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sistenze dei cattolici i quali scelsero per i propri figli le scuole private, prevalentemente
gestite dalla Chiesa cattolica.
La legge Coppino, pur ribadendo l’obbligo dell’istruzione elementare sancito in pre-
cedenza ne colmò una lacuna, specificando anche le sanzioni per gli inadempienti. La
legge, inoltre, apportò delle modifiche alla scuola elementare che diventò di 5 anni (con
l’obbligatorietà dei primi tre).
Altre figure di spicco nell’ambito dell’istruzione e della formazione di quel periodo sono state:
– san Giovanni Bosco (1815 - 1888), il cui concetto ispiratore era quello di operare su possibili comporta-
menti devianti attraverso azioni preventive;
– Maria Montessori (1870 - 1952), fondatrice di scuole ma soprattutto di un metodo educativo incentrato
sulla libertà dell’allievo in quanto la libertà favorisce la creatività del bambino.
La legge Gentile del 1923 segna la convergenza tra la cultura neoidealista e buona
parte degli ambienti cattolici. La riforma Gentile prevedeva cinque anni di scuola ele-
mentare uguale per tutti, frequentata dagli aventi diritto con iscrizioni in base all’anno di
nascita. La scuola elementare aveva scansione 3+2, preceduta da un grado preparatorio
di tre anni (scuola materna), e seguita da un grado successivo chiamato scuola media
inferiore, con diversi sbocchi, seguito a sua volta dalla scuola media superiore, di tre anni
per il liceo classico, di quattro per il liceo scientifico, di tre o quattro anni per i corsi supe-
riori dell’istituto tecnico, dell’istituto magistrale e dei conservatori. Inoltre con la legge
Gentile venne elevato l’obbligo di istruzione fino a 14 anni, si stabilì un numero massimo
di 35 alunni per classe e l’apertura di scuole speciali per ciechi e sordomuti.
Nel 1928 il ministro Giuseppe Belluzzo, con il Testo Unico n. 577, istituì la Scuola
di avviamento professionale al posto dei corsi postelementari.
Con la promulgazione della Costituzione della Repubblica italiana nel 1948 emerge la
volontà di realizzare una scuola democratica. Viene stabilita l’istruzione pubblica, gratui-
ta e obbligatoria per almeno otto anni. Il modello di scuola della nuova repubblica viene
disciplinato dagli articoli 9, 33 e 34 della Costituzione.
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La scuola nella Costituzione repubblicana
Articolo 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica
e tecnica.
Articolo 33 L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuo-
le statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di isti-
tuire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che
chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni
un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole
statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi
di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio
professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto
di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Articolo 34 La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiun-
gere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, asse-
gni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per
concorso.
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Nel 1969, sotto la spinta in parte dei movimenti studenteschi, sono state approva-
te norme per la liberalizzazione dell’accesso agli studi universitari e norme che hanno
modificato l’esame di maturità strutturandolo con due prove scritte e una prova orale
che verteva su due materie scelte (una dallo studente e una dai docenti) fra un gruppo
di quattro indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, diverso per
ogni tipo di istituto. La struttura di questo esame venne definita provvisoria e sperimen-
tale; tuttavia, sarebbe rimasta immutata per più di vent’anni.
La didattica, il rapporto intersoggettivo alunno-docente, la vita sociale della scuola
italiana hanno subito una radicale trasformazione a partire dalla rivoluzione studente-
sca. I giovani del sessantotto lottarono per un ritorno ai valori democratici. Fu una bat-
taglia culturale e quindi politica che puntava al rinnovamento della società. Anche le
contestazioni giovanili hanno fortemente contribuito a cambiare la scuola ed a renderla
più democratica. Prima di quell’anno la scuola era selettiva, in quanto dopo le elementari
avveniva lo sdoppiamento del canale d’istruzione per abbienti e meno abbienti (media
e avviamento): l’istituzione della scuola media dell’obbligo aveva già posto fine a que-
sto tipo di discriminazione ma furono le contestazioni studentesche di quegli anni ad
estendere l’accesso all’istruzione. Intellettuali e studenti costituirono un fronte comune
che coinvolse anche gli insegnanti e gli educatori. Innanzitutto fu abbattuta la barriera
esistente tra docente e alunno, alla ricerca di un dialogo educativo più realistico e iniziò
il processo di rinnovamento negli stili di insegnamento.
I nuovi scioperi agli inizi degli anni settanta portarono all’emanazione dei primi cin-
que Decreti Delegati che resero la scuola più aperta alla società. La riforma scolastica
definì lo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente (Legge
477/1973) e furono inoltre istituiti nella scuola gli organi collegiali più o meno nella for-
ma che oggi conosciamo.
Una novità importante è rappresentata dai «Decreti Delegati», approvati nel 1974,
che introdussero nella vita della scuola una rappresentanza dei genitori, del personale
ATA (Amministrativo, Tecnico, Ausiliario) e degli studenti (solo nella scuola superiore). Il
corpus dei decreti è composto dai seguenti provvedimenti:
–– Legge delega n. 477 del 30 luglio 1973;
–– D.P.R. n. 416 del 31 maggio 1974;
–– D.P.R. n. 417 del 31 maggio 1974;
–– D.P.R. n. 418 del 31 maggio 1974;
–– D.P.R. n. 419 del 31 maggio 1974;
–– D.P.R. n. 420 del 31 maggio 1974.
Con il D.P.R. n. 416 del 31 maggio 1974 «Istituzione e riordinamento di organi col-
legiali della scuola materna, elementare, secondaria e artistica» sono stati istituiti gli
organi collegiali della scuola, a livello di circolo e di istituto:
–– il Consiglio di classe o di interclasse;
–– il Collegio dei docenti;
–– il Consiglio d’Istituto;
–– la Giunta esecutiva;
–– il Consiglio di disciplina degli alunni;
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–– il Comitato di valutazione del servizio degli insegnanti.
Queste istituzioni, confermate dal Testo Unico del 1994, sono ancora oggi esistenti e
pienamente funzionanti.
Vale la pena ricordare che i Provvedimenti Delegati hanno istituito anche la figura del
Vicario del Preside o Direttore Didattico, meglio noto come Vicepreside, figura menzio-
nata anche dalla Legge Delega 477/1973 e molto importante dal punto di vista giuridico.
L’articolo 9 ha istituito il distretto scolastico, un comprensorio formato dai territori di uno
o più Comuni, a seconda della popolazione e del numero di istituti presenti.
Il D.P.R. 416/1974 ha disciplinato le elezioni degli organi collegiali recepite e aggior-
nate dall’ordinanza ministeriale n. 215 del 15 luglio 1991 e dal Testo Unico del 1994, e
tutt’ora vigenti.
Infine, il decreto presidenziale ha stabilito il principio dell’autonomia amministrativa
delle scuole e imposto la costituzione di un albo pubblico d’istituto o di circolo). Il titolo
II istituisce un altro istituto: le Assemblee degli studenti (di classe o di istituto) e dei geni-
tori riconoscendo il diritto di assemblea, fino al 1974 larvatamente concesso dai presidi.
Le norme sulle assemblee sono state riprese dal Testo Unico in materia di istruzione e
continuano a essere rispettate in tutte le scuole italiane.
Il D.P.R. n. 417 del 31 maggio 1974 «Norme sullo stato giuridico del personale do-
cente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica
dello Stato» riguarda lo stato giuridico e la funzione del personale docente, direttivo ed
ispettivo della scuola.
Il D.P.R. n. 419 del 31 maggio 1974 «Sperimentazione e ricerca educativa, aggior-
namento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti» riconosce e regola
le sperimentazioni nella scuola, intese «come ricerca e realizzazione di innovazioni sul
piano metodologico-didattico e come ricerca e realizzazione di innovazioni degli ordina-
menti e delle strutture esistenti».
Il D.P.R. n. 420 del 31 maggio 1974 «Norme sullo stato giuridico del personale non
insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche» riguarda
lo stato giuridico e il trattamento economico del personale non docente.
Con la Legge 517 del 1977, «Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione
degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico»,
si realizza l’uguaglianza sostanziale che era stata proposta nell’articolo 3 della Costitu-
zione italiana. Infatti, la legge istituisce un esame di fine ciclo della scuola elementare
in un’unica sessione dove la valutazione viene espressa dall’insegnante della classe con
l’integrazione di due docenti del Collegio di appartenenza e vengono aboliti nella scuola
media gli esami di riparazione.
Negli anni ‘90 la struttura sociale e le esigenze normative sono andate incontro a
cambiamenti che vedono al centro del sistema la qualità, la cultura del servizio, i principi
di sussidiarietà sanciti anche dal Trattato di Maastricht del 1992 (ovvero, l’attribuzione
della generalità dei compiti alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai
cittadini interessati).
Nel 1996 a capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene posto Luigi Berlinguer, il
quale si propone importanti obbiettivi: l’innalzamento dell’obbligo scolastico, la riforma
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dell’esame di maturità, l’autonomia scolastica ed il riordino dei cicli. Il 3 giugno 1997 il
governo presenta la Legge Quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione, con la
quale doveva venire stravolto il sistema scolastico italiano, poiché erano previsti due cicli
scolastici. Con la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 viene riformato l’esame di maturità.
Da questo momento l’esame è denominato ufficialmente esame di Stato conclusivo del
corso di studio di istruzione secondaria superiore o, in breve, esame di Stato.
I punti principali della riforma Berlinguer sono:
–– l’obbligo scolastico esteso a 15 anni, e creazione di un secondo tipo di obbligo, quel-
lo alla formazione professionale, che dura fino ai 18 anni. E già questa è una novi-
tà. Il secondo elemento di rottura con il passato riguarda il numero complessivo di
anni dedicati all’istruzione: da 13 (cinque elementari, tre medie, cinque superiori),
diventeranno 12. Resta invece intatta la possibilità di frequentare i 3 anni di scuola
materna, dai 3 ai 6 anni;
–– il ciclo primario comprende tre bienni, a cui seguirà un anno definito di orientamen-
to. In pratica, è una sorta di sintesi tra le elementari e le medie, con una maggiore
attenzione, però, alla preparazione agli studi del successivo ciclo di istruzione;
–– il ciclo secondario dura cinque anni, e si articola in cinque differenti aree: umani-
stica, scientifica, tecnica, artistica e musicale. Nel primo biennio molti insegnamenti
sono comuni, in modo da permettere, se lo studente vuole, di passare da un indirizzo
ad un altro. Al termine dei 5 anni, i ragazzi dovranno sottoporsi, come adesso, all’e-
same di Stato.
Le elezioni politiche del 2001 vengono vinte dalla coalizione di centro-destra guidata
da Silvio Berlusconi. Viene nominata Ministro per la Pubblica Istruzione Letizia Moratti,
che presenta una proposta di radicale riforma del sistema scolastico, suscitando consen-
si e dissensi accesi su fronti opposti. E questa diviene la storia della scuola di oggi che
affronteremo nel paragrafo successivo.
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trasferimento di poteri a Regioni e enti Locali, e la successiva riforma costituzionale del
Titolo V attraverso la legge costituzionale n. 3/2001 che cambia il sistema delle autono-
mie locali e dei rapporti con lo Stato.
Per quanto riguarda l’istruzione, bisogna considerare che la modifica costituzionale
del Titolo V per effetto della legge costituzionale n. 3/2001 ha delineato una ripartizione
di competenze di questo tipo:
• competenze esclusive dello Stato. Lo Stato detiene la competenza legislativa esclu-
siva relativamente alle norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali di presta-
zione regionali con eccezione delle Regioni a Statuto speciale e le Province autonome
di Trento e Bolzano;
• competenze esclusive delle Regioni. Le Regioni detengono la competenza legislati-
va esclusiva nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale. Sono tenute al
rispetto dei livelli essenziali di prestazione che comprendono la conformità agli stan-
dard formativi minimi (durata dei corsi, validità delle certificazioni);
• competenze concorrenti tra Stato e Regioni. Lo Stato stabilisce i principi generali
dell’istruzione con particolare riferimento agli standard per esempio durata e tipo-
logia dei corsi, esami e certificazioni, valore legale dei titoli, obiettivi di apprendi-
mento, crediti. Le Regioni provvedono all’organizzazione dell’offerta formativa sul
territorio;
• autonomia delle scuole e delle università. Le singole scuole, e le loro reti, possono
decidere la didattica, l’assetto organizzativo le politiche di ricerca e sviluppo, con un
elevato grado di autonomia e quadro normativo nazionale e regionale.
In definitiva in materia scolastica le competenze vengono attribuite alla legislazione
concorrente tranne alcuni ambiti di potestà legislativa esclusiva dello Stato, la forma-
zione professionale diventa di esclusiva competenza regionale. Le scuole acquisiscono
per effetto del decentramento ampia autonomia e competenze esclusive in merito agli
obiettivi formativi.
Con la legge 131/2003 recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale n. 3» si definisce che, in materia di piani di
studio, spetta al livello nazionale stabilire:
–– i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) delle scuole per ogni ordine e grado;
–– il profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) che l’alunno deve possedere a
conclusione dei corsi scolastici e di formazione professionale;
–– gli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) stabiliti per ogni disciplina impartita
esclusivamente nelle scuole, mentre gli OSA del sistema della formazione scolastica
sono stabiliti dalle Regioni.
Altri cambiamenti nell’ordinamento scolastico con particolare riferimento ai cicli sco-
lastici arrivano con la legge n. 53/2003, fortemente voluta dalla Ministra dell’istruzione
Letizia Moratti dalla quale prende il nome. I principi di questa riforma saranno ripresi
successivamente dalla cosiddetta riforma Gelmini.
I principali cambiamenti voluti dalla riforma Moratti riguardano il riordino dei cicli
scolastici e soprattutto l’attuazione del principio dell’alternanza scuola-lavoro. L’alter-
nanza scuola-lavoro, seguendo il testo della riforma, permetterà agli studenti di «svol-
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gere l’intera formazione dai 15 ai 18 anni, attraverso l’alternanza di periodi di studio e
di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di con-
venzioni con imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza o con le camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti pubblici e privati ivi inclusi
quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che
non costituiscono rapporto individuale di lavoro».
Con la riforma Moratti vengono previsti i seguenti cambiamenti all’interno di ciascun
ciclo scolastico:
–– nella scuola dell’infanzia l’iscrizione viene consentita ai bambini con 28 mesi com-
piuti anziché 36;
–– nella scuola primaria è prevista l’iscrizione di un bambino a partire dai 5 anni e mesi
4 compiuti;
–– fin dal primo anno viene previsto l’insegnamento di una lingua straniera e dell’uso
del computer e di una valutazione biennale. Abolizione dell’esame di 5a elementare.
I programmi ministeriali subiscono un cambiamento drastico per quanto riguarda lo
studio delle materie: storia, geografia, scienze;
–– nella scuola secondaria di primo grado è prevista una valutazione dopo il secondo
anno, mentre al termine del terzo l’esame di Stato. La durata dell’anno scolastico
veniva ridotta a ventisette settimane, e si riduce da tre a due le ore di insegnamento
della seconda lingua comunitaria; viene prevista l’introduzione del cosiddetto «port-
folio», un dossier che documenta le esperienze, scolastiche o meno, tramite le quali
ogni studente aveva acquisito le varie «abilità». Come per la scuola primaria, anche
nella scuola secondaria di primo grado veniva abolito il tempo prolungato;
–– nella scuola secondaria di secondo grado viene previsto un primo biennio e un se-
condo biennio al quale si aggiungeva un ulteriore anno. La maturità è necessaria per
accedere all’Università degli studi. Nelle scuole professionali è prevista una durata
graduata nel corso degli anni con periodi di alternanza fra scuola e lavoro. Al termine
di tre anni viene consegnato un diploma di qualifica.
La portata della riforma Moratti è stata parzialmente ridotta durante il successivo
governo Prodi, dopo che negli anni precedenti era stata fortemente osteggiata da gran
parte del mondo della scuola, a partire dagli studenti. Il ministro dell’istruzione Fioroni
del governo Prodi sospende l’attuazione dei provvedimenti riguardanti il secondo ciclo
di studi della legge 53/2003.
La strategia del cacciavite fu la metafora usata dal ministro Fioroni per indicare che il
centrosinistra non avrebbe messo in atto un’ennesima riforma di sistema, ma si sarebbe
limitato ad apportare una serie di correttivi necessari per rendere più efficace e moder-
no il sistema di istruzione.
I punti qualificanti dell’azione del ministro Fioroni possono essere sintetizzati:
–– nell’avere innalzato l’obbligo di istruzione a 16 anni con la legge 296/2006 e aver
puntato su un impianto culturale incentrato su una didattica allineata alle direttive
dell’Unione Europea basata sulle competenze chiave di cittadinanza;
–– nell’aver smontato in larga parte il D.Lgs. 226/2005 rilanciando e ripristinando con la
legge 40/2007 l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale, distinguendo chiara-
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mente che allo Stato compete il rilascio dei diplomi, mentre le Regioni devono garan-
tire le qualifiche triennale della formazione professionale;
–– nell’aver varato le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo
ciclo con gli impianti culturali organizzati sulla continuità e incentrati su traguardi di
competenze.
Più in dettaglio con la legge 296/2006 che esplicita la strategia del ministro Fioroni
vengono legiferati alcuni importanti aspetti riguardanti l’intera struttura organizzativa
della scuola:
–– istituzione dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ANSAS);
–– ristrutturazione dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di
istruzione e formazione (INVALSI);
–– il riscontro delle regolarità amministrative e contabili presso le istituzioni scolastiche
statali è effettuato da due revisori dei conti nominati dal ministero dell’economia e
delle finanze e dal MIUR, in ambito territoriale;
–– sono attivati progetti tesi all’ampliamento qualificato dell’offerta formativa per bam-
bini tra 24 e 36 mesi. Sezioni aggregate alla scuola dell’infanzia per dare una continu-
ità al periodo 0-6 anni;
–– le competenze delle Regioni e degli enti locali nel campo dell’istruzione vengono ri-
organizzati su base provinciale e vengono istituiti i «Centri provinciali per l’istruzione
de gli adulti».
Alla legge 296/2006 fanno seguito diversi atti normativi che incidono fortemente
sull’organizzazione della scuola.
Il D.M. 139/2007, «Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’ob-
bligo di istruzione», introduce le linee guida sull’adempimento dell’obbligo scolastico.
L’istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni. L’adempimento dell’obbligo
di istruzione è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria
superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno di
età, con il conseguimento dei quali si assolve il diritto/dovere di cui al D.Lgs. 76/2005. L’e-
levamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della
persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una
positiva interazione con la realtà naturale e sociale.
L’elevamento dell’obbligo di istruzione offre anche strumenti per contrastare il feno-
meno della dispersione scolastica e formativa.
Con il termine riforma Gelmini si indica comunemente l’insieme degli atti normativi
riguardanti il settore dell’istruzione entrati in vigore durante la permanenza in carica
del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Gelmini durante il governo
Berlusconi.
Questi interventi sono contenuti in alcuni articoli della legge 133/2008, e sono pro-
seguiti con la legge 169/2008, il cui scopo principale è quello di riformare il sistema
scolastico italiano. La riforma è entrata in atto il 1° settembre 2009 per la scuola pri-
maria e secondaria di primo grado, mentre per la scuola secondaria di secondo grado
il 1° settembre 2010. La legge 240/2010 di riforma del sistema universitario è entrata
in vigore nel gennaio 2011.
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La legge 133/2008, prevede un piano programmatico del ministero dell’istruzione,
dell’Università e della Ricerca di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze
volto alla razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse disponibili e che conferiscano una
maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico. Il piano programmatico compor-
terà una più ampia revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del
sistema scolastico nonché la necessaria e successiva regolamentazione esecutiva per
la ridefinizione dei curricola scolastici, dei piani di studi e dei quadri orario vigenti nei
diversi ordini di scuola.
Le norme di attuazione legge 133/2008 sono rappresentate dai Decreti che seguono:
–– D.P.R. n. 81 del 20 marzo 2009 «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e
il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola». Il decreto introduce
l’uso efficace ed efficiente delle risorse economiche degli organici e la formazione
delle classi di ogni ordine e grado. Le dotazioni organiche e complessive vengono
definite annualmente con decreto interministeriale MIUR e MEF e gli Uffici Scolastici
Regionali (USR) intervengono nella ripartizione delle consistenze organiche a livello
provinciale;
–– D.P.R. n. 89 del 20 marzo 2009, «Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo
e didattico della scuola d’infanzia e del primo ciclo di istruzione» introduce nell’orga-
nizzazione e nel funzionamento della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzio-
ne misure di riorganizzazione e qualificazione. Ripristina l’anticipo delle iscrizioni nel-
la scuola dell’infanzia e rilancia l’apertura delle cosiddette sezioni primavera, ovvero
quelle che ospitano i bambini da 24 a 26 mesi;
–– Il decreto menzionato verrà ricordato fondamentalmente per il reinserimento del
maestro unico nella scuola primaria nonché per la variazione dell’orario settimanale
prevista da 24 a 40 ore, corrispondente al tempo pieno comprensivo della mensa. Il
modello di maestro unico elimina il precedente modello del modulo e delle compre-
senze in aula. Il decreto introduce nella scuola secondaria di primo grado un nuovo
quadro orario che prevede il potenziamento delle ore di lingua inglese e della lingua
italiana per gli alunni stranieri;
–– D.P.R. n. 122 del 22 giugno 2009, «Regolamento recante coordinamento delle norme
vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia»
applica il decreto legge coordinando tutte le norme in materia di valutazione degli
apprendimenti e del comportamento degli alunni.
Le norme più recenti adottate nel 2010 hanno comportato un riordino complessivo
dei cicli scolastici che sono quelli attualmente in vigore:
–– il D.P.R. n. 87 del 15 giugno 2010, «Regolamento recante norme per il riordino de-
gli istituti professionali» vede gli istituti professionali come parte dell’istruzione se-
condaria superiore quale articolazione del secondo ciclo del sistema di istruzione;
appartengono ad un’area tecnico-professionale unitaria finalizzata al rilascio di titoli
conclusivi e dotati di una propria identità ordinamentale. Questi hanno come rife-
rimento le filiere produttive a differenza degli Istituti Tecnici che hanno come rife-
rimento le filiere tecnologiche. Gli Istituti Professionali sono competenti nei settori
dell’istruzione e formazione professionale dell’apprendistato e nel rilascio di qualifi-
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che professionali e diplomi in conformità con gli standard fissati a livello nazionale.
–– Gli insegnamenti sono articolati in due aree: area di indirizzo generale e area di indi-
rizzo specifico. Gli obiettivi del piano di studio sono quelli di sviluppare negli studenti
le capacità dell’uso delle tecnologie e di caratterizzazione dei prodotti e dei servizi.
–– Gli istituti professionali una volta suddivisi in 5 settori con 27 indirizzi, con la riforma
vengono suddivisi in due macrosettori con un totale di 6 indirizzi. Le ore vengono
ridotte a 32 per settimana con una riduzione delle ore di laboratorio e stage esterni.
Il Tar del Lazio con sentenza n. 3527/2013 passata in giudicato ha annullato alcuni
provvedimenti previsti dalla riforma Gelmini in merito ad una contrazione dell’orario
scolastico degli istituti tecnici e professionali ridotto da 36 e 44 a 32 e con un relativo
taglio del 20% delle materie insegnate. La sentenza del Tar non ancora applicata dal
MIUR prevedrebbe quindi il ripristino delle ore di insegnamento e delle cattedre. Il
quinquennio è strutturato in due bienni e un quinto anno singolo.
–– D.P.R. n. 88 del 20 marzo 2010, «Regolamento recante norme per il riordino degli
Istituti Tecnici ai sensi dell’art. 64, comma 4 del Decreto Legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133». Gli Istituti
Tecnici forniscono una preparazione di carattere scientifico e tecnologico in confor-
mità alle indicazioni dell’Unione Europea. Gli Istituti Tecnici forniscono uno sbocco
diretto al mercato del lavoro ma anche verso l’accesso all’Università e all’istruzio-
ne tecnica superiore. Gli sbocchi menzionati sono garantiti da percorsi disciplinari
sia teorici che operativi con l’ampio uso delle metodologie laboratoriali. Gli Istitu-
ti Tecnici collaborano con le strutture formative accreditate dalle Regioni nei Poli
tecnico-professionali.
Con il riordino degli Istituti Tecnici si passa da 10 settori e 39 indirizzi a 2 settori e 11
indirizzi. L’impostazione sarà sintetizzata nella formula 2+2+1: durante il primo biennio si
studieranno materie comuni, mentre durante il secondo biennio si studieranno le materie
dell’indirizzo scelto.
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Assetto degli Istituti tecnici
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Assetto dei Licei
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1.3 Legge 107/2015. Riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative
vigenti
Il disegno di legge d’iniziativa governativa «La Buona Scuola» approvato dalla Came-
ra dei deputati in prima lettura (atto Camera n. 2994), denominato «Riforma del sistema
nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative
vigenti» e approvato in Senato (atto Senato n. 1934) con la questione di fiducia il 25 giugno
2015 giunge alla Camera dei deputati il 9 luglio 2015 ottenendo la definitiva approvazione.
L’iter di approvazione è stato caratterizzato da un’aspra contestazione sia sul metodo, rite-
nuto carente di partecipazione democratica con le componenti sociali, che nei contenuti,
in quanto l’impianto riformistico destruttura completamente alcuni capisaldi della scuola
statale pubblica. La legge 13 luglio 2015, n. 107 «Riforma del sistema nazionale di istru-
zione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti» (G.U.
n. 162 del 15 luglio 2015) è composta da un articolo con 212 commi. Una illustrazione
complessiva delle novità della stessa è utile anche per comprendere le motivazioni sulle
numerose critiche e le richieste di modifica nonché la portata della riforma.
Ai fini di una migliore lettura si evidenzia che la legge 107/2015 ha previsto un regime
transitorio di applicazione (a.s. 2015-2016) dove restano vigenti molte disposizioni (per
esempio POF annuale); la realizzazione di alcuni aspetti della riforma nell’a.s. 2016-2017
(per esempio autonomia scolastica, POF triennale, costituzione di ambiti territoriali, ul-
teriori competenze del dirigente scolastico), e ulteriori aspetti che hanno un’immediata
realizzazione (per esempio piano straordinario di assunzioni) e altri con realizzazione at-
traverso decreti successivi.
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di riorganizzare l’intero sistema di istruzione deve essere istituito l’organico dell’autono-
mia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni sco-
lastiche come emergono dal piano triennale dell’offerta formativa. Quindi autonomia,
piano di offerta formativa triennale, organico dell’autonomia, costituzione degli ambiti
territoriali, gestione degli organici da parte dei dirigenti scolastici e ulteriori competenze
dirigenziali sono le parole chiave per l’interpretazione dell’assetto organizzativo a cui è
finalizzata la riforma.
17
potenziamento delle conoscenze in materia giuridica ed economico-finanziaria e di
educazione all’autoimprenditorialità;
e) sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della
legalità, della sostenibilità ambientale, dei beni paesaggistici, del patrimonio e delle
attività culturali;
f) alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle im-
magini;
g) potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di comportamenti ispirati a uno
stile di vita sano, con particolare riferimento all’alimentazione, all’educazione fisica
e allo sport, e attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti
attività sportiva agonistica;
h) sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo al pensiero
computazionale, all’utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media non-
ché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro;
i) potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio;
l) prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, di ogni forma di discriminazio-
ne e del bullismo, anche informatico; potenziamento dell’inclusione scolastica e del
diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi indivi-
dualizzati e personalizzati anche con il supporto e la collaborazione dei servizi socio-
sanitari ed educativi del territorio e delle associazioni di settore e l’applicazione delle
Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati, emanate dal
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il 18 dicembre 2014;
m) valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in gra-
do di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale,
comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese;
n) apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per
classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo sco-
lastico o rimodulazione del monte orario rispetto a quanto indicato dal regolamento
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89;
o) incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione;
p) valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e coinvolgimento degli alunni e
degli studenti;
q) individuazione di percorsi e di sistemi funzionali alla premialità e alla valorizzazione
del merito degli alunni e degli studenti;
r) alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso cor-
si e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare an-
che in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l’apporto delle comunità
di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali;
s) definizione di un sistema di orientamento.
L’art. 1, comma 10, configura come ulteriori attività definite aggiuntive (nell’ambito
delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comun-
que, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica) iniziative di formazione
rivolte agli studenti, per promuovere la conoscenza delle tecniche di primo soccorso, nel
18
rispetto dell’autonomia scolastica, anche in collaborazione con il Servizio di Emergenza Ter-
ritoriale “118’’ del Servizio Sanitario Nazionale e con il contributo delle realtà del territorio.
Secondo la riforma a partire dall’anno scolastico 2016-2017 l’organico dell’autono-
mia dovrà comprendere l’organico di diritto, l’adeguamento dell’organico alle situazioni
di fatto, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009 e i posti per il
potenziamento dell’offerta formativa. Sull’organico dell’autonomia, la cui definizione si
baserà sulla programmazione dell’offerta formativa (POF) a carattere triennale, il dirigen-
te scolastico potrà individuare, con il rispetto di alcuni criteri fissati dalla L. 107/2015,
i docenti che possono realizzarla. L’organico dell’autonomia sarà determinato su base
regionale. Pertanto dall’anno scolastico 2016-2017 i ruoli del personale docente saranno
regionali, articolati in ambiti territoriali e suddivisi per gradi d’istruzione, classi di concor-
so e tipologia di posto. Il nuovo organico dell’autonomia darà alla scuola l’8% di docenti
in più, una media di 7 docenti aggiuntivi per ciascun istituto. Con l’organico dell’autono-
mia la dotazione di personale scolastico e la sua collocazione devono essere organizzate
per istituto scolastico secondo l’unico codice meccanografico e non più per plesso.
1.3.3 Rimodulazione del monte ore, apertura estiva delle istituzioni scolastiche
Con l’articolo 1, commi 2-3, 5, 28, 64, 70, della legge 107/2015 viene ribadita l’autono-
mia scolastica per la piena realizzazione del curricolo e degli obiettivi da attuare attraverso
alcuni strumenti: la possibilità di rimodulare il monte ore annuale di ciascuna disciplina e
delle attività e insegnamenti interdisciplinari; il potenziamento del tempo scuola anche
oltre i modelli e i quadri orari nei limiti della dotazione organica dell’autonomia; la pro-
grammazione plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo. Le scuole dovranno
dunque garantire l’apertura pomeridiana delle scuole e la riduzione del numero di alunni e
di studenti per classe o potranno prevedere l’articolazione di gruppi di classi, anche attra-
verso il potenziamento del tempo scuola o attraverso la rimodulazione del monte orario
in conformità a quanto indicato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 89/2009.
Infine, le scuole potranno programmare l’apertura estiva durante la sospensione dell’atti-
vità didattica. Infatti, gli istituti e gli enti locali, anche in collaborazione con le famiglie e le
associazioni del territorio, vengono indicati come soggetti incaricati di promuovere attività
educative, ricreative, culturali, artistiche e sportive da svolgersi negli edifici scolastici senza
nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica. Sebbene non venga direttamente esplici-
tato quali soggetti debbano svolgere le attività previste durante il periodo estivo la legge
107/2015, art. 1, comma 5, prevede che i docenti dell’organico dell’autonomia concorrono
alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento,
potenziamento, sostegno, organizzazione, progettazione e coordinamento.
19
disabilità, può ridurre il numero di alunni per classe, ma tale possibilità dovrà essere
realizzata «parimenti, nel rispetto del limite sulla dotazione organica prevista, e compor-
tare un aumento di tale limite nelle altre classi» come specificato da una scheda tecnica
allegata alla legge 107/2015. In altri termini la riduzione del numero degli allievi non può
tradursi in un aumento di organico, ma in effetti in una redistribuzione.
Con la modifica dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, prevista dalla legge 107/2015, il piano dell’offerta
formativa (POF) non ha più carattere annuale ma triennale, con una possibile revisione
annuale da presentare entro il mese di ottobre. Si evidenzia che l’attivazione del POF
triennale è prevista dall’a.s. 2016-2017. L’iter di preparazione del Piano dell’offerta pre-
vede elaborazione da parte del Collegio dei docenti sulla base degli indirizzi definiti dal
dirigente scolastico e deve essere approvato dal Consiglio di istituto. Il nuovo POF trien-
nale dovrà prevedere, oltre alla programmazione didattica, il fabbisogno dei posti comu-
ni e di sostegno dell’organico dell’autonomia sulla base del monte ore degli insegnamen-
ti, nonché del numero di alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire
posti di sostegno in deroga e il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta
formativa. Il piano indica altresì il fabbisogno relativo ai posti del personale amministra-
tivo, tecnico e ausiliario, nel rispetto dei limiti e dei parametri stabiliti dal regolamento
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 119, tenuto conto
di quanto previsto dall’articolo 1, comma 334 della legge 29 dicembre 2014, n. 190, il
fabbisogno di infrastrutture e di attrezzature materiali, nonché i piani di miglioramento
(risultato di un processo di valutazione denominato RAV) dell’istituzione scolastica pre-
visti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n.
80. Le istituzioni scolastiche predispongono, entro il mese di ottobre dell’anno scolastico
precedente al triennio di riferimento, il piano triennale dell’offerta formativa. L’ufficio
scolastico regionale verifica che il Piano triennale dell’offerta formativa rispetti il limite
dell’organico assegnato a ciascuna istituzione scolastica e trasmette al Ministero dell’i-
struzione, dell’università e della ricerca gli esiti della verifica provvedendo quindi al fi-
nanziamento della dotazione organica complessiva del personale docente. L’attivazione
del POF triennale (2016-2017) esprime e motiva l’organico dell’autonomia: sarà il diri-
gente scolastico ad individuare il personale da assegnare ai posti con le modalità inerenti
ai nuovi ambiti territoriali. A decorrere dall’anno scolastico 2016/2017 con decreto del
dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale, l’organico dell’autonomia è ripartito
tra gli ambiti territoriali. Il personale docente assunto nella seconda e terza fase del Pia-
no assunzionale straordinario, e l’eventuale personale docente che risultasse nell’anno
scolastico 2016-2017 in esubero o soprannumerario, è assegnato ai costituendi ambiti
territoriali. Dall’anno scolastico 2016/2017 la mobilità territoriale e professionale del
personale docente opera prevalentemente tra gli ambiti territoriali. Successivamente
è stata approvata un’applicazione più moderata dell’assegnazione del docente all’ambito
territoriale (comprendente più scuole in un’area territoriale). I docenti, infatti, conser-
20
veranno la titolarità su singola scuola in alcune circostanze mentre in altre verranno
assegnati agli ambiti territoriali.
21
La terza e ultima fase (che denomineremo fase C) è nazionale, ovvero si è realizzata
sulla base della disponibilità dei posti rilevata a livello di territorio nazionale relativa-
mente ai nuovi posti per il potenziamento, e ha riguardato i posti dell’organico aggiunti-
vo e quelli di potenziamento sul sostegno. Ad essere interessati sono gli iscritti nelle GM
del concorso 2012 e nelle GAE. Anche in questo caso i docenti delle GM del concorso 2012
sono stati assunti con priorità assoluta su quelli delle GAE come nella precedente fase, in
deroga alla procedura prevista dall’art. 399, D.Lgs. 297/1994. La legge 107/2015 confer-
ma che per l’immissione in ruolo verranno considerati il punteggio, i titoli di preferenza
e precedenza. La decorrenza giuridica delle assunzioni derivanti dalla terza fase è il 1°
settembre 2015, mentre la decorrenza economica del relativo contratto di lavoro è dalla
presa di servizio presso la sede assegnata. Gli assunti in queste due fasi avranno una sede
provvisoria e con la mobilità 2016/2017 hanno potuto chiedere il trasferimento negli am-
biti territoriali a livello nazionale (ma senza avere più una titolarità di sede).
Nel corso dell’attuazione del piano assunzionale sono emerse numerose criticità.
Nell’anno scolastico 2015-2016 a molti docenti è stata assegnata una sede provviso-
ria e per avere la sede definitiva la maggior parte dei neoimmessi in ruolo ha dovuto
partecipare al piano di mobilità straordinaria che ha portato a spostamenti dal sud al
nord d’Italia. Inoltre, l’esistenza di criteri e regole differenti adottate nelle singole fasi
di reclutamento sono andate a creare un sistema di tutele differenziato tra i docenti
immessi in ruolo: tutti i docenti immessi in ruolo prima di settembre 2015 (soprattut-
to quelli immessi in ruolo durante la fase 0/A) hanno conseguito una sede definitiva e
non sono stati soggetti all’inserimento nell’ambito territoriale, mentre i docenti immessi
in ruolo secondo le fasi successive, i docenti soprannumerari, in esubero o che hanno
chiesto trasferimento non hanno visto riconosciute le tutele relative alla titolarità della
cattedra perché obbligatoriamente inseriti nell’ambito territoriale. Nell’anno scolastico
2016-2017 i docenti assunti nelle fasi B e C hanno prodotto domanda di trasferimento
su tutto il territorio nazionale, per l’assegnazione dell’ambito territoriale definitivo, che
quindi è stato frequentemente diverso da quello assegnato a settembre 2015. Una vol-
ta ottenuto l’ambito territoriale definitivo, i docenti sono stati individuati dai dirigenti
scolastici delle scuole dell’ambito territoriale di appartenenza, secondo il sistema delle
candidature e valutazione del curriculum. Al contrario i docenti assunti in fase A non ri-
entrano nel sistema ambiti territoriali e hanno conservato la titolarità della sede se non
hanno partecipato alla mobilità straordinaria.
Sono stati esclusi dal Piano straordinario di assunzioni i docenti già di ruolo ma che
per altra classe di concorso sono ancora iscritti nelle GAE o nelle Graduatorie di Merito,
i soggetti che non sciolgano la riserva per conseguimento del titolo abilitante entro il
30 giugno 2015, gli iscritti nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, gli abilitati
attraverso il TFA e PAS. Si esclude, inoltre, che, a decorrere dall’anno scolastico 2015-
2016, i posti per il potenziamento (organico dell’autonomia che è generato dal piano
dell’offerta triennale) possano essere coperti con personale titolare di contratti di sup-
plenza breve e saltuaria. Per il solo anno scolastico 2015-2016, detti posti non possono
essere destinati alle supplenze di cui all’articolo 40, comma 9, della legge 27 dicembre
1997, n. 449 e non sono disponibili per le operazioni di mobilità, utilizzazione o asse-
gnazione provvisoria.
22
1.3.7 Supplenze per gli iscritti in prima fascia delle graduatorie di circolo e d’i-
stituto
La prima fascia delle graduatorie di circolo e d’istituto del personale docente ed edu-
cativo previste dall’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubbli-
ca istruzione 13 giugno 2007, n. 131, continua a esplicare la propria efficacia, per i soli
soggetti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo
già iscritti alla data di entrata in vigore della legge e non assunti a seguito del piano
straordinario.
23
• il Ministero può disporre l’aggregazione territoriale dei concorsi in ragione dell’esiguo
numero di posti conferibili (e non più dell’esiguo numero dei candidati);
• l’attribuzione di punteggi legati all’inclusione in precedenti graduatorie di merito di-
viene facoltativa;
• le graduatorie di merito sono composte da un numero di candidati pari, al massimo,
ai posti messi a concorso, maggiorati del 10 per cento, e hanno validità al massimo
triennale (con decorrenza dall’a.s. successivo a quello di approvazione delle stesse),
perdendo comunque efficacia all’atto della pubblicazione delle graduatorie del con-
corso successivo;
• per la partecipazione ai concorsi pubblici per titoli ed esami è dovuto un diritto di
segreteria, il cui ammontare è stabilito nei relativi bandi; le somme riscosse sono
versate allo Stato per essere riassegnate al MIUR per lo svolgimento della procedura
concorsuale.
Con riguardo alla procedura per le assunzioni si stabilisce che, sia i candidati che si
collocano in una posizione utile nelle graduatorie di merito dei concorsi (limitatamente
al numero di posti messi a concorso), sia i soggetti utilmente collocati nelle graduatorie
ad esaurimento, sono destinatari di proposta di incarico e sono tenuti ad esprimere,
secondo l’ordine delle rispettive graduatorie, la preferenza per l’ambito territoriale ri-
compreso nella regione per cui hanno concorso, ovvero nella provincia in cui sono iscritti.
Peraltro, per i soli candidati vincitori di concorsi si precisa che la rinuncia all’assunzione o
la mancata accettazione della proposta senza validi motivi comportano la cancellazione
dalla graduatoria di merito. Invece, per l’iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento, si ri-
badisce solo che non è consentita la permanenza di docenti che abbiano già stipulato con-
tratto a tempo indeterminato (art. 1, comma 4-quinquies, D.L. 134/2009, L. 167/2009).
Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ferma restando la procedu-
ra autorizzatoria, prevede l’indizione, entro il 1° dicembre 2015, di un concorso per titoli
ed esami per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzio-
ni scolastiche ed educative per la copertura dei posti vacanti e disponibili nell’organico
dell’autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio.
Limitatamente al predetto bando sono valorizzati, fra i titoli valutabili in termini di
maggiore punteggio:
a) il titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito a seguito sia dell’accesso ai per-
corsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del
conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico (potenziali destinatari
dovrebbero essere gli iscritti nella II fascia delle graduatorie di circolo e di istituto,
comprendente gli aspiranti non inseriti nelle graduatorie ad esaurimento ma forniti
di specifica abilitazione, nonché i soggetti che hanno frequentato i tirocini formativi
attivi o i percorsi speciali abilitanti e quanti hanno conseguito il titolo di laurea in
scienze della formazione primaria);
b) il servizio prestato a tempo determinato, per un periodo continuativo non inferiore
a centottanta giorni, nelle istituzioni scolastiche ed educative statali di ogni ordine e
grado.
Ai concorsi pubblici per titoli ed esami non può comunque partecipare il personale
24
docente ed educativo già assunto su posti e cattedre con contratto individuale di lavoro
a tempo indeterminato nelle scuole statali.
25
lastici è prevista a partire dal 2016. È questa la modalità che è stata denominata come
«chiamata diretta». Viene introdotto il principio di trasparenza e pubblicità dei criteri
adottati per gli incarichi conferiti e la pubblicazione sul sito internet dell’istituzione sco-
lastica dei curricula dei docenti e sull’istituendo Portale Unico. Il dirigente, per la coper-
tura dei posti della scuola, «propone» gli incarichi triennali ai docenti di ruolo assegnati
all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature spontanee
presentate dai docenti ed eventualmente organizzando dei colloqui. Per l’assegnazione
della sede, però, varranno le precedenze della legge 104, articoli 21 e 33, comma 6. Di
conseguenza i docenti con disabilità personale avranno la priorità nella sede presso cui
invieranno il curriculum. Il dirigente scolastico potrà inoltre utilizzare i professori in classi
di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché non siano disponibili
nell’ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso e siano in possesso
di titoli di studio, percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegna-
menti da impartire.
La proposta di incarico dovrà avvenire sulla base dei seguenti criteri: durata triennale
e rinnovabile per ulteriori cicli triennali; conferimento degli incarichi con modalità che
valorizzino il curriculum, le esperienze e le competenze professionali.
Il fatto che l’incarico abbia durata triennale e sia rinnovato, «purché in coerenza con il
piano dell’offerta formativa», dovrebbe significare che esso si rinnova automaticamente
fino a che nel POF non ci siano modifiche relative alle materie d’insegnamento. Il manca-
to rinnovo dell’impiego dovrebbe teoricamente essere correlato non alla discrezionalità
del dirigente, ma ad una modifica di progettazione dell’intero istituto.
Il dirigente scolastico, nel conferire gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’am-
bito territoriale di riferimento, è tenuto a dichiarare l’assenza di cause di incompatibilità
derivanti da rapporti di parentela o affinità entro il secondo grado con i docenti iscritti
nel relativo ambito territoriale.
26
tazione negativa il soggetto ha diritto a un secondo periodo di formazione e prova, non
rinnovabile.
27
a valorizzare il merito del personale docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di
ogni ordine e grado. Il bonus ha natura di retribuzione accessoria e viene assegnato
su base annuale.
Il comitato esprime altresì il proprio parere sul superamento del periodo di formazio-
ne e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine il Comitato è composto dal
dirigente scolastico, che lo presiede, dai docenti e, infine, dal docente a cui sono date le
funzioni di tutor (viene quindi esclusa la componente di rappresentanza studenti).
Le norme sulla valutazione sollevano perplessità sul metodo (carenza di parametri
scientifici e oggettivi) e sulla ricaduta della valutazione (per esempio l’indebolimento
della contrattazione sindacale d’istituto sulle prestazioni accessorie) e le reali conse-
guenze sui docenti in ruolo (ovvero non in prova) in caso di valutazione negativa.
28
d’inizio del conto alla rovescia per il personale della scuola con contratti a tempo deter-
minato. Il limite di durata dei contatti a tempo determinato a decorrere da quella data è
di 36 mesi per i contratti di docenti e personale ATA – per la copertura di posti vacanti e
disponibili. Dopo 36 mesi, anche non continuativi, i docenti e il personale ATA non pos-
sono più ricevere proposte di incarichi a tempo determinato. Inoltre, la legge 107/2015
istituisce il Fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi
ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine
per una durata complessiva superiore a 36 mesi, anche non continuativi, su posti vacanti
e disponibili, con la dotazione di 10 milioni euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Al
riguardo, è stato previsto che l’accesso al Fondo deve avvenire nel rispetto della disci-
plina generale sull’esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni (art.
14, D.L. 669/1996 – L. 30/1997).
1.3.22 School bonus e detrazioni IRPEF per le iscrizioni alle scuole paritarie
Per le erogazioni liberali in denaro destinate agli investimenti in favore di tutti gli istituti
del sistema nazionale di istruzione, per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, la ma-
29
nutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino
l’occupabilità degli studenti, spetta un credito d’imposta pari al 65% delle erogazioni effettua-
te in ciascuno dei due periodi d’imposta successivi al 31 dicembre 2014 e pari al 50% di quelle
effettuate nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016.
Il credito d’imposta è riconosciuto alle persone fisiche nonché agli enti non com-
merciali e ai soggetti titolari di reddito d’impresa, a condizione che il 10% delle relative
erogazioni liberali in denaro sia preso in carico dal MIUR che lo distribuisce nelle scuole
che hanno ricevuto meno fondi rispetto alla media nazionale attraverso un fondo pe-
requativo. Il credito di imposta non è cumulabile con altre agevolazioni previste per le
medesime spese. Le spese sono ammesse in detrazione nel limite dell’importo massimo
di euro 100.000 per ciascun periodo di imposta.
Per i soggetti titolari di reddito d’impresa, il credito d’imposta è utilizzabile tramite
compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 e
successive modificazioni, e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta re-
gionale sulle attività produttive.
I soggetti beneficiari delle erogazioni liberali menzionate comunicano mensilmente
al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca l’ammontare delle erogazioni
liberali ricevute nel mese di riferimento e provvedono altresì a dare pubblica comunica-
zione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell’utilizzo delle erogazioni stesse
tramite il proprio sito web istituzionale e nel portale telematico del Ministero dell’istru-
zione, dell’università e della ricerca, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia
di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
La legge prevede che le spese per la frequenza di scuole dell’infanzia del primo ciclo
di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzio-
ne di cui all’articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62 («Norme per la parità scolastica
e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione») e successive modificazioni, per un
importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente, godono di una detrazio-
ne IRPEF del 19% per ogni alunno fino a un tetto di 400 euro per le rette di elementari,
medie e superiori paritarie.
30
ambienti di apprendimento digitale e dall’apertura al territorio. Per la realizzazione del-
le scuole innovative è utilizzata quota parte delle risorse INAIL – fino a 300 milioni di
euro nel triennio 2015-2017 – di cui all’art. 18, comma 8, del D.L. 69/2013.
Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con proprio decreto, d’intesa
con la Struttura di missione per il coordinamento ed impulso nell’attuazione di interven-
ti di riqualificazione dell’edilizia scolastica, istituita con decreto del Presidente del Con-
siglio dei Ministri 27 maggio 2014 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in oggetto provvede a ripartire
le risorse finanziare (euro 300 milioni nel triennio 2015-2017 di cui sopra) tra le regioni
e individua i criteri per l’acquisizione da parte delle stesse regioni delle manifestazioni
di interesse degli enti locali proprietari delle aree oggetto di intervento e interessati alla
costruzione di una scuola innovativa.
Le regioni provvedono a selezionare almeno uno e fino a cinque interventi sul pro-
prio territorio. Il MIUR indirà quindi un avviso pubblico per la realizzazione dei progetti
selezionati. Inoltre, vengono rafforzate le funzioni dell’Osservatorio per l’edilizia scola-
stica di cui all’articolo 6 della legge 11 gennaio 1996, n. 23, al quale, in particolare, saran-
no affidati compiti di indirizzo e di programmazione degli interventi e la redazione di un
piano del fabbisogno nazionale 2015-2017, al quale sono destinate risorse già stanziate
e non utilizzate.
Il governo ha poi deciso di ridurre le sanzioni per gli enti locali che non hanno rispet-
tato gli obiettivi del patto di stabilità 2014 e hanno sostenuto, nello stesso anno, spese
per l’edilizia scolastica. Ulteriore fonte di finanziamento per l’edilizia scolastica è a valere
sui rimborsi delle quote dell’Unione europea e di cofinanziamento nazionale della pro-
grammazione PON FESR 2007/2013. Infine, vengono stanziati 40 milioni per il 2015 per il
finanziamento di indagini diagnostiche dei solai e dei controsoffitti degli edifici scolastici.
Viene istituita la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole.
31
re il fenomeno dei giovani non occupati e non in istruzione e formazione (i cosidetti
NEET), favorire la conoscenza della lingua italiana da parte degli stranieri adulti e soste-
nere i percorsi di istruzione negli istituti di prevenzione e pena. Il Ministero dell’istruzio-
ne, dell’università e della ricerca, con la collaborazione dell’INDIRE, riceve dalla legge
107/2015 il compito di effettuare un monitoraggio annuale dei percorsi e delle attività di
ampliamento dell’offerta formativa dei Centri di istruzione degli adulti e più in generale
sull’applicazione del regolamento di cui al D.P.R. 29 ottobre 2012, n 263. Decorso un
triennio dal completo avvio del nuovo sistema di istruzione degli adulti e sulla base degli
esiti del monitoraggio, possono essere apportate modifiche al predetto regolamento ai
sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. La riorganizzazione
sulla materia sarà affidata all’adozione di un nuovo regolamento o una parziale revisione
di quello vigente.
32
di cittadinanza attiva e democratica, della cultura della pace, della solidarietà e della
legalità. Il testo, in particolare, prevede il potenziamento delle «metodologie labora-
toriali e della attività di laboratorio»;
• è stata inserita come prioritaria l’attività di contrasto alla dispersione scolastica, al
bullismo, anche di carattere informatico (il cosiddetto «cyberbullismo»), nonché la
più ampia azione di inclusione scolastica. Le scuole dovranno garantire il diritto allo
studio degli alunni «con bisogni educativi speciali» e anche attivarsi per percorsi in-
dividualizzati e personalizzati;
• è richiesta la progettazione per il rafforzamento del collegamento fra scuola e lavoro,
attraverso l’introduzione di una durata minima dei percorsi di alternanza negli ultimi
3 anni di scuola secondaria di secondo grado (almeno 400 ore negli istituti tecnici e
professionali e almeno 200 ore nei licei), che diventano obbligatori (e non più un’op-
zione metodologica). Le scuole, per favorire lo sviluppo della didattica laboratoriale,
possono dotarsi di laboratori territoriali per l’occupabilità (art. 1, comma 60);
• la possibilità di svolgere nuove attività educative, culturali, artistiche e sportive negli
edifici scolastici è prevista anche nei periodi di sospensione dell’attività didattica (art.
1, comma 22);
• è sollecitato il potenziamento delle competenze digitali (art. 1, commi 56-59).
Tutte le esperienze maturate dallo studente durante gli studi, nonché le esperienze
formative svolte in ambito extrascolastico (quali sport, attività culturali e di volontariato)
saranno inserite nel curriculum dello studente, di cui si terrà conto nel corso del collo-
quio dell’esame di maturità (art. 1, commi 28 e 30).
Le scuole potranno individuare – nell’ambito dell’organico dell’autonomia – il perso-
nale ATA per il coordinamento del contesto amministrativo e informatico delle attività
del Piano nazionale della scuola digitale.
33
È prevista una maggiore integrazione fra i percorsi di istruzione secondaria di secon-
do grado e i percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza regionale.
La legge 107/2015 introduce la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alter-
nanza scuola-lavoro, concernente i diritti e i doveri degli studenti della scuola secondaria
di secondo grado impegnati nei percorsi di formazione di cui all’articolo 4 della legge 28
marzo 2003, n. 53, come definiti dal decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, con parti-
colare riguardo alla possibilità per lo studente di esprimere una valutazione sull’efficacia
e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio indirizzo di studio.
È competenza del dirigente scolastico individuare gli enti ospitanti e gli studenti
e concludere le convenzioni, nonché formulare una scheda sintetica di monitoraggio
sull’esperienza di tirocinio presso l’azienda.
Per rendere strutturale il percorso dell’alternanza ed effettuare l’assistenza tecnica
e il monitoraggio dell’attuazione delle stesse è autorizzata la spesa di euro 100 milioni
annui a partire dal 2016. Una parte dei fondi che lo Stato stanzia per gli istituti tecnici
sarà legata (per il 30%) agli esiti dei diplomati nel mondo del lavoro.
34
dotate di un patrimonio, uniforme per tutto il territorio nazionale, non inferiore a
50.000 euro e comunque che garantisca la piena realizzazione di un ciclo completo
di percorsi;
e) prevedere per le fondazioni di partecipazione cui fanno capo gli istituti tecnici supe-
riori un regime contabile e uno schema di bilancio per la rendicontazione dei percorsi
uniforme in tutto il territorio nazionale;
f) prevedere che le fondazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge
possano attivare nel territorio provinciale altri percorsi di formazione anche in filiere
diverse, fermo restando il rispetto dell’iter di autorizzazione. In questo caso gli istituti
tecnici superiori devono essere dotati di un patrimonio non inferiore a 100.000 euro.
Saranno quindi normati: la semplificazione delle procedure per lo svolgimento delle
prove conclusive dei percorsi; l’indicazione della disponibilità di un patrimonio minimo
per il riconoscimento della personalità giuridica delle fondazioni di partecipazione cui
fanno capo gli IFTS; i criteri per il riconoscimento dei crediti acquisiti a conclusione dei
percorsi ai fini dell’accesso ai corsi di laurea.
Viene inoltre introdotto, dal 2016, un meccanismo premiale per l’assegnazione di parte
delle risorse finanziarie. Dal 2016 sale dal 10% al 30% la quota premiale per i migliori isti-
tuti tecnici superiori tenendo conto del numero dei diplomati e del tasso di occupabilità
a dodici mesi raggiunti in relazione ai percorsi attivati da ciascuno di essi, con riferimento
alla fine dell’anno precedente a quello del finanziamento. Per il riconoscimento della per-
sonalità giuridica da parte del prefetto, le fondazioni di partecipazione cui fanno capo gli
ITS dovranno essere dotate di un patrimonio, uniforme in tutt’Italia, non inferiore a 50mila
euro. Inoltre, si riconosce la possibilità che un singolo ITS possa attivare corsi in due diversi
settori tecnologici purché abbia un patrimonio non inferiore a 100.000 euro.
35
2016-2017, prioritariamente su posti comuni e posti di sostegno vacanti e disponibili,
tenendo conto – oltre che delle candidature presentate dagli stessi docenti, anche delle
precedenze nell’assegnazione della sede previste, per i soggetti con disabilità, dalla L.
104/1992. È stato puntualizzato che l’incarico è rinnovato per ulteriori tre anni purché in
coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa.
Il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle
per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento
della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegna-
menti da impartire e purché non siano disponibili nell’ambito territoriale docenti abilitati
in quelle classi di concorso.
Il dirigente scolastico formula la proposta di incarico in coerenza con il piano dell’of-
ferta formativa. Gli incarichi, viene specificato, sono conferiti con modalità che valoriz-
zino il curriculum, le esperienze e le competenze professionali, anche prevedendo lo
svolgimento di colloqui. La trasparenza e la pubblicità dei criteri adottati, degli incarichi
conferiti e dei curricula dei docenti devono essere assicurate attraverso la pubblicazione
nel sito internet dell’istituzione scolastica.
Nel caso di più proposte di incarico è il docente a scegliere, fermo restando l’obbligo
di accettarne almeno una. In caso di inerzia dei dirigenti scolastici o di docenti che non
abbiano ricevuto alcuna proposta, è l’Ufficio scolastico regionale a provvedere d’ufficio.
Nel conferire gli incarichi, il dirigente scolastico è tenuto a dichiarare l’assenza di cau-
se di incompatibilità derivanti da rapporti di coniugio, parentela o affinità, entro il secon-
do grado, con i docenti assegnati al relativo ambito territoriale.
Il dirigente scolastico può utilizzare il personale docente dell’organico dell’autonomia
per la copertura delle supplenze temporanee fino a 10 giorni e può individuare nell’am-
bito dell’organico dell’autonomia fino al 10% di docenti che lo coadiuvano.
Il dirigente scolastico, nell’ambito dell’organico dell’autonomia assegnato e delle ri-
sorse, anche logistiche, disponibili, riduce il numero di alunni e di studenti per classe
rispetto a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repub-
blica 20 marzo 2009, n. 81, allo scopo di migliorare la qualità didattica anche in rapporto
alle esigenze formative degli alunni con disabilità.
Il dirigente scolastico può effettuare le sostituzioni dei docenti assenti per la coper-
tura di supplenze temporanee fino a dieci giorni con personale dell’organico dell’autono-
mia che, ove impiegato in gradi di istruzione inferiore, conserva il trattamento stipendia-
le del grado di istruzione di appartenenza.
In ragione delle competenze attribuite ai dirigenti scolastici, a decorrere dall’anno
scolastico 2015-2016 il Fondo unico nazionale per la retribuzione della posizione, fissa e
variabile, e della retribuzione di risultato dei medesimi dirigenti è incrementato in misu-
ra pari a euro 12 milioni per l’anno 2015 e a euro 35 milioni annui a decorrere dall’anno
2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato. Il Fondo è altresì incrementato di ulteriori
46 milioni di euro per l’anno 2016 e di 14 milioni di euro per l’anno 2017 da corrisponde-
re a titolo di retribuzione di risultato una tantum.
36
1.3.33 Sistema di valutazione dell’operato del dirigente scolastico
Ulteriori novità riguardano la valutazione dei dirigenti scolastici – connessa alla retri-
buzione di risultato – per la quale si richiama l’art. 25, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 (in
base al quale i dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati e sono valutati tenendo
conto delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l’amministra-
zione scolastica regionale).
È stato specificato che, nell’individuazione degli indicatori per la valutazione (che,
in base all’art. 3 del D.P.R. 80/2013 devono essere definiti dall’INVALSI), si tiene conto
del contributo del dirigente per il perseguimento dei risultati, per il miglioramento del
servizio scolastico previsto nel rapporto di autovalutazione e dei criteri specificamente
indicati, riguardanti, fra l’altro, competenze gestionali ed organizzative per il raggiun-
gimento dei risultati, correttezza, trasparenza, valorizzazione dell’impegno e dei meriti
professionali del personale, anche con riferimento agli ambiti collegiali, per il contributo
al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti, per la direzione uni-
taria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse
componenti della comunità scolastica, valorizzazione dei meriti del personale dell’istitu-
to. Con riferimento al nucleo di valutazione – che, in base all’art. 25, comma 1, del D.Lgs.
165/2001 è presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti
all’amministrazione stessa – è stato previsto che lo stesso può essere articolato con una
diversa composizione «in relazione al procedimento e agli oggetti della valutazione».
Per la valutazione dell’operato dei dirigenti scolastici, per il triennio 2016-2018, po-
tranno essere affidati incarichi ispettivi a tecnici del Ministero dell’istruzione. Ulteriori
novità sono intervenute con riferimento all’attribuzione di incarichi temporanei di durata
non superiore a 3 anni per le funzioni ispettive: in particolare, è stato previsto che gli stes-
si siano conferiti previo avviso pubblico e mediante valutazione comparativa dei curricula.
La legge 107/2015 prevede un aumento delle risorse del Fondo unico nazionale per
la retribuzione della posizione, fissa e variabile, e della retribuzione di risultato dei di-
rigenti scolastici. Nella legge suddetta viene deciso che per quest’anno il Fondo dovrà
essere incrementato di 46 milioni, che queste risorse siano utilizzate per il triennio scola-
stico passato (dal 2012 al 2015) e altri 14 milioni vengono stanziati per l’anno scolastico
2015- 2016 e 36 milioni di euro all’anno a partire dal 2016.
1.3.34 Salvataggio dei dirigenti scolastici i cui concorsi sono stati annullati
Nella legge 107/2015 vengono introdotte alcune norme relative all’incarico di diri-
genza scolastica a carattere derogatorio dovute al fatto che il concorso per i dirigenti
scolastici previsto per 31 marzo 2015 non è stato ancora bandito. Nella legge di riforma
si cita che al fine di tutelare le esigenze di economicità dell’azione amministrativa e di
prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico dei possibili esiti del contenzioso pen-
dente relativo ai concorsi per dirigente scolastico con decreto del Ministro dell’istruzio-
ne, dell’università e della ricerca, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge, sono definite le modalità di svolgimento di un corso intensivo di
formazione e della relativa prova scritta finale, volto all’immissione dei seguenti soggetti:
37
a) i soggetti già vincitori ovvero utilmente collocati nelle graduatorie ovvero che abbia-
no superato positivamente tutte le fasi di procedure concorsuali successivamente
annullate in sede giurisdizionale, relative al concorso per esami e titoli per il recluta-
mento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del Ministero dell’istru-
zione, dell’università e della ricerca 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficia-
le, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio 2011;
b) i soggetti che abbiano avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio
ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della presente legge, alcuna sen-
tenza definitiva, nell’ambito del contenzioso riferito ai concorsi per dirigente scolastico
di cui al decreto direttoriale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 no-
vembre 2004, e al decreto del Ministro della pubblica istruzione 3 ottobre 2006, pubbli-
cato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 76 del 6 ottobre 2006, ovvero avverso la
rinnovazione della procedura concorsuale ai sensi della legge 3 dicembre 2010, n. 202.
Le graduatorie regionali – di cui al comma 1-bis dell’articolo 17 del decreto legge 12
settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013,
n. 128, e successive modificazioni, nelle regioni in cui, alla data di adozione della legge
107/2015, sono in atto i contenziosi relativi al concorso ordinario per il reclutamento di
dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del Ministero dell’istruzione, dell’uni-
versità e della ricerca 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale,
n. 56 del 15 luglio 2011 – rimangono aperte in funzione degli esiti dei percorsi formativi
con prova finale menzionati.
I soggetti precedentemente menzionati, che nell’anno scolastico 2014-2015 hanno
prestato servizio con contratti di dirigente scolastico, sostengono una sessione specia-
le di esame consistente nell’espletamento di una prova orale sull’esperienza maturata,
anche in ordine alla valutazione sostenuta, nel corso del servizio prestato. A seguito del
superamento di tale prova con esito positivo, sono confermati i rapporti di lavoro instau-
rati con i predetti dirigenti scolastici.
38
sunzionali. Prevedono, altresì, la conferma anche per l’a.s. 2015-2016 del contingente
di 300 unità di docenti e dirigenti scolastici collocati fuori ruolo per compiti connessi
con l’attuazione dell’autonomia scolastica, di cui l’amministrazione scolastica centrale e
periferica può avvalersi, in deroga al limite di 150 unità previsto dall’art. 26, comma 8,
primo periodo, della L. 448/1998. Infine, durante l’esame al Senato è stato previsto che
il divieto di comando, distacco, fuori ruolo del medesimo personale scolastico dal 1° set-
tembre 2015 (art. 1, comma 331, della L. 190/2014), non si applica nell’a.s. 2015-2016.
39
A decorrere dall’anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in
vigore della legge 107/2015, le istituzioni scolastiche promuovono, all’interno dei pia-
ni triennali e in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, azioni coerenti con le finalità, i princìpi e gli strumenti previsti nel Piano nazio-
nale per la scuola digitale.
Il Piano nazionale per la scuola digitale persegue i seguenti obiettivi:
a) realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti,
anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo
settore e imprese;
b) potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la for-
mazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche;
c) adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire la governance, la tra-
sparenza e la condivisione di dati, nonché lo scambio di informazioni tra dirigenti,
docenti e studenti e tra istituzioni scolastiche ed educative e articolazioni ammini-
strative del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
d) formazione dei docenti per l’innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale
per l’insegnamento, l’apprendimento e la formazione delle competenze lavorative,
cognitive e sociali degli studenti;
e) formazione dei direttori dei servizi generali e amministrativi, degli assistenti ammini-
strativi e degli assistenti tecnici per l’innovazione digitale nell’amministrazione;
f) potenziamento delle infrastrutture di rete, sentita la Conferenza unificata di cui all’ar-
ticolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con
particolare riferimento alla connettività nelle scuole;
g) valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche anche attraverso
la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e di formazione.
Si prevede che il MIUR adotti il Piano nazionale scuola digitale, in coerenza con il quale
le scuole promuovono le summenzionate attività e possono individuare docenti cui affidare
il relativo coordinamento. Ai docenti può essere affiancato un insegnante tecnico-pratico.
40
Per l’attuazione delle finalità indicate, nel 2015 si utilizzano 90 milioni di euro delle
risorse impegnate nel 2014 a valere sul Fondo per il funzionamento delle istituzioni sco-
lastiche e, dal 2016, è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro.
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scultura, grafica delle arti decorative e design, scrittura creativa nel Piano dell’offerta formativa
delle scuole di ogni ordine e grado. Gli studenti potranno così sviluppare creatività, senso cri-
tico, capacità di innovazione attraverso la cultura e la pratica diretta delle arti e la conoscenza
diretta e il rilancio del patrimonio storico e artistico del nostro Paese. Dopo il Piano Nazionale
Scuola Digitale, il decerto introduce anche il Piano delle Arti, un programma di interventi con
validità triennale che il Miur metterà in campo di concerto con il Mibact (Ministero dei Beni
e delle attività culturali e del turismo) e che conterrà una serie di misure per agevolare lo
sviluppo dei temi della creatività nelle scuole. Il Piano viene finanziato con un fondo specifico
a partire dal 2017 e per la prima volta il 5% dei posti di potenziamento dell’offerta formativa
sarà dedicato allo sviluppo dei temi della creatività. Le scuole dovranno recepire gli indirizzi del
Piano delle Arti nell’ambito della loro offerta formativa e potranno costituirsi in Poli a orienta-
mento artistico-performativo (per il primo ciclo) e in Reti (scuole secondarie di secondo gra-
do) per condividere risorse laboratoriali, spazi espositivi, strumenti professionali, esperienze e
progettazioni comuni. Gli istituti scolastici potranno decidere se articolare su queste discipline
singoli progetti o specifici percorsi curricolari anche in verticale, nella formula di alternanza
scuola-lavoro o con iniziative extrascolastiche, in collaborazione con altri soggetti pubblici e
privati e con soggetti del terzo settore che operano nel campo artistico e musicale.
Le scuole potranno realizzare i percorsi a indirizzo musicale delle scuole secondarie di I grado
avvalendosi di docenti dell’organico dell’autonomia. Il provvedimento promuove, inoltre, forme
di collaborazione tra licei artistici, accademie di belle arti, istituti superiori per le industrie artisti-
che, università, enti locali e tra licei musicali e coreutici e gli istituti superiori di studi musicali.
Le attività di indirizzo e coordinamento saranno gestite oltre che dal Miur e al Mibact, anche
dall’Indire (Istituto nazionale documentazione, innovazione, ricerca educativa), le istituzioni
Afam (Alta formazione musicale e coreutica), le Università, gli Its (Istituti tecnici superiori), gli
Istituti del Mibact, gli istituti di cultura italiana all’estero, ulteriori soggetti pubblici e privati.
3. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 61 “Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale
nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e
formazione professionale, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13
luglio 2015, n. 107”.
Il provvedimento modifica il sistema di istruzione e formazione rendendo più flessibile l’offerta
formativa degli istituti professionali, e tentando di superare l’attuale sovrapposizione con l’i-
struzione tecnica e di porre un maggiore chiarezza tra competenze statali e regionali stabilite
dall’art. 117 della Costituzione.
I percorsi professionali durano 5 anni: biennio più triennio. Gli indirizzi, a partire dall’anno scola-
stico 2018/2019, passano da 6 a 11: agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del
territorio e gestione delle risorse forestali e montane; pesca commerciale e produzioni ittiche;
industria e artigianato per il Made in Italy; manutenzione e assistenza tecnica; gestione delle
acque e risanamento ambientale; servizi commerciali; enogastronomia e ospitalità alberghiera;
servizi culturali e dello spettacolo; servizi per la sanità e l’assistenza sociale; arti ausiliarie delle
professioni sanitarie: odontotecnico; arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico.
I singoli istituti potranno declinare questi indirizzi in base alle richieste e alle peculiarità del
territorio, coerentemente con le priorità indicate dalle Regioni. Nel biennio vengono inseriti
gli assi culturali, ovvero aggregazioni di insegnamenti omogenei che forniscono le competenze
chiave. Si prospetta un maggiore monte ore per l’alternanza scuola-lavoro e all’apprendistato.
Le scuole potranno utilizzare le loro quote di autonomia in relazione all’orario complessivo per
rafforzare i laboratori e qualificare la loro offerta in modo flessibile. Gli istituti potranno, poi,
avvalersi del contributo di esperti del mondo del lavoro e delle professioni e attivare partena-
riati per migliorare l’offerta formativa. Conseguita la qualifica triennale, gli studenti potranno
scegliere di proseguire gli studi iscrivendosi al quarto anno dei percorsi di Istruzione Professio-
nale o dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale e conseguire quindi un diploma
professionale tecnico. Al termine dei percorsi di istruzione professionale, gli studenti conse-
guono il diploma quinquennale di istruzione secondaria di II grado, grazie al quale potranno
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accedere agli Istituti tecnici superiori (ITS), alle Università e alle Istituzioni dell’Alta formazione
artistica, musicale e coreutica (AFAM).
Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale e le istituzioni forma-
tive accreditate per fornire percorsi di Istruzione e Formazione professionale (di competenza
regionale) entrano a far parte della Rete nazionale delle Scuole Professionali. Il sistema sarà in
vigore a partire dall’anno scolastico 2018/2019. Un tavolo coordinato dal Miur - al quale pren-
dono parte le Regioni, gli Enti locali, le Parti Sociali, gli altri Ministeri interessati, l’Istituto na-
zionale per la valutazione del sistema dell’istruzione (Invalsi), l’Istituto nazionale di documen-
tazione, innovazione e ricerca educativa (Indire), l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche
pubbliche (Inapp) e l’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro (Anpal) - monitora i percorsi
dell’istruzione professionale e aggiorna gli indirizzi con cadenza almeno quinquennale.
4. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle
competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera
i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
Il decreto legislativo n.62 introduce forti cambiamenti in tema di esame di stato applicate nel
2018 per l’Esame del primo ciclo e nel 2019 per la Maturità. Nella primaria e nella secondaria
di I grado cambia la modalità di valutazione: restano i voti, ma saranno espressione dei livelli di
apprendimento raggiunti e saranno affiancati da una specifica certificazione delle competen-
ze. L’ammissione alla classe successiva terrà conto della valutazione della disciplina trasversale
‘Cittadinanza e Costituzione’ .
Maggiore peso viene dato quindi alla valutazione delle competenze in ‘Cittadinanza e Costitu-
zione’, che saranno anche oggetto di colloquio all’Esame di Maturità.
Alla primaria varrà la normativa vigente: la non ammissione è prevista solo in casi eccezionali e con
decisione unanime dei docenti della classe. Ma con una novità: viene esplicitato che l’ammissione
è prevista anche in caso di livelli di apprendimento “parzialmente raggiunti o in via di prima acqui-
sizione”. Le scuole dovranno attivare pertanto specifiche strategie di miglioramento per sostenere
il raggiungimento dei necessari livelli di apprendimento da parte degli alunni più deboli.
Nella secondaria di I grado resta ferma la necessità di frequenza di almeno tre quarti del monte
ore annuale per poter essere ammessi alla classe successiva. Anche alla secondaria di I grado,
a differenza di quanto avviene oggi, in un’ottica di maggiore trasparenza dei voti e in linea con
le esperienza di molti Paesi europei, si può essere ammessi alla classe successiva e all’Esame
finale in caso di mancata acquisizione dei necessari livelli di apprendimento in una o più disci-
pline. In questo caso, come per la primaria, le scuole dovranno attivare percorsi di supporto
per colmare le lacune. Alla fine del I ciclo viene rilasciata una apposita certificazione delle
competenze oggi già sperimentata da oltre 3.000 istituzioni scolastiche.
Innovazioni più incisive riguardano gli esami del I ciclo. Tre scritti e un colloquio saranno le
prove previste alla fine della classe terza della secondaria di I grado. Oggi le prove sono cinque
più il colloquio. Sono previste: una prova di italiano, una di matematica, una prova sulle lingue
straniere, un colloquio per accertare le competenze trasversali, comprese quelle di cittadinan-
za. Il test Invalsi (la prova nazionale standardizzata) resta, ma si svolgerà nel corso dell’anno
scolastico, non più durante l’Esame.
Per quanto riguarda l’esame del II ciclo esso prevede: due prove scritte e un colloquio orale.
Oggi le prove scritte sono tre più il colloquio. Lo svolgimento delle attività di alternanza Scuola-
Lavoro diventa requisito di ammissione, insieme allo svolgimento della Prova Nazionale Invalsi.
Si viene ammessi all’Esame con la media del sei. Il Consiglio di classe può ammettere, con ade-
guata motivazione, chi ha un voto inferiore a sei in una disciplina (o in un gruppo di discipline
che insieme esprimono un voto). L’ammissione con una insufficienza incide sul credito finale
con cui si accede all’Esame. Questo non vale per il voto del comportamento: chi ha l’insuffi-
cienza non viene ammesso.
L’Esame sarà composto da: prima prova scritta nazionale che accerterà la padronanza della
lingua italiana, seconda prova scritta nazionale su una o più discipline caratterizzanti l’indi-
rizzo di studi, colloquio orale che accerterà il conseguimento delle competenze raggiunte, la
43
capacità argomentativa e critica del candidato, l’esposizione delle attività svolte in alternanza.
L’esito dell’Esame oggi è espresso in centesimi: fino a 25 punti per il credito scolastico, fino a
15 per ciascuna delle tre prove scritte, fino a 30 per il colloquio. Con il decreto in oggetto il voto
finale resta in centesimi, ma si dà maggior peso al percorso fatto nell’ultimo triennio: il credito
scolastico incide fino a 40 punti, le 2 prove scritte incidono fino a 20 punti ciascuna, il colloquio
fino a 20 punti. La Commissione resta quella attuale: un Presidente esterno più tre commissari
interni e tre commissari esterni. La prova Invalsi viene introdotta in quinta per italiano, mate-
matica e inglese, ma si svolgerà in un periodo diverso dall’Esame.
Le novità per le prove Invalsi: si introduce una prova di inglese standardizzata al termine sia
della primaria sia della secondaria di I e II grado per certificare, in convenzione con enti certi-
ficatori accreditati, le abilità di comprensione e uso della lingua inglese in linea con il Quadro
Comune di Riferimento Europeo per le lingue. Nelle classi finali della secondaria di I e II grado
la prova Invalsi è requisito per l’ammissione all’Esame, ma non influisce sul voto finale.
5. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 63 “Effettività del diritto allo studio attraverso la defi-
nizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle
condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente,
a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera f), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
Il provvedimento intende garantire una maggiore partecipazione degli studenti e delle fami-
glie nei processi scolastici attraverso la promozione di un sistema di welfare fondato su livel-
li di prestazioni nazionali, misure specifiche per i libri di testo, tasse scolastiche, trasporti. Il
provvedimento vuole potenziare la carta dello studente attraverso maggiori investimenti per
finanziare borse di studio, mobilità, supporti per la didattica. Questi i principali contenuti del
decreto sul Diritto allo Studio.
Il provvedimento prevede l’istituzione di una Conferenza Nazionale che vede la partecipazione
di Associazioni dei genitori e delle studentesse e degli studenti, Consulte provinciali delle stu-
dentesse e degli studenti, il Miur, ma anche Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regioni, Comuni.
Sono previsti specifici finanziamenti per sostenere il welfare studentesco: copertura di borse di
studio grazie alle quali studentesse e studenti delle scuole secondarie di II grado potranno avere
supporto per l’acquisto di materiale didattico, per trasporti, per accedere a beni di natura cultu-
rale; per l’acquisto da parte delle scuole di libri di testo e di altri contenuti didattici, anche digitali,
per il comodato d’uso dalla primaria fino alle classi dell’assolvimento dell’obbligo. Il decreto pre-
vede un supporto aggiuntivo anche per la scuola in ospedale e per l’istruzione domiciliare.
È previsto l’esonero totale dal pagamento delle tasse scolastiche - in base all’Isee - per gli
studenti delle quarte e delle quinte della secondaria di II grado. Si parte nell’anno scolastico
2018/2019 con le quarte. Il provvedimento valorizza la Carta dello studente (IoStudio) che sarà
estesa anche a chi frequenta i corsi dell’Afam (Alta formazione musicale e coreutica) e ai Centri
Regionali per la Formazione Professionale.
6. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64 “Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma
dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
Con il provvedimento in oggetto molti cambiamenti introdotti dalla Buona Scuola a livello na-
zionale saranno estesi anche agli istituti scolastici che operano fuori dal Paese. Per esempio,
l’istituzione dell’organico del potenziamento sarà esteso anche alle scuole italiane operanti
all’estero. Si tratta di 50 ulteriori insegnanti (si passa da 624 a 674), nuove risorse professionali
grazie alle quali si potrà lavorare di più su musica, arte o cinema e garantire il sostegno alle
alunne e agli alunni che ne hanno bisogno. Queste figure professionali verranno selezionate
per la prima volta dal Miur sulla base di requisiti predisposti insieme al Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci). In precedenza era il solo Maeci ad effet-
tuare queste selezioni. È prevista, per queste figure, una formazione obbligatoria prima della
partenza per l’estero e in servizio, così come richiesto nel territorio nazionale dopo l’entrata
in vigore della Buona Scuola. I tempi di permanenza fuori dall’Italia passano dai 9 anni attuali
a due periodi di 6 anni scolastici che dovranno però essere intervallati da un periodo di 6 anni
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nelle scuole italiane del Paese. Questo per evitare che il personale all’estero perda contatto
con il sistema di istruzione e con il Paese di riferimento. Le scuole italiane all’estero potranno
partecipare ai bandi relativi al Piano nazionale scuola digitale e saranno inserite nel sistema
nazionale di valutazione. Sono previste maggiori e nuove sinergie con istituzioni ed enti che
promuovono e diffondono la nostra cultura nel mondo e, infine, piena trasparenza delle scuole
all’estero all’interno del portale unico della scuola. Vengono promossi, inoltre, servizio civile e
tirocini nelle istituzioni del sistema di formazione italiano nel mondo. Maggiori e nuove siner-
gie con istituzioni ed enti pubblici e privati che promuovono la nostra cultura nel mondo. Viene
istituita una Cabina di Regia Miur-Maeci, cui spetta il compito di riorganizzazione e coordina-
mento strategico del sistema.
7. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 “Istituzione del sistema integrato di educazione e di
istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e),
della legge 13 luglio 2015, n. 107”.
Il decreto legislativo n.65 traghetta i servizi per l’infanzia nella sfera educativa. Viene istituito
infatti un sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni per garan-
tire “ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e
gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali”. Parti-
colare attenzione verrà data alle bambine e ai bambini con disabilità.
Attraverso la costituzione del sistema integrato progressivamente si estenderanno, amplie-
ranno e qualificheranno i servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia su tutto il
territorio nazionale. I servizi saranno organizzati all’interno di un assetto di competenze tra i
diversi attori in campo (Stato, Regioni, Enti locali). Per finanziare il nuovo Sistema viene creato
un Fondo specifico per l’attribuzione di risorse agli Enti locali.
Il decreto prevede un Piano di azione nazionale di attuazione che coinvolgerà tutti gli attori
coinvolti nel sistema integrato. Anche le famiglie saranno coinvolte attraverso gli organismi di
rappresentanza. Sarà promossa la costituzione di Poli per l’infanzia per bambini di età fino a 6
anni, anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi. I Poli serviranno a potenziare la
ricettività dei servizi e sostenere la continuità del percorso educativo e scolastico. I Poli saran-
no finanziati anche attraverso appositi fondi. Sarà prevista la qualifica universitaria come titolo
di accesso per il personale, anche per i servizi da 0 a 3 anni. Per la prima volta sarà istituita una
soglia massima per la contribuzione da parte delle famiglie.
È prevista una specifica governance del Sistema integrato di educazione e di istruzione. Al
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca spetterà un ruolo di coordinamento,
indirizzo e promozione, in sintonia con le Regioni e gli Enti locali, sulla base del Piano di Azione
Nazionale che sarà adottato dal Governo.
8. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica
degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13
luglio 2015, n. 107”.
Il decreto legislativo n.66 intende nelle sue premesse consolidare la rete dei soggetti depu-
tati al compito di promuovere l’inclusione scolastica con particolare attenzione al ruolo delle
famiglie e delle associazioni nei processi di inclusione e coinvolgendo – anche e soprattutto
attraverso la formazione in servizio – tutte le componenti del personale scolastico.
Il testo normativo modifica la formazione iniziale dei docenti di sostegno dell’infanzia e della
primaria, attraverso l’istituzione di un corso di specializzazione ad hoc a cui si accede dopo aver
conseguito la laurea in Scienze della formazione primaria, comprensiva di 60 crediti maturati
nell’ambito della didattica dell’inclusione. I futuri docenti, anche della scuola secondaria, avran-
no nel loro percorso di formazione iniziale materie che riguardano le metodologie per l’inclusio-
ne e ci sarà una specifica formazione anche per il personale della scuola, Ata compresi.
La proposta di quantificazione del personale sul sostegno sarà formulata dal dirigente scolasti-
co sulla base del Progetto educativo individualizzato (PEI) di ciascuna alunna e ciascun alunno
con disabilità e in coerenza con il Piano dell’inclusione di ciascuna scuola.
45
Il provvedimento introduce l’obbligo di tenere conto della presenza di alunne e alunni diversa-
mente abili per l’assegnazione del personale Ata alle scuole. Nel processo di valutazione delle
istituzioni scolastiche viene introdotto il livello di inclusività. Ogni scuola dovrà predisporre,
nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa, un Piano specifico per l’inclusione. Ven-
gono poi rivisti, razionalizzati e rafforzati nelle loro funzioni gli organismi che operano a livello
territoriale per il supporto all’inclusione, con un maggiore coinvolgimento di famiglie e asso-
ciazioni.
Le commissioni mediche per l’accertamento della disabilità dovranno essere composte da ulteriori
soggetti: un medico legale e due medici specialisti scelti fra quelli in pediatria e in neuropsichiatria
infantile. I docenti precari potranno avere contratti pluriennali sulla base del principio di continuità
didattica particolarmente importante per gli alunni disabili. In caso di un rapporto positivo con
l’alunna o l’alunno e su richiesta delle famiglie i docenti con contratto a termine potranno essere
riconfermati per più anni. Viene rafforzato l’Osservatorio permanente per l’inclusione insediato al
Miur.
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acquisiscono l’autonomia. Si tiene tuttavia presente la possibilità di deroghe per le co-
munità con esigenze particolari.
Il Regolamento recante norme in materia di autonomia alle istituzioni scolastiche,
approvato mediante il D.P.R. n. 275 dell’8 marzo 1999, ha sancito l’entrata in vigore
dell’autonomia scolastica a decorrere dal 1° settembre 2000 con la conseguente attribu-
zione della personalità giuridica alle unità scolastiche con una popolazione tra i 500 e i
900 alunni sulla base di parametri fissati dal D.P.R. n. 233 del 18 giugno 1998.
La riforma del Titolo V della Costituzione approvata con la legge costituzionale n. 3
del 18 ottobre 2001 nella prospettiva di trasformazione dello Stato in senso federalista
sancisce il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche.
Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento approvato mediante il D.P.R. n. 275/1999, al
Ministero della P.I. restano poteri di controllo e di indirizzo generale; previo parere
delle competenti Commissioni e sentito il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione,
al Ministero spetta il compito di definire i curricoli per i diversi tipi e indirizzi di studio. In
particolare, provvede a fissare gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi
specifici di apprendimento per gli alunni, le materie fondamentali costituenti la quota
nazionale dei curricoli e il relativo monte orario annuale, il quadro orario comprensivo
della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni sco-
lastiche, nonché i limiti di flessibilità temporale entro i quali realizzare compensazioni tra
discipline e attività della quota nazionale del curricolo.
Inoltre, è di competenza del Ministero determinare gli standard di qualità del servizio
con verifiche affidate ad un apposito organismo di valutazione del servizio, adottare i
nuovi modelli di certificazione concernenti le conoscenze, le competenze e le capacità
acquisite dagli studenti, indicare gli indirizzi generali della valutazione e del riconosci-
mento dei crediti e dei debiti formativi e i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi
formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare
nel sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro.
Le singole istituzioni scolastiche quali espressione dell’autonomia funzionale provve-
dono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa nel rispetto delle funzioni
delegate alle Regioni e agli enti locali.
In sintonia con il principio dell’autonomia i tre Regolamenti relativi al riordino dell’i-
struzione del II ciclo (licei, istituti tecnici e istituti professionali) prevedono che le isti-
tuzioni scolastiche, previa delibera del Collegio dei docenti, possano utilizzare la quo-
ta di autonomia del 20% dei curricoli nell’ambito degli indirizzi definiti dalle Regioni e
in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale. L’esercizio di tale facoltà
mira sia a potenziare gli insegnamenti obbligatori, con particolare riguardo alle attività
di laboratorio, sia ad attivare ulteriori insegnamenti al fine di raggiungere gli obiettivi
previsti dal Piano dell’offerta formativa. Si rammenta, nel dettaglio, che per effetto del
riordino dei licei contenuto dalla riforma Gelmini (D.P.R. 89/2010) viene stabilito che
la flessibilità curriculare è del 20% nel primo biennio e nel quinto anno e del 30% nel
secondo biennio. Inoltre, l’art. 10 del regolamento sul riordino dei licei introduce come
corollario dell’autonomia scolastica il meccanismo dell’organico funzionale d’istituto.
L’organico funzionale rappresenta una quota di personale docente, privo di classe, che
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può aggiungersi all’organico di fatto e che può servire alla scuola ad ampliare l’offerta
formativa e il proprio monte ore curriculare, alla sostituzione dei docenti e a dar luogo
a un gruppo di insegnanti a disposizione di reti di scuole. È un organico, quindi, che non
coincide rigorosamente con il numero delle classi e degli insegnamenti ma si relaziona
alle forme organizzativo-didattiche scelte dall’istituzione scolastica nell’esercizio della
propria autonomia.
Il POF - che con la legge 107/2015 ha validità triennale - essendo la carta di identità
culturale della scuola , contiene tutte le forme di flessibilità concernenti gli orari delle va-
rie discipline e attività, le materie fondamentali e facoltative, l’organizzazione di corsi di
recupero e sostegno, l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari. Inoltre
è possibile attivare percorsi didattici individualizzati nel rispetto del principio generale
della integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo in relazione anche agli alunni
portatori di handicap in applicazione della legge n. 104 del 5 febbraio 1992.
Le scelte, l’adozione e l’utilizzazione delle metodologie e degli strumenti didattici, ivi
compresi i libri di testo, devono essere coerenti con il piano dell’offerta formativa favo-
rendo altresì l’introduzione e l’uso di tecnologie innovative.
Per quanto attiene alla valutazione degli studenti, le istituzioni scolastiche formu-
lano i criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei debiti scolastici con
riferimento ai percorsi, sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento ed anche
della necessità di facilitare i passaggi tra diversi tipi di indirizzo di studio nell’ottica della
integrazione tra sistemi formativi caratterizzati da uscite e rientri tra scuola, formazione
professionale e mondo del lavoro.
Le scuole individuano nel POF i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi re-
lativi alle attività realizzate nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa e libera-
mente effettuate dagli alunni e debitamente accertate o certificate.
Dal punto di vista organizzativo in forza dell’autonomia didattica è possibile modifi-
care il calendario scolastico introducendo la settimana corta, decidere come utilizzare
i docenti, articolare l’insegnamento per gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da
diverse classi o da differenti anni di corso.
Inoltre, le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, possono proget-
tare la ricerca, la sperimentazione e lo sviluppo di nuove attività. Ai sensi dell’art. 7 è
possibile promuovere accordi di rete con altre scuole al fine di realizzare piani formativi
comuni. Gli accordi possono prevedere lo scambio temporaneo di insegnanti, che libe-
ramente vi consentono, tra le istituzioni scolastiche partecipanti alla rete i cui docenti
abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti impegnati volontariamente in progetti,
che prevedono lo scambio, rinunciano al trasferimento per la durata del loro impegno
nei programmi stessi.
Ai sensi del successivo art. 9, le scuole singolarmente collegate in rete o tra loro con-
sorziate possono realizzare ampliamenti dell’offerta formativa, i quali consistono in ogni
iniziativa coerente con le proprie finalità. In particolare, tali attività si svolgono in favore
dei propri alunni e, previo coordinamento con eventuali iniziative promosse dagli enti
locali, in favore della popolazione giovanile e degli adulti.
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Il Ministero della Pubblica Istruzione, su proposta del Consiglio nazionale della Pub-
blica Istruzione, del servizio nazionale per la qualità dell’istruzione, di una o più istituzio-
ni scolastiche, di uno o più enti di supporto all’autonomia scolastica di una o più Regioni
o enti locali, può promuovere, destinando eventualmente appositi finanziamenti negli
ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale volti ad
esplorare possibili innovazioni relative agli ordinamenti degli studi, alla loro articolazione
e durata, all’integrazione tra sistemi formativi, ai processi di orientamento e continuità
educativa.
È da rilevare che, ai sensi dell’art. 12 comma 2 del Regolamento, le scuole pos-
sono realizzare compensazioni tra le discipline e le attività previste dagli attuali
programmi.
In definitiva, il sistema scolastico italiano ha cominciato ad adottare un modello di
gestione flessibile dell’offerta formativa maggiormente sensibile agli stimoli economici e
culturali del territorio in cui opera.
L’art. 14 del D.P.R. n. 275/1999 attribuisce all’autonomia scolastica numerose fun-
zioni esercitate in passato dall’amministrazione centrale. Spettano all’istituzione sta-
tale infatti i seguenti compiti:
• gestione dello stato giuridico ed economico del personale scolastico;
• organizzazione dei servizi amministrativi e contabili;
• adozione del regolamento di disciplina degli alunni.
La legge del 13 luglio 2015, n. 107, ‘‘Riforma del sistema nazionale di istituzione e for-
mazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti’’, ha inteso – come
evidenziato – rafforzare l’autonomia delle istituzioni scolastiche derivante dall’art. 21
della L. 59/1997, dai D.P.R. 275/1999 e 233/1998 e dal D.L. 44/2001. L’articolo 1 della
legge 107/2015 individua l’oggetto e la finalità della legge proprio nella disciplina dell’au-
tonomia scolastica e indica un percorso di potenziamento dei mezzi e degli strumenti per
la sua realizzazione tra cui l’ampliamento dell’offerta formativa, l’organico dell’autono-
mia, la rimodulazione del monte ore, la formazione del personale docente in relazione al
Piano di offerta formativa. Si specifica che l’autonomia scolastica, come disciplinata dalla
legge 107/2015 è entrata in vigore nell’a.s. 2016-2017.
49
progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa. Nell’esercizio
della propria autonomia didattica le istituzioni scolastiche possono, in modo flessibile,
organizzare il monte ore annuale per disciplina, determinare i percorsi didattici persona-
lizzati, determinare l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari. In effetti,
come vedremo, l’aspetto rilevante dell’autonomia didattica consiste nella determinazio-
ne del curricolo che accoglie le peculiarità del territorio dove la scuola opera.
L’autonomia didattica consiste quindi nella formulazione dei curricoli composti da
tre parti:
–– una quota di discipline ed attività obbligatorie, stabilite dal Ministero, insieme al
loro relativo monte ore minimo;
–– una quota di discipline obbligatorie d’istituto, relative ai diversi indirizzi;
–– una quota di discipline liberamente scelte dalle scuole.
L’autonomia prevede inoltre che le scuole possono:
–– articolare in moduli il monte ore annuale (ovvero si possono dividere le ore annuali di
una materia in moduli di diversa entità per ciascun periodo dell’anno);
–– attivare percorsi didattici individualizzati;
–– suddividere il gruppo classe per particolari attività;
–– unire delle discipline in aree disciplinari;
–– utilizzare le unità di insegnamento diverse dall’ora di 60 minuti;
–– realizzare percorsi di accoglienza, continuità e orientamento;
–– predisporre percorsi di recupero e di orientamento.
Le istituzioni scolastiche assicurano la realizzazione di iniziative di recupero e soste-
gno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale. Individuano inoltre le
modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed
i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche.
Le istituzioni scolastiche adottano, anche per quanto riguarda l’impiego dei docenti,
ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale.
Gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in
relazione alle esigenze del POF.
L’orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività
sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione pluri-
settimanale, fermi restando l’articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni
settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le
singole discipline e attività obbligatorie. In ciascuna istituzione scolastica le modalità di
impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi e sezioni in funzione
delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate
nel POF.
Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia
di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto cultu-
rale, sociale ed economico delle realtà locali.
Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il
raggiungimento della proprie finalità istituzionali. Nell’ambito delle reti di scuole, posso-
no essere istituiti laboratori finalizzati tra l’altro a:
50
–– la ricerca didattica e la sperimentazione;
–– la documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia
circolazione, anche attraverso rete telematica, di ricerche, esperienze, documenti e
informazioni;
–– la formazione in servizio del personale scolastico;
–– l’orientamento scolastico e professionale.
Il ministro della pubblica istruzione definisce per i diversi tipi e indirizzi di studio:
–– gli obiettivi generali del processo formativo;
–– gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;
–– le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte
ore annuale;
–– l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota na-
zionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
–– i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività
della quota nazionale del curricolo;
–– gli standard relativi alla qualità del servizio;
–– gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e
dei debiti formativi;
–– i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione
permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istru-
zione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni-città ed au-
tonomie locali.
Le istituzioni scolastiche determinano nel POF il curricolo obbligatorio per i propri
alunni in modo da integrare la quota nazionale con la quota loro riservata che compren-
de le discipline e le attività da esse liberamente scelte. Nell’integrazione tra la quota
nazionale e quella riservata alle scuole è valorizzato il pluralismo culturale e territoriale.
La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni
concretamente rilevate.
Le istituzioni scolastiche, singolarmente, collegate in rete o tra loro consorziate, rea-
lizzano ampliamenti dell’offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto
culturale, sociale ed economico delle realtà locali.
I curricoli possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative; la realizzazio-
ne di percorsi formativi integrati è programmata sulla base di accordi con le Regioni e gli
enti locali.
Alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni già di competenza dell’ammini-
strazione centrale e periferica relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni,
all’amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed
economico del personale non riservate all’amministrazione centrale e periferica.
51
Il D.P.R. 275/1999 definisce il POF come «il documento fondamentale costitutivo
dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la proget-
tazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole
adottano nell’ambito della loro autonomia. Il Piano dell’offerta formativa è coerente con
gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi determinati a livello
nazionale e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà
locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa».
Proposto dalle varie componenti della scuola il POF è elaborato dal punto di vista di-
dattico dal Collegio dei docenti, nel rispetto di eventuali diverse opzioni metodologiche,
ed è adottato dal Consiglio di Circolo o di Istituto ed è reso pubblico e consegnato agli
alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione.
Nel POF sono definite:
–– le discipline e le attività da collocare nell’ambito della quota curricolare riservata e
facoltativa;
–– le azioni di orientamento, sostegno e recupero;
–– l’articolazione modulare del monte ore annuale per ciascuna disciplina e attività;
–– i modelli organizzativi per la realizzazione degli obiettivi generali e specifici dell’atti-
vità didattica;
–– il calendario scolastico in base agli obiettivi;
–– le attività di sperimentazione, ricerca e sviluppo nonché gli accordi di protocollo per
la realizzazione degli accordi di rete con le altre scuole e soggetti esterni rilevanti per
la condivisione della ricerca e della formazione degli insegnanti;
–– i percorsi didattici individualizzati e/o extracurriculari;
–– le politiche e le azioni nei confronti degli alunni disabili e degli alunni con bisogni
educativi speciali (BES) che vengono riassunti nell’allegato Piano Annuale di Inclusio-
ne (PAI).
Il POF indica la strada per un’assunzione di responsabilità crescente della scuola in
funzione del territorio, su maggiori opportunità per i giovani e sulla flessibilità dei per-
corsi formativi a partire però dalla padronanza dei saperi essenziali.
52
documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni
scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e orga-
nizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia».
Ai sensi del comma 12 della legge 107/2015 «le istituzioni scolastiche predispongono
il Piano entro il mese di ottobre dell’anno scolastico precedente al triennio di riferimento.
(…) Il Piano può essere rivisto annualmente entro il mese di ottobre». Per le eventuali
revisioni si dispone che esse siano pubblicate tempestivamente nel Portale unico dei dati
della scuola istituito ai sensi del comma 136.
Il comma 2 della legge 107/2015 definisce il contenuto del PT: si tratta della pro-
grammazione triennale dell’offerta formativa per il potenziamento dei saperi e delle
competenze delle studentesse e degli studenti e per l’apertura della comunità sco-
lastica al territorio con il pieno coinvolgimento delle istituzioni e delle realtà locali.
La nuova offerta formativa così come delineata dalla legge 107/2015 sarà integra-
ta da iniziative di potenziamento e da attività progettuali per il raggiungimento degli
obiettivi formativi che dovranno essere individuati dalle istituzioni scolastiche, tenendo
conto di quelli forniti nelle lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p), q), r), s)
del comma 7.
53
e allo sport, e attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti
attività sportiva agonistica;
h) sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo al pen-
siero computazionale, all’utilizzo critico e consapevole dei social network e dei me-
dia nonché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro;
i) potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio;
l) prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, di ogni forma di discriminazio-
ne e del bullismo, anche informatico; potenziamento dell’inclusione scolastica e del
diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi indivi-
dualizzati e personalizzati anche con il supporto e la collaborazione dei servizi socio-
sanitari ed educativi del territorio e delle associazioni di settore e l’applicazione delle
Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati, emanate dal
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il 18 dicembre 2014;
m) valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in
grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità
locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese;
n) apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studen-
ti per classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del
tempo scolastico o rimodulazione del monte orario rispetto a quanto indicato dal
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89;
o) incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione;
p) valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e coinvolgimento degli alunni e
degli studenti;
q) individuazione di percorsi e di sistemi funzionali alla premialità e alla valorizzazione
del merito degli alunni e degli studenti;
r) alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso
corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organiz-
zare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l’apporto delle
comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali;
s) definizione di un sistema di orientamento.
54
sviluppati con modalità idonee a sostenere eventuali difficoltà e problematiche proprie
degli studenti di origine straniera (comma 32 della legge 107/2015). Nei piani triennali
dell’offerta formativa della scuola secondaria di secondo grado vanno inclusi anche i per-
corsi di alternanza scuola-lavoro così come indicato nel comma 33 della legge 107/2015.
Nei PTOF della scuola secondaria di secondo grado andranno inserite le eventuali attività
di formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (com-
ma 38 della legge 107/2015).
Il Piano può anche promuovere azioni per sviluppare e migliorare le competenze
digitali degli studenti attraverso il Piano nazionale per la scuola digitale i cui obiettivi spe-
cifici sono indicati nel comma 58. Lo sviluppo delle competenze digitali riguarda anche il
personale docente e il personale tecnico e amministrativo.
Il comma 2 dell’art. 3 D.P.R. 275/1999 resta identico nella parte in cui afferma che: «il
piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi,
determinati a livello nazionale a norma dell’articolo 8, e riflette le esigenze del contesto
culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione
territoriale dell’offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni meto-
dologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità …»; a
quest’ultimo si aggiunge che il piano indica gli insegnamenti e le discipline tali da coprire:
a) il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, sulla base
del monte orario degli insegnamenti, con riferimento anche alla quota di autonomia
dei curricoli e agli spazi di flessibilità, nonché del numero di alunni con disabilità, fer-
ma restando la possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse
previste a legislazione vigente;
b) il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa.
Il comma 3 dell’art. 3 D.P.R. 275/1999 introduce ex novo che «il piano indica altresì
il fabbisogno relativo ai posti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nel ri-
spetto dei limiti e dei parametri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 giugno 2009, n. 119, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo
1, comma 334, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il fabbisogno di infrastrutture e di
attrezzature materiali, nonché i piani di miglioramento dell’istituzione scolastica previsti
dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80».
In questa parte il PTOF viene ad agganciarsi con il procedimento di valutazione ex art. 6
del D.P.R. n. 80 del 2013, con il RAV (Rapporto di valutazione annuale) e il relativo piano
di miglioramento definito dalle scuole che si concluderà con la rendicontazione sociale e
la pubblicazione e diffusione dei dati raggiunti. Le azioni di miglioramento organizzativo
e gestionale implementate dalle istituzioni scolastiche serviranno anche ai fini della va-
lutazione dei risultati dell’azione dirigenziale e vanno allegate al Piano.
Il comma 4 regola chi sono gli attori che concorrono alla determinazione del Piano:
«il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della
scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il
piano è approvato dal consiglio d’istituto». Precedentemente era il consiglio di istituto a
definire gli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e
di amministrazione. Ora, prima che il collegio docenti elabori il piano, è necessario che il
55
dirigente scolastico espliciti gli indirizzi per le attività della scuola e le scelte di gestione e
di amministrazione, che non sono più generali come nel precedente articolo. Non si può
ignorare che la definizione degli indirizzi e delle scelte di gestione del dirigente scolastico
siano un punto nodale da cui partire per l’elaborazione del Piano e che tale disposizio-
ne, introdotta nell’articolo 3 novellato, imponga il passaggio deliberante nei due organi
collegiali: collegio dei docenti e consiglio di istituto. Leggendo il comma 4 si deduce che
non si dovrebbe passare dunque all’elaborazione del Piano senza le determinazioni diri-
genziali che costituiscono il punto di partenza e i confini entro cui l’organo deputato alla
redazione potrà operare. Gli indirizzi così come le scelte, forniti dal dirigente scolastico,
sono però compensati dal ruolo degli organi collegiali cui la legge 107/2015 assicura
la partecipazione alle decisioni (comma 2). Ciò significa che il dirigente non è il solo
a scegliere e a determinare l’offerta formativa, ma più in generale sono «le istituzioni
scolastiche» ad effettuare «le proprie scelte in merito agli insegnamenti e alle attività
curricolari, extracurricolari, educative e organizzative» (comma 6) e ad individuare «il
fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia, in relazione all’offerta formativa che
intendono realizzare» (comma 7).
Le istituzioni scolastiche decidono sull’offerta formativa, sulle iniziative di potenzia-
mento e sulle attività progettuali che si propongono di attuare. Benché al consiglio di
istituto sia stata ridotta la sua tradizionale natura di organo di indirizzo rimane salvo il
comma 6 dell’art. 25 del D.Lgs. n. 165 del 2001, il quale espressamente stabilisce che «il
dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto moti-
vata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e
amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per
l’esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica».
Il comma 5 insieme al comma 4 indica i compiti spettanti al dirigente scolastico: defi-
nizione degli indirizzi per le attività e scelte di gestione e di amministrazione. Gli indirizzi
modulano le linee di azione che si intendono svolgere tenendo conto degli obiettivi da
perseguire. Le attività per la scuola si delineano sulla base delle «esigenze didattiche, or-
ganizzative e progettuali», comprendono anche le attività formative rivolte al personale
docente e amministrativo, tecnico e ausiliare.
«Ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico promuove i necessari
rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed eco-
nomiche operanti nel territorio; tiene altresì conto delle proposte e dei pareri formulati
dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo
grado, degli studenti». Questo significa, come in passato, «l’apertura della comunità
scolastica al territorio con il pieno coinvolgimento delle istituzioni e delle realtà locali»
(comma 2). Al dirigente scolastico l’onere di attivare questi rapporti.
La legge 107/2015 rinvigorisce l’organico dell’autonomia, «funzionale alle esigenze
didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche (…) I docenti dell’orga-
nico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta forma-
tiva con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di
progettazione e di coordinamento» (comma 5).
È espressamente detto che «le istituzioni scolastiche perseguono le finalità di cui ai
56
commi 1 e 4 e l’attuazione di funzioni organizzative e di coordinamento attraverso l’orga-
nico dell’autonomia» (comma 63 della legge 107/2015).
Per le finalità di cui sopra «il dirigente scolastico può individuare nell’ambito dell’orga-
nico dell’autonomia fino al 10% di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto orga-
nizzativo e didattico dell’istituzione scolastica» (comma 83). I docenti rientranti in tale or-
ganico avranno un ruolo funzionale al buon andamento delle attività della scuola; si iden-
tificheranno nel sostegno fornito alle istituzioni scolastiche sotto il profilo organizzativo e
didattico e potranno essere utilizzati, ai sensi del comma 85 della legge, in sostituzioni dei
colleghi assenti per la copertura di supplenze temporanee fino a dieci giorni.
L’ufficio scolastico regionale verifica che il piano triennale dell’offerta formativa ri-
spetti il limite dell’organico assegnato a ciascuna istituzione scolastica e trasmette al
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca gli esiti della verifica (comma 13
legge 107/2015).
Scompare dall’antecedente articolo 3 D.P.R. n. 275 del 1999 il comma 5: «Il piano
dell’offerta formativa è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all’atto
dell’iscrizione»; in effetti la pubblicazione del piano è regolata nel comma 17 della legge
107: «Le istituzioni scolastiche, anche al fine di permettere una valutazione comparati-
va da parte degli studenti e delle famiglie, assicurano la piena trasparenza e pubblicità
dei piani triennali dell’offerta formativa, che sono pubblicati nel Portale unico di cui al
comma 136. Sono altresì ivi pubblicate tempestivamente eventuali revisioni del piano
triennale».
57
1.9 Le Indicazioni nazionali e il curricolo scolastico delle scuole del
primo ciclo (*)1
Per le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, i documenti vincolanti per l’e-
laborazione del contenuto del curricolo nella quota di attività obbligatorie sono costituiti:
–– dalle Indicazioni nazionali riportate negli allegati A, B, C e D al D.Lgs. 59/2004 (cosid-
detta Riforma Moratti) denominate Indicazioni dei Piani di studio personalizzati, le
quali mantengono una separazione tra i segmenti del percorso scolastico e prevedono:
–– obiettivi generali per ciascun ordine di scuola che riproducono gli orientamenti del
1991 (maturazione dell’identità, conquista dell’autonomia e sviluppo delle compe-
tenze);
–– obiettivi specifici di apprendimento, differenti per la scuola dell’infanzia, la scuola
primaria e quella secondaria di primo grado;
–– dalle integrazioni operate dalla riforma Fioroni con D.M. 31 luglio 2007 (Indicazioni per
il curricolo della scuola d’infanzia e del primo ciclo di istruzione) che ha introdotto delle
Indicazioni sperimentali. Tali indicazioni tendono a superare l’approccio più teorico delle
Indicazioni della Moratti e individuano dei traguardi di sviluppo delle competenze.
Con le Indicazioni nasce la definizione di competenze: al fine di maturare un profilo
dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, gli obiettivi specifici di apprendi-
mento vanno utilizzati per trasformare le potenzialità di ciascun alunno in competenze
concrete, ovvero, un saper fare personalizzato che, pur basandosi su conoscenze e abili-
tà si esplica nella capacità di adottare decisioni in situazioni concrete.
Gli obiettivi di apprendimento sono stati organizzati in aree disciplinari: linguistico-
artistico-espressiva; storico-geografica, matematico-scientifico-tecnologica. In particola-
re, l’informatica va a costituire un insieme di approfondimenti e competenze trasversali
che si esplicano nelle varie discipline.
Il Regolamento sull’ordinamento delle scuole dell’infanzia e del Primo ciclo (D.P.R.
89/2009, art. 1, comma 3) ha previsto un periodo transitorio, comunque non superiore
a tre anni scolastici, decorrenti dall’a.s. 2009-2010, durante il quale fossero applicate
le Indicazioni nazionali di cui al D.Lgs. 59/2004 come aggiornate dalle Indicazioni per il
curricolo approvate con il D.M. 31 luglio 2007.
Allo scadere dei tre anni, il MIUR ha elaborato un nuovo testo, «Indicazioni nazionali
per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione», che ha come
base le Indicazioni per il curricolo e sul quale il CNPI ha espresso parere favorevole nell’a-
dunanza del 25 luglio 2012.
Si ricorda che con Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 62 “Norme in materia di
valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma
dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107” vengono
introdotti forti cambiamenti in tema di esame di Stato applicate nel 2018 per l’Esame del
(*) Il testo completo delle Indicazioni nazionali per i licei e delle Linee guida per gli Istituti tecnici e professionali
è disponibile sul sito www.moduli.maggioli.it nella Sezione Downloads.
58
primo ciclo (disciplinato dal D.M. 741/2017) e nel 2019 per la Maturità. Nella primaria e
nella secondaria di I grado cambia la modalità di valutazione: restano i voti, ma saranno
espressione dei livelli di apprendimento raggiunti e saranno affiancati dalla specifica cer-
tificazione delle competenze regolata dal D.M. 742/2017.
Come previsto dal D.P.R. 89/2010, nel corso degli ultimi mesi dell’a.s. 2011-2012 si
è proceduto alla revisione delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, secondo i criteri stabiliti con circolare mi-
nisteriale n. 31 del 18 aprile 2012. Tale documento (Nota ministeriale 5559 del 5 set-
tembre 2012) sta completando l’iter per la sua entrata in vigore.
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, nelle nuove Indicazioni vengono individua-
te le seguenti priorità:
–– dialogare e collaborare con le famiglie e con le altre istituzioni per attuare in modo
concreto un’autentica centralità educativa del bambino;
–– proporre un ambiente educativo capace di offrire possibili risposte al bisogno di
cura e di apprendimento;
–– realizzare un progetto educativo che renda concreta l’irrinunciabilità delle diverse
dimensioni della formazione: sensoriale, corporea, artistico-espressiva, intellettua-
le, psicologica, etica, sociale;
–– fare della scuola un luogo significativo per interventi compensativi finalizzati alla
piena attuazione delle pari opportunità.
Le indicazioni nazionali per il curricolo riguardanti il primo ciclo sottolineano le finalità
della scuola primaria volte a promuovere l’alfabetizzazione di base attraverso l’acqui-
sizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la nostra cultura ma in un orizzon-
te allargato alle altre culture e all’uso consapevole dei media. Sono indicati in modo
puntuale gli obiettivi di apprendimento per ciascuna disciplina al termine della classe
terza e della classe quinta e i traguardi per lo sviluppo delle competenze anche questi
per ciascuna disciplina al termine della scuola primaria.
Anche per la scuola secondaria di primo grado il testo delle Indicazioni nazionali per
il curricolo prevede obiettivi di apprendimento da conseguire al termine della classe
terza e traguardi per lo sviluppo delle competenze in ciascuna disciplina.
Il cambiamento più rilevante (rispetto alle precedenti Indicazioni) consiste nell’elimi-
nazione delle tre aree disciplinari che erano interconnesse e condividevano finalità e
organizzazione: l’interdisciplinarietà scompare lasciando separate le diverse discipli-
ne, con alcune differenze nominali.
Un’altra differenza consiste nel modo di intendere la disciplina della tecnologia: nel-
le Indicazioni precedenti si poneva l’accento sulle tecnologie informatiche e digitali,
mentre nelle nuove indicazioni esse sono ridimensionate dalla preoccupazione degli
59
effetti negativi che esse possono produrre a livello sociale, psicologico, sanitario e dal-
la necessità di un ricorso ad esse fondato su di un approccio critico.
In comune le «vecchie» e le «nuove» Indicazioni hanno il concetto in base al quale gli
obiettivi sono funzionali all’elaborazione del curricolo di ciascuna istituzione scola-
stica «il curricolo d’istituto è espressione della libertà d’insegnamento e dell’autono-
mia scolastica» nel senso che ogni scuola rapporta i contenuti degli apprendimenti, i
metodi e l’organizzazione che sceglie alle Indicazioni, rispettandole, ma adattandole
al proprio contesto, in coerenza con i traguardi formativi previsti dal documento na-
zionale.
(*) Il testo completo delle Indicazioni nazionali per i licei e delle Linee guida per gli Istituti tecnici e professionali
è disponibile sul sito www.moduli.maggioli.it nella Sezione Downloads.
60
verificando ipotesi, raccogliendo dati, proponendo soluzioni differenziando a seconda
del tipo del problema), individuare collegamenti e relazioni (possedere strumenti per in-
terpretare correttamente il vivere nella società del proprio tempo), acquisire e interpre-
tare l’informazione in maniera critica, valutandone l’attendibilità e l’utilità con le dovute
distinzioni.
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–– Elettronica ed Elettrotecnica
–– Informatica e Telecomunicazioni
–– Grafica e Comunicazione
–– Chimica, Materiali e Biotecnologie
–– Tessile, Abbigliamento e Moda
–– Agraria e Agroindustria
–– Costruzioni, Ambiente e Territorio.
Con Direttiva del MIUR n. 57 del 15 luglio 2010 sono state definite le Linee guida
per il passaggio al nuovo ordinamento come previsto dall’art. 8, comma 3 del D.P.R. 15
marzo 2010, n. 88.
Le Linee guida descrivono ampiamente le azioni utili per il passaggio al nuovo or-
dinamento richiamando il quadro di riferimento europeo per le qualifiche (EQF), per il
sistema di trasferimento dei crediti (ECVET) per la costituzione di un sistema condiviso di
istruzione e formazione tecnico-professionale (VET).
Contengono gli orientamenti per l’organizzazione del curricolo in particolare per
quanto riguarda il raccordo tra l’area di istruzione generale e l’area di indirizzo e infine
nell’allegato A è contenuta la declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze
e abilità per il primo biennio, nonché le competenze di base attese a conclusione dell’ob-
bligo di istruzione.
Successivamente con la direttiva ministeriale n. 4 del 16 gennaio 2012 sono state
emanate le Linee guida per il secondo biennio e il quinto anno.
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Con Direttiva Ministeriale n. 5 del 16 gennaio 2012 sono state infine emanate le
Linee Guida per il secondo biennio e quinto anno.
Si ricorda che con il Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 61 “Revisione dei percorsi
dell’istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché rac-
cordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1,
commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107” viene modificato il siste-
ma di istruzione e formazione degli istituti professionali rendendo più flessibile l’offerta
formativa. Gli indirizzi, a partire dall’anno scolastico 2018/2019, passano da 6 a 11: agri-
coltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e gestione delle risorse
forestali e montane; pesca commerciale e produzioni ittiche; industria e artigianato per
il Made in Italy; manutenzione e assistenza tecnica; gestione delle acque e risanamento
ambientale; servizi commerciali; enogastronomia e ospitalità alberghiera; servizi cul-
turali e dello spettacolo; servizi per la sanità e l’assistenza sociale; arti ausiliarie delle
professioni sanitarie: odontotecnico; arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico. I
singoli istituti potranno declinare questi indirizzi in base alle richieste e alle peculiarità
del territorio, coerentemente con le priorità indicate dalle Regioni. Nel biennio vengono
inseriti gli assi culturali, ovvero aggregazioni di insegnamenti omogenei che forniscono le
competenze chiave. Si prospetta un maggiore monte ore per l’alternanza scuola-lavoro
e all’apprendistato.
63
nel limite di un dodicesimo, per ciascun mese, degli stanziamenti di spesa definitivi del
programma relativo al precedente esercizio, per la prosecuzione dei progetti già appro-
vati e per il funzionamento didattico e amministrativo generale. Qualora il programma
non sia stato approvato entro 45 giorni dall’inizio dell’esercizio, il dirigente ne dà im-
mediata comunicazione all’Ufficio scolastico regionale, cui è demandato il compito di
nominare, entro i successivi 15 giorni, un commissario ad acta che provvede al predetto
adempimento entro il termine prestabilito nell’atto di nomina».
Quando il POF triennale entrerà a regime nell’a.s. 2016-2017 anche la previsione
finanziaria dovrà essere organizzata su base triennale. In merito si aspettano i decreti
attuativi della riforma.
64
fici ovvero come libertà del docente di compiere scelte nella didattica non influenzate
dall’esterno.
Questo in qualche modo determina che il docente possa scegliere liberamente con-
tenuti e strategie che ritiene più idonei alla situazione in cui opera e per il conseguimen-
to degli obiettivi formativi indicati dai programmi ministeriali nonché le metodologie più
appropriate. La libertà di insegnamento indica anche la strada della sperimentazione dei
percorsi didattici e delle modalità relative all’insegnamento disciplinare e alle attività
complementari quali le verifiche e le valutazioni.
Il principio di libertà di insegnamento include il diritto riconosciuto agli studenti di
apprendere secondo le proprie capacità ed attitudini. Pertanto la didattica nel rispetto
del principio di liberta dell’insegnamento soprattutto negli ultimi venti anni deve tener
conto dell’individualità dello studente e della sua personalità.
La libertà d’insegnamento viene ribadita da diverse fonti ma trova alcuni limiti
espliciti: ne rimangono escluse tutte le manifestazioni eminentemente propagandi-
stiche di tesi e teorie che non ricevono alcuna garanzia costituzionale e si ritiene,
ancora, che l’insegnamento trovi dei limiti alla sua libera espressione rispetto al buon
costume, all’ordine pubblico e alla pubblica incolumità. Ulteriori limiti all’insegna-
mento sono determinati dalle norme costituzionali stesse e dagli ordinamenti della
scuola, nonché dal rispetto morale e civile degli alunni (artt. 1 e 2 del decreto legisla-
tivo 297/1994).
65
d) partecipare ai lavori delle commissioni di esame e di concorso di cui siano stati no-
minati componenti.
La funzione del docente si fonda quindi su un autonomo profilo culturale e profes-
sionale che si esplica nelle attività individuali e nelle attività collegiali e nelle attività di
aggiornamento e formazione in servizio.
L’aggiornamento è un diritto-dovere fondamentale del personale docente per:
–– adeguare le conoscenze allo sviluppo delle scienze;
–– approfondire la preparazione didattica;
–– partecipare alla ricerca e innovazione didattico-pedagogica.
Questo principio viene sottolineato nel T.U. 1994 (art. 282) e nei Contratti Nazionali
(CCNL) della scuola nei quali si sostiene che la formazione rappresenta una leva strate-
gica fondamentale del docente e della scuola in generale e rappresenta un diritto del
docente: questa viene ribadita da una direttiva annuale del Ministero che ne stabilisce i
modi e i tempi.
Il Collegio dei docenti, nel piano annuale, prevede uno spazio per la programmazio-
ne di attività di aggiornamento su tematiche espresse dai docenti che possono essere
attuate sia sottoforma di autoaggiornamento sia attraverso la collaborazione di soggetti
qualificati e/o accreditati. Per attività di formazione il contratto nazionale di categoria
prevede la possibilità di usufruire di giorni di esonero. Agenzie internazionali, inoltre,
promuovono e attivano corsi di aggiornamento internazionali rivolti ai docenti ed a tutto
il personale della scuola su tematiche specifiche e trasversali e finalizzate al raggiungi-
mento di competenze di cittadinanza e professionalizzanti.
Questo tipo di aggiornamento e di ricaduta sull’attività didattica diventa quindi un si-
stema di ricerca-azione che vede una continua evoluzione metodologica volta all’analisi
dei bisogni formativi degli alunni e della scuola come istituzione formativa sociale, ricer-
ca di risposte metodologiche e azione concreta finalizzata al raggiungimento di adeguate
competenze specifiche e sociali.
L’impegno del docente diventa quindi complesso e articolato poiché deve responsa-
bilizzarsi sulle finalità educative che è chiamato a svolgere, che richiedono nello stesso
tempo le capacità di ricostruire i propri interventi adattandoli alle situazioni differenti
che si presentano.
Tutto questo richiede il poter individuare percorsi formativi mirati ad una gestione
delle risorse dell’alunno e del gruppo classe, all’attivazione delle potenzialità presenti
utilizzando e sviluppando un processo di negoziazione sempre senza perdere di vista il
proprio ruolo.
In quest’ottica in cui è necessario dare spazio all’ambito relazionale per il raggiungi-
mento di obiettivi formativi trasversali e nel contempo approfondire tematiche discipli-
nari, deve valere il principio della trasparenza in cui il docente presenta obiettivi chiari
della propria azione: rende chiare le fasi del percorso didattico esplicitandone le fasi,
la metodologia ed i criteri di valutazione. Nell’ottica della trasparenza, l’alunno viene
motivato dall’informazione del percorso formativo in atto dal suo docente sviluppando
interesse in vista di un prodotto definito.
66
Hanno notevole rilevanza le azioni del docente che accetta e valorizza la diversità e
che utilizza diverse strategie di insegnamento mirate al raggiungimento di ogni alunno
attraverso la personalizzazione del piano didattico.
In quest’ottica al docente vengono fatte delle richieste professionali che certamente
richiedono una preparazione articolata e complessa che non solo comporti la conoscen-
za della propria disciplina in termini significativi, sistemici ed epistemologici per poterne
estrapolare e rielaborare con criticità e trasversalità i contenuti delle discipline ma anche
competenze organizzative, didattiche, affettive, relazionali.
Nel suo ruolo il docente deve infatti:
–– essere vigile sugli alunni più deboli mettendo in atto capacità di attenzione e di em-
patia;
–– conoscere l’adolescenza e i suoi problemi attraverso approfondimenti scientifici ed
esperienze dirette;
–– accettare i diversi stili cognitivi in armonia con la teoria delle intelligenze multiple;
–– saper programmare attività e interventi;
–– riflettere criticamente sul proprio percorso e sui propri atteggiamenti;
–– saper sperimentare diverse strategie di insegnamento;
–– utilizzare le proprie competenze per adattarsi alle situazioni nuove;
–– saper lavorare in équipe.
Il docente per ottenere dei risultati importanti nell’insegnamento deve prendere in
considerazione anche i fabbisogni degli studenti relativamente alla costruzione della pro-
pria identità, dello sviluppo della capacità di far fronte alle situazioni e tutte quelle com-
petenze trasversali che caratterizzano il processo di maturazione e di sviluppo educativo.
Quello del docente è quindi un lavoro che vede un percorso rappresentato da una
sequenza di attività finalizzate all’apprendimento attraverso differenti strategie e me-
todologie scelte tra quelle più idonee per il gruppo classe e per ciascun alunno (brain
storming, matrici cognitive, mappe concettuali, esplicitazione dei contenuti, attività la-
boratoriali e di ricerca ecc.).
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–– collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie ecc.;
–– utilizzazione economica delle opere di ingegno o industriali da parte dell’autore;
–– partecipazione a convegni e seminari;
–– incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
–– incarichi per i quali il dipendente è in posizione di aspettativa, di comando o fuori
ruolo;
–– incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali e dipendenti staccati o in aspettativa
non retribuita;
–– incarichi relativi alla libera professione.
Le attività del docente ritenute compatibili sono:
–– attività senza finalità di lucro;
–– partecipazione a società come socio;
–– partecipazione a società agricole a conduzione familiare;
–– incarichi di consulenza e di collaborazione compatibili con l’attività principale.
Il docente nella sua funzione risponde per la responsabilità penale e civile. Il pro-
blema della responsabilità civile e penale dei docenti è un tema molto discusso a se-
guito del controverso decreto legislativo 150/2009 «Attuazione della legge 4 mar-
zo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e
di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni e del decreto legislativo
165/2001 ‘Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle ammini-
strazioni pubbliche’».
Innanzitutto è bene chiarire che cosa si intenda per responsabilità civile e penale.
La responsabilità penale si configura quando si commette un reato. La legge in questo
caso prevede l’erogazione di una pena quale reclusione o multa. La responsabilità civile
si configura quando si è responsabili di un fatto che abbia causato danni a terzi. La legge
in questo caso prevede il risarcimento della controparte.
La responsabilità penale e civile dei dipendenti della scuola discende in particolare
dalle seguenti leggi:
1. art. 29 del CCNL 2006-2009;
2. D.Lgs. 165/2001;
3. D.Lgs. T.U. 297/1994;
4. art. 28 della Costituzione;
5. art. 2043-2047-2048 del Codice Civile;
6. art. 591 del Codice Penale;
7. art. 61 della Legge 312/1980.
L’art. 28 della Costituzione è la prima norma da cui deriva la responsabilità degli in-
segnanti: «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti Pubblici sono direttamente
responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in viola-
zione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli altri enti pubblici».
In pratica il dettato costituzionale prevede la responsabilità, oltre che degli insegnanti,
anche dell’amministrazione per i danni prodotti dai propri dipendenti.
Entrando maggiormente nello specifico dell’ambito scolastico, il contratto collettivo
nazionale di lavoro degli insegnanti, all’art. 29 «attività funzionali all’insegnamento»,
comma 5, indica i criteri di vigilanza sugli alunni all’entrata e all’uscita da scuola.
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Per assicurare l’accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a:
a) trovarsi in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni;
b) assistere all’uscita degli alunni medesimi.
Il docente in qualità di pubblico dipendente ha l’obbligo di risarcire lo Stato per i dan-
ni prodotti nell’esercizio delle proprie funzioni. Gli elementi costitutivi sono:
–– rapporto di impiego a tempo determinato o indeterminato;
–– azione o omissione idonea a produrre il danno;
–– nesso di casualità;
–– elemento psicologico della colpevolezza.
La responsabilità sussiste anche per azioni od omissioni imputabili a sola colpa o ne-
gligenza: non richiede la volontà predeterminata (dolo) neppure la mancanza di assoluta
diligenza e grave disattenzione (colpa).
Il docente ha l’obbligo di attenersi al codice di comportamento dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni. I principi e i contenuti del codice di comportamento costitu-
iscono specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità, che
qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa.
Il dipendente conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire esclusiva-
mente la nazione con disciplina ed onore e di rispettare i principi di buon andamento e
imparzialità dell’amministrazione. Nell’espletamento dei propri compiti, il dipendente
assicura il rispetto della legge e persegue esclusivamente l’interesse pubblico; ispira le
proprie decisioni ed i propri comportamenti alla cura dell’interesse pubblico che gli è
affidato.
Il dipendente mantiene una posizione di indipendenza, al fine di evitare di pren-
dere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo
apparenti, di conflitto di interessi. Non svolge alcuna attività che contrasti con il
corretto adempimento dei compiti d’ufficio e si impegna ad evitare situazioni e com-
portamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica ammi-
nistrazione.
Nel rispetto dell’orario di lavoro, il dipendente dedica la giusta quantità di tempo
e di energie allo svolgimento delle proprie competenze, si impegna ad adempierle nel
modo più semplice ed efficiente nell’interesse dei cittadini e assume le responsabilità
connesse ai propri compiti. Il dipendente usa e custodisce con cura i beni di cui dispone
per ragioni di ufficio e non utilizza a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni
di ufficio. Il comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di
fiducia e collaborazione tra i cittadini e l’amministrazione. Nei rapporti con i cittadini,
egli dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola l’esercizio dei diritti. Favorisce
l’accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei limiti in cui ciò non
sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni necessarie per valutare le decisioni
dell’amministrazione e i comportamenti dei dipendenti. Il sistema di sanzioni discipli-
nari a cui il docente può essere sottoposto trova il suo fondamento nella seguente nor-
mativa:
–– D.Lgs. 165/2001 «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche»;
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–– D.P.R. 3/1957 «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati
civili dello stato»;
–– D.Lgs. 297/1994 «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in
materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»;
–– CCNL 2006-2009 comparto scuola;
–– CCNL area V Dirigenza scolastica 15 luglio 2010;
–– Circolare Funzione Pubblica n. 9/2009 - D.Lgs. 150/2009 «Disciplina in tema di proce-
dimento disciplinare e rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale
- prime indicazioni circa l’applicazione delle nuove norme»;
–– Circolare MIUR n. 88/2010 «Indicazioni e istruzioni per l’applicazione al personale
della scuola delle nuove norme in materia disciplinare introdotte dal decreto legisla-
tivo 27 ottobre 2009, n. 150»;
–– Circolare Funzione Pubblica n. 14/2010 - D.Lgs. 150/2009 «Disciplina in tema di
infrazioni e sanzioni disciplinari e procedimento disciplinare - problematiche appli-
cative».
Le sanzioni possono essere:
–– un avvertimento scritto per mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla
funzione docente;
–– censura. Essa consiste in una dichiarazione di biasimo scritta e motivata per:
a) atti non conformi alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerenti alla fun-
zione o per gravi negligenze in servizio;
b) violazione del segreto d’ufficio inerente ad atti o attività non soggetti a pubblicità;
c) omissione di atti dovuti in relazione ai doveri di vigilanza;
–– sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese. La sospensione consi-
ste nel divieto di esercitare la funzione docente con la perdita del trattamento econo-
mico ordinario, salvo quanto disposto dall’articolo 497 D.Lgs. 297/1994, richiamato
dal D.Lgs. 150/2009:
a) nei casi previsti dall’articolo 494, qualora le infrazioni abbiano carattere di parti-
colare gravità;
b) per uso dell’impiego ai fini di interesse personale;
c) per atti in violazione dei propri doveri che pregiudichino il regolare funzionamen-
to della scuola e per concorso negli stessi atti;
d) per abuso di autorità;
–– sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese a sei mesi. Questa
sanzione si applica nel caso di compimento di uno o più atti di particolare gravità
integranti reati puniti con pena detentiva non inferiore a un massimo a 3 anni, per i
quali sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ovvero sentenza di con-
danna nel giudizio di primo grado confermata in grado di appello, e in ogni altro caso
in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici
uffici o della sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori;
–– sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di sei mesi e utilizza-
zione in compiti diversi:
a) atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione;
70
b) attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, alla pubblica am-
ministrazione, agli alunni, alle famiglie;
c) illecito uso o distrazione dei beni della scuola o di somme amministrate o tenute
in deposito, o per concorso negli stessi fatti o per tolleranza di tali atti commessi
da altri operatori della medesima scuola o ufficio, sui quali, in relazione alla fun-
zione, si abbiano compiti di vigilanza;
d) gravi atti di inottemperanza a disposizioni legittime commessi pubblicamente
nell’esercizio delle funzioni, o per concorso negli stessi;
e) richieste o accettazione di compensi o benefici in relazione ad affari trattati per
ragioni di servizio;
f) gravi abusi di autorità;
–– destituzione (licenziamento disciplinare). La destituzione, che consiste nella cessa-
zione dal rapporto d’impiego, è inflitta:
a) per atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione;
b) per attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, alla pubblica
amministrazione, agli alunni, alle famiglie;
c) per illecito uso o distrazione dei beni della scuola o di somme amministrate o
tenute in deposito, o per concorso negli stessi fatti o per tolleranza di tali atti
commessi da altri operatori della medesima scuola o ufficio, sui quali, in relazione
alla funzione, si abbiano compiti di vigilanza;
d) per richieste o accettazione di compensi o benefici in relazione ad affari trattati
per ragioni di servizio;
e) per gravi abusi di autorità.
71
gli organi collegiali della scuola si riuniscono in orari non coincidenti con quello delle
lezioni.
Si ricorda che la L. 107/2015 prevede alcune modifiche relativamente ai poteri degli
organi collegiali in relazione all’approvazione del POF e alla costituzione del Comitato di
valutazione a partire dall’anno scolastico 2016-2017 (vedi al paragrafo 1.3.14). Pertanto
nel presente capitolo la trattazione è in base alla legislazione ancora vigente per effetto
della gestione della transizione alla riforma.
Normalmente gli organi collegiali sono costituiti da un consiglio di classe e un Consi-
glio d’Istituto. In base ad ogni ordine scolastico gli organi collegiali sono costituiti come
sintetizzato in tabella.
ORGANI COLLEGIALI
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ORGANI COLLEGIALI
73
ORGANI COLLEGIALI
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ORGANI COLLEGIALI
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Essi sono così costituiti:
–– Consigli di intersezione: sono formati dai docenti della scuola dell’infanzia, ivi
compresi i docenti di sostegno se presenti;
–– Consigli di interclasse: sono composti dai docenti dei gruppi di classe paralleli o dello
stesso ciclo o dello stesso plesso. Ne fanno parte per ciascuna delle classi interessate
un rappresentante eletto dai genitori e i docenti di sostegno, se presenti;
–– Consigli di classe nella scuola secondaria di primo grado: sono formati dai docenti
della singola classe, ivi compresi i docenti di sostegno e da quattro rappresentanti
dei genitori;
–– Consigli di classe nella scuola secondaria di secondo grado: sono formati dai docen-
ti di ciascuna classe, ivi compresi i docenti di sostegno. Ad essi vanno aggiunti due
rappresentanti dei genitori e due rappresentanti degli studenti eletti dai medesimi.
Limitatamente ai corsi serali per lavoratori, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1 del 14
gennaio 1975, gli studenti della classe possono eleggere tre rappresentanti.
Il Consiglio di classe è presieduto dal dirigente scolastico o da un docente membro
del Consiglio di classe da lui delegato; le funzioni di segretario sono attribuite dal dirigen-
te scolastico ad uno dei docenti facenti parte del Consiglio.
Si riunisce in orario non coincidente con quello delle lezioni allo scopo di formulare
al Collegio dei docenti proposte in ordine all’azione didattico-educativa (ivi inclusa l’ado-
zione dei libri di testo) e ad iniziative di sperimentazione, mirando altresì ad agevolare e
ad estendere i rapporti tra docenti, genitori e studenti.
Le deliberazioni relative ai rapporti interdisciplinari nei Consigli di classe vengono
adottate con la sola presenza dei docenti. Analogamente nella scuola secondaria del I e II
ciclo le valutazioni periodiche (gli scrutini trimestrali o quadrimestrali) sono di esclusiva
competenza dei docenti.
Gli insegnanti tecnico-pratici e gli assistenti coadiutori addetti alle esercitazioni, in
servizio negli istituti tecnici e professionali in insegnamenti che prevedono la compre-
senza con i docenti di discipline teoriche, partecipano ai Consigli di classe, formulando
per la parte di loro competenza le proposte di voto relative alle valutazioni periodiche e
finali degli alunni.
76
nenti ne fanno parte di diritto. Dura in carica un anno scolastico. Oltre alla seduta di
insediamento all’inizio dell’anno scolastico, il Collegio è convocato ogniqualvolta il di-
rigente scolastico ne ravvisi la necessità o ne faccia richiesta almeno un terzo dei com-
ponenti. Comunque è tenuto a riunirsi almeno una volta a trimestre o quadrimestre.
Le riunioni del Collegio dei docenti si svolgono in orario non coincidente con quello
delle lezioni.
Le decisioni sono prese a maggioranza.
77
–– su iniziative per l’educazione alla salute e contro le tossicodipendenze (art. 7, comma
2, lett. q) T.U.);
–– sulla sospensione dal servizio di docenti quando ricorrano particolari motivi di urgen-
za (art. 7, comma 2, lett. p) T.U.).
Il Collegio docenti, infine, elegge nel suo interno i docenti che fanno parte del comi-
tato di valutazione del servizio del personale docente e, come corpo elettorale, i suoi
rappresentanti nel Consiglio di circolo o di istituto.
Il Collegio dei docenti non ha competenza nella scelta dei collaboratori intesi come
staff della dirigenza scolastica per quanto riguarda la gestione e l’organizzazione come
da C.M. n. 205/2000. La nomina dei collaboratori è quindi una prerogativa del dirigente
scolastico, mentre al Collegio spetta la nomina dei responsabili delle funzioni obiettivo e,
occasionalmente, di altre figure che operano nel versante educativo e didattico.
Il Collegio dei docenti è composto dai docenti in servizio nel circolo o nell’istituto,
supplenti temporanei limitatamente alla durata della supplenza, dai docenti di sostegno
ed è presieduto dal dirigente scolastico.
Nel caso di aggregazioni di più scuole secondarie superiori di diverso ordine e tipo, di se-
zioni staccate e di sedi coordinate, nonché dei cosiddetti istituti comprensivi, viene costituito
un unico collegio articolato in sezioni rappresentative delle scuole incluse nella nuova istitu-
zione. Per alcune questioni esso sarà riunito nella totalità delle sue sezioni, mentre per altre,
riferite alla singola scuola, il dirigente scolastico riunirà separatamente le diverse sezioni.
Il Collegio si riunisce quando il dirigente scolastico lo ritiene necessario o quando un
terzo dei componenti ne faccia richiesta. Normalmente esso si riunisce almeno una volta per
ogni trimestre o quadrimestre. Le riunioni del Collegio hanno luogo in ore non sovrapposte
all’orario di lezione. Le funzioni di segretario del Collegio vengono attribuite dal capo d’istitu-
to ad uno dei collaboratori. Per la validità delle adunanze è necessaria la presenza della metà
più uno dei componenti; le deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti.
78
Gli studenti che non abbiano raggiunto la maggiore età non hanno voto deliberativo
in materia di acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature, nonché di acquisto
del materiale di consumo.
A titolo consultivo possono partecipare alle riunioni del Consiglio specialisti che ope-
rano in modo continuativo nella scuola con compiti di tipo medico-psico-pedagogici o
di orientamento, per esempio gli esperti dei relativi sportelli di ascolto. Anche per il
Consiglio le sessioni devono aver luogo in ore non coincidenti con l’orario delle lezioni.
Il Consiglio è presieduto da uno dei suoi membri eletti a maggioranza assoluta dei
suoi componenti tra i rappresentanti dei genitori. Dopo la prima votazione il presidente
è eletto a maggioranza relativa dei votanti; può anche essere eletto un vicepresidente.
Le funzioni di segretario del Consiglio sono affidate dal presidente ad un membro del
Consiglio stesso.
Il Consiglio elegge nel suo seno la Giunta esecutiva, che è formata da un docente, da
un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario e da due genitori. Della Giunta fanno
parte di diritto il dirigente scolastico, che la presiede ed ha la rappresentanza del circolo
o dell’istituto, ed il capo dei servizi di segreteria (DSGA) che svolge anche funzioni di
segretario della giunta stessa.
Negli istituti di istruzione secondaria superiore la rappresentanza dei genitori è ridot-
ta di una unità; in tal caso è chiamato a far parte della giunta esecutiva un rappresentan-
te eletto dagli studenti.
Il Consiglio di istituto deve provvedere all’approvazione della relativa delibera entro il
15 dicembre dell’anno precedente quello di riferimento. Tale delibera deve essere adot-
tata anche nel caso di mancata acquisizione del parere del collegio dei revisori entro i
cinque giorni antecedenti la data fissata per la deliberazione in argomento.
Il Consiglio e la Giunta esecutiva restano in carica per un triennio; i componenti, che
nell’arco del triennio perdono i requisiti di eleggibilità, sono sostituiti dai primi non eletti
nelle rispettive liste.
Il Consiglio gestisce i fondi ad esso assegnati per il funzionamento didattico ed am-
ministrativo sulla base del bilancio preventivo approvato nei termini suddetti.
L’esercizio finanziario coincide con l’anno solare; la scuola ha l’obbligo di presentare
il conto consuntivo. I contributi per le spese suddette vengono erogati dal competente
ufficio scolastico periferico sulla base dei fondi messi a disposizione dal Ministero e sono
rapportati alla consistenza della popolazione scolastica, del numero delle classi e delle
esigenze dei diversi tipi di scuola.
In materia di autonomia le attribuzioni del Consiglio di istituto prevedono che il me-
desimo deliberi sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo; inoltre, esso dispone in
ordine alla utilizzazione dei mezzi finanziari necessari al funzionamento amministrativo-
didattico della scuola.
Nel proprio regolamento il Consiglio stabilisce le modalità in base alle quali invita-
re i rappresentanti della Provincia, del Comune, degli organi di decentramento, delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti e autonomi presenti nel territorio e
i rappresentanti del Consiglio scolastico distrettuale allo scopo di esaminare in modo
approfondito la problematica scolastica nelle sue connessioni con le esigenze della co-
munità e delle forze sociali interessate.
79
1.20 Funzioni e compiti del Consiglio d’istituto
La disciplina del Consiglio d’istituto è contenuta essenzialmente negli artt. 8-9-10 del
T.U. 297/1994.
ll Consiglio di circolo o di istituto esercita la funzione di indirizzo politico-ammi-
nistrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare; elabora e adotta gli indi-
rizzi generali ovvero i criteri e determina le forme di autofinanziamento della scuola,
mentre la gestione dell’istituzione e le relative responsabilità fanno capo al dirigente
scolastico.
L’esercizio della funzione di indirizzo del Consiglio trova la sua massima espressione
attraverso l’approvazione del programma annuale proposto dalla Giunta esecutiva che
consiste nel bilancio di previsione. Il Consiglio provvede anche all’adozione del Regola-
mento interno, del piano dell’offerta formativa (POF) e all’individuazione dei criteri ge-
nerali su diverse materie che regolano la vita della scuola.
In materia finanziaria e patrimoniale il D.L. 44/2001 («Regolamento concernente le
Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche»)
specifica che il Consiglio:
–– approva il programma annuale;
–– ratifica i provvedimenti del dirigente che dispongono i prelievi dal fondo di riserva;
–– verifica lo stato di attuazione del programma annuale e vi apporta le modifiche ne-
cessarie (variazioni);
–– decide in ordine all’affidamento del servizio di cassa;
–– stabilisce il limite del fondo minute spese da assegnare al direttore dei servizi gene-
rali ed amministrativi (DSGA);
–– approva il conto consuntivo.
In materia di attività negoziale il Consiglio di istituto delibera in ordine:
–– alla accettazione e alla rinuncia di legati, eredità e donazioni;
–– alla costituzione o compartecipazione a fondazioni e a borse di studio;
–– all’accensione di mutui e in genere ai contratti di durata pluriennale;
–– ai contratti di alienazione, trasferimento, costituzione, modificazione di diritti reali
su beni immobili appartenenti alla istituzione scolastica, previa verifica, in caso di
alienazione di beni pervenuti per effetto di successioni a causa di morte e donazioni,
della mancanza di condizioni ostative o disposizioni modali che ostino alla dismissio-
ne del bene;
–– all’adesione a reti di scuole e consorzi;
–– all’utilizzazione economica delle opere dell’ingegno;
–– alla partecipazione della scuola ad iniziative che comportino il coinvolgimento di
agenzie, enti, università, soggetti pubblici o privati.
80
–– il direttore dei servizi generali e amministrativi, che svolge anche funzioni di segreta-
rio della Giunta stessa.
Fanno parte della Giunta, eletti dal Consiglio di circolo o d’istituto:
–– un docente;
–– un non docente;
–– due genitori.
La Giunta esecutiva ha il compito di:
–– predisporre il bilancio preventivo e il conto consuntivo;
–– preparare i lavori del Consiglio di circolo o di istituto, fermo restando il diritto di ini-
ziativa del Consiglio stesso, e curare l’esecuzione delle relative delibere.
I docenti membri debbono inoltre ricordare che sono presenti in Consiglio d’Istituto
in quanto rappresentanti del Collegio e non a titolo personale o in quanto rappresentanti
di componenti politiche, e pertanto debbono curare che ci sia rispondenza tra proposte
del Collegio e delibere del Consiglio d’Istituto.
81
1.23 Dipartimenti
I Dipartimenti sono articolazioni del Collegio dei docenti e rappresentano luoghi de-
putati a dibattere le questioni fondamentali del rapporto insegnamento/apprendimen-
to, tra cui particolarmente la didattica laboratoriale per competenze. I dipartimenti non
sono una novità all’interno delle scuole. Tuttavia, la loro auspicata riproposizione in ter-
mini nuovi e più flessibili (per aree o per assi culturali) può oggi diventare per i docenti,
sulla spinta innovativa del riordino, una formidabile occasione di recupero, di rivitalizza-
zione e di approfondimento della collegialità educativa.
Il Collegio individua le aree in cui i Dipartimenti hanno funzione deliberativa e i criteri
per la composizione dei Dipartimenti, che hanno comunque funzione eminentemente
tecnico-didattica.
Tra le funzioni rilevanti del Dipartimento vi sono:
–– organizzazione del sistema di valutazione di abilità e conoscenze e competenze;
–– individuazione dei contatti significativi con il territorio, in relazione all’alternanza
scuola lavoro, tirocini;
–– articolazione delle proposte per l’adozione dei libri di testo;
–– la proposta di articolazione didattica dei percorsi in relazione alle indicazioni del CTS
e alla quota opzionale;
–– predisposizione dei materiali didattici e di valutazione, anche in relazione a eventuali
percorsi di formazione a distanza.
82
È consentito lo svolgimento di una assemblea di istituto o di una assemblea di classe
al mese, con esclusione del mese conclusivo delle lezioni, la prima nel limite delle ore di
lezione della giornata e la seconda di due ore.
Le richieste per le assemblee di classe o di istituto devono essere inoltrate al Capo di
istituto unitamente alla indicazione dell’ordine del giorno.
L’assemblea di istituto è convocata su richiesta del comitato studentesco, ove esso
esiste, oppure dal 10% degli studenti frequentanti la scuola.
Alle assemblee di istituto svolte durante le ore di lezione ed in numero non superiore
a quattro possono essere invitati esperti di problemi sociali, culturali, artistici e scientifici
con espressa indicazione dei loro nominativi all’ordine del giorno.
Tale partecipazione deve essere preventivamente autorizzata dal Consiglio di istituto.
Il preside, su deliberazione del Consiglio di istituto, potrà concedere di volta in
volta l’uso di un locale per le riunioni del comitato studentesco fuori dell’orario delle
lezioni.
Facendo un ulteriore riferimento alla partecipazione e alla rappresentanza degli stu-
denti delle scuole secondarie di secondo grado, è il caso di accennare alle elezioni dei
loro rappresentanti nella consulta provinciale (cfr. il D.P.R. n. 105 del 10 aprile 2001
modificativo del D.P.R. 567/1996). Tali elezioni si svolgono entro il 31 ottobre di ciascun
anno scolastico secondo le modalità procedurali ed organizzative che disciplinano le ele-
zioni della rappresentanza studentesca nei Consigli di istituto.
Le consulte appartenenti ad una stessa regione danno altresì vita ad un coordina-
mento regionale. Le consulte provinciali di ogni regione nella loro autonomia stabilisco-
no le modalità organizzative e di partecipazione agli incontri regionali.
Queste ultime organizzano altresì incontri dei rappresentanti delle consulte a livello
nazionale.
La costituzione di tali coordinamenti è finalizzata a creare sedi di confronto e di più
ampia riflessione sulle varie esperienze provinciali.
I coordinamenti così costituiti potranno interloquire con le direzioni scolastiche re-
gionali alle quali spetta assicurare agli organismi studenteschi operanti a livello della
singola Regione un adeguato supporto tecnico-amministrativo.
Al fine di sviluppare il dialogo con il mondo studentesco si è creato un forum nazio-
nale delle associazioni degli studenti più rappresentative, che è la sede in cui il Ministro
e le associazioni si incontrano per esaminare i problemi degli studenti, per formulare
proposte e per esprimere pareri.
L’accesso al forum nazionale è consentito alle associazioni degli studenti sulla base
dei seguenti parametri:
–– numero di iscritti;
–– numero di aderenti;
–– numero di rappresentanti eletti nei consigli di istituto;
–– numero di rappresentanti eletti nelle consulte provinciali;
–– numero di progetti presentati e realizzati nelle scuole come attività integrative.
Il Comitato studentesco, composto dai rappresentanti di classe e di istituto, viene
integrato da due rappresentanti nella consulta provinciale; esso ha inoltre il potere di
83
designare il rappresentante degli studenti come componente dell’organo di garanzia in-
terno alla scuola.
Alle consulte è altresì attribuito il compito di svolgere attività informative e consultive
nel campo della prevenzione e cura delle tossicodipendenze e nella lotta contro l’abuso
di farmaci e di sostanze «dopanti».
Ai sensi della normativa sopra richiamata è previsto un inserimento delle iniziative
complementari nel piano dell’offerta formativa (POF) di ciascun istituto. Le scuole po-
tranno peraltro stipulare delle forme di convenzione con le aziende sanitarie locali per lo
svolgimento di attività sportive o ludiche comportanti l’effettuazione di esercizi motori
da parte degli studenti.
Le attività integrative e complementari possono anche essere realizzate mediante
accordi in rete tra più scuole.
Viene altresì istituito un forum nazionale per le principali associazioni dei genitori
con funzioni analoghe al suddetto forum delle associazioni studentesche.
84
Il numero delle preferenze esprimibili dall’elettore è proporzionale al numero dei
seggi da attribuire alla singola categoria.
L’argomento si può così riassumere: un voto di preferenza su tre seggi, due voti su
cinque seggi e comunque un numero di preferenze non superiore ad un terzo del nume-
ro complessivo dei seggi da attribuire.
Il voto è personale, uguale, libero e segreto.
Per quanto concerne lo svolgimento delle elezioni e le procedure elettorali, si fa espli-
cito rinvio alla ordinanza ministeriale n. 215 del 15 luglio 1991 e successive modificazioni
ed integrazioni.
I componenti del Consiglio di circolo o di istituto, del Comitato per la valutazione del
servizio dei docenti, dei Consigli di intersezione, di interclasse e di classe sono nominati
dal dirigente scolastico.
I componenti dei Consigli scolastici distrettuali e provinciali sono nominati dal diri-
gente dell’ufficio scolastico provinciale (ex Provveditore agli Studi).
Ogni organo collegiale è validamente costituito anche nell’ipotesi in cui tutte le com-
ponenti non abbiano espresso la loro rappresentanza.
Ai fini della validità della riunione di ogni organo collegiale è richiesta la presenza di
almeno la metà più uno dei membri in carica.
Le delibere vengono approvate a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi,
salvo che non sia diversamente prescritto da disposizioni speciali. In caso di parità pre-
vale il voto del presidente.
La votazione è segreta soltanto quando è relativa a persone.
Le adunanze degli organi collegiali si svolgono in orario compatibile con gli impegni
di lavoro dei componenti eletti.
I membri eletti e quelli designati dagli enti locali (regione, provincia e comuni), i
quali senza giustificato motivo non partecipano per tre sedute consecutive alle riunioni
dell’organo di cui fanno parte, decadono dalla carica e vengono surrogati.
Ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 297/1994, per la sostituzione dei membri elettivi degli
organi collegiali a durata pluriennale cessati dalla carica per qualsiasi causa o che abbia-
no perso i requisiti di eleggibilità, si procederà alla nomina di coloro che, in possesso dei
requisiti prescritti, risultino primi tra i non eletti delle rispettive liste.
I rappresentanti dei suddetti enti locali potranno essere sostituiti dai rispettivi organi
nel caso di svolgimento di nuove elezioni.
In ogni caso i membri subentranti cessano dalla carica allo scadere del periodo di
durata dell’organo.
Ai sensi dell’art. 43 del D.Lgs. 297/1994 è assicurata la pubblicità degli atti emanati
dagli organi collegiali della scuola.
Non sono oggetto di pubblicazione gli atti riguardanti la singola persona, salvo richie-
sta contraria dell’interessato.
Per quanto attiene all’accesso agli atti e alla documentazione amministrativa, si appli-
cano le disposizioni in materia contenute nella legge n. 241 del 7 agosto 1990.
85
Gli ambienti di apprendimento e le metodologie didattiche
Capitolo 2
Gli ambienti di apprendimento
e le metodologie didattiche
87
della cultura e del sapere. La conseguenza di questa idea è stata la diffusione delle cosid-
dette tecniche attive ovvero quelle tecniche didattiche atte a favorire il coinvolgimento
degli studenti durante le lezioni.
Le moderne teorie pedagogiche e le ricerche in campo educativo costituiscono le basi
delle attuali metodologie d’insegnamento, sui ci soffermeremo nei prossimi paragrafi.
Un’ulteriore elemento caratterizzante la didattica in anni più recenti è dato del con-
fronto della scuola con le politiche dell’istruzione a livello comunitario. Questo confron-
to che ha operato sia a livello di dibattito che attraverso la normativa comunitaria viene
comunemente indicato come la dimensione europea dell’insegnamento. Ed è questo un
dato caratterizzante la didattica moderna.
Attraverso le politiche comunitarie è emerso che il ruolo dell’istruzione non deve
essere esclusivamente indirizzato verso una conoscenza dei saperi ovvero disciplinare in
senso stretto ma verso lo sviluppo di competenze specifiche e trasversali. Concetti come
il Lifelong learning (insegnamento per tutto l’arco della vita) e didattica orientativa, che
hanno spesso caratterizzato le discussioni sul ruolo della didattica in ambito europeo,
richiamano quindi la scuola a sviluppare competenze incentrate sulle abilità e capacità
delle persone.
Le discipline assumono quindi un valore strumentale perdendo in un certo senso il
fine ultimo dell’istruzione o della trasmissione di conoscenze e pongono anche l’atten-
zione su un sapere fortemente integrato e multidisciplinare.
Una serie di direttive e di normative, dal 1979, si sono susseguite per mettere l’accen-
to sulle finalità orientative e di crescita che la scuola assume nei confronti degli alunni.
Ricordiamo la Direttiva n. 487/1997 sull’orientamento delle studentesse e degli studenti
che pone l’attenzione sulla potenzialità di conoscere sé stessi, l’ambiente quotidiano, i
mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché essi possano essere
protagonisti di un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare
e sociale in modo attivo, paritario e responsabile. A partire dalla Direttiva, l’orientamen-
to diviene uno dei pilastri nella lotta all’insuccesso e all’abbandono scolastico.
Dopo il 2000 una serie di atti dell’Unione europea ribadisce il concetto relativo alla
necessità di rivolgere l’attenzione allo sviluppo della persona, ricordiamo:
–– Risoluzione dell’Unione Europea «Orientamento lungo tutto l’arco della vita»;
–– Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle competenze
chiave;
–– Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea sulla
costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente
(EQF);
–– Risoluzione «Integrare maggiormente l’orientamento nelle strategie di apprendi-
mento permanente»;
–– Relazione della commissione europea su «Istruzione e formazione 2010».
Questi atti europei mirano a rendere l’orientamento una capacità dei cittadini di
ogni età di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi,
di prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione, nonché di
gestire i propri percorsi personali di vita nelle attività di formazione, nel mondo profes-
88
sionale e in qualsiasi altro ambiente in cui si acquisiscono e/o si sfruttano tali capacità
e competenze.
Nello specifico italiano la didattica è stata influenzata dal modello di scuola orienta-
tiva in quanto anche dal quadro normativo emerge la volontà di utilizzare metodi per fa-
vorire l’iniziativa del soggetto verso il proprio sviluppo e lo pone in condizione di conqui-
stare la propria identità di fronte al contesto sociale, tramite un processo formativo con-
tinuo cui debbono concorrere unitariamente le varie strutture scolastiche e i vari aspetti
dell’educazione. Questa per esempio è stata la portata della cosiddetta sperimentazione
Brocca del 1990 che ha contribuito alla realizzazione di una dimensione orientativa della
scuola secondaria superiore, cosa particolarmente significativa perché è in questa fascia
di età e di scolarità che il processo orientativo, lungo e continuo, raggiunge il massimo
delle necessità.
89
–– conoscenze, dati, informazioni, concetti fondamentali riferiti alla realtà sociale;
–– abilità di ricerca, sviluppo di ragionamento, di comprensione, sviluppo della creativi-
tà e del problem solving.
L’insegnamento attraverso questo approccio sollecita l’uso di tecniche per conoscere
i propri studenti e le loro aspettative e i bisogni formativi attraverso:
–– un’autopresentazione scritta, oppure, con la narrazione dei successi/insuccessi sco-
lastici nelle diverse discipline;
–– un’intervista per approfondire eventuali aspetti problematici;
–– la somministrazione di questionari per approfondire le modalità di apprendimento,
conoscenze, preferenze ecc. che possono a loro volta stimolare l’allievo a scoprire
aspetti prima d’ora non considerati.
Altri sistemi che possono essere utilizzati per acquisire una maggiore conoscenza
dei bisogni formativi e raccogliere elementi utili sullo studente sono delle esercitazioni
molto diffuse quali:
–– uso di post-it per scrivere il feed-back da raccogliere o da «spedire» in una scatola
predisposta;
–– schede di osservazione dell’insegnante (durante le attività di gruppo o l’esecuzione
di vari compiti);
–– schede di autovalutazione (per esempio alla fine di un’attività);
–– questionari su aspetti vari dell’attività scolastica (per avere informazioni su preferen-
ze, stili cognitivi o altro).
Esiste, inoltre, una consolidata metodologia didattica frequentemente usata allo sco-
po di accrescere il livello di consapevolezza del soggetto da parte del docente. Questa
metodologia si chiama narrazione autobiografica e ne parleremo successivamente.
La didattica orientativa è caratterizzata da specifiche strategie:
–– lavorare sulle aspettative degli studenti;
–– offrire occasioni e strumenti per individuare le difficoltà che lo studente incontra ed
aiutarlo a superarle;
–– coinvolgere lo studente nella valutazione in quanto ciò rappresenta la condizione di
base per coinvolgerlo ed impegnarlo in prima persona nelle attività future;
–– non dimenticare che ogni studente dispone di un notevole bagaglio di esperienze e
conoscenze;
–– considerare che lo studente impara meglio se parte da quanto sa già;
–– tenere conto che lo studente ha ritmi e stili di apprendimento propri;
–– informare lo studente in maniera chiara sugli obiettivi e sul modo di valutare;
–– incoraggiare la curiosità;
–– conoscere la situazione di partenza, le preferenze, lo stile di apprendimento e i punti
di forza e di debolezza di ogni studente per intervenire in maniera mirata;
–– far leva e valorizzare i punti di forza di ognuno per diventare «facilitatore» nei pro-
cessi di apprendimento;
–– praticare l’arte dell’incoraggiamento.
In conclusione possiamo affermare che la didattica deve essere progettata in modo
da poter realizzare un percorso educativo e non solo scolastico in senso stretto. Le stra-
90
tegie didattiche debbono, anche in base alle sollecitazioni di carattere europeo, essere
organizzate in relazione ai bisogni formativi degli allievi e devono mirare principalmente
allo sviluppo di competenze trasversali.
91
condo una forma circolare per consentire una maggiore fluidità nel racconto. Il cerchio
narrativo è la forma geometrica capace di custodire lo spirito della narrazione orale, esso
si oppone nettamente allo spazio-classe, rigido e con barriere che favoriscono l’esclu-
sione. La narrazione orale, nella forma del cerchio, offre all’insegnante la possibilità di
instaurare una relazione educativa basata sull’ascolto dell’educando. Il cerchio abbatte
qualsiasi forma geometrica che impone una gerarchia: all’interno del cerchio, seduto
accanto agli studenti, c’è l’insegnante.
Fare conversazione autobiografica a scuola non significa che l’insegnante debba
disporsi come la guida esterna del percorso, ma invece comporta un coinvolgimento
dell’insegnante nelle varie storie di vita. L’insegnante ha la possibilità, all’interno del
cerchio narrativo, di comprendere e di accettare il suo studente, senza la pretesa di va-
lutarlo o di giudicarlo.
Operativamente la prima fase dell’incontro è dedicata a spiegare le «regole del
gioco», poi si potrebbero adottare le domande proposte da Dan P. McAdams, che è
il più accreditato tra gli autori che si sono occupati di conversazione autobiografica.
Egli stesso ha affermato, comunque, che il protocollo da lui indicato non deve essere
considerato come uno schema da riempire, né come una check-list di argomenti che
devono essere tutti affrontati nella conversazione. Generalmente non è bene inter-
rompere la narrazione con delle domande, a meno che non siano sollecitate dalla
stessa narrazione. In genere la narrazione della storia di vita, una volta iniziata, non
ha bisogno di domande dirette, forse l’insegnante potrebbe semplicemente incorag-
giare lo studente.
McAdams propone il seguente protocollo di «spunti di riflessione» che potrebbero
essere usati, anche a scuola, all’interno del cerchio narrativo. Il gruppo classe è invitato
dall’insegnante a fare un resoconto «orale» della propria vita, un’autobiografia, pertanto
a ciascuno viene consegnato lo schema seguente come aiuto per osservare la propria
vita da una nuova prospettiva, per meglio comprendere alcuni eventi importanti, le figu-
re decisive nella sua vita e naturalmente se stessi.
1. Pensa alla tua vita come a un libro e associa ogni parte della vita a un capitolo:
dai un titolo a ogni capitolo e descrivi a grandi linee quali saranno i contenuti.
2. Eventi chiave momenti particolari che sono accaduti in particolari tempi e luoghi:
– il momento più bello della tua vita;
– il momento più brutto della tua vita;
– episodi nei quali è avvenuto un profondo cambiamento nella tua comprensio-
ne di te stesso;
– primi ricordi anche se non particolarmente importanti;
– un importante ricordo dell’infanzia;
– un importante ricordo dell’adolescenza;
– un importante ricordo dell’età adulta.
3. Descrivi quattro delle persone più importanti della tua vita spiegando la relazio-
92
ne che hai avuto con ciascuna di queste e il modo con il quale queste hanno avuto
un impatto sulla tua vita.
4. Progetti, previsioni o sogni per il futuro.
5. Ansie e problemi.
Guardando alla tua vita come un libro, puoi identificare un tema centrale, un mes-
saggio o una idea che attraversa il testo?
Dopo che gli alunni hanno scritto il testo si può iniziare l’analisi del contenuto, ossia
si parte con la ricerca delle parole chiave e dei temi più significativi.
Una seconda fase prevede l’associazione di commenti a questi punti.
Attraverso la conversazione autobiografica il soggetto:
–– rievoca episodi che sembravano dimenticati;
–– sperimenta una libera associazione di idee;
–– può fruire della presenza di uno sconosciuto che, probabilmente, collega episodi e
scopre nessi;
–– reagisce a stimoli inusuali in rapporto alle poche domande chiave che gli sono state
rivolte.
Scrivere la propria autobiografia è cosa diversa dal raccontare oralmente. Infatti se
nella conversazione autobiografica è la dimensione orale ad essere in primo piano, nella
scrittura autobiografica il soggetto sollecita e stimola le proprie capacità cognitive ed
emotive in una maniera superiore rispetto all’oralità. Ciascuno cerca di offrire il meglio di
se stesso attraverso la scrittura autobiografica, ecco perché è bene che lo studente venga
guidato dall’insegnante in questa attività attraverso una metodologia molto strutturata.
93
aver inserito i problemi della psicoanalisi infantile in un contesto di ricerche antropologi-
che e sociologiche sugli stadi dello sviluppo psicosociale. Egli critica Freud per non aver
approfondito l’influenza sociale sullo sviluppo della personalità. I suoi studi mettono in
evidenza che lo sviluppo di una personalità equilibrata è data da un alto grado di coe-
renza delle sue azioni e dal percepire correttamente se stessi e l’esterno. Uno sviluppo
equilibrato presuppone quindi che un soggetto unisca una percezione e un’accettazione
chiara del suo io interiore e del suo gruppo culturale.
Molto nota è la sua rielaborazione dei processi di sviluppo individuale che, partendo
da una matrice psicoanalitica classica, evolvono in direzione dell’analisi delle 8 fasi (cia-
scuna legata ad un tipo di conflitto) che caratterizzano l’intero ciclo di vita. Il passaggio
allo stadio successivo avviene ogni volta che l’individuo, nell’interazione con la realtà
esterna, riesce a superare una «crisi evolutiva» e attraverso questi stadi di sviluppo rea-
lizza l’integrità dell’Io.
Le sue teorie hanno rappresentato un’importante tappa nell’espansione della teo-
rizzazione psicoanalitica, nell’ottica del riconoscimento del dinamismo intrinseco anche
ai periodi di vita adulta e senile e che quindi non si ferma – come processualità dinami-
ca – al raggiungimento dell’età adulta, come invece era teorizzato nei primi contributi
psicoanalitici. Il modello di Erikson ebbe molta fortuna sia negli Stati Uniti che nel resto
del mondo.
Rifacendosi al linguaggio dell’embriologia, Erikson considera che ogni elemento della
persona sia già presente prima che compaia il suo critico e decisivo tempo di emersione.
A partire dalle fasi di sviluppo psico-sessuale di Sigmund Freud, Erikson individua otto
stadi di sviluppo psicosociale, ciascuno caratterizzato da una precisa crisi psicosociale:
• Infanzia 0-1 anno (fase orale-respiratoria), fiducia/sfiducia;
• Prima Infanzia 1-3 anni (fase anale-uretrale), autonomia/vergogna e dubbio;
• Età genitale 3-6 anni (fase infantile-genitale), iniziativa/senso di colpa;
• Età scolare 6-12 anni (fase di «latenza»), industriosità/inferiorità;
• Adolescenza 12-20 anni (pubertà), identità e contestazione/diffusione di identità;
• Prima età adulta 20-40 anni (genitalità), intimità e solidarietà/isolamento;
• Seconda età adulta 40-65 anni, generatività/stagnazione e auto-assorbimento;
• Vecchiaia 65 anni in poi, integrità dell’Io/disperazione.
Pur essendo un cammino «a tappe», il ciclo di vita viene inteso da Erikson come
un continuum. Nello sviluppo, infatti, è importante il concetto di crisi intesa in maniera
positiva; è questa, infatti, la scelta effettuata per risolvere la problematica evolutiva. La
persona quindi riemerge con un accresciuto senso di unità interiore: gli elementi negativi
non vengono cancellati ma vengono ampiamente superati.
Interessanti implicazioni delle teorie esaminate riconducono la responsabilità dei
fattori soggettivi nello sviluppo e hanno influenzato gli approcci e le scelte della «reazio-
ne educativa». Marcel Postic, muovendosi nell’ambito delle teorie freudiane, sottolinea
come nella relazione educativa la motivazione dell’allievo per il lavoro scolastico sia lega-
ta al rapporto con uno o più insegnanti.
94
2.2 Principali teorie pedagogiche
Per comprendere strumenti, tecniche e metodologie della didattica è opportuno sof-
fermarsi sulle teorie pedagogiche che stanno alla base della didattica moderna. Lo scopo
del presente paragrafo è di offrire una panoramica sulle principali teorie pedagogiche e
ricerche in campo educativo.
95
talamo e vari altri punti del nostro cervello. Chi la possiede ha una padronanza del
corpo che gli permette di coordinare bene i movimenti. In generale si può riferire a
chi fa un uso creativo del corpo, come i ginnasti e i ballerini;
5. intelligenza musicale: normalmente è localizzata nell’emisfero destro del cervello,
ma le persone con cultura musicale elaborano la melodia in quello sinistro. È la capa-
cità di riconoscere l’altezza dei suoni, le costruzioni armoniche e contrappuntistiche.
Chi ne è dotato solitamente ha uno spiccato talento per l’uso di uno o più strumenti
musicali, o per la modulazione canora della propria voce;
6. intelligenza interpersonale: coinvolge tutto il cervello, ma principalmente i lobi pre-
frontali. Riguarda la capacità di comprendere gli altri, le loro esigenze, le paure, i de-
sideri nascosti, di creare situazioni sociali favorevoli e di promuovere modelli sociali e
personali vantaggiosi. Si può riscontrare specificamente nei politici e negli psicologi,
più genericamente in quanti possiedono spiccata empatia e abilità di interazione so-
ciale;
7. intelligenza intrapersonale: riguarda la capacità di comprendere la propria indivi-
dualità, di saperla inserire nel contesto sociale per ottenere risultati migliori nella vita
personale, e anche di sapersi immedesimare in personalità diverse dalla propria. È
considerata da Gardner una «fase» speculare dell’intelligenza interpersonale;
8. intelligenza naturalistica: consiste nel saper individuare determinati oggetti naturali,
classificarli in un ordine preciso e cogliere le relazioni tra di essi. Alcuni gruppi umani
che vivono in uno stadio ancora «primitivo», come le tribù aborigene di raccoglitori-
cacciatori, mostrano una grande capacità nel sapersi orientare nell’ambiente natura-
le riconoscendone anche i minimi dettagli.
La teoria delle intelligenze multiple rivela che sebbene le capacità di apprendimento
siano più o meno innate negli individui, non sono statiche e possono essere sviluppate
mediante l’esercizio. Un individuo può sviluppare tutte le diverse forme di intelligenza
fino a raggiungere livelli soddisfacenti di competenza se è messo in condizioni di incorag-
giamento e sollecitazione nei processi di apprendimento.
La teoria delle intelligenze multiple ha influenzato sensibilmente la pedagogia e le
forme di didattica contemporanea. L’insegnamento prima di questa teoria si era esclusi-
vamente concentrato infatti sull’intelligenza linguistica e logico matematica trascurando
le altre forme di intelligenza cognitiva.
La teoria delle intelligenze multiple rivela che sebbene le capacità di apprendimento
siano più o meno innate negli individui, non sono statiche e possono essere sviluppate
mediante l’esercizio. Un individuo può sviluppare tutte le diverse forme di intelligenza
fino a raggiungere livelli soddisfacenti di competenza se è messo in condizioni di inco-
raggiamento e sollecitazione nei processi di apprendimento. La teoria delle intelligenze
multiple ha influenzato sensibilmente la pedagogia e le forme di didattica contempora-
nea. L’insegnamento prima di questa teoria si era esclusivamente concentrato, infatti,
sull’intelligenza linguistica e logico-matematica trascurando le altre forme di intelligenza
cognitiva. Ulteriori spunti tratti da questa teoria riguardano l’adozione di tecniche d’in-
segnamento che si basano sulla stimolazione delle intelligenze peculiari.
96
2.2.2 Il comportamentismo o behaviorismo
Nato quasi contemporaneamente alla scuola della Gestalt (la nascita del comporta-
mentismo fu annunciata nel 1913 da J. B. Watson che espose il «manifesto» della scuola
nell’articolo «La psicologia come la vede il comportamentista»), questo movimento è
fondato sullo studio scientifico del comportamento, cioè degli aspetti esteriori, pratica-
mente osservabili, dell’attività mentale. Riprendendo il termine inglese behavior (com-
portamento) è conosciuto anche come behaviorismo.
Si può dire che con la nascita del movimento comportamentista il concetto stesso
di psicologia che si era diffuso negli ultimi anni subì un radicale mutamento. Watson,
infatti, riteneva che l’oggetto di studio privilegiato dei primi psicologi – la «mente» –
fosse in realtà un qualcosa di troppo vago, mal definito e soprattutto estremamente
soggettivo, al punto da non poter essere assunto in alcun modo come oggetto di studio
di una disciplina che voleva proporsi come sperimentale e scientifica. Proponendosi di
far diventare la psicologia una disciplina con uno statuto analogo a quello delle scienze
naturali tradizionali, così da poter pervenire a conoscenze oggettive che permettessero
di prevedere e controllare il comportamento e di dar luogo ad applicazioni pratiche,
i comportamentismi ridisegnarono la psicologia e i suoi campi di studio, focalizzando-
si sullo studio del comportamento manifesto (inteso come insieme di risposte pura-
mente fisiologiche degli individui) e dell’apprendimento. Proposero quindi di escludere
dal campo della psicologia la coscienza e i processi mentali, fenomeni su cui, secondo i
comportamentisti, non è possibile stabilire un accordo tra gli studiosi e non è possibile
indagare applicando procedure di indagine rigorose. L’oggetto della psicologia deve in-
vece essere il complesso delle manifestazioni esteriori, direttamente osservabili, di un
individuo, di cui la psicologia dovrebbe anche scoprire le leggi che ne stanno alla base
ovvero lo studio degli stimoli che producono le risposte.
Più precisamente il comportamentismo è interessato a stabilire rapporti tra gli sti-
moli recepiti dal soggetto e le sue risposte (il comportamentismo è anche denominato,
da alcuni degli studiosi che si riconoscono in questa scuola, psicologia S-R, cioè stimolo-
risposta), senza prendere in considerazione ciò che intercorre tra questi due elementi,
sia che si tratti di processi mentali, sia che si tratti di processi fisiologici. La mente e il
cervello vengono pertanto definiti come una «scatola nera» ossia un dispositivo le cui
operazioni interne non possono essere indagate e di cui sono rilevabili solo gli stimoli in
entrata le risposte in uscita. Il ritenere irrilevanti i processi biologici per spiegare il com-
portamento e l’insistere sull’azione degli stimoli nel modulare le risposte hanno indotto
i comportamentisti a misconoscere il ruolo dei fattori innati e a considerare le caratteri-
stiche dell’individuo determinate prevalentemente dall’ambiente, che modificherebbe i
comportamenti attraverso processi di condizionamento.
Il comportamentismo ebbe un rapido successo negli Stati Uniti e sino agli anni Cin-
quanta fu la scuola egemone nella psicologia anglosassone. Le ricerche di Watson (1878-
1958) sul condizionamento furono proseguite da E. R. Guthrie (1886-1958) e B. F. Skinner
(1904-1990). Innovazioni teoriche furono invece introdotte da C. L. Hull (1884-1952), K.
W. Spence e W. K. Estes, i quali cercarono di precisare ed estendere i principi comporta-
97
mentisti applicandovi modelli matematici. Nel frattempo era venuto meno il rigoroso di-
vieto di interessarsi di ciò che si frappone tra gli stimoli e le risposte e si iniziò a ipotizzare
l’esistenza di «variabili intervenienti», cioè di processi interni all’organismo non rilevabili
a livello del comportamento manifesto, ma necessari per la spiegazione di quest’ultimo.
Hull ipotizzò l’esistenza di pulsioni, D. Hebb di «assembramenti neuronali», E. C. Tolman
di «mappe cognitive». Più in generale, vennero avanzate le cosiddette teorie della me-
diazione, le quali ipotizzano che tra la recezione dello stimolo e l’emissione della risposta
intervengano dei processi intermedi di natura simbolica, non direttamente osservabili.
Queste più recenti proposte teoriche vengono in genere fatte rientrare nel cosiddetto
neocomportamentismo, che media il passaggio tra il vero e proprio comportamentismo
e il cognitivismo.
Il comportamentismo in chiave pedagogica quindi privilegia lo studio del comporta-
mento umano inteso come associazione tra uno stimolo e una risposta.
La nozione di comportamento è l’insieme delle reazioni adattative oggettivamente
osservabili, che un organismo innesca in risposta a degli stimoli provenienti dall’ambien-
te nel quale vive. Secondo quest’approccio l’apprendimento è un cambiamento di com-
portamento: l’idea centrale è che non esista una realtà oggettiva esterna che noi appren-
diamo attraverso i nostri sensi. Il processo di apprendimento si attiva nel momento in cui
l’individuo dà una risposta corretta ovvero manifesta un comportamento previsto a un
dato stimolo. L’apprendimento è quindi dato dalle reazioni individuali a tali stimoli. Un
contributo importante sulla teoria dell’apprendimento nell’ambito del comportamenti-
smo è stato dato dallo studioso B. L. Skinner che ha elaborato la legge dell’acquisizione
secondo la quale la forza del comportamento operante viene accresciuta se seguita da
uno stimolo di rinforzo. Attraverso quest’approccio le punizioni e i tradizionali sistemi di
insegnamento e valutazione non hanno effetti positivi sull’apprendimento.
La sua proposta, su cui si sono sviluppate molte metodologie, si è articolata su questi
principi base:
–– il processo di apprendimento è migliorabile sulla base degli stimoli positivi e sulle
risposte rinforzanti;
–– l’apprendimento viene migliorato se lo studente viene corretto immediatamente;
–– la scomposizione di una lezione in unità di apprendimento facilita la risposta dello
studente in termini di apprendimento.
Quest’ultima affermazione è alla base della teoria dell’apprendimento come istru-
zione programmata che ha avuto molta influenza sulla programmazione didattica. Nell’i-
struzione programmata i contenuti disciplinari vanno organizzati in unità con funzione di
stimolo per l’apprendimento successivo.
98
Dewey. Con il termine attivismo vengono racchiuse le esperienze delle scuole che vedo-
no l’educazione non «come trasmissione di un sapere oggettivo, ma come la formazione
della personalità autonoma». La critica alla scuola tradizionale e l’idea di un’educazione
centrata sull’alunno sono i pilastri dell’attivismo e del movimento delle scuole nuove. L’e-
ducazione è secondo Dewey ricostruzione e riorganizzazione continua dell’esperienza,
allo stesso tempo personale e sociale.
In Il mio credo pedagogico (1987) Dewey sintetizza in cinque punti i fondamenti della
sua convinzione pedagogica:
–– l’istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell’individuo al patrimonio co-
mune del genere umano;
–– l’istruzione è un processo sociale e la scuola il fulcro di questo processo, quindi è
inerente alla vita e non preparatoria ad essa;
–– il centro dei programmi di insegnamento è l’insieme delle attività del bambino nel
quadro sociale;
–– il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo;
–– l’istruzione è il fondamento del progresso sociale e politico.
La riflessione sulla didattica attraversa tutta l’opera di Dewey, a partire dall’esperien-
za di Chicago per poi articolarsi attraverso vari scritti. Proprio la scuola di Chicago è uno
dei primi esempi di scuola attiva. Dewey si preoccupa di articolare la scuola in livelli cor-
rispondenti agli stadi di sviluppo psicologico del bambino. Dopo la scuola dell’infanzia il
bambino frequenta la scuola primaria dove il laboratorio è il metodo di lavoro più usato:
gli allievi sono impegnati in una pluralità di attività, come falegnameria, cucina, tessitura,
attorno alle quali si costruiscono le conoscenze linguistiche, geografiche, scientifiche.
Nel testo Logica, teoria dell’indagine Dewey illustra il suo modo di vedere il processo
che sta alla base dell’esplorazione del mondo e dei problemi che esso ci mette di fronte.
Questo metodo assomiglia molto al metodo sperimentale usato nelle scienze. L’attività
rivolta alla conoscenza riguarda l’uomo durante tutta la sua vita. L’esistenza di indagini
non è cosa che si possa mettere in dubbio. Esse entrano in ogni ambito della vita e in
ciascun aspetto di ogni ambito. Gli uomini compiono delle disamine nella vita di ogni
giorno; essi rimuginano le cose intellettualmente: essi inferiscono e giudicano altret-
tanto «naturalmente» come essi mietono e seminano, producono e scambiano servizi.
Questo lavoro intellettuale non è tipico dell’uomo adulto ma dell’uomo in quanto
tale. Anche i bambini compiono indagini, sebbene queste possano risultare diverse da
quelle degli adulti o degli scienziati. Si parte con una situazione problematica; verrà fatto
un lavoro di analisi da tale problema e da qui si articoleranno le varie fasi:
–– situazione problematica: è una situazione confusa, non chiara. Il bambino o l’adulto
sente l’esigenza, ha un bisogno, una curiosità per fare chiarezza;
–– definizione del problema;
–– prima assunzione di informazioni. È anche il semplice guardarsi intorno e recuperare
dati dalla propria memoria;
–– suggestioni: sono le idee che saltano alla mente, che si affacciano spontaneamente;
–– osservazione attenta e ricerca di informazioni: sono le osservazioni e ricerche più
mirate che mettono alla prova le suggestioni;
99
–– idea-anticipazione-previsione-ipotesi: è la formulazione di un’ipotesi che serva per
risolvere il problema;
–– verifica: si controlla la veridicità dell’idea-guida elaborata.
Indagare sul mondo e quindi incontrare problemi, entrare in rapporto con esso, per
cercare di capirlo è un’attività che i bimbi fanno fino a quando possono. L’atteggiamento
dei bambini, secondo Dewey è molto vicino all’atteggiamento dello spirito scientifico.
Dare rilievo al momento dell’esperienza diretta è significativo, non implica che l’indagine
debba rimanere al livello del fare, cioè a livelli pratici; può, anzi deve, secondo Dewey,
svilupparsi in una ricerca teorica, cioè di ripensamento dell’attività pratica stessa, di am-
pliamento e approfondimento delle conoscenze che a essa sono connesse. Il rapporto
fra teoria e pratica è uno dei temi ricorrenti in Dewey ed è alla base di molte tecniche
didattiche che utilizzano le situazioni problematiche come motore per l’apprendimento.
La scuola di Dewey è chiamata anche progressiva in quanto l’attività che si svolge al
suo interno, presuppone uno sviluppo progressivo. La scuola deve rappresentare per il
bambino un luogo di vita: quella vita sociale che deve svilupparsi per gradi, partendo
dall’esperienza acquisita in famiglia e nell’ambiente sociale in cui egli vive.
Dewey, come la maggior parte dei pedagogisti moderni divide l’età evolutiva in tre
fasi:
–– dai 4 agli 8 anni prevalgono nel bambino gli istinti e i bisogni in modo spontaneo che
si manifestano con il gioco e l’attività ludica;
–– dai 9 ai 12 anni il bambino frequenta la scuola primaria che è basata sul lavoro per
permettere al soggetto di acquisire le abitudini culturali della società in cui vive;
–– dai 12 ai 14 anni all’alunno viene data la possibilità di ampliare le sue conoscenze
astratte attraverso lo studio in biblioteca e laboratorio all’interno della scuola media.
L’attivismo pedagogico fondato da Dewey è una teoria pedagogica con forti interazio-
ni con il sistema sociale e dell’istruzione basata sulla applicazione pratica delle discipline
di studio che viene sintetizzata con la definizione learning by doing (imparare facendo).
La «scuola attiva» teorizzata e realizzata da Dewey sviluppa il concetto di esperienza del-
le persone come forma massima di apprendimento. Le persone attraverso l’esperienza
non solo apprendono conoscenze ma contribuiscono al processo educativo. La scuola
attiva deve assicurare autonomia e libertà agli studenti che si impegnano nella produzio-
ne di manufatti, dipinti e oggetti. L’insegnamento secondo Dewey deve saper proporre
anche situazioni problematiche al fine di riproporre difficoltà e soluzioni affini alla vita
reale. Il contributo importante dell’attivismo è quello di aver posto le basi del modello di
scuola-laboratorio dalla quale si è sviluppata l’attuale didattica dei laboratori.
100
modo rilevante il movimento di rinnovamento scolastico che si richiama ai metodi attivi.
Tuttora, l’istituto da lui fondato svolge una funzione d’avanguardia nella ricerca pedago-
gica e nella preparazione degli insegnanti.
Una costante della concezione pedagogica di Claparède è il continuo richiamo scien-
tifico e sperimentale alla ricerca psicologica e didattica. Egli era convinto che la positività
di una azione educativa e didattica dipendesse dalla preparazione psicologica e dallo
spirito scientifico degli educatori. Secondo Claparède andava combattuta e superata la
didattica delle scuole tradizionali fondate essenzialmente su opinioni filosofiche ed eti-
che, dando agli insegnanti i metodi idonei per organizzare ed analizzare le esperienze, i
fatti, i fenomeni e per attuare un insegnamento sperimentale individualizzato.
Egli infatti ha insistito sulla necessità per la risoluzione dei problemi in campo didat-
tico tramite:
–– metodi di indagine o di ricerca;
–– metodi di misurazione o quantificazione;
–– metodi di interpretazione.
Claparede divulgò metodi per l’insegnamento personalizzato proponendo schede di
recupero e di approfondimento in relazione ai singoli allievi. Di Claparéde resta dunque
la proposta pedagogica concreta e l’ambito mentale scientifico che deve accompagnare
l’insegnante. Le basi sperimentali della pedagogia di Claparede consentirono un’uscita
dagli astrattismi filosofici, e contribuirono allo sviluppo dell’indagine di J. Piaget. Con
quest’ultimo Claparede elaborò la cosiddetta educazione funzionale: poiché gli alunni
hanno in relazione alla loro età caratteristiche strutturali differenti ai docenti spetta il
compito di stimolare queste peculiarità adottando metodi differenziati secondo l’assun-
to che sarebbe stato sviluppato da Piaget della psicologia dell’età evolutiva.
Secondo Claparède la scuola deve ispirarsi ad una concezione funzionale dell’educa-
zione e dell’insegnamento. Il fondamento dell’educazione funzionale prevede il fanciullo
come centro dei programmi, dei metodi scolastici, quindi funzionale perché in funzione
dell’allievo, il più possibile individualizzata ma non individuale. Alla base dell’educazione
deve esserci non il timore del castigo o il desiderio della ricompensa, ma l’interesse.
L’educazione deve tendere a sviluppare funzioni intellettive e morali, più che a riempire
le menti di cognizioni che rimangono morte senza riferimento alla vita: quindi la scuola
deve essere un laboratorio più che un uditorio.
L’insegnante non deve essere un onnisciente incaricato di riempire le menti di co-
gnizioni, ma deve il più possibile stimolare gli interessi ed adeguarsi alla personalità, ai
bisogni, alle esigenze dell’allievo. Ciò implica la formazione soprattutto psicologica degli
insegnanti di tutti i gradi scolastici.
È necessario che la scuola tenga conto delle attitudini individuali; per questo accanto
ad un programma comune ed obbligatorio per tutti con materie indispensabili, gli alunni
devono scegliere un certo numero di materie che potranno approfondire mossi dal loro
interesse. Infine un altro punto caratterizzante la concezione funzionale del Claparède è
che è necessaria una revisione profonda del sistema di esami e della valutazione, questa
ultima deve essere fatta sulla base dei lavori individuali eseguiti durante l’anno scolastico.
101
2.2.5 La teoria di Piaget
La più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino, la prima ad averne
analizzato sistematicamente, col metodo clinico di esplorazione delle idee, la percezione
e la logica, è quella elaborata da Jean Piaget (1896 - 1980). Egli ha dimostrato sia che la
differenza tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto è di tipo qualitativo (il bam-
bino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria) sia che il
concetto di intelligenza (capacità cognitiva) è strettamente legato al concetto di «adatta-
mento all’ambiente». L’intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento
biologico all’ambiente. L’uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del suo
sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di superare
questi limiti biologici imposti dalla natura (ad esempio il nostro udito non percepisce gli
ultrasuoni, però possiamo farlo con la tecnologia). Piaget ha scoperto che la conoscenza
del bambino si basa sull’interazione pratica del soggetto con l’oggetto, nel senso che il
soggetto influisce sull’oggetto e lo trasforma.
Piaget distingue due processi che caratterizzano ogni adattamento: l’assimilazione e
l’accomodamento, che si avvicendano durante l’età evolutiva.
Si ha assimilazione quando un organismo adopera qualcosa del suo ambiente per
un’attività che fa già parte del suo repertorio e che non viene modificata, per esempio
un bambino di pochi mesi che afferra un oggetto nuovo per batterlo sul pavimento: sic-
come le sue azioni di afferrare e battere sono già acquisite, ora per lui è importante spe-
rimentarle col nuovo oggetto. Questo processo predomina nella prima fase di sviluppo.
Nella seconda fase invece prevale l’accomodamento, allorché il bambino può svolgere
un’osservazione attiva sull’ambiente tentando altresì di dominarlo. Le vecchie risposte
si modificano al contatto con eventi ambientali mutevoli (per esempio se il bambino si
accorge che l’oggetto da battere per terra è difficile da maneggiare, cercherà di coordi-
nare meglio la presa dell’oggetto). Anche l’imitazione è una forma di accomodamento,
poiché il bambino modifica se stesso in relazione agli stimoli dell’ambiente. Un buon
adattamento all’ambiente si realizza quando assimilazione e accomodamento sono ben
integrati tra loro.
Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in cinque livelli (periodi o
fasi), caratterizzando ogni periodo sulla base dell’apprendimento di modalità specifiche,
ben definite. Ovviamente tali modalità, riferendosi a una «età evolutiva», non sempre
sono esclusive di una determinata fase.
102
se gli viene dato il cibo. Non c’è ancora né imitazione né gioco, però il bambino è
stimolato a piangere dal pianto di altri bambini;
–– reazioni circolari primarie: dal secondo al quarto mese. Per «reazione circolare»
s’intende la ripetizione di un’azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino
esegue per ritrovarne gli interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l’azione originaria
si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità
anche in altre circostanze. In questo stadio il bambino, che pur ancora non riesce a
distinguere tra un «sé» e un «qualcosa al di fuori», cerca di acquisire schemi nuovi:
ad esempio toccandogli il palmo della mano, reagisce volontariamente chiudendo il
pugno, come per afferrare l’oggetto; oppure gira il capo per guardare nella direzione
da cui proviene il suono. Particolare importanza ha la coordinazione tra visione e
prensione: ad esempio prende un giocattolo dopo averlo visto;
–– reazioni circolari secondarie: dal quarto all’ottavo mese. Qui il bambino dirige la sua
attenzione al mondo esterno, oltre che al proprio corpo. Ora cerca di afferrare, tirare,
scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che rapporto c’è
tra queste azioni e i risultati che derivano sull’ambiente. Ad esempio scopre il cordo-
ne della campanella attaccata alla culla e la tira per sentire il suono. Ancora non sa
perché le sue azioni provocano determinati effetti, ma capisce che i suoi sforzi sono
efficaci quando cerca di ricreare taluni eventi piacevoli, visivi o sonori;
–– coordinazione mezzi-fini: dall’ottavo al dodicesimo mese. Il bambino comincia a
coordinare in sequenza due schemi d’azione (ad esempio tirare via un cuscino per
prendere un giocattolo sottostante). In tal modo riesce a utilizzare mezzi idonei per
il conseguimento di uno scopo specifico. L’intenzionalità si manifesta anche nella co-
municazione con gli adulti (ad esempio punta il dito verso il biberon per farselo dare).
Inizia inoltre a capire che gli oggetti possono essere sottoposti a vari schemi d’azione,
come scuotere, spostare, dondolare ecc. Gradualmente si rende conto che gli oggetti
sono indipendenti dalla sua attività percettiva o motoria;
–– reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione at-
tiva): dai 12 ai 18 mesi. Il bambino, nel suo comportamento abituale, ricorre sempre
più spesso a modalità diverse per ottenere effetti desiderati. Inizia il «ragionamen-
to». Mentre prima, per eseguire una sequenza di azioni, doveva partire dall’inizio,
ora può interrompersi e riprendere l’azione a qualsiasi stadio intermedio. Inoltre egli
è in grado di scoprire la soluzione dei suoi problemi, procedendo per «prove ed er-
rori». Quindi esiste per lui la possibilità di modificare gli schemi che già possiede. Ad
es. dopo aver tentato, invano, di aprire una scatola di fiammiferi, esita per un attimo
e poi riesce ad aprirla. Infine può richiamare alla memoria gli oggetti assenti, grazie
alle relazioni che intercorrono tra un oggetto e la sua possibilità di utilizzo;
–– comparsa della funzione simbolica: dai 18 mesi in poi. Il bambino è in grado di agire
sulla realtà col pensiero. Può cioè immaginare gli effetti di azioni che si appresta a
compiere, senza doverle mettere in pratica concretamente per osservarne gli effetti.
Egli inoltre usa le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (no-
minare o chiedere un oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti
e raccontare quello che ha visto-fatto qualche tempo prima. Il bambino riconosce
103
oggetti anche se ne vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le
azioni di un modello, anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Sa
distinguere i vari modelli e sa imitare anche quelli che per lui hanno un’importanza
di tipo affettivo. Vedi ad es. i giochi simbolici che implicano «fingere di fare qualcosa»
o «giocare un ruolo».
104
ranno tutte le biglie in un vaso C, di forma e dimensioni diverse da A e B. I bambini di 4-5
anni affermeranno che, nel caso in cui C sia più sottile di A e B, le biglie sono aumentate;
diminuite invece, nel caso in cui C è più largo di A e B. Se allo stesso bambino mettiamo
di fronte una fila di otto vasetti di fiori e collochiamo un fiore in ogni vasetto, il bambino
dirà che il numero dei fiori e dei vasetti è lo stesso. Se però gli facciamo togliere i fiori per
farne un mazzetto, il bambino dirà che i vasetti sono più dei fiori.
Nel primo caso l’errore è dovuto al fatto che egli ha tenuto conto solo del livello rag-
giunto dalle biglie e non anche della forma del vaso, mentre nel secondo caso il maggior
spazio occupato dalla fila dei vasetti ha dominato la sua valutazione. In sostanza ciò che
non ha compreso è stata l’invarianza (o conservazione) della quantità al mutare delle
condizioni percettive.
105
un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Il suo compito è
quello di scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di oscilla-
zione, slancio impresso al peso), che ha la possibilità di variare a suo piacere, determina-
no la frequenza delle oscillazioni. Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera
logica e ordinata, il soggetto arriverà ben presto a capire che la frequenza del pendolo
dipende dalla lunghezza della sua cordicella.
Ovviamente il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che
non si forma certo nel periodo adolescenziale.
Il risultato della teorizzazioni di Piaget è che lo sviluppo cognitivo ha carattere uni-
versale. La tipologia e il livello di apprendimento è funzione delle risorse cognitive che si
possiedono in una determinata fascia di età. Ogni stadio incorpora e trasforma il prece-
dente pertanto l’apprendimento deriva dallo sviluppo.
106
che li vedano coinvolti in modo attivo e collaborativo per raggiungere livelli importanti
di apprendimento.
L’atteggiamento dell’insegnante è determinante nella formazione del clima della
classe. Per costruire un clima positivo il suo atteggiamento dovrebbe essere democra-
tico, sincero, deve essere un punto di riferimento, guida, persona disponibile all’ascolto
e all’aiuto.
I climi che l’insegnante può promuovere con il suo atteggiamento possono essere di
tre tipi: individualistico rinunciatario, competitivo aggressivo, democratico cooperativo.
Ognuno di questi climi è presente nella scuola, ma occorre fare attenzione a quello pre-
valente.
L’ideale sarebbe che si spendessero più energie possibili nel lavorare in ottica coo-
perativa, nella disponibilità all’aiuto e al dare gratuito. Ciò non toglie che ciascuno di noi
abbia anche la possibilità di sperimentare situazioni in cui sia necessario agire indivi-
dualmente e altre situazioni in cui si sia in competizione con altri. I problemi nascono e
rischiano di diventare ingestibili, quando si sviluppa unicamente uno dei tre climi.
Il secondo elemento della teoria vygotskijana è l’apprendimento socializzato nell’a-
rea di sviluppo prossimale.
Un apprendimento significativo viene generato dall’elaborazione attiva delle infor-
mazioni che giungono al soggetto, dalla comprensione, confronto, valutazione e intera-
zione di più fonti informative. È meglio che lo studente non si trovi da solo ad affrontare
tale processo, ma è supportato da un gruppo al quale si sente di appartenere e sul quale
può contare per essere aiutato a raggiungere obiettivi apprenditivi comuni.
L’importanza dell’interazione sociale nell’apprendimento ha dato un forte impulso
alla didattica moderna privilegiando forme di apprendimento cooperativo.
La zona di sviluppo prossimale definisce la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e
il livello di sviluppo potenziale, consente cioè di valutare la differenza tra ciò che il sog-
getto è in grado di fare da solo e ciò che è in grado di fare con l’aiuto e il supporto di un
individuo più competente.
Mirare bene la proposta didattica nell’area dello sviluppo prossimale e organizzare
in modo efficace gli aiuti e la riflessione metacognitiva, diventa uno degli aspetti cruciali
dell’apprendimento.
Fondamentale per lo sviluppo apprenditivo, diventa il contesto, che può essere di
aiuto o di freno.
Se gli insegnanti lanciassero le sfide cognitive a coppie di ragazzi o a piccoli gruppi di
alunni, si potrebbe concretizzare quello che Vygotskij chiama l’apprendimento socializ-
zato nella zona di sviluppo prossimale. I ragazzi, poi, riflettendo insieme o da soli sulle
difficoltà incontrate, su cosa hanno fatto per superarle, quali aiuti sono stati decisivi e
quali fuorvianti, svilupperebbero la consapevolezza metacognitiva che permette loro
di assimilare nuove abilità e conoscenze a quelle già possedute in memoria a lungo
termine.
L’acquisizione delle abilità sociali condiziona pesantemente il successo formativo: più
i ragazzi riescono ad esprimere i propri pensieri in modo chiaro, a condividere risorse e
spazi comuni, a gestire positivamente i conflitti, a incoraggiare gli altri, rispettare i turni
107
nella comunicazione, a parlare a voce bassa e in modo pacato e più imparano e hanno
successo a scuola.
L’apprendimento cooperativo non esclude un insegnamento diretto, frontale da
parte dell’insegnante, anzi è importante che prima di un lavoro cooperativo il docente
mostri direttamente alla classe come utilizzare le strategie più adatte ad affrontare e
risolvere i vari problemi.
Terzo elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo della metacognizione. Nel mo-
dello di Vygotskij lo sviluppo delle abilità metacognitive permette l’interiorizzazione del-
la conoscenza socializzata esterna al soggetto. La metacognizione è il livello superiore
dell’intelligenza, che controlla e guida i vari processi cognitivi sottostanti e che si sviluppa
e guadagna in efficienza attraverso l’interazione sociale. Questi meccanismi centrali di
regolazione si sviluppano dall’esterno all’interno. Diventa perciò fondamentale la rela-
zione giocata dallo studente con gli adulti e con i pari. Il bambino diventa autonomo
acquisendo progressivamente le varie funzioni metacognitive necessarie al proprio ap-
prendimento.
Quarto elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo delle competenze individua-
li. L’interazione graduale delle attività socializzate, che si formano ad esempio sotto la
guida di adulti esperti o nell’interazione tra ragazzi, porta, attraverso la consapevolezza
metacognitiva, allo sviluppo delle competenze individuali. La qualità della mediazione
dei compagni nei gruppi di apprendimento ha un ruolo strategico nel permettere al sog-
getto di riflettere e appropriarsi delle conoscenze.
Anche il ruolo della famiglia è determinante sia nell’acquisizione che nel manteni-
mento delle competenze metacognitive. Il riconoscimento pubblico delle competenze
acquisite è di fondamentale importanza nella valorizzazione dell’alunno. Soprattutto in
presenza di alunni disabili, occorre comunicare alla classe quali sono le cose che essi
sanno fare bene e per le quali non hanno bisogno d’aiuto.
I complimenti e i riconoscimenti, però, non devono essere generici, ma basarsi su
dati di fatto precisi, che tutti possono controllare. Il rischio, altrimenti, è quello di ottene-
re un risultato opposto; i troppi complimenti possono creare imbarazzo nello studente e
una reazione negativa da parte dei compagni. Occorre essere onesti e sinceri attribuen-
do meriti a situazioni e comportamenti specifici, reali, verificabili e non inventando o
sopravvalutando situazioni che finiscono poi col danneggiare il ragazzo in difficoltà.
Più gli insegnanti programmano interventi di valorizzazione delle abilità degli alunni
più deboli e più aumenta la partecipazione di questi ultimi alle attività della classe e il
loro riconoscimento nel gruppo.
2.2.7 Il cognitivismo
La corrente cognitivista che si distingue nettamente dalla corrente behaviorista rac-
comanda un nuovo approccio per spiegare l’apprendimento, quello dell’elaborazione
delle informazioni. I processi di apprendimento secondo i cognitivisti sono il risultato
di un potenziale evolutivo della mente capace di ricevere ed elaborare le informazioni
provenienti dai sensi.
108
Le informazioni che provengono dall’esterno arrivano agli individui attraverso i sen-
si nella memoria sensoriale oppure vengono prima riconosciute e trattenute qualche
secondo prima di essere trasmesse alla memoria a breve termine nell’arco temporale
di una ventina di secondi, in seguito vengono immagazzinate nella memoria a lungo
termine.
Nel momento in cui un individuo deve produrre un comportamento deve ricercare
tra le informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine, quelle pertinenti e
deve riportarle nella memoria a breve termine.
Ciò che è importante è la maniera in cui le informazioni vengono immagazzinate nella
memoria. Per essere riutilizzabili, esse devono essere organizzate nella memoria a lungo
termine. L’essere umano è dunque un elaboratore attivo di informazioni, simile ad un
computer (che per altro si diffondeva contestualmente alla nascita di questa teoria) e
l’apprendimento si definisce come una modificazione all’interno delle strutture mentali
dell’individuo.
2.2.8 Il costruttivismo
Il costruttivismo vede l’apprendimento come un processo attivo di costruzione delle
conoscenze piuttosto che un processo di acquisizione del sapere. Non esiste un appren-
dimento oggettivo, solo delle interpretazioni personali della realtà, ognuno crea le pro-
prie interpretazioni che restano valide solo per un dato tempo; esse sono «percorribili»
per un dato tempo e possiedono questa proprietà poiché esse si realizzano all’interno
di una comunità che accetta le stesse basi e gli stessi valori. L’insegnamento assume la
forma di sostegno a questo processo. L’insegnante e gli altri allievi guidano l’allievo verso
la sua propria ricerca di senso.
L’apporto delle nuove tecnologie sembra aver dato al costruttivismo un nuovo slan-
cio basato sul principio di auto-costruzione del sapere. Ognuno, grazie alle TIC, è in
grado di costruire la propria rete di conoscenze attive. Questa tendenza all’autonomia
sposta dunque la responsabilità dell’apprendimento sulla tecnologia e sull’allievo, men-
tre l’insegnante gioca piuttosto il ruolo di un tutore a distanza.
I costruttivisti rifiutano l’assunto programmatorio della didattica e la verticalità della
relazione insegnante – discente. Per i costruttivisti l’insegnamento è fondato sul valore
propulsivo dell’azione per scoperta condivisa da studenti e docenti. L’insegnamento è
visto come una conversazione aperta e l’apprendimento un processo di costruzione di
senso. L’approccio costruttivista considera l’apprendimento come un processo in parte
autonomo di «costruzione di senso» nel quale l’alunno costruisce contenuti avvalendosi
dell’esperienza. Come evidenziano alcuni studiosi (De Vecchi, Carmona) l’apprendimen-
to è come la metabolizzazione del cibo che spetta a chi lo ha mangiato non a chi lo ha
cucinato.
Il costruttivismo rinnova la percezione dello studente che viene considerato come
un soggetto con elevati gradi di autonomia nell’organizzare il proprio sapere e cambia
l’atteggiamento del docente. Affinché si faciliti l’apprendimento il docente non dovrà
adempiere ad una situazione di trasmissione del sapere ma all’opposto creare delle rot-
109
ture, situazioni critiche che chiamano in campo il contributo dello studente per la co-
struzione dell’apprendimento. Numerose sono le metodologie e gli stili d’insegnamento
che si richiamano a questa concezione. Per esempio l’uso delle domande aperte durante
l’esposizione del docente, la richiesta dell’insegnante di opinioni da parte degli studenti,
l’uso frequente di esempi e metafore.
Il costruttivismo propende per un insegnamento modulare caratterizzato da:
–– una didattica personalizzata;
–– una programmazione didattica finalizzata alla realizzazione delle competenze;
–– un uso degli strumenti di verifica utili ad accertare le competenze.
Alcuni contributi significativi di carattere neocostruttivista sono stati formulati dalla
scuola di Palo Alto e dallo studioso T. Gordon che ha contribuito allo sviluppo della di-
dattica laboratoriale.
La Scuola di Palo Alto corrisponde ad un movimento di idee nato negli anni ‘50
nell’ambito del Mental Research Institute dell’ospedale psichiatrico di Palo Alto (Ca-
lifornia), sotto gli auspici di G. Bateson. La pratica terapeutica del Mental Research
Institute intende prendere le distanze dal behaviorismo e dalla teoria dello schema
stimolo-risposta, ma anche da un certo umanesimo psicosociologico. Ha contribuito
a promuovere lo studio di riti di interazione e di comunicazione nell’ambito dei grup-
pi (soprattutto la famiglia).
110
di stadi ma attraverso strategie e procedure utili per risolvere problemi, analizzare in-
formazioni per poi codificarle. La principale conclusione è che le situazioni e i contesti
in cui si affrontano i problemi sono determinanti per l’apprendimento. In altre parole
l’elemento sociale di tipo culturale e l’individualità influenzano enormemente i processi
di apprendimento.
La necessità più volte sostenuta Bruner di individuare i modi per favorire e accelerare
il processo di apprendimento ha fatto sì che elaborasse uno schema di riferimento per
la «teoria dell’istruzione» stabilendo i criteri e i procedimenti da seguire per organizzare
nella scuola percorsi di apprendimento (curricoli) adeguati sia ai soggetti che devono
apprendere che alle finalità e agli obiettivi che la scuola si propone. Bruner individua i
caratteri principali che deve possedere una teoria dell’istruzione:
–– è prescrittiva nel senso che formula regole concernenti il modo più efficace per rag-
giungere una determinata conoscenza o abilità. Al tempo stesso essa offre l’unità di
misura per valutare criticamente ogni particolare metodo di insegnamento e di ap-
prendimento. Le teorie dello sviluppo sono descrittive anziché prescrittive, in quanto
ci mostrano ciò che è avvenuto, dopo che l’evento si è già verificato: per esempio,
il fatto che la maggior parte dei bambini di sei anni ancora non possieda la nozione
di reversibilità. Una teoria dell’istruzione, viceversa, può cercare di stabilire i mezzi
migliori per guidare il bambino al raggiungimento di tale nozione. Una teoria dell’i-
struzione, in breve, riguarda il modo con cui si apprende meglio ciò che si vuole in-
segnare, mira cioè a migliorare piuttosto che a descrivere l’apprendimento. Con ciò
non si afferma che le teorie dell’apprendimento e dello sviluppo non rivestano alcuna
importanza per una teoria dell’istruzione. In effetti una tale teoria deve riguardare
sia l’apprendimento che lo sviluppo e deve essere coerente con quelle teorie dell’ap-
prendimento e dello sviluppo alle quali essa aderisce;
–– è una teoria normativa, in quanto fornisce dei criteri e stabilisce le condizioni per
soddisfarli; questi criteri debbono essere di carattere altamente generale: per esem-
pio, una teoria dell’istruzione non dovrà specificare in maniera estremamente mi-
nuta ed esatta le condizioni ottimali necessarie allo studio dell’aritmetica nella terza
elementare; queste condizioni dovranno derivare principalmente da una visione più
ampia dell’apprendimento della matematica;
–– deve stabilire quali esperienze siano più idonee a generare nell’individuo una pre-
disposizione ad apprendere, si tratti di apprendimento in generale o di un suo tipo
particolare. Ad esempio: quale tipo di relazioni con persone e cose nell’ambiente
prescolastico tenderà a rendere il bambino disposto e capace di apprendere, allorché
inizierà la scuola?;
–– deve specificare il modo in cui un insieme di cognizioni deve essere strutturato
perché sia prontamente compreso dal discente. L’efficacia di una struttura dipende
dalla sua capacità di semplificare l’informazione, di generare nuove proposizioni e di
rendere più maneggevole un insieme di cognizioni. La struttura deve sempre riferirsi
alla situazione ed alle doti del discente. Sotto questo aspetto, la struttura ottimale di
un insieme di cognizioni non è assoluta ma relativa;
–– deve specificare la progressione ottimale, con cui va presentato il materiale che
111
deve essere appreso. Per esempio, per insegnare la struttura della fisica moderna
dovremo valutare se è più efficace cominciare col presentare esperienze concrete
in maniera tale da provocare domande sulla regolarità di certi fenomeni o piuttosto
cominciare con dei simboli matematici che rendano più facile la raffigurazione della
regolarità dei fenomeni che si incontreranno successivamente;
–– dovrebbe specificare la natura e il ritmo delle ricompense e delle punizioni nel pro-
cesso dell’apprendimento e dell’insegnamento. Intuitivamente appare chiaro che,
man mano che l’apprendimento progredisce, esiste un momento in cui è senz’altro
consigliabile allontanare dalle ricompense estrinseche, quali ad esempio una lode
dell’insegnante, passando a ricompense intrinseche, come quelle inerenti la solu-
zione di un complesso problema per conto proprio. Esiste poi un momento in cui, a
un immediato riconoscimento per quanto è stato conseguito, dovrà essere sostituito
un premio procrastinato. Secondo Bruner quale sia il momento del passaggio dalla
ricompensa estrinseca a quella intrinseca e da quella immediata a quella differita è
ancora molto poco chiaro, ma tuttavia molto importante.
112
ti di informazione e la teoria dello schema riguarda la maniera in cui questi pacchetti
sono rappresentati e di come la rappresentazione faciliti l’uso della conoscenza in modo
specifico.
Dunque, esisterebbero schemi rappresentanti la nostra conoscenza riguardo a tutti i
concetti: gli oggetti sottostanti, situazioni, eventi, sequenze di eventi, azioni e sequenze
di azioni (Rumelhart, 1980). La teoria degli schemi tenta di spiegare la nostra capacità
di far fronte ai continui mutamenti dell’ambiente. Ovviamente, non ogni circostanza ci
appare nuova ed insolita. Siamo capaci di riconoscere rapidamente gli elementi noti e
patterns (schemi, appunto) nel mondo che ci circonda. Questo ci mette in grado di com-
portarci correttamente in ambienti diversi.
113
La struttura portante di una mappa è sempre gerarchica; le relazioni associative aiuta-
no ad aumentarne l’espressività, evidenziando la presenza di legami trasversali mediante
frecce. Essendo gerarchica, la mappa mentale ha necessariamente anche una geometria
radiale: all’elemento centrale troviamo collegati degli elementi di primo livello, ciascuno
dei quali può essere collegato con elementi di secondo livello e così via. In genere la dispo-
sizione grafica degli elementi è a raggiera, ma è possibile estendere queste considerazioni
anche ad altre forme di connessione, come quella a spina di pesce oppure ad albero.
114
appunto di provocazione, come punto di partenza per generare idee innovative e
logiche. Di fronte a una determinata situazione, a un problema, la nostra valutazione
cambia a seconda del nostro punto di osservazione. La nostra mente è in grado di
cambiare, a piacimento, la maniera di valutare un fatto.
Questa teoria ha dato luogo allo sviluppo di tecniche di insegnamento basate sulla
logica del problem solving per giungere all’apprendimento di conoscenze e competenze.
115
Ci riferiamo a titolo esemplificativo, al metodo Montessori (da M. Montessori) per la
scuola di base; a quello steineriano (da R. Steiner) per i cicli del primario e del secondario
e al metodo Feuerstein (da R. Feuerstein) per il superamento delle difficoltà cognitive, la
cui teoria di riferimento è la modificabilità cognitiva strutturale. I metodi nominali, che
richiedono all’insegnante e al formatore un lungo training per la formazione, si caratte-
rizzano per la loro compiutezza teorico-pratica. Essi quindi non si prestano alla possibilità
di essere utilizzati in modo alternato con altre tecniche e sono poco flessibili pertanto
non utilizzabili in sede di simulazione di una lezione.
116
–– deve comportare diversi livelli di interpretazione (pluralità dei punti di vista);
–– deve possedere valenze metaforiche (deve richiamare esperienze lontane ed etero-
genee);
–– deve coinvolgere il rapporto dello studente con il sapere (nel laboratorio il sapere è
conoscenza in azione).
L’attività di laboratorio può essere svolta con la classe in plenaria o in piccoli gruppi
di due o più alunni. In tale contesto il docente si pone innanzitutto come regista del
processo complessivo di insegnamento/apprendimento in quanto crea occasioni di ap-
prendimento.
Nella didattica laboratoriale si mette in evidenza l’importanza della socializzazione in
seno al gruppo e si sollecita il docente a spingere il gruppo ad una flessibilità dei ruoli e
all’adeguata ripartizione dei compiti.
Il docente è coinvolto in prima persona nella didattica laboratoriale come esperto co-
noscitore dell’epistemologia della disciplina, capace di analizzarne semantica e sintassi e
scoprendone anche le valenze formative; egli riconosce le caratteristiche intellettive, ma
anche affettive e di interazione fra gli allievi in modo da offrire a ciascuno opportunità di
apprendimento secondo le proprie peculiarità.
All’interno delle unità di apprendimento egli dichiara gli obiettivi formativi incrocian-
do gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento
con la situazione attuale in cui opera, favorendo lo strutturarsi di competenze attraverso
strategie educative.
L’insegnante di laboratorio collabora ad un processo interpretativo, a cui partecipano
tutti i membri in quanto soggetti capaci di pensare, e come soggetto «esperto» in grado
di fornire consulenza in funzione della costruzione della conoscenza.
Con l’esercizio dell’autorevolezza il docente favorisce, mediante una continua nego-
ziazione, la crescita individuale e lo sviluppo di tutte le potenzialità dell’allievo, sostenen-
dolo nelle difficoltà, indirizzandolo verso nuovi orizzonti, sollecitando la sua curiosità e
il suo interesse.
Come docente di attività di laboratorio è attento supervisore dell’applicazione rigo-
rosa delle procedure, pronto però a cogliere i cambiamenti del contesto in cui opera
per ridefinire il processo in un’ottica di flessibilità. La raccolta della documentazione di
tutte le fasi del percorso (relazione di laboratorio) gli consente di attivare da solo o con
il confronto nel team dei docenti interessati (se il progetto è interdisciplinare), processi
di riflessione e di adattamento a nuove esigenze per offrire ad ogni alunno occasioni di
apprendimento rispondenti ai bisogni individuali.
È compito del docente stabilire i criteri e le prove di valutazione sulla base dei risultati
attesi. In questo caso un metro di giudizio adeguato ad un «lavoro autentico» non può
essere rappresentato solo dalle prove tradizionali. Un tipo di valutazione che consideri
sia il processo che il prodotto finale di un percorso, fornisce informazioni sui progressi
conseguiti dallo studente, su ciò che ha imparato e sui motivi che rendono rilevante
l’apprendimento. È importante che le valutazioni, basate sui risultati, si accordino con
gli standard e i livelli qualitativi stabiliti all’interno di ciascuna unità di apprendimento.
La didattica per problemi indica quella metodologia che induce i soggetti a dare ri-
117
sposte a situazioni problematiche. Con questa strategia si sviluppano le capacità logiche
e di analisi e le capacità creative. La metodologia sviluppa nello studente quell’attitudine
a ricercare risposte e soluzioni.
È conveniente considerare due aspetti di questa metodologia: il problem setting (o
posing) e il problem solving, che rappresentano l’insieme di tutti i metodi e le tecniche di
soluzione dei problemi e delle relative strategie da mettere in atto.
La didattica laboratoriale
118
Metodologicamente il ciclo della ricerca-azione comprende una serie di fasi:
a) identificazione dei problemi da risolvere, delle cause di quei problemi, dei contesti
e degli ambienti in cui i problemi si collocano, delle risorse a disposizione e dei vin-
coli che costringono a fare determinate scelte;
b) formulazione delle ipotesi di cambiamento e dei piani di implementazione;
c) applicazione delle ipotesi nei contesti-obiettivo dei piani formulati (non si parla più,
ma si agisce);
d) valutazione dei cambiamenti intervenuti e revisione dei progetti e dei piani adottati;
e) approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione capillare delle applicazioni con
valutazione positiva.
Lo scopo della ricerca-azione è di elaborare una conoscenza contestualizzata e orien-
tata a migliorare una determinata pratica formativa. Il miglioramento, però, richiede il
cambiamento della realtà sotto esame, ottenuto solo mediante l’azione congiunta dei
docenti e dei discenti. Quest’ultimo diviene l’attore principale del suo processo di cono-
scenza e ciò significa che, di fronte all’argomento da trattare o al problema da risolvere,
egli è chiamato ad analizzare la situazione in cui deve operare, a raccogliere dati utili, a
scegliere i mezzi o i sussidi didattici, a determinare gli obiettivi da raggiungere, a verifica-
re e a valutare i risultati ottenuti. Così facendo, l’alunno assumerà un ruolo produttivo, e
non soltanto fruitivo, nel processo culturale e formativo e ciò, tra l’altro, gli permetterà di
realizzare un apprendimento efficace perché in rispondenza alle proprie esigenze.
La ricerca-azione, quindi, permette di realizzare quello che le più recenti e signifi-
cative riforme scolastiche e le nuove indicazioni per il curricolo definiscono come un
apprendimento personalizzato: ovvero, un apprendimento corrispondente alle inclina-
zioni personali degli studenti nella prospettiva di valorizzarne gli aspetti peculiari.
Questo tipo di apprendimento diventa possibile con la ricerca-azione sia perché il
discente è messo nelle condizioni di scoprire le proprie attitudini e sia perché il docente è
chiamato ad analizzare in modo tempestivo le capacità dell’alunno. Il docente, infatti, ha
il dovere di offrire a ciascuno studente itinerari, approcci, spazi e tempi differenziati che
assicurino un reale pluralismo di percorsi formativi e che quindi permettano al discente
di trovare la strada che più gli si addice. Tale modo di procedere porterà l’alunno a distin-
guere progressivamente tra preferenze e attitudini vere e proprie, in modo da coniugare
la consapevolezza delle proprie attitudini con le scelte adeguate.
La ricerca-azione diviene, perciò, un insostituibile metodo di sperimentazione di nuovi
modelli educativi aventi lo scopo di attuare cambiamenti positivi nel contesto scolastico in
cui agiamo. Cosicché, in essa si può ravvisare una prospettiva «politica» dal momento che
si propone non solo di cambiare gli strumenti e la professionalità di coloro che scommet-
tono su tale metodo, ma anche di modificare la politica educativa e l’esito sociale dell’in-
tero percorso formativo. Quest’ultima, mediante la ricerca-azione, si basa sull’assunto
che sia necessario vivere il tempo formativo abbandonando l’insegnamento prettamen-
te disciplinare e creando esperienze educative centrate sulla persona che apprende, che
è impegnata a coniugare la conoscenza e la riflessione sulla realtà, con il bisogno di
imparare e il desiderio di apprendere, con la qualità formativa nei contesti lavorativi e la
valorizzazione dei propri interessi, dei propri bisogni e dei propri progetti di vita.
119
2.3.3 Il metodo individualizzato: il mastery learning
Il mastery learning è una modalità di organizzazione dell’intervento didattico molto
attenta alle diversità individuali nei ritmi e nei tempi di apprendimento degli allievi.
Il termine padronanza nel mastery learning è connesso all’apprendimento di abilità
con lo sviluppo sistematico di processi metacognitivi, decisionali e creativi.
Lo schema di attuazione del mastery learning ricorda la tecnica dell’istruzione pro-
grammata, nella quale ogni fase dell’insegnamento viene prevista in anticipo e quindi
dettagliatamente programmata e standardizzata. Essa si caratterizza per il fatto di scom-
porre la materia di insegnamento in brevi passaggi, detti frames, o anche items o cadres;
tali frames contengono una o due informazioni fondamentali e/o richiedono al soggetto
la formulazione di una risposta, sulla base delle informazioni precedentemente date.
Fondata sui principi del condizionamento operante di B. F. Skinner, l’istruzione pro-
grammata si presenta secondo sequenze lineari di piccoli passi, dello stesso Skinner, o
secondo sequenze ramificate, proposte da Crowder. Nella sequenza lineare ogni frame è
costituito da un semplice periodo che comprende poche informazioni e da una domanda
che implica le informazioni appena presentate. Con la sequenza ramificata, a secon-
da delle risposte date dall’allievo, il programma può prevedere sviluppi differenti, ad
esempio specifici programmi di recupero, oppure la possibilità di saltare alcuni frames
e procedere più rapidamente per i soggetti più abili. Le prime macchine per insegnare
(teaching machines) e le prime applicazioni del computer nella didattica seguivano le
impostazioni dell’istruzione programmata.
Per la metodologia didattica Block ha contribuito a definire i seguenti procedimenti:
–– l’insegnante definisce le abilità concettuali e operative che gli studenti dovrebbero
raggiungere al termine dell’intervento didattico;
–– con l’analisi del compito stabilisce i livelli intermedi definendo gli obiettivi particolari
in una successione di unità didattiche in grado di promuovere progressivamente le
abilità finali;
–– elabora le prove in grado di verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi delle
unità didattiche individuate;
–– predispone poi le unità didattiche tenendo conto il più possibile dello stato di prepa-
razione iniziale dei suoi allievi;
–– struttura successivamente le attività integrative e di recupero da proporre a quegli
allievi che non avessero raggiunto ancora livelli intermedi di abilità nelle singole unità
didattiche;
–– controlla che gli allievi non affrontino l’unità successiva se non hanno conquistato
il minimo indispensabile di dominio delle conoscenze e competenze previste dalle
unità precedenti.
Nella scuola secondaria il mastery learning potrà essere proficuamente utilizzato
come metodo di insegnamento individualizzato per l’addestramento di specifiche abilità
tecniche e/o professionali, o con allievi in situazione di handicap, o in presenza di disagi
nell’apprendimento più o meno gravi, anche temporanei.
120
2.4 Tecniche attive d’insegnamento
Dopo aver esaminato i metodi, prendiamo in considerazione le principali tecniche in
uso nello svolgimento della didattica con particolare attenzione alle cosiddette tecniche
attive.
Queste tecniche respingono il ruolo passivo, dipendente e sostanzialmente ricettivo
dell’allievo; esse, al contrario, comportano la partecipazione sentita e consapevole dello
studente, poiché contestualizzano le situazioni di apprendimento in ambienti reali ana-
loghi a quelli che l’allievo ha esperito nel passato (attualizzazione dell’esperienza), che
vive attualmente (integrazione qui e ora della pluralità dei contesti) o che vivrà in futuro
(previsione e virtualità).
Le tecniche in esame si caratterizzano per:
–– la partecipazione «vissuta» degli studenti (coinvolgono tutta la personalità dell’allievo);
–– il controllo costante e ricorsivo (feed-back) sull’apprendimento e l’autovalutazione;
–– la formazione in situazione;
–– la formazione in gruppo.
Prendiamo in considerazione gruppi di tecniche attive:
–– tecniche simulative, in cui troviamo il role playing (gioco dei ruoli) per l’interpreta-
zione e l’analisi dei comportamenti e dei ruoli sociali nelle relazioni interpersonali,
l’in basket (cestino della posta) per le prese di decisione in ambito di ufficio e l’action
maze (azione nel labirinto) per lo sviluppo delle competenze decisionali e procedu-
rali;
–– tecniche di analisi della situazione che si avvalgono di casi reali: nello studio di caso
si analizzano situazioni comuni e frequenti, nell’incident si affrontano situazioni di
emergenza. Con lo studio di caso si sviluppano le capacità analitiche e le modalità di
approccio ad un problema, nell’incident, si aggiungono le abilità decisionali e quelle
predittive;
–– tecniche di riproduzione operativa come le dimostrazioni e le esercitazioni: esse
puntano ad affinare le abilità tecniche e operative mediante la riproduzione di una
procedura. Sono complementari e richiedono la scomposizione della procedura in
operazioni e in fasi da porre in successione e da verificare ad ogni passaggio;
–– tecniche di produzione cooperativa, tra cui possiamo annoverare la tecnica del
brainstorming (cervelli in tempesta), per l’elaborazione di idee creative in gruppo, e il
metodo del cooperative learning, per lo sviluppo integrato di competenze cognitive,
operative e relazionali.
Le tecniche didattiche definiscono il rapporto tra il soggetto che apprende e la situa-
zione d’apprendimento. Con le tecniche di simulazione il soggetto impara immerso nelle
situazioni; con quelle di analisi della situazione impara dalle situazioni (leggendole); con
le tecniche di riproduzione operativa impara operando sulle situazioni, e con quelle di
produzione cooperativa impara a modificare (o a inventare) le situazioni.
Naturalmente è variabile anche il coinvolgimento emotivo degli studenti: è profondo
nelle tecniche simulative, con l’immersione nella realtà e con l’assunzione di ruoli speci-
fici, più distaccato nelle analisi delle situazioni e nelle riproduzioni operative.
121
2.4.1 Le tecniche simulative: role playing, in basket, action maze
1. Il role playing
Il role playing, che significa interpretazione dei ruoli, consiste nella simulazione dei
comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale; i ruoli sono
assunti da due o più studenti davanti al gruppo dei compagni-osservatori. Gli studenti
devono assumere i ruoli assegnati dall’insegnante e comportarsi come pensano che si
comporterebbero realmente nella situazione data. Questa tecnica ha, pertanto, l’obiet-
tivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in profondità
ciò che il ruolo richiede.
Il role playing non è la ripetizione di un copione, ma una vera e propria recita a sog-
getto. Riguarda i comportamenti degli individui nelle relazioni interpersonali in precise
situazioni operative per scoprire come le persone possono reagire in tali circostanze.
Gli elementi fondamentali del role playing:
–– si predispone una scena in cui i partecipanti devono agire;
–– i partecipanti sono al centro dell’azione e devono recitare spontaneamente secondo
l’ispirazione del momento;
–– l’uditorio assume particolare importanza poiché il gruppo non funge da semplice os-
servatore, ma cerca di esaminare e di capire quanto avviene sulla scena;
–– il docente deve mantenere l’azione dei partecipanti e la situazione scenica, anche
sollecitando, suggerendo, facilitando l’azione fino al momento in cui gli studenti pro-
tagonisti non agiscono autonomamente;
–– il docente può avvalersi di collaboratori incaricati di favorire la recita, anche con la
loro recitazione: potranno utilizzare tecniche come quella dello specchio (in cui rin-
viano gli atteggiamenti del soggetto al soggetto stesso) o la tecnica del doppio (in cui
coloro che assistono possono dare la loro opinione sui comportamenti degliattori in
forma di feedback non giudicante).
Il role playing si avvale di altre tecniche:
–– l’autopresentazione;
–– il monologo (le riflessioni personali dell’attore);
–– la presentazione di ruoli collettivi (uno stesso partecipante interpreta tutti i ruoli pre-
visti);
–– l’inversione dei ruoli (dopo aver sostenuto una posizione, provare a sostenere quella
opposta).
Il gioco dei ruoli possiede una grande forza catalizzatrice che coinvolge emotivamen-
te sia i partecipanti sia gli osservatori. A volte si tratta di esperienze difficili da vivere. Il
docente è tenuto a rispettare questa presa di coscienza senza giudicare se ciò è giusto o
pertinente.
Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il role play-
ing dev’essere utilizzato come tale (a scopi formativi), deve avere delle sequenze struttu-
rate e deve concludersi con una verifica degli apprendimenti.
122
2. In basket
L’in basket (cestino della posta) inizialmente era riservato agli studenti dei corsi di in-
dirizzo tecnico o professionale per le decisioni nel lavoro d’ufficio. Oggi, con il diffondersi
universale di procedure di posta elettronica e di comunicazioni in rete, la tecnica dell’in
basket si presenta particolarmente interessante per l’apprendimento di procedure di se-
lezione e di processi decisionali.
Nella sua forma classica, si consegnavano agli studenti alcuni tra i documenti (lettere,
appunti di impegni, avvisi di scadenza, ecc.) che normalmente si potevano trovare sul
tavolo di lavoro o tra la posta in arrivo in un qualsiasi ufficio. Con l’e-mail la gestione della
posta non è più appannaggio del solo personale d’ufficio, ma di tutte le persone che co-
municano attraverso la rete. La gestione funzionale della comunicazione telematica non
può che considerarsi una competenza di base (che tutti devono possedere), altamente
formativa che richiede l’attivazione di processi mentali (e non solo di sequenze tecniche)
quali:
–– l’analisi e la comprensione;
–– la scelta delle priorità;
–– la presa di decisione sui problemi affrontati.
Per queste sue caratteristiche l’in basket, inizialmente considerato come uno stru-
mento di formazione, si è sviluppato anche nei contesti scolastici.
3. L’action maze
L’action maze (azione nel labirinto) può essere considerato il filo d’Arianna che lo stu-
dente dipana quando si inoltra in ambienti cognitivi sconosciuti. Anche questa tecnica
è stata ampiamente rivisitata con l’avvento delle reti e delle tecniche di navigazione. In
questo caso la ricerca, benché in mondi virtuali di conoscenza, non è simulata; l’allievo fa
ricerca e, ad ogni nodo, deve valutare l’importanza e il senso della nuova informazione,
prendendo continue decisioni sulle strade da intraprendere o da scartare (Internet è un
vero e proprio labirinto). La rapidità delle decisioni è tale che, dopo soli pochi nodi, può
risultare complicato il ritorno al punto di partenza. Accanto alle competenze decisionali,
la tecnica del labirinto in rete richiede anche approfondite competenze autovalutative
e orientative.
Operativamente e nella sua versione semplificata la tecnica del labirinto inizia con la
consegna allo studente della descrizione dettagliata e in forma scritta di una situazione
problematica; egli la analizza e sceglie una possibile soluzione tra una serie di alternative
presentate. Ogni scelta comporta la consegna di un’altra scheda. Alla conclusione ogni
allievo percorre un proprio itinerario; la verifica riguarda il numero e la progressione
dei nodi percorsi, l’individuazione di percorsi essenziali o di percorsi originali (itinerari
alternativi) che possono condurre a soluzioni creative. Tutto ciò con la speranza che, nel
frattempo, lo studente non si perda nel labirinto.
123
2.4.2 Le tecniche di analisi per capire le situazioni reali: lo studio di caso, incident
124
Anche qui, come con lo studio di caso, il docente predispone accuratamente tutti gli
elementi connessi alla situazione, e pertanto la progettazione dell’intervento è analo-
ga a quella dei casi. Nell’incident, però, varia la tecnica didattica. La descrizione scritta,
molto breve, non richiede che qualche minuto di lettura poiché il materiale presentato
agli studenti è volutamente mancante di molti elementi e lascia un altissimo grado di
autonomia nell’analisi e nelle scelte.
1. Dimostrazione
Il tipo più inutile di dimostrazione è quello in cui il docente non dimostra nient’altro
che la propria competenza. È dato per scontato che il docente sappia eseguire una pro-
cedura, ma il fatto di limitarsi a svolgere un’attività non significa saperla dimostrare. Con
la dimostrazione si insegna come fare qualcosa.
Gli obiettivi di una dimostrazione sono quelli di far acquisire conoscenze procedurali
di tipo operativo, ed in particolare:
–– le fasi di una procedura;
–– la successione delle fasi;
–– i criteri di verifica per ciascuna fase.
Le regole fondamentali per progettare una dimostrazione sono:
–– individuare la procedura da dimostrare, significativa per la disciplina affrontata;
–– analizzare la struttura operativa della procedura;
–– suddividere la procedura in fasi e indicare l’ordine di esecuzione;
–– individuare i punti critici;
–– indicare la sequenza migliore capace di condurre al successo l’esecuzione;
–– predisporre un elenco dei problemi possibili cui potrebbero andare incontro gli al-
lievi;
–– assicurarsi che tutti gli studenti possano vedere ed ascoltare adeguatamente le fasi
della dimostrazione;
125
–– provare la dimostrazione prima di presentarla agli allievi, studiarne le pause oppor-
tune fra le singole fasi.
Se la dimostrazione è stata progettata con cura ed eseguita in modo didatticamente
corretto l’attività immediatamente successiva non può che essere l’esercitazione.
2. Esercitazione
L’obiettivo dell’esercitazione è quello di far sì che gli allievi siano capaci di eseguire
correttamente e completamente operazioni e procedure uguali per difficoltà a quelle
che incontreranno sul lavoro. Qualcuno equipara l’esercitazione all’addestramento. In
realtà l’addestramento comporta l’acquisizione meccanica di gesti e di comportamenti
mentre l’esercitazione si configura come un training on the job.
Una esercitazione adeguata è quella che viene formulata attraverso una serie di
esercizi, accuratamente programmati, con graduali difficoltà commisurate al livello di
apprendimento dell’allievo. È efficace l’esercizio che la maggior parte degli allievi ese-
guirà correttamente al momento prestabilito. Un buon esercizio sarà, quindi, breve,
semplice e chiaro. L’esercitazione deve essere preceduta o accompagnata dall’aiuto del
docente.
Le regole significative per progettare una esercitazione sono:
–– individuare gli esercizi più significativi;
–– adeguarli alle caratteristiche degli studenti;
–– dosarli per difficoltà e complessità crescenti;
–– predisporne in numero sufficiente per un apprendimento duraturo;
–– verificare la loro progressione in modo da sviluppare sistematicamente le diverse
competenze dello studente;
–– fissare i criteri di correttezza e di completezza di ogni esercizio;
–– predisporre una guida per lo studente.
126
–– gli obiettivi comuni del gruppo;
–– la fiducia negli altri intesa come senso di poter contare realmente sugli altri e sulle
loro capacità.
Gli effetti positivi consistono in un aumento dell’autostima, nelle relazioni intergrup-
po, nell’accettazione delle debolezze degli altri, nella maggiore disponibilità verso la
scuola e nell’abilità di cooperazione.
La scuola rappresenta l’ambiente ideale per imparare in un clima collaborativo fatto
di discussione e confronto tra coetanei. La cooperazione tra studenti privilegia l’inter-
dipendenza positiva, l’interazione faccia a faccia tra pari, il lavoro di piccoli gruppi ete-
rogenei per composizione. Questo clima è utile al metodo di cooperative learning, cioè
l’insegnamento e l’apprendimento in gruppi di lavoro, dove la variabile più significativa
è la cooperazione tra studenti.
Ogni componente del gruppo deve imparare ad apprendere e sviluppare queste abi-
lità se vuole ottenere e vivere un clima di collaborazione e cooperazione. La qualità dei
risultati e la mole di lavoro svolto dal gruppo sono direttamente proporzionali al feeling,
alla fiducia, alla comunicazione che si instaurano fra i membri, insieme alla loro capacità
di saper risolvere i conflitti, sostenendosi ed accettandosi reciprocamente. Queste ca-
ratteristiche non sono comunque innate ma vanno acquisite grazie all’insegnamento e
all’educare alla relazione.
I membri del gruppo, infatti, durante il cooperative learning, vivono situazioni ed
emozioni diverse, compresi i conflitti, rivestono ruoli inusuali, che a volte esulano dal
loro abituale comportamento quindi vanno aiutati a realizzare un clima di fiducia e alle-
nati a sviluppare le loro abilità interpersonali.
127
Pertanto la scuola d’infanzia e primaria tendono alla programmazione delle attività
ludiche e didattiche in relazione alla fascia d’età del bambino e favoriscono occasioni
adeguate alle potenzialità di apprendimento, di esplorazione, di conoscenza, di affetti-
vità e socializzazione, valorizzandone l’identità personale. È previsto, inoltre, l’accompa-
gnamento del bambino nell’apprendimento di una lingua straniera attraverso un meto-
do assolutamente naturale.
La metodologia didattica prevalente nella scuola dell’infanzia e primaria si basa sulla
valorizzazione del gioco come risposta privilegiata che offre occasioni di apprendimento e
di relazione; sulla libera esplorazione e la ricerca, sulla valorizzazione della relazione socia-
le ed affettiva, sull’osservazione, la progettazione, la verifica quali strumenti essenziali che
consentono di conoscere le modalità comunicative del bambino. La dimensione del gioco
è cosi pronunciata da essere stata rinominata nella didattica la ludo-programmazione.
Sono previsti degli strumenti di documentazione personale, quale testimonianza di-
retta dell’avventura scolastica del singolo bambino, che, attraverso resoconti, fotografie,
disegni e oggetti realizzati dai bambini, conservino tracce importanti del loro percorso,
condivisibile con i propri genitori.
Le metodologie e le tecniche nel primo ciclo di studio sono concentrate nelle area di
apprendimento racchiuse nelle seguenti categorie:
–– corpo, movimento e salute;
–– fruizione e produzione di messaggi;
–– il sé e l’altro;
–– esplorare, conoscere e progettare.
L’attività del bambino all’interno di queste aree di apprendimento è mirata a svilup-
pare e rafforzare abilità particolari quali l’esplorazione, la manipolazione, l’osservazione,
il raggruppamento, il linguaggio, la simbolizzazione, la comprensione e l’interazione fra
coetanei e adulto-bambino.
La motricità non è solo l’espressione del movimento ma il mezzo con il quale il bambino
manifesta il proprio essere e lo mette in relazione con gli altri e con il mondo esterno. In
questa area di apprendimento verranno privilegiati contenuti di tipo motorio che hanno lo
scopo di far acquisire competenze specifiche quali: l’equilibrio ed il controllo degli schemi
dinamici e posturali, lo sviluppo delle capacità coordinative oculo-manuali e spazio-tem-
porali, lo sviluppo delle capacità senso-percettive e delle azioni motorie in relazione all’età.
L’educazione alla salute, anche nelle sue componenti alimentari, è una componente
importante della corporeità. Essa sarà avviata fornendo, in modo contestuale alle espe-
rienze di vita, le prime conoscenze utili per la corretta gestione del proprio corpo, in
modo da promuovere l’assunzione di positive abitudini igienico-sanitarie ed alimentari
(lavaggio delle manine o di tutto il corpo, lavaggio dei cibi, come e cosa si mangia a casa,
a scuola, al ristorante).
L’area di apprendimento «fruizione e produzione di messaggi» è tesa a favorire la
capacità di saper produrre e comprendere messaggi, tradurli e rielaborarli utilizzando
una pluralità di linguaggi e di strumenti di comunicazione. A tal fine sono previste diverse
attività inerenti la comunicazione: dall’espressione manipolativo-visiva a quella sonoro-
musicale, a quella drammatico-teatrale.
128
Tale area prefigge l’acquisizione di una competenza linguistica e comunicativa pro-
muovendo tutti gli aspetti del linguaggio:
–– l’aspetto formale, che riguarda il riconoscimento e la corretta pronuncia;
–– l’aspetto lessicale/semantico, che riguarda l’aumento quantitativo e qualitativo delle
parole;
–– l’aspetto sintattico che riguarda la corretta costruzione della frase.
Inoltre, tale area si caratterizza per gli interventi rivolti all’acquisizione della fiducia
delle proprie capacità di espressione e comunicazione, per l’impegno a farsi un’idea per-
sonale e manifestarla, per lo sforzo di ascoltare e comprendere e per la consapevolezza
della possibilità di esprimere le medesime esperienza in modi diversi.
L’area di apprendimento sintetizzata in «il sé e l’altro» mira a rafforzare lo sviluppo
emotivo sia attraverso la promozione dell’autonomia, la stima di sé e l’identità, sia tra-
mite la condivisione e la discussione di sentimenti (paura, gioia, stupore, ammirazione)
discutendo insieme sul senso che hanno per ciascuno queste emozioni e su come esse
vengono manifestate. Vuole inoltre facilitare lo sviluppo sociale, inteso come capacità
di comprendere i bisogni e le intenzioni degli altri, il riconoscimento e la valorizzazione
delle diversità che si possono riscontrare nella scuola e nell’ambiente sociale.
Infine a sensibilizzare lo sviluppo etico-morale per promuovere il senso di respon-
sabilità e il rispetto verso gli altri, cercando di capire i loro pensieri, azioni e sentimenti,
rispettando e valorizzando il mondo animato ed inanimato. In un ambiente educativo,
ogni momento della vita quotidiana può essere fonte di esperienza e di apprendimento.
I contenuti e le attività dell’area «esplorare, conoscere e progettare» vogliono sti-
molare la capacità di esplorare l’ambiente circostante dando un nome ad ogni cosa, tra-
smettere il concetto di raggruppamento e classificazione, parlare del tempo e dello spa-
zio. In tal senso, le attività si concentreranno sulla conoscenza ed esperienza di oggetti,
materiali, eventi osservabili nell’ambiente che circonda il bambino, sulla percezione e
collocazione degli eventi nel tempo, sul sapersi orientare nello spazio.
Il laboratorio rappresenta la tecnica prevalente nella scuola dell’infanzia e primaria
in quanto esso si propone come «una palestra per imparare ad imparare», dove l’ap-
prendimento di abilità e conoscenze da parte del bambino sono viste come il risultato di
un processo che si fonda sul fare, sull’esperienza diretta, sull’attività, sulla sperimenta-
zione concreta. I presupposti pedagogici del laboratorio sono: una teoria dell’apprendi-
mento come costruzione e scoperta del sapere. Nelle attività di laboratorio il bambino,
infatti, è coinvolto direttamente nell’esecuzione, nella sperimentazione e nell’uso dei
materiali.
Il laboratorio, inoltre, è concepito come luogo di realizzazione di progetti didattici di
natura interdisciplinare. Il ruolo dell’educatore/insegnante all’interno di un laboratorio
è quello di favorire la partecipazione del bambino alle attività, promuovere le abilità e
conoscenze pregresse di ciascuno in modo che esse siano spese nel processo di costru-
zione e scoperta in gioco, sollecitare motivazione, bisogni, interessi, curiosità, dubbi,
mirando allo sviluppo della capacità di un’elaborazione critica e creativa dei saperi.
Si evidenzia che l’uso del laboratorio nella scuola primaria si differenzia da quello
usato nella scuola secondaria dal fatto che nel primo caso il laboratorio ha una valenza
129
esperienziale mentre nel secondo è più agevolmente un luogo di apprendimento e di
esercitazione pratica.
Laboratorio ludico
In questo laboratorio sono racchiuse tutte le attività che hanno come oggetto prin-
cipale il gioco. Vi sono vari tipi di giochi: di fantasia, individuali, collettivi, di squadra,
per piccoli o grandi spazi, da praticarsi all’aperto o al chiuso.
Gli obiettivi che si prefigge il laboratorio sono:
– rispetto delle regole;
– coordinazione motoria;
– coordinazione spazio/temporale;
– collaborazione/cooperazione;
– socializzazione.
L’attività corporea non è solo l’espressione del movimento ma il mezzo con il quale
il bambino manifesta il proprio essere e lo mette a contatto con il mondo esterno.
Gli obiettivi che si prefigge il laboratorio sono:
– conoscenza della propria corporeità anche come mezzo espressivo;
– sviluppo psicomotorio in armonia con lo sviluppo della personalità;
– valorizzazione di esperienze formative di gruppo e di partecipazione sociale.
Il laboratorio grafico/pittorico
Il laboratorio di manualità
In questo laboratorio il bambino impara attraverso l’uso di vari tipi di materiali (pa-
sta di sale, carta crespa, carta stoffa, plastilina, didò, ecc.), a manipolare e model-
lare la materia, consentendogli di creare immagini concrete sentite come prodotto
130
della propria immaginazione.
Gli obiettivi prefissati sono:
– contatto con la materia;
– coordinazione oculo-manuale;
– motricità fine (coordinazione delle braccia, mani e dita).
Laboratorio teatrale
Laboratorio musicale
131
Gli obiettivi prefissati sono:
– invito alla lettura;
– espressione dei vissuti interiori;
– sviluppo dell’immaginazione e della creatività.
Il termine inglese peer education – letteralmente educazione alla pari – è ben noto a
livello internazionale ma è tuttavia di difficile traduzione in altre lingue soprattutto a
causa della presenza del termine peer (pari, coetaneo). Questo termine fu coniato in
Gran Bretagna per designare l’appartenenza ad uno dei cinque gradi di nobiltà. Nel
suo moderno utilizzo, indica persona della medesima estrazione sociale, in particola-
re coetanei, dello stesso grado o status.
Pertanto il termine peer education indica una forma di educazione tra pari o tra
persone che appartengono al medesimo gruppo o che abbiano la stessa estrazione
sociale, i quali instaurano un rapporto di educazione reciproca.
Volendo utilizzare la più semplice delle definizioni, la peer education è la «comuni-
cazione mirata fra coetaneo e coetaneo». È un metodo in base al quale un piccolo
gruppo di «pari», numericamente inferiore nell’ambito del gruppo d’appartenenza e
che fa parte di un determinato contesto ambientale, opera attivamente per informa-
re ed influenzare il resto, numericamente maggioritario, di quel gruppo.
Questa tecnica, che si è molto evoluta negli anni e ha assunto oggi un diverso valore
132
educativo, risale ai primi anni del 1800 grazie al monitor system inglese: gli alunni
delle scuole imparavano a tenere lezioni al cospetto di altre scolaresche su argomen-
ti che avevano già appreso. Tale metodo veniva utilizzato principalmente per ragioni
di ordine economico perché il ricorso agli alunni era indubbiamente meno oneroso
dell’utilizzo di docenti professionisti. Venendo ai nostri tempi negli anni ‘60 il «tuto-
raggio» e l’insegnamento tra coetanei ha vissuto una vera e propria fase di rinascita.
L’obiettivo era di aiutare gli allievi d’età leggermente inferiore, sostenendoli negli
argomenti oggetto d’insegnamento, con notevoli vantaggi psicologici sia per i tutor
che per gli allievi.
Gli psicologi esperti dell’educazione e della crescita, applicando le teorie di Piaget,
ritenevano che le interazioni tra pari che avvenivano durante l’apprendimento, fos-
sero un utile strumento per dare l’avvio ai processi di ricostruzione intellettiva nel
bambino. Si basavano sul concetto secondo cui i giovani, che ricorrono al medesimo
linguaggio, attuano modalità, relazionali molto dirette tra loro e sono inoltre moti-
vati a ricomporre le differenze tra se stessi e gli altri giovani. I giovani inoltre sono
molto più intimiditi dalla comunicazione adulto-adolescente che non da uno scambio
comunicativo informale fra loro, il quale peraltro sembra avere una maggiore capa-
cità d’influenza reciproca.
Secondo Vygotskij, i giovani apprendono interiorizzando i processi di pensiero (co-
gnitivi) che sono impliciti nelle loro interazioni; queste, dunque, vanno ad agire sul
pensiero individuale introducendo nuovi pattern cognitivi, che contribuiscono alla
strutturazione delle possibili risposte alle sollecitazioni esterne.
Sullivan riteneva che il peer tutoring (attività tutoriali tra pari) fosse un metodo per
consentire ai soggetti di acquisire informazioni e sviluppare strategie cognitive effi-
caci tramite un processo di condivisione di pensieri, assunzione d’impegni reciproci
e negoziazione di compromessi che nel contempo consentiva di mantenere un atteg-
giamento d’apertura nei confronti di nuove idee. In particolare, attraverso il proces-
so di tutoraggio tra coetanei, i giovani possono apprendere le strategie necessarie
per assolvere compiti particolari.
Sono stati condotti numerosi studi scientifici che confermano i benefici insiti nel peer
tutoring, ma le indagini condotte di recente hanno concluso che tale approccio è
maggiormente proficuo quando vi sia il sostegno di tutor.
Si è inoltre riscontrato che il peer tutoring è utile quale:
– contributo all’apprendimento creativo;
– aiuto al superamento di problemi motivazionali negli allievi che hanno problemi
di rendimento;
– sostegno nella costruzione dell’autostima e come esperienza sociale costruttiva;
– metodo per acquisire e sviluppare le life skills.
133
Capitolo 3
Integrazione scolastica:
il ruolo della didattica speciale
135
esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico».
La legge conosciuta come legge Falcucci sancisce i presupposti, le condizioni, gli
strumenti e le finalità dell’integrazione scolastica. Si prevede l’abolizione delle classi
differenziali per gli alunni svantaggiati e si consente a tutti gli alunni in situazione
di handicap di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie inferiori. Signifi-
cativamente sono previsti gli strumenti necessari per adempiere a tale obbligo: inse-
gnanti di sostegno specializzati, rapporto numerico di alunni con disabilità per classe,
interventi specialistici dello Stato e degli enti locali;
–– la sentenza della Corte costituzionale n. 215/1987 e la circolare ministeriale
262/1988 «Attuazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 215/1987».
La sentenza ha ribadito con riferimento agli artt. 3 e 34 della Costituzione che «agli
alunni disabili viene riconosciuto il diritto pieno ed incondizionato alla iscrizione e
frequenza nella scuola secondaria di secondo grado». È una sentenza fondamentale,
per l’integrazione scolastica nella scuola secondaria superiore;
–– la Legge n. 104/1992 - «Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate». L’importanza di questa legge sta nel fatto che affronta
in maniera dettagliata le problematiche dell’handicap. La legge sancisce innanzitutto
il diritto per tutte le persone in situazione di handicap all’istruzione e all’educazione
nelle classi comuni precisando che «l’esercizio di tale diritto non può essere impedito
da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse
all’handicap»;
–– il decreto ministeriale n. 256/1992 - «Criteri per la stipula degli Accordi di programma
fra Amministrazione scolastica, enti Locali e Unità Sanitarie Locali, concernenti l’inte-
grazione scolastica degli alunni in situazione di handicap». L’accordo di programma
rappresenta un importante strumento per il coordinamento e la programmazione
degli interventi e delle prestazioni da parte delle diverse amministrazioni presenti
sul territorio provinciale. Nella stipula degli accordi di programma è fondamentale
il lavoro di collaborazione e di condivisione degli interventi che le associazioni dei
genitori possono intraprendere;
–– il decreto Presidente della Repubblica del 24-2-1994 - «Atto di indirizzo e coordina-
mento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di
handicap». Il decreto definisce le competenze del personale delle Aziende Sanitarie
Locali in merito all’individuazione dell’alunno in situazione e per la predisposizione
della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del Piano educativo Indi-
vidualizzato;
–– il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 63 «Effettività del diritto allo studio attraverso
la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare
riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento
della carta dello studente, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera f), della
legge 13 luglio 2015, n. 107»;
–– l’O.M. n. 80/1995 - «Norme per lo svolgimento degli scrutini e degli esami nelle scuo-
le statali e non statali di istruzione elementare, media e secondaria superiore». L’O.M.
in questione è importante perché nell’organizzazioni degli esami si afferma il princi-
136
Capitolo 3
Integrazione scolastica: il ruolo della didattica speciale
pio di equa valutazione degli studenti con disabilità. Questa è la prima norma a cui
seguiranno altre che tenderanno all’aggiornamento e all’approfondimento del siste-
ma complessivo di valutazione ed esami relativamente allo studente con disabilità;
–– O.M. n. 266 del 21 aprile 1997 «Norme per svolgimento scrutini ed esami» e D.M. 21
aprile 1997, n. 267 «Norme per svolgimento esami maturità e licenza in classi speri-
mentali». Frequenza assidua e partecipazione attiva alla vita scolastica sono conside-
rati elementi positivi che concorrono a valutazioni favorevoli del profitto dell’alunno
in sede di scrutinio finale. Pertanto il numero delle assenze, pur non preclusivo della
valutazione incide negativamente sul giudizio complessivo, a meno che da congruo
numero di interrogazioni ed esercitazioni svolte a casa o a scuola, corrette e classifi-
cate nell’intero anno scolastico, non si accerti il raggiungimento degli obiettivi propri
di ciascuna disciplina;
–– “Linee guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” di cui alla circo-
lare Miur nota. Nella guida vengono indicate le modalità operative, sistemi di valuta-
zione e riconoscimento dei crediti, compiti e ruoli nei confronti dei disabili secondo
le attività della scuola del’autonomia;
–– la circolare ministeriale n. 139/2001, circolare ministeriale n. 81/2002 (finanziamenti
per l’integrazione). La circolare contempla all’art. 1 la logica della sussidiarietà e della
perequazione. Gli interventi per l’integrazione degli alunni disabili sono ormai da con-
siderarsi parte integrante e significativa del POF che ha come fine strutturale l’aumen-
to del successo formativo e l’allargamento delle opportunità formative per tutti. Gli
alunni in situazione di handicap possono trovare nell’autonomia nuove opportunità
di successo formativo: l’articolazione in gruppi delle classi, la modularità curricolare, il
tempo didattico flessibile, l’utilizzo mirato delle tecnologie sviluppano, infatti, migliori
opportunità formative, riducendo i rischi di isolamento degli alunni disabili;
–– la legge n. 170/2010 sui disturbi specifici di apprendimento (DSA). La legge n. 170
riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come Disturbi Speci-
fici di Apprendimento (DSA), assegnando al sistema nazionale d’istruzione e agli ate-
nei il compito di individuare le forme didattiche e le modalità di valutazione più ade-
guate affinché alunni e studenti con DSA possano raggiungere il successo formativo.
137
L’O.M.S. nel 1980 pubblicò la «Classificazione Internazionale delle Menomazioni,
delle Disabilità e degli Svantaggi Esistenziali». Essa evidenzia che il concetto di handicap
comprende: la menomazione, la disabilità, l’handicap.
La menomazione è da intendersi una qualsiasi perdita o disfunzione nell’area psico-
logica, fisiologica o anatomica a carattere permanente o transitorio.
La disabilità è la riduzione totale o parziale conseguente a menomazione della capa-
cità di compiere un’attività di base (quale camminare, mangiare, lavorare) nel modo o
nell’ampiezza considerati normali per un essere umano.
Handicap intende la condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o
ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo
sociale considerato normale in relazione all’età, al sesso, al contesto socio-culturale della
persona.
138
dicap è un fatto relativo e non un assoluto, al contrario di ciò che si può dire per il
deficit.
Il 22 maggio 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità perviene alla stesura di uno
strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: «La
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute», de-
nominato ICF.
L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle
persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di
cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare di-
sabilità.
Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della
stessa. A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio
spazio alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia,
menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimen-
to a situazioni di deficit) nell’ultima classificazione l’O.M.S. fa riferimento a termini che
analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute).
L’ICF fornisce quindi un modello bio-psico-sociale dell’handicap superando la defi-
nizione esclusiva di carattere sanitario e incoraggiando la cultura dell’integrazione e lo
sviluppo di quei fattori contestuali che incrementano il livello di partecipazione sociale
del disabile.
139
–– il piano di studio personalizzato.
La presa in carico del soggetto disabile in percorsi d’istruzione avviene attraverso
l’attivazione degli accordi di programma che vede le istituzioni (scuola, servizi sociali,
struttura sanitaria) interfacciarsi nell’ambito della necessaria funzione di integrazione.
Prima di iscrivere un soggetto disabile alla scuola dell’obbligo i genitori avranno cura
di richiedere all’USL di competenza:
–– la certificazione medica o diagnosi clinica, rilasciata da uno specialista che accerta il
tipo e la gravità del deficit;
–– la diagnosi funzionale. È il documento che certifica l’handicap, «la descrizione anali-
tica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno handicappa-
to». È redatta prima dell’iscrizione o dopo la segnalazione, dall’Unità multidisciplina-
re dell’USL e contiene gli aspetti clinici, aspetti psicosociali, la valutazione dell’area
cognitiva, affettivo relazionale, linguistica, sensoriale, motorioprassica, neuropsicolo-
gica, la valutazione del grado di autonomia del soggetto disabile.
La segnalazione all’USL può essere fatta, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 24 dicembre
1994, anche dal Dirigente Scolastico; il decreto non fa riferimento alla famiglia, ma
è necessario coinvolgere la famiglia per non violare i diritti del minore e la tutela pa-
rentale.
Il dirigente scolastico è tenuto a coinvolgere il Collegio dei docenti a inizio anno sco-
lastico per individuare la classe più idonea per l’integrazione dell’alunno in situazioni
di handicap. Dopo una breve fase di osservazione viene costituito, spesso in sede di
consiglio di classe, il GLH operativo ovvero il Gruppo di lavoro sull’handicap di cui fa
parte l’insegnante di sostegno, gli operatori dell’USL, i genitori, i docenti curricolari.
Il GLH ha il compito di elaborare il profilo dinamico funzionale (PDF);
–– il profilo dinamico funzionale è un documento che descrive punti di forza e di de-
bolezza dello sviluppo potenziale dell’alunno con disabilità sia a breve che a medio
termine con riferimento all’asse:
– cognitivo;
– affettivo relazionale;
– comunicazionale;
– linguistico;
– sensoriale;
– motorio;
– neuropsicologico.
Fonti per la redazione del PDF sono:
– la diagnosi funzionale;
– il fascicolo personale dell’alunno;
– le informazioni della scuola precedente;
– le informazioni della famiglia;
– le osservazioni sistematiche.
Il PDF è soggetto a verifiche, in media ogni biennio, in particolare alla fine:
– della seconda elementare;
– della quarta elementare;
140
– della seconda media;
– del biennio e del quarto anno della scuola superiore.
Si procede ad un suo aggiornamento:
– alla fine della scuola dell’infanzia;
– della scuola elementare;
– della scuola media;
– durante la scuola superiore.
Il documento ha valore amministrativo, in quanto in esso vanno indicate le ore di
sostegno e l’area disciplinare del docente di sostegno;
–– il piano educativo individualizzato (PEI) che indica la vera strategia didattica in re-
lazione ai bisogni formativi dello studente con disabilità. È il documento nel quale
vengono descritti gli interventi finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educa-
zione, all’istruzione ed all’integrazione scolastica (D.P.R. 24 febbraio 1994, art. 5). Il
PEI viene elaborato da un gruppo di lavoro operativo (GLHO) costituito da:
– insegnanti curricolari;
– operatori designati dall’USL;
– docente di sostegno;
– genitori dell’alunno e rappresentanti istituzionali che se ne occupano.
Il PEI viene elaborato all’inizio dell’anno scolastico solo dopo un periodo di osserva-
zione sistematica. Il PEI deve illustrare:
– gli interventi educativi nell’area socio-affettiva e psico-motoria;
– gli interventi didattici per l’area linguistico-comunicativa, logico-matematica, tec-
nico pratica e le singole discipline.
Il PEI è soggetto a verifiche ordinarie trimestrali/quadrimestrali e eventualmente
straordinarie da parte del GLHO.
141
vede che vanno riorganizzate le modalità didattiche e le strategie di insegnamento sulla
base dei bisogni educativi specifici, in tutti gli ordini e gradi di scuola.
Le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi speci-
fici di apprendimento approvate nel 2011 sono un prezioso riferimento.
Il documento presenta la descrizione dei Disturbi Specifici di Apprendimento, amplia
alcuni concetti pedagogico-didattici ad essi connessi e illustra le modalità di valutazione
per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA nelle istituzioni scolastiche
e negli atenei.
1. La dislessia
La dislessia si manifesta attraverso una minore correttezza e rapidità della lettura
a voce alta rispetto a quanto atteso per età anagrafica, classe frequentata, istruzione
ricevuta.
Risultano più o meno deficitarie – a seconda del profilo del disturbo in base all’età
– la lettura di lettere, di parole e non-parole, di brani. In generale, l’aspetto evolutivo
della dislessia può farlo somigliare a un semplice rallentamento del regolare processo di
sviluppo. Tale considerazione è utile per l’individuazione di eventuali segnali anticipatori.
142
esecutivo della prestazione; la disortografia riguarda invece l’utilizzo, in fase di scrittura,
del codice linguistico in quanto tale.
La disgrafia si manifesta in una minore fluenza e qualità dell’aspetto grafico della
scrittura, la disortografia è all’origine di una minore correttezza del testo scritto; entram-
bi, naturalmente, sono in rapporto all’età anagrafica dell’alunno.
In particolare, la disortografia si può definire come un disordine di codifica del testo
scritto, che viene fatto risalire ad un deficit di funzionamento delle componenti centrali
del processo discrittura, responsabili della transcodifica del linguaggio orale nel linguag-
gio scritto.
3. La discalculia
La discalculia riguarda l’abilità di calcolo, sia nella componente dell’organizzazione
della cognizione numerica (intelligenza numerica basale) sia in quella delle procedure
esecutive e del calcolo. Nel primo ambito, la discalculia interviene sugli elementi basali
dell’abilità numerica: il riconoscimento immediato di piccole quantità, i meccanismi di
quantificazione, la seriazione, la comparazione, le strategie di composizione e scomposi-
zione di quantità, le strategie di calcolo a mente.
Nell’ambito procedurale, invece, la discalculia rende difficoltose le procedure ese-
cutive per lo più implicate nel calcolo scritto: la lettura e scrittura dei numeri, l’incolon-
namento, il recupero dei fatti numerici e gli algoritmi del calcolo scritto vero e proprio.
4. La comorbilità
Pur interessando abilità diverse, i disturbi sopra descritti possono coesistere in una
stessa persona – ciò che tecnicamente si definisce «comorbilità». Ad esempio, il Distur-
bo del Calcolo può presentarsi in isolamento o in associazione (più tipicamente) ad altri
disturbi specifici.
La comorbilità può essere presente anche tra i DSA e altri disturbi di sviluppo (distur-
bi di linguaggio, disturbi di coordinazione motoria, disturbi dell’attenzione) e tra i DSA e
i disturbi emotivi e del comportamento. In questo caso, il disturbo risultante è superiore
alla somma delle singole difficoltà, poiché ognuno dei disturbi implicati nella comorbilità
influenza negativamente lo sviluppo delle abilità complessive.
I Disturbi Specifici di Apprendimento hanno una componente evolutiva che com-
porta la loro manifestazione come ritardo e/o atipia del processo di sviluppo, definito
sulla base dell’età anagrafica e della media degli alunni o degli studenti presenti nella
classe.
Alcune ricerche hanno inoltre evidenziato che ai DSA si accompagnano stili di ap-
prendimento e altre caratteristiche cognitive specifiche, che è importante riconoscere
per la predisposizione di una didattica personalizzata efficace.
Ciò assegna alla capacità di osservazione degli insegnanti un ruolo fondamentale,
non solo nei primi segmenti dell’istruzione – scuola dell’infanzia e scuola primaria – ma
anche in tutto il percorso scolastico, per individuare quelle caratteristiche cognitive su
cui puntare per il raggiungimento del successo formativo.
143
3.4.2 Metodologie di intervento educativo e didattico
Gli individui apprendono in maniera diversa uno dall’altro secondo le modalità e le
strategie con cui ciascuno elabora le informazioni. Un insegnamento che tenga conto
dello stile di apprendimento dello studente facilita il raggiungimento degli obiettivi edu-
cativi e didattici.
Ciò è significativo per l’argomento in questione, in quanto se la costruzione dell’atti-
vità didattica, sulla base di un determinato stile di apprendimento, favorisce in generale
tutti gli alunni, nel caso invece di un alunno con DSA, fare riferimento nella prassi forma-
tiva agli stili di apprendimento e alle diverse strategie che lo caratterizzano, diventa un
elemento essenziale e dirimente per il suo successo scolastico.
La legge 170/2010 dispone che le istituzioni scolastiche garantiscano «l’uso di una di-
dattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico
che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, quali il bilinguismo,
adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate».
«Individualizzato» è l’intervento calibrato sul singolo, anziché sull’intera classe o sul
piccolo gruppo, che diviene «personalizzato» quando è rivolto ad un particolare discente.
Più in generale – contestualizzandola nella situazione didattica dell’insegnamento in
classe – l’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti
del gruppo-classe, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteri-
stiche individuali dei discenti, con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle
competenze fondamentali del curricolo, comportando quindi attenzione alle differenze
individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni.
L’azione formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a ciascun alunno l’op-
portunità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e, quindi, può porsi obiettivi
diversi per ciascun discente, essendo strettamente legata a quella specifica ed unica per-
sona dello studente a cui ci rivolgiamo.
Si possono quindi proporre le seguenti definizioni:
–– la didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può
svolgere l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche com-
petenze, anche nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio; tali
attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in
classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro
scolastico consentite dalla normativa vigente;
–– la didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella L.
53/2003 e nel D.Lgs. 59/2004, calibra l’offerta didattica, e le modalità relazionali, sul-
la specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli
alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo
qualitativo; si può favorire, così, l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno,
lo sviluppo consapevole delle sue «preferenze» e del suo talento. Nel rispetto degli
obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostan-
zia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da
promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori
144
didattici (schemi, mappe concettuali ecc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la
calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere
un apprendimento significativo.
La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina dunque, per l’a-
lunno e lo studente con DSA, le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli
obiettivi di apprendimento.
La legge 170/2010 richiama inoltre le istituzioni scolastiche all’obbligo di garantire
«l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi
e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non es-
senziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere».
Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o
facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria.
Fra i più noti indichiamo:
–– la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
–– il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti
della lezione;
–– i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la pro-
duzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della
contestuale correzione degli errori;
–– la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
–– altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari, mappe con-
cettuali etc.
Tali strumenti sollevano l’alunno o lo studente con DSA da una prestazione resa dif-
ficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo.
L’utilizzo di tali strumenti non è immediato e i docenti – anche sulla base delle indicazioni
del referente di istituto – avranno cura di sostenerne l’uso da parte di alunni e studenti
con DSA.
Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno o allo stu-
dente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano partico-
larmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile
far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del
disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura.
D’altra parte, consentire all’alunno o allo studente con DSA di usufruire di maggior
tempo per lo svolgimento di una prova, o di poter svolgere la stessa su un contenuto
comunque disciplinarmente significativo ma ridotto, trova la sua ragion d’essere nel fat-
to che il disturbo li impegna per più tempo dei propri compagni nella fase di decodifica
degli items della prova. A questo riguardo, gli studi disponibili in materia consigliano di
stimare, tenendo conto degli indici di prestazione dell’allievo, in che misura la specifica
difficoltà lo penalizzi di fronte ai compagni e di calibrare di conseguenza un tempo ag-
giuntivo o la riduzione del materiale di lavoro. In assenza di indici più precisi, una quota
del 30% in più appare un ragionevole tempo aggiuntivo.
L’adozione delle misure dispensative, al fine di non creare percorsi immotivatamente
facilitati, che non mirano al successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA,
145
dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle presta-
zioni richieste, in modo tale, comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il
percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.
Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché
gli strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere dalle istituzioni sco-
lastiche esplicitate e formalizzate, al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità
didattica e alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese.
A questo riguardo, la scuola predispone un documento che dovrà contenere almeno
le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo:
–– dati anagrafici dell’alunno;
–– tipologia di disturbo;
–– attività didattiche individualizzate;
–– attività didattiche personalizzate;
–– strumenti compensativi utilizzati;
–– misure dispensative adottate;
–– forme di verifica e valutazione personalizzate.
Sulla base di tale documentazione, nei limiti della normativa vigente, vengono predi-
sposte le modalità delle prove e delle verifiche in corso d’anno o a fine Ciclo. Tale docu-
mentazione può acquisire la forma del Piano Didattico Personalizzato.
146
aveva invece portato sempre più a delegare a specialisti esterni funzioni proprie della
professione docente o a mutuare la propria attività sul modello degli interventi specia-
listici. La presenza sempre più massiccia di alunni con DSA nelle classi rende necessario
fare appello alle competenze psicopedagogiche dei docenti «curricolari» per affrontare
il problema.
È appena il caso di ricordare che nel profilo professionale del docente sono ricom-
prese, oltre alle competenze disciplinari, anche competenze psicopedagogiche. Gli
strumenti metodologici per interventi di carattere didattico fanno parte, infatti, dello
«strumentario» di base che è patrimonio di conoscenza e di abilità di ciascun docente.
Tuttavia, è pur vero che l’approccio psicopedagogico va comunque differenziato rispetto
agli ordini e gradi di scuola. Vi sono infatti peculiarità dell’azione didattica che vanno
attentamente considerate.
La scuola dell’infanzia svolge un ruolo di assoluta importanza sia a livello preventivo,
sia nella promozione e nell’avvio di un corretto e armonioso sviluppo del bambino in
tutto il percorso scolare. Occorre tuttavia porre attenzione a non precorrere le tappe
nell’insegnamento della letto-scrittura, anche sulla scia di dinamiche innestate in am-
biente familiare o indotte dall’uso di strumenti multimediali. La scuola dell’infanzia, in-
fatti, «esclude impostazioni scolasticistiche che tendono a precocizzare gli apprendimenti
formali». Invece, coerentemente con gli orientamenti e le indicazioni che si sono suc-
ceduti negli ultimi decenni, la scuola dell’infanzia ha il compito di «rafforzare l’identità
personale, l’autonomia e le competenze dei bambini», promuovendo la «maturazione
dell’identità personale, … in una prospettiva che ne integri tutti gli aspetti (biologici, psi-
chici, motori, intellettuali, sociali, morali e religiosi)», mirando a consolidare «le capacità
sensoriali, percettive, motorie, sociali, linguistiche ed intellettive del bambino».
Come è noto, la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della se-
conda classe della scuola primaria. Dunque, il disturbo di apprendimento è conclamato
quando già il bambino ha superato il periodo di insegnamento della letto-scrittura e dei
primi elementi del calcolo. Il paradosso è che è proprio questo il periodo cruciale e più
delicato tanto per il dislessico, che per il disgrafico, il disortografico e il discalculico.
Se, ad esempio, in quella classe si è fatto ricorso a metodologie non adeguate, senza
prestare la giusta attenzione alle esigenze formative ed alle «fragilità» di alcuni alunni,
avremo non soltanto perduto un’occasione preziosa per far sviluppare le migliori poten-
zialità di quel bambino, ma forse avremo anche minato seriamente il suo percorso for-
mativo. Per questo assume importanza fondamentale che sin dalla scuola dell’infanzia si
possa prestare attenzione a possibili DSA. Si deve infatti sottolineare che le metodologie
didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa.
Vi è un nucleo importante di strategie metodologiche che vengono attivate dai do-
centi con particolare riferimento a quelli che insegnano nelle scuole secondarie di se-
condo grado.
A titolo esemplificativo si riassumono in:
–– valorizzare nella didattica linguaggi comunicativi altri dal codice scritto (linguaggio
iconografico, parlato), utilizzando mediatori didattici quali immagini, disegni e riepi-
loghi a voce;
147
–– utilizzare schemi e mappe concettuali;
–– insegnare l’uso di dispositivi extratestuali per lo studio (titolo, paragrafi, immagini);
–– promuovere inferenze, integrazioni e collegamenti tra le conoscenze e le discipline;
–– dividere gli obiettivi di un compito in «sottoobiettivi»;
–– offrire anticipatamente schemi grafici relativi all’argomento di studio, per orientare
l’alunno nella discriminazione delle informazioni essenziali;
–– privilegiare l’apprendimento dall’esperienza e la didattica laboratoriale;
–– promuovere processi metacognitivi per sollecitare nell’alunno l’autocontrollo e l’au-
tovalutazione dei propri processi di apprendimento;
–– incentivare la didattica di piccolo gruppo e il tutoraggio tra pari;
–– promuovere l’apprendimento collaborativo;
–– programmare e concordare con l’alunno le verifiche;
–– prevedere verifiche orali a compensazione di quelle scritte (soprattutto per la lingua
straniera);
–– valutazioni più attente alle conoscenze e alle competenze di analisi, sintesi e collega-
mento piuttosto che alla correttezza formale;
–– far usare strumenti e mediatori didattici nelle prove sia scritte sia orali (mappe con-
cettuali, mappe cognitive);
–– introdurre prove informatizzate;
–– programmare tempi più lunghi per l’esecuzione delle prove;
–– pianificare prove di valutazione formativa.
Inoltre, il docente, e soprattutto quello di sostegno, potrà sensibilizzare il corpo do-
cente a una serie di misure dispensative o compensative.
All’alunno con DSA è garantito l’essere dispensato da alcune prestazioni non essenziali
ai fini dei concetti da apprendere. Esse possono essere, a seconda della disciplina e del caso:
–– la lettura ad alta voce;
–– la scrittura sotto dettatura;
–– prendere appunti;
–– copiare dalla lavagna;
–– il rispetto della tempistica per la consegna dei compiti scritti;
–– la quantità eccessiva dei compiti a casa;
–– l’effettuazione di più prove valutative in tempi ravvicinati;
–– lo studio mnemonico di formule, tabelle, definizioni;
–– la sostituzione della scrittura con linguaggio verbale e/o iconografico.
Altresì l’alunno con DSA può usufruire di strumenti compensativi che gli consentono
di compensare le carenze funzionali determinate dal disturbo. Aiutandolo nella parte
automatica della consegna, permettono all’alunno di concentrarsi sui compiti cognitivi
oltre che avere importanti ripercussioni sulla velocità e sulla correttezza. A seconda della
disciplina e del caso, possono essere:
–– formulari, sintesi, schemi, mappe concettuali delle unità di apprendimento;
–– tabella delle misure e delle formule geometriche;
–– computer con programma di videoscrittura, correttore ortografico, stampante e
scanner;
148
–– calcolatrice o computer con foglio di calcolo e stampante;
–– registratore e risorse audio (sintesi vocale, audiolibri, libri digitali);
–– software didattici specifici;
–– computer con sintesi vocale;
–– vocabolario multimediale.
Il docente è inoltre tenuto ad osservare le molteplici strategie che utilizza l’allievo con
DSA per potenziare l’efficacia dell’apprendimento. I campi di osservazione sono:
–– sottolineatura, identificazione parole-chiave, costruzione di schemi, tabelle o dia-
grammi);
–– modalità di affrontare il testo scritto (computer, schemi, correttore ortografico);
–– modalità di svolgimento del compito assegnato (è autonomo, necessita di azioni di
supporto);
–– riscrittura di testi con modalità grafica diversa;
–– usa strategie per ricordare (uso immagini, colori, riquadrature).
Gli strumenti utilizzati dall’alunno con DSA da sottoporre all’attenzione del corpo do-
cente al fine di aumentare l’efficacia dell’apprendimento dello studente sono:
–– strumenti informatici (libro digitale, programmi per realizzare grafici);
–– fotocopie adattate;
–– utilizzo del PC per scrivere;
–– registrazioni;
–– testi con immagini;
–– software didattici.
149
3.5 Disadattamento scolastico
Nell’ambiente scolastico emergono frequentemente situazioni di disagio e disadat-
tamento che non corrispondono a vere e proprie psicopatologie. Sono spesso situazioni
a rilevante impatto nel contesto scolastico, ma spesso anche reattive e temporanee, se
l’intervento per risolverle è messo in atto in tempi brevi. Queste situazioni non confi-
gurano stati di menomazione per i quali giuridicamente è necessaria una attestazione
di handicap. Sono spesso situazioni che riguardano il fenomeno dei bambini immigra-
ti, con una difficoltà di integrazione sociale e culturale, oppure bambini che vivono in
contesti familiari svantaggiati e deprivati culturalmente. Ci sono poi bambini e ragazzi,
che presentano disturbi temporanei del comportamento. Spesso questi ragazzi o le loro
famiglie sono già conosciute dai servizi territoriali della ASL o dai servizi sociali degli
enti locali.
Anche in questi casi il processo di integrazione scolastica interviene delineando una
procedura d’intervento. In questi casi è necessario portare a sistema le risorse esistenti
sia all’interno della scuola che negli altri soggetti istituzionali coinvolti, per evitare un’ec-
cessiva frammentazione degli interventi e far convergere le risorse disponibili per:
–– iniziative di formazione del personale scolastico (consigli di classe);
–– interventi a supporto della conduzione della classe;
–– progetti di formazione delle famiglie;
–– attivazione eventuale in casi specifici di un Progetto Educativo che preveda interventi
scolastici ed extrascolastici.
150
Per quanto riguarda l’esame di Stato i Consigli di classe presentano alle commissioni
d’esame una relazione in cui oltre a precisare il percorso del candidato forniscono det-
tagli sull’assistenza che gli occorre e le modalità di svolgimento di prove d’esame equi-
pollenti.
Insegnante di sostegno
151
che va da un massimo di diciotto ore a un minimo di quattro in relazione alla problema-
tica. Il docente di sostegno ha una forte conoscenza della didattica speciale che significa
applicare una metodologia didattica in relazione alla specifica problematica mostrata e
diagnosticata nell’alunno.
La didattica speciale ha un suo riferimento basilare nel concetto di diversità e si pro-
pone come obiettivo primario la valorizzazione della diversità psicologica e biologica.
Per quanto riguarda la scuola superiore il docente di sostegno si assume il delicato
compito di proporre al consiglio di classe il PEI semplificato che consiste come abbiamo
visto in una particolare programmazione per l’alunno disabile per obiettivi minimi e che
conduce al rilascio del diploma oppure è tenuto in relazione all’handicap dello studente
a proporre il PEI differenziato che consiste nella programmazione didattica diretta a far
acquisire l’attestato di frequenza.
Per quanto riguarda la didattica speciale è bene ribadire che:
–– occorre adottare obiettivi educativi per potenziare le capacità dell’allievo attraverso
la solerte individuazione del canale espressivo preferito dall’allievo. A questi obiet-
tivi si perviene con l’esercizio del breve riassunto e dell’analisi dei racconti, con la
comunicazione orale e scritta di esperienze dell’allievo, con l’esercizio della traspo-
sizione tra prosa, dialogo e poesia, l’uso di procedure logiche come la selezione,
classificazione;
–– per quanto riguarda lo sviluppo della rappresentazione di sé nell’alunno con disa-
bilità è opportuno lavorare sulla concezione e percezione dello spazio e del tempo
nonché sollecitare esercizi mirati al riconoscimento della propria corporeità, alla so-
cializzazione;
–– in ordine alla valorizzazione delle capacità residue rispetto alle deficienze e alle me-
nomazioni, l’obiettivo deve essere quello di favorire la migliore organizzazione per
l’equilibrio psicomotorio, l’autostima, l’acquisizione di nuove abilità e di modelli di
comportamento.
Per quanto attiene alla programmazione curricolare con obiettivi minimi, le finalità i
criteri di valutazione e la specificità dei contenuti si rinvia alla disciplina curricolare. Ciò
che cambia è la modalità con la quale si facilitano gli apprendimenti. Il docente di soste-
gno deve aver quindi cura di:
–– sintetizzare e semplificare i concetti con mappe concettuali corredate da immagini;
–– veicolare i concetti attraverso un’idonea struttura linguistica e un linguaggio sem-
plice;
–– sollecitare l’apprendimento attraverso la memoria in particolare attraverso la sensi-
bilizzazione percettiva delle informazioni.
152
finora utilizzati. A partire dal 1° settembre 2017 saranno invece istituiti i nuovi Gruppi
per l’inclusione scolastica ma non ancora a regime. La Nota MIUR n. 1553 del 4 agosto
2017 precisa infatti che “il citato decreto legislativo effettua una ricognizione dei compiti
assegnati a ciascun Ente istituzionalmente preposto a garantire il diritto-dovere all’istru-
zione” e che “In questo quadro di riferimento le innovazioni introdotte dal citato decreto
legislativo decorreranno, per gli aspetti di certificazione e di conseguente ricaduta sulla
didattica, dal 1° gennaio 2019, allorché il profilo di funzionamento sostituirà la diagnosi
funzionale ed il profilo dinamico funzionale”, ed ancora “Differentemente il legislatore
ha voluto che i nuovi Gruppi per l’inclusione scolastica - GLIR e GLI - siano istituiti dal 1°
settembre 2017, così come dalla stessa data sia costituito l’Osservatorio permanente per
l’inclusione scolastica, che dovrà raccordarsi con l’Osservatorio sulla condizione delle
persone con disabilità, costituito presso il Ministero del lavoro”. L’art. 9 del Decreto Le-
gislativo 66/2017 (Gruppi per l’inclusione scolastica) sostituisce l’art. 15 della L. 104/92
(Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica). L’art. 9 del decreto 66/2017 stabilisce che
presso ogni Ufficio Scolastico Regionale (USR) è istituito il Gruppo di Lavoro Interistitu-
zionale Regionale (GLIR) con compiti di:
a) consulenza e proposta all’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica degli ac-
cordi di programma di cui agli articoli 13, 39 e 40 della presente legge, integrati con
le finalità di cui alla legge 13 luglio 2015, n. 107, con particolare riferimento alla
continuità delle azioni sul territorio, all’orientamento e ai percorsi integrati scuola-
territorio-lavoro;
b) supporto ai Gruppi per l’Inclusione Territoriale (GIT);
c) supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di forma-
zione in servizio del personale della scuola.
Il GLIR è presieduto dal dirigente preposto all’USR o da un suo delegato, è garanti-
ta la partecipazione paritetica dei rappresentanti delle Regioni, degli Enti Locali e delle
associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative a livello regio-
nale nel campo dell’inclusione scolastica. La composizione, l’articolazione, le modalità
di funzionamento, la sede, la durata, nonché l’assegnazione di ulteriori funzioni per il
supporto all’inclusione scolastica del GLIR, fermo restando quanto previsto al comma
2, sono definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca,
nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, sentito l’Osserva-
torio permanente per l’inclusione scolastica istituito presso il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca. Presso ciascuna istituzione scolastica è istituito il Gruppo
di Lavoro per l’inclusione (GLI). Il GLI è composto da docenti curricolari, docenti di so-
stegno e, eventualmente, da personale ATA, nonché da specialisti della Azienda sanita-
ria locale del territorio di riferimento dell’istituzione scolastica. Il gruppo è nominato e
presieduto dal Dirigente Scolastico ed ha il compito di supportare il collegio dei docenti
nella definizione e realizzazione del Piano per l’inclusione nonché i docenti contitolari e
i consigli di classe nell’attuazione dei PEI. In sede di definizione e attuazione del Piano di
inclusione, il GLI si avvale della consulenza e del supporto degli studenti, dei genitori e
delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative del territo-
rio nel campo dell’inclusione scolastica. Al fine di realizzare il Piano di inclusione e il PEI,
153
il GLI collabora con le istituzioni pubbliche e private presenti sul territorio. Nella nota
MIUR del 4 agosto si legge che “Restano confermate, infine, le disposizioni previste
dal D.P.R. n. 81/2009 sulla formazione delle classi, che, come ricordato nella nota prot.
n. 21315 del 15 maggio u.s, a cura della Direzione generale per il personale scolasti-
co, concernente le dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico
2017/2018, prevede che, in presenza di alunni disabili le classi non debbano, di norma,
superare il numero di 22 alunni”. Dopo pochi giorni e precisamente con Nota MIUR
1556 del 8 agosto 2017 si precisa che “la nota prot. n. 1553 del 4 agosto u.s., avente
pari oggetto, e si precisa che, per mero errore materiale, nell’ultimo capoverso è stata
riportata l’errata indicazione, di norma, di 22 alunni per classe, in caso di presenza di
alunni disabili, anziché, di norma, di 20 alunni per classe, così come previsto dall’arti-
colo 5, comma 2 del D.P.R. n. 81/2009”.
154
Appendice
COGNOME.......................................................................NOME..................................
RESIDENTE A..........................................VIA......................................N.........Tel...............
155
DATI RELATIVI ALLA FREQUENZA SCOLASTICA
ANNO SCOLASTICO........................
SCUOLA.....................................................................................................
CLASSE............ SEZIONE................
Questa sezione deve essere elaborata congiuntamente dagli insegnanti, dagli operatori
socio-sanitari e dai genitori dell’alunno, e, se presenti, dall’assistente ad personam (art.
9 della L. 104/1992) e dal collaboratore scolastico.
Il documento viene aggiornato ogni qualvolta se ne ravveda l’utilità e comunque, sulla
base di quanto disposto dal comma 8, art. 12 della L. 104/1992, «a conclusione della
scuola materna, della scuola elementare, della scuola media e durante il corso di istru-
zione secondaria superiore».
Appare fondamentale che le varie aree vengano sempre trattate tenendo conto delle in-
terazioni tra il soggetto e il contesto, con particolare attenzione alle barriere e/o facilita-
zioni esistenti e/o attivabili, sia nell’ambito dell’osservazione/descrizione che nell’ambito
dei prevedibili livelli di sviluppo.
N.B.: Per la stesura di questa sezione si può utilizzare la traccia allegata
156
AREA COGNITIVA E NEUROPSICOLOGICA
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Livello di sviluppo cognitivo .....................................................................................
......................................................................................................................................
b) Capacità mnestiche (memoria) ................................................................................
......................................................................................................................................
c) Capacità attentive (attenzione) ................................................................................
......................................................................................................................................
d) Organizzazione spazio-temporale ............................................................................
......................................................................................................................................
e) Strategie e stili di apprendimento ............................................................................
......................................................................................................................................
f) Uso integrato di competenze diverse .......................................................................
......................................................................................................................................
g) Tipo di pensiero .......................................................................................................
......................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Area del «sé» ............................................................................................................
......................................................................................................................................
b) Rapporto con gli altri ................................................................................................
.......................................................................................................................................
c) Motivazione al rapporto ..........................................................................................
......................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
157
AREA COMUNICATIVA E LINGUISTICA
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Lingua prevalente......................................................................................................
b) Comprensione linguistica Italiana ............................................................................
......................................................................................................................................
c) Produzione linguistica Italiana...................................................................................
......................................................................................................................................
d) Uso comunicativo......................................................................................................
......................................................................................................................................
e) Necessità e modalità d’uso di sistemi di comunicazione integrativi del linguaggio
verbale (comunicazione aumentativa e alternativa, Lingua dei segni, altre modalità)
......................................................................................................................................
......................................................................................................................................
f) Contenuti prevalenti o di interesse............................................................................
......................................................................................................................................
g) Modalità di interazione ............................................................................................
......................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
158
AREA MOTORIO-PRASSICA
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Motricità globale......................................................................................................
.....................................................................................................................................
b) Motricità fine...........................................................................................................
.....................................................................................................................................
c) Prassie semplici e complesse....................................................................................
.....................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Autonomia personale..............................................................................................
.....................................................................................................................................
b) Autonomia sociale...................................................................................................
.....................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
159
AREA DELL’APPRENDIMENTO
Osservazione/Descrizione dell’alunno:
a) Pregrafismo.............................................................................................................
.....................................................................................................................................
b) Lettura .....................................................................................................................
.....................................................................................................................................
c) Scrittura ...................................................................................................................
.....................................................................................................................................
d) Calcolo .....................................................................................................................
.....................................................................................................................................
Prevedibili livelli di sviluppo:
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
Breve e dettagliata descrizione del contesto (ambiente ecc.), del gruppo-classe (speci-
ficare il nr. di alunni, le modalità di rapporto presenti nella classe, le interazioni fra i
compagni e tutti quegli aspetti che concorrono a descrivere il clima scolastico), degli
elementi che rappresentano barriere e degli elementi che si pongono come facilitazioni
e degli altri elementi ritenuti rilevanti ai fini della progettazione.
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
160
Dettagliata descrizione dei bisogni dell’alunno con disabilità (MIUR, Linee Guida per l’in-
tegrazione degli alunni con disabilità: «La progettazione degli interventi da adottare ri-
guarda tutti gli insegnanti perché l’intera comunità scolastica è chiamata ad organizzare
i curricoli in funzione dei diversi stili o delle diverse attitudini cognitive, a gestire in modo
alternativo le attività d’aula, afavorire e potenziare gli apprendimenti e ad adottare i
materiali e le strategie didattiche in relazione ai bisogni degli alunni»):
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
.....................................................................................................................................
Questa sezione è a cura degli insegnanti e va riformulata ogni anno scolastico. Per la
compilazione fare riferimento a quanto riportato nella Sezione III della Traccia, Appren-
dimenti curricolari.
161
In sostanza, per ogni campo di esperienza, ambito o disciplina potrà essere adottato uno
schema come quello seguente:
Obiettivi..........................................................................................................................
........................................................................................................................................
Contenuti........................................................................................................................
........................................................................................................................................
Attività............................................................................................................................
........................................................................................................................................
Metodologie/Strategie didattiche..................................................................................
........................................................................................................................................
Tempi..............................................................................................................................
........................................................................................................................................
Verifiche..........................................................................................................................
........................................................................................................................................
Valutazione.....................................................................................................................
........................................................................................................................................
162
per una ridefinizione degli obiettivi e dei contenuti, sulla base delle necessità e delle
potenzialità dell’alunno).
Per ogni intervento specificare: Che cosa viene fatto / Dove / Con chi
163
Per rendere immediatamente leggibile la tabella si può utilizzare un sistema di colo-
razione delle caselle a seconda delle modalità di svolgimento dell’attività. Esempio:
164
Il presente PEI è concordato e sottoscritto
da ciascun componente il GRUPPO di LAVORO
Data, .................................
Il Dirigente Scolastico
______________________________
Il presente PEI viene consegnato in copia a tutti i firmatari, e viene nuovamente sotto-
scritto nel momento in cui vi siano modificazioni o aggiornamenti significativi
Il trattamento e la segretezza dei dati e delle informazioni qui registrati sono tutelati da
quanto disposto dal D.Lgs. 196/2003 «Codice in materia di protezione dei dati personali».
165
ALLEGATO – DEFINIZIONE DEL CURRICULO (SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO)
r Programmazione semplificata nei metodi e/o negli strumenti e/o nei contenuti
in tutte o in alcune discipline
(il C.d.C. definisce gli obiettivi, le strategie e gli strumenti, i metodi, i contenuti, ecc.).
Specificare le attività che si programmano in alternativa a eventuali discipline non
svolte (definire contenuti, tempi, spazi, metodologie, verifiche, valutazione, strumenti
ecc.).
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
166
GUIDA PER LA COMPILAZIONE DEL PEI
NOTA INTRODUTTIVA
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è atto successivo alla Diagnosi Funzionale (DF),
e esplica due importanti funzioni: da un lato va ad approfondire le componenti cliniche
della DF con informazioni aggiuntive provenienti dalla scuola e dalla famiglia; dall’altro
definisce gli elementi chiave che dovranno guidare la programmazione educativa per
la piena realizzazione dell’inclusione scolastica.
Raccoglie in un unico documento gli elementi che nell’Atto di Indirizzo del 1994 sono
distribuiti in due distinti documenti.
Nel dettaglio:
Per i nuovi inserimenti, questo documento viene redatto all’inizio dell’anno scolastico
da famiglia, scuola e servizi specialistici, dopo un primo periodo di frequenza scolasti-
ca, per consentire agli insegnanti di raccogliere le informazioni necessarie mediante
l’osservazione del bambino nel nuovo contesto, e integrarle con le informazioni raccol-
te negli incontri con la famiglia.
Per gli allievi già inseriti a scuola, per i quali è stato effettuato l’accertamento di «si-
tuazione di handicap» e per i quali è stata già compilata questa sezione, il documento
viene aggiornato nei passaggi di ciclo, con un’eventuale integrazione nei primi mesi del
nuovo anno scolastico.
167
La SEZIONE III – APPRENDIMENTI CURRICOLARI
La prima parte riguarda la progettazione del «curricolo», che deve essere effettuata
dal Consiglio di Classe o Modulo e riportata nel Registro dei Verbali o Agenda di Mo-
dulo. Il modello di PEI prevede un’articolazione della progettazione che ogni scuola
può adottare nelle forme che riterrà più opportune e consone alla propria esperienza.
In questa parte vengono definiti i percorsi curricolari, per campo di esperienza, ambi-
to o disciplina, specificando obiettivi, contenuti, metodi ecc., al fine di monitorare la
corretta correlazione tra intervento effettuato e obiettivo posto per lo sviluppo delle
potenzialità. Si tratta di uno strumento pratico ed operativo.
Va redatta all’inizio di ogni anno scolastico e verificata a metà percorso e alla fine dello
stesso. La sua redazione operativa è affidata alla scuola.
La seconda parte riguarda la descrizione del contesto, in particolare del gruppo classe.
Si espliciteranno le dinamiche presenti, le interazioni, le modalità di rapporto, le criti-
cità, le risorse ecc.
Familiari di riferimento
• Aspettative della famiglia nei confronti dell’alunno, della scuola, degli insegnanti
• Contesto sociale in cui vive l’alunno (opportunità, elementi critici ...)
168
Osservazione/Descrizione dell’alunno: le sue capacità, le sue performance, le poten-
zialità presenti. È una descrizione che analizza ciò che l’alunno con disabilità sa fare au-
tonomamente, o con l’aiuto di facilitatori e quali sono le risorse o le barriere presenti
o possibili. Va condotta sulla base delle osservazioni più recenti effettuate sull’alunno
da parte dei vari operatori e dei familiari e tenendo altresì conto di quanto riportato
nella diagnosi funzionale.
Possibili livelli di sviluppo: costituiscono le mete che possono essere raggiunte nel
corso di un determinato periodo di tempo (uno o più anni scolastici), tenendo conto
della situazione di partenza, dei bisogni dell’alunno e delle potenzialità del soggetto.
Per la compilazione della Sezione II e Sezione III si possono utilizzare le liste di indicatori
riportati sotto. Si suggeriscono solo alcuni indicatori, ricordando che essi possono essere
integrati e/o variati in relazione alle specifiche esigenze dell’alunno con disabilità cui si
riferisce il PDF/PEI.
• Capacità mnestiche:
– Memoria e breve e medio termine
– Tipo e uso delle capacità mnestiche
• Capacità attentive:
– Grado di attenzione e concentrazione nelle attività curricolari e non (l’attenzione
e la concentrazione dipendono da diversi fattori, fra cui: il tipo di attività propo-
ste, il livello di difficoltà, il tempo, la motivazione, la presenza o meno dell’inse-
gnante, la comprensione del linguaggio utilizzato per trasmettere l’informazione)
• Organizzazione spazio-temporale:
– Nei comportamenti spontanei
– Nei compiti strutturati
– Sul piano della conoscenza dei rapporti di casualità
• Capacità cognitive:
È capace (specificare in che modo):
– di fare esperienze usando il proprio corpo
– di fare esperienze usando gli oggetti
– di operare con modalità iconiche
– di operare con modalità simboliche
– di fare previsioni
169
• È capace di trasferire le competenze che possiede (specificare in che modo)
AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE
170
– Esprime/non esprime/come esprime emozioni
– Esprime/non esprime/come esprime problemi
171
AREA MOTORIO-PRASSICA
• Motricità globale:
– Le posture possibili con o senza adulto
– Le possibilità di spostamento e di equilibrio
– Le modalità di controllo del movimento (coordinazione, goffaggine, inibizioni)
– Le modalità di mantenimento delle posture
– La lateralizzazione e lo schema corporeo
• Motricità fine:
– Prensione e manipolazione con/senza ausili
– Scrittura con/senza ausili
– Coordinazione oculo-manuale
– Presenza di eventuali discinesie (tremori o altro)
• Autonomia sociale:
– sa chiedere aiuti
– sa spostarsi in spazi conosciuti
– sa cercare
– sa prendere e posare nei posti assegnati oggetti di uso frequente
– sa chiedere ciò che gli/le serve
– sa chiedere un’informazione
– sa organizzare in cartella il materiale per la giornata
– sa usare il telefono
– conosce il denaro
– sa leggere l’ora
– sa prendere il tram o altri mezzi pubblici
– è capace di venire a scuola da solo/a
– sa prendere iniziative in momenti non strutturati
172
– ha interessi personali privilegiati
– sa mettersi in relazione con gli altri e chiedere aiuto quando necessario
AREA DELL’APPRENDIMENTO
AMBITO LINGUISTICO
173
• Linguaggio utilizzato per comunicare:
– Verbale (quale) e/o simbolico
– Livello di comprensione del messaggio orale (comprensione sintattica e semanti-
ca)
AMBITO LOGICO-MATEMATICO
174
AMBITO SCIENTIFICO-TECNOLOGICO
–– AMBITO STORICO-GEOGRAFICO
AMBITO LUDICO-ESPRESSIVO
• Capacità espressive:
– Capacità di esprimersi utilizzando codici diversi
– Mezzi espressivi privilegiati (verbali, gestuali, grafici ...)
– Contenuti prevalenti
175
Capitolo 4
L’apprendimento secondo il modello
di scuola inclusiva
177
–– difficoltà nella partecipazione sociale come le difficoltà a rispettare le regole sociali
e a partecipare correttamente a tutte le attività scolastiche;
–– difficoltà prodotte da fattori contestuali personali come bassa autostima, scarse
motivazioni, stili attributivi distorti, problemi di comportamento;
–– disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici;
–– difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché
appartenenti a culture diverse.
L’ampliamento del significato di «Bisogni Educativi Speciali» estende l’ambito d’inter-
vento educativo in quanto, potenzialmente, tutti gli studenti possono rischiare di essere
esclusi dalle opportunità scolastiche, se la scuola non si mostra attenta ai disagi in cui
essi si possono trovare, anche per brevi periodi.
La scuola inclusiva vede impegnati tutti i docenti del gruppo classe (risorse ordinarie)
ma non attiva una risorsa straordinaria specifica per l’allievo come quella del docente di
sostegno. Il coinvolgimento dell’intero corpo docente nella gestione dei casi con difficol-
tà comporta l’attuazione di corsi di formazione professionale in itinere adeguati. In alcuni
paesi europei, preso atto dell’esistenza di numerosi e frequenti casi di BES, viene previsto
che in ogni classe i docenti ordinari formati vengano supportati dalla figura dell’insegnan-
te di sostegno, intesa non più come insegnante di uno o più alunni certificati, ma come
insegnante di sistema. La nascita della scuola dell’inclusione trova la sua giustificazione
teorica nella pedagogia dell’inclusione, in base alla quale il concetto di normalità va so-
stituito con il concetto di «normale specialità». In sostanza, gli alunni sono portatori di
bisogni educativi speciali e per questa ragione gli interventi didattici ordinari devono
diventare individualizzati. Le differenze, inoltre, in una società complessa e variegata
come la nostra, vanno considerate come risorse da valorizzare e non come un problema
da livellare. Nella scuola dell’integrazione, la differenza tra insegnanti «ordinari» (senza
una formazione specifica sui temi dell’inclusione) e insegnanti «specializzati» (con titolo
di specializzazione per il sostegno) ha generato specularmente una divisione tra studenti
«normali» e studenti «speciali», che viene superata nella scuola dell’inclusione, attraver-
so le modalità sopra esposte. Come già evidenziato nell’International Classification of
Functioning, Disability and Health (ICF) – documento promulgato dall’OMS il 22 maggio
2001 – si sottolinea la necessità di guardare al fenomeno disabilità secondo un’ottica
innovativa. La disabilità viene inserita all’interno dell’insieme più ampio dei bisogni edu-
cativi speciali, dedotti non da schemi descrittivi medico-sanitari (da cui si è ricavata la
casistica contenuta nella legge 104/1992), ma da schemi descrittivi del funzionamento
umano ricavati da un’analisi di natura bio-psico-sociale, nella quale fattori biologici e
fattori ambientali interagiscono. Il modello offerto dall’ICF consente di riconoscere nella
disabilità (come pure nelle variegate situazioni in cui si collocano i BES) elementi di con-
tinuità tra malattia e salute. Avere una disabilità non significa appartenere a un genere
umano diverso rispetto a chi è «normodotato», ma essere portatori di alcuni limiti di
azione ed interazione, per lo più correlati a condizioni ambientali, i quali, per questa
ragione, possono essere modificati in positivo grazie ad opportuni interventi educativi.
Nella scuola dell’inclusione, compito dell’insegnante è favorire il raggiungimento di
un buon livello di qualità della vita, dal quale anche il livello di disabilità risulterebbe
drasticamente ridotto.
178
4.2 Gli «ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione» intro-
dotti dall’Index for inclusion
L’Index for inclusion (United Kingdom, 2002) propone il superamento del concetto di
bisogni educativi speciali e la sua sostituzione con il concetto di ostacoli all’apprendimen-
to e alla partecipazione. Secondo il documento anglosassone, la definizione di «bisogni
educativi speciali» deriva dal paradigma bio-medico che considera i limiti dell’appren-
dimento un deficit dell’individuo. Il modello bio-psico-sociale, a cui fa riferimento l’In-
dex for inclusion, invece, interpreta la disabilità e/o il disturbo, anche come il risultato
dell’interazione tra soggetto e contesto. In sostanza, secondo questa visione, modifican-
do opportunamente il contesto è possibile ridurre in maniera considerevole le difficoltà
di apprendimento, le quali non sono più insite soltanto nel soggetto che apprende, ma
anche derivanti dal contesto in cui egli apprende. È questa la ragione per la quale non
si parla né di deficit, né di difficoltà, né di disturbo di apprendimento, ma piuttosto si
parla di «ostacoli». I termini «deficit», «difficoltà», «disturbi» sono accomunati dal fatto
di indicare limiti innati del soggetto, mentre il termine «ostacolo» esprime di per sé un
qualcosa che si pone al di fuori del soggetto, perciò nel contesto, e che gli impedisce
di attivare opportunamente il processo di apprendimento. In sostanza, i contesti in cui
«normalmente» si insegna sono calibrati sui bisogni educativi della maggioranza e non
sui bisogni delle minoranze. La dizione «Bisogni Educativi Speciali» viene adoperata per
la prima volta nel rapporto Warnock in Inghilterra nel 1978, con lo scopo di abolire il
termine «handicap». Nel 2000, l’UNESCO raccomanda di sostituirla con la dizione «Edu-
cazione per tutti» (Education for all), in quanto essa non aveva di fatto contribuito ad
evitare sterili separazioni tra alunni «normodotati» e alunni «non normodotati».
L’Index for inclusion, in linea con le indicazioni dell’UNESCO del 2000, propone l’in-
troduzione dell’espressione «ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione», con il
fine di modificare le modalità di gestione delle difficoltà ad apprendere ed i soggetti in
esse coinvolti. L’obiettivo consiste, da un lato, nel rendere responsabile e attivare l’in-
tera comunità educante, dall’altro, nell’attivare percorsi individualizzati, che tengano
conto dei disagi di ogni natura, anche temporanei, di tutti gli studenti. In quest’ottica,
la dicotomia tra disabili e normodotati decade, come pure la distinzione tra insegnanti
curricolari e insegnanti di sostegno, per cui si comprende perché l’Index for inclusion si
aggancia all’Educazione per tutti promossa dall’UNESCO, inserendosi nella transizione
culturale che segna il passaggio dalla pedagogia dell’integrazione alla buona pedago-
gia inclusiva (Good Inclusive Education). Questo passaggio determina un cambiamento
della formazione globale degli insegnanti curricolari e degli insegnanti di sostegno, in
quanto entrambe le categorie professionali sono chiamate ad occuparsi delle esigenze
di tutti, a collaborare in rete, in modo integrato, e ad acquisire le competenze necessarie
per intervenire adeguatamente. Cambia, in sostanza, l’angolo di prospettiva dal quale si
guarda alle difficoltà di apprendimento. Non si parla più di bisogni, ma di diritti, o me-
glio, del bisogno di avere assicurati i diritti di crescere, di imparare, di essere amati dal-
la famiglia e dalla comunità, di essere ben accetti dal contesto di appartenenza. Sta alla
comunità educante trovare i mezzi per assicurare a tutti i diritti sopra elencati riconosciu-
179
ti a livello internazionale. In quest’ottica i bisogni dei bambini e dei ragazzi con difficoltà
di apprendimento non sono speciali, ma sono gli stessi di tutti i bambini e i ragazzi del
mondo. Ciò che cambia sono le modalità per assicurarglieli. I diritti fondamentali dei
bambini inglobano bisogni primari e non (alimentarsi, curarsi, nutrirsi, giocare, ...) e le
libertà. Le posizioni dell’Index for inclusion, come si evince dalla lettura della Direttiva
MIUR del 17 dicembre 2012, sono in parte recepite dal sistema d’istruzione italiano, che
attualmente si muove nella direzione:
–– della professionalizzazione di tutti i docenti cosiddetti curricolari;
–– dell’estensione di percorsi individualizzati;
–– del superamento della didattica speciale a vantaggio di quella inclusiva.
È bene ribadire che la scuola dell’inclusione verso la quale ci muoviamo non espelle
la figura dell’insegnante di sostegno, al contrario la inserisce in una rete integrata di col-
laborazione e corresponsabilità, della quale fanno parte tutti gli insegnanti curriculari, il
cui compito è assicurare a tutti gli studenti con Bisogni Educativi Speciali adeguati inter-
venti educativi individualizzati.
180
Per personalizzazione dei processi di apprendimento si intende la possibilità di elaborare
piani di studio ad hoc per ogni alunno, cioè contenenti parti comuni ma anche parti
personalizzate. Non si tratta, dunque, di intervenire soltanto sui tempi e sugli stili di
apprendimento, ma anche sui contenuti. L’attuazione di percorsi così definiti trova la
sua giustificazione teorica nella Teoria delle intelligenze multiple dello psicologo Howard
Gardner e nella concezione della «scuola su misura» del pedagogista Edouard Claparède.
Percorsi didattici integrati basati sull’individualizzazione e sulla personalizzazione sono
possibili, oggi, in base agli strumenti offerti dall’autonomia scolastica, grazie alla flessibilità
applicata ai piani di studio, all’organizzazione didattica e all’organizzazione del lavoro dei
docenti. La flessibilità dei piani di studio si realizza mediante: l’introduzione di discipline
facoltative; eventuali ampliamenti dell’offerta formativa. La flessibilità dell’organizzazione
didattica si attua mediante la flessibilità nella distribuzione del monte ore annuale del-
le singole discipline; nella determinazione della durata delle unità di insegnamento; nella
modalità di formazione dei gruppi in apprendimento. La flessibilità nell’organizzazione del
lavoro dei docenti si concretizza attraverso l’alternanza di metodologie d’insegnamento
diverse (lezione frontale, cooperative learning, attività laboratoriali, progetti, attività ag-
giuntive). I Piani Didattici Personalizzati (PDP) o Piani Educativi Personalizzati (PEP), intro-
dotti con il D.M. 12 luglio 2011 per i casi di DSA ed estesi a tutti i casi con Bisogni Educativi
Speciali, secondo quanto previsto dalla direttiva MIUR del 27 dicembre 2012, fanno propri
i principi dell’individualizzazione e della personalizzazione sopra esposti, ma con delle va-
rianti. In generale, attivare un PDP per un alunno con bisogni educativi speciali vuol dire
costruire un percorso formativo individualizzato, per il quale sono previste metodologie
didattiche innovative, misure dispensative e strumenti compensati, tempi di verifica allun-
gabili del 30% e contenuti (obiettivi specifici) riducibili del 30%. Allo stato attuale il MIUR,
in base alla tipologia di BES e al grado di scuola, propone modelli di PDP differenti, che
fungano da guida nella pianificazione didattica dei docenti. Sul sito web del MIUR è possi-
bile trovare modelli di PDP per i casi di DSA e di Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI).
Si sottolinea che il PDP non deve essere confuso con il PEI (Piani Educativi Individualizzati)
che è rivolto agli alunni disabili, rientranti nella casistica contenuta nella legge 104/1992 e
per i quali è prevista la figura dell’insegnante di sostegno.
181
–– i sintomi si devono manifestare per almeno sei mesi;
–– le difficoltà riscontrate a scuola devono essere presenti almeno in un altro contesto
(casa, ambiente esterno);
–– la famiglia deve concordare con la presenza dei sintomi evinti a scuola.
Possibili cause della sindrome da ADHD sono:
–– ereditarietà;
–– fattori genetici;
–– fattori esterni (ad esempio, consumo di alcol e droga durante la gravidanza).
Possibili conseguenze di un mancato intervento educativo:
–– difficoltà a mantenere relazioni sociali;
–– difficoltà a gestire le relazioni lavorative;
–– difficoltà a gestire i compiti lavorativi;
–– basso livello di autostima;
–– tendenza all’emarginazione.
Modalità d’intervento per i DDAI:
–– terapie mediche e/o farmacologiche ad opera di uno dei Centri di Riferimento accre-
ditati per la cura dell’ADHD, presenti sul territorio nazionale;
–– interventi educativi ad opera delle scuole come il Parent Training, il Teacher Training,
le terapie cognitivo-comportamentali.
182
Capitolo 5
Come organizzare
e gestire una lezione efficace
183
Egli divide l’insegnamento in quattro momenti fondamentali:
–– introduzione, durante la quale il docente presenta l’argomento che costituirà l’ogget-
to dell’insegnamento;
–– esecuzione (study work period), che occupa più della metà del tempo totale e che con-
siste in un lavoro di ricerca individuale e/o di gruppo, o in una discussione, o comunque
in un’attività che permetta al discente di acquisire padronanza con la materia in esame;
–– integrazione, durante la quale i lavori dei singoli individui o gruppi vengono pre-
sentati all’intera classe al fine di poterne sintetizzare i passi più significativi rispetto
all’oggetto di studio;
–– valutazione complessiva dell’attività svolta e pianificazione dei successivi passi da
compiere.
Varianti più recenti sono rappresentate da metodologie in larghissima misura basate
sulla ricerca e sul lavoro svolto dagli allievi stessi, mediante una ulteriore enfatizzazione
della seconda fase del modello precedente (esecuzione).
Ma anche questi metodi, peraltro ormai spesso utilizzati nelle scuole dell’obbligo,
non possono esaurire tutta la didattica troppe cose verrebbero lasciate al caso e l’ap-
prendimento della materia in esame risulterebbe troppo frammentario.
Occorre perciò trovare una modalità adeguata, un modo efficace per realizzare la lezione
classica, minimizzandone gli inconvenienti e sfruttandone i lati positivi, tenendo nel contem-
po presenti le esigenze economiche ed organizzative delle aziende. Inoltre, a seguito sia delle
sperimentazioni avviate nella scuola sia del processo normativo che ha caratterizzato le re-
centi riforme è opportuno – come vedremo – che la lezione venga organizzata anche in base
alle necessità sottolineate dalla programmazione didattica di tipo modulare e alla corrispon-
denza con gli obiettivi formativi. La programmazione didattica ha infatti spinto la progetta-
zione di una lezione a sviluppare i temi della multidisciplinarietà e delle attività di rinforzo.
184
metodi didattici, il materiale di supporto. La definizione chiara degli obiettivi conduce
anche ad avere un rapporto chiaro con gli studenti: in sede di contratto formativo è
possibile esplicitare gli scopi precisi della lezione con grandi vantaggi sul clima d’aula
complessivo, sulla disponibilità dei discenti e quindi, sull’apprendimento finale nonché
valutare i risultati, giacché più gli obiettivi sono formulati in modo preciso, più sarà age-
vole valutarne il raggiungimento.
Molte sono le teorie che hanno cercato di catalogare gli obiettivi dell’apprendimen-
to ma è forse possibile limitarsi alle seguenti cinque categorie:
–– acquisizione di conoscenze teoriche;
–– acquisizione di capacità operative;
–– acquisizione di capacità intellettuali di fare e risolvere;
–– acquisizione di capacità intellettuali di comprensione di fenomeni complessi;
–– acquisizione (o modifica) di comportamenti interpersonali.
Il maggior vantaggio di questa classificazione degli obiettivi risiede nella relativa faci-
lità con cui ciascun obiettivo può dar luogo alla successiva progettazione della lezione. Si
possono infatti stabilire alcune coerenze tra obiettivi e metodi didattici quali, ad esem-
pio, le seguenti:
–– acquisizione di conoscenze teoriche: questo tipo di obiettivi può essere raggiunto
strutturando unità didattiche articolate in lezioni a cui far seguire esercitazioni nozio-
nistiche di rinforzo e consolidamento delle conoscenze acquisite;
–– acquisizione di capacità operative; in questo caso la strutturazione della didattica
dovrà prevedere esercitazioni pratiche, precedute e/o seguite da brevi lezioni intro-
duttive o di approfondimento;
–– acquisizione di capacità intellettuali di fare e risolvere: in questo caso sarà impor-
tante prevedere soprattutto esercitazioni di tipo problem-solving, precedute da le-
zioni teoriche;
–– acquisizione di capacità intellettuali di comprensione di fenomeni complessi: per
obiettivi di natura così ampia la strumentazione d’aula più indicata è costituita dal
metodo dei casi, preceduto o seguito da lezioni integrative;
–– acquisizione o modifica dei comportamenti: in questo caso occorrerà prevedere unità
didattiche basate sostanzialmente su role-playing preceduti e seguiti da lezioni teoriche.
Competenza
La lezione, sia nella forma classica, sia nelle forme più recenti ed attive può essere
legittimamente impiegata solo per il raggiungimento degli obiettivi del primo tipo e cioè
solo per migliorare le conoscenze teoriche. In tutti gli altri casi essa rappresenta un sup-
porto od un completamento di altri metodi didattici più adeguati.
185
Inoltre, anche in presenza di obiettivi didattici appartenenti esclusivamente al primo
tipo la lezione classica da sola rischia di non essere sufficiente ma deve essere comple-
tata da una serie di esercitazioni che permettano di consolidare l’apprendimento e di af-
frontare, e risolvere, gli inevitabili dubbi che con la verifica pratica delle nozioni teoriche
possono emergere.
Si ricorda, inoltre, che la programmazione didattica in atto nelle nostre scuole preve-
de anche una dettagliata elencazione in fase di progettazione delle lezioni degli obiettivi
specifici disciplinari.
Gli obiettivi specifici di apprendimento sono espressi in termini di padronanza (cono-
scenza e comprensione) e in termini di competenza (operativa, lessicale, espressiva, di
analisi, di sintesi, di autonoma produzione, di autonoma valutazione ecc…) e verranno
trattati successivamente.
186
La lezione come strumento didattico rimane uno dei più diffusi perché evidentemen-
te vi sono anche dei vantaggi che possono essere sintetizzati:
a) la lezione è il metodo didattico in assoluto più efficiente, consente cioè di trattare un
elevato numero di argomenti in un tempo molto più contenuto rispetto a tutti gli altri
strumenti didattici;
b) qualche volta la lezione è l’unico strumento didattico utilizzabile a causa della ecces-
siva numerosità delle classi. Dal momento che la condizione di insegnamento ottima-
le con l’alternanza di varie tecniche dovrebbe essere svolta in un gruppo di massimo
15 – che non è quella che si registra nelle nostre scuole – è necessario gestire gruppi
numerosi attraverso la classica lezione. La maggioranza dei metodi attivi rischia spes-
so di non essere facilmente applicabile data la numerosità delle classi;
c) vi è anche un importante elemento di aspettativa degli studenti di cui tener conto.
Infatti le consuetudini scolastiche hanno stabilizzato un modello didattico in base al
quale coloro che entrano in un’aula si aspettano, e spesso richiedono fermamente,
che il docente faccia loro una lezione sugli argomenti in programma. Ogni compor-
tamento del docente in direzione contraria a tali aspettative può ingenerare, almeno
inizialmente, reazioni negative e resistenze psicologiche qualche volta molto forti.
Può perciò, in queste situazioni, essere necessario iniziare il corso proprio con una o
più lezioni in modo da facilitare l’inizio del rapporto, e passare a strumenti didattici
più attivi solo successivamente;
d) vi è inoltre un fattore molto importante da tener presente quando si esaminano in-
convenienti e vantaggi della lezione: essa non può essere sostituita da nessun altro
strumento didattico in tutti i casi in cui si ha per obiettivo la trasmissione delle nozio-
ni di base di una certa disciplina. Si tratterà perciò di non valutare se la lezione è da
utilizzarsi o meno, ma solo come realizzarla al meglio, visto che, in questi casi, non vi
sono alternative praticabili;
e) vi è infine un ultimo vantaggio, questa volta a beneficio del docente: la lezione, so-
prattutto quella classica, è lo strumento didattico che richiede meno fatica in fase
preliminare e che risulta più comodo, più sicuro da gestire in aula.
187
d) esposizione delle successive informazioni teoriche;
e) riepilogo conclusivo.
Esaminiamo ora in dettaglio le singole fasi, con l’avvertenza che anche questo sche-
ma base rappresenta solo un’indicazione di massima, da adeguare in modo flessibile e
creativo alle specifiche situazioni d’aula.
2. Domanda-stimolo all’aula
Si tratta di sollecitare l’aula ad entrare immediatamente in rapporto dialettico col
docente in modo da rendere, da subito, minime le probabilità di un ascolto passivo, e
perciò poco proficuo.
L’esatta natura dello stimolo – che può essere rappresentato dalla richiesta di rac-
contare le proprie esperienze su quel tema, o da domande provocatorie, o da richiesta
di pareri soggettivi – va naturalmente calibrata a seconda dell’argomento, del livello dei
discenti e del tipo di tesi che poi, nello sviluppo successivo della lezione, si intende so-
stenere.
Inoltre, la domanda deve essere tale da consentire a tutti di rispondere, deve cioè far
leva su conoscenze od esperienze sicuramente possedute dai partecipanti.
La domanda-stimolo serve a coinvolgere e stimolare il gruppo e allo stesso tempo
fornisce preziose informazioni al docente circa il livello di conoscenza iniziale, competen-
za, curiosità verso l’argomento trattato.
Ed infine consente ai partecipanti ed al docente di collegare le successive nozioni
teoriche alle conoscenze pregresse dei partecipanti stessi, con una indubbia facilitazione
dell’apprendimento.
3. Discussione
A volte il tipo di domanda-stimolo proposto al gruppo richiede non solo una semplice
raccolta delle risposte, ma una vera e propria breve discussione, magari solo per chiarire
i termini impiegati da vari partecipanti, o forse anche proprio per esplicitare e confron-
tare le tesi proposte. In questa fase è bene che il docente utilizzi i consueti metodi della
gestione delle riunioni di discussione evitando di formulare tesi personali che invece
emergeranno dalla successiva esposizione.
188
tante attivare nuovamente il gruppo sia chiedendo se vi sono domande, sia rilanciando
in modo più aperto, sollecitando cioè l’espressione di accordi, disaccordi, esperienze
personali ecc. In questa fase di esposizione teorica, si dovrebbe sfruttare al massimo il
materiale emerso a seguito della domanda-stimolo, al fine anche di valorizzare il contri-
buto dei partecipanti e di «personalizzare» la lezione.
189
struire piccole unità didattiche abbastanza autonome e di senso compiuto. È proprio nel
compiere questa operazione di scelta che ci si scontra sovente con il grande problema
del determinare quante cose sia possibile insegnare nel tempo assegnato per una data
lezione. Se si tratta della prima volta che si realizza quella certa lezione il problema del
corretto bilanciamento tempo/contenuti è pressoché irrisolvibili. Comunque la prima
volta che si tiene una lezione agiscono sul docente due spinte psicologiche che, spessis-
simo, lo portano ad eccedere notevolmente nei contenuti, e cioè:
–– il docente vive le sue prime lezioni su un nuovo argomento con maggiore insicurezza
dell’usuale e tende a rassicurarsi preparando molto materiale da inserire nella sua
trattazione;
–– in secondo luogo, chi conosce una certa materia cade sovente nella tentazione, un
po’ perversa, del «questo non si può non dire: è troppo importante!».
Per dimensionare correttamente i contenuti rispetto al tempo disponibile sfortunata-
mente non esistono parametri quantitativi che ci aiutino, per cui l’unica strada possibile
sembra quella empirica consistente nel fare una prova preliminare, tenendo però in con-
siderazione che nella situazione d’aula necessiterà un 30-60% in più del tempo a causa
delle domande e degli interventi dei partecipanti.
190
generale dei test costituisce il livello medio di conoscenza che è il punto di riferimento
dell’organizzazione e sviluppo degli argomenti, la focalizzazione delle attività di rinforzo.
In alternative a test d’ingresso il docente può utilizzare attività di verifica meno strut-
turate come per esempio la formulazione di alcune domande sugli argomenti e una di-
scussione di gruppo.
191
Per poter operare delle scelte metodologiche è necessario aprire una breve digres-
sione e ricollegarsi alla teorizzazione compiuta da D. A. Kolb secondo cui il processo di
apprendimento è riconducibile a quattro fasi principali:
–– le esperienze concrete compiute dalla persona, che rappresentano il materiale di
base per ogni processo di apprendimento;
–– l’osservazione e le riflessioni che il singolo individuo compie a valle di un insieme
significativo di esperienze;
–– la formulazione di concetti astratti che cercano di spiegare le esperienze concrete e
di inquadrarle all’interno di una teoria esplicativa;
–– l’utilizzo delle teorizzazioni per risolvere nuovi problemi concreti in parte differenti
da quelli che hanno dato luogo alla teorizzazione ma abbastanza simili da suggerirne
la sperimentazione (il che dà luogo a nuove esperienze, ed il ciclo riprende dall’ini-
zio).
Si tratta di un processo circolare che tutti noi percorriamo nel nostro personale pro-
cesso di apprendimento e che potrebbe essere anche descritto con la particolare attitu-
dine all’apprendimento che, in ciascuna fase, viene impiegata:
–– nella prima fase viene impiegata soprattutto l’attitudine alla concretezza;
–– nella seconda, all’osservazione riflessiva;
–– nella terza, alla concettualizzazione astratta;
–– nella quarta, all’azione.
Kolb sottolinea che ciascuno ha una sua personale predilezione per l’una o l’altra del-
le quattro citate attitudini e che quindi essa diventa, per così dire, la «porta d’ingresso»
che contraddistingue lo stile personale di apprendimento.
In chiave didattica, ciò comporterebbe la necessità di impostare lezioni secondo una
successione pedagogica congruente con lo stile d’apprendimento dei discenti. Ma dato
che non è possibile conoscere a priori lo stile d’apprendimento personale di ciascun par-
tecipante, è necessario formulare delle ipotesi, tenendo conto di quei fattori che più
probabilmente condizionano lo stile d’apprendimento stesso. Per esempio iI livello pre-
sunto di conoscenza della materia è un fattore influenzante: a parità d’altre condizio-
ni, più le persone conoscono una materia, più si aspettano e desiderano un approccio
teorico di buon livello, che dia già per scontato una larga massa di informazioni di base
e che sottintenda quindi esperienze e riflessioni precedenti. Sarà opportuno iniziare dal-
le concettualizzazioni o addirittura dai problemi ancora aperti (rispettivamente 3a e 4a
fase secondo la teorizzazione di Kolb). Viceversa chi non conosce quasi nulla della ma-
teria necessita di un approccio più progressivo che cerchi di compensare la mancanza di
esperienze precedenti e di riflessioni su quell’argomento: sarà quindi opportuno iniziare
proprio dalla 1a fase (esperienza concreta) facendo esempi semplici, mostrando alcune
relazioni di base, per poi passare a concettualizzare. Un fattore altrettanto importante è
dato dalla percezione di concreto vantaggio che gli studenti hanno nell’apprendere quei
determinati contenuti. Per esempio scoprire che la conoscenza di determinati meccani-
smi di tutela del diritto hanno riscontro nella loro vita quotidiana.
192
5.8 Stile d’insegnamento
Sicuramente non siamo tutti uguali, ed anche rispetto alla capacità di insegnare vi
sono differenze individuali, a livello di comportamento spontaneo: c’è chi, in modo im-
mediato e naturale, sa porgere le conoscenze con uno stile tale da renderle di per sé
comprensibili, fruibili, gradevoli, e chi invece, a parità di conoscenze possedute, si rap-
porta con gli altri in modo più «duro», più monotono e quindi meno efficace.
Tenendo conto di queste indubitabili differenze individuali, ci si può chiedere se vi è
qualche utilità nell’esaminare i comportamenti più adeguati per un docente:
–– l’atteggiamento di fondo di un individuo nei confronti degli altri è da considerare,
almeno nel breve periodo, come un dato non modificabile;
–– ciò che sicuramente può essere modificato è un insieme di micro-comportamenti e
di tecniche che, nel loro insieme, migliorano l’impatto complessivo di quel singolo e
specifico individuo nei confronti di un uditorio.
Docenti in parte si nasce ed in parte si diventa. La condizione preliminare, necessaria
anche se non sufficiente, che deve assolvere chi vuole insegnare qualcosa a qualcuno,
è senza dubbio quella di riuscire a suscitare e mantenere desta l’attenzione dell’ascolta-
tore: senza un buon grado di attenzione è pressoché impossibile che una esposizione,
pur corretta ed interessante sul piano dei contenuti, abbia qualche probabilità di essere
realmente ascoltata e, quindi, memorizzata ed appresa. Esistono vari modi per riuscire a
mantener alta l’attenzione di chi ascolta, e nei paragrafi successivi ne vedremo alcuni tra
i più facilmente adottabili, ma forse l’area più importante riguarda l’insieme dei compor-
tamenti non verbali del docente.
Infatti le modalità comportamentali adottate dal docente, oltre a caratterizzarlo sul
piano più complessivo dell’atteggiamento globale possono essere un elemento fonda-
mentale per la fruibilità complessiva del discorso.
Gli aspetti più importanti nell’area del non verbale a cui un docente dovrebbe porre
attenzione, sono i seguenti:
–– comunicazione para-verbale: il tono, il ritmo, le pause, le accentuazioni, sono tutti
elementi che, se ben utilizzati, rendono più facile all’ascoltatore seguire il discorso;
occorre evitare assolutamente di leggere gli appunti o i lucidi o testi vari giacché la
lettura inserisce un elemento di monotonia che fa rapidamente scemare l’attenzione.
È invece fondamentale alternare il tono espositivo, inserire delle pause nel discorso,
accentuare le parti topiche delle frasi, fare delle sottolineature tonali delle parole
chiave ecc.;
–– movimento: il docente deve stare seduto o in piedi? Questo diffusissimo dubbio non
può ricevere una risposta univoca perché troppi fattori intervengono a condizionare,
nelle specifiche e singole situazioni, le scelte teoriche. Tendenzialmente si può dire
che il docente dovrebbe muoversi un po’durante la lezione in modo da «spezzare»
con il suo movimento l’eventuale monotonia espositiva, e anche vigilare sull’atten-
zione che a volte viene sottratta dai piccoli gruppi rumorosi che spesso si concentra-
no nelle ultime file dei banchi. Il docente deve però evitare di gironzolare per l’aula
o passare dietro ai partecipanti: questi eccessi andrebbero evitati perché rappresen-
193
tano, come minimo, elementi di distrazione, e a volte risultano persino fastidiosi,
soprattutto se il docente tende ad avvicinarsi troppo ai partecipanti, violandone lo
spazio personale;
–– direzione dello sguardo: mentre espone la sua materia, il docente può provare
la tentazione di fissare un punto preciso (per esempio nel vuoto, oppure in alto,
oppure fuori dalla finestra ecc.) per favorire la sua personale concentrazione; ciò
però rappresenta un segnale non verbale che dai più viene decodificato come ne-
gativo, come tentativo di allontanamento e di estraneazione, in quanto lo sguar-
do, quasi ovunque, viene considerato come una forma di avvicinamento all’altro,
come un modo per manifestare accettazione e stima reciproca. È preferibile che
il docente guardi in faccia le persone, distribuendo lo sguardo in modo circolare,
onde non trascurare una parte o l’altra dell’aula, e soffermandosi su ciascun parte-
cipante per qualche breve istante, in modo da mostrare non solo di «guardare» le
persone, ma anche di «vederle». Il contatto visivo è un segnale di avvicinamento,
di riconoscimento degli altri. In secondo luogo con il contatto visivo i partecipanti
ricambiano lo sguardo e quindi, a parità d’altre condizioni, aumenta le probabilità
che seguano con attenzione il discorso. Infine, guardare l’uditorio consente anche
di cogliere dall’espressione dei visi, dalle posture, preziosi feedback sul livello di
attenzione, di interesse, di comprensione e di stanchezza che è presente nella
maggioranza delle persone: rappresenta cioè una sorta di monitoraggio dell’an-
damento della lezione.
Come già detto, le aree sopra menzionate non esauriscono l’enorme gamma di
comportamenti non verbali che il docente attua durante la sua lezione; in partico-
lare risultano qui trascurate le categorie, assai importanti, della gestualità e della
mimica facciale. Su di esse si tornerà più avanti giacché i loro riflessi sono non tanto
sul livello di attenzione del gruppo, quanto sul clima emotivo che viene suscitato
in aula.
194
Sul piano operativo, la maieutica prevede come condizioni base:
–– preparazione della lezione molto precisa ed alquanto onerosa (individuazione del
percorso pedagogico più appropriato, costruzione delle domande ecc.);
–– gruppo poco numeroso, in modo che tutti possano partecipare attivamente;
–– conoscenze di base dei partecipanti molto simili, per poter progredire tutti paralle-
lamente;
–– notevole abilità ed esperienza del docente, in sede di gestione, nell’adeguarsi all’an-
damento del gruppo, modificando al massimo il programma precedentemente pre-
parato.
La seconda modalità consiste ancora nel porre delle domande al gruppo durante la
lezione, ma esclusivamente come forma di esposizione, come modo per introdurre i vari
argomenti, come tecnica per focalizzare l’attenzione degli ascoltatori.
In pratica si pone la domanda e poi, dopo una brevissima pausa di silenzio, si passa
all’esposizione della risposta. Ovviamente le domande devono essere scelte in modo
tale da servire per introdurre gli argomenti oggetto della lezione.
Quindi le domande sono poste non per avere risposte effettive da parte del gruppo
(come nel metodo precedente), ma solo per far sì che ogni partecipante focalizzi l’atten-
zione su quella questione. Infatti la domanda crea una sorta di tensione mentale, attiva
il pensiero di chi ascolta: di fronte ad una domanda, tutti, automaticamente, reagiamo
con una serie di silenziose risposte ipotetiche o con una serie di altre domande (sempre
silenziose). Anche l’ascoltatore più disattento, più sprofondato nei propri pensieri, viene
vitalizzato da una domanda posta in forma chiara e concisa.
La terza modalità utilizzabile per favorire il coinvolgimento e la partecipazione del
gruppo è rappresentata dai cosiddetti rilanci; dal chiedere, cioè, espressamente al grup-
po nel suo insieme di esprimere dei pareri, delle opinioni (anche di disaccordo), delle
impressioni su quanto si va dicendo. Le forme verbali impiegabili sono varie e dipendono
dallo stile del docente, dalla materia trattata e dal tipo di partecipanti: si va dal quasi
banale, ma sempre utile «Vi sembra tutto chiaro fin qui?» al «Qualcuno ha degli esempi
personali su quest’argomento?» ecc. Perché il rilancio abbia buone probabilità di sortire
i risultati auspicati, occorre che:
–– il clima generale d’aula sia positivo e cioè non vi siano fra i partecipanti più o meno
latenti paure di valutazione; il docente effettui il rilancio in modo reale e non solo
formale, vale a dire che lasci uno spazio di tempo sufficiente perché i partecipanti
formulino mentalmente la frase, superino quell’attimo di incertezza e di inibizione in
molti presente in situazioni pubbliche e, infine, parlino;
–– inoltre, il docente deve dare precisi segnali di disponibilità al dialogo, sia sul piano
non verbale (spegnere la lavagna interattiva, guardare il gruppo, sorridere, manife-
stare apertamente aspettativa) sia su quello verbale, e cioè ripetendo in termini di-
versi il rilancio.
Naturalmente la necessità di rilanci è maggiore all’inizio della lezione, giacché più
avanti, se l’inizio è stato adeguato, gli interventi dei discenti diverranno più frequenti e
spontanei. Tuttavia, in special modo durante le lezioni su argomenti un po’ aridi, resta
sempre la necessità di spezzare la docenza complessiva in sottoinsiemi.
195
L’impiego delle tecniche sopra descritte presenta però alcuni inconvenienti che val la
pena di segnalare:
–– se il gruppo viene coinvolto, poi occorre in qualche modo soddisfare anche le esigenze
che manifesta, rispondere ai dubbi, permettere la discussione, il che comporta un rapi-
do aumento dei tempi totali: se la lezione «ad una via» richiede poniamo 30 minuti, i
medesimi contenuti giocati a «due vie» ne portano la durata ad almeno un’ora e mezza;
–– questa modalità didattica espone molto di più il docente ai rischi derivanti da even-
tuali contestazioni dei contenuti che tratta e quindi occorre che egli abbia un po’d’e-
sperienza d’aula, sia per poter avere la tranquillità e la sicurezza necessarie a mettersi
in gioco con il gruppo, sia per poter gestire la discussione in termini positivi, senza
bloccare il gruppo con interventi autoritari o, peggio ancora, punitivi;
–– infine esiste un vincolo già ricordato: il numero massimo di partecipanti dovrebbe
essere intorno ai 15 soggetti.
D’altro canto, però, il coinvolgimento del gruppo consente alcuni ineguagliabili van-
taggi in merito all’efficacia complessiva della didattica, e cioè:
–– mediante l’analisi del tenore del dibattito che si sviluppa dopo ogni sottoparte il do-
cente è in grado di verificare il reale livello di comprensione da parte del gruppo (o
se si preferisce, il grado di chiarezza da lui impiegato nell’esporre) e quindi di tarare
le parti successive della lezione in base a quanto emerso; il dibattito e/o le domande
costituiscono perciò un feedback prezioso;
–– le discussioni tra ogni sottoparte e le successive sono anche il mezzo mediante il quale il
gruppo può riesaminare, anche criticamente, quanto detto dal docente, adottando ot-
tiche esperienziali differenti: ciò costituisce, oltre che una verifica dei contenuti, anche
il necessario «rimasticamento» di quanto ascoltato per poterlo realmente far proprio;
–– nessun docente è immune dal rischio di essere noioso o prolisso o monotono: l’in-
terruzione tra ogni sottoparte e la successiva spezza la monotonia e contribuisce a
tener desta l’attenzione;
–– ascoltare il docente è più faticoso che ascoltare le osservazioni degli altri studenti
partecipanti, in quanto il docente generalmente «comprime» molto di più i concetti.
Le pause servono perciò anche come momento di rilassamento.
196
Gli errori che più frequentemente si compiono sono:
–– comunicare (con l’atteggiamento, con il tono di voce, con il linguaggio), che quella è
ritenuta una domanda sostanzialmente stupida, che fa perdere inutilmente del tem-
po, cosa che come minimo inibirà successive domande, come massimo renderà ostili
alcuni o tutti i componenti del gruppo;
–– entrare in contradditorio acceso e prolungato con uno o due studenti, il che compor-
terà la noia ed il fastidio per tutti gli altri partecipanti che, quasi sempre, si sentono
esclusi da quella discussione giocata sul filo del «vediamo chi è il più forte»;
–– rimandare sistematicamente le risposte ad un momento successivo, quando si trat-
terà quell’argomento, o comunque non rispondere a domande non centratissime ad-
ducendo come motivazione che «questo argomento non è oggetto della trattazione
odierna». Ognuna di queste risposte rappresenta una delusione per i partecipan-
ti, e la loro ripetizione diminuisce rapidamente la probabilità di ottenere domande
successive, visto che le persone si pongono nell’atteggiamento che «tanto è inutile
chiederglielo».
Per gestire efficacemente le domande è forse utile premettere che la domanda è
un prezioso alleato del docente; sempre, anche quando sembra polemica, la domanda
comunica importanti informazioni al docente circa il livello motivazionale dell’aula, le
paure che serpeggiano inespresse, la dinamica interpersonale, le aree di interesse per-
sonale.
Inoltre un gruppo che non pone domande spesso denuncia una situazione negativa:
forse l’esposizione è stata oscura ad un livello tale che nessuno è in grado di far doman-
de, forse esiste un forte disturbo tra docente e gruppo, forse esistono altri problemi,
ma comunque il silenzio del gruppo rappresenta un segnale di pericolo per il docente.
Vi sono tuttavia due situazioni in cui il silenzio del gruppo non deve allarmare: all’inizio
della lezione quando il gruppo è ancora «freddo» e quindi ancora molto resistente ad
esporsi, e in presenza di un argomento assolutamente sconosciuto.
È anche importante ricordare che a parità di altre condizioni, più domande nasco-
no e meglio è per l’apprendimento: è infatti dimostrato che la motivazione positiva ad
ottenere una informazione innalza grandemente il livello di memorizzazione di quell’in-
formazione.
Ed infine, ogni conflitto con le persone, o con il gruppo nel suo insieme, tra gli altri
inconvenienti, comporta uno spostamento dell’attenzione dai contenuti della materia
che si desidera insegnare, ai processi che stanno avvenendo in aula, con evidente perdita
di apprendimento sulla materia. Per quanto riguarda la gestione pratica delle domande,
possiamo dire che in linea generale essa andrebbe condotta nell’ottica di ottenere il mas-
simo numero possibile di domande, appunto in base alle considerazioni fin qui svolte. Si
potrebbe obiettare che in tal modo la trattazione della materia può risultare spezzettata,
disordinata, senza capo né coda, insomma, poco efficace; ma non è così per almeno due
ragioni.
Innanzitutto perché raramente i gruppi pongono un numero tale di domande da
rendere davvero caotica la trattazione della lezione (spesso il gruppo tende a rimanere
passivo e ad attendere la fine della lezione e quindi l’obiezione è più teorica che reale);
197
possono anche verificarsi lezioni in cui il gruppo è davvero molto attivo e pone parec-
chie domande anche polemiche: salvo rarissimi casi estremi, queste lezioni sono più
interessanti ed istruttive rispetto a lezioni forse più ordinate, ma spesso noiose e poco
memorizzabili.
In secondo luogo, quando anche il volume complessivo delle domande fosse ecces-
sivo, il docente può sempre intervenire in modo cortese ma fermo e riportare il discorso
su quei binari che considera più adatti e proficui. Dal principio generale «cercare di ot-
tenere il massimo numero di domande» derivano le seguenti raccomandazioni pratiche
per la gestione delle domande:
–– se la domanda è pertinente rispondere subito, senza rimandi a momenti successivi;
–– se la domanda anticipa argomenti in programma per momenti d’aula successivi dare
una breve risposta di contenuto segnalando che, dato che se ne parlerà ancora più
avanti si potranno avere risposte più esaurienti; è necessario però dare comunque
una breve risposta di contenuto sia per soddisfare l’esigenza del partecipante e mi-
gliorarne perciò l’apprendimento, sia per dare un generale segnale positivo di dispo-
nibilità. Vi è comunque da chiedersi: «se alle persone viene in mente ora, in questo
punto della lezione, di sapere quelle certe cose che io ho collocato più avanti nel
programma, non ho forse sbagliato la successione didattica?»; se la domanda è in
tutto od in parte fuori tema dare una breve risposta di contenuto e segnalare che
però, dato che l’argomento è fuori tema, sfortunatamente non lo si può approfondire
ulteriormente;
–– se la domanda è polemica, oppure è una obiezione che denuncia in toni accesi opi-
nioni differenti da quelle esposte dal docente dare una risposta di contenuto cercan-
do di evitare di «entrare in dinamica», evitando cioè di dar seguito alla parte polemi-
ca della domanda. È questo forse uno dei momenti più difficili, perché presuppone
nel docente una grande tranquillità e pacatezza, tale da non reagire alle provocazioni
di questo o quel partecipante; quindi, dato che ogni domanda, anche quella più po-
lemica, ha una parte di contenuto, attenersi a quello.
198
tire le opportune messe a punto sia immediate, sia in vista di future docenze. Al di là
delle particolarità indotte da singole situazioni speciali, i principali metodi per rinfor-
zare e verificare l’apprendimento sono due: il riepilogo e l’esercitazione applicativa,
sia individuale sia in sottogruppo. Naturalmente tali metodi non sono alternativi tra
loro, andrebbero anzi impiegati entrambi in maniera combinata al fine di massimiz-
zarne l’efficacia.
Delle esercitazioni si parlerà successivamente in modo dettagliato vista anche l’im-
portanza dell’argomento, mentre del riepilogo specifichiamo subito che i due momenti
tipici del suo impiego sono:
–– al termine della lezione;
–– alla ripresa della lezione successiva.
I riepiloghi effettuati al termine della lezione presentano il grande svantaggio di col-
locarsi in un momento in cui il livello di stanchezza dei gruppo è assai alto e quindi cor-
rono il rischio di essere poco efficaci. Il riepilogo a fine giornata, poi, oltre a quello della
stanchezza, presenta l’ulteriore svantaggio rappresentato dal desiderio delle persone di
andarsene.
I riepiloghi effettuati all’inizio della lezione successiva viceversa, godono di alcuni
vantaggi: si collocano in un momento di relativa «freschezza» del gruppo, non subiscono
la pressione dei tempo e, soprattutto, sono più efficaci per l’apprendimento.
Tenendo conto di quanto fin qui detto, si potrebbe perciò concludere:
–– i riepiloghi a fine lezione vanno sempre fatti, perché consentono di rimettere, per
così dire, in ordine le informazioni trattate durante la lezione stessa, ma devono es-
sere contenuti in pochissimi minuti;
–– i riepiloghi a fine lezione andrebbero fatti con cautela e, se possibile, dovrebbero
essere sostituiti da riepiloghi posti in apertura della giornata successiva.
Vediamo ora brevemente come fare un riepilogo, premettendo però che, pur es-
sendoci alcuni metodi aventi più vantaggio di altri, non è detto che essi vadano sem-
pre preferiti. Anche per il metodo, come per il momento in cui farli, il docente dovrà
valutare di volta in volta la specifica situazione ed optare per la soluzione che ritiene
più adeguata.
2. Riepilogo guidato
Il riepilogo guidato consiste nella ripetizione dei passaggi principali della lezione,
fatta però non dal docente, ma dal gruppo attivato e guidato da opportune domande-
stimolo poste dal docente e scelte in modo tale da richiamare l’attenzione sui concetti
199
fondamentali della sua esposizione. Se gli obiettivi didattici della lezione sono stati chia-
riti adeguatamente, se quindi sono stati identificati gli argomenti-chiave l’individuazione
delle domande-stimolo più appropriate da porre in questa fase sarà molto agevole. Il
riepilogo guidato può essere utilizzato per tutte le materie che costituiscono oggetto
di lezione e permette al docente di ritornare su argomenti che ritiene essere di elevata
importanza o che siano stati poco compresi dal gruppo. Il grande vantaggio di questo
metodo, rispetto al normale riepilogo fatto direttamente dal docente, è rappresentato
dallo sforzo che i partecipanti devono compiere per ricordare le cose ascoltate, sfor-
zo innescato ed attivato dalle domande-stimolo. Tale sforzo costituisce un metodo per
consolidare il ricordo ed è molto più efficace del semplice riascolto. Il limite principale
del riepilogo guidato sta nella scarsa garanzia che esso dà circa il fatto che tutti i par-
tecipanti compiano lo stesso sforzo e raggiungano lo stesso grado di apprendimento; è
quasi certo che alcuni di essi risponderanno alle domande molto più rapidamente della
maggior parte dei colleghi, bruciando in tal modo l’efficacia del riepilogo nei confronti
degli altri (più lenti o solo meno competitivi). Un possibile modo per ovviare a questo
inconveniente consiste nel pregare gli studenti di non rispondere subito a voce, ma di an-
notarsi su di un foglio di carta la risposta e poi, dopo un breve lasso di tempo, chiedere al
gruppo la risposta. In questo modo vi è qualche garanzia in più che tutti abbiano quanto
meno pensato alla risposta.
Un secondo limite del riepilogo guidato è rappresentato dal fatto che esso conso-
lida i concetti nella stessa forma in cui sono stati esposti: non vi è nessuna garanzia
che in situazioni analoghe, ma lievemente differenti, gli studenti applichino il mede-
simo concetto (è il limite di tutto l’apprendimento nozionistico: quale sarà il reale li-
vello di trasferimento dell’apprendimento?). Il terzo limite è infine costituito dalla sua
non applicabilità in alcune situazioni, quali ad esempio: nei gruppi ancora in fase di
«riscaldamento» e cioè all’inizio della lezione, in quanto il basso livello di fiducia reci-
proca e di socializzazione presente nei gruppi in questa fase rende poco consigliabile
una modalità didattica che invece richiede ai partecipanti di esporsi anche al rischio
dell’errore.
3. Riepilogo libero
Il riepilogo libero consiste nel chiedere alle persone di indicare i due o tre aspetti
della lezione che ritengono più utili e/o interessanti e l’aspetto che è risultato più oscuro
o discutibile. Ciascuno annota su un foglio di carta le sue risposte personali, anche rive-
dendo i vari appunti e poi il docente fa un rapido giro per raccogliere il parere di tutti,
possibilmente utilizzando la lavagna a fogli mobili o la classica lavagna. Questo metodo,
impiegabile solo per i riepiloghi «del giorno dopo» e comunque non per quelli di fine
lezione, ha due grandi vantaggi. Innanzitutto costringe indirettamente le persone a ri-
passare l’intera materia trattata ed a valutarla in termini di utilità e di interesse, il che
rappresenta un valido ed efficace esercizio per la memoria. In secondo luogo permette
al docente di raccogliere importanti feedback sia sugli aspetti positivi della lezione, sia e
soprattutto sulle aree di non comprensione o di dubbio o di disaccordo esistenti in aula.
200
Il che gli consentirà di riprendere ed approfondire, subito o più avanti a seconda delle
esigenze di programma, i contenuti indicati come critici, con indubitabili vantaggi per
l’apprendimento.
I limiti del riepilogo libero sono sostanzialmente dati da:
–– il tempo;
–– l’impossibilità ad impiegarlo ripetutamente: non si può infatti ogni mattina entrare in
aula ed aprire la giornata con un riepilogo giacché interviene una sorta di stanchezza
sul metodo;
–– l’impossibilità di impiegarlo, nel caso di materie molto nozionistiche, a valle delle
primissime lezioni di base, giacché le persone non sono di solito in grado di rispon-
dere alla prima parte del quesito, e cioè non sono ancora in grado di valutare cri-
ticamente le nozioni ascoltate (sono invece in grado di indicare le aree dubbiose o
non chiare).
201
nella maggioranza delle situazioni: le video proiezioni (lavagna luminosa, lavagna interat-
tiva, presentazione in power point) sono da impiegarsi per la presentazione dei concetti
di base della materia, mentre la lavagna a fogli mobili va impiegata per la gestione delle
discussioni e per l’illustrazione di tutto ciò che è improvvisato (risposta a domande ed
obiezioni dei partecipanti, approfondimenti resi necessari dallo sviluppo della discussio-
ne ecc.).
Circa l’utilità dell’impiego delle immagini e, più in generale, dei supporti visivi duran-
te una lezione, si può ricordare che:
–– il livello di attenzione sostenibile durante una lezione è di gran lunga superiore se si
usano anche messaggi visivi dato che la curva dell’attenzione scende con una velocità
inferiore (o, se si preferisce, la stanchezza sopravviene con minor rapidità);
–– messaggi visivi e messaggi auditivi si rinforzano reciprocamente riducendo drasti-
camente i problemi di ambiguità di comprensione, la memoria visiva sembra non
risentire della fatica ed ha una potenzialità straordinariamente alta, estremamente
superiore a quella uditiva.
Nell’ambito dei supporti visivi impiegabili in aula durante una lezione, può essere
conveniente distinguere tra semplici sussidi visivi (lavagne di vari tipi) ed audio-visivi
(video-film, documentari) sia perché tra le due categorie esistono notevoli differenze
di tecnologia e tecniche di preparazione, sia perché le modalità da adottare in aula per
gestirli sono radicalmente diverse.
Una trattazione specifica sarà dedicata nel successivo capitolo alla lavagna interattiva
multimediale (LIM) che non si configura come semplice sussidio didattico ma come una
tecnica didattica di più ampio respiro ed inserita nel contesto della svolta o tentativo di
svolta digitale all’interno della scuola.
In questo paragrafo descriveremo brevemente alcuni sussidi didattici che sebbene in
declino sono in una realtà di scarsità di risorse ancora facilmente reperibili nel contesto
scolastico.
Tra i sussidi visivi il primo è la tradizionale lavagna nera di ardesia. I suoi svantaggi
sono molti: obbliga il docente a girar completamente le spalle all’aula, sporca rapida-
mente abiti e mani di chi la usa, contiene poche cose, con la cancellazione si perde il
messaggio. In alcune scuole si trova il sostituto moderno della vecchia lavagna scolasti-
ca: una grande lavagna fissata alla parete e realizzata in materiale plastico bianco, su cui
scrivere con gli appositi pennarelli «a secco».
202
Lavagna in materiale plastico bianco
Vantaggi Svantaggi
è particolarmente utile per chi ha bisogno a causa della sua inamovibilità, non può
di scrivere, durante la lezione, una grande essere spostata nel punto di volta in volta
quantità di numeri, formule ecc., cancel- più opportuno per rendere più agevole la
lando frequentemente visione a tutti
è uno strumento pulito rispetto alla lava- non tutti i pennarelli sono adatti: se ma-
gna tradizionale e vi si scrive sopra senza lauguratamente se ne impiega uno non
fatica e senza fastidiosi rumori indicato diventa un problema cancellare
permette l’utilizzo di pennarelli colorati anche questa lavagna costringe a girare
e quindi di sofisticare un po’il messaggio le spalle all’uditorio e ad assumere strane
visivo posizioni acrobatiche per scrivere nei vari
punti della sua superficie
spesso viene usata anche come schermo non permette di pre-confezionare mes-
per eventuali proiezioni (la cui qualità è saggi
però modesta)
quando si cancella si perde il messaggio
203
Vantaggi Svantaggi
con un po’ di pratica è possibile preparare non rappresenta una guida per il docente,
una parte dei messaggi già scritti che, salvo rari casi, deve improvvisare le
scritte al momento
si può scrivere stando su di un lato della
lavagna, senza quindi voltare le spalle al
gruppo
i messaggi rimangono stabili: si possono
staccare i fogli significativi ed appenderli
alle pareti, oppure si può ogni volta che
occorre ritornare al foglio su cui si sono
scritte «quelle certe cose»
dando uno o più fogli ai sottogruppi a cui
sono state assegnate esercitazioni, si po-
trà rendere più chiara ed agevole la suc-
cessiva discussione plenaria
In conclusione nella maggior parte delle situazioni, la lavagna a fogli mobili sia, tra gli
strumenti fin qui esaminati, quello più adatto per supportare visivamente l’animazione
di una lezione.
204
Vantaggi Svantaggi
la possibilità di stare rivolti verso il grup- il messaggio contenuto rimane visibile dai
po, mantenendo perciò costantemente il gruppo per poco tempo
rapporto visivo con le persone
la comodità di poter parlare e scrivere
stando seduti
205
–– breve introduzione dell’argomento;
–– visione del documentario;
–– riepilogo da parte del docente dei punti cruciali visti;
–– risposte a domande di chiarimento o comunque dibattito su quanto visto;
–– prosieguo dell’attività secondo il normale programma.
206
5.13.1 La gestione delle esercitazioni individuali
La prima fase di ogni esercitazione è il suo avvio che è molto importante per la ri-
uscita. All’aula va spiegato il tipo di compito che deve essere svolto, lo scopo didattico
dell’esercitazioni in modo da collocarla in una cornice trasparente e comprensibile. Se il
compito assegnato risulta complicato è opportuno fornire qualche esempio chiarificato-
re e raccogliere le eventuali domande.
Tra i vari errori che si possono compiere nel lanciare le esercitazioni sia individuale
che di gruppo se ne possono evidenziare le seguenti:
–– il docente con il suo atteggiamento trasforma l’esercitazione in una vera e propria
prova d’esame alterando così lo scopo stesso dell’esercitazione;
–– il docente nel tentativo di creare un buon clima d’aula eccede nell’attribuire all’eser-
citazione un valore di gioco svilendo così la sua funzione di apprendimento;
–– il terzo tipo di errore consiste nel non spiegare in modo sufficiente lo scopo o le mo-
dalità operative dell’esercitazione il che nelle fasi iniziali comporta una forte caduta
di efficacia delle esercitazioni stesse giacché i partecipanti spendono energie e tem-
po per tentare di interpretare il mandato.
Il comportamento che tiene il docente mentre il gruppo adempie al compito affida-
to, influisce notevolmente sull’efficacia complessiva dell’esercitazione. Sostanzialmente
il docente deve stare al proprio posto abituale, svolgendo una qualsiasi attività perso-
nale, ed evitando tutti i comportamenti che distraggono od inibiscono il gruppo che sta
svolgendo il suo lavoro.
Alla fine dell’esercitazione gli studenti potranno esporre in plenaria i risultati raggiun-
ti sotto forma di presentazione o relazione. In generale nel gestire la plenaria è oppor-
tuno ricordare che l’esercitazione ha per scopo primario di rinforzare l’apprendimento.
Quindi la procedura da seguire nel gestire la plenaria dovrebbe prevedere i seguenti
passaggi:
–– raccolta dei contributi di tutti i partecipanti;
–– discussione, al termine della raccolta, degli eventuali punti dubbi o controversi, sol-
lecitando il più possibile la partecipazione dell’intero gruppo;
–– se necessario, illustrare analiticamente la soluzione corretta del compito affidato.
Durante la discussione plenaria, sono inoltre assolutamente da evitare tutti quei
comportamenti che mettono in difficoltà i partecipanti o che sbilanciano il gruppo, come
ad esempio ironizzare, esprimere valutazioni sulle persone, discutere a lungo con un
singolo partecipante.
207
L’esercitazione in sottogruppo dovrebbe essere svolta in un tempo compreso tra i
20 ed i 30 minuti. Compiti più brevi non giustificano l’utilizzo dei sottogruppi che, per
loro natura, richiedono un certo tempo di riscaldamento. Compiti più lunghi andrebbero
invece spezzati in più fasi, in modo da non lasciare i sottogruppi troppo a lungo da soli,
con il rischio di dinamiche interne poco gestibili.
La modalità di composizione dei sottogruppi merita un discorso a sé:
–– ogni volta i sottogruppi dovrebbero essere composti da membri differenti in modo da
evitare una sorta di specializzazione dei compiti al loro interno e di favorire al massi-
mo lo scambio di informazioni e di metodi di lavoro;
–– la composizione dei sottogruppi non dovrebbe essere lasciata ai partecipanti, giac-
ché ne deriverebbero impliciti ma precisi (e pesanti) messaggi di scelta e di rifiuto tra
le varie persone, con conseguenti complicazioni nei rapporti interpersonali;
–– il criterio che il docente adotta, anzi i criteri visto che i sottogruppi devono essere di-
versi, dovrebbero essere trasparenti, e comunque espliciti. Il che significa che si può
ricorrere a criteri casuali: il posto occupato in aula, l’ordine alfabetico ecc.
Il non esplicitare il criterio fa scatenare nei sottogruppi le più strane ipotesi e, soprat-
tutto, distrae l’attenzione dall’esame del lavoro assegnato.
Durante il lavoro dei sottogruppi, il docente deve effettuare due verifiche; la prima,
dopo circa 10 minuti dall’inizio del lavoro, avente per obiettivo di verificare se il com-
pito ed il suo scopo sono stati compresi, se il testo è chiaro ecc.; la seconda, a circa 10
minuti dal termine del tempo assegnato, per verificare a che fase del compito i vari
sottogruppi sono giunti. Capita frequentemente che a questo punto si scopra che il
tempo concesso dal docente all’inizio dell’esercitazione si riveli non sufficiente per il
suo svolgimento.
In questi casi occorrerebbe innanzitutto comprenderne le cause; le più frequenti
sono:
–– il tempo concesso è oggettivamente scarso rispetto a quell’esercitazione;
–– i sottogruppi hanno impiegato più tempo a causa di forti conflitti interni che ne han-
no inceppato il funzionamento;
–– il compito è stato spiegato in modo non sufficiente per cui i sottogruppi hanno dovu-
to faticare per chiarirselo al loro interno;
–– è il primo lavoro in sottogruppi e quindi le persone devono imparare il metodo, il che
richiede tempo.
Indipendentemente dalla causa, che suggerirà al docente modifiche progettuali per
le future attività didattiche, è quasi sempre opportuno concedere del tempo supplemen-
tare in modo da completare l’esercitazione, con l’avvertenza però di dare una quantità
definita non troppo elevata ed uguale per i vari sottogruppi.
E se un sottogruppo dovesse avere grosse difficoltà nello svolgimento del compito?
In questi casi il tipo di aiuto che il docente può legittimamente dare è non tanto di sosti-
tuirsi ai partecipanti dando loro la soluzione del problema, quanto di suggerire la strada
da imboccare per migliorare il risultato.
Durante l’attività dei sottogruppi gli errori in cui il docente può incorrere sono:
–– non effettuare alcun tipo di verifica, con il rischio che i gruppi si blocchino sul tenta-
208
tivo di capire il compito o di scoprire solo alla fine che un sottogruppo non è riuscito
a completare il lavoro;
–– dare aiuti sostanziali ad uno solo dei sottogruppi perche magari sono stati più espli-
citi degli altri a chiedere aiuto.
Per quanto riguarda infine la gestione della plenaria, le avvertenze da adottare sono
del tutto simili a quelle già viste a proposito delle esercitazioni individuali, e cioè innan-
zitutto far esporre a ciascun sottogruppo il risultato del suo lavoro; al termine, favorire
la discussione collettiva; alla fine, se necessario, dare analitiche spiegazioni sulla solu-
zione corretta. L’unica variante a questo processo può verificarsi allorché si discutano
esercitazioni «aperte»: in tal caso è necessario esaminare i lavori dei sottogruppi dopo
ogni relazione giacché, per definizione, i risultati dell’esercitazione possono essere molto
diversi, e quindi poco confrontabili, anche se ugualmente corretti.
Durante la plenaria gli errori da evitare sono soprattutto inerenti lo stile che il docen-
te adotta nella gestione della discussione, e cioè:
–– esprimere valutazioni e confronti tra i valori dei sottogruppi in modo personalizzato;
–– consentire che in plenaria ci si rimetta a discutere dei conflitti interni dei singoli sot-
togruppi;
–– «bruciare» la discussione collettiva esprimendo subito i propri pareri.
209
necessarie per l’insegnamento. Non riguarda perciò il contenuto o la materia da insegna-
re, quanto proprio l’aspetto organizzativo d’insieme. Si tratta perciò di:
–– determinare l’ordine delle attività da svolgere, organizzarle, definire i tempi e le mo-
dalità operative;
–– regolare la partecipazione e gli interventi dei partecipanti (il docente indica l’allievo o
gli allievi che vuole che intervengano, svolgano un compito, compone i sottogruppi,
regola le discussioni ecc.);
–– gestire le situazioni di conflitto o di competizione (il docente risolve il conflitto, oppu-
re invita le persone a regolare da sé i propri disaccordi in altri momenti ecc.).
Come si può notare, si tratta di attività tipiche non solo della situazione didattica, ma
anche di altri momenti sociali, quali ad esempio la gestione e la conduzione delle riunio-
ni. È perciò una funzione che deve essere sempre presente, in continuo, durante tutto il
tempo d’aula, in special modo:
–– all’inizio, in modo da impostare correttamente il lavoro nel suo complesso, specifi-
candone i termini organizzativi;
–– in presenza di ogni nuovo modo di strutturare il tempo d’aula, per esempio, nella fase
di lancio di un’esercitazione, di un role-play, di analisi di caso;
–– durante le discussioni in plenaria, in modo da coordinare la riunione e l’apporto di
tutti.
Un uso insufficiente da parte del docente di questa funzione, e cioè uno scarso pre-
sidio degli aspetti organizzativi, comporta generalmente una diminuzione dell’efficienza
giacché si impiega più tempo del necessario proprio per far fronte a difetti organizzativi,
e quindi le discussioni si protraggono inutilmente perché manca chi le coordina, i lavori
di sottogruppo sono più lunghi e faticosi perché non sono chiare le istruzioni, le persone
arrivano in ritardo o se ne vanno prima ecc.
Un uso eccessivo di questa funzione, viceversa, comporta una gestione autoritaria
e soffocante dell’attività didattica, con conseguente caduta del livello di partecipazione
da parte dei singoli e con una scarsa formazione di quello spirito di gruppo che invece
rappresenta uno dei principali promotori dell’apprendimento.
Vi è un particolare momento in cui il docente può definire con il gruppo l’insieme del-
le norme organizzative che regoleranno il lavoro comune: ed è l’inizio del corso stesso,
allorché il docente stipula con i partecipanti il cosiddetto contratto formativo.
È un momento molto delicato perché il livello di attenzione è massimo e si concentra
non solo sui contenuti della comunicazione che il docente effettua, ma anche e soprat-
tutto su tutti gli aspetti non verbali e sui segnali anche deboli che egli emette. Gli stu-
denti cercano in pratica di capire, di inquadrare, di cogliere l’essenza, il nocciolo sia del
docente, sia della situazione nel suo complesso.
È quindi necessario che la trattazione dei vari temi sia esplicita ed aperta, e che nulla
venga lasciato nel regno del «non detto», per evitare rischi di pericolose e disturbanti
interpretazioni da parte dei convenuti.
In generale gli argomenti da trattare in fase iniziale sono:
–– gli obiettivi didattici;
–– gli obiettivi generali in termini di competenze da sviluppare;
210
–– il programma da svolgere con l’indicazione dei metodi didattici e degli argomenti.
Le attività del docente che rientrano nella categoria del «dare informazioni» sono
quelle tipiche dell’insegnamento e riguardano il contenuto della materia oggetto della
lezione, quali, ad esempio:
–– esporre, chiarire, spiegare, interpretare, generalizzare, sintetizzare i concetti oggetto
d’insegnamento;
–– rispondere alle domande degli studenti;
–– porre domande, formulare problemi, assegnare compiti, esercizi da svolgere;
–– dare indizi suggerendo risposte;
–– fornire un aiuto non richiesto.
In generale le attività di questo tipo tendono ad essere sempre presenti in modo
massiccio nelle lezioni, giacché ne costituiscono per così dire l’ossatura. Tuttavia, anche
limitandosi alla lezione, senza cioè pensare ad altri metodi didattici, si può dire che la
proporzione del tempo delle attività prettamente informative del docente rispetto al
tempo totale è piuttosto variabile in base a:
–– materia da insegnare, dato che alcune materie sono, per loro natura, più nozionisti-
che di altre e quindi richiedono maggiori attività informative; destinatari dell’inse-
gnamento; meno conoscono la materia che si spiega in aula, meno si sentono sicuri
di se stessi, meno sono abituati ad una partecipazione attiva, più il docente sarà co-
stretto a svolgere, in proporzione, attività informativa;
–– fase di sviluppo del gruppo: infatti più il gruppo è in una fase iniziale della sua vita
sociale e psicologica, maggiore sarà l’attività informativa del docente.
Le attività di questo tipo devono invece essere meno presenti durante l’utilizzo di altri
metodi didattici (esercitazioni, role-playing ecc.) in modo da favorire la possibilità che
ciascun allievo trovi da sé le risposte corrette ai problemi posti, uscendo dal rapporto
stellare docente-allievo.
Caratteristica essenziale dell’insegnamento è di favorire, suscitare, ampliare il con-
tributo degli allievi. Mentre nel dare i contenuti l’insegnante è al primo posto, qui pre-
domina l’allievo a cui si chiede di essere creativo e di scoprire soluzioni. Appartengono a
questa funzione le azioni del docente che mirano a:
–– far fare esercitazioni pratiche;
–– far scoprire personalmente agli allievi la risposta ad un particolare quesito tramite
ricerca, osservazione, consultazione;
–– stimolare la partecipazione diretta, il coinvolgimento delle persone nelle discussioni;
–– creare in generale una situazione stimolante.
L’utilizzo di questa funzione facilita l’apprendimento in quanto la scoperta autonoma
e personale dell’allievo, e la sua verifica successiva, lo rinforzano nell’apprendimento ac-
quisito. Inoltre, la discussione aperta dei temi trattati permette alle persone di trasporre
i concetti nella realtà esterna e, viceversa, di portare in aula e di mettere in comune le
esperienze maturate in altre situazioni.
I comportamenti dei docenti atti a favorire lo sviluppo dei partecipanti rappresen-
tano il naturale seguito e complemento dell’attività di trasmissione dei contenuti, in
quanto consentono di alleggerire la teoria e, soprattutto, di «far crescere» la conoscenza
211
disciplinare. Un uso troppo scarso di questi comportamenti ingenera nel gruppo un forte
senso di «peso» da eccesso di teorizzazioni. Viceversa un loro uso eccessivo comporta
un senso di stanchezza, di dispersione e di perdita di tempo.
Nella categoria del «dare il feedback cognitivo» rientrano le informazioni date dal
docente all’allievo sulla qualità delle sue prestazioni, atte cioè ad approvare o disappro-
vare in modo specifico l’operato degli studenti: ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che il
feedback è condizione necessaria per qualsiasi processo di apprendimento.
Naturalmente il feedback è spesso intrinseco, è cioè ottenibile dal discente in modo
autonomo verificando il successo ottenuto nel compiere una certa esercitazione o nel
risolvere determinati problemi.
In particolare, il feedback positivo si è rivelato come un potente acceleratore sia
dell’apprendimento in sé, sia del livello generale di partecipazione, di motivazione o di
disponibilità. Sfortunatamente, l’impiego di questa modalità è nella nostra cultura poco
diffuso con conseguenze che possono essere negative: la mancanza di rinforzi positivi,
infatti, può sviluppare un clima di incertezza, di difesa, di paura di sbagliare, di rinuncia.
Se non si utilizza questa funzione, e non si mostra alcuna reazione dopo che un al-
lievo ha svolto un’attività, all’inizio ci sarà forse più impegno da parte sua nella speranza
magari di ottenere un’approvazione, ma prima o poi è possibile che insorga l’incertezza
(«avrò fatto bene?») con il rischio di avere una perdita di iniziativa e di entusiasmo. L’u-
tilizzo del feedback positivo permette invece di cogliere e far partecipe l’allievo dei suoi
comportamenti migliori.
Anche il feedback negativo è importante ai fini dell’apprendimento perché consente
allo studente di misurare la distanza tra la sua prestazione e quella ottimale. Ma esso
può essere dato solo all’interno di un clima generale di affettività positiva e solo a patto
che sia seguito da un reale incoraggiamento verso la soluzione giusta.
In generale, perché i feedback, sia positivi sia negativi, possano realmente svolgere la
loro funzione di orientamento comportamentale, occorre che siano:
–– relativi al fatto e non alla persona, altrimenti si rischia di scatenare moti di invidia
da parte degli altri allievi e la nascita di situazioni competitive (nel caso di feedback
positivi) o di deprimere e squalificare il partecipante (nel caso di quelli negativi);
–– immediati, giacché se troppo dilazionati perdono la propria efficacia in quanto risul-
tano psicologicamente scollegati e distanti dalle azioni cui si riferiscono;
–– sinceri: ogni venatura di falsità percepita dai partecipanti suona come squalifica del
gruppo e mina la credibilità del docente.
A seconda dello stile adottato dal docente nell’emissione di feedback positivi e nega-
tivi, è possibile ipotizzare quattro diverse situazioni d’aula:
–– situazione di smarrimento, dovuta all’eccessiva carenza di segnali da parte dei do-
cente, sia positivi sia negativi: i partecipanti non capiscono quanto di giusto e di sba-
gliato vi sia nel loro comportamento e non riescono perciò ad orientarsi;
–– situazione di incoraggiamento, dovuta ad una forte prevalenza di feedback positivi
su quelli negativi: il gruppo allora si sente molto gratificato dei risultati raggiunti e
quindi tende a galvanizzarsi sempre di più; il rischio è che un eccesso in questa dire-
zione da parte del docente può far sorgere il sospetto di falsità;
212
–– situazione punitiva, dovuta ad un eccesso di feedback negativi: il gruppo si sente
costantemente punito e tende quindi a deprimere il proprio livello di attività;
–– situazione ideale, caratterizzata da molti feedback sia negativi sia positivi; in questo
caso vi è solo il rischio di una percezione di eccessiva direttività del docente che,
invece di dare al gruppo gli strumenti per autovalutarsi, distribuisce personalmente
dosi massicce di premi e punizioni verbali.
Nella categoria «creare un clima di affettività» rientrano le attività che hanno lo sco-
po preciso di creare un clima di fiducia e di serenità, a prescindere dalle capacità di-
mostrate dagli allievi; il docente esprime la sua stima e la sua convinzione nel fatto che
ognuno possiede delle qualità e che facendo leva su questa si può ottenere interesse ed
impegno verso la materia di insegnamento.
Si tratta di azioni atte a:
–– lodare, riconoscere il merito indipendentemente dall’apprezzamento del contenuto
specifico delle risposte;
–– mostrare sollecitudine ed interesse;
–– incoraggiare;
–– divertire;
–– mostrare entusiasmo verso l’attività che si sta svolgendo.
Utilizzando questa funzione, si raggiunge l’obiettivo di esprimere l’accettazione glo-
bale della persona e del gruppo lasciandosi poi la libertà di riconoscere come positive o
negative le singole azioni espresse dagli allievi. È questa una stima di base, che potrem-
mo definire «incondizionata», che permette allo studente di accettare con disponibilità
le critiche o le osservazioni su quello che fa, senza per questo temere di perdere la fidu-
cia nel suo insegnante (e, indirettamente, di tutti gli altri partecipanti).
Salvo rarissime eccezioni, anche elevate quantità di comportamenti di affettività po-
sitiva sono sempre molto utili nell’apprendimento. Ma, accanto ai comportamenti che
evocano affettività positiva, ne esistono molti altri che, viceversa, ingenerano nel gruppo
sentimenti di affettività negativa. Anche in questo caso, come in quello precedente, ci si
occupa della relazione che si instaura, dal punto di vista emotivo, fra docente ed allievi
indipendentemente dall’argomento di formazione o dalle attività di apprendimento.
Si tratta di azioni atte a:
–– criticare, accusare, ironizzare;
–– minacciare;
–– squalificare in via preventiva;
–– tenere un atteggiamento cinico e di sfiducia sulle possibilità del gruppo;
–– mostrare noia e fastidio verso la situazione nel suo complesso;
–– le iniziative delle persone, inoltre, non vengono prese in considerazione nemmeno
come prove o tentativi, ma scoraggiate od umiliate; si tende a passivizzare gli allievi
ed a negarne il valore contribuendo a cristallizzare una sensazione di incapacità ed
inadeguatezza spesso paralizzante l’apprendimento.
I comportamenti descritti possono essere considerati dei veri e propri attacchi al cli-
ma in cui si svolge il processo formativo e come tali sono sempre negativi: alcuni susci-
tano paura, altri atteggiamenti stereotipati o compiacenti, altri ancora aperta ribellione.
213
La reazione da parte degli allievi è comunque difensiva e l’energia finisce per essere
distolta dall’oggetto dell’apprendimento per essere convogliati in una contesa dove i poli
sono probabilmente il bisogno di dimostrare il proprio potere (di giudizio, di azione, di
valutazione) e l’esigenza di non farsi cogliere in situazioni tali da suscitare la reazione
dell’insegnante.
214
medesima efficacia; anzi, molti di essi giocano un ruolo inibente nei confronti dell’ap-
prendimento mentre altri, viceversa, sono fattori facilitanti.
Un primo tentativo di classificazione degli stili di conduzione prende in considerazio-
ne l’aspetto più appariscente del comportamento complessivo del docente, quello che
per intensità e frequenza di attuazione caratterizza la docenza nel suo complesso. Ne ri-
sulta una classificazione sui seguenti quattro parametri, ognuno dei quali può assumere
varie gradualità tra due polarità estreme, inibente la prima, facilitante la seconda:
–– modalità di affermazione del docente: potere o competenza
–– modalità di mettersi in rapporto con i discenti: distanza o vicinanza;
–– modalità di espressione dei feedback: valutazione o orientamento all’apprendimen-
to;
–– modalità di gestione degli aspetti operativi: efficienza o efficacia.
Prima però di passare ad esaminare il significato di ciascuno dei parametri di analisi
proposti, è necessaria una precisazioni. Va rilevato che il medesimo stile di conduzione
dell’aula può, in qualche misura, risultare inibente o facilitante per l’apprendimento an-
che in funzione della particolare cultura di appartenenza dei partecipanti. È molto pro-
babile in altre parole, che il medesimo comportamento del docente venga interpretato
in modo differente a seconda del bagaglio culturale degli studenti. Tuttavia sul piano
pratico si può ipotizzare che almeno per certe tipologie comportamentali estreme del
docente, è altamente probabile che la reazione degli studenti sia alquanto uniforme. E
nelle pagine successive si esamineranno solo comportamenti di questo tipo.
215
Questi comportamenti inibiscono l’apprendimento perché tendono a passivizzare gli
studenti, a ferirli a farli sentire ignoranti, o sbagliati, o comunque poco importanti. La re-
azione può essere o depressiva o più schiettamente polemica e reattiva, ma in entrambi
i casi inserisce colorazioni emotive forti e fastidiose.
Le energie si spostano dai contenuti della materia in esame alle modalità relazionali,
con conseguente perdita di efficacia. Senza poi parlare di quei casi estremi, ma non ra-
rissimi, in cui una parte del gruppo inizia ad esplicitare in modo aperto ed aggressivo la
propria reazione allo stile del docente, naturalmente però cogliendo lo spunto da alcuni
contenuti esposti.
In generale si può dire che già evitare i comportamenti sopra richiamati, costituisce
spesso un elemento vincente in vista del buon clima complessivo, tuttavia è vero che
ogni docente deve avere un qualche modo per suffragare e supportare la legittimità del-
le proprie tesi teoriche, altrimenti è poco probabile che l’aula gli conceda quel minimo di
credibilità che è invece necessario per poter insegnare.
Ma il modo per ottenerla dovrebbe essere per così dire «interno» alla docenza e non
«esterno»: dovrebbe cioè essere ricavabile dalle cose che si dicono e non dalla sottoline-
atura che il docente fa circa la sua importanza o la sua competenza. Quindi i comporta-
menti facilitanti sono quelli che relativizzano la docenza, che dicono senza imporre, che
espongono senza inutili sottolineature e forzature.
E allora il fatto di avere molti anni di esperienza può essere giocato dicendo che «Ini-
zialmente pensavo che..., ma negli ultimi anni mi sono invece convinto che...», oppure
può non essere giocato affatto se non nella presentazione iniziale.
Il polo «competenza» è anche il risultato di una gamma di comportamenti che posso-
no essere definiti come disponibilità a discutere le proprie tesi, il che significa in pratica
lasciar finire l’esposizione della sua personale tesi al partecipante dissenziente, senza
manifestare squalifiche non verbali mentre parla, rispondere senza toni polemici o ironi-
ci e senza inserire elementi esterni di sostegno alla propria tesi, ma limitarsi agli aspetti
oggettivi di contenuto, coinvolgere anche il resto del gruppo nel dibattito, non però per
mettere in minoranza il dissenziente, ma per trovare una soluzione condivisibile dai più.
216
quella domanda o quell’osservazione sono indicative di stupidità o disattenzione;
–– fare dell’ironia e del sarcasmo contro il gruppo o contro idee sostenute da alcuni
partecipanti;
–– mantenere un atteggiamento rigido e formale ben al di là di quanto la situazione nel
suo insieme richiederebbe. In questa tipologia rientrano anche alcuni vezzi verbali
quali «come lei m’insegna...», oppure «loro certamente sapranno...»; rientrano pure
alcune modalità di gestione della disciplina d’aula molto autoritarie o violente come
ad esempio richiamare nominativamente le persone che stanno parlottando con fra-
si del tipo «Rossi, ha forse qualcosa da dire?» o, ancora peggio, inserendo il richiamo
nel corpo di una frase: «... ed è per questo che ritengo questa teoria— vero Rossi? —
particolarmente interessante...»;
–– parlare guardando in continuazione non le persone, ma punti inanimati: in alto, più
o meno sopra la testa dei partecipanti, oppure lo schermo, fuori dalla finestra ecc.
Anche in questo caso, come per il parametro precedente l’elenco è solo esemplifica-
tivo dei comportamenti più frequenti che ingenerano nell’aula un clima di freddezza e di
affettività negativa che ostacola l’apprendimento perché inserisce elementi di disturbo
emozionale che spostano l’attenzione dai contenuti al processo.
A questo punto è necessaria una precisazione: comportamenti come quelli sopra
descritti sono spesso solo modi automatici di fare del docente e non indicano affatto
reali sentimenti di distacco e di squalifica verso il gruppo, giacché sono ormai abitudini
comportamentali, magari dovute alle particolari situazioni in cui il docente ha maturato
le prime esperienze. Malauguratamente, anche ammesso che il docente sia sempre at-
tore involontario, l’impatto sul gruppo è comunque negativo.
L’estremo opposto della scala è la vicinanza, ancora una volta definibile soprattutto
come assenza dei comportamenti sopra elencati.
Più in particolare, favoriscono la creazione di un clima di vicinanza comportamenti
quali:
–– mostrare un po’ d’entusiasmo e di interesse per la materia;
–– rispondere alle domande e, in generale, discutere con le persone rispettando la loro
opinione anche se qualche volta ciò risulta difficile non tanto a causa dell’opinione
espressa dal tal partecipante, che magari di per sé non è poi così lontana dalla tesi
del docente, quanto dalla prevedibilità che alcune reazioni hanno per il docente che
da un po’di anni gestisce corsi sul medesimo argomento;
–– avere linguaggio e forme verbali non elaborate, ma tratte dal linguaggio quotidiano;
–– guardare in faccia le persone.
217
termine delle esercitazioni ad esempio: «il sottogruppo B indubbiamente ha lavorato
molto meglio...», oppure «Come sempre c’è qualcuno che ha seguito con più atten-
zione e quindi riesce a...»;
–– fare domande dirette a specifiche persone;
–– in generale dare solo o prevalentemente feedback negativi, sottolineando cioè con
lunghe disquisizioni gli errori commessi (per esempio nello svolgimento di una eser-
citazione) e sorvolando viceversa sulle cose fatte correttamente.
L’insieme di questi atteggiamenti comporta facilmente alcune conseguenze: ad
esempio la classe entra in un atteggiamento guardingo perché il docente è un erogatore
di massicce quantità di punizioni o disconferme.
L’altro estremo del parametro è definibile come orientamento all’apprendimento
e consiste in una gamma di comportamenti tesi a facilitare la libera partecipazione
individuale del gruppo, e cioè: dare feedback precisi, relativi ai contenuti, immediati
e sinceri; equilibrare inoltre l’entità dei feedback negativi e di quelli positivi, e lasciar
infine intervenire le persone in modo libero, senza costringere il singolo partecipante
a parlare.
218
costituire i parametri essenziali ed ineludibili per la costruzione della lezione con parti-
colare riferimento alla scuola superiore di secondo grado.
Il riferimento principale è contenuto nella programmazione modulare che determina
i parametri per la costruzione dell’unità didattica. Quella programmazione che discende
dall’attuazione dell’autonomia didattica e caratterizzazione dei curricoli che si rinviene
nel Piano dell’offerta Formativa dei singoli istituti.
Il termine modulo nell’ambito didattico viene utilizzato di recente per indicare un
insieme di esperienze di apprendimento (costruite generalmente in forma di unità didat-
tica), riferite ad una disciplina o ad alcune discipline di studio, con l’indicazione precisa
degli obiettivi da raggiungere, dei prerequisiti e della durata complessiva di svolgimento,
i contenuti e le modalità di verifica. La caratteristica di un modulo è la possibilità di com-
binarlo variamente con altri, in relazione con le competenze o qualificazioni previste. La
realizzazione di ogni modulo avviene secondo una procedura ritenuta ormai indispensa-
bile che si chiama algoritmo didattico la cui sequenza risulta in grandi linee:
a) assicurazione dei prerequisiti (con pre-test/analisi della situazione/prove d’ingresso);
b) realizzazione;
c) verifica (post-test) il cui risultato determina la scelta didattica successiva.
L’unità didattica costituisce l’unità minima di programmazione, in quanto finalizzata
al perseguimento di un obiettivo formativo specifico. L’unità didattica può essere con-
siderata a tutti gli effetti il nome contemporaneo della lezione che però si connota for-
temente a un senso di multidisciplinarietà. In tal senso, ad esempio, costituiscono una
unità didattica le specifiche attività programmate per far acquisire agli alunni la capacità
di calcolare le aree dei rettangoli, così come un’altra unità didattica potrebbe riguardare
le attività per far acquisire la capacità di calcolare le aree dei triangoli, aree dei trapezi,
aree dei cerchi ecc. Rimanendo nell’esempio, tutte queste unità didattiche potrebbero
essere considerate come costitutive di un modulo didattico finalizzato all’acquisizione
della capacità di calcolare le aree delle figure piane.
Il modulo didattico assume così una grande portata innovativa sul piano educativo e
didattico, in quanto consente di uscire dal frammentarismo didattico, che non di rado ca-
ratterizza le attività educative e didattiche svolte quotidianamente nelle classi, nelle qua-
li le attività spesso si susseguono senza una coerenza logica. Il modulo didattico, invece,
mirato al perseguimento di un obiettivo di medio termine, assicura l’unitarietà dei singoli
interventi didattici (unità didattiche per l’appunto) dei docenti delle singole discipline ov-
vero, auspicabilmente, dei docenti di discipline diverse, impegnati nel perseguimento di
obiettivi interdisciplinari. In tale prospettiva, infatti, si può pensare a una organizzazione
modulare della didattica che assicuri l’unitarietà educativa e didattica all’interno delle
stesse discipline e tra le diverse discipline. Nel passato, quando l’attenzione era rivolta ai
saperi disciplinari così come risultavano sistemati nei manuali scolastici, le singole lezioni
si susseguivano secondo una logica analitica che molto spesso risultava priva di senso
per gli alunni. Le diverse discipline si svolgevano separatamente, anche quando i colle-
gamenti erano estremamente forti. Si pensi, ad esempio, alla nascita di Gesù presentata
dal docente di Religione come evento religioso, dal docente di Storia come evento stori-
co, dal docente di Lingua italiana attraverso le poesie.
219
In una scuola che si pone in una preminente prospettiva formativa, nel rispetto della
concezione integrata della personalità, non si può non cercare in tutti i modi di far conver-
gere i diversi interventi educativi e didattici al perseguimento di obiettivi formativi unitari,
ricercando tutti i possibili collegamenti fra le discipline e le singole unità didattiche. In
tale prospettiva, si pongono gli obiettivi formativi trasversali, che sono comuni a diverse
discipline (interdisciplinarità), come ad esempio il concetto di misura che viene trattato
in Matematica e nelle Scienze, dall’altra l’esigenza di collegare i diversi obiettivi formativi
in quanto mirati alla comprensione di uno stesso fenomeno da diverse angolazioni disci-
plinari (multidisciplinarità). Pertanto, la Programmazione didattica annuale può risultare
articolata in moduli didattici relativi alle singole discipline (moduli didattici disciplinari) e
in moduli didattici relativi alle diverse discipline (moduli didattici interdisciplinari). Al ri-
guardo, è opportuno evidenziare che la interdisciplinarità può essere intesa, sia nel senso
della multipluridisciplinarità, che si riferisce al perseguimento di obiettivi formativi che
richiedono il concorso di diverse discipline, sia nel senso della transdisciplinarità, che si
riferisce al perseguimento di obiettivi formativi trasversali, comuni a più discipline.
Interdisciplinarità
220
Il percorso didattico è rappresentato quindi dall’insieme delle strategie di insegna-
mento/apprendimento che vengono previste ai fini del perseguimento degli obiettivi
formativi.
Le unità didattiche
221
bono individuare, sia le conoscenze, le abilità e le capacità, sia le motivazioni specifiche,
che gli alunni possiedono in riferimento agli obiettivi da perseguire.
In effetti, l’elaborazione delle unità didattiche deve realizzare un opportuno equili-
brio tra la struttura logica delle discipline, che richiede il rispetto della progressione degli
obiettivi e dei contenuti, e le caratteristiche evolutive degli alunni, le quali non vanno
misconosciute, ma sollecitate, stimolate, promosse, nella prospettiva del raggiungimen-
to di più avanzati livelli di sviluppo e di apprendimento.
Ove dovessero accertare carenze nello sviluppo e mancato possesso dei prerequisiti,
gli insegnanti debbono programmare ed attuare appositi interventi compensativi e di
recupero, al fine di assicurarne comunque il possesso da parte di tutti gli alunni all’inizio
delle attività di apprendimento relativi ai singoli obiettivi programmati.
222
quali conseguire gli obiettivi formativi. La previsione degli itinerari didattici non può evi-
dentemente prescindere dall’individuazione e dalla indicazione degli strumenti didattici,
dei materiali comuni e strutturati, delle apparecchiature, delle tecnologie anche multi-
mediali, di cui gli alunni debbono potersi avvalere nei diversi momenti delle loro attività
apprenditive.
Nel momento in cui alla lezione espositiva, largamente fondata sulla parola orale e
scritta dell’insegnante, con qualche generosa concessione alle illustrazioni dei cartelloni
e degli audiovisivi, si sostituisce la didattica costruttivistica e l’operatività degli alunni, si
pone in modo pressante un cambiamento di prospettiva.
Nelle unità didattiche vanno precisati quindi i percorsi di apprendimento degli alunni,
indicando le tecnologie educative e didattiche da utilizzare nelle singole fasi della moti-
vazione, della ricerca vera e propria, del consolidamento, dell’approfondimento e dell’ar-
ricchimento, relativamente ai singoli alunni o ai gruppi di alunni costituiti sulla base dei
loro livelli di sviluppo o di apprendimento. Dei loro stili e dei loro ritmi di apprendimento.
Per ciascun gruppo di alunni vanno indicati le tecnologie educative e didattiche, e le mo-
dalità di reperimento e soprattutto le modalità di utilizzazione.
223
Caratteristiche del modulo didattico/unità didattica
Titolo del Modulo indicare il nome generico dell’argomento che si intende trat-
tare. Il modulo comprende le singole unità didattiche che rap-
presento micro argomenti in cui si suddivide il modulo
Contestualizzazione indicazione dell’ordine di studi e a quale classe il modulo è
della unità didattica rivolto
Percorso didattico elenco dei contenuti e successione propedeutica degli argo-
menti. Indicazione del numero e del contenuto delle singole
unità didattiche
Obiettivi Formativi gli obiettivi formativi hanno un carattere prevalentemente
ma non esclusivamente disciplinare. È da sottolineare che
questa tipologia di obiettivi deve essere formulata in riferi-
mento alle indicazioni ministeriali per l’individuazione dei
contenuti curriculari e valevoli nell’ambito della program-
mazione disciplinare. Per esempio nella progettazione degli
obiettivi formativi di una disciplina appartenente al curricolo
di un Liceo bisogna fare riferimento all’B del D.P.R. n. 89/2010
Prerequisiti indicare le conoscenze e competenze pregresse che costitui-
scono i prerequisiti del percorso e la modalità con cui si pro-
cede alla rilevazione
Obiettivi specifici indicare in termini di padronanza (conoscenza e comprensio-
di apprendimento ne), di competenza (operativa, lessicale, espressiva, di analisi,
di sintesi, di autonoma produzione, di autonoma valutazione
ecc…) e di comportamento la portata degli obiettivi specifici
si intende raggiungere
Strumenti indicazione degli strumenti: contenuti multimediali, testi,
fonti documentarie, saggi critici, repertori, pubblicistica, stru-
menti di sperimentazione laboratoriali ecc…
Metodologia didattica assetto didattico e uso delle metodologie utilizzate
Spazi indicazione dei luoghi di svolgimento del modulo (classe, visi-
te guidate esterne, laboratori, aula multimediale)
Tempi di realizzazione indicare il tempo secondo l’importanza che si attribuisce al
del percorso conseguimento dei suoi obiettivi, nel contesto della program-
mazione disciplinare
Interdisciplinarietà verifica dei collegamenti interdisciplinari (indicare la relazio-
ne con ambiti disciplinari affini e le modalità con cui valoriz-
zare e realizzare lo spunto di interdisciplinarietà individuata)
segue
224
Caratteristiche del modulo didattico/unità didattica
Spunti di attualità indicare gli argomenti che possano dare un spinta all’attua-
lizzazione degli argomenti trattati sollecitando l’alunno alla
ricerca azione
Verifica e valutazione indicazione degli strumenti di verifica che si reputano idonei
in funzione degli obiettivi didattici sia nel breve che medio
periodo per la valutazione ci si limita a esplicitare la valenza
docimologica delle singole prove di verifica
Eventuali percorsi indicare nel caso le prove di verifica indicassero scarse per-
di recupero formance in alcuni allievi le modalità per sostenere l’allievo e
migliorare il suo apprendimento
225
Appendice
Esempio del modulo didattico/unità
TITOLO IMPRENDITORE ED IMPRESA
CONTESTO Classe IV di un Istituto Tecnico Commerciale
Il modulo avente ad oggetto lo studio e la analisi della figura giuri-
dica dell’imprenditore e dell’impresa.
Il modulo si compone di cinque unità didattiche (U.D.).
U.D.1: L’Imprenditore
La prima UD è dedicata all’imprenditore ed in particolare alla de-
finizione di imprenditore secondo l’art. 2082 del c.c., passando poi
ad analizzare le varie categorie di imprenditori (imprenditore agri-
colo, commerciale con il relativo statuto). In questa prima fase ver-
rà analizzata anche l’impresa ed in particolare l’impresa familiare.
U.D.2: L’Azienda
PERCORSO DIDATTICO La seconda UD è dedicata all’Azienda, partendo appunto dalla no-
zione di azienda al trasferimento della stessa.
U.D.3: Segni distintivi dell’azienda
La terza UD ha per oggetto i Segni distintivi dell’azienda: ditta –
insegna - marchio.
U.D.4: Opere dell’ingegno ed invenzioni industriali
La quarta UD riguarda le opere d’ingegno e le invenzioni industriali
e quindi diritto d’autore e brevetto per invenzioni industriali.
U.D.5: Concorrenza
La quinta UD ha per oggetto la concorrenza e quindi la libertà di
iniziativa economica, il regime di monopolio le limitazioni alla li-
bertà di concorrenza con le varie normative antitrust.
Il diritto commerciale è il settore del diritto privato avente ad og-
getto la disciplina giuridica dell’impresa.
Il fatto che il diritto commerciale sia in sostanza il diritto dell’im-
presa fa sì che esso si occupi, in primo luogo, di individuare e de-
finire il soggetto che esercita l’attività d’impresa, cioè l’imprendi-
tore, e di classificarlo secondo il tipo e le dimensioni dell’attività
economica svolta.
Finalità primaria è quella di far comprendere agli alunni:
OBIETTIVI FORMATIVI
- il ruolo delle norme giuridiche nel contesto del sistema informa-
tivo aziendale: in particolare, analizzando i vari istituti del diritto
commerciale e gli adempimenti da essi previsti, diretti non solo ad
assicurare la legalità dell’attività aziendale;
- il modo ottimale per individuare, analizzare, giustificare le tipolo-
gie di imprese commerciali individuali e collettive disciplinate nel
nostro ordinamento giuridico, coglierne analogie e differenze in
ordine a natura, struttura, funzione;
segue
226
- soggetti del diritto;
- capacità giuridica e capacità di agire;
- fonti del diritto commerciale;
PREREQUISITI - persone fisiche e persone giuridiche.
Verifica iniziale: per rilevare il possesso di tali prerequisiti verranno
effettuati test in forma di prove strutturate (del tipo V/F; a risposta
multipla)
SAPERE:
Nel corso delle lezioni gli alunni impareranno:
• la nozione di imprenditore e d’impresa;
• le categorie d’imprenditore;
• lo statuto dell’imprenditore;
• gli ausiliari dell’imprenditore;
• la nozione d’azienda;
• il trasferimento d’azienda;
• i segni distintivi: ditta, marchio, brevetto;
• le opere dell’ingegno e le invenzioni industriali;
• la libertà d’iniziativa economica e le relative limitazioni;
• la normativa antitrust;
• gli atti di concorrenza sleale;
• la tutela del consumatore e relativa riforma.
SAPER FARE:
• saper individuare e definire il soggetto che esercita l’attività d’im-
presa;
OBIETTIVI SPECIFICI
• saper classificare l’imprenditore secondo il tipo e le dimensioni
DI APPRENDIMENTO
dell’attività economica svolta;
• saper analizzare l’importanza dello statuto dell’imprenditore;
• a riconoscere i rappresentanti dell’imprenditore commerciale;
• saper analizzare l’azienda, i beni che la compongono;
• saper analizzare gli effetti del trasferimento d’azienda;
• saper riconoscere i segni distintivi dell’azienda;
• sapere l’importanza valutare l’importanza del diritto d’autore,
dell’invenzione industriale e delle relative tutele;
• saper individuare i casi di concorrenza sleale e saper spiegare i
metodi di tutela;
• acquisire padronanza della materia in modo da poter esprimere
la propria opinione nelle discussioni di gruppo.
SAPER ESSERE:
Verranno proposti ai ragazzi, nell’ambito del seguente modulo,
quesiti e test volti a stimolare la loro curiosità e concentrazione, al
fine di indurli a proporre soluzioni alle questioni giuridico-econo-
miche proposte in aula.
segue
227
• Testo scolastico adottato;
• Codice civile;
STRUMENTI
• Materiale didattico quali schemi, tabelle ed appunti;
• Supporti multimediali
Le metodologie utilizzate durante il percorso sono:
• Lezione frontale con esposizione teorica degli argomenti delle
unità didattica;
METODOLOGIA • Analisi e risoluzione di un caso pratico (problem solving)
DIDATTICA • Lavoro di gruppo che abbia ad oggetto la riproduzione di esempi
scritti di contratti tipici;
• Brain storming per stimolare la partecipazione della classe alla
definizione dei concetti giuridici
- Aula
SPAZI
- Laboratorio informatico
TEMPI La scansione temporale prevista è di 5 ore comprese le verifiche
Verifiche iniziali: con domande strutturate per individuare la pre-
senza dei prerequisiti;
Verifiche intermedie: prove semistrutturate al fine di valutare la
VERIFICHE capacità elaborativi degli studenti;
Verifiche finali: al termine del modulo si prevede un colloquio
orale per valutare le conoscenze acquisite e la capacità espositiva
degli alunni;
Lezione interdisciplinare con il docente di economia aziendale per
INTERDISCIPLINARIETÀ lo studio e l’approfondimento degli elementi della compravendita
per l’operatore «impresa»
SPUNTI DI ATTUALITÀ Disciplina degli acquisti on-line
La strutturazione di corsi di recupero deve rappresentare un siste-
ma regolare e non episodico di supporto all’alunno in difficoltà.
EVENTUALI PERCORSI
Pertanto potranno essere attuati con diverse modalità:
DI RECUPERO
- Lezioni frontali facilitate;
- Appunti e schede esemplificative.
La codocenza
228
Le attività delle diverse coppie di docenti sono programmate in modo che entrambi sia-
no coinvolti nella strategia.
Esiste come uno schema di riferimento che è da guida nella organizzazione delle discipli-
ne che possono facilmente integrarsi ed essere oggetto di una codocenza. Lo schema è
solo un possibile riferimento ma le lezioni multidisciplinari in codocenza possono essere
formulate in relazione alle specificità del curricolo e del carrettiere innovativo del consi-
glio di classe.
229
Capitolo 6
Uso delle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione nella didattica
231
Gli stimoli che offrono il pc e la rete sono svariati e inoltre coinvolgono più canali sen-
soriali che certamente favoriscono l’apprendimento. Le opportunità offerte dalla tecno-
logia sono da considerarsi non soltanto in relazione allo sviluppo di specifiche conoscen-
ze o abilità, ma a supporto dell’intero processo di insegnamento/apprendimento per
l’acquisizione di competenze complesse come la risoluzione dei problemi, lo sviluppo di
congetture e dimostrazioni. L’uso delle TIC ed il loro utilizzo applicato alla didattica offre
la possibilità ai nativi digitali di confrontarsi con i contenuti curriculari delle varie discipli-
ne in maniera innovativa e coinvolgente, utilizzando un linguaggio condiviso, comune. Il
web diventa il presidio di un apprendimento in rete: un ambiente in cui si trovano sti-
moli e potenzialità molto forti; un ambiente in cui il docente ha la possibilità di impostare
l’azione didattica nello stile di un linguaggio usato dai digital natives; un ambiente che
diventa luogo di insegnamento e di apprendimento; un ambiente libero da confini nozio-
nistici. In un contesto scolastico in continuo cambiamento, l’introduzione delle tecnolo-
gie nella didattica non può più essere negata o ignorata, in quanto l’utilizzo di tali risorse
offre agli alunni nuove opportunità di partecipare attivamente al processo educativo
all’interno di comunità virtuali che apprendono collaborativamente. In questo ambiente
si impara in molti modi diversi contemporaneamente: osservando cosa fanno gli altri e
come lo fanno, facendo da soli o sperimentando, chiedendo aiuto o consigli. L’alunno
partecipa al processo dell’organizzazione delle informazioni, della costruzione, della im-
mensa rete che costituisce la conoscenza, incrementando e favorendo il dialogo con gli
altri. Oggi, utilizzare i nuovi media per un apprendimento proficuo significa servirsi di
Internet e dei nuovi scenari che esso ci offre per rendere possibile una didattica collabo-
rativa di stampo costruttivista. In questo modo insegnare ed apprendere online significa
riprodurre, anche se in un ambiente virtuale, gli obiettivi prefissati da un approccio me-
todologico di tipo comunicativo. E, visto che la navigazione e la comunicazione online
diventano sempre più frequenti tra gli studenti, perché non veicolare l’insegnamento in
ambienti di apprendimento dove il confronto e la condivisione permetteranno di mette-
re insieme abilità e competenze maturate durante il percorso lavorativo? Fare didattica
in un ambiente virtuale significa, anche, coniugare l’aspetto ludico con quello formativo
attraverso la simulazione intesa, genericamente, come rappresentazione interattiva del-
la realtà basata sulla costruzione di un modello di un sistema del quale si vuole compren-
dere il funzionamento. Questo approccio didattico migliora la capacità degli studenti di
applicare conoscenza astratta collocando l’educazione in contesti virtuali autentici, con-
sentendo loro di svolgere compiti che potrebbero essere difficili o impossibili da vivere
nel mondo reale. Gli studenti pensano e apprendono in ambienti che sono veloci, mul-
timediali, multimodali, interattivi, digitali. Sperimentare quanto il virtuale può rappre-
sentare il reale in contesti didattici significa anche favorire le diverse intelligenze degli
alunni. L’importanza della tecnologia come fattore abilitante per un cambio di metodo
di lavoro e di impostazione complessiva del processo di apprendimento è stata confer-
mata dalla recente pubblicazione dei risultati del primo monitoraggio delle scuole della
rete di ImparaDigitale a cura del prof. Ferdinando Pennarola e del gruppo di ricerca TEL
(Technology Enhanced Learning) dell’Università Bocconi di Milano (http://www.impara-
digitale.it/wp-content/uploads/2014/04/Imparadigitale-monitoraggio-2013.pptx.pdf).
232
Dalla ricerca emerge che gli insegnanti percepiscono la tecnologia come ricca di poten-
zialità, ma la vera variabile che fa la differenza è la preparazione dei docenti e il loro ruolo
svolto nell’incoraggiamento e nel supporto agli studenti in tutte le fasi del processo di
apprendimento. Il ruolo di mediazione svolto dai docenti è importante e a questo pro-
posito le tecnologie sono fattori di amplificazione di una impostazione didattica di tipo
costruttivista, che coinvolge il discente nel processo di assimilazione delle conoscenze.
6.2 E-learning
L’e-learning pur essendo una modalità di insegnamento prevalentemente adoperata
nell’insegnamento agli adulti piuttosto che agli studenti curricolari ha offerto degli ottimi
spunti sul ruolo, sulle competenze e sulle nuove professionalità nell’ambito educativo-
pedagogico che vale la pena di analizzare. Inoltre, le tipologie didattiche di e-learning,
evidenziano criteri e scelte pedagogiche differenziate che spesso emergono nella funzio-
ne e peso del tutor.
La più diffusa tipologia di e-learning è quella ricettiva, sequenziale e a «scoperta gui-
data», finalizzata all’acquisizione di contenuti i quali, secondo il modello comportamen-
tista, sono unità predisposte in sequenze. In questa tipologia di FAD, l’ambiente virtuale
di apprendimento viene strutturato in:
–– moduli che hanno come obiettivo le conoscenze di base;
–– esercizi di feedback correttivo;
–– prescrizioni procedurali.
La funzione educativa è svolta prevalentemente da un tutor che interagisce con i
partecipanti in maniera sincrona (interazione mittente-ricevente) o asincrona.
L’altra tipologia di e-learning è quella a «scoperta in collaborazione» finalizzata all’ac-
quisizione di competenze e abilità piuttosto che all’acquisizione di conoscenze. È la ti-
pologia wrap around ovvero «avvolgente» una definizione che comprende l’idea della
collaborazione. Nella fase iniziale il tutor presenta le prescrizioni procedurali e condivide
le varie piste di lavoro; poi, progressivamente, il suo ruolo diventa sempre meno cen-
trale pur aggiungendo periodicamente qualcosa per incentivare la motivazione o per
reindirizzare il processo nella classe virtuale. I discenti possono confrontarsi tra pari e
con il «facilitatore», il quale è il «mediatore dei saperi», in grado di fornire agli alunni il
massimo numero di elementi e strumenti utili per costruire i concetti, per orientarli nelle
domande, definire le priorità, autovalutarsi, riconoscere le difficoltà e gli errori.
A parte l’esperto disciplinare, l’e-tutor è il protagonista dell’e-learning: un profes-
sionista della comunicazione telematica animatore delle video-conferenze, chat, web
forum, mailing list. Questa figura non si occupa di preparare i materiali didattici, ma di
gestirli interagendo con la comunità virtuale. Il compito del tutor è quello di facilitare la
comunicazione e l’apprendimento, animando e moderando la classe virtuale. Nel suo
profilo professionale vi sono competenze in campo psico-sociale e dell’apprendimento.
La figura dell’esperto dei contenuti e quella del tutor rimandano agli studi pedagogici
fenomenologici-umanistici di impostazione gardneriana.
L’esperto ha il compito di proporre i contenuti della formazione stabilendo il «clima
233
culturale» del corso, pianifica i tempi, presenta le risorse, gli obiettivi e i compiti in modo
dettagliato affinché gli studenti possano in autonomia essere protagonisti del proprio
apprendimento.
L’insegnante-facilitatore, esperto in strategie dell’apprendimento, che orienta la for-
mazione alimentando la tensione cognitiva degli studenti e valorizza le caratteristiche
dei singoli. Svolge anche l’importante funzione del rinforzo all’apprendimento per gli
studenti in difficoltà. Queste figure nella prassi della didattica a distanza tendono a es-
sere interrelate ma sono soggetti diversi mentre nella didattica frontale questi profili di
competenza dovranno integrarsi nel ruolo del docente.
In conclusione si vuole sottolineare che la FAD consente di superare un’altra barrie-
ra all’istruzione o almeno ridurla grazie alla possibilità di seguire le lezioni in momenti
diversi rispetto a quando sono tenute così che, in alcuni casi, l’istruzione diventa conci-
liabile con un’attività lavorativa. Sebbene a livello teorico l’utilizzo delle tecnologia per la
formazione a distanza sembra essere possibile a qualsiasi livello, ci sembra importante la
tendenza a una loro utilizzazione per l’istruzione secondaria e terziaria.
234
bensì quale sia quella più conforme al tipo d’intelligenza prevalente in questa generazio-
ne. Gli studenti mostrano, in genere, un’accresciuta attitudine a percepire le correlazioni
in modo non sequenziale ma simultaneo, ad apprendere le correlazioni e le intersezioni
logico-spaziali attraverso concetti rappresentati prevalentemente mediante forme ico-
niche ed elaborati in forma analogico-sistemica ed espressi con una pluralità di codici.
Dagli anni settanta in poi gli studiosi della cognitive science e della memoria semantica,
hanno indagato la natura sistemica delle funzioni e dei processi mentali e le caratteri-
stiche dell’intelligenza simultanea valorizzando l’assunto della teoria delle intelligenze
multiple secondo la quale l’insegnante deve assecondare la modalità apprenditiva spe-
cifica dello studente.
Questi studi hanno contribuito a studiare la fisionomia cognitiva degli alunni e posso-
no essere utilizzati per migliorare la didattica. Questi studi hanno evidenziato che diver-
samente dal passato è auspicabile che la didattica non sia concentrare sull’intelligenza
linguistica e su quella logico-matematica. Emerge infatti lo sviluppo del linguaggio ico-
nico tra gli studenti. La teoria del Human information processing mette in connessione
le funzioni dell’apprendimento umano e le procedure tecniche proprie dell’elaboratore
elettronico, e conclude nell’osservazione che solo il cervello umano è capace di opera-
zioni «intenzionali». Questo sarebbe il discrimine importante tra il pensiero umano, che
interpreta i simboli, e quello artificiale, che si limita a manipolarli.
Un altro contributo importante nella comprensione del funzionamento delle TIC nel-
la didattica è data dagli studi sulle proprietà associative del pensiero, posti alla base
delle mappe concettuali sviluppati da D. P. Ausubel. Le funzioni logiche implicate nella
produzione e fruizione delle mappe concettuali (di cui Joseph Novak può reputarsi il
padre) sono certamente una risorsa ottimizzata da quest’ultima generazione di studenti
per correlare i concetti e le conoscenze.
I concetti generali nell’ambito delle mappe sono rappresentati graficamente e colle-
gati gerarchicamente, in ottica sistemica, mediante relazioni e segni specifici.
La mappa concettuale è uno strumento per rappresentare in un grafico le proprie co-
noscenze intorno ad un argomento secondo un principio cognitivo di tipo costruttivista:
ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo all’interno di un contesto. Con l’ausi-
lio delle mappe gli allievi mirano a contribuire alla realizzazione di apprendimenti signifi-
cativi, in quanto si distanziano dalle logiche dell’apprendimento meccanico che si fonda
unicamente sull’acquisizione mnemonica. Le mappe non esauriscono i passaggi logici
evidenziati dalle frecce di collegamento agli argomenti e possono essere ulteriormente
integrate in uno qualunque dei loro molteplici nodi. Questa sintesi sulle caratteristiche
delle mappe concettuali è chiaramente il modello che sta alla base degli ipertesti e della
modalità di apprendimento che si sviluppano con alcune TIC (per esempio Internet).
Quindi l’approccio teorico più adeguato all’inserimento delle TIC risiede nella intelligen-
ze multiple e sullo sviluppo del linguaggio iconico con particolare riferimento alle mappe
concettuali. I docenti devono inoltre rafforzare l’insegnamento nella direzione dello svi-
luppo e valorizzazione di obiettivi trasversali come per esempio:
–– insegnare ad apprendere;
–– insegnare a costruire;
235
–– sollecitare verso lo sviluppo di comportamenti sociali attivi e collaborativi nonché
all’autonomia e al senso di responsabilità.
Gli strumenti multimediali realizzano la sinergia tra gli audiovisivi e gli elettronici
utilizzando piu canali di comunicazione e più codici (elementi linguistici, immagini e
suoni). Gli ipertesti sono testi sia linguistici che iconici, a struttura reticolare e conte-
stualizzante, per di più «non lineare» (dunque, a più direzioni di lettura).
236
come la facilità di accesso alla risorsa, i requisiti minimi hardware e software richiesti per
l’utilizzo, la facilità di utilizzo anche per particolari gruppi di studenti (disabili), prerequi-
siti necessari per l’uso, presenza o meno di un programma dimostrativo, collegamento
a un sito web di supporto al prodotto, disponibilità di approfondimenti e sulla base del
punteggio ottenuto possono ottenere la certificazione di qualità. Non si deve comunque
dimenticare che la qualità di un software, al di là di alcune caratteristiche oggettive,
dipende in modo imprescindibile dall’uso fatto dal fruitore finale e deve tener conto di
aspetti prettamente educativi come ad esempio la coerenza rispetto allo specifico pro-
getto didattico e la rispondenza agli obiettivi formativi individuati, la complementarietà
rispetto agli altri strumenti didattici in uso, il livello di competenze richieste ad insegnanti
e alunni. In rete sono disponibili alcune banche dati di centri di valutazione software,
come quella del CNR o dell’Indire realizzata in collaborazione con il MIUR.
Rispetto a un libro di testo tradizionale che può essere adottato per diversi anni senza
essere cambiato, le peculiarità dei software didattici è che si dovrebbero adattare il più
possibile alle esigenze della classe specifica in modo da sfruttare al massimo le potenzia-
lità dello strumento informatico.
Estremamente utili e versatili nella nuova pratica didattica sono gli ipertesti che
consentono di utilizzare in modo non lineare le conoscenze che, diversamente da un
libro cartaceo, vengono divise in unità informative collegate tra loro attraverso legami. Il
vantaggio principale dell’ipertesto è rappresentato dal fatto che non possiede un unico
ordine di lettura e di apprendimento ma consente molteplici itinerari: ogni lettore può
scegliere il percorso che più gli si adatta e lo stesso lettore, in momenti diversi, può sce-
gliere percorsi diversi. Il vantaggio degli ipertesti nella pratica didattica è rappresentato
dal fatto che il lettore ha un ruolo attivo: non esiste un testo uguale per tutti ma ogni
studente lo crea in base ai propri gusti e alle proprie esigenze. L’ipertesto richieden-
do la partecipazione attiva e avendo una struttura di tipo radiale, in linea con la teoria
costruttivista, risulta uno strumento effettivamente in grado di costruire competenze. I
vantaggi derivanti dall’uso di un ipertesto nella didattica sono collegati alla capacità di
suscitare motivazione degli alunni, alla scoperta del proprio ruolo e al rinforzo continuo
dell’autostima.
Non mancano ovviamente gli aspetti critici nell’utilizzo degli ipertesti. Gli studenti,
soprattutto nelle fasi iniziali, potrebbero perdere di vista l’obiettivo dell’apprendimento,
perdersi in approfondimenti non essenziali, dimenticare il punto di partenza o il link pre-
cedente o trascurare dei nodi concettuali essenziali per l’apprendimento. Non bisogna
mai dimenticare che gli ipertesti, come tutte le TIC, sono strumenti didattici che possono
migliorare la didattica ma non sostituirla. L’insegnante deve quindi rimanere la guida an-
che in questo processo di navigazione tra testi. È importante inoltre che lo studente sia
guidato a utilizzare l’ipertesto sia da solo sia in gruppo con i compagni e che la lettura/
navigazione sia accompagnata da vere e proprie discussioni in modo da evitare il rischio
di riduzione dei rapporti interpersonali. Rispetto ad altre TIC l’ipertesto è, in generale,
un prodotto finito difficilmente modificabile per il quale non sono disponibili molti ag-
giornamenti. Questo aspetto può diventare problematico per alcune discipline in cui i
cambiamenti sono veloci e le scoperte sono talmente innovative da rendere obsoleto il
237
materiale in poco tempo. A questo si deve aggiungere che, anche in settori disciplinari
molto consolidati, un ipertesto può diventare obsoleto molto velocemente (molto pri-
ma di quanto accada a un libro stampato) per effetto del velocissimo cambiamento che
caratterizza oggi i sistemi di comunicazione: la grafica e le modalità di presentazione dei
materiali perdono di attualità in tempi molto brevi e questo può tradursi in maggiori
costi anche a parità di contenuti.
Le nuove tecnologie, grazie ai word processors (Word, Wordpad solo per citarne al-
cuni), possono essere funzionali anche allo sviluppo di una delle abilità cruciali per l’ap-
prendimento: la letto-scrittura. L’utilizzo di questi applicativi può essere adattato alle esi-
genze delle diverse fasce d’età ma è fondamentale che l’insegnante sia completamente
consapevole delle possibilità offerte dallo strumento in modo da evitare di replicare le
proposte didattiche tradizionali e sfruttare appieno le potenzialità della videoscrittura.
Se integrata alla didattica tradizionale, la videoscrittura è utile per l’acquisizione in modo
naturale e intuitivo dei concetti base del codice linguistico, ovvero la direzione e la line-
arità dello scrivere, soprattutto nelle prime fasi dell’apprendimento grazie al fatto che
viene meno il problema della grafia che richiede ai bambini uno sforzo di concentrazione
e coordinazione visivo-manuale significativo. I risultati in termini di apprendimento sono
ancora più evidenti quando il programma di videoscrittura viene associato a un sintetiz-
zatore vocale che permette di avere una verifica immediata di quanto scritto. I correttori
ortografici, evidenziando gli errori e correggendoli immediatamente, rendendo molto
più veloce il processo di apprendimento. In aggiunta, gli studi mostrano che il poter
cancellare, modificare e riscrivere evita nei bambini l’ansia della pagina bianca nel mo-
mento in cui devono iniziare a scrivere un testo. Si sottolinea inoltre che la video scrittura
è particolarmente efficace per migliorare le abilità di apprendimento negli studenti che
presentano disturbi specifici di apprendimento ed è quindi largamente adottata nella
didattica speciale.
Infine, le TIC rendono più facile e naturale anche lo scrivere con altri compagni in
modo da sviluppare lo spirito cooperativo. Parlando di TIC nella scuola si deve menzio-
nare Internet.
Se utilizzato in modo sapiente l’accesso alla rete può diventare anche uno strumento
per promuovere l’eccellenza in ambito didattico. La rete rappresenta un spazio multi-
dimensionale cioè è contemporaneamente una banca dati, un luogo di interazioni, un
ambiente per attività di costruzione cooperativa, un luogo di lavoro condiviso. Internet
ha molte potenzialità come strumento didattico proprio per il fatto che in un’unica risor-
sa si trovano, in modo integrato, tutte quelle dimensioni che nella didattica tradiziona-
le sono separate. Includendo diverse dimensioni anche le tipologie di attività didattica
che si possono fare con Internet sono estremamente variegate e adattabili alle esigenze
specifiche dello studente. Utilizzando Internet come semplice motore di ricerca per cer-
care informazioni, documenti, dati si possono assolvere importanti funzioni educative.
Anche per quanto riguarda l’uso di Internet la funzione dell’insegnante come educatore
rimane centrale perché deve fornire gli strumenti necessari per valutare in modo critico
le risorse disponibili così che lo studente impari a sviluppare capacità critica, analitica e
selettiva. Nelle fasi più avanzate del processo formativo può risultare utile che gli stu-
238
denti oltre a semplici navigatori diventino autori della rete ad esempio costruendo siti,
aggiornando il sito della scuola o sviluppando attività di collaborazione a distanza con
altri studenti. Da un punto di vista pedagogico il rendere visibile agli altri il frutto del
proprio lavoro richiede lo sviluppo di abilità espressivo-creative, capacità metacognitive,
capacità comunicative e progettuali. Sfruttando invece Internet come mezzo di comu-
nicazione sincrono (chat e videoconferenze) e asincrono (posta elettronica, newsletter,
forum) sono rintracciabili enormi potenzialità in ambito formativo soprattutto per lo svi-
luppo di attività di sostegno, assistenza e tutoring in orari diversi da quello scolastico.
Infine, essendo una rete, per definizione, Internet rappresenta l’ambiente naturale per
organizzare forme di attività collaborative.
La navigazione nel web richiede quindi lo sviluppo di nuove abilità cognitive quali
la capacità di individuare in tempi rapidi un elemento significativo, l’abilità di cogliere il
senso complessivo della pagina e la capacità di prefigurarsi l’esito di un link. Se utilizzato
nel sistema scolastico Internet deve rappresentare in ogni caso uno strumento finaliz-
zato ai soli scopi formativi e, come tale, non po’ prescindere da una regolamentazione
nelle condizioni di accesso al fine di garantire la sicurezza. Sebbene esistano delle forme
per garantire la sicurezza (certificazioni, siti sicuri, sistemi di filtraggio, blocco dei pop-
up), anche utilizzando questa tecnologia è cruciale e imprescindibile il ruolo dell’inse-
gnate. Le ricerche bibliografiche e la selezione delle fonti deve altrettanto impegnare
l’insegnante nella sua funzione disciplinare.
Anche il gioco tecnologico (videogioco) potrebbe essere utilizzato come strumento
didattico nella forma di giochi di azione, di strategia, role playing, simulazioni. Molti sono
ancora però gli aspetti dibattuti e sembrano emergere più criticità rispetto agli aspetti
positivi sia sul piano cognitivo (non vi è consenso circa l’effettiva utilità nello sviluppo di
particolari abilità o strategie cognitive) sia sul piano etico (la spettacolarizzazione della
violenza o l’alto coinvolgimento emotivo del giocatore). Sicuramente vero è che spesso
risulta molto difficile in ambito scolastico motivare e suscitare un livello di interesse pa-
ragonabile a quello che viene messo in moto da un videogioco e questo lascia aperto il
dibattito circa la possibilità del loro utilizzo.
239
be quindi uno stimolo inutile che produrrebbe l’effetto opposto in quanto il bambino
rischierebbe di non concentrarsi su nulla e passare da un’attività all’altra in modo non
produttivo.
Al contrario, diversi studi e sperimentazioni sul campo hanno mostrato che l’utilizzo
delle nuove tecnologie può favorire alcune modifiche generali del contesto educativo ed
essere quindi positivo per l’apprendimento. In particolare, l’uso delle nuove tecnologie
nella didattica da un lato accresce la motivazione degli alunni, dall’altro accresce l’au-
tostima e quindi genera una maggiore capacità di sopportare le difficoltà e lo stress. In
aggiunta, spostando il focus dall’insegnante allo studente e dell’apprendimento al fare, si
ha un aumento della cooperazione tra alunni e si favorisce l’interazione. Uno dei maggio-
ri vantaggi delle TIC è la possibilità di realizzare e testare materiale didattico innovativo
che, se utilizzato in modo integrato con le tradizionali lezioni frontali, riesce a stimolare
la partecipazione attiva. Quello che cambia sostanzialmente è il concetto di classe. Men-
tre le modalità didattiche tradizionali prevedono il ciclo classico di trasmissione unidire-
zionale della conoscenza del tipo insegnante/mediatore oppure studente/lettore, le TIC
presuppongono invece un processo di apprendimento di tipo multidirezionale.
Infine, stimolando in modo nuovo la riflessione e il ragionamento si ha un migliora-
mento dei risultati grazie anche al lavoro cooperativo e l’uso di peer tutoring ovvero il
tutoraggio che viene fatto tra gli stessi allievi.
Nel complesso, i migliori livelli di comprensione e assimilazione che si riescono a
produrre con l’ausilio delle TIC sono imputabili prevalentemente alla personalizzazio-
ne dell’apprendimento. I software didattici consentono di scegliere dei percorsi diversi
in base alle particolari esigenze dello studente in modo da focalizzare maggiormente
l’attività didattica su alcuni aspetti. Esistono infatti i cosiddetti programmi-autore che
consentono di lavorare con l’intera classe, con piccoli gruppi o addirittura con singoli
studenti predisponendo attività comuni e diversificate. La personalizzazione permette
agli studenti di apprendere secondo i propri ritmi ripetendo l’attività fino a quando il ri-
sultato è stato raggiunto anche oltre l’orario scolastico, esercitandosi per esempio a casa
o in un’aula informatica. Una tale procedura didattica da un lato incoraggia lo studente
all’apprendimento autonomo, dall’altro facilita la memorizzazione e la comprensione dei
concetti e consente di rispondere alle esigenze specifiche degli studenti con difficoltà di
apprendimento. Questi nuovi materiali didattici, se integrati con opportuni ambienti tec-
nologici, possono consentire di seguire costantemente i percorsi seguiti da ogni singolo
studente e di quantificare i progressi di apprendimento.
In questo contesto cambia sicuramente il ruolo dell’insegnante che diventa colui il
quale organizza occasioni di apprendimento permettendo all’alunno di partecipare alla
costruzione del proprio sapere (costruzione del sapere). Anche agli insegnanti viene ri-
chiesto un nuovo tipo di lavoro.
Il materiale didattico di partenza assume forme nuove: semilavorati, tracce di lavo-
ro, frames di riferimento progettate e realizzate da team di esperti, e richiede che gli
insegnanti lo modifichino, completino e adattino in base alle esigenze che emergono
quotidianamente nelle classi.
La conclusione è che le TIC sono utili qualora vengano messe al servizio di buoni mo-
240
delli educativi. Le TIC si dovrebbero andare cioè ad aggiungere a un sistema formativo
costituito in gran parte da componenti extratecnologiche, integrandolo in modo com-
plementare e non sostitutivo. La formazione tramite strumenti multimediali potenzia
così gli effetti delle forme didattiche tradizionali perché consente di sfruttare in modo
integrato i diversi canali di comunicazione (testo, audio, video) e di agevolare l’apprendi-
mento che nei bambini è prevalentemente di tipo senso-motorio.
241
to», ancorato, cioè, a contesti concreti in cui enfatizzare la costruzione della conoscenza
(alunni-docenti) e non la sua mera riproduzione, offrendo altresì la possibilità di fornire
rappresentazioni multiple della realtà e alimentando pratiche riflessive condivise.
Non vi è dubbio che l’introduzione delle TIC stia amplificando le capacità espressive
degli studenti: non si tratta soltanto di comunicare conoscenze, ma di far acquisire abilità
trasversali nell’ottica del lifelong learning, al fine di imparare a selezionare e a collazio-
nare opportunamente fonti diverse, a comprendere con pertinenza i contenuti letti, ad
estrapolare informazioni con consapevolezza critica, a rielaborare quanto appreso con
efficacia comunicativa.
Le TIC offrono infinite possibilità di miglioramento cognitivo: accesso a banche dati di
sapere, nonché a video e a file di diversa natura; forum di discussione tematici; fruizione
di contenuti didattici digitali. Sono tutti validi sussidi in grado di sviluppare le capacità
logico-espositive, attualizzando potenzialità individuali che possono diventare un serba-
toio incolmabile di creatività e di varietà culturale per la vita. Ciò implica, inevitabilmen-
te, un nuovo ruolo del docente determinando un cambiamento nei rapporti di autorità
all’interno della classe: secondo i principi pedagogici dello scaffolding (impalcatura), lo
studente impara qualcosa da una persona più esperta, che è appunto il docente, attra-
verso una fase iniziale di ascolto (modeling), che gradualmente poi riduce la propria
presenza per lasciare sempre più autonomia all’alunno.
Il Modellamento o Modeling
Modeling significa osservare un modello competente che svolge un’azione. Tale at-
tività può essere un aiuto molto efficace per l’apprendimento di quell’azione. L’inse-
gnante deve fungere da modello da imitare: cioè bisogna far vedere il modo giusto
di comportarsi di fronte a determinate situazioni e richieste.
Il Modeling può essere usato: in programmi molto semplici (apprendimento di forme
e colori o di autonomia personale); in programmi più difficili che mirano all’acquisi-
zione di abilità e comportamenti complessi (es. autonomia sociale) i quali non pos-
sono essere insegnati solo con le parole, ma devono essere mostrati all’alunno nella
loro complessità. L’importante è rinforzare i tentativi di imitazione sufficientemente
conformi al modello.
Gli aiuti forniti dal modello (insegnante) sono utili nell’ambito degli apprendimenti
scolastici utilizzando modalità dell’autoistruzione verbale.
242
re o, per lo meno, si può dire che al metodo tradizionale del libro «sequenziale» da sfoglia-
re pagina dopo pagina si stia affiancando la possibilità del libro digitale di essere sfogliato
all’infinito, con link trasversali che combinano possibilità infinite di accesso ai dati.
Dunque, non resta che adeguarsi al cambiamento che l’innovazione inevitabilmente
ed irreversibilmente comporta; le TIC coinvolgeranno indifferentemente tutti gli ordini
e gradi di scuola, dalle elementari alle superiori, e rivoluzioneranno con assoluta natu-
ralezza, condizionando progressivamente nel tempo con la loro pervasività, la pratica
didattica quotidiana in classe.
243
Proprio per questi gruppi è importante che le politiche scolastiche siano anche di istru-
zione ai media e che l’istituzione scolastica agisca per ridurre il divario derivante dal
mancato accesso alle tecnologie.
Le nuove tecnologie possono essere un utile strumento per l’eguaglianza delle op-
portunità. Si devono quindi cercare delle modalità didattiche che consentano non solo
a pochi di aver accesso a un livello di istruzione elevato, ma che permettano alla gran
parte della popolazione di sfruttare grazie alla tecnologia le risorse didattiche che prima
non aveva. Alla luce delle considerazioni fatte, la didattica digitale, nelle sue diverse for-
me, deve essere vista come un’opportunità per modificare nel profondo le modalità di
apprendimento, per sviluppare nuove capacità cognitive e per ampliare la quota di po-
polazione che ha accesso all’istruzione. Da un punto di vista economico, l’introduzione
delle TIC può essere estremamente utile sia in termini di miglioramento dei risultati sia
di equità per consentire a un maggior numero di persone di aver accesso all’istruzione
grazie alla riduzione dei costi.
244
Capitolo 7
Lavagna interattiva multimediale
e sussidi didattici multimediali
Learning object
Il progetto «DiGi Scuola» ha dato luogo ad una sperimentazione che ha coinvolto una
molteplicità di soggetti (550 scuole superiori, 3.300 insegnanti) e ha condotto alla istal-
lazione di circa 1.650 lavagne digitali negli istituti scolastici. Gli insegnanti delle scuole
superiori di secondo grado hanno partecipato sia alla fase di formazione che di elabora-
zione di un prodotto digitale da mostrare agli studenti con l’ausilio della lavagna digitale
per poter mostrare concretamente le nuove modalità di fruizione dei contenuti digitali
ed evidenziare la nascita di metodologie innovative nella didattica. Infatti, la sperimen-
tazione del progetto è stata molto significativa per la costruzione di modelli didattici
integrati all’uso della LIM.
I punti di forza riscontrati sono stati sinteticamente i seguenti:
–– l’incremento dell’interesse degli studenti per le attività didattiche (66,67%);
–– l’incremento della partecipazione (54,93%) e dell’efficacia didattica della lezione
(42,83%);
–– la facilitazione nei processi di comprensione dei contenuti proposti (39,29%);
–– l’elevata possibilità di personalizzare il percorso didattico (16,20%);
–– la sperimentazione di nuove e variegate modalità didattiche in linea con la cultura
tecnologica giovanile (59,78%).
I punti di debolezza evidenziati attraverso la sperimentazione sono stati:
–– il 46,77% dei docenti ha lamentato problemi relativi all’aspetto tecnico e la carenza di
una effettiva necessaria formazione;
245
–– l’aspetto disfunzionale del posizionamento della lavagna digitale, spesso non collo-
cata in classe ma in laboratorio, con conseguente perdita di tempo nel trasferimento
degli studenti da un’aula all’altra (42,70%);
–– la parte più cospicua dei docenti partecipanti (69,97%) ha evidenziato un altro aspetto
fortemente negativo: il tempo da dedicare per la preparazione delle lezioni da creare
con l’ausilio della LIM. A tal proposito occorre rilevare che in Italia attualmente non
esistono curricoli per discipline che declinino le attività previste con risorse digitali.
A conclusione del progetto, la piattaforma «DiGi Scuola», è confluita nel portale «In-
novaScuola» ricco di contenuti didattici digitali (CDD) per il docente, ripartiti per tipo-
logie di scuola e per discipline individuabili con un pratico motore di ricerca. Il nuovo
progetto «InnovaScuola» è stato inaugurato nel 2008 e ha rappresentato la seconda fase
delle sperimentazioni nazionali ministeriali con la LIM ma si è rivolto soprattutto alla spe-
rimentazione della LIM nelle scuole secondarie di primo grado e nelle scuole primarie.
Il progetto ministeriale avviato nel 2010, «Cl@ssi 2.0», sviluppato negli istituti com-
prensivi e nelle secondarie di primo grado, ha consentito di individuare una metodologia
didattica di apprezzabile interesse.
Il progetto ha previsto una sequenza di azioni:
a) l’organizzazione del gruppo di lavoro con un forte coinvolgimento dei Consigli di
classe;
b) la progettazione tecnica dei contenti digitali;
c) la sperimentazione della documentazione prodotta;
d) lo sviluppo di una comunità virtuale sia a livello regionale che nazionale per la discus-
sione e il confronto sulle esperienze realizzate dal progetto.
Anche in questo caso l’ambiente virtuale – come per tutti i progetti di cui si è fatta
menzione in precedenza – ha garantito leggibilità, pubblicizzazione e confronto di prassi
didattiche paradigmatiche, nell’ottica di condividere e partecipare idee, archiviare ma-
teriali prodotti, fornire visibilità per spunti futuri e, soprattutto, dare continuità agli in-
terventi realizzati nelle scuole. Attraverso questi progetti che rappresentano azioni di
sistema il MIUR sta cercando di velocizzare l’introduzione e la diffusione della LIM e
rivitalizzare le metodologie d’insegnamento.
246
filtrare le informazioni secondo le regole comunicative del mondo digitale. Ma è anche
molto funzionale per l’insegnante perché permette di convogliare l’attenzione dei ragaz-
zi sulla lezione grazie a metodi innovativi che favoriscono la spiegazione dei concetti più
complessi e di utilizzare al meglio il tempo.
La LIM è uno strumento destinato alla didattica d’aula poiché coniuga la forza della vi-
sualizzazione e della presentazione tipiche della lavagna tradizionale con le opportunità
del digitale e della multimedialità. Tecnicamente la LIM è un dispositivo che comprende
una superficie interattiva, un proiettore ed un computer. Oggi l’evoluzione tecnologica
offre dispositivi che permettono di sfruttare le potenzialità di uno schermo interattivo
e multimediale utilizzando qualsiasi tipo di superficie e pennarello, oppure attraverso
schermi «touch screen», anche della grandezza di un normale desktop che non necessi-
tano di PC e proiettore.
La Lavagna interattiva multimediale è composta in prima battuta dalla superficie in-
terattiva, un dispositivo elettronico avente le dimensioni di una tradizionale lavagna di-
dattica, sul quale è possibile interagire usando le mani o degli appositi pennarelli.
Gli accessori della LIM sono:
–– i pennarelli: l’accessorio principale della LIM è il pennarello, che permette di scrive-
re o utilizzare i comandi sullo schermo. Esistono diversi tipi di pennarello. In alcuni
modelli è possibile anche usare i normali pennarelli colorati e cancellabili perché la
lavagna e il software riconoscono quanto scritto su qualsiasi superficie;
–– telecomandi, minischermi e connessioni: alcuni modelli offrono anche dei teleco-
mandi utili per la risposta a distanza sulla LIM. È possibile anche utilizzare dei mini
schermi da tenere in mano o sulla cattedra. La connessione alla rete è assicurata dal
PC; alcuni modelli di lavagne sono dotati di autonoma connessione wireless e di blue-
tooth per l’interazione con il web, con altre lavagne a distanza, con altri dispositivi
presenti in classe a breve raggio.
La LIM è generalmente collegata ad un computer, di cui riproduce lo schermo grazie
alla proiezione attraverso un videoproiettore. Pertanto, l’utilizzo della LIM in classe ri-
chiede:
–– la lavagna interattiva multimediale;
–– un computer;
–– un videoproiettore;
–– software e materiali per la didattica.
L’istallazione prevede il collegamento del computer al videoproiettore, tramite l’ap-
posito cavo, e della lavagna al computer, attraverso un altro cavo, generalmente USB. Il
videoproiettore riceve le immagini del computer e le proietta sulla LIM. Le operazioni
effettuate sulla LIM con le dita o con le penne digitali, a seconda del modello, sono
percepite da sistemi di rivelazione che possono essere diversi: magnetici, ottici, sonori,
resistivi e trasmesse quindi al computer. Sono possibili tutte le operazioni normalmente
effettuate con il mouse quando si lavora al computer, ma anche interventi diretti sulla
lavagna con le mani e le penne digitali.
La LIM è generalmente dotata di software per creare presentazioni e lezioni multime-
diali che hanno in comune alcuni elementi caratteristici:
247
1. uno stage bianco in cui scrivere con la penna e trascinare immagini e altri oggetti
multimediali tratti dalla libreria informatica;
2. una libreria di immagini, filmati e animazioni che possono essere trascinate nello stage;
3. alcuni strumenti per scrivere e disegnare forme geometriche.
Inoltre, la LIM permette di utilizzare tutti i software presenti sul computer, come elabo-
ratori di testo, software per presentazioni, browser per la navigazione in Internet, software
di disegno e proiettori di filmati, ma invece di usare il mouse per selezionare e spostare
oggetti, si utilizzano le mani e le penne digitali agendo direttamente sulla superficie della
lavagna. Infine, è possibile utilizzare specifici software didattici che contengono percorsi
didattici da esplorare e attività interattive mirate al raggiungimento di obiettivi didattici.
248
favore di tutta la classe, la semplificazione dei concetti, l’interattività, l’aggregazione di
risorse multimediali.
La visualizzazione è la più riconosciuta tra le potenzialità della LIM. Essa permette
di presentare una molteplicità di contenuti utilizzando non più solo l’ascolto o la lettura
individuale, ma anche la forza comunicativa dell’immagine.
Un’altra potenzialità è l’interattività, la quale è data da molteplici livelli; riguarda sia
la possibilità di intervenire personalizzandoli su tutti i file presenti sullo schermo, sia la
possibilità anche fisica di agire sulla lavagna, sia, infine, in presenza di collegamento al
web, la possibilità di accedere dalla classe alle risorse di Internet.
Ricerche empiriche hanno dimostrato che gli studenti avvertono la LIM vicina al loro
modo di comunicare e di accedere alle informazioni. L’estrema semplicità di utilizzo è
all’origine della diffusione delle LIM. Le competenze necessarie per il suo impiego sono
quelle di base: scrittura, apertura ed inserimento file, upload, download, uso del web.
La costruzione collaborativa dei percorsi di studio fanno della LIM uno strumento par-
ticolarmente efficace per la realizzazione di attività di gruppo in classe. Non ultime le
potenzialità dimostrate dalla LIM nel campo dell’integrazione.
249
far apprendere le basi della lingua italiana o straniera, o magari semplicemente disegna-
re, basta agire con le dita e/o con il pennarello sulla superficie della LIM per raggiunge-
re lo scopo voluto. Sarà poi facoltà del docente decidere se salvare quanto illustrato o
meno, ovvero ignorare il tutto e passare a una nuova pagina, o cancellare la precedente
come se si avessero più lavagne a disposizione.
L’uso della LIM può essere potenziato attraverso gli strumenti messi a disposizione
dai software, per esempio è possibile:
–– disegnare oppure evidenziare con pennarelli di vari colori;
–– cancellare con la «gomma» virtuale e definire lo spessore del tratto;
–– tracciare forme geometriche e definire il colore di riempimento e di bordo;
–– inserire note di testo con caratteri digitali;
–– ruotare, ridimensionare, clonare, unire, separare tra loro gli oggetti presenti sul fo-
glio di lavoro;
–– evidenziare una specifica area di lavoro;
–– importare un file da Word o da altro programma e usare gli strumenti «pennarello»
o «evidenziatore» per dare risalto ad alcune sezioni del documento;
–– creare box da usare allo scopo di ottenere, ad esempio, un esercizio in cui mettere in
evidenza una frase o una formula;
–– coprire la traduzione di un esercizio in lingua o in latino e realizzare quindi una lezio-
ne in cui lo studente può procedere autonomamente all’autocorrezione;
–– realizzare una lezione con lo strumento «linea» per correlare contestualmente dise-
gni, formule, immagini.
Una padronanza più approfondita del software della LIM e degli strumenti offerti dal
web consente di realizzare lezioni di sicura efficacia comunicazionale. I software per la
LIM permettono infatti di importare contenuti multimediali come per esempio brani au-
dio, files video che una volta inseriti nella programmazione della lezione, possono arric-
chirne fortemente il contenuto. Per esempio in una lezione di storia dell’arte si possono
proiettare grazie ai files video opere d’arte e contestualizzarle.
Gli strumenti avanzati per la LIM permettono di inserire nel foglio di lavoro ritagli
di pagine web contenenti lavori di artisti e immagini da poter poi analizzare con gli
alunni.
Sono disponibili anche le librerie per la LIM rappresentate da software che conten-
gono oggetti interattivi per esempio il goniometro, la calcolatrice, righelli. Da segnalare
anche la possibilità di registrazione della lezione che permette quindi di conservare o di
spedire per via e-mail ad un allievo assente quanto spiegato in classe.
Sono quindi molte le funzionalità offerte dalla LIM, che aumentano la progettualità
metodologica del docente nella realizzazione della lezione più adatta alle proprie esigen-
ze e personalizzata sul livello di apprendimento e di curiosità dei discenti, cosi come sono
altrettanto numerosi i metodi per rendere collaborativo l’apporto degli allievi, coinvol-
gendoli e motivandoli.
In conclusione si può affermare che se il docente ritiene di non dover utilizzare gli
strumenti disponibili dalla LIM può sempre adoperare i moduli didattici chiamati lear-
ning object che rappresentano i contenuti didattici digitali. Questi ultimi sono risorse
250
gratuite o talvolta a pagamento scaricabili dal web sviluppate per tutte le discipline e per
i vari ordini scolastici.
Infine, è da sottolineare l’impiego della LIM da parte dei docenti di sostegno. Nume-
rose, infatti, le attenzioni rivolte a questo settore negli ultimi anni.
1. Quiz interattivi
Il setting comunicativo della lezione frontale come abbiamo più volte evidenziato
si sta trasformando e i momenti d’aula stanno sempre più evolvendo in comunità di
apprendimento dove si lavora in gruppo e si impara ad apprezzare il valore una cono-
scenza condivisa. Attraverso la LIM è possibile avviare attività partecipate di riflessione
sui contenuti appresi e sulla prassi didattica in atto, sviluppando competenze cognitive
e metacognitive negli allievi. Sotto un profilo pedagogico è possibile costruire l’identi-
tà anche attraverso lo sviluppo della consapevolezza delle proprie scelte e attraverso
il gioco di squadra, in cui tutte le azioni sono il risultato di negoziazione, responsabilità
individuale, spirito di appartenenza ad una comunità. Pertanto l’uso dei quiz interattivi
somministrati attraverso la LIM attraverso una modalità ludica e di accattivante capaci-
tà comunicazionale può rappresentare una scelta particolarmente efficace sia sul piano
didattico che pedagogico.
Secondo alcune moderne teorie che hanno come riferimento i tre livelli di sviluppo
cognitivo indicati da Piaget, esistono tre variabili nell’approccio dei giovani ai giochi in-
terattivi:
1. livello psicomotorio, in cui le abilità personali del giocatore sono legate a fattori di
velocità nei tempi di reazione e di stimolo nella rielaborazione delle informazioni
richieste, attraverso l’integrazione di percezione e azione-riflesso;
2. livello di simulazione, in cui si stabilisce il pensiero logico-razionale attraverso la
capacità di calarsi nel contesto specifico percependolo come «verosimile» (vivere
un’avventura con un approccio intuitivo);
3. livello rappresentativo, da cui si sviluppa il pensiero simbolico.
Si tratta, cioè, di far imparare qualcosa non solo attraverso il tradizionale «modo
simbolico-ricostruitivo», in cui si legge, si studia, si decodifica e si rielabora l’informazio-
ne, ma attraverso un «modo senso-motorio» in cui si osserva qualcosa, la si percepisce
attraverso i sensi, si interviene con un’azione e si riflette sul processo attuato.
Esistono interessanti esperienze formative di giochi di ruolo on line documentate dai
docenti all’interno di sperimentazioni per verificarne l’impatto sulla didattica nonché
251
diversi software, alcuni da acquistare e altri gratuiti, con cui creare quiz interattivi per gli
studenti da somministrare in classe e utilizzabili con la LIM.
Il docente con la LIM può preparare una semplice attività didattica in grado di sti-
molare l’aspetto ludico dell’apprendimento con la strutturazione del quiz interattivo
nell’ambito della sua programmazione disciplinare. Per fare degli esempi operativi si può
somministrare alla classe un quiz. Questa esercitazione caratterizzata per la sua valenza
ludica deve prendere in considerazione alcune fasi indispensabili. Innanzitutto la classe
va divisa in due squadre. Successivamente si chiede a turno per ogni squadra la presenza
di uno studente che deve rispondere alla stessa domanda decidendo preventivamente
se questi può o non può raccogliere suggerimenti dalla sua squadra. Lo studente può
dare la risposta attraverso la prenotazione con un campanello come nei quiz televisivi. Si
chiede allo studente di segnare sulla LIM la risposta data per verificarne la correttezza in
quanto il software visualizzerà automaticamente la risposta esatta. Si attribuisce il pun-
teggio alla squadra del ragazzo che ha dato per primo la risposta esatta. Infine il docente
deve calcolare le risposte corrette date dalle due squadre per proclamare la squadra
vincitrice. L’esperienza andrebbe proposta ai discenti possibilmente prima della verifica
tradizionale, perché il quiz è un’occasione ludica ma formativa al tempo stesso in grado
di potenziare conoscenze, stimolare l’impegno e la riflessione.
Le mappe concettuali
Per costruire in modo cooperativo una mappa concettuale con la LIM occorre che il docente:
–– elabori una lezione frontale su un argomento previsto dalla programmazione didat-
252
tica utilizzando la lavagna digitale come supporto digitale che peraltro consente un
ulteriore ampliamento dell’informazione attraverso la connessione a Internet;
–– elabori domande-guida per la costruzione della mappa concettuale con risposte for-
nite dagli studenti;
–– solleciti la negoziazione fra gli allievi sulle possibili informazioni da inserire nella map-
pa al fine di integrare concetti, revisionare e verificare quanto appreso, nonché di
potenziare la preparazione;
–– stampi la mappa elaborata in classe la distribuisca a tutti gli allievi quale rinforzo al
metodo di studio a casa, o inviando il file creato alla casella di posta elettronica degli
allievi, direttamente dalla LIM.
In tutte le fasi il docente dovrà aver cura di seguire il lavoro dei discenti, sostenendoli
e verificando le dinamiche relazionali dei gruppi. In altre parole il docente acquisisce la
funzione di allenatore durante l’elaborazione digitale della mappa oppure potrà even-
tualmente affidare la costruzione delle mappe alla cooperazione di allievi più intrapren-
denti e pratici del software da utilizzare al fine di rendere tutti gli studenti attivi e solle-
citandoli alla collaborazione sui temi trattati e costruire attorno ad essi la conoscenza.
3. Learning object
I Learning object (LO) sono moduli di Contenuto Digitale Didattico (CDD) sotto forma
di lezioni o prove di verifica utilizzabili con il personal computer. Sono risorse didattiche
che si presentano al fruitore come piccole unità di apprendimento, dotate di contenuto
digitale composto da video, audio, testi. Il loro uso affonda le radici nel paradigma del-
la programmazione object oriented usata nel settore informatico, dove vengono creati
componenti (objects) indipendenti l’uno dall’altro, che possono essere riutilizzati in con-
testi diversi grazie al loro riassemblaggio di volta in volta nuovo a seconda delle esigenze
e dell’obiettivo da perseguire.
Queste risorse digitali hanno alcune importanti caratteristiche:
–– sono sviluppate per un intervento molto breve (dai 2 ai 15 minuti);
–– sono concepite in modo autonomo e non propedeutico. Questa caratteristica offre la
possibilità di poterle ricomporre in più unità.
Un Learning object può avere differenti finalità. I LO più usati hanno le seguenti ca-
ratteristiche:
–– argomentativo: l’alunno studia la lezione, con materiali strutturati secondo la pro-
grammazione didattica proposta dal docente;
–– addestrativo: l’allievo può esercitarsi attraverso procedure e fasi che gli permettono
di monitorare i processi di acquisizione delle competenze;
–– sperimentale: lo studente segue percorsi personali di studio che gli consentono di
raggiungere la padronanza dei contenuti proposti;
–– integrato: l’allievo può seguire percorsi integrati da altri sussidi per esempio quelli
offerti dalla rete internet.
253
Caratteristiche ideali del contenuto di un learning object
Gli elementi essenziali di un learning object sono almeno quattro e tra questi c’è il
contenuto. In un ambiente di apprendimento in cui il learning object sia scalabile e
adattabile alle esigenze del discente, il contenuto dovrebbe avere le seguenti carat-
teristiche:
– modulare, a sé stante, e trasportabile all’interno di ambienti e applicazioni diver-
se. Non sequenziale;
– multimediale e interattivo;
– in grado di soddisfare un singolo obiettivo;
– accessibile alla larga utenza (quindi adattabile ad altra utenza oltre a quella di
riferimento);
– coerente e uniformato a un determinato modello in modo che l’essenza del con-
tenuto, l’idea principale che esso veicola, possa essere «catturata» dal minor nu-
mero di metatag.
4. Video digitali
La LIM trova la propria naturale espansione nella possibilità di far visionare in classe
video, offrendo al docente l’opportunità di creare apposite lezioni attraverso link che,
tramite il collegamento ad Internet, consentono di attivare percorsi didattici interattivi
e personalizzati.
YouTube, per esempio, ha permesso un ripensamento della didattica tradizionale
attraverso il sussidio di proiezioni appositamente pensate per gli studenti. Oltre l’uso
dei video scaricabili dalla rete emergono in questi anni i video-sharing ovvero la pratica
costruzione di video che anche nella scuola possono essere realizzati direttamente dagli
allievi e poi pubblicati in Internet.
I video digitali migliorano la partecipazione degli studenti, rendendola più attiva, e
stimolando tramite immagini la memoria più di quanto avviene attraverso i libri di testo.
La LIM in questo caso si presta facilmente attraverso la costruzione di percorsi di rete a
creare lezioni molto efficaci intervallate da spunti visivi attraverso video.
254
7.6 LIM e Internet
La LIM dispone di efficaci collegamenti on line che se opportunamente gestiti rap-
presentano una vera e propria rivoluzione della didattica. Il modo di fare lezione è
stato estremamente arricchito dalle potenzialità che vengono associate allo sviluppo
del web 2.0.
Il termine web 2.0 designa nuove modalità di utilizzo degli strumenti della rete da
parte del fruitore. Il web 2.0 è lo sviluppo del tradizionale mondo web che ha sostanzial-
mente elevato il grado di interazione dei soggetti in rete e sviluppato il ruolo costruttivi
stico degli utenti della rete. Il web 2.0 ha portato in auge il ruolo dell’utente regista di
sé stesso ma anche di produttore delle informazioni, capace di pubblicare, nonché di
indicizzare le risorse all’interno di una dimensione sociale di valorizzazione della rete.
Una possibilità concreta di dialogo tra docente e studente oggi può avvenire attraverso
questa nuova interazione; si tratta in altre parole di sviluppare, creare, cambiare le cono-
scenze e i saperi in genere attraverso strumenti che pongono l’allievo al centro del pro-
cesso di apprendimento, in un’ottica di innovazione delle metodologie di insegnamento.
Come metodo didattico attuale e legato alle nuove tecnologie il docente può prendere
in considerazione lo strumento principe del web 2.0 che è il blog, ormai diffusissimo tra
le giovani generazioni.
Il termine blog è nato da J. Barger che usò l’espressione per indicare il proprio sito
personale, successivamente P. Merholz coniò il verbo bloggare che significa per l’appun-
to «scrivere un blog». Il blog rappresenta uno strumento che permette l’interazione di
codici – da quello iconico a quello testuale – consentendo simultaneamente il potenzia-
mento di due abilità linguistiche fondamentali: la lettura e la scrittura. Questo spiega il
suo successo nella didattica.
Il blog ha come caratteristica fondamentale una pagina principale in cui sono elencati
post e articoli che possono essere organizzati cronologicamente, secondo l’ordine che
si preferisce, o per categorie. I visitatori hanno la possibilità di dialogare con l’ammini-
stratore del blog mediante i commenti che «postano» (ossia lasciano) ai post cui sono
interessati. Inoltre, si può creare all’interno del blog un blogroll, cioè una lista di link, di
solito per categorie, a siti web. I post vengono periodicamente archiviati ed è possibile
accedere automaticamente ai siti attraverso feeds come RSS, Atom, RDF, funzioni utili
per segnalare all’utente se vi sono nuovi articoli pubblicati nei blog di suo interesse.
Esistono numerose tipologie di blog in relazione al fine. Nella didattica è possibile
usarlo per dialogare con gli studenti in merito ad alcune discipline, oppure comunicare
esternamente le attività svolte dalla classe durante l’anno scolastico attraverso il sito
della scuola, affinché sia visibile tutto ciò che viene fatto in classe.
La didattica tradizionale può essere rivitalizzata integrandola con uno strumento ca-
pace di far elaborare documenti di scrittura collaborativa o creativa. Il blog può inoltre
divenire un archivio digitale che illustra come una bacheca i post del giorno.
255
7.6.1 Il software della wiki-didattica
La wiki-didattica ha le stesse basi metodologiche e gli scopi costruttivistici della crea-
zione del blog nonché la sua tipica implementazione tramite Internet. La caratteristica è
che la wiki-didattica ha un carattere nozionistico e sollecita gli studenti alla contribuzione
del sapere mentre il blog si presta a contenuti di carattere più personali e emozionali.
Nel 1995, per la prima volta nel mondo del web emerse la possibilità di costruire un
software (wiki) in modalità condivisa come evidenzia wikipedia: l’enciclopedia online.
La wiki-didattica poggia sulla metodologia di stampo costruttivista e permette, in
ambito didattico, di poter realizzare a più mani documenti di qualsivoglia natura che
possono essere in qualunque momento modificati e completati nel tempo. La possibile
interazione collaborativa è la caratteristica fondamentale di qualunque wiki. Con la LIM
si può trasformare la wiki in uno strumento di creazione di documenti frutto di coopera-
zione tra docenti e alunni. Ad esempio a conclusione della lezione didattica è possibile
approfondire sul web quello che si è appreso mostrando alla classe, direttamente sulla
LIM, la voce ricercata. Talvolta capita che i contenuti presenti siano bozze o non suffi-
cientemente completi. In tal caso il docente può avviare un’attività cooperativa con gli
studenti, finalizzata alla rivisitazione dei contenuti o alla creazione di una nuova voce.
Infatti, con la LIM gli allievi avrebbero la possibilità di intervenire, discutere, proporre. È
proprio in queste occasioni che risulta fondamentale il ruolo del docente: moderatore di
interventi, guida per la corretta procedura di elaborazione dei materiali non solo testuali
che andranno ad arricchire la voce creata o ampliata.
È importante sottolineare che con la LIM è possibile ideare e creare un proprio wiki.
Infatti gli strumenti a disposizione della LIM permettono agli studenti di realizzare auto-
nomamente prodotti digitali che risultano particolarmente indicati allo scopo attraverso
software di scrittura.
La rete non è quindi solo uno strumento di ricerca passiva di contenuti o di interazio-
ni limitati ma attualmente essa offre modalità formative e creative che ben si prestano a
scopi didattici ed educativi.
256
La caratteristica brevità temporale (di solito da 1 a 5 minuti) lo rende facilmente fru-
ibile, gradevole da ascoltare, essenziale, variegato come i videoclip o i trailer televisivi.
Fondamentalmente, si tratta di uno strumento di potenziamento delle conoscenze ac-
quisite che, opportunamente inserito in classe, può elevare la motivazione degli studen-
ti, rendendo più coinvolgente l’apprendimento.
Come spunto nell’ambito delle nuove metodologie didattiche è possibile realizzare
un podcast a scuola. Per esempio in ambito linguistico si può utilizzarlo per migliorare la
pronuncia dei studenti oppure correggere le distonie verbali qualche volta ascrivibili al
background socio-culturale degli studenti.
Il podcast in ambito letterario può essere utilizzato per creare sintesi di autori della
letteratura oppure inserire testi appositamente selezionati per delineare percorsi tema-
tici e realizzare mini-guide per siti da visitare durante i viaggi di integrazione culturale.
Nel settore tecnico-scientifico, in particolare, il podcast è funzionale a raccontare espe-
rienze formative di carattere laboratoriale o a illustrare fenomeni scientifici e relativi dati.
Esistono in commercio diversi software con cui realizzare, gestire, scaricare e pub-
blicare in modo semplice e veloce un podcast, con combinazioni di video/testo/audio a
piacere, ma sarebbe più coinvolgente progettarlo insieme ai discenti. Occorre, prelimi-
narmente, creare una vera e propria redazione in classe, nominando i responsabili dei
testi da inserire, dei file audio e delle immagini da selezionare; inoltre, sarà utile prima
registrare il file audio con software e/o servizi in rete free e poi inserire testo e/o imma-
gini pertinenti in un secondo momento.
Un podcast è un’esperienza che può essere vissuta durante l’anno scolastico in quan-
to si presenta come mezzo ideale per realizzare delle sorti di «puntate» su un argo-
mento specifico da indicizzare e pubblicare mediante la LIM. Secondo quest’approccio
la sequenza delle puntate deve essere congiuntamente progettata da alunni e docenti.
Pertanto è fondamentale la coerenza con cui si costruisce l’insieme dei singoli podcast.
Il podcast, può essere integrato con gli altri strumenti di cui la scuola sia eventual-
mente fornita: sito web, blog, forum, piattaforme. All’interno di un giornale d’istituto
si possono anche segnalare le uscite periodiche dei podcast, proprio come le singole
puntate di un serial televisivo, in quanto il giornale scolastico si presta particolarmente
a dare spazio ad approfondimenti e discussioni, interviste e commenti. In conclusione il
podcast registra il passaggio da una didattica «trasmissiva» e unidirezionale allo scambio
e condivisione tra docente e allievi. Il risultato più importante di questa didattica è il
processo di apprendimento, comprensione e realizzazione del prodotto finale lasciando
al docente la possibilità di intervenire laddove riscontri difficoltà cognitive.
257
La straordinaria novità di questa metodologia è che punta sull’approccio costrutti-
vista di stampo laboratoriale: si tratta, cioè, di proporre opportunità di apprendimento
informale mirate a creare dei prodotti finali che siano frutto di negoziazione, di capacità
organizzative del singolo o del gruppo, e che diano spazio a grande spirito di collabora-
zione fra tutte le parti coinvolte. Il docente ha la possibilità di valutare sia il prodotto fina-
le realizzato dallo studente sia il processo conoscitivo che lo ha accompagnato nella sua
realizzazione. Quest’ultimo rappresenta il dato più significativo in quanto permette al
docente di verificare la modalità apprenditiva dello studente e sollecitarne l’autonomia.
Di norma l’attività di un webquest è suddivisa in 6 sezioni:
1. introduzione: fornisce le informazioni di base, introduce i partecipanti nella situazio-
ne proposta e spesso propone la simulazione di una situazione simil-reale per ren-
dere più attraente il compito proposto («sei un giornalista…» «fate parte della com-
missione parlamentare per…» «il mondo è minacciato dalla terza guerra mondiale, il
presidente degli Stati Uniti convoca una Commissione…»);
2. compito: definisce cosa deve essere prodotto durante i lavori. Non viene ancora de-
scritto come dovrà essere svolto il compito ma solo quale sarà («devi convincere il
capo redattore dell’importanza dell’articolo con un’esposizione orale di 10 min.…devi
scrivere un articolo per il giornale…devi preparare una lezione di 30 min. con l’ausilio
di una presentazione multimediale…», «la commissione dovrà presentare alla fine dei
lavori: una relazione…un vademecum…una lista di quesiti rimasti senza risposta…»,
«ipotizzate 3 possibili soluzioni pacifiche con l’ausilio di diagrammi di flusso o mappe
concettuali… preparate il discorso alla nazione del presidente per illustrare la situa-
zione, i potenziali pericoli e la soluzione scelta…preparate il discorso del presidente
con la potenza nemica…»);
3. risorse: vengono indicate le risorse web da consultare, che possono essere uniche
per tutti i discenti o suddivise per gruppi ed elencate a seconda delle funzioni. Si
tratta di risorse liberamente fruibili in rete, precedentemente visitate e recensite dal
docente, oppure preparate appositamente e inserite su un sito web, oppure anco-
ra altre informazioni come indirizzi mail o numeri telefonici di esperti a cui potersi
rivolgere per ricercare la risposta ai quesiti posti. A seconda della materia trattata
e del compito assegnato vi possono essere diversi «gradi di apertura» delle risorse
esplorabili, essendo il webquest uno strumento didattico altamente personalizzabile.
Le fonti possono infatti essere totalmente preselezionate, come nel webquest clas-
sico, oppure si può decidere di lasciare ai discenti il compito di integrarle parzial-
mente con la ricerca libera su Internet per la soluzione di determinati problemi o la
ricerca di informazioni particolari; questa fase può infatti essere utile per sviluppare
negli allievi le capacità di organizzazione delle informazioni, di sistematizzazione e di
sintesi (purché si tratti di un compito «residuo», ben definito e «guidato», che non
comporti una deviazione dal compito assegnato e una dispersione inutile di energie e
tempo, e in questo sta naturalmente l’abilità di chi prepara il webquest). Se il compito
è stato «arricchito» con l’utilizzo di videoconferenze, qui si troveranno le istruzioni
e gli indirizzi per utilizzare correttamente questo strumento. Le fonti possono essere
integrate anche con materiali cartacei quali fotocopie o libri; è tuttavia importante
258
che l’utilizzo del web sia fondamentale per svolgere il compito, che altrimenti non
avrebbe bisogno di essere svolto sotto forma di webquest;
4. processo: si descrivono nel dettaglio le attività che gli studenti devono svolgere per
portare a termine il compito. È importante che questa sezione sia chiara e ben pro-
gettata, che contempli l’eventuale suddivisione in sottogruppi e preveda esercitazio-
ni pratiche e un ruolo attivo dei discenti. Si dovrà: descrivere le fasi del lavoro, ovvero
suddivisione in gruppi, distribuzione dei compiti, consultazione web in gruppi, di-
scussione in classe, esercitazioni pratiche, studi sul campo o ricerca-azione, interviste
etc.; organizzare gli eventuali ruoli dei partecipanti, affidando a ciascuno responsa-
bilità proprie o di gruppo e fornendo tutte le informazioni necessarie per svolgere il
compito attraverso la simulazione;
5. suggerimenti: si possono inserire dei consigli per aiutare i discenti a organizzare le in-
formazioni raccolte fornendo per esempio degli elenchi di domande a risposta più o
meno guidata, griglie organizzative, mappe concettuali, scalette temporali etc. Que-
sti strumenti forniscono una guida agli studenti e permettono loro di raggiungere
risultati che altrimenti non sarebbero probabilmente in grado di raggiungere, con il
doppio vantaggio di fornire dei modelli di apprendimento che potranno utilizzare in
altri contesti. È altresì utile inserire in questa sezione una griglia che espliciti fin da su-
bito i criteri di valutazione delle attività assegnate. Questo aspetto è particolarmente
utile soprattutto se si considera che l’attività svolta non è di tipo tradizionale ed è più
difficile da «misurare» e valutare; i criteri di valutazione possono essere complessi e
soggettivi ed è dunque importante esplicitarli all’inizio dell’attività, sia per il docente
che per gli studenti. Proponendo una griglia di valutazione si permette di suddividere
l’attività nei vari aspetti che la compongono (analisi, sintesi, lavoro di gruppo, uso TIC,
elaborazione prodotto etc.) e di individuare i punti di forza e i punti deboli dei lavori
svolti, facilitando il feedback del docente e l’avvio di un processo di miglioramento
continuo. Per gli studenti questo permette di capire bene quali sono gli aspetti su cui
focalizzare l’attenzione e cosa ci si aspetta da loro, fungendo dunque da guida per il
loro lavoro e attutendo la classica paura del docente e della sua valutazione. Infine la
presenza di una griglia di valutazione permette anche a soggetti terzi di comprendere
e valutare il compito affidato per meglio coglierne il valore pedagogico;
6. conclusione: è il momento in cui si riepiloga, in cui si ricorda agli studenti cosa hanno
imparato e li si consiglia su come successivamente ampliare l’esperienza per acquisi-
re ulteriore conoscenza.
Si tratta di rendere l’apprendimento più motivato e coinvolgente, mantenendo più
alta l’attenzione dei ragazzi che, spinti da curiosità, presteranno attenzione pure al lavoro
altrui, anche al fine di una sana competizione da sviluppare nell’ambito della classe.
259
Capitolo 8
Content and Language
Integrated Learning
261
3. lingue veicolari coinvolte. Una o più lingue coinvolte: ad esempio con la duplice im-
mersione si utilizzano 2 lingue veicolari (non materne).
Secondo i suoi ideatori David Marsh e Anne Maljers (1994) il termine CLIL incorpora
diverse esperienze e metodologie di apprendimento in lingua veicolare. Il termine, pre-
valentemente usato in Italia e in alcuni paesi europei, è spesso utilizzato anche in alcuni
documenti dell’Unione europea per indicare le esperienze di immersione linguistica. Se-
condo gli ideatori il termine CLIL dovrebbe anche indicare un approccio metodologico in-
novativo dove la costruzione di competenze linguistiche e abilità comunicative si accom-
pagnano contestualmente allo sviluppo ed all’acquisizione di conoscenze disciplinari.
L’approccio CLIL ha quindi il duplice obiettivo di prestare contemporaneamente at-
tenzione sia alla disciplina che alla lingua non materna. Conseguire questo duplice ob-
biettivo richiede lo sviluppo di un approccio integrato di insegnamento e apprendimento
con un’attenzione speciale al processo educativo in termini generali.
Il CLIL si avvale dei principi metodologici stabiliti dalla ricerca sull’immersione lingui-
stica e dell’insegnamento in lingua veicolare. In termini generali l’approccio CLIC perse-
gue gli obiettivi di migliorare nello studente:
–– la fiducia nell’approccio comunicativo;
–– le abilità e la consapevolezza interculturale;
–– la spendibilità delle competenze linguistiche acquisite durante le attività della vita
quotidiana;
–– la disponibilità alla mobilità nell’istruzione e nel lavoro;
–– l’immersione in contesti d’apprendimento stimolanti ed innovativi;
–– competenze aggiuntive oltre a quelle comunicative nella lingua di immersione;
–– il confronto con le TIC, i curricoli e le pratiche integrate.
262
8.3 Il CLIL in Europa
L’Unione Europea valorizza e promuove lo studio delle lingue straniere, per facilitare
la comunicazione dei popoli. L’azione dell’Unione Europea è intesa:
–– a sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendi-
mento e la diffusione delle lingue degli Stati membri;
–– a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il rico-
noscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio;
–– a promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento;
–– a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei siste-
mi di istruzione degli Stati membri;
–– a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività socioeducative e
a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica dell’Europa;
–– a incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza.
Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) è un
sistema descrittivo impiegato per valutare le abilità conseguite da chi studia una lingua
straniera europea.
È stato elaborato dal Consiglio d’Europa come parte principale del progetto Langua-
ge Learning for European Citizenship (apprendimento delle lingue per la cittadinanza
europea) tra il 1989 e il 1996 con lo scopo principale di fornire un metodo per accertare
e trasmettere le conoscenze secondo parametri riconoscibili e comparabili all’interno
della Unione Europea. Nel novembre 2001 una risoluzione del Consiglio d’Europa rac-
comandò di utilizzare il QCER per costruire sistemi di validazione dell’abilità linguistica.
I sei livelli di competenza (A1, A2, B1, B2, C1, C2) e i tre livelli intermedi (A2+, B1+,
B2+) articolati nel QCER sono utilizzati in tutta Europa e in altri continenti come parame-
tri per fornire agli insegnanti di lingua un modello di riferimento per la preparazione di
materiali didattici e per la valutazione delle conoscenze linguistiche. Con l’introduzione
dell’insegnamento di discipline non linguistiche (DNL) con modalità CLIL, il QCER rappre-
senta un indispensabile riferimento per la valutazione delle competenze linguistiche dei
docenti e delle competenze in uscita degli studenti.
Il Quadro Comune Europeo di Riferimento distingue tre fasce di competenza («Base»,
«Autonomia» e «Padronanza»), ripartite a loro volta in due livelli ciascuna per un totale
di sei livelli complessivi, e descrive quello che un individuo è in grado di fare in dettaglio
per un determinato livello nei diversi ambiti di competenza: comprensione scritta (com-
prensione di elaborati scritti), comprensione orale (comprensione della lingua parlata),
produzione scritta e produzione orale (abilità nella comunicazione scritta e orale). Di
seguito uno schema esemplificativo:
A - Base
A1 - Livello base
Si comprendono e si usano espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a sod-
disfare bisogni di tipo concreto. Si sa presentare se stessi e gli altri e si è in grado di fare
263
domande e rispondere su particolari personali come dove si abita, le persone che si
conoscono e le cose che si possiedono. Si interagisce in modo semplice, purché l’altra
persona parli lentamente e chiaramente e sia disposta a collaborare.
A2 - Livello elementare
Comunica in attività semplici e di abitudine che richiedono un semplice scambio di
informazioni su argomenti familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti
della sua vita, dell’ambiente circostante. Sa esprimere bisogni immediati.
B - Autonomia
B1 - Livello intermedio
Comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo
libero ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viag-
gia nel paese di cui parla la lingua. È in grado di produrre un testo semplice relativo ad
argomenti che siano familiari o di interesse personale. È in grado di esprimere esperien-
ze ed avvenimenti, sogni, speranze e ambizioni e di spiegare brevemente le ragioni delle
sue opinioni e dei suoi progetti.
B2 - Livello intermedio superiore
Comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astrat-
ti, comprende le discussioni tecniche sul suo campo di specializzazione. È in grado di
interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile un’interazione
naturale con i parlanti nativi senza sforzo per l’interlocutore. Sa produrre un testo chiaro
e dettagliato su un’ampia gamma di argomenti e spiegare un punto di vista su un argo-
mento fornendo i pro e i contro delle varie opzioni.
C - Padronanza
C1 - Livello avanzato
Comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il signi-
ficato implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza. Usa la lingua in modo flessibile
ed efficace per scopi sociali, professionali ed accademici. Riesce a produrre testi chiari,
ben costruiti, dettagliati su argomenti complessi, mostrando un sicuro controllo della
struttura testuale, dei connettori e degli elementi di coesione.
C2 - Livello di padronanza della lingua in situazioni complesse
Comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente e legge. Sa riassumere infor-
mazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che scritte, ristrutturando gli argomenti
in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente, in modo molto scorre-
vole e preciso, individuando le più sottili sfumature di significato in situazioni complesse.
264
8.4 L’introduzione della metodologia CLIL in Italia
In Italia l’insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera è presente già
dagli anni novanta denominato insegnamento nelle lingue veicolari. Generalmente l’insegna-
mento CLIL fa parte dell’offerta formativa scolastica ordinaria a livello primario e secondario.
In Italia questo tipo di insegnamento è stato prevalentemente oggetto di progetti
pilota ovvero in stato di sperimentazione ma non realmente messo a regime sebbene
introdotto dalla normativa. Queste sperimentazioni sono oggetto di valutazioni siste-
matiche. Il fatto che questo insegnamento faccia parte dell’offerta formativa ordinaria,
non significa che coinvolga un elevato numero di alunni. Non abbiamo dati precisi, ma
sappiamo che il CLIL è diffuso in tutta l’Italia in poche scuole virtuose.
Le lingue straniere più diffuse nella metodologia CLIL sono Inglese, Francese e Tede-
sco, ma sono presenti anche Spagnolo, Russo, Sloveno ed altre lingue. Il CLIL nella scuola
pre-primaria è marginale, ma è offerto sopratutto a livello primario, secondario inferiore
e secondario superiore.
In generale la partecipazione ad un insegnamento secondo la metodologia CLIL, inte-
grato all’offerta educativa ordinaria, è aperto a tutti. Il CLIL è ispirato da due obiettivi. Il
primo è che gli alunni acquisiscano conoscenze specifiche nella materia di studio ed il
secondo, che essi acquisiscano competenze in un’altra lingua diversa dalla lingua madre.
In Italia, l’obiettivo primario che ha ispirato il CLIL è lo sviluppo della competenza lin-
guistica. Le materie insegnate attraverso il CLIL sono varie, ma in generale, nella scuola
primaria e secondaria di primo grado, sono:
–– scienze dell’arte;
–– geografia;
–– tecnologia.
Nella scuola secondaria di secondo grado sono:
–– storia;
–– biologia;
–– scienze;
–– economia.
Il minimo numero di ore dedicato all’insegnamento CLIL varia da scuola a scuola, ma
generalmente i progetti sono limitati a piccoli periodi dell’anno. Finora, per insegnare
secondo la metodologia CLIL non è stato necessario avere uno speciale diploma, ma le
scuole hanno provveduto alla formazione iniziale ed in itinere linguistica degli insegnanti.
265
ticolare, la metodologia CLIL viene introdotta nel terzo anno dei Licei Linguistici a partire
dall’a.s. 2012-‘13. Nei licei linguistici dal primo anno del secondo biennio è impartito
l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica, compresa nell’area
delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli in-
segnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti del contingente organico ad
esse assegnato, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie. Dal se-
condo anno del secondo biennio è previsto inoltre l’insegnamento, in una diversa lingua
straniera, di una disciplina non linguistica, compresa nell’area delle attività e degli inse-
gnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle
istituzioni scolastiche nei limiti del contingente organico ad esse assegnato, tenuto conto
delle richieste degli studenti e delle loro famiglie.
Un’ulteriore affermazione della metodologia CLIL è arrivata attraverso la recente ri-
forma c.d. «La Buona Scuola». La legge 107/2015, in riferimento alle iniziative di poten-
ziamento dell’offerta formativa e delle attività progettuali, per il raggiungimento degli
obiettivi formativi individuati come prioritari prevede al comma 7 punto a) la «valorizza-
zione e potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’ita-
liano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante
l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning» (CLIL).
Obiettivo del CLIL è portare gli studenti durante il proprio percorso di studi all’ap-
prendimento per la lingua straniera principale almeno al livello B2.
Il profilo del docente CLIL è caratterizzato dal possesso di competenze linguistico-
comunicative nella lingua straniera veicolare di livello C1 del Quadro Comune Europeo
di Riferimento per le lingue e da competenze metodologico-didattiche acquisite al ter-
mine di un corso di perfezionamento universitario del valore di 60 CFU per i docenti in
formazione iniziale e di 20 CFU per i docenti in servizio. Per la formazione del personale
docente di disciplina non linguistica (DNL) in servizio, il MIUR ha avviato un’azione di for-
mazione affidata alle Università, sia per l’acquisizione delle competenze metodologico-
didattiche, sia per l’acquisizione delle competenze linguistiche a partire dal livello B1 fino
al raggiungimento del livello C1 (QCER).
266
È poi necessario considerare il contesto dove si dovrebbe attuare la progettazione del
modulo sia in riferimento alla scuola sia in riferimento all’ambiente esterno. Si dovranno
considerare le decisioni organizzative «strutturali», gli aspetti organizzativo/metodologi-
ci ed infine, non meno importante, si dovrà prendere in considerazione in modo preciso
il programma da svolgere.
Per quanto riguarda le decisioni organizzative strutturali, il docente CLIL dovrà consi-
derare i destinatari (età, livello linguistico, motivazioni, aspettative ecc.) e il programma
che si vuole mettere in atto.
Il contenuto verrà scelto pensando anche al livello linguistico: è meglio scegliere con-
tenuti che si basano principalmente sulla comunicazione verbale e che sono per loro
natura più astratti solo dopo che ci sia una buona conoscenza della lingua straniera da
parte degli studenti; nel caso di materie che non fanno ricorso solo alla comunicazione
verbale possono essere usate anche in mancanza di una buona competenza linguistica
perché attraverso elementi extralinguistici quali i materiali visivi, grafici, diagrammi ecc.,
si possono trasmettere i contenuti della disciplina rendendo l’input comprensibile.
Un’altra variabile da considerare sono i docenti. Sarà un unico insegnante a portare
avanti il progetto, oppure saranno in due, di cui magari uno madrelingua. Ci sono altri
aspetti che devono essere considerati che riguardano l’organizzazione e la metodologia
del progetto. Per quanto riguarda la struttura didattica i docenti CLIL considereranno la
modalità più adatta all’insegnamento tra le seguenti alternative:
1. un insegnamento collaborativo tra il docente della disciplina e quello della lingua
nella programmazione e nella formulazione dei moduli e delle unità didattiche;
2. co-presenza dei due insegnanti;
3. insegnamento indipendente.
Inoltre si dovrà decidere se il gruppo classe sarà anagrafico oppure suddiviso per
competenza linguistica. I docenti CLIL prenderanno in esame anche le metodologie: dal-
le lezioni frontali, alle esercitazioni divise per gruppi, a coppie, individuali, l’uso del coo-
perative learning o altre strategie per fare in modo che l’insegnamento sia più efficace.
È inoltre necessario decidere come sarà l’alternanza della lingua madre con la lingua
straniera tra docenti e studenti: in caso di compresenza bisogna decidere se un insegnan-
te parla in italiano e l’altro in lingua straniera oppure se sono intercambiabili i loro ruoli;
in caso di non compresenza è da decidere se c’è una alternanza a seconda dei giorni di
lezione, al tipo di lezione, oppure se c’è una mescolanza e la stessa decisione riguarderà
analogamente l’uso della lingua straniera e della lingua madre da parte degli studenti. La
programmazione è sicuramente uno dei momenti fondamentali dell’attività dei docenti
per una organizzazione efficace del proprio lavoro. Il piano di programmazione contiene
l’indicazione dei contenuti disciplinari e dei tempi di attuazione di ogni unità didattica/
modulo, evidenzia i prerequisiti, stabilisce gli obiettivi cognitivi e le abilità di studio che
lo studente deve aver raggiunto alla fine di ogni segmento di lavoro.
Si sottolinea che, nel caso di una programmazione CLIL, entrambi i docenti (quello
della lingua straniera e quello della materia disciplinare):
–– selezionano i nuclei fondamentali delle proprie discipline;
–– stabiliscono gli obiettivi del corso/modulo/unità;
267
–– prevedono possibilità di cambiamenti in itinere (flessibilità);
–– formulano il piano di lavoro in comune sulla base delle proprie competenze;
–– prevedono le difficoltà.
Per quanto riguarda la valutazione, sarà importante stabilire delle prove che siano
adeguate in base agli obiettivi di contenuto e di lingua.
268
Capitolo 8 271
Content and Language Integrated Learning
Appendice
Esempio di un modulo di Diritto con la metodologia CLIL
Tenuto conto che la realtà socio-economico nella quale la scuola sorge abbraccia un’u-
tenza medio-bassa proveniente principalmente da paesini limitrofi, che non sempre ha
la possibilità di confrontarsi con realtà nuove e che tende a cogliere il «diverso» non
come una opportunità ma come un «estraneo», si ritiene necessario avviare nuove per-
corsi educativi finalizzati alla creazione di una coscienza civile.
La scelta della classe 2a (Linguistico) è dettata innanzitutto da una necessità di tipo curri-
culare: lo studio del diritto e dell’economia si ferma nella seconda classe. Pertanto se si
vuole creare un modulo CLIL Diritto/Inglese è necessario scegliere una seconda.
Per quanto concerne lo studio dell’inglese, si riscontra spesso negli alunni la difficoltà:
–– di produrre oralmente; si rende necessario pertanto privilegiare nei discenti quelle
attività di listening e speaking al fine di migliorare proprio queste abilità;
–– per quel riguarda invece lo studio del diritto, spesso esso viene considerato dai giova-
ni avulso dalla realtà. Per questo mostrando loro casi concreti e commentando eventi
della vita di ogni giorno si riesce a catturare meglio la loro attenzione e a promuovere
uno studio più approfondito della disciplina.
269
272 Libro Primo
Metodologie e tecniche della didattica
Inglese:
–– acquisire la terminologia specifica all’argomento trattato;
–– essere capaci di argomentare in maniera semplice sui contenuti disciplinari (speaking);
–– essere capaci di comprendere testi orali (listening) di diritto in lingua straniera.
Diritto:
–– riflettere sulla propria condizione di cittadino, diversa a seconda della cultura di ap-
partenenza;
–– conoscere i diritti fondamentali dell’uomo;
–– individuare gli impedimenti che precludono la realizzazione della persona umana;
–– conoscere le organizzazioni e associazioni internazionali che si battono per la tutela
dei diritti umani.
Interdisciplinarietà
Tempi previsti
Prerequisiti
Prerequisiti Inglese:
Strutture grammaticali e funzioni linguistiche livello A1 del Quadro di Riferimento Euro-
peo
Prerequisiti Diritto:
Il discente conosce le regole fondamentali della convivenza civile
270
Percorso didattico
Contenuti:
–– I diritti umani;
–– La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
–– Diritti civili, politici ed economici;
–– I diritti nella Costituzione italiana;
–– Unità di didattiche programmate: 5 U.D.
U.D. 2 Visione di una parte di un film in lingua inglese con sottotitoli relativo al tema (la
Vita è bella, La casa degli spiriti)
U.D. 5 Comparazione tra la Dichiarazione dei diritti umani e la Costituzione italiana, Di-
scussione e commento in classe sulla situazione dei diritti umani nel mondo
Competenze in uscita
271
Verifiche
In itinere:
–– il discente produce vignette che rappresentino un diritto negato.
Finale:
–– il discente descrive in L2 le vignette che rappresentano il diritto negato (che ha scelto
di disegnare e illustrare) e dimostra di riconoscere quale diritto è stato negato;
–– è inoltre in grado di risalire all’articolo della Costituzione e della Dichiarazione Uni-
versale dei Diritti Umani che prevedono il riconoscimento di tale diritto.
Pre-requisiti Inglese:
Strutture grammaticali e funzioni linguistiche livello A1 del Quadro di Riferimento Euro-
peo + alcune strutture grammaticali e funzioni nuove acquisite nel corso dell’anno
Pre-requisiti Diritto:
Conoscenza dei contenuti trattati nel modulo A
Percorso didattico
Contenuti:
–– Realizzazione e/o negazione dei diritti umani nel mondo;
–– L’ONU e le sue agenzie;
–– Associazioni non governative che si battono nel mondo per la tutela dei diritti: Am-
nesty International e Emergency.
U.D. 1 Visione di brevi filmati (speeches) in lingua originale (Nelson Mandela sull’Apar-
theid e Rudolph Giuliani sull’attentato alle Torri Gemelle) dai quali si evince la situazione
dei diritti umani nel mondo.
U.D. 2 Ricerca di personaggi che hanno lottato per la difesa dei diritti nel mondo (Martin
Luther King e Gandhi);
272
Ricerca studio ed approfondimento delle organizzazioni che nel mondo si battono per la
difesa dei diritti umani: ONU e le sue agenzie.
Competenze in uscita
Dovrà sapere:
–– comprendere un testo in inglese scritto e orale relativamente alle tematiche trattate;
–– argomentare oralmente in inglese quanto appreso;
–– fluency, accuracy e appropriacy appropriatezza registrata a questo livello.
Verifiche
In itinere:
–– ogni discente deve commentare in classe in lingua ed esprimere le proprie opinioni
sugli argomenti proposti.
Finali:
–– gli allievi relazionano in lingua sugli argomenti trattati. Seguendo un questionario
loro assegnato dovranno esprimersi in L2 e di rispondere alle domande. I criteri di
verifica comprenderanno: correttezza dei contenuti disciplinari nonché la fluency,
appropriacy e registrate a questo livello.
273
Capitolo 9
Il sistema di valutazione scolastico
Performance scolastica
Nel decreto di attuazione della legge 15/2009, il D.Lgs. 150/2009, la parola perfor-
mance diventa una delle parole chiave della riforma.
La performance è il contributo in termini di risultato e modalità di raggiungimento
del risultato che un sistema, unità organizzativa, team, singolo individuo, apporta
attraverso la propria azione al raggiungimento delle finalità e degli obiettivi ed, in
ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata co-
stituita.
275
Con la direttiva n. 74/2008 il MIUR ha definito le attività dell’INVALSI individuando,
fra le altre, due aree di intervento principali: la valutazione di sistema e la valutazione
delle scuole, oltre alla valutazione del personale scolastico, operando una comparazione
con gli altri paesi. L’istituzione delle attività di valutazione esterne sono state concepite
allo scopo di promuovere e sviluppare la cultura della valutazione nell’ambito della for-
mazione rivolta ai docenti e ai dirigenti, e di promuovere ricerche comparative a livello
internazionale sulle metodologie. La valutazione di sistema risponde alle finalità di ren-
dere trasparenti e accessibili all’opinione pubblica informazioni sintetiche sugli aspetti
più rilevanti del sistema educativo, e di offrire ai decisori politici ed istituzionali elementi
oggettivi per valutare lo stato di salute del sistema di istruzione e formazione.
Per la valutazione delle scuole l’INVALSI è chiamato a definire un modello in grado di
rilevare gli assetti organizzativi e le pratiche didattiche che favoriscono gli apprendimenti
degli studenti.
Il D.P.R. n. 80 del 28 marzo 2013 «Regolamento sul sistema nazionale di valutazione
in materia di istruzione e formazione» affida il coordinamento istituzionale del sistema di
monitoraggio all’INVALSI che ha il compito di definire i protocolli valutativi. Agli artt. 3, 4
e 5 si definiscono i compiti dell’INVALSI, dell’INDIRE e del corpo ispettivo e l’art. 6 norma
il procedimento della valutazione: si inizia con la raccolta dei dati delle scuole, elaborati
a livello nazionale e poi restituiti alle scuole. Con questi dati, i cui indicatori sono elabo-
rati dall’INVALSI, e altri raccolti autonomamente dalle scuole, ogni istituzione scolastica
elabora un rapporto di autovalutazione secondo un format predisposto dall’INVALSI, al
quale segue un piano di miglioramento. Il rapporto e il piano di miglioramento dovranno
essere inviati all’INVALSI che dovrà stabilire quali sono le scuole in difficoltà che saranno
visitate dai nuclei di valutazione (un ispettore e due esperti selezionati tra quelli inseriti
in un apposito albo) sulla base di protocolli definiti; gli istituti nazionali forniranno un
aiuto nella ridefinizione e attuazione del piano di miglioramento. Anche le scuole che
non sono in difficoltà potranno essere visitate dal nucleo di valutazione, sorteggiate a
campione. Il piano viene reso pubblico secondo il principio di rendicontazione sociale:
trasparenza e condivisione con il territorio. Al fine di potenziare il sistema di valutazione
delle scuole, previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica
28 marzo 2013, n. 80, la legge 107/2015 comma 143 ha autorizzato la spesa di euro 8
milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019 a favore dell’INVALSI. La spesa è desti-
nata prioritariamente:
a) alla realizzazione delle rilevazioni nazionali degli apprendimenti;
b) alla partecipazione dell’Italia alle indagini internazionali;
c) all’autovalutazione e alle visite valutative delle scuole.
Ai fini della rilevazione nazionale degli apprendimenti ogni anno scolastico vengono
somministrati nelle seconde e quinte elementari, prime e terze medie e in tutte le se-
conde superiori test preparati dall’INVALSI che servono, nelle intenzioni del Ministero
dell’istruzione, a valutare il livello di preparazione degli alunni italiani in italiano e ma-
tematica.
I test sono standardizzati a valenza nazionale per la rilevazione degli apprendimenti, i
cui esiti sono importanti perché si monitori il livello di apprendimento e di preparazione
276
degli studenti italiani su una scala macroeconomica, finalizzata a decidere quali interven-
ti migliorativi attuare e ove attuarli.
9.2 L’autovalutazione
La valutazione delle performance della scuola sono oggetto di osservazione da parte
degli utenti in quanto la ricerca valutativa interna garantisce un miglioramento continuo
del servizio offerto. L’instaurarsi di una relazione sempre più stretta fra didattica e valu-
tazione, intervenuta in questi ultimi anni, richiede non solo agli operatori della scuola ma
anche ai suoi destinatari finali, diretti ed indiretti, di partecipare al processo valutativo.
Il processo di valutazione interna meglio conosciuta come autovalutazione della
scuola circa gli effettivi bisogni e sulla qualità dei risultati formativi ha comportato l’uso
di indagini specifiche attraverso l’erogazione dei questionari rivolti a studenti, famiglie,
docenti, personale ATA. Il risultato di queste indagini diventa oggetto di interventi sco-
lastici di miglioramento da parte del dirigente scolastico e dei docenti operanti in quel
determinato contesto.
L’autovalutazione serve ad individuare i punti di debolezza dell’azione educativa per
definirne le priorità di cambiamento affinché la scuola possa offrire un servizio di qualità
volto a sostenere e facilitare il miglioramento educativo per uno sviluppo armonico di
tutte le potenzialità dell’allievo in formazione. La presenza di pratiche di autovalutazione
viene considerata in molti paesi europei un elemento di qualità da incoraggiare per mi-
gliorare i risultati ottenuti con la valutazione esterna.
La circolare MIUR n. 47/2014 in attuazione dell’art. 6 del D.P.R. n. 80 del 28 marzo
2013 ha previsto che le singole scuole procederanno all’inserimento delle rilevazioni
di loro competenza, e che queste vengano successivamente elaborate come indicatori
delle performance scolastiche (benchmark).
La circolare n. 47/2014 attua quanto previsto dalla direttiva n. 11 del 2014, la quale
prevede, sempre in tema di autovalutazione, che a partire dall’anno scolastico 2014-
2015 tutte le istituzioni scolastiche devono effettuare l’autovalutazione mediante l’anali-
si e la verifica del proprio servizio e la redazione di un Rapporto di autovalutazione con-
tenente gli obiettivi di miglioramento, redatto in formato elettronico. L’INVALSI sosterrà
i processi di autovalutazione delle scuole fornendo strumenti di analisi dei dati resi di-
sponibili dalle scuole, dal sistema informativo del Ministero e dalle rilevazioni nazionali e
internazionali degli apprendimenti; definirà un quadro di riferimento, corredato di indi-
catori e dati comparabili, per l’elaborazione dei rapporti di autovalutazione il cui format
è stato reso disponibile alle scuole nell’ottobre 2014. Il format che serve agli istituti sco-
lastici per produrre il loro primo Rapporto di autovalutazione è un documento articolato
in 5 sezioni che prevede 49 indicatori. Gli indicatori sono formulati dalla scuola nei campi
aperti, insieme a quelli proposti da INVALSI a tutte le scuole. Il format per il Rapporto di
autovalutazione (RAV) elaborato dall’INVALSI è il frutto di un lungo percorso di ricerca e
sperimentazione che parte dal 2008 e passa attraverso alcuni progetti (Valutazione e Mi-
glioramento, VSQ e VALES). Il format per il Rapporto di autovalutazione prevede che gli
istituti debbano analizzare il contesto in cui operano (popolazione scolastica, territorio
277
e capitale sociale, risorse economiche e materiali, risorse professionali), gli esiti dei loro
studenti (i risultati scolastici, ma anche quelli delle prove standardizzate, le competenze
chiave raggiunte e i risultati a distanza, vale a dire, fra l’altro, gli esiti nei cicli scolastici
successivi, l’eventuale prosecuzione degli studi universitari, l’inserimento nel mondo del
lavoro), i processi di organizzazione e gli ambienti di lavoro (dalla predisposizione e pro-
gettazione della didattica alla predisposizione degli ambienti di apprendimento passan-
do per l’integrazione con il territorio).
Il Sistema Nazionale di Valutazione si avvarrà di una piattaforma operativa unitaria
predisposta dai Servizi informativi del Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, in modo da poter gestire e coordinare il flusso delle informazioni e le elabora-
zioni dati provenienti dalle varie fonti; il Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca avvierà, in collaborazione con i soggetti del Sistema Nazionale di Valutazione,
piani di formazione per tutte le scuole, con particolare attenzione ai dirigenti scolastici.
Riordino dell’INVALSI
Il Decreto 213/2009 (art. 17, comma c), «Riordino degli enti di ricerca in attuazione
dell’articolo 1 della legge 27 settembre 2007, n. 165. all’art. 17 - Istituto nazionale
per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione», riporta:
278
Un aspetto ritenuto importante in ambito internazionale è l’attenzione agli alunni
con bisogni educativi speciali. Ad esempio tra i criteri della valutazione esterna sono
emersi criteri di valutazione sugli strumenti messi a disposizione in ciascuna scuola dagli
insegnanti in termini di cura e orientamento agli alunni a rischio di esclusione sociale.
L’INVALSI, in collaborazione con esperti nazionali ed internazionali provenienti dalla
scuola e dall’università che da anni si occupano di ricerca generale e didattica negli am-
biti oggetto di rilevazione, ha effettuato una ridefinizione dei quadri di riferimento per
la costruzione delle prove di verifica nell’ambito del Servizio Nazionale di Valutazione in
coerenza con quelli predisposti nell’indagine del programma dell’OCSE-PISA.
L’OCSE (Organizzazione Europea per la Cooperazione e lo Sviluppo) ha fra i propri
compiti quelli di:
–– verificare la corrispondenza fra i titoli di studio rilasciati nei paesi aderenti;
–– monitorare in modo costante l’area «risultati» (ad esempio, il livello di apprendimen-
to degli studenti nelle singole discipline), l’area «successo scolastico» (ad esempio, i
tassi di frequenza, i tassi di abbandono, la percentuale di alunni che completano l’i-
struzione secondaria superiore, la diffusione di corsi di educazione post-secondaria),
l’area «organizzazione scolastica» (ad esempio, la partecipazione dei genitori, le tu-
torship, la valutazione scolastica), l’area «risorse» (ad esempio, la spesa pubblica per
studente, la formazione dei docenti, il numero degli studenti).
Un contributo importante dell’OCSE è stato l’adozione del programma avviato nel
2000 Program for International Student Assessment (programma per la valutazione in-
ternazionale) conosciuto con il suo acronimo PISA.
Il PISA è una rilevazione/valutazione (a campione) estesa a 32 paesi europei ed
extraeuropei che mira a valutare le conoscenze e le competenze acquisite dagli studenti
al termine della scuola dell’obbligo. Ogni tre anni, a rotazione, vengono monitorate le
abilità linguistiche, matematiche e scientifiche.
L’indagine ha come scopo l’accertamento delle competenze dei quindicenni scolariz-
zati e il monitoraggio dei sistemi di istruzione.
Il PISA verifica in che misura i giovani che escono dalla scuola dell’obbligo abbiano ac-
quisito le competenze essenziali per svolgere un ruolo consapevole e attivo nella società
e per continuare ad apprendere per tutta la vita. Non si focalizza sulla padronanza di con-
tenuti scolastici curricolari, ma sulle capacità apprese nei diversi ambiti di socializzazione
per risolvere problemi e compiti analoghi a quelli che si incontrano nella vita quotidiana.
Gli ambiti di competenza considerati sono: la lettura (reading literacy), la matematica
(mathematical literacy) e le scienze (scientific literacy). Ad ogni ciclo di indagine il PISA
valuta tutti e tre gli ambiti ma ne approfondisce uno in particolare.
L’indagine tocca ambiti che hanno rilevanti implicazioni sul piano delle politiche edu-
cative. In che misura, ad esempio, la scuola aiuta i giovani ad affrontare la vita reale?
Quali fattori possono ottimizzare le opportunità di studenti socialmente svantaggiati?
Qual è l’impatto delle risorse scolastiche sul rendimento degli studenti?
In relazione ad un modello dinamico di apprendimento continuo (lifelong learning),
l’indagine considera non solo le conoscenze e le capacità acquisite, ma anche le motiva-
zioni e le strategie di apprendimento. L’indagine fornisce una serie di indicatori, compa-
279
rabili a livello internazionale, che forniscono informazioni circa i fattori, relativi alla pro-
venienza sociale e alla scuola, che influenzano l’apprendimento. Gli indicatori offrono ai
decisori pubblici un quadro di riferimento unico su cui basare le scelte di politica sociale
ed educativa. Il PISA è frutto di un lavoro di collaborazione che coinvolge l’OCSE, un grup-
po internazionale formato da 5 agenzie di ricerca, un gruppo di esperti internazionali e,
all’interno di ogni paese partecipante, il Ministro dell’Istruzione, istituti di ricerca, gruppi
di esperti e di lavoro, fino ai responsabili delle operazioni all’interno di ciascuna scuola
coinvolta nell’indagine. Le performance degli studenti italiani registrate dal PISA sono
risultate di media apprezzabilità, tali da sollecitare interventi di miglioramento.
In Italia i dati ufficiali sulle performance scolastiche sono quelli elaborati e pubblicati
dal MIUR, dall’ISTAT, dall’INVALSI. Alla valutazione di sistema concorrono i dati territoriali
risultanti dal monitoraggio, a campione, effettuato nelle scuole con periodicità seme-
strale da personale del Ministero o di enti convenzionati, che applica criteri standard
nazionali.
L’INVALSI, nell’ambito della costruzione del Sistema Nazionale di Valutazione, ha i
seguenti compiti:
–– lo studio e la predisposizione di strumenti e modalità oggettive di valutazione degli
apprendimenti e la cura dell’elaborazione e della diffusione dei risultati della valuta-
zione;
–– la promozione di periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti che interessa-
no le istituzioni scolastiche, l’istruzione e la formazione professionale, il supporto e
l’assistenza tecnica alle istituzioni scolastiche e formative anche attraverso la messa
a disposizione di prove oggettive per la valutazione degli apprendimenti finalizzate
anche alla realizzazione di autonome iniziative di valutazione e autovalutazione;
–– lo studio di modelli e metodologie per la valutazione delle istituzioni scolastiche e di
istruzione e formazione professionale e dei fattori che influenzano gli apprendimenti;
–– la predisposizione di prove a carattere nazionale per gli esami di Stato, nell’ambito
della normativa vigente;
–– lo svolgimento di attività di ricerca e la collaborazione alle attività di valutazione del
sistema scolastico al fine di realizzare iniziative di valorizzazione del merito anche in
collaborazione con il sistema universitario;
–– lo svolgimento di attività di ricerca, nell’ambito delle proprie finalità istituzionali, sia
su propria iniziativa che su mandato di enti pubblici e privati, assicurando inoltre la
partecipazione italiana a progetti internazionali in campo valutativo;
–– lo svolgimento di attività di supporto e assistenza tecnica alle Regioni e agli enti ter-
ritoriali per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio, valutazione e au-
tovalutazione.
L’INVALSI come menzionato precedentemente gestisce il Servizio Nazionale di Va-
lutazione del sistema educativo (SNV), effettuando «verifiche periodiche e sistematiche
sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta forma-
tiva». Le modalità operative del SNV sono state dettagliate con la direttiva MIUR n. 11
del 18 settembre 2014 in cui le prove INVALSI confluiscono nel sistema di monitoraggio
complessivo.
280
Le modalità di gestione delle prove SNV finalizzate al monitoraggio dei livelli di ap-
prendimento conseguiti nelle classi II e V primaria e I classe nella secondaria di l grado
sono contenute nella circolare del MIUR del 22 ottobre 2009, n. 86. La circolare ha di-
sposto la rilevazione obbligatoria su tutti gli studenti delle predette classi delle istituzioni
scolastiche, statali e paritarie, del primo ciclo di istruzione, nonché un controllo di qualità
sulle procedure di somministrazione. Fra gli obiettivi del monitoraggio SNV assume par-
ticolare importanza la valutazione degli apprendimenti dell’italiano e della matematica.
Il monitoraggio è stato costruito per rilevare il livello delle conoscenze di matematica
(numeri, spazio e figure, relazioni e funzioni, misure dati e previsioni) e di italiano (gram-
matica e comprensione del testo) di tutti gli studenti, in alcune classi considerate chiave
del percorso scolastico degli studenti italiani.
L’attività dell’INVALSI su cui è ancora aperta una forte contestazione riguarda il suo
ruolo nell’esame di Stato a conclusione del primo ciclo della scuola superiore. L’INVALSI
infatti predispone e valuta la terza prova scritta dell’esame di Stato nella scuola media.
Il punteggio riportato dai singoli alunni nella prova INVALSI, resa obbligatoria nell’an-
no scolastico 2009/2010, ha influito sul loro voto finale e ciò pone una questione di
natura docimastica: un test può essere adatto insieme alla valutazione comparativa na-
zionale del sistema scolastico e alla valutazione di studenti in sede d’esame? In sostanza,
commissioni d’esame di Stato formate dai docenti del Consiglio di classe hanno valutato
le prove di verifica facendo la media aritmetica, come se non conoscessero gli alunni,
e il sistema informatico ha elaborato il voto finale senza consentire la correlazione tra
l’esito delle prove e il percorso educativo e formativo dello studente (in questo computo,
meramente numerico, il voto di ammissione ha inciso solo per 1/7).
Un’altra perplessità è stata manifestata da coloro i quali temono che il ricorso ai test
standardizzati possa indurre gli insegnanti ad attuare una didattica utilitaristica, appiat-
tita sulle tecniche atte a superare i test, piuttosto che aperta a un sapere critico-proble-
matico.
281
Capitolo 10
Il sistema di valutazione degli alunni
283
qualità dei processi attivati e dei progressi riscontrabili nella formazione della perso-
nalità di ogni alunno.
La nota legge 59/1997 (all’art. 21 comma 9) recita: «L’autonomia didattica è fina-
lizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel
rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle
famiglie e del diritto ad apprendere. (…) si sostanzia nell’obbligo di adottare procedure
e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento
degli obiettivi». Il consequenziale D.M. 275/1999 prevede dei parametri generali per le
verifiche e modelli di certificazione.
Per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di
qualità del servizio, il Ministero della Pubblica Istruzione fissa metodi e scadenze per ri-
levazioni periodiche. Fino all’istituzione di un apposito organismo autonomo le verifiche
vengono effettuate dal Centro europeo dell’educazione, che verrà trasformato successi-
vamente nell’attuale INVALSI.
Con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione sono stati adottati i nuovi modelli
per le certificazioni. Essi indicano le conoscenze, le competenze, le capacità acquisite e i
crediti formativi riconoscibili, compresi quelli relativi alle discipline e alle attività realizza-
te nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa