima fase, all’acquisizione delle
competenze strumentali (aspetti grafico-manuali, fonologici, e ortografici), per arrivare, poi, alla
produzione dei testi semplici. Nel corso della scuola primaria le forme di scrittura narrativa,
descrittive e autobiografiche, vengono considerate strumenti per conoscere e rappresentare aspetti
della propria personalità e del mondo circostante. Nel corso della scuola secondaria di 1° grado si
curerà anche la produzione autonoma dei testi per lo studio (schemi relazionali, sintesi, esposizione
di argomenti).
Il lessico: obiettivo prioritario dei docenti sarà quello di promuovere negli alunni la competenza
lessicale sia puntando ad arricchire qualitativamente e quantitativamente il lessico ricettivo, e
produttivo usato, sia, favorendo la padronanza; li abituerà alla consultazione del dizionario, di
repertorio tradizionali o online: queste abitudine va coltivata dal docente sia nei momenti di
conversazione orale che durante la produzione scritta.
Riflessione sulla lingua: le riflessioni sulla lingua conducono gradualmente l’allievo dalla
grammatica implicita che gli permette di formulare frasi corrette senza conoscere i concetti teorici
che sottengono categorie di parole e struttura delle frasi, a forma di grammatica esplicita, cioè una
progressiva padronanza nell’uso della lingua. La riflessione sulla lingua si concretizza nella
progressiva capacità di riconoscere le diverse categorie grammaticali presenti in italiano (articolo,
sostantivo, aggettivo, pronome, …) le categorie sintattiche essenziali (frasi semplici e complesse,
soggetto, predicato, ecc. ) , gli elementi di coesione tra le parti della frase (virgola, punto, ecc.).
queste cognizioni saranno approfondite e sistemate nella scuola secondaria 1° grado .
L’italiano nel secondo ciclo: l’obbligo di istruzione per dieci anni, fino al sedicesimo anno di età,
regolamentato dal DM 139/2007, può essere completata all’interno di vari percorsi che formano il
secondo ciclo: l’istruzione secondaria superiore (licei, istituti tecnici, istituti professionali) o i
percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale di competenza regionale, presidiati,
tuttavia, dai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), definiti a livello nazionale. I regolamenti di
riordino dei licei, degli istituti tecnici e professionali (DPR 87, 88 e 89 del 2010) richiamano le
competenze chiave definite nella raccomandazione del parlamento e del Consiglio d’Europa del 18
dicembre 2006 e il quadro europeo delle qualifiche, per l’apprendimento permanente delineato nella
Raccomandazione del 23 aprile 2008 (EQF). L ‘attenzione, più che alla durata degli studi, è rivolta
ai risultati dell’apprendimento Riferimento unitario per il secondo ciclo di istruzione, e si pone
come finalità generale lo sviluppo educativo, culturale e professionale dei giovani per trasformare la
molteplicità dei saperi in una sapere unitario.
Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale. I percorsi degli istituti tecnici e professionali si
caratterizzano per l’integrazione tra una solida base di istruzione generale e la cultura professionale
che consente di sviluppare i saperi e le competenze necessari ad assumere ruoli tecnici operativi nei
settori produttivi e di servizio di riferimento. La base culturale è comune a quella dei percorsi
liceali. Si richiede l’acquisizione di strumenti espressivi e argomentativi indispensabili per gestire il
confronto sociale, l’acquisizione di conoscenze solide sulla struttura grammaticale dell’italiano,
l’orientamento chiaro sui principali generi letterari e un buon bagaglio di lettura sia della letteratura
italiana che straniera, soprattutto del Paese di cui si studia lingua e criticità .
Indicazioni nazionali per i licei: lingua e letteratura italiana. Il profili educativo culturale e
professionale dello studente, comune a tutti i licei (allegato a del regolamento dei licei), costituisce
l’ideale preambolo alle Indicazioni in cui sono recepite pienamente le “raccomandazioni di Lisbona
per l’apprendimento permanente e il Regolamento sull’obbligo di istruzione. Il profilo chiama in
causa il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico: lo studio delle
discipline in una prospettiva sistemica, storica e critica; la pratica dei metodi di indagine; l’esercizio
di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, ecc.; l’uso costante del laboratorio per
l’insegnamento delle discipline scientifiche, la pratica dell’argomentazione e del confronto; una
esposizione scritta e orale corretta, pertinente, efficace e personale, l’uso degli strumenti
multimediali. Importante gli apprendimenti di tipo trasversale.
La disciplina dell’italiano è distinta in due sezioni, una dedicata alla lingua, l’altra alla letteratura.
Le linee generali e le competenze attese al termine del percorso liceale, sono, l’apprendimento
della lingua italiana dalle strutture elementari a quelle complesse; padronanza comunicativa, a
livello orale e scritto; riflettere in modo meta-linguisti linguistico sui diversi livelli di analisi, da
quello grammaticale a quello logico-sintattico e lessicale – semantico. Nella produzione si punta
alla sicura padronanza della lingua italiana.
Per quanto riguarda la letteratura, lo studente deve acquisire familiarità con la consapevolezza del
profilo storico della letteratura italiana, dalle origini ai nostri giorni.
Come obiettivi specifici, per la lingua nel primo biennio sono previsti percorsi didattici dedicati a
colmare eventuale carenze e ad ampliare la conoscenza della struttura della lingua italiana. Si
propone la nascita della matrice latina, dei volgari italiani e l’affermazione del fiorentino letterario
come lingua italiana del XIV secolo.
Nel secondo e ultimo biennio, al centro dell’attenzione ci sono i testi letterari analizzati insistendo
sul lessico, sulla semantica, sulla figuralità, sulla matrice del linguaggio pratico, mentre nella pro
saggistica si mettono in evidenza le tecniche dell’argomentazione.
Per la letteratura: Nel corso del primo biennio si propone l’incontro con opere e autori significativi
della classiciità, senza compromettere il gusto per la lettura. E’ previsto l’incontro con l’Iliade,
L’Odissea, Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Tasso, Galileo, Goldoni, Parini, Alfieri,
Foscolo, Manzoni e Leopardi. Il quinto anno, invece, è dedicato al periodo che va dall’Unità d’Italia
a d oggi, l’approfondimento del sistema letterario ,l’incontro con l’opera di Leopardi e con Verga,
Pascoli Carducci, d’Annunzi, Svevo, Pirandello, Montale, Ungaretti, Saba, Calvino, Primo Levi,
Svevo, Fenoglio, Gadda, nell’ottica dell’analisi e del confronto critico.
CAPITOLO 34
MATEMATICA E SCIENZE: DALLA SCUOLA DELL’INFANZIA A
QUELLA DEL SECONDO CICLO

Le competenze in campo matematico-scientifico fanno parte delle otto competenze chiave definite
dal Parlamento e dal Consiglio europeo nel 2006 e si riferiscono all’applicazione del pensiero
matematico per risolvere una serie di situazioni problematiche che si verificano nella quotidianità
(pensiero logico e spaziale) e di presentazione (rappresentazioni, modelli, schemi, grafici…).

Il metodo scientifico può essere considerato la base dello studio di tutte le discipline, in quanto
osservare, formulare domande, individuare problemi, fare ipotesi e prospettare soluzioni
verificandole e mettendole in discussione rappresentano aspetti imprescindibili per la formazione di
un pensiero competente e critico che opera in una “testa ben fatta” (Montaigne e Morin) e non solo
ben piena.

Scuola dell’infanzia

Il primo approccio al metodo scientifico si ha già a livello di scuola dell’infanzia ed il campo


d’esperienza che si riferisce ad esso è la conoscenza del mondo che si articola in due nuclei
tematici:

1. Oggetti, fenomeni, viventi


2. Numero e spazio.

In questa fase i bambini conoscono la realtà e imparano a organizzare le proprie esperienze


attraverso azioni come raggruppare. comparare e rappresentare vissuti con disegni e parole.
Partendo sempre da situazioni concrete di vita quotidiana e dal gioco, i bambini e le bambine
costruiscono progressivamente competenze trasversali come osservare, manipolare, chiedere
spiegazioni, riflettere, ipotizzare e discutere soluzioni, confrontare i punti di vista, interagire con lo
spazio in modo consapevole e rappresentarlo con modalità diverse: attiva, iconica e simbolica. Il
proprio corpo, gli organismi animali e vegetali sono sempre oggetto di interesse e curiosità per i
bambini: ciò permette di avviare le prime interpretazioni sulla struttura e sul funzionamento dei
viventi mediante l’osservazione dei cambiamenti che avvengono nel loro corpo, in quello degli
animali e nelle piante o a partire dall’analisi delle continue trasformazioni dell’ambiente naturale,
anche in concomitanza del susseguirsi delle stagioni.
Il compito degli insegnanti è rendere i bambini gradualmente consapevoli di questi meccanismi,
assecondandoli e sostenendoli nel processo di sviluppo della competenza scientifica nei loro primi
tentativi di simbolizzare e formalizzare le conoscenze sul mondo: spiegare «come è fatto» e «cosa
fa» favorisce la scoperta significativa degli aspetti del mondo e promuove progressivamente
l’organizzazione culturale.

il primo incontro dei bambini con la matematica avviene a partire dalle situazioni quotidiane in cui
si incontrano i numeri: ad esempio, dalla quantità e numerosità di oggetti, giochi, compagni,
contrassegni, i piccoli alunni si formano le loro prime competenze legate al numero, alla quantità,
alla forma e alla misura.

Primo ciclo

La matematica rappresenta a partire dalla scuola primaria, un punto di vista sulla realtà che aiuta
l’alunno a passare dal mondo empirico a quello simbolico.

La scuola primaria è il luogo in cui si cominciano a radicare le conoscenze (sapere) sulle esperienze
(il fare e l’agire), a integrare con sistematicità le due dimensioni e a concepire i primi ordinamenti
formali, semantici e sintattici, disciplinari e interdisciplinari del sapere così ricavato.
L’insegnamento-apprendimento della matematica deve mirare quindi, più alla formazione del
pensiero che non all’addestramento di strumenti matematici utilizzabili in modo acritico, ripetitivo,
meccanico. L’educazione matematica contribuisce alla formazione del pensiero nei suoi vari aspetti
di intuizione, immaginazione, progettazione, ipotesi e deduzione: essa deve tendere a sviluppare
metodi e atteggiamenti utili a produrre le capacità di ordinare, quantificare e misurare fatti e
fenomeni della realtà e a formare le competenze necessarie per interpretarla criticamente e
intervenire consapevolmente su essa , in modo che ciascun individuo possa costruire la propria
qualificazione nel corso di tutta la vita (life-long learning).

Nella scuola primaria si dà ampio spazio al laboratorio inteso sia come spazio didattico fisico, sia
come momento in cui l’alunno diventa protagonista e formula ipotesi, le verifica, progetta e
esperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, risolve situazioni problematiche significative,
cioè legate alla vita quotidiana, con strategie diverse, rappresentando le soluzioni con modalità
differenti.

Gli obiettivi di apprendimento in matematica sono previsti al termine delle classi terza e quinta e
riguardano i seguenti nuclei tematici: numeri, spazio e figure, relazioni, dati, previsioni.
L’articolazione degli obiettivi per le classi non contemplate (classi prima, seconda e quarta) è
lasciata alla progettualità degli insegnanti nelle scuole autonome.

Nella scuola secondaria di 1° grado, invece, gli obiettivi di apprendimento sono declinati per il
periodo didattico triennale e si differenziano, rispetto alla scuola primaria, per la presenza di un
nucleo tematico in più; dunque sono: numeri, spazio e figure, relazioni e funzioni, dati e previsioni.

A orientare le scelte dei docenti sono gli imprescindibili traguardi per lo sviluppo delle competenze
al termine della scuola primaria e al termine della scuola secondaria di 1° grado.

Scienze nel primo ciclo

I percorsi di insegnamento-apprendimento delle scienze, nel primo ciclo d’istruzione,


presuppongono un’interazione diretta degli alunni con gli oggetti e le idee coinvolti
nell’osservazione e nello studio, che ha bisogno sia di spazi fisici adatti alle esperienze concrete e
alle sperimentazioni, sia di tempi e modalità di lavoro che diano ampio margine alla discussione e al
confronto. Fondamentale è il coinvolgimento diretto degli alunni che sviluppa e rafforza la
comprensione e la motivazione e consente di individuare i problemi significativi a partire dal
contesto esplorato e di prospettarne soluzioni, sollecitando così il desiderio di continuare ad
apprendere.

Particolare cura va dedicata all’acquisizione dei linguaggi e degli strumenti funzionali, gli alunni
devono imparare a verbalizzare sinteticamente il problema affrontato, l’esperimento progettato con
la descrizione delle sue fasi e dei suoi risultati. Nella diversità degli oggetti di studio tra le scienze
naturali, è auspicabile fare leva sull’impostazione metodologica basata su sillogismi, strutture di
pensiero e conoscenze trasversali evitando la parcellizzazione nozionistica dei contenuti.

Per questo è importante che gli alunni siano gradualmente avviati e aiutati a padroneggiare alcuni
grandi organizzatori concettuali quali: le dimensioni spazio-temporali e le dimensioni materiali; la
distinzione tra stati e trasformazioni; le interazioni, relazioni, correlazioni tra parti di sistema e/o
proprietà variabili; la discriminazione tra casualità e causalità per far emergere alla fine della scuola
secondaria organizzatori cognitivi di grande impatto concettuale e culturale, quali energia,
trasformazione, stabilità e instabilità di strutture e processi e così via. All’inizio del primo ciclo si
evidenziano, in situazioni concrete, gli aspetti comuni alle diverse scienze, così come gli elementi
caratterizzanti; negli anni successivisi guidano gli alunni all’acquisizione graduale di contenuti
esemplari e metodi di indagine via via più specifici, mantenendo un costante riferimento ai
fenomeni sia dell’esperienza quotidiana. È opportuno selezionare alcuni temi sui quali lavorare a
scuola in modo diretto e progressivamente approfondito progettando il curricolo in verticale e
prevedendo, quindi, gradualità nella difficoltà e complessità delle esperienze proposte sui medesimi
temi.

Gli obiettivi di apprendimento di scienze previsti al termine delle classi terza e quinta riguardano i
seguenti nuclei tematici: sperimentare con oggetti e materiali; osservare e sperimentare sul campo;
l’uomo, i viventi e l’ambiente (al termine della classe terza); oggetti, materiali e trasformazioni;
osservare e sperimentare sul campo; l’uomo, i viventi e l’ambiente (al termine della classe quinta).
L’articolazione degli obiettivi per le classi non contemplate (classi prima, seconda e quarta) è
lasciata alla progettualità degli insegnanti nelle scuole autonome.

Nella scuola secondaria di 1° grado, invece, gli obiettivi di apprendimento sono declinati per il
periodo didattico triennale e riguardano nuclei tematici diversi rispetto alla scuola primaria e sono:
fisica e chimica, astronomia e scienze della Terra, biologia.

Matematica e scienze nel secondo ciclo

Il secondo ciclo comprende l’istruzione secondaria superiore e i percorsi del sistema di istruzione e
formazione professionale. Riferimento che accomuna tutti questi percorsi è il profilo educativo,
culturale e professionale del secondo ciclo definito dal decreto legislativo n. 226/2005, allegato A.
Il Profilo è finalizzato alla crescita educativa e culturale degli studenti, alla formazione della
capacità di giudizio e all’esercizio della responsabilità personale e sociale, mette in evidenza
l’aspetto formativo dei differenti percorsi di istruzione e formazione, in quanto rileva come i
curricoli, progettati dai docenti, debbano portare i cittadini di domani ad acquisire le conoscenze
disciplinari e interdisciplinari per trasformarle in abilità operative da contestualizzare nel
quotidiano.

Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale

I percorsi di apprendimento degli istituti tecnici (DPR 88/2010) e professionali (DPR 87/2010),
definito dalle Linee guida, definiscono per le discipline fondamentali di lingua e letteratura italiana,
lingua inglese, Matematica, Storia e Scienze, una base comune ai percorsi liceali. A queste
discipline si aggiungono alcuni nuclei comuni, relativi soprattutto, ma non solo, al primo biennio:
questa impostazione è finalizzata ad agevolare l’accesso degli studenti all’istruzione superiore,
consentendo, così, l’opportunità del riorientamento e/o del passaggio da un percorso all’altro nella
prospettiva della lotta alla dispersione scolastica e del successo formativo.
Per le competenze matematiche attese al termine dell’obbligo, si punta a far acquisire ai cittadini del
futuro una conoscenza critica dei concetti matematici per utilizzarli nella risoluzione di problemi
con la consapevolezza del ruolo che il linguaggio matematico ha come strumento per descrivere e
formalizzare i campi del sapere scientifico e tecnologico ai quali la matematica è applicata.

Per le competenze scientifiche, del secondo ciclo, si punta alla comprensione della realtà naturale,
applicando metodi adeguati di osservazione e di indagine e procedure sperimentali delle diverse
scienze, con atteggiamento di curiosità e attenzione; si mira a far conoscere teorie scientifiche
comprendendone aspetti problematici, collocazione storica e culturale, origini e conseguenze a
livello di scoperte e invenzioni tecnologiche.

La Matematica e le scienze nelle Indicazioni nazionali per i licei

L’insegnamento della matematica viene affrontato in una prospettiva sistematica e critica,


finalizzata prioritariamente all’apprendimento dei metodi di indagine della disciplina. In
quest’ottica la matematica diventa strumento per acquisire padronanza sicura della pratica
dell’argomentazione e del confronto, così come di un metodo autonomo di lavoro e ricerca che
consenta di aggiornarsi lungo l’intero arco della propria vita.

Gli obiettivi specifici di apprendimento vengono declinati per il primo biennio, il secondo biennio e
il quinto anno; i nuclei tematici previsti nel liceo scientifico, ad esempio, sono: aritmetica e algebra,
geometria, relazioni e funzioni, dati e previsioni, elementi di informatica.

Anche le scienze, come la matematica, sono considerate una disciplina cardine del secondo ciclo.
Condizione indispensabile per acquisire le competenze scientifiche è l’uso costante del laboratorio
inteso come modalità didattica privilegiata in cui si possano esercitare la sperimentazione e la
pratica dell’argomentazione di ipotesi con il confronto dialogico sulle verifiche. Alle attività
sperimentali si associano presentazioni, discussioni ed elaborazioni di dati sperimentali; utilizzo di
filmati, simulazioni, modelli ed esperimenti virtuali con presentazioni di esperimenti cruciali nello
sviluppo del sapere scientifico.

Le linee generali e le competenze relative a scienze naturali esplicitano ciò a cui lo studente deve
arrivare al termine del liceo, ossia possedere le conoscenze fondamentali e le metodologie tipiche
delle scienze della natura, in particolare delle scienze della Terra, della chimica e della biologia con
acquisizione della strategia di indagine scientifica riferita all’osservazione e sperimentazione.
Gli obiettivi specifici di apprendimento sono declinati al termine del primo biennio, del secondo
biennio e del quinto anno e riguardano i nuclei disciplinari di scienze della Terra, biologia e
chimica.
CAPITOLO 38

TECNOLOGIA E MULTIMEDIALITA’

I rapidi cambiamenti del nostro tempo sono dovuti allo sviluppo scientifico e tecnologico. La
tecnologia in particolare incide sullo sviluppo della società. Per questo la scuola deve fornire agli
alunni gli strumenti necessari per leggere, capire, analizzare la realtà tecnologica e il difficile
rapporto uomo-ambiente.
In questi ultimi anni si sta delineando un sistema formativo policentrico, nel quale una grande ruolo
viene ricoperto dalle più innovative tecnologie informatiche che i bambini fin da piccoli sanno
padroneggiare con molta destrezza.
L’immagine più comunemente utilizzata per indicare la condizione giovanile è quella dei nativi
digitali per distinguerla dai migranti digitali. I primi sarebbero gli studenti, i secondi gli insegnanti.
In particolare i nativi digitali, sono in possesso di abilità cognitive che non sono riconducibile ad un
apprendimento formale ma sono il frutto di apprendimenti spontanei spesso realizzati in casa,
utilizzando mezzi tecnologici disponibili.
Purtroppo il mondo della cultura digitale “offre”, nel contempo, una serie di rischi legati ad
omologazioni ed esclusioni culturali a cui bisogna far fronte rafforzando le capacità critiche, la
duttilità dell’intelligenza, le potenzialità cognitive delle nuove generazioni.
La scuola deve far fronte a questi rischi attraverso un studio e un uso consapevole delle tecnologie,
promuovendo l’acquisizione di competenze tecnologiche e multimediali utili per stare al passo coi
tempi e, indispensabili, per consentire di continuare ad apprendere per tutta la vita in modo critico e
consapevole.

LA TECNOLOGIA
Nelle Indicazioni Nazionali 2012 per lo studio della Tecnologia vengono indicati i traguardi dello
sviluppo delle competenze, per gli studenti, al termine della scuola primaria e della scuola
secondaria di primo grado.
La Tecnologia si occupa degli interventi e delle trasformazioni che l’uomo opera nei confronti
dell’ambiente per garantirsi la sopravvivenza e la soddisfazioni dei bisogni; inoltre rientrano nel
campo della Tecnologia i principi di funzionamento e le modalità di impiego di tutti gli strumenti,
macchine, dispositivi che l’uomo progetta, realizza e usa per gestire o risolvere i problemi o per
migliorare le proprie condizioni di vita.
Alla luce di tale definizione, le conoscenze tecnologiche acquisite a scuola verranno trasformate in
competenze tecnologiche applicabili in contesti diversi dal lavoro scolastico.
In tali competenze tecnologiche rientra anche l’acquisizione della competenza nell’uso di specifici
strumenti di informatici e di comunicazione.
Lo studio della Tecnologia è presente in tutto il primo ciclo.
Nella scuola primaria esso è finalizzato a indagare il mondo circostante per individuare e conoscere
i processi di trasformazione di risorse, a utilizzare semplici oggetti e strumenti della quotidianità, a
utilizzare mezzi di comunicazione e informazione.
Nella scuola secondaria di primo grado lo studio della tecnologia prevede tali traguardi per lo
sviluppo delle competenze: la conoscenza dei principali sistemi tecnologici, i processi di
trasformazione di risorse e di produzioni di beni, strumenti e mezzi tecnologici di uso quotidiano.
Per quanto riguarda i Contenuti, la vastità del campo offre ai docenti l’opportunità di spaziare su
tematiche diverse tra loro. Sarà compito del docente scegliere i contenuti da proporre in base alla
situazione della classe.
Le Attività saranno diverse e riguarderrano tutte il metodo della ricerca:
- Osservazione di semplici oggetti della quotidianità per rilevare forma, colore, funzioni;
- Analisi tecnica di un determinato oggetto per individuare funzioni, utilizzo;
- Ricerca progettuale riguardo ad un determinato argomento, per definire le varie fasi
operative e individuare soluzioni adeguate;
- Ricerca ambientale locale sulle trasformazioni del territorio.
La Metodologia dipenderà dall’atteggiamento dell’insegnante, che dovrà saper coinvolgere e
motivare ciascun alunno, partecipando alle esperienze di ricerca e intervento attivandone la sua
operatività. Tra le metodologie classiche è preferibile il metodo induttivo. Anche il lavoro in classe
dovrà essere variegato: dalle comunicazioni dell’insegnante alle proposte di confronto e dialogo
degli alunni; dalle consegne dettagliate per il lavoro individuale e di gruppo alle forme di
espressività per la presentazioni di lavori prodotti.
Tutto ciò dovrà prevedere un adeguato sistema di Verifica e Valutazione, prevedendo un
monitoraggio costante e possibili adeguamenti migliorativi per il percorso formativo.
Inoltre, la scuola dovrà utilizzare anche le nuove tecnologie nella didattica, ad esempio la LIM, una
lavagna collegata a un computer e a un proiettore sulla cui superficie è possibile scrivere, proiettare
immagini, filmati e al termine della lezione, salvare tutto ciò che è stato prodotto per riutilizzarlo la
volta successiva. Questo strumento rende attivo la partecipazione alle lezioni da parte degli alunni, i
quali possono a loro volta a partecipare e lavorare sui contenuti modificandoli con le dita o con un
una penna digitale.
LA MULTIMEDIALITA’
Il tempo che viviamo è 2.0: i ragazzi comunicano fra loro con Messenger, profilo su Facebook,
guardano o scaricano video da Youtube, il tutto in modo simultanea, per questo si parla
“generazione multitasking”.
Chiunque lavori con le nuove generazioni si rende conto che i media digitali e tutto il mondo del
web stanno cambiando radicalmente il modo di operare a livello cognitivo, sociale e relazionale.
Anche la scuola è chiamata a diventare “scuola digitale” o 2.0, una scuola che deve usare i nuovi
canali comunicativi per la trasmissione dei contenuti, per la condivisione dei risultati, entrando in
relazione con le nuove generazioni.
Gli strumenti comunicativi di cui oggi disponiamo presentano tratti nuovi: sono improntati alla
“condivisione”, cioè con la convinzione che più intelligenze lavorano cooperando; sono immediati,
cioè a disposizione di tutti; sono “personalizzabili”, perché chiunque può dare un’ impronta
personale.
Inoltre in questi strumenti multimediali vige “il principio della corresponsabilità”, si pensi a
Wikipedia, piattaforma dove ciascun utilizzatore risponde dei contenuti che vengono messi a
disposizione e sceglie, ovviamente cosa sia accettabile o no.
Ma chi garantisce la veridicità e l’autorevolezza dei contenuti sul web? Chi, se non la scuola (e
l’esperienza degli insegnanti) può aiutare gli web-user ad acquisire capacità valutativa e critica di
fronte al mondo digitale? Il compito pertanto alla scuola di porsi in una nuova prospettiva, nella
quale gli insegnanti hanno il compito di mettere a disposizione la propria competenza e la propria
capacità di mediazione.
La multimedialità è presente nei vari ordini di scuola.
Nella scuola dell’infanzia, gli strumenti multimediali come computer, LIM possono divenire una
grande risorsa. Essi infatti permettono esperienze significative e sono un valido strumento per
conoscere, esplorare, documentare. Il computer, meglio se applicato ad una LIM, integra e dà la
possibilità di sviluppare attività come il gioco, la manipolazione, il disegno: l’insegnante, attraverso
di esso sperimenta con i bambini percorsi nuovi.
Inoltre la multimedialità sollecita a riscoprire e ad approfondire la multisensorialità, luoghi che la
didattica tradizionale ha un po’ inibito: l’espressione corporea, la manipolazione, la ritmica, il
suono, la creatività.
Nella scuola primaria, l’utilizzo della multimedialità è complementare e utile rispetto alla prassi
didattica: si integrano i saperi promuovendo il confronto, la ricerca, l’approfondimento di tematiche
attraverso il web. In secondo luogo l’insegnante che in aula dispone di un PC o la LIM assume il
ruolo di mediatore di contenuti ma anche e soprattutto del confronto critico con il dato
esperienziale. Il docente insegna così a pensare a riflettere sull’esperienza, avviando un processo
metacognitivo. Adoperando le tecnologie in questa maniera, si offrono due vantaggi: sollecitare la
curiosità e l’interesse dei bambini verso ciò che si può ulteriormente sperimentare; favorire il
cooperative learning.
Così facendo gli alunni vengono educati a un approccio corretto ed efficace nell’uso del computer e
del web, e vengono sollecitati in maniera naturale e divertente a porsi verso questi nuovi strumenti
con un atteggiamento consapevole e critico.
Nella scuola secondaria di primo grado , bisogna fare un passo avanti, superando l’utilizzo della
multimedialità nella didattica per passare a una “didattica per la multimedialità”. Il prodotto
multimediale non è più soltanto un mezzo, ma diventa il fine dell’attività didattica. Un esempio
concreto che può permettere di capire questo passaggio sono gli IPERTESTI: la loro formulazione
costringe i ragazzi a “operare” in modo costruttivo e organizzato.
Nella scuola secondaria di secondo grado, l’Informatica occupa un importante posto, infatti si
richiede ai studenti, al termine del percorso, di padroneggiare i software per il calcolo, la ricerca la
comunicazione in rete, l’acquisizione e l’organizzazione dei dati, applicandoli in varie situazioni, in
particolare all’indagine scientifica.
In conclusione, insegnare attraverso la multimedialità significa inserire nella relazione insegnante-
alunno altri partner: computer, LIM, ecc. In tale contesto l’insegnante diviene mediatore,
conduttore, facilitatore di apprendimento, capace di motivare e fornire strumenti affinché gli alunni
possano accedere autonomamente alle conoscenze.
Il compito della scuola rimane quello di accompagnare gli alunni nella scoperta e nell’affermazione
dell’autentico senso della cultura e per far ciò propone un modello educativo declinato su
invenzioni, ricerca, esperienze e produzioni di linguaggi in relazione con l’ambiente in cui l’alunno
è fruitore.
Capitolo 39
Seconda lingua

L’esigenza dell'insegnamento di una seconda lingua si è posto soprattutto nel corso del XX e XXI
secolo, nei quali il processo di globalizzazione ha intensificato il contatto tra diverse culture ed
eterogenei modi di vita: si è passati da un mondo esplorato e condiviso a mondi plurimi,
ambivalenti, spesso contrastanti; Il progressivo allargamento delle frontiere e il crescente melting
pot di etnie, tradizioni e culture hanno reso sempre più necessarie comunicazioni efficaci e
condivise.
Il rinnovamento della scuola si inserisce in un contesto caratterizzato da profondi cambiamenti
planetari. Tra i compiti della scuola delineati dalle riforme del XXI secolo, vi è quello di facilitare
l’inserimento dei giovani nella società della conoscenza (Consiglio Europeo di Lisbona 2000),
offrendo loro strumenti per fronteggiare la complessità, per essere cittadini attivi, per esercitare un
ruolo di protagonisti e poter quindi partecipare ai processi decisionali.
È essenziale promuovere nelle nuove generazioni competenze linguistiche ampie.
Il Consiglio d’Europa ha da sempre dato forte impulso al dibattito sull’apprendimento delle lingue
focalizzando l’attenzione sulla formazione iniziale e sull’aggiornamento dei docenti e suggerendo
obiettivi pedagogico-didattici di qualità. L’apprendimento delle lingue deve essere continuo per
l’intero arco della vita. La comunicazione nelle lingue straniere implica abilità quali la mediazione e
la comprensione interculturale.
In Italia è la legge istitutiva della scuola media unica del 1962 a rendere obbligatorio lo studio di
una lingua straniera per 3 ore settimanali.
Il nostro è il primo Paese in Europa a introdurre lo studio obbligatorio di una lingua straniera per la
fascia d’età 11-14 anni.
Nella scuola elementare, invece, bisogna aspettare la legge 148/1990 di riforma degli ordinamenti
perché sia introdotto, in modo sistematico e sull’intero territorio nazionale, l’insegnamento di una
lingua straniera. L’insegnamento di una seconda lingua avrebbe riguardato le classi terza, quarta e
quinta per 3 ore settimanali, per un numero complessivo di 99 ore annuali.
Negli anni Novanta si discute sul processo di decentramento delle istituzioni pubbliche e la scuola
diventa autonoma in base alla legge 59/97 e al successivo Regolamento attuativo DPR 275/99.
L’intero sistema scolastico italiano avvia un processo di forte offerta linguistica all’interno e
all’esterno dei curricoli scolastici in sintonia con le indicazioni del Quadro comune europeo di
riferimento per le lingue (QCER) del Consiglio d’Europa.
Particolarmente importante si rivela l’iniziativa ministeriale del Progetto Lingue 2000, con la cui
realizzazione il Ministero estendeva a tutti i gradi d’istruzione interventi per il potenziamento
dell’insegnamento - apprendimento delle lingue comunitarie e avviava lo sviluppo in continuità
dell’insegnamento -apprendimento di almeno una lingua straniera dalla scuola elementare fino
all’ultimo anno della scuola secondaria, l’offerta aggiuntiva di una seconda lingua straniera dal
primo anno della scuola media, l’arricchimento delle competenze nella comunicazione. Il Progetto
ha avuto una rapida diffusione su tutto il territorio nazionale e ha posto le basi per un reale
miglioramento delle competenze linguistiche degli studenti.
Un altro passaggio molto significativo è costituito dalla legge n. 53 del 28 marzo 2003 e dal
successivo decreto applicativo n. 59 del 19 febbraio 2004, che estendono anche nelle prime due
classi della scuola primaria l’insegnamento-apprendimento della lingua inglese e introducono fra gli
insegnamenti obbligatori della scuola secondaria di primo grado anche quello di una seconda lingua
comunitaria.
Il Consiglio d’Europa e UE hanno offerto a studenti e insegnanti maggiori opportunità di confronti
e scambi qualificanti.
Nel 1995 la Comunità europea istituisce il Programma d’azione comunitario Socrates. All’interno
di tale Programma tre azioni Comenius, Erasmus, Grundtvig scandiscono il percorso educativo
lungo tutto l’arco della vita: scuola, università, istruzione in età adulta.
L’azione Comenius è finalizzata a realizzare progetti europei, sostenendo partenariati transnazionali
tra scuole di almeno tre Paesi partecipanti al Programma. L’obiettivo è accrescere l’interesse degli
alunni per lo studio delle lingue e migliorarne le competenze attraverso i progetti linguistici
presentati dalle scuole. I progetti linguistici inseriti nei partenariati Comenius, di durata biennale, si
propongono di valorizzare, con scambi di alunni, la diversità linguistica in Europa. Essi
promuovono attività di cooperazione transnazionale tra due autorità educative locali o regionali di
due diversi Paesi europei partecipanti al Life long Learning Program LLP.
Il sostegno europeo ai sistemi di formazione professionale dei Paesi membri è invece previsto nel
sottoprogramma Leonardo da Vinci di LLP. Esso cofinanzia i partenariati, la mobilità di studenti e
docenti, la formazione degli operatori.
Interessanti sono gli obiettivi comuni agli Stati membri e all’Unione: 1) l’apprendimento di due
lingue oltre a quella materna lungo l’intero arco della vita, a partire dalla più giovane età (scuola
dell’infanzia), proseguendo fino all’insegnamento superiore, coinvolgendo gli adulti; 2) la scuola
dovrà offrire la più vasta gamma possibile delle lingue e adottare un approccio globale
nell’insegnamento; 3) gli europei dovranno avere maggiori occasioni di apprendere e di praticare le
lingue. L’itinerario scolastico, italiano, pur abbracciando diverse tipologie di scuola caratterizzate
ciascuna da una specifica identità educativa e professionale, deve risultare sempre e comunque
progressivo e continuo. Per quanto riguarda i Fondi strutturali, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei
ad avere elaborato un Programma Operativo Nazionale (PON) Ricerca e Competitività 2007-13. Il
Programma promuove iniziative e progetti nei campi della ricerca scientifica, della competitività e
dell’innovazione industriale in quattro regioni del Mezzogiorno: Calabria, Campania, Puglia e
Sicilia. Il decreto del ministro n. 9/2010 adotta il modello di certificato dei saperi e delle
competenze acquisiti dagli studenti al termine dell’obbligo di istruzione. Il certificato è strutturato
in modo da sintetizzare la descrizione delle competenze di base acquisite dallo studente che
riguardano soprattutto lingua italiana, Storia, lingua straniera, Matematica, Informatica e Scienze.
L’insegnamento di una seconda lingua ha ormai conquistato anche la scuola dell’infanzia. Con i
bambini nella fascia d’età 2-3/6 anni, è opportuno utilizzare la metodologia del learning by doing,
che prevede la possibilità di manipolare, giocare, costruire, disegnare, per coinvolgerli a diversi
livelli sensoriali e intellettuali. Ognuno deve avere la possibilità di ricavare il proprio spazio
all’interno dell’esperienza per acquisire sempre maggiore sicurezza nell’attività di speaking.
Il principale campo di esperienza inerente l’apprendimento di L2 è quello de I discorsi e le parole.
Non vanno, comunque, dimenticati altri campi, quali Il sé e l’altro.
Nella scuola primaria l’orario settimanale di insegnamento dell’inglese è differenziato:
– primo anno: 1 ora la settimana per complessive 33 ore annuali;
– secondo anno: 2 ore la
settimana per complessive 66 ore;
– terzo, quarto e quinto anno: 3 ore la settimana per complessive
99.
Il monte ore previsto per il quinquennio è di 396 ore, idoneo al raggiungimento del livello A1
descritto nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER 2001). Tale documento
descrive le competenze linguistiche a ciascun livello e nei diversi ambiti. Il Quadro distingue tre
fasce di competenza (Base, Autonomia e Padronanza), ciascuna a sua volta ripartita in due livelli,
per un totale di sei livelli complessivi: livello Base: si articola in A1 (elementare) e A2 (pre-
intermedio); livello Autonomia: si articola in B1 (intermedio) e B2 (post-intermedio); livello
Padronanza: si articola in C1 (avanzato) e C2 (padronanza della lingua in situazioni complesse). Il
Quadro comune lancia anche il Portfolio Europeo delle Lingue, un documento che permette a chi
impara una lingua, in ambito scolastico ed extrascolastico, di riflettere sui propri apprendimenti,
sulle proprie esperienze culturali e di registrare le proprie competenze linguistiche e le qualifiche
ottenute. Il Portfolio contiene informazioni trasparenti e riconoscibili a livello internazionale e ha
due funzioni principali: una pedagogica e una di documentazione delle competenze linguistiche.
Nella scuola secondaria di primo grado l’insegnamento della seconda lingua comunitaria è stato
introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. f) della legge n. 53/2003 (riforma Moratti), in aggiunta
all’insegnamento della prima lingua.
L’insegnamento di una prima lingua comunitaria per 3 ore settimanali, mentre per la seconda lingua
sono previste 2 ore di insegnamento.
I traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado si
assestano sul Livello A2 del Quadro comune europeo di riferimento delle lingue. Per la seconda
lingua comunitaria i traguardi sono invece riconducibili al Livello A1.
Gli istituti professionali svolgono un ruolo integrativo e complementare rispetto al sistema di
istruzione e formazione professionale regionale. Ogni Regione stabilisce i percorsi di Istruzione e
formazione professionale (IeFP). Secondo quanto previsto dal D.lgs. n. 226/2005, al termine dei
percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) lo studente consegue: a) dopo il corso di
durata triennale, la qualifica professionale; b) dopo il corso di durata almeno quadriennale il
diploma professionale.
Uno dei livelli essenziali dei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) previsti dal
D.lgs. n. 226/2005 si riferisce all’acquisizione di competenze linguistiche, matematiche,
scientifiche, tecnologiche, storico-sociali ed economiche e di competenze professionali relative al
livello del titolo cui si riferiscono. Nel Regolamento per gli istituti professionali, DPR n. 87/2010, si
sottolinea il nesso tra l’identità degli istituti professionali e gli indirizzi dell’UE. Il Regolamento
individua due settori, servizi e industria e artigianato, articolati poi rispettivamente in quattro e due
indirizzi specifici. Al termine del percorso quinquennale lo studente dovrà essere in
grado di: padroneggiare la lingua inglese e, se prevista, un’altra lingua comunitaria, per scopi
comunicativi e utilizzare i linguaggi settoriali relativi ai percorsi di studio, per interagire in diversi
ambiti e contesti professionali, al livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
(QCER).
Il Regolamento che detta le norme generali relative al riordino degli istituti tecnici viene emanato
con DPR 88/2010. Il profilo educativo, culturale e professionale dello studente richiede che lo
studente padroneggi la lingua inglese e, ove prevista, un’altra lingua comunitaria per scopi
comunicativi e utilizzi i linguaggi settoriali relativi ai percorsi di studio, per interagire in diversi
ambiti e contesti professionali, al livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
(QCER).
Le ore complessive previste per l’insegnamento della seconda e terza lingua straniera sono
rispettivamente di 99 annuali.
Per gli istituti tecnici è stabilito un unico orario di 32 ore settimanali. Nell’area di indirizzo del
quinto anno è previsto l’insegnamento in lingua inglese di una disciplina non linguistica (CLIL)
scelta tra le discipline dell’area di indirizzo.
Viene inoltre confermata la durata quinquennale che porta al conseguimento di un diploma di
istruzione secondaria superiore.
Il Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei è
legge 6 agosto 2008, n. 133. Grazie ad esso si supera la frammentarietà delle sperimentazioni
preveggenti e si definisce un quadro orario di 30 ore settimanali con un potenziamento dello studio
della Matematica e della lingua straniera. I licei sono articolati in artistico, classico, linguistico,
musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane.
Per tutti i licei al quinto anno viene impartito l’insegnamento in lingua straniera in una disciplina
non linguistica, il CLIL (Content and Language Integrated Learning). Tale insegnamento può essere
impartito in qualunque lingua straniera.
Le Indicazioni, per quanto riguarda la lingua e la cultura straniera, si allineano con il Quadro
comune europeo di riferimento per le lingue (QCER), fissando a B2 il livello di padronanza minima
da acquisire nella lingua e cultura straniera per tutti i percorsi.
CAPITOLO 40
La centralità della didattica
1. L’importanza del capitale umano
2. La didattica: principi e azioni
3. L’interdipendenza dei livelli
4. La gestione della classe
5. Il modello progettuale

1. L’importanza del capitale umano


Dopo la caduta del Muro di Berlino e la mondializzazione dei rapporti economici e sociali
dell’ultimo ventennio, la missione dell’istruzione viene rivista: l’individuo deve essere aiutato a
sviluppare tutto il suo potenziale e a diventare un essere umano completo e non solo uno
strumento dell’economia.
Oltre alla tradizionale acquisizione delle conoscenze e delle competenze,occorre un’educazione del
carattere, un’apertura culturale e un interessamento alla responsabilità sociale.(cit. Cresson,
1996-Libro Bianco)
La valorizzazione del potenziale umano di ciascun ragazzo comporta dei cambiamenti
significativi sul piano sia educativo che organizzativo-didattico: occorre sempre tener conto le
singolarità e complessità di ogni persona, la sua identità, le sue aspirazioni, capacità e fragilità,
nelle varie fasi di sviluppo e di formazione.
Lo studente, dunque è posto al centro dell’azione educativa dei docenti.
1.1 La modalità trasmissiva
La nostra tradizione espositiva, centrata sui contenuti da trasmettere e sugli «oggetti
culturali»,permette in un tempo relativamente breve, di comunicare una buona parte di
informazioni e conoscenze a un pubblico numeroso,agevolando così l’ insegnamento dei docenti.
La modalità trasmissiva supporta però gli apprendimenti di quegli studenti disposti all’ascolto,
all’attenzione e allo studio «classico», pur in assenza di un loro coinvolgimento diretto e attivo. Un
crescente numero di alunni non riesce però a adeguarsi a tali richieste e, di conseguenza,rischia di
restare ai margini del percorso d’istruzione, alimentando il fenomeno della dispersione scolastica e
dell’insuccesso.
La centralità dell’alunno,promossa dai documenti ministeriali Curricoli della scuola di base (De
Mauro, 2001),nelle Indicazioni per i piani di studio personalizzati (Moratti, 2003),nelle Indicazioni
per il curricolo (Fioroni, 2007), nell’Atto di indirizzo(Gelmini, 2009), nelle nuove Indicazioni
nazionali (Profumo, 2012), implica una maggiore professinalità del docente sia sul piano degli stili
educativi che dell’acquisizione degli strumenti culturali.
1.2 Individualizzazione e personalizzazione
L’individualizzazione è caratterizzata dall’insieme di azioni e strategie che l’insegnante attua per
far acquisire a tutti gli alunni i saperi irrinunciabili, senza i quali c’è il rischio dell’esclusione
culturale e sociale.
L’insegnante esercita un’azione diretta di gestione della classe, del gruppo, dei singoli in modo da
garantire eguali opportunità educative per tutti e per ciascuno.
La personalizzazione consiste nella capacità da parte dell’alunno di gestire più direttamente il
rapporto con il sapere e con obiettivi di apprendimento legati alle sue potenzialità, che egli intende
coltivare in modo diverso dai compagni. Essa si pone come valorizzazione della diversità,che si
integra pienamente con il principio di uguaglianza.
Entrambe queste strategie non sono contrapposte e assicurano e promuovono
l’apprendimento per tutti e per ciascun alunno.
L’importante è focalizzare l’attenzione sull’acquisizione di conoscenze e abilità(Indicazioni per il
Curricolo).
1.3 Richiesta puramente obbligante
Uno dei più noti pedagogisti italiani, Luigi Calonghi (1990), ha sostenuto che una richiesta
puramente obbligante nei confronti degli studenti impoverisca il significato dell’esperienza
educativa, il quale diventa passivo nei confronti dell’esperienza stessa.Perciò la percezione
dell’alunno nei confronti dei processi di apprendimento diventa fondamentale al fine di raggiungere
il successo formativo dei ragazzi.
Infatti, la scuola promuove un percorso di attività nel quale ogni alunno possa assumere un ruolo
significativo nel proprio apprendimento per sviluppare al meglio le inclinazioni, esprimere le
curiosità, riconoscere e intervenire sulle difficoltà, assumere sempremaggiore consapevolezza di
sé.( «Il senso dell’esperienza educativa»-Indicazioni nazionali)
La scuola propone situazioni e contesti in cui gli alunni riflettono per capire il mondo e se stessi e
per sviluppare il pensiero analitico e critico.( Indicazioni 2012)
1.4 Il capitale culturale
Il capitale culturale è un complesso di conoscenze, abilità,inventiva, intraprendenza ,non
appartenente solo alla singola persona ma anche alla comunità,capace di contribuire al progresso di
tutti e di ciascuno.
2. La didattica: principi e azioni
2.1 La didattica
La didattica,termine derivante dal greco didaskein (insegnare),è il complesso di interventi
(progettare,organizzare, gestire, valutare) finalizzati ad allestire speciali contesti (ambienti
di apprendimento) che favoriscano l’ acquisizione di conoscenze e competenze nei soggetti
«inesperti».
Occorre sottolineare che in ogni concezione didattica è presente un’implicita teoria della
conoscenza.
Ad esempio, una didattica trasmissiva richiama un sapere capace di elevare lo spirito di chi
ascolta mentre in una didattica costruttivista, la conoscenza è ricerca di significato e non
riproduzione di una realtà; favorisce la riflessione e la negoziazione sociale.
La didattica, quindi, comprende due dimensioni: teorica e pratica (prassi).
Esse ,come sottolineato da Antonio Calvani, possono indurre a fraintendimenti in quanto la
teoria,nonostante favorisca riflessioni affascinanti può comportare l’insorgere di gabbie
mentali, inducendo a trovare a ogni costo una conferma degli schemi astratti; la pratica, invece ,
può diventare dispersiva, inconcludente e può rendere incapaci di agire in modo
decontestualizzato.
2.2 Due scuole di pensiero
Anche nella nostra scuola esistono due dimensioni della didattica: una oggettivistica dominante,
quella del libro e del manuale, e una di taglio costruttivistico,aperta alla scoperta e alla
costruzione di senso da parte dialunni e insegnanti.
I concetti principali del costruttivismo sono indicati da Jonassen (1999) in criteri di negoziazione
sociale, confronto di esperienze, sviluppo di progetti, ecc. In questo modello teorico la didattica è
centrata sul cooperative learning, sulla richiesta di elaborare compiti autentici (legati alla realtà),
sul problem solving e sulla comunità di apprendimento.Ciò richiama una strutturazione attiva
delle conoscenze in cui è centrale il valore dell’esperienza in educazione .
Come sostiene Calvani (2000), però, il costruttivismo non possiede al momento una didattica
«forte» in quanto esprime nuove esigenze riguardanti gli studenti a una lunga scolarità.
Nella nostra scuola i docenti sono piuttosto scettici nei confronti di questa didattica. In particolare vi
sono pareri discordanti tra coloro che privilegiano la centralità del soggetto e altri invece che
sottolineano l’importanza dei contenuti disciplinari.
Trovare un punto di equilibrio tra le due prospettive è un compito che spetta all’attuazione delle
attuali Indicazioni per il curricolo.
3. L’interdipendenza dei livelli
3.1 L’ambiente diapprendimento
L’efficienza delle strategie didattiche coincide sempre di più con l‘idoneità degli ambienti di
apprendimento.
Nelle Indicazioni 2012, nel paragrafo «L’ambiente di apprendimento», sono indicati alcuni principi
atti a favorire la costruzione di adeguati contesti educativi (aula, laboratori, ecc.):
• valorizzare le conoscenze e l’esperienza degli alunni nella progettazione delle attività di
apprendimento;
• attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità per non trasformarle in
disuguaglianze;
• favorire l’esplorazione e la ricerca, per promuovere l’intraprendenza di ogni ragazzo;
• incoraggiare l’apprendimento cooperativo, approccio che richiama i principi del
costruttivismo in ambito educativo;
• promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere per sviluppare la
capacità di autovalutazione dell’alunno delle proprie risorse e dei propri limiti
• realizzare attività didattiche in forma di laboratorio per incoraggiare la ricerca e la
progettualità personale.
Gli insegnanti devono essere capaci di mediare tra i contenuti disciplinari (adeguati alle
competenze degli studenti) e situazioni di apprendimento, che devono essere motivanti sia
per i singoli che
per il gruppo classe. Tutto questo significa tendere verso un insegnamento che valorizzi le
caratteristiche delle persone che apprendono.
Questo perché apprendere è un’esperienza educativa nella quale ogni studente mette alla prova le
proprie capacità non solo cognitive ma anche emotive e sociali.
3.2 Le due dimensioni
La «didattica» dunque rappresenta l’integrazione di due fondamentali esigenze — educativa e
cognitiva — così rappresentabili:
E’ opportuno favorire esperienze di apprendimento sia che promuovano la dimensione
«passionale» dell’imparare sia quella cognitivo-formativa, irrinunciabili ed essenziali per una
crescita completa dell’individuo.

4. La gestione della classe


La didattica tradizionale era prevalentemente incentrata sulla comunicazione e sulla spiegazione
dell’insegnante, in particolare sull’autorevolezza di quest’ultimo considerata un requisito
sufficiente ad assicurare l’apprendimento degli alunni.
Quindi,veniva tralasciata la progettazione di un contesto in grado di facilitare l’apprendimento
degli studenti.

4.1 Bassa decisionalità


Si trattava di una strategia didattica a bassa decisionalità, in quanto era sufficiente il prestigio
dell’insegnante per attrarre l’attenzione degli allievi ai quali si chiedeva una capacità di ascolto e di
memorizzazione.
Questa didattica poneva al centro del processo di insegnamento-apprendimento il maestro o il
professore, mentre gli alunni erano in una condizione di scarso coinvolgimento e di inesistente
partecipazione.
Questo modello ,in funzione per oltre un secolo dall’Unità Nazionale,si reggeva su due punti di
forza :
Il primo considerava l’insegnante un «pezzo» importante della classe dirigente. In particolare,
molti professori dei licei godevano di una reputazione elevatissima in campo culturale per la loro
competenza nelle lingue antiche (greco, latino) ma anche in altre discipline: letteratura italiana,
matematica, fisica, ecc.
Stesso prestigio era riservato anche ai maestri della scuola elementare che hanno ricoperto nel
Dopoguerra incarichi pubblici di rilevante prestigio, soprattutto a livello politico (sindaci, assessori,
presidenti dei Patronati scolastici, ecc.).
C’era quindi un riconoscimento sul piano sociale, civile e professionale di questi professionisti.
Il secondo punto di forza consisteva nel fatto che al termine della scuola elementare soltanto una
minoranza di ragazzi continuava gli studi.
La vecchia scuola media (anteriore al 1962) era finalizzata a selezionare gli allievi che avrebbero
frequentato i licei, in particolare quello classico.
L’istruzione superiore era destinata a studenti motivati, figli delle classi più agiate del Paese,
rivolgendosi ai «pochi migliori».
Il modello educativo si ispirava ai principi della riforma di Giovanni Gentile (1923) che poggiava
sul liceo classico a cui spettava il compito di preparare i giovani alla formazione dello spirito in una
scuola intesa come «tempio del sapere».
Tale modello si basava sul principio «Io insegno e tu impari» e la gestione della classe, di
conseguenza, comprendeva la figura di un unico «parlante» e di 25-30 «uditori».
Il cambiamento si ebbe dopo l’istituzione della scuola media unica nel dicembre del 1962, che
trasformò radicalmente la scuola secondaria di 1° e 2° grado.Successivaente essa si connotò come
scuola di massa in un tempo decisamente breve, dagli anni Settanta agli anni Novanta. La scuola
era aperta a tutti dai 3 ai 19 concentrandosi non non più sull’insegnamento ma
sull’apprendimento.
4.2 Alta decisionalità
Subentra dunque un modello ad alta decisionalità da parte degli insegnanti. La classe, è il
principale spazio educativo in cui vengono sanciti i i destini formativi degli studenti. La gestione
dell’aula, pertanto,
assume una rilevanza strategica e agli insegnanti è richiesto il compito di organizzare e promuovere
tutte le condizioni ottimali affinchè la «scolaresca »diventi un gruppo coeso e maturo, favorendo
inoltre un significativo apprendimento da parte di tutti.
Le attività basate sul lavoro di gruppo (coppie, cooperative learning), su compiti per problemi e per
progetti risultano coerenti con un’istruzione di tutti .
A differenza del modello del passato,questo si basa sul principio«Io insegno affinché tu impari». I
docenti, quindi, sono direttamente coinvolti nelle strategie di acquisizione e di elaborazione delle
conoscenze e,in certa misura, garanti degli esiti conseguiti dagli alunni.
4.3 Una scuola per tutti
Una scuola per tutti , basata su eguali opportunità, è intesa come luogo di studio, di ricerca, di
costruzione progettuale e non solo come un ambiente in cui si impartisce l’insegnamento.A
differenza dei tradizionali programmi didattici centrati sull’insegnamento, quelli nuovi sono basati
sui processi e sugli esiti di apprendimento: il docente deve educare lo studente a prendersi cura di
se stesso e ad assumersi le proprie responsabilità per valorizzare appieno i propri talenti.
Dunque, il compito irrinunciabile della scuola, principalmente dei docenti, è quello di stimolare
l’interesse, accendere la passione, promuovere il coinvolgimento degli alunni, aiutandoli a dare un
significato
autentico e vero a ciò che imparano. E la classe diventa il principale strumento di inclusione o di
esclusione, la cui responsabilità cade sulle mani dei dirigenti e dei docenti.

5. Il modello progettuale
Tra gli strumenti e le modalità didattiche che gli insegnanti hanno utilizzato nella loro attività, di
particolare rilevanza è la programmazione,riconosciuta dall’art. 4 del DPR n. 416/1974, con il
quale si definisce che il collegio dei docenti ha il compito di programmare l’azione educativa
adeguando, nell’ambito degli ordinamenti nazionali, i programmi di insegnamento alle specifiche
esigenze espresse dal territorio.
Tale strategia offre adeguate risposte e pari opportunità alle esigenze di formazione di tutti
gli alunni.
Infatti l’art 2 della legge n. 517/1977 evidenzia che, nonostante sia importante l’unità di ciascuna
classe per agevolare il diritto allo studio e promuovere la piena formazione della personalità degli
alunni, la programmazione educativa include anche attività scolastiche integrative per gruppi di
alunni della stessa classe oppure di classi diverse, anche per realizzare interventi individualizzati
che rispondano alle esigenze dei singoli alunni.
5.1 L’iter storico
La programmazione diventa così un elemento essenziale della cultura pedagogica degli
insegnanti soprattutto nel corso degli anni Ottanta. In questo periodo il Ministero, emana una serie
di disposizioni rivolte a sostenere tale prospettiva. Tra esse ricordiamo:
– la CM n. 261/1982,relativa alla scuola dell’infanzia,nella quale viene introdotto l’obbligo della
programmazione e viene proposto un modello che richiama molto quello elaborato da Nicholls
(Nicholls e Nicholls, 1975);
– la legge n. 399/1988,stabilisce l’obbligo per le scuole di definire un quadro orario delle attività
didattiche;
– la CM n. 271/1991,sancisce i diversi livelli della programmazione:
• educativa, di competenza del collegio dei docenti, che definisce le condizioni generali di
progetto, di organizzazione e di verifica, in riferimento alle esigenze formative
dall’utenza e alle risorse disponibili nella scuola e nel territorio
• quella didattica, di competenza dei docenti, che riguarda le attività didattiche e gli aspetti
operativi dell’ apprendimento;
– il PEI(progetto educativo d’istituto) ,definito dalla CM n. 120/1994 come la sintesi pedagogica
delle scelte culturali, organizzative,didattiche presenti nell’offerta formativa di ciascuna scuola e il
documento di pianificazione e attuazione delle attività formative,didattiche e pedagogiche ;
– la normativa che ha introdotto il POF(piano dell offerta formativa), dalla legge n. 59/1997 alla
legge n. 440/1997 riguardante l’ampliamento dell’offerta formativa;
– la CM n. 194/1999, definisce il POF come uno strumento che può attuare un disegno
complessivo,nel quale, a partire dalle esperienze già realizzate, gli interventi sulla dimensione
didattica, organizzativa e gestionale risultino armonizzati e connessi».
Oggi i docenti posseggono un’elevata competenza di programmazione,ormai diventata sempre più
un elemento irrinunciabile dell’azione educativa e una garanzia per l’utenza in quanto rende
chiare le scelte educative dei docenti e delinea l’organizzazione di questa esperienza.
Durante gli anni Settanta e Ottanta sono stati proposti vari modelli progettuali per il lavoro in classe
dei docenti.
5.2 La programmazione per obiettivi
Il primo modello di grande successo fu la programmazione per obiettivi, diffusosi rapidamente
alla fine degli anni Sessanta.
I suoi fondamenti teorici riprendono dli studi di Bobbit(anni 20),quelli di Bloom(1979) e lo
Strutturalismo e Comportamentismo. Il modello che ha avuto più consensi in Italia è stato quello
della programmazione curricolare di Nicholls che prevedeva uno schema circolare con le
seguenti fasi:
– analisi della situazione iniziale= ricognizione, organizzazione e interpretazione di tutte le
informazioni di un percorso didattico e che riguardano prioritariamente l’alunno con le sue
potenzialità,capacità, interessi, stili e ritmi di apprendimento e poi il contesto di inserimento con
risorse, opportunità,possibili ostacoli;
– definizione degli obiettivi= finalità generali della formazione.
Qusta fase ha sempre rappresentato,e forse ancora oggi,il punto debole della scuola italiana poiché
si è quasi sempre fermata al livello descrittivo; neanche il ricorso alle tassonomie è riuscito a
risolvere tale questione;
– selezione dei contenuti= scelta e organizzazione di studio degli elementi della cultura
selezionati secondo criteri di significatività,motivazione, direttività, continuità, integrazione e
tenendo
conto della continua evoluzione del sapere;
– scelta di metodologie= ricerca delle strategie più incisive per promuovere processi di
insegnamento-apprendimento;
– valutazione= riflessione sull’andamento del processo formativo e individuazione di suoi
possibili sviluppi con lo scopo di promuovere l’ apprendimento.Essa diventa analisi iniziale per il
riadeguamento del progetto educativo.
Questo modello di Nicholls è stato in parte criticato per un eccessivo formalismo e per la sua
rigidità.
5.3 Le mappe concettuali
Il secondo modello è quello della programmazione per mappe concettuali di Elio Damiano
(1994) ,basato sulle teorie della didattica per concetti e alle idee dei cognitivisti, di Wittgenstein, dei
neopositivisti di Hempel e Carnai.
L’idea di fondo è quella di collegare i concetti, la forma di conoscenza più elevata dell’uomo,
alla didattica scolastica. Gli elementi di base sono tre: le conoscenze, il sapere da proporre, che
deve rispondere a criteri scientifici ed epistemologici molto rigorosi e l’azione didattica,
caratterizzata da oggetto culturale, soggetto che apprende, insegnante; il contesto scolastico.
Le fasi sono due:
• la pianificazione,con l’elaborazione della mappa concettuale dell’argomento di studio,
grazie a una conversazione clinica con gli alunni per individuare le loro conoscenze
pregresse o spontanee, definite da Damiano la loro matrice cognitiva;
• l’esecuzione ,con la proposta di unità didattiche assieme a una costante e intensa attività
di valutazione-riflessione svolta dai docenti.
5.4 Lo sfondo integratore
Altri modelli progettuali sono:
- il modello dello sfondo integratore,elaborato da Zanelli (1986) e con riferimento alla Gestalt,
alle concezioni ecologiche di Bateson alla non direttività e all’affettività di Winnicott.
Esso propone il superamento della frammentarietà delle esperienze poiché le conoscenze
dell’uomo non sono mai decontestualizzate, ma fanno riferimento a determinati contesti, sfondi
culturali, che danno significato alle conoscenze e alle varie attività(Azzali e Cristanini, 1995)
In questo modello l’azione degli insegnanti è essenziale nel processo di apprendimento.
5.5 La progettazione per situazioni
-progettazione per situazioni, elaborata da Walter Fornasa (1990) e ispirata alle teorie di Morin,
Maturana, Bateson, Piaget.
Esiste un rapporto reticolare tra soggetto e conoscenza e l’apprendimento non avviene solo con
percorsi lineari,caratteritici del pensiero forte,della certezza, della scienza, ed è e inadeguata alla
cultura odierna della complessità ma bisogna porre attenzione al pensiero debole che non è rigido
ma è aperto alla possibilità e al cambiamento.
La conoscenza per Fornasa è il prodotto di un processo in parte individuale, con la ricerca
personale, in parte sociale,con il confronto della propria esperienza con quella di altri.
La fasi del modello sono tre:
• l’osservazione, simile a un’analisi della situazione iniziale;
• la creazione e lo sviluppo della situazione, con spazi di relazione e di contesti di
comunicazione nei quali sono introdotti stimoli/ perturbazioni senza schemi predefiniti;
• la sintesi e l’interpretazione delle esperienze, con l’accettazione anche di errori che
possono consentire ulteriori approfondimenti.
5.6 La postprogrammazione
- postprogrammazione , elaborato da Boselli (1991) e sperimentato in alcune scuole del modenese.
Esso sottolinea l’importanza dell’evento educativo rispetto alla pianificazione dell’esperienza.
Vi è un richiamo a Morin e alla sua teoria dell’ipercomplessità: se la complessità richiede la
razionalizzazione delle fasi di progettazione-conoscenza,l’ipercomplessità richiede l’indebolimento
del percorso a favore della soggettività e creatività.
Rifacendosi al Fenomenologismo (’importanza del vissuto personale e della soggettività nei
processi di conoscenza), ai problemi esistenziali (concezione di Heidegger) e rall’Ermeneutica di
Gadamer ( necessità di un rapporto autentico con l’esperienza) questo modello promuove
prospettive di conoscenza aperte e non ingabbiate, con processi di autoformazione e di presa di
coscienza delle nuove generazioni.
5.7 Il modello per progetti
-il modello del lavoro per progetti, affermatosi nelle scuole materne spagnole e sperimentato in
collaborazione con l’Università di Barcellona (Pujol i Mongay e Roca i Cunill, 1991), è stato
elaborato sulle idee di Bruner, Bateson e Vygotskij.
Esso prevede che gli insegnanti guidino gli alunni in un percorso che li porti a strutturare
progressivamente l’esperienza. L’insegnante dunque organizza le diverse strategie di
apprendimento degli alunni.
Gli elementi di base del modello sono tre:
• lo spazio,
• il materiale
• le persone
Le fasi sono quattro:
• la spontaneità, nella quale ciascun alunno familiarizza liberamente con l’ambiente;
• la prima organizzazione delle azioni spontanee;con la progressiva consapevolezza per gli
alunni di poter intervenire intenzionalmente sulla realtà e di modificarla;
• la strutturazione della spontaneità, con la classificazione mediante simboli dei risultati
del lavoro;
• la sintesi del lavoro svolto e della condivisione di un codice comunicativo dei risultati
dell’esperienza.

I modelli progettuali che hanno ottenuto i maggiori consensi nella scuola italiana sono quello
della programmazione per obiettivi e quello della programmazione per mappe concettuali. Il
loro successo è legato anche alle sue possibilità di applicazione nei vari livelli scolastici, in
particolare nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.
Gli altri sono stati oggetti di varie applicazioni: il modello dello sfondo integratore è stato
utilizzato prevalentemente nella scuola dell’infanzia e nei processi di integrazione degli alunni con
disabilità; quello dei progetti nelle attività di laboratorio ed è molto diffuso nella scuola
primaria, invece di scarsa diffusione sono state la progettazione per situazioni e la
postprogrammazione.
5.8 Limiti e opportunità
Nella scuola è difficile incontrare insegnanti che applicano in maniera rigida un solo modello in
quanto cercano di sfruttare i fondamenti teorici secondo la loro valenza pedagogia e adattabilità.
Così, la programmazione per obiettivi convince per la sua intenzionalità educativa, la chiarezza
della progettazione, la controllabilità, la trasparenza, ma è rigida ,
il modello delle mappe concettuali attenziona l’esperienza didattica e la sistematicità del
metodo scientifico, ma può condurre a un eccessivo scolasticismo e rende difficile una corretta
conversazione clinica con gli alunni; lo sfondo integratore e la progettazione per situazioni
propongono un approccio unificante e di integrazione tra le esperienze, ma si corre il pericolo
della frammentazione e dispersione del progetto; la postprogrammazione si pone più come
richiamo all’evento educativo; il modello per progetti riserva grande attenzione alla creatività
degli alunni.
CAPITOLO 41

LA LEZIONE: INSEGNARE PER PIACERE DI IMPARARE

1. PER UNA FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE


L’agire educativo trova ragione d’essere se si pone come offerta di esperienze che sostengono
nell’alunno il desiderio di esistere.

Condizione indispensabile per l’insegnamento è quindi il piacere di trasmettere ai propri alunni


l’amore per la conoscenza.

L’acquisizione delle conoscenze diventa dunque apprendimento significativo se l’alunno si fa


protagonista attivo in uno spazio accogliente.

2. LA CLASSE: REALTÀ A PIÙ DIMENSIONI


Una classe deve essere osservata per gli aspetti legati all’apprendimento e per la dimensione
dell’affettività. L’azione didattica per essere efficace non deve trascurare né la dimensione degli
apprendimenti né quella relazionale.

Un ruolo fondamentale è giocato dalla valutazione nella pratica quotidiana, questa non può essere
solo sommativa e comparativa perché può portare a conseguenze deleterie sul clima relazionale.

Una valutazione formativa invece consente al soggetto di confrontarsi con il suo percorso di crescita
producendo motivazione intrinseca.

Nel processo di facilitazione dell’apprendimento è fondamentale il ruolo svolto da fattori emotivo –


affettivi. Heidegger definiva la cura una qualità esistenziale fondamentale in educazione. Istruire
avendo cura dell’educando si esprime nell’attivare attenzione e nell’ascoltare, vedere e sentire ciò
che l’altro ci comunica. Fondamentale è quindi l’attenzione all’altro che è una persona in tutte le
sue dimensioni: cognitiva, affettiva e relazionale. È necessario quindi considerare l’esperienza
scolastica anche nella sua valenza relazionale e affettiva.

3. L’AGIRE INCORAGGIANTE DELL’INSEGNANTE REGISTA


La lezione è la traduzione operativa delle scelte pianificate dal docente. Le modalità relazionali e
comunicative dell’insegnante sono una variabile che condiziona gli alunni.

Franta e Colasanti definiscono l’agire incoraggiante del docente che è da privilegiare per la
promozione dello sviluppo integrale della persona. Si tratta di principi procedurali che orientano
l’azione del docente nello svolgimento delle attività con proposte significative che puntino alla
motivazione intrinseca. Se gli allievi sono motivati infatti il lavoro risulta meno faticoso.

L’agire incoraggiante prevede l’attivare, comprendere, sottolineare il positivo, responsabilizzare:


rendere gli alunni protagonisti della loro crescita culturale e umana. Importante è far leva sulla
motivazione intrinseca proponendo attività che si basino sulla curiosità e interesse dell’alunno. Le
discipline possono sostenere gli alunni se l’insegnante le usa come strumenti di ricerca.

Il principio del comprendere implica per l’insegnante la capacità di percepire le situazioni come
sono vissute dagli alunni per guidarli a cogliere le situazioni con oggettività.

Importante è mettere in evidenza gli aspetti positivi delle situazioni, rilevare gli sforzi messi in atto
dagli alunni per raggiungere l’obiettivo e indicare nuovi percorsi possibili.

Ridimensionare l’insuccesso significa insegnare agli alunni ad affrontare le frustrazioni nel modo
più positivo possibile preparandoli ad affrontare nuovi compiti. Il supporto dell’insegnante è
fondamentale.

È auspicabile inoltre creare occasioni per far esercitare la responsabilità personale all’interno delle
possibilità offerte dalle situazioni. L’insegnante si deve porre come guida discreta. Questa strategia
è da usare anche nella risoluzione dei conflitti.

4. IL SUCCESSO FORMATIVO
È fondamentale favorire nell’alunno un’immagine positiva di sé; egli deve avere fiducia di essere in
grado di realizzare ciò che si prefigge e quanto è richiesto dal compito di apprendimento. A scuola
occorre, quindi strutturare situazioni di insegnamento-apprendimento che promuovano esperienze di
fiducia nelle proprie capacità, proponendo attività che favoriscano esperienze di successo reali.
Raggiungere risultati positivi associati a un’adeguata percezione dell’errore, determina il circolo
vizioso della motivazione intrinseca e della fiducia nelle proprie potenzialità rispetto alle situazioni
di apprendimento. Anche la disapprovazione dell’errore diventa occasione di crescita, se inserita
all’interno di una relazione educativa improntata sull’accettazione e la valorizzazione dell’altro.
L’acquisizione di autostima è un prerequisito per migliorare in tutti i campi.
Dal punto di vista operativo è importante che la programmazione didattica preveda: discrepanza
ottimale, diversificazione dei compiti, apprendimento cooperativo e soddisfacimento dei
bisogni degli allievi.
Per discrepanza ottimale si intende il mantenere un equilibrio tra le caratteristiche degli alunni e gli
obiettivi che l’insegnante si propone.
L’insegnante deve poi diversificare i compiti nel rispetto delle diversità, deve valorizzare i diversi
stili di apprendimento, le diverse forme di intelligenza (Gardner). Egli deve tenere conto della
presenza di allievi con diversi livelli di maturazione e con difficoltà di apprendimento; è quindi
sbagliato chiedere i medesimi livelli di apprendimento a tutti gli alunni, chi ha difficoltà innanzi a
degli insuccessi potrebbe creare o incrementare una percezione negativa di sé. Occorre
individualizzare la didattica nei tempi, nelle modalità organizzative, nelle tipologie e modalità di
verifica e a volte anche nei contenuti. Può essere altrettanto produttivo strutturare le attività in modo
che possano essere affrontate a diversi livelli, dando a tutti la soddisfazione di un risultato finale.
In questa prospettiva risulta funzionale l’insegnamento cooperativo (nelle sue forme tutoring e
cooperative-learning) per i vantaggi che comporta dal punto di vista cognitivo e socio-affettivo:
consente l’esercizio e lo sviluppo delle abilità sociali, la condivisione degli obiettivi crea
interdipendenza tra gli alunni in quanto la riuscita individuale dipende dalla riuscita del gruppo, gli
alunni si sentono protagonisti, lavorano di più e per più tempo, sviluppano livelli superiori di
ragionamento e capacità di pensiero critico oltre che una maggior motivazione intrinseca data da un
senso di autoefficacia del gruppo.
Questa metodologia di lavoro può anche permettere di incontrare e soddisfare bisogni urgenti e
prioritari per gli alunni: dalla necessità di mostrare e percepire le proprie capacità, ai bisogni di
curiosità e autodeterminazione. Per un docente tenere presente tutto questo significa fare scelte
significative in merito ai contenuti e alle modalità di presentazione e organizzazione delle richieste
fatte agli alunni, le cui finalità è consigliabile esplicitarle all’inizio: sapere dove si vuole arrivare è
importante perchè chiarisce agli alunni il senso del percorso e può rendere maggiormente
significative le tappe intermedie.
Dove è possibile risulta importante anche partire dagli interessi e dalle curiosità degli alunni e usare
l’imprevisto per rompere la monotonia della routine senza però disorientare il gruppo.
È auspicabile fornire in itinere agli alunni uno stimolo positivo rispetto all’impegno dimostrato, non
per forza un voto o un giudizio, ma gratificazioni verbali, approvazione e riconoscimento che va
esplicitato dall’insegnante e condiviso con il gruppo. Proporre esperienze di apprendimento che
prevedono prodotti finiti può essere un’altra strategia di lavoro motivante, che permette la
percezione immediata del risultato, che si riflette sul senso di fiducia del singolo e del gruppo.
5. UN POSSIBILE MODELLO PROGETTUALE DI LEZIONE
Per progettare una lezione che tenga presente la complessità delle dinamiche relazionali e la
possibilità di gestire le dimensioni di efficienza e affettività in vista di successo formativo, bisogna
pianificare le fasi e le modalità di lavoro, ovvero individuare nel particolare contenuti e strumenti
necessari per la stimolazione della formazione del pensiero critico.

L'insegnate deve considerare: le compertenze e i traguardi di sviluppo delle competenze (dalle


indicazioni nazionali), gli obiettivi di apprendimento, i contenuti, i prerequisiti, le discipline
coinvolte, le metodologie, strumenti e materiali, spazi e tempi, gli stili cognitivi e di apprendimento
e la pianificazione di strumenti compensativi o misure dispensative per gli alunni con DSA presenti.

Schema di un possibile modello progettuale di lezione

Destinatari: alunni classe 5 primaria

Competenza chiave di riferimento (indicazioni): comunicazione nella madre lingua

Discipline coinvolte: italiano, storia, geografia

Traguardi di sviluppo delle competenze (indicazioni): scrittura di un testo corretto, chiaro e


coerente, legato all'esperienza

Obiettivi di apprendimento: produrre testi informativi corretti per ortografia, lessico, morfosintassi

Conoscenze, abilità, contenuti: caratteristiche dell'autunno, il testo informativo

Attività:

 osservazione diretta del paesaggio autunnale con uscita in cortile (mediatore attivo):
permette di cogliere le caratteristiche (paesaggio, frutti, prodotti tipici della stagione) e di
inserire il lessico specifico di Storia e Geografia;
 realizzazione di una mappa collettiva per pianificare il testo informativo;
 lettura di testi informativi in qualità di esempi strutturali e lessicali (uso del dizionario per
parole nuove);
 uso di LIM o PC per proporre immagini suggestive;
 attività di scrittura (mediatore simbolico), accompagnata dal disegno (mediatore iconico),
 correzione individuale con l'alunno per renderlo consapevole degli aspetti positivi e di quelli
da migliorare.

La pianificazione della lezione dell'insegnante si realizza attraverso la scelta di:

Metodologie: lezione frontale, apprendimento cooperativo, laboratorio disciplinare a partire


dall'esperienza;

Mediatori della didattica: attivo, iconico, simbolico;

Strumenti e materiali: meteriali non strutturati (raccolti in cortile), libri di testo, testi operativi
integrativi, dizionario, schede operative, LIM, PC;

Spazi: cortile, aula, laboratorio di informatica, biblioteca;

Tempi: 3 ore

Valutazione: osservazione sistematica, supportata da uso di griglie d'osservazione, conversazioni,


verifiche orali o scritte semistrutturate, strutturate o aperte. Necessaria la trasparenza circa quali
apprendimenti vengono valutati e quali criteri vengono usati: ciò permette di far vivere in maniera
costruttiva e formativa l'errore e la valutazione;

Autovalutazione dell'insegnante: feedback fornito dalla valutazione o dall'atteggiamento degli


alunni stessi. Serve per valutare punti di forza e di debolezza, con lo scopo di migliorare la qualità
dell'offerta formativa;

Strumenti compensativi: PC con programma di lettura e scrittura vocale;

Eventuali misure dispensative: evitare di far leggere/scrivere all'alunno.


Capitolo 42
Per un curriculo verticale

1. Autonomia e territorio
Per per il miglioramento dell’offerta formativa è possibile realizzare
dei percorsi di studio in un’ottica di curricolo verticale; richiamando al principio della continuità e
dell’unitarietà di un progetto formativo.
Con l’autonomia lo stesso significato di continuità tra scuola, enti locali, mondo del lavoro, della
formazione, del privato sociale, degli stakeholder si è arricchito di significati e oggi va
reinterpretato anche alla luce dell’evoluzione della nostra società, sempre più orizzontale.
La prospettiva è quella di dar vita a un sistema formativo integrato e policentrico, nel quale sia
impegnata una molteplicità di organismi di formazione e di rielaborazione del sapere e nel quale il
bene più prezioso siano proprio il capitale umano e la sua straordinaria capacità di produrre idee.
L’alleanza educativa si fonda sulla capacità di incontro e di ascolto delle persone a spingerle a
impegnarsi per un bene comune. L’apertura della scuola al territorio comporta, in prima istanza, la
condivisione degli stessi obiettivi.
Questa condizione dovrà essere perseguita assicurando un’adeguata alfabetizzazione culturale e
strumentale e una cittadinanza costruttiva: la strategia vincente potrebbe diventare quella di un
percorso formativo organico e unitario realizzato da più soggetti, nel quale il contributo della scuola
potrebbe svilupparsi in un collaborativo rapporto con il
contesto esterno e in una costruzione e realizzazione di un curricolo verticale interno.

2. Le opportunità istituzionali

Elementi facilitanti per la realizzazione di un curricolo verticale vengono anche da alcune


significative innovazioni apportate al nostro sistema scolastico.
La prima di esse riguarda la trasformazione di tutte le istituzioni scolastiche in istituti comprensivi.
Gli istituti comprensivi costituiscono certamente un’importante occasione per promuovere tale
strategia.
Un luogo fondamentale per una crescita dell’istituto comprensivo è quello dei dipartimenti verticali,
organizzati per discipline o grandi ambiti
del sapere. Progetti comuni possono rinsaldare l’identità educativa dell’istituto, la collaborazione tra
i diversi segmenti, l’immagine e la credibilità verso l’esterno. Altro elemento è l’innalzamento
dell’obbligo scolastico e formativo, fino al compimento dei 18 anni. Il nostro sistema formativo e
di istruzione viene, in sostanza, considerato come un unico grande percorso che vuole dare un senso
unitario alla formazione delle nuove generazioni
Inoltre il curricolo e la scelta di sostituire la logica dei programmi tradizionali con quella delle
Indicazioni, rappresentano altro elemento fondamentale per la promozione degli istituti
comprensivi.
In questo senso, le discipline vanno considerate come veri e propri itinerari logici per la conoscenza
della realtà ,e a loro stessa presentazione favorisce un’interpretazione unitaria del percorso:
ciascuna disciplina è conclusa al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado dai
«traguardi per lo sviluppo delle competenze», in percorso continuo dai 6 ai 14 anni che delinea un
vero e proprio curricolo verticale per l’intero ciclo ottennale

3. L’alfabetizzazione culturale e i compiti delle scuole

L’azione del sistema scolastico è rivolta a promuovere l’alfabetizzazione culturale delle nuove
generazioni.
Tale operazione viene avviata dalla scuola dell’infanzia che costituisce il primo momento di
educazione istituzionalizzata per le nuove generazioni. Infatti, il nostro sistema scolastico ha
l’intento di costituire un organico e unitario sistema di istruzione che curi la formazione delle
nuove generazioni sino alle soglie dell’università o dell’avvio al lavoro.
Questa consapevolezza è ben presente anche nelle Indicazioni 2012.
L’itinerario scolastico dai 3 ai 14 anni, è progressivo e continuo. La presenza sempre più diffusa
degli istituti comprensivi consente la progettazione di un curricolo verticale e facilita il raccordo
con il secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.
Nelle Indicazioni 2012 viene anche tracciato, il profilo dello studente al termine del primo ciclo e
per il secondo ciclo di istruzione e di formazione;
I contenuti degli assi culturali previsti dalle Indicazioni per il curriculo, rappresentano un tentativo
di verticalizzazione del curriculum di studi
Il curricolo verticale può oggi costituire un’opportunità realistica e realizzabile per promuovere
qualità nella formazione.

4. Un modello progettuale per il curricolo verticale

Per quanto riguarda il modello progettuale


del curricolo, deve riferirsi ai seguenti elementi :
–finalità formative del nostro sistema scolastico;
–il mondo del sapere, le conoscenze
–pianificazione delle esperienze di apprendimento
–gli alunni che ci sono affidati e le loro dimensioni di sviluppo.

Potrebbero piacerti anche