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Introduzione
L’idea che una scuola di qualità debba porre al centro della propria attenzione le esigenze
diversificate di tutti gli allievi, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione attiva
di ognuno, si è andata sviluppando a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, alimentando la
ricerca di un orientamento educativo capace di includere tutti (Inclusive Education).
L’Inclusive Education è un modello teorico che nasce e si sviluppa come atto di indirizzo in materia
di istruzione ed educazione, supportato da organismi internazionali, prima fra tutti l’UNESCO.
Quando si parla di inclusione non ci si riferisce ad una scuola organizzata per soddisfare le richieste
degli allievi “tipici”, ma un sistema educativo che cerca di intercettare le differenze e le specificità
di ognuno.
È importante sottolineare, infatti, che con il termine inclusione non ci si riferisce più ai soli studenti
disabili ma a tutti quegli studenti con bisogni educativi speciali nell’ottica di una cultura inclusiva
che può trarre vantaggio e arricchirsi attraverso le differenze.
Si parla, in questo caso specifico, di BES (Bisogni Educativi Speciali) con cui si intende:
«L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla
presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione
per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici dell’apprendimento
(DSA) e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della
lingua italiana perché appartenenti a culture diverse».
Nei Bes rientrano anche le difficoltà che seguono la Legge 104 sulle disabilità (c’è bisogno di una
diagnosi medica), e che comporta la presenza dell’insegnante di sostegno.
I DSA, che sono tutelati dalla Legge 170 (prevedono un PEI 1):
- Dislessia
- Digrafia
- Disortografia
- Discalculia
1
PEI: Piano Educativo Individualizzato, utilizzato soprattutto con diagnosi per malattie come la Sindrome di Down.
Diverso dal PDP: Piano Didattico Personalizzato (fatto in base alla legge 170 e per tutti i ragazzi che hanno bisogni
particolari ma che non rientrano nella Legge 170: ADHD, disprassia, disturbi di comprensione, sindrome di Asperger,
ecc.).
ADHD: difficoltà di attenzione e iperattività.
Una scuola inclusiva è dunque una scuola che tiene conto dei bisogni di ogni singolo studente e
delle diverse personalità e capacità di apprendimento per far sì che essi possano sviluppare al
meglio le proprie capacità.
Occorre considerare le diversità come una condizione di base, un a priori, di cui tener conto per la
costruzione di ambienti in grado di accogliere tutti, collegandoli ad una dimensione sociale, ad un
sistema, e non come semplici deficit degli individui. Booth e Ainscow, (2002) sostengono che è
opportuno parlare di ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione, i quali non sono solo
ascrivibili agli individui e che, come tali bisogna cercare di rimuovere o di attenuare nella loro
valenza negativa. Non si tratta di includere gli allievi nella classe sostituendo solo il termine
integrazione con uno più accattivante, ma di rendere inclusivi i contesti, i metodi e gli
atteggiamenti per tutti. Non si tratta di indirizzarsi, dunque, a un allievo medio, per poi
aggiungere particolari percorsi personalizzati, ma di concepire, fin dall’inizio, una progettualità
rivolta a tutti, tenendo conto delle differenze, ma orientandosi a promuovere per ciascuno le
migliori opportunità per una crescita personale.
- Piano dei principi -> che sono non contestabili: tutti hanno diritto a una educazione
inclusiva.
- Piano organizzativo -> come posso organizzare la mia classe, la mia scuola, come posso
rendere più inclusivo il curricolo.
- Piano metodologico-didattico-> come si svolge questa inclusione?
- Piano dell’evidenza empirica-> dove ci chiediamo se l’inclusione funziona.
L’inclusione non è un tutto o niente. È un percorso che serve ad abbattere delle barriere.
Fare inclusione non vuol dire fare educazioni per uguali ma significa fare educazione per diversi.
E in primis gli insegnanti che devono occuparsi di questo sono quelli curricolari (quindi della
disciplina) altrimenti si crea esclusione. Deve diventare una condizione di tutti. Questo non esclude
la possibilità per il bambino di essere anche portato ogni tanto fuori dall’aula per fare delle attività
in maniera individuale.
Sul piano dei principi, l’orientamento inclusivo concerne il diritto di tutti gli individui, qualunque
sia la loro condizione, ad avare accesso all’istruzione all’interno di contesti comuni, non separati.
L’allievo con disabilità o altre difficoltà non è ospite nella scuola o nella classe, ma parte integrante
della stessa.
I principi espressi in questo ambito (che si rifanno alla Convenzione sui diritti delle persone
disabili) non sono connessi solo alla presenza di disabilità fisica, intellettiva, relazionale o
sensoriale, ma riguardano ogni persona, che in maniera, anche temporanea può correre il rischio di
esclusione, mirando alla eliminazione delle barriere di varia natura.
In base all’idea di diversità che poniamo alla base del nostro agire quotidiano nel contesto
scolastico avremo diversi tipi di modelli di riferimento per l’inclusione:
Il modello individuale vede la disabilità come un problema per il singolo su cui intervenire in
maniera specifica. È attento ai bisogni del singolo, da soddisfare con il ricorso quasi esclusivo a
figure dedicate (insegnanti specializzati) e spesso in contesti separati dalla classe, anche quando
questa separazione non appare giustificata da obiettivi di tipo didattico. Si ha una
deresponsabilizzazione del resto del corpo docente curricolare.
All’interno di questo modello si fa una distinzione tra menomazione (ha carattere permanente ed è a
livello organico o funzionale), disabilità (riguarda i limiti nello svolgimento delle attività secondo i
parametri considerati tipici) e handicap (situazione di svantaggio, che limita o impedisce, rispetto a
un normodotato.
Il modello sociale prende avvio dall’attivismo politico promosso da persone con disabilità,
soprattutto nei paesi anglosassoni, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, con l’intento di
opporsi alla visione della disabilità come deficit individuale o svantaggio causato da menomazioni
personali, per centrare l’attenzione sul ruolo disabilitante esercitato dalle barriere sociali. In tale
prospettiva è la società che deve essere ridisegnata affinché prende in considerazione i bisogni delle
persone con disabilità: i deficit biologici diventano disabilità perché la società non è attrezzata per
accogliere la differenza nei funzionamenti umani. In ambito educativo questo si traduce in
interventi mirati a rispondere ai bisogni di apprendimento di ciascuno, siano essi ordinari o speciali,
all’interno di classi flessibili (non si tratta di rimuovere i problemi ma di includerli in modo
organizzato e ben studiato).
Il Modello ICF si pone come anello di congiunzione dei due modelli precedenti, considerando
come elemento centrale il concetto di salute, che rappresenta un ideale che nessun individuo
sperimenta in maniera completa. Tale approccio prende in considerazione sia fattori personali
(funzioni e strutture corporee); sia quelli ambientali (contesto fisico e sociale).
Il Modello delle capacità formulato a metà degli anni Ottanta del secolo scorso dall’economista e
filosofo Amartya Sen, si basa sull’idea dello “star bene” (well-being) nel senso delle capacità che
ognuno ha di trasformare se stesso e l’ambiente in base ai risultati che intende conseguire. La
persona con disabilità ha quindi, come ogni altro essere umano, il diritto di scegliere come gestire la
propria vita e sviluppare le proprie potenzialità. Il benessere dell’individuo e la sua partecipazione
alla vita sociale diventano i pilastri di questo approccio. Gli interventi sociali che nascono sulla base
di tale modello saranno diretti non solo a compensare uno svantaggio, ma anche a incrementare la
capacità della persona di poter scegliere. Non si tratta quindi di superare delle disabilità quanto
piuttosto promuovere l’ampliamento delle possibilità di scelta, cioè la capacità dell’individuo di
autodeterminarsi (Cottini, 2015).
Il Piano organizzativo
Nel piano organizzativo ritroviamo l’ICF come sistema internazionale per misurare e classificare la
salute e la disabilità che ha contribuito ad attuare un cambiamento del modo di pensare l’altro, in
termini di parità reale tra persone che presentano abilità e disabilità diverse.
L’ICF fornisce una visione positiva dei deficit e delle menomazioni inserendole in una scala di
salute che riguarda tutti gli individui. In questo ambito non si parla più di menomazione ma di
attività e partecipazione sociale cioè le potenzialità che l’individuo ha di superare limiti ed ostacoli.
Si valuta quindi non più l’attenuazione di un comportamento-problema ma il miglioramento di
un’attività, cercando di conoscere la persona e non il suo deficit. Non si ottengono più diagnosi
cliniche ma Profili di funzionamento, in quanto lo scopo è descrivere la natura e la gravità delle
limitazioni del funzionamento e i fattori ambientali che influiscono su di esso. È per questo che ci si
serve di “qualificatori” i quali denotano l’entità del livello di salute o di gravità del problema in
questione.
Affinché una didattica sia realmente inclusiva essa deve tener conto dei bisogni di apprendimento
specifici di ogni singolo alunno (non solo di quelli con problemi effettivi) e rompere il circolo
vizioso che propone ancora una visione separata della didattica: da un lato, quella per la maggior
parte degli allievi; dall’altro quella per gli alunni con BES, definita, a seconda dei casi,
individualizzata (PEI) o personalizzata (PDP). Questa visione della didattica prevede la creazione
di un programma per la classe da modificare poi in maniera più o meno consistente per coloro che
non riescono a seguirlo compiutamente (I approccio).
2
L’UDL si sviluppa dall’Universal Design, nato negli Stati Uniti, il quale prevede «la progettazione di prodotti e
ambienti utilizzabili da tutti, nella maggior estensione possibile, senza necessità di adattamenti o ausili speciali».
Cottini, p. 85.
È importante invece tener conto del fatto che ogni alunno ha un proprio modo di apprendere e un
modo diverso di essere coinvolto e la scuola, per fornire apprendimenti significativi e raggiungere il
pieno successo formativo 3, deve considerare che:
- gli allievi tendono a percepire e a comprendere in maniera diversa le informazioni che
vengono loro sottoposte in base, ad esempio, a preferenze personali, stili specifici di
apprendimento ecc;
- gli allievi differiscono per le modalità con le quali procedono nell’apprendimento e nel
modo in cui sono in grado di dimostrare l’acquisizione di competenze e conoscenze;
- gli allievi esprimono modalità diverse di coinvolgimento in relazione a quanto sono motivati:
ad esempio c’è chi preferisce lavorare da solo e chi ama lavorare in gruppo (cooperative
learning).
In base a quanto appena detto il modo migliore di rendere l’apprendimento inclusivo per tutti è
quello di lavorare sui curricoli didattici 4 in modo tale da renderli flessibili fin dall’inizio (II
approccio) e in grado di adattarsi alle singole esigenze di ogni alunno. Seguendo l’approccio UDL
avremo infatti fin da subito degli adattamenti ai curricoli didattici in modo che risultino, da un lato,
maggiormente rispondenti alle esigenze particolari e, dall’altro, finiscano per costituire delle
opportunità qualitative per tutti.
In questo modo le esigenze particolari continuano ad esistere, ma la classe diventa sempre più un
ambiente nel quale sono considerate le caratteristiche particolari di ognuno.
Le tecnologie digitali rappresentano uno dei modi migliori e più economici e adattabili per gestire i
curricoli flessibili.
Il Piano metodologico-didattico
Su questo piano ci chiediamo come si svolge nel concreto l’inclusione, cioè quali sono le
metodologie e le pratiche didattiche più adatte.
Le caratteristiche degli approcci metodologici sui quali si fonda l’educazione inclusiva sono:
- clima e gestione della classe
- strategie cooperative
- strategie cognitive e metacognitive
- educazione socioemozionale e prosociale
- strategie specifiche di intervento rivolte ai bisogni speciali (Bes)
3
Cioè quando un allievo ha valorizzato in pieno le proprie potenzialità.
4
Adattare il curricolo didattico significa stimolare modalità diversificate di presentazione, analisi ed elaborazione delle
informazioni; sollecitare processi cognitivi e modelli di pensiero differenti; ricercare forme di coinvolgimento e di
motivazione capaci di orientare positivamente tutti verso gli apprendimenti significativi.
Strategie cooperative
Se l’insegnante favorisce un clima cooperativo, quindi favorisce le relazioni positive tra gli alunni,
implementando l’inclusione, avremo, da un punto di vista didattico:
- il Peer Tutoring
- il Cooperative Learning
Queste strategie didattiche consentono (così come sostengono i fautori del costruttivismo) una
costruzione collaborativa della conoscenza che facilita l’apprendimento in quanto gli uomini,
come sostiene Vygotskij, originano le loro funzioni mentali superiori attraverso in meccanismo
spiccatamente sociale 5 per poi interiorizzarsi.
In particolare, per quanto riguarda il Peer Tutoring si tratta di un’educazione fra pari, consiste nel
coinvolgimento di allievi in funzione di tutor, per favorire l’apprendimento dei compagni i quali in
questo modo, vengono ad assumere il ruolo di tutees.
I vantaggi sono:
- promuove processi inclusivi in quanto anche alunni disabili possono diventare tutor;
- permette di sviluppare un’educazione individualizzata perseguendo nello stesso tempo gli
obiettivi inclusivi
- consente un approccio individualizzato, dedicando maggior tempo al singolo allievo e alle
sue difficoltà nell’ambito delle attività didattiche;
- determina una forte motivazione in entrambi gli alunni coinvolti;
- fornisce più fonti di feedback e di correzione degli errori;
- aumenta le abilità comunicative degli allievi;
- potenzia l’autostima;
- potenzia le competenze sociali;
- vantaggi di tipo emotivo-motivazionale.
Per quanto riguarda il Cooperative Learning si tratta di un’interazione tra piccoli gruppi di
compagni (di solito da due a sei) 6 che lavorano insieme in vista del raggiungimento di un obiettivo
prefissato. Questo tipo di didattica crea un effetto sinergico in grado di produrre risultati superiori
alla somma degli sforzi individuali e delle capacità messe in campo dai singoli. I gruppi devono
essere formati secondo un criterio di eterogeneità in modo tale che diminuisce la possibilità di
sottrarsi dall’impegno sul compito e incrementa la responsabilità individuale.
5
L’apprendimento umano presuppone una specifica natura sociale e un processo atto a consentire ai bambini di far
propria la vita intellettuale di coloro che li circondano. (Cottini, p.143).
6
I gruppi di dimensione ridotta favoriscono la partecipazione attiva di tutti i compoenenti.
Inoltre si genera interdipendenza positiva per cui ogni membro si preoccupa non solo del proprio
rendimento , ma anche di quello dei compagni così da acquisire la consapevolezza che non è
possibile agire da soli: occorre cooperazione tra i componenti e un impegno da parte di tutto il
gruppo. Il cooperative learning ha, inoltre, una funzione di tipo metacognitivo 7.
Learning Together-> è la modalità più diffusa, l’insegnante definisce obiettivi, ruoli, struttura le
attività e monitora il lavoro degli allievi;
Complex Instruction-> per evitare che nei gruppi eterogenei il più bravo diventi sempre più bravo,
Cohen ha sviluppato la strategia dei “compiti complessi” che richiedono una serie di abilità diverse;
Student Team Learning-> punta sulla competizione tra gruppi omogenei di abilità (giochi di
squadra);
Group Investigation-> centrato sulla ricerca come modalità di apprendimento, l’insegnante
organizza laboratori e i gruppi sono interdipendenti;
Structural Approach-> prevede gruppi eterogenei organizzati in coppie per favorire l’interazione
simultanea.
Le strategie cognitive e metacognitive insegnano all’allievo i meccanismi con cui esso apprende e
come auto valutarsi e auto monitorarsi. Le strategie cognitive e metacognitive consistono in percorsi
didattici per favorire l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, supportando gli allievi
nell’organizzazione delle informazioni così da ridurne la complessità, e nel collegamento delle
stesse con quanto già padroneggiato. In particolare la metacognizione riguarda la consapevolezza ,
da parte del soggetto, dei propri processi mentali in atto nell’apprendimento. In altre parole il
bambino, ma anche lo studente più grande, impara gradualmente a usare strategie appropriate per la
risoluzione di un compito e, attraverso il feedback che riceve, apprende ad attribuire i successi
all’impegno e all’uso corretto di strategie e gli insuccessi al mancato utilizzo di strategie adeguate
(questo è alla base del problem solving).
Tale strategia si è rivelata molto utile anche nell’apprendimento di alunni con deficit di vario
genere.
7
Vedi più avanti.
Per quanto riguarda, in particolare, allievi con disabilità intellettiva ci sono due diverse teorie che
spiegano le difficoltà di memoria degli allievi:
- la prima sostiene la presenza di deficit strutturali (al livello del sistema nervoso centrale).
Secondo questo approccio le procedure educative sono poco efficaci;
- la secondo, invece, parla di deficit ascrivibili a processi di controllo per cui l’utilizzo di
insegnamento strategico e metacognitivo può rappresentare una modalità di aiuto al
difficoltoso processo di apprendimento. Tale approccio chiaramente deve unirsi a modalità
didattiche più semplici, centrate su training esercitativi e sul potenziamento della memoria
procedurale implicita.
Tra le proposte educative utili alla conoscenza delle strategie è importante parlare del clustering. Si
tratta di una strategia di organizzazione semantica in categorie e fa riferimento alla possibilità di
rievocare più facilmente del materiale quando lo stesso viene organizzato in gruppi di elementi che
appartengono a una stessa categoria (es. animali, abiti, ecc).
Un altro metodo per favorire e facilitare l’apprendimento è costituito dalle Flipped classroom
(“classi capovolte”) le quali si basano sull’idea che alcune delle attività connesse alla prima
comprensione e allo studio dei contenuti didattici possano essere effettuate a casa invece che a
scuola. Il semplice fatto che gli allievi possano studiare un argomento autonomamente attraverso un
video o atre modalità prima di affrontarlo in classe comporta degli interessanti vantaggi in quanto:
- hanno già in mente quello che si farà in aula;
- qualcuno arriverà a una buona comprensione dell’argomento e potrà essere d’aiuto per
spiegare a chi è più in difficoltà 8 (Peer tutoring);
- aiuta gli allievi a colmare il distacco tra le conoscenze già possedute e le nuove da acquisire
(Ausbel, 1978).
Negli allievi con Bes è molto importante il momento della valutazione poiché assume una funzione
orientativa sulle potenzialità di sviluppo e sulle prospettive di apprendimento (cioè si ritiene che i
nostri allievi possano acquisire in tempi abbastanza contenuti).
8
Questo momento è quello che più si presta all’attivazione delle forme di didattica inclusiva. Infatti, il minor ricorso
alla didattica frontale e il tempo più ampio a disposizione facilitano il supporto specifico ai singoli allievi da parte degli
insegnanti.
Sulla scorta di questi principi è stato elaborato il metodo funzionale della “doppia stimolazione”
per studiare le funzioni cognitive. La metodologia alla base di tale approccio consiste nel presentare
agli allievi, nel loro normale ambiente di vita (famiglia, scuola, ecc), un compito considerato al di
sopra delle loro possibilità del momento. A questo punto vengono offerti agli allievi nuovi stimoli
(suggerimenti e domande), e si osserva in che modo questi vengono utilizzati (se sono ignorati, se
consentono di portare a termine il compito o affrontarlo solo parzialmente). In questo l’insegnante
può rendersi conto di quali sono le potenzialità di sviluppo degli allievi.
Nello specifico Vygotskij (che parla appunto della “zona di sviluppo prossimale”, dove si
collocano le potenzialità non ancora espresse) utilizza i termini di abilità “emergenti” e “in corso di
maturazione” per descrivere come la valutazione dinamica della prestazione assistita dell’alunno
durante la collaborazione, ci informi di cosa egli stia apprendendo in questo momento e anticipi
quello che egli sarà in grado di fare in futuro.
I compiti che l’insegnante propone dovrebbero collocarsi in tale zona per motivare l’allievo e
favorire l’apprendimento (infatti se il compito è troppo complesso l’allievo tende a non portarlo a
termine in quanto si demoralizza).
L’educatore deve quindi stimolare l’alunno in modo che le sue potenzialità, non ancora espresse,
diventino evidenti e si evolvano; deve mediare e aiutare l’apprendimento del bambino, in modo
flessibile, concentrandosi sulla qualità di sostegno necessaria 9.
Attraverso cui gli allievi imparano a conoscere e controllare le proprie emozioni, leggere i bisogni
dell’altro, aiutare, essere solidali.
Nonostante l’inclusione prevede lo sviluppo delle potenzialità di ogni allievo in base alla propria
personalità, non bisogna dimenticare che è necessario mettere in campo strategie didattiche
specifiche che tengano conto delle diverse disabilità.
È inoltre importante che gli insegnanti possiedano conoscenze sulle diverse situazioni di disabilità e
le varie strategie didattiche e comportamentali da mettere in atto.
Per quanto riguarda l’analisi del comportamento ci rifacciamo all’Applied Behavior Analysis
(ABA) di Skinner, che propone una serie di piani e strategie di intervento per facilitare
apprendimenti funzionali e per ridurre comportamenti problematici.
In particolare avremo:
9
Wood, Bruner e Ross hanno utilizzato, per delineare questo concetto , il termine scaffolding (creare un’impalcatura).
artificiale (attraverso l’intervento del docente, prompts) per assumere via via un
atteggiamento più naturale (l’aiuto dell’insegnante viene meno, fading).
- - il modellaggio (shaping) e concatenamento (chaining). La prima è utilizzata per cercare
di ampliare i repertori di capacità degli allievi con gravi compromissioni cognitive,
facilitando la costruzione di nuove abilità; si basa sul rinforzo di comportamenti che man
mano si avvicinano a quello ricercato (comportamento-meta); il chaining è utilizzato per
l’insegnamento di abilità complesse costituite da sequenze di comportamenti ben delineabili
che richiedono un regolare susseguirsi di fasi (abilità di autosufficienza come ad es. vestirsi
o svestirsi).
- Video modeling, consiste nella presentazione di filmati che illustrano la modalità adeguata
di comportamento in certi contesti o la corretta esecuzione di azioni in funzione
dell’apprendimento di specifiche abilità seguita dall’imitazione dei comportamenti osservati
nel filmato (molto utile per bambini con sindrome autistica), esiste anche il video self-
modeling (i video vengono registrati sui comportamenti dello stesso allievo).
Su questo piano vengono inserite le analisi della ricerca che viene effettuata nel campo
dell’inclusione. Bisogna infatti capire se le procedure organizzative e le strategie didattiche adottate
per promuovere il successo formativo di ogni allievo nel contesto scolastico funzionano e risultino
realmente efficaci. Occorre avere dati attendibili per lo sviluppo a lungo termine dei sistemi
educativi finalizzati all’inclusione ad esempio attraverso la somministrazione di questionari per
valutare il livello di inclusività delle classi e delle scuole attraverso processi di autovalutazione
degli insegnanti e quesiti oggettivi.
Conclusione
È ancora troppo presto per dire con certezza e dati scientifici se in classi con soggetti disabili si
apprende meglio. Tuttavia si può affermare che l’esperienza diretta di soggetti “diversi” presenti in
aula favorisce una migliore predisposizione ad accettare positivamente la loro presenza in classe.
Questo porta a concludere che per favorire l’integrazione il metodo migliore è quello di farla vivere
direttamente alle persone.
Gli insegnanti sono ancora molto divisi sui risultati che un insegnamento inclusivo (e differenziato)
possa apportare reali benefici agli studenti “normali”.
Il coinvolgimento delle famiglie (parent training), attraverso specifici programmi, si è rivelato
molto importante per l’ottenimento di successi educativi.
Un ambiente accogliente dal punto di vista psicologico, nel quale ci sia rispetto per ognuno e
vengano privilegiate forme di collaborazione e condivisione degli obiettivi, è comunque alla base
della motivazione dell’apprendimento e determina risultati significativi.
Manuela Chimenti
Pedagogia Speciale
lezione del 06/04/2018
La pedagogia speciale si raccorda con la didattica speciale, vi e' una differenza notevole fra le due
anche in base ai ruoli che devono svolgere.
Il ruolo della pedagogia speciale e':
identificare i bisogni speciali delle persone (saperli leggere ed interpretarli)
delineare risposte adeguate per soddisfarli
Il ruolo della didattica speciale e' la disciplina con cui si elaborano in maniera sistematica, le teorie ed i
modelli trasferibili nella pratica didattica. Cio' assume un rilievo speciale nella integrazione dei BES.
La disabilita', in base alla costituzione, viene affrontata in maniera differente rispetto al modo di
affrontarlo negli altri paesi. Per cui si e' deciso, a livello internazionale, di condividere un lessico per
affrontare tali situazioni problematiche. Un aiuto e' venuto dalla scienza, in quanto ha permesso di:
a) definire le sindromi
b) stabilire dei protocolli diagnostici
Nel 1981, in UK, e' stato riconosciuta la nozione di BES. L'OCSE da allora ha individuato 3 categorie a
cui ricondurre i BES:
1. macrocategoria A(deficit o disabilita')
2. macrocategoria B (difficolta' emotive)
3. macrocategoria C (svantaggiati)
Lo stato italiano ha emanato una serie di leggi, decreti e direttive in materia di BES:
Legge n.170 dell' 08/10/2010, in cui sono stati formalizzati quali siano i disturbi di apprendimento riconosciuti
dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanita'): “ Art. 1 Riconoscimento e definizione di dislessia, disgrafia,
disortografia e discalculia 1. La presente legge riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia
quali disturbi specifici di apprendimento, di seguito denominati «DSA», che si manifestano in presenza di capacità
cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una
limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. 2. Ai fini della presente legge, si intende per
dislessia un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell'imparare a leggere, in particolare nella
decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura. 3. Ai fini della presente
legge, si intende per disgrafia un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione
grafica. 4. Ai fini della presente legge, si intende per disortografia un disturbo specifico di scrittura che si
manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica. 5. Ai fini della presente legge, si intende per
discalculia un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e
dell'elaborazione dei numeri. 6. La dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia possono sussistere
separatamente o insieme. 7. Nell'interpretazione delle definizioni di cui ai commi da 2 a 5, si tiene conto
dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche in materia.”
D.M. Del 12 Luglio 2011: pone delle linee guida per il disturbo allo studio di alunni e studenti con DSA. Tale
decreto e' stato stilato da esponenti della pedagogia speciale italiana: “ Art. 1 Finalità del decreto 1. Il presente
decreto individua, ai sensi dell’art. 7, comma 2, della Legge 170/2010, le modalità di formazione dei docenti e dei
dirigenti scolastici, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di
insegnamento/apprendimento fin dalla scuola dell’infanzia, nonché le forme di verifica e di valutazione per
garantire il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (di
seguito “DSA”), delle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione e nelle università. Articolo
2 Individuazione di alunni e studenti con DSA 1. Ai fini di cui al precedente articolo, le istituzioni scolastiche
provvedono a segnalare alle famiglie le eventuali evidenze, riscontrate nelle prestazioni quotidiane in classe e
persistenti nonostante l’applicazione di adeguate attività di recupero didattico mirato, di un possibile disturbo
specifico di apprendimento, al fine di avviare il percorso per la diagnosi ai sensi dell’art. 3 della Legge 170/2010.
2. Al fine di garantire agli alunni e agli studenti con disturbi specifici di apprendimento di usufruire delle misure
educative e didattiche di supporto di cui all’articolo 5 della Legge 170/2010, gli Uffici Scolastici Regionali
attivano tutte le necessarie iniziative e procedure per favorire il rilascio di una certificazione diagnostica
dettagliata e tempestiva da parte delle strutture preposte. 3. La certificazione di DSA viene consegnata dalla
famiglia ovvero dallo studente di maggiore età alla scuola o all’università, che intraprendono le iniziative ad essa
conseguenti.”
Direttiva del 27 Dicembre 2012: fa una panoramica degli alunni con BES. E' una normativa di intervento per
alunni con bisogni educativi speciali ed organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica. La pedagogia
speciale fornisce gli strumenti teorici per intervenire in tali casi. “... ogni alunno, con continuità o per determinati
periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi
psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta. Va
quindi potenziata la cultura dell’inclusione, e ciò anche mediante un approfondimento delle relative competenze
degli insegnanti curricolari, finalizzata ad una più stretta interazione tra tutte le componenti della comunità
educante. In tale ottica, assumono un valore strategico i Centri Territoriali di Supporto, che rappresentano
l’interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai Bisogni Educativi Speciali. Essi
pertanto integrano le proprie funzioni - come già chiarito dal D.M. 12 luglio 2011 per quanto concerne i disturbi
specifici di apprendimento - e collaborano con le altre risorse territoriali nella definizione di una rete di supporto
al processo di integrazione, con particolare riferimento, secondo la loro originaria vocazione, al potenziamento
del contesto scolastico mediante le nuove tecnologie, ma anche offrendo un ausilio ai docenti secondo un modello
cooperativo di intervento. Considerato, pertanto, il ruolo che nel nuovo modello organizzativo dell’integrazione è
dato ai Centri Territoriali di Supporto, la presente direttiva definisce nella seconda parte le modalità di
organizzazione degli stessi, le loro funzioni, nonché la composizione del personale che vi opera. Nella prima parte
sono fornite indicazioni alle scuole per la presa in carico di alunni e studenti con Bisogni Educativi Speciali. 1.
Bisogni Educativi Speciali (BES) L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile
esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale
attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o
disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché
appartenenti a culture diverse. Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene
sempre più evidente. Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene
indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs). Vi sono
comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello
svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. Per “disturbi evolutivi specifici” intendiamo, oltre i disturbi
specifici dell’apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria,
ricomprendendo – per la comune origine nell’età evolutiva – anche quelli dell’attenzione e dell’iperattività, mentre
il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo
specifico. Per molti di questi profili i relativi codici nosografici sono ricompresi nelle stesse categorie dei
principali Manuali Diagnostici e, in particolare, del manuale diagnostico ICD-10, che include la classificazione
internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e
utilizzata dai Servizi Sociosanitari pubblici italiani...” “ 2.1 I CTS - Centri Territoriali di Supporto: distribuzione
sul territorio I Centri Territoriali di Supporto (CTS) sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo
con il MIUR mediante il Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”. I Centri sono collocati presso scuole polo e la
loro sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li accoglie. È pertanto facoltà degli Uffici Scolastici
Regionali integrare o riorganizzare la rete regionale dei CTS, secondo eventuali nuove necessità emerse in ordine
alla qualità e alla distribuzione del servizio. Si ritiene, a questo riguardo, opportuna la presenza di un CTS almeno
su un territorio corrispondente ad ogni provincia della Regione, fatte salve le aree metropolitane che, per densità
di popolazione, possono necessitare di uno o più CTS dedicati... “
C.M. n.8 del 6 Marzo 2013 fornisce le indicazioni operative. “ AZIONI A LIVELLO DI SINGOLA
ISTITUZIONE SCOLASTICA Per perseguire tale “politica per l’inclusione”, la Direttiva fornisce indicazioni
alle istituzioni scolastiche, che dovrebbero esplicitarsi, a livello di singole scuole, in alcune azioni strategiche di
seguito sintetizzate. Fermo restando quanto previsto dall’art. 15 comma 2 della L. 104/92, i compiti del Gruppo di
lavoro e di studio d’Istituto (GLHI) si estendono alle problematiche relative a tutti i BES. A tale scopo i suoi
componenti sono integrati da tutte le risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola (funzioni
strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti alla comunicazione, docenti “disciplinari” con esperienza
e/o formazione specifica o con compiti di coordinamento delle classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in
regime di convenzionamento con la scuola), in modo da assicurare all’interno del corpo docente il trasferimento
capillare delle azioni di miglioramento intraprese e un’efficace capacità di rilevazione e intervento sulle criticità
all’interno delle classi. Tale Gruppo di lavoro assume la denominazione di Gruppo di lavoro per l’inclusione (in
sigla GLI) e svolge le seguenti funzioni: 1) rilevazione dei BES presenti nella scuola; 2) raccolta e documentazione
degli interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di azioni di apprendimento organizzativo in
rete tra scuole e/o in rapporto con azioni strategiche dell’Amministrazione; 3) focus/confronto sui casi, consulenza
e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle classi; 4) rilevazione, monitoraggio e
valutazione del livello di inclusività della scuola; 5) raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli
GLH Operativi sulla base delle effettive esigenze, ai sensi dell’art. 1, c. 605, lettera b, della legge 296/2006,
tradotte in sede di definizione del PEI come stabilito dall'art. 10 comma 5 della Legge 30 luglio 2010 n. 122 ; 6)
elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al
termine di ogni anno scolastico (entro il mese di Giugno)...”
C.M. n. 4233 del 19 febbraio 2014, in cui sono presenti le linee guida per l'accoglienza e l'ntegrazione degli alunni
stranieri.
C.M. n.2519 del 15 Aprile 2015 stabilisce le linee guida contro il bullismo ed il cyber-bullismo.
D.L. n.66 del 13 Aprile 2017 e' scaturito dalla legge delega 107 del 2015 sulla buona scuola. “... Art. 1 Principi e
finalita' 1. L'inclusione scolastica: a) riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli
studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate
allo sviluppo delle potenzialita' di ciascuno nel rispetto del diritto all'autodeterminazione e all'accomodamento
ragionevole, nella 4 prospettiva della migliore qualita' di vita; b) si realizza nell'identita' culturale, educativa,
progettuale, nell'organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche, nonche' attraverso la definizione e la
condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio;
c) e' impegno fondamentale di tutte le componenti della comunita' scolastica le quali, nell'ambito degli specifici
ruoli e responsabilita', concorrono ad assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e
degli alunni, delle studentesse e degli studenti. 2. Il presente decreto promuove la partecipazione della famiglia,
nonche' delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale. Art. 2
Ambito di applicazione 1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano esclusivamente alle bambine e ai
bambini della scuola dell'infanzia, alle alunne e agli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di
primo grado, alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria di secondo grado con disabilita' certificata ai
sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di promuovere e garantire il diritto all'educazione,
all'istruzione e alla formazione. 2. L'inclusione scolastica e' attuata attraverso la definizione e la condivisione del
Piano Educativo Individualizzato (PEI) quale parte integrante del progetto individuale di cui all'articolo 14 della
legge 8 novembre 2000, n. 328, come modificato dal presente decreto. ...”
Che cosa sono i BES? Una macrocategoria che comprende dentro di se' tutte le possibili difficolta'
educativo-apprenditivo. E' una difficolta' evolutiva causata da un funzionamento problematico per il
soggetto in termini di:
danno, ostacolo al suo benessere
limitazione della sua liberta' e stima sociale, indipendente dall'eziologia (bio-strutturale,
familiare, ambientale, culturale, etc..) e che necessita di educazione individuale
specializzata
La pedagogia speciale e la didattica speciale sono due rami scientifici che attraverso la ricerca e la
sperimentazione, pervengono da modelli operativi offerti ai docenti affinche' possano intervenire su
quei fenomeni. Gli insegnanti traggono spunto dai suggerimenti teorici e danno vita alla didattica che
possa aiutare gli alunni che presentano dei problemi. Ogni alunno e' unico ed irripetibile anche
all'interno di quel quadro/modello operativo. Il docente puo' assumere alcune nozioni, informazioni dai
modelli, ma e' egli stesso ricercatore e si chiede quali azioni poter compiere per poter favorire l'alunno
disabile, ad apprendere.
Esistono i seguenti tipi di didattica:
esponenziale
metacognitiva
speciale (e qui entra in gioco il docente specializzato)
Per la macrocategoria A, in base alla legge, e' previsto l'affiancamento del docente curricolare con il
docente specializzato.Quando la normativa non prevede il supporto dell'insegnante di sostegno, deve
essere il docente curricolare ad affrontare la situazione di un BES, per tale motivo il docente deve
essere competente, perche', una volta che si trovera' davanti ad un alunno con difficolta', non potra'
pensare da “disciplinarista”, perche' ci si trova di fronte ad un soggetto con dei bisogni particolari e non
ci si puo' approcciare col metodo classico.
Le discipline, la cultura, la conoscenza, sono le chiavi di lettura della realta', quindi bisogna permettere
a tutti dipoter essere utilizzate per, appunto, affrontare la realta' quotidiana e la vita. Il piano educativo
individualizzato (o PEI) e' l'attivita' curriculare dei BES e deve essere proposta da:
1. consiglio di classe per la macrocategoria A
2. docente per le macrocategorie B e C, per cui spetta al docente disciplinarizzato e specializzato
capire quali azioni compiere.
Come andiamo ad interpretare l'alunno oggi rispetto al passato? Centrale e' il concetto di
funzionamento educativo ed apprenditivo, che e' il risultato globlae delle reciproche influenze
esercitate durante il percorso educativo ed evolutivo da:
condizioni fisiche (distanza biologica, crescita del corpo)
contesti in cui l'alunno cresce (ambiente ed esperienza)
caratteristiche personali (autostima, identita', motivazione, etc..)
Fra i banchi di scuola, si vengono a creare processi importanti che aiutano a sviluppare l'autostima, etc..
Gli alunni che evidenziano un bisogno educativo speciale, non sempre sono quelli in possesso di una
certificazione, ma nel concetto di BES rientrano tutti i disturbi/difficolta' di apprendimento,
comportamento ed altre problematicita' riconducibili a ragioni psicologiche ed ambientali. A cause
endogene ed esogene che compromettono il funzionamento apprenditivo dello studente. Puo' capitare
un momento nel corso dell'anno scolastico, in cui un alunno che fino a quel momento non aveva mai
manifestato alcuna caratteristica BES, presenti delle difficolta' nell'apprendimento, dei tratti BES,
dovute, ad esempio, ad un lutto, ad un disagio fisico e/o psicologico.
I BES sono anche espressi in termini generazionali: la formazione e' utile per sviluppare la mente, per
formare le chiavi di lettura della realta'. La formazione non sefve solo a trovare lavoro, ma e' necessaria
per l'affermazione della persona umana che non avra' difficolta' nel rapporto con gli altri. Per cui la
formazione e' un diritto e va garantita a tutti.
Il concetto di Bisogno Educativo Speciale, si basa su una visione globale della persona con riferimento
al modello ICF della classificazione internazionale del funzionamento, disabilita' e salute (International
Functioning, disability and health) fondata sul profilo di funzionamento e sull'analisi del contesto,
come definito dall'OMS nel 2002.
Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della stessa. A
differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio alla
descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia, menomazione ed
handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a situazioni di deficit)
nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che analizzano la salute dell’individuo in
chiave positiva (funzionamento e salute).
L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra
salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un
ambiente sfavorevole.
L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le
persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della
loro vita.
Il concetto di disabilità introduce ulteriori elementi che evidenziano la valenza innovativa della
classificazione: universalismo, approccio integrato e modello multidimensionale de funzionamento e
della disabilita'. L'applicazione universale dell' ICF emerge nella misura in cui la disabilità non viene
considerata un problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma un’esperienza che
tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. L’OMS, attraverso l’ICF, propone un modello di
disabilita' univresale applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile.
L'appreoccio integrato della classificazione si esprime tramite l’analisi dettagliata di tutte le
dimensioni esistenziali dell’individuo,poste sullo stesso piano, senza distinzioni sulle possibili cause.
Il concetto di disabilità preso in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole
evidenziare non i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita delle persone, ma
vuole essere un concetto inserito in un continuum multidimensionale. Ognuno di noi può trovarsi in un
contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone come
classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se, ad
esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza se la causa del suo
disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale
costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità.
La direttiva del 27 Dicembre 2012 sposta l'attenzione dalle procedure di certificazione all'analisi dei
bisogni di ciascuno studente ed estende in modo definitivo a tutti gli studenti in difficolta' il diritto, ed
il dovere per tutti i docenti, alla personalizzazione dell'apprendimento, anche attraverso il diritto ad
usufruire di misure dispensative e strumenti compensativi, nella prospettiva di una presa in carico
complessiva ed inclusiva di tutti gli alunni. In questo senso ogni alunno, con continuita' o per diversi
periodi, puo' manifestare bisogni BES per motivi fisiologici, fisici, biologici, psicologici, sociali,
rispetto ai quali e' necessario che la scuola offra una risposta adeguata e personalizzata. Va quindi
potenziata la cultura dell'inclusione anche mediante un approfondimento delle relative competenze
degli insegnanti curricolari, finalizzata ad una piu' stretta interazione tra tutte le componenti della
comunita' educante. C'e', quindi, da interrogarsi sulla cultura dell'inclusione: se noi siamo convinti di
tale cultura, allora siamo portatori di tale cultura e ci permette una stretta integrazione fra tutti i
componenti della comunita' educante. Con la cultura dell'inclusione, diventiamo “empatici” con lo
studente disabile e la funzione del docente, che si identifica nei bisogni o nel modo di essere e sentire
dello studente disabile, diventa una funzione “servente”, cioe' fino a che punto il docente gli serve o
non gli serve.
Ricordiamo il concetto di alunno come soggetto unico ed irripetibile, anche avere caratteristiche BES e'
prova del nostro essere unici ed irripetibili. La disabilita' e' una condizione della natura umana che si
puo' verificare in qualsiasi momento della nostra vita (dal concepimento all'eta' senile).
La scuola inclusiva
Costruisce un contesto che permette a tutti gli alunni, tenendo conto delle loro diverse caratteristiche
sociali, biologiche e culturali, non solo di sentirsi parte attiva del gruppo di apprtenenza, am anche di
raggiungere il massimo livello possibile in fatto di apprendimento. In una prospettiva di inclusione non
solo scolastica, ma anche sociale, la sfida da vincere e quindi, l'individuazione dei bisogni diventa piu'
complessa, in quanto gli stessi diventano ancora piu' speciali non solo in relazione al deficit, ma anche
in relazione alle richieste che l'ambiente pone ad ogni soggetto. I siatemi classici di classificazione non
valorizzavano i termini “partecipazione”, ma si fermavano su aspetti noziologici (malattia, etc..). L'ICF
si basa, come riportato precedentemente, sui concetti funzionali del corpo e del suo funzionamento.
La sindrome di Down
La sindrome di Down non e' una malattia e non puo' essere curata. E' una caratteristica della persona,
che la accompagna per tutta la vita. E' una condizione caratterizzata dalla presenza, nel patrimonio
genetico individuale, di tre copie , anzicche' due, del cromosoma 21, per cui e; una condizione genetica.
Questo particolare assetto cromosomico comporta un ritardo di grado variabile dello sviluppo mentale
e fisico della persona. Esistono tre tipi di anomalie cromosomiche responsabili della sindrome di
Down:
1. trisonomia libera: e' la sindrome piu' frequente e consiste nell'avere in tutte le cellule
dell'organismo 3 cromosomi 21, invece di 2. Cio' vuol dire che il soggetto, invece di avere 46
cromosomi (23 da parte della madre e 23 da parte del padre), ne ha 47.
2. trisonomia della traslocazione: avviene quando una parte del cromosoma 21 si stacca e si
attacca ad un altro cromosoma, modificando in tal modo, il cromosoma genetico.
3. Mosaicismo: e' la condizione piu' rara e prevede la presenza, nell'organismo della persona
affetta, sia di cellule normali con 46 cromosomi, sia cellule con 47 cromosomi. Di conseguenza,
l'andamento alternato prende il nome di mosaicismo. Tale situazione (si presume) deriva da una
mutazione avvenuta in alcune cellule dell'embrione durante le prime fasi dello sviluppo.
L'effetto finale delle tre anomalie e', in ogni caso, identico” nelle cellule dei vari organi, il cromosoma
21 e' presente in triplica copia, configurando la sindrome di Down.
Non e' ancora possibile riconoscere con precisione a cosa siano dovute le alterazioni cromosomiche che
portano alla sindrome di Down. L'esposizione dei genitori, in particolar modo della madre, a diversi
fattori di rischio chimico-fisico (quali residenza in zone prossime a discariche, esposizione a radiazioni
ionizzanti, tabagismo o uso di contraccettivi orali). Si ritiene, in generale, che l'insorgenza delle
anomalie cromosomiche sia un fenomeno “naturale”, in qualche modo legato alla fisiologia della
riproduzione umana. Comunque, il principale fattore di rischio sembra essere l'eta' materna al momento
del concepimento. Esistono due tipi di test che possono essere eseguiti prima della nascita del bambino:
test di screening (esame del sangue ed ecografia)
test diagnostici per la sindrome di Down prelievo dei villi coriali, esame del sangue
cordonale ed amniocentesi)
Possono essere dati suggerimenti sulla inclusione degli alunni con sindrome di Down.
L'eziologia
E' quella parte della scienza che si occupa di ricercare le cause che provocano ogni singola malattia o
patologia. Per tali sindromi, l'eziologia studia:
- le cause biologiche:
genetiche
prenatali
perinatali
postnatali
- associazione con l'autismo
Le cause acquisite sono:
1. Rischi prenatali: rosolia, toxoplasmosi, sifilide, citomegalovirus, HIV; incompatibilita' del
sangue materno e fetale; malnutrizione materna; tossicita' in gravidanza da uso di tabacco,
droghe, medicinali, alcool; malformazioni del sistema nervoso centrale (malformazioni SNC)
2. Rischi perinatali: prematurita' ed asfissia
3. Rischi postnatali: encefalite, meningite; traumi e tumori celebrali; cause cerebrovascolari
4. Lesioni cerebrali
Esistono degli indicatori precoci di rischio, che possono essere elencati, come di seguito:
familiarita' per DI
Sofferenza perinconatale/prematurita'
ritardo acquisizione motorie e linguistiche (ad esempio produzione linguistica inferiore a 10
parole a 24 mesi)
immaturita' gioco simbolico
significative difficolta' nel percorso di apprendimento scolastico
dipendenza dalle figure genitoriali
Gli esami diagnostici per rilevare tali deficit sono: prima di tutto una anamnesi accurata e l'analisi
dell'albero genealogico, poi l'esame dismorfologico pediatrico, l'osservazione delle curve di crescita,
l'esame neurologico, lo screening su vista ed udito, L'RMN encefalo, la TAC o RX al cranio, una
valutazione genetica con cariotipo, X-fragile, studio per anomalie subtelomeriche, ed infine lo
screening metabolico (acidi grassi urinari, aminoacidi sierici/urinari, acido lattico sierico, ammoniemia,
emogasanalisi, funzione tioridea).
Una diagnosi precoce consente di identificare precocemente i percorsi di follow-up medico-
riabilitativo, di mettere in atto degli interventi mirati sfruttando la plasticita' massima nei primi 5 anni
di vita, e spesso evita problemi comportamentali secondari a difficolta' nel comprendere le cause delle
difficolta' di soggetti.
L'AUTISMO
E' il disturbo pervasivo dello sviluppo piu' largamente conosciuto (PDD). Nel DMS-5 del 2013, sono
stati introdotti diversi cambiamenti, per cui i criteri diagnostici autistici si differenziano notevolmente
rispetto a quelli del DSM-4:
DSM-4 DSM-5
Si parlava di d”Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” che si Prima categoria “ Disturbi dello Spettro Autistico (ASD)”:
distinguevano in: distubo autistico, di Asperger, disintegrativo della
fanciuillezza, dello sviluppo non specificato.
disturbo autistico
disturbo di Asperger La sindrome di Rett, che viene posta fra I disturbi
disturbo disintegrativo della fanciullezza (o neurologici.
disturbo di Heller)
disturbo disintegrativo dello sviluppo non Disturbo della comunicazione sociale: le cui caratteristiche
altrimenti specificato si sovrappongono parzialmente con quelle dello spettro
sindrome di Rett autistico,poiche' la diagnosi di disturbo della comunicazione
richiede la presenza di una “menomazione del linguaggio
pragmatico” e di una “menomazione nell'uso sociale della
comunicazione verbale e non-verbale”, tuttavia la presenza
di interessi rigidi e ripetitivi e' un criterio di esclusione per
questa diagnosi ed un criterio essenziale per la diagnosi
dello spettro autistico.
Il Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell'interazione sociale in diversi contesti e'
manifestato da tutti e tre i seguenti punti:
deficit nella reciprocita' socio-emotiva che va da un approccio sociale anormale e insuccesso
nella normale conversazione (botta e risposta) attraverso una ridotta condivisione di interessi,
emozioni, percezioni mentali e reazioni, fino alla totale mancanza di iniziativa nell'interazione
sociale
deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l'interazione sociale, da una scarsa
integrazione delle comunicazioni verbali e non verbali, attraverso anormalita' del contatto
oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell'uso della comunicazione
non verbale, fino alla totale mancanza di gestualita' ed espressivita' facciale
deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate a livello di sviluppo (non
comprese quelle con i genitori ed i caregivers), che vanno da difficolta' nell'adattare il
comportamento ai diversi contesti sociali attraverso difficolta' nella condivisione del gioco
immaginativo e nel fare amicizie fino all'apparente assenza di interesse per le persone.
Il Pattern di comportamenti, interssi o attivita' ristretti e ripetitivi sono manifestati attraverso almeno
due dei seguenti punti:
1. linguaggio, movimenti o uso stereotipato o ripetitivi, come semplici stereotipie motorie,
ecolalia, uso ripetitivo di oggetti o frasi idiosincratiche
2. eccessiva fedelta' alla routine, comportamenti verbali e non verbali riutilizzati o eccessiva
riluttanza ai cambiamenti: rituali motori, insistenza a fare la stessa strada o mangiare lo stesso
cibo, domande incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti
3. interessi altamenti ristrtti e fissati, anomali in intensita' ed argomenti: forte attaccamento o
interesse per oggetti insoliti
4. iper o ipo-reattivita' agli stimoli sensoriali o interessi insoliti versoaspetti sensoriali
dell'ambiente: apparente indifferenza verso caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o
consistenze specifiche, eccessivo annusare o toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti
roteanti
I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia: possono non diventare completamente
manifesti, finche' le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacita'.
L' insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano.
I 3 limiti di gravita':
Livello 3: richiede supporto molto sostanziale perche' sono presenti gravi deficit nella comunicazione
sociale, verbale e non verbale. Sono presenti comportamenti ristretti e ripetitivi che interferiscono
marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere.
Livello 2: richiede supporto sostanziale in quanto vi e' un deficit marcato nella comunicazione sociale,
verbale e non verbale. L'impedimento sociale appare evidente anche quando e' presente supporto,
iniziativa limitata, preoccupazioni, rituali fissi e ripetitivi, stress e frustrazioni appaiono quando
vengono interrotti ed e' difficile ridirigere l'attenzione.
Livello 1: richiedono supporto. Hanno una comunicazione sociale senza supporto, i deficit nella
comunicazione causano impedimenti che possono essere notati, il soggetto ha difficolta' ad iniziare
interazioni sociali, rituali ed interessi ripetitivi causano interferenze significative in uno o piu' contesti.
Le indagini statistiche indicano che l'autismo tende a riguardare una percentuale sempre piu' alta della
popolazione mondiale. Per fronteggiare i problemi che tale sindrome comporta, sono stati elaborati
alcuni programmi di intervento che suggeriscono determinate tecniche da utilizzare. Tali tecniche si
differenziano sulla base delle teorie alle quali si ispirano e che interpretano il disturbo autistico
assumendo un'ottica particolare, e possono essere raggruppate in base all'approccio al problema:
approccio psicodinamico (riconducibile alla teoria psicoanalitica)
approccio che enfatizza gli aspetti biochimici coinvolti nell'autismo, sfociando nella proposta
della somministrazione di farmaci per contenere i sintomi maggiormente disturbanti, quali
iperattivita', aggressivita', autolesionismo, ansia
approccio di tipo cognitivo-comportamentale che si ispira agli studi di Skinner (1953) e di
Wolpe (1859), i cui principi sono considerati validi ai fini della modificazione dei
comportamenti inappropriati e socialmente problematici.
Programma TEACCH
Il programma TEACCH o trattamento ed Educazione di bambini con Autismo ed handicap nella
Comunicazione, e' un programma di stato sorto intorno agli anni '60, nell'ambito del Dipartimento di
Psichiatria dell' Universita' della Carolina del Nord, e si e' esteso progressivamente in tutta l'America,
in Asia, in Giappone, in Belgio ed in UK.
Questo programma muove dal presupposto che per ogni caso necessita adottare un trattamento
individualizzato, basato su una valutazione diagnostica e funzionale che permette di acquisire dati
relativi al livello di sviluppo ed alle capacita' dei bambini. Nel processo valutativo devono essere
coinvolti gli insegnanti, i genitori e tutte le figure che ruotano attorno al bambino. In altre parole, e' la
valutazione che permette la realizzazione di un PEI; a livello diagnostico, avviene con la
somministrazione di test sull' intelligenza e sullo sviluppo. Gli strumenti di analisi, costruiti
appositamente da Chapel Hill e distribuiti in tutto il mondo, sono il PEP/R-Psyco-educational Profile
Revised e l' AAPEP-Adolescent and Adult Psyco-educational Profile che, utili alla valutazione
funzionale dello sviluppo, forniscono dati relativi al funzionamento di importanti aree, quali
imitazione, percezione, attivita' fino-motorie, integrazione occhio-mano, prestazione cognitivo/verbale.
Il PEP/R serve, in maniera specifica, ad identificare i livelli di cooperazione ed interesse nei riguardi
del materiale usato, i livelli di linguaggio e i modi sensoriali. L' AAPEP fornisce, invece, una
valutazione delle abilita' effettive e potenziali possedute dagli adolescenti e dagli adulti autistici.
PEDAGOGIA SPECIALE (Prof. Cottini)
Prima lezione (23/04 mattina)
Testo consigliato: DISATTICA SPECIALE E INCLUSIONE LUCA SCOLASTICA (L. Cottini)
Il tema che tratteremo è quello della pedagogia e didattica speciale dell'inclusione, quindi innanzitutto ci
chiediamo: che cos'è l'inclusione? Come interviene nell'attività che sviluppiamo nelle nostri classi?
Con l'inclusione dovremo tutti fare i conti, qualsiasi disciplina si insegna, perché le classi sono popolate da
diversità abbastanza consistenti e con le quali è necessario fare i conti sia che si svolga la professione di
insegnante curricolare che quella di insegnante specializzato per il sostegno. Quindi, cercheremo di
affrontare questi temi in maniera abbastanza precisa mettendo in campo diversi elementi.
Innanzitutto cerchiamo di entrare in questo tema: INCLUSIONE.
Il percorso dell’integrazione scolastica ha più di 40 anni: inizia con la legge 517 del 1977 che in pratica ha
abolito le scuole speciali e le classi differenziali. Si è parlato per molti anni di integrazione scolastica,
pensando soprattutto agli allievi con disabilità, adesso invece si parla di inclusione.
Per prima cosa, per affrontare il tema dell'inclusione, dobbiamo un po' chiarire se con integrazione e
inclusione stiamo parlando dello stesso concetto e abbiamo solo fatto un innovazione terminologica, ma
abbiamo mantenuto assolutamente inalterata la sostanza, oppure se il passaggio dall'integrazione
all'inclusione anche dal punto di vista concettuale ci proietta su una dimensione differente. Questo è il punto
che dobbiamo chiarire: abbiamo fatto solo un cambiamento terminologico, oppure anche dal punto di vista
concettuale c’è qualcosa di diverso? Poi, una volta appurato questo, cercheremo di vedere perché
l’inclusione è così importante per tutti gli insegnanti e non si può fare a meno di queste tematiche.
L’inclusione ci porta a rendere più inclusivo il curricolo. Es: insegno matematica, insegno storia, insegno
educazione fisica, musica qualsiasi altra disciplina, come posso rendere più inclusivo il mio curriculo? In
modo che sia maggiormente in grado di impattare le diversità che ho nella mia classe. Nella classe non ho
solo gli allievi con disabilità, ma ho una popolazione variegata, dove spesso quello che è difficile trovare
sono i normali; nel senso che possiamo chiederci: qual è la norma? E’ la diversità la norma perché abbiamo
la disabilità, poi abbiamo i disturbi specifici dell'apprendimento, i disturbi emozionali, le difficoltà legate a
condizioni anche di svantaggio socio-culturale, poi abbiamo coloro che hanno una plus-dotazione, cioè
sono molto dotati, quelli che dopo un quarto d'ora sono già stanchi magari perché hanno già fatto il percorso
degli altri perché sono molto più dotati, altri che hanno disturbi della condotta ADHD e disturbi
dell'attenzione con iperattività, cioè abbiamo veramente a che fare con una popolazione molto differente e
quindi dobbiamo farci i conti.
Quindi qual è sostanzialmente la differenza fra integrazione e inclusione?
Abbiamo parlato di integrazione considerando l’integrazione scolastica soltanto per la popolazione di
persone con disabilità, quelli con una certificazione secondo la legge 104 del ‘92.
Ma qual è la logica dell'integrazione? La logica dell’integrazione è stata sempre quella di considerare la
persona con diversità, in quel caso con disabilità, e si cercava vedere come poterla accogliere all'interno
delle nostre classi. Però sostanzialmente la logica che è stata seguita è quella dell'ospite. Cioè ho un ospite
in casa mia, cerco di essere accogliente il più possibile (in alcuni casi sono stati ospitati molto bene In altri
casi molto meno, perché certamente non si è soddisfatti in generale del percorso che si è venuto a
sviluppare), però sostanzialmente è la logica dell'ospite: cioè lui deve adattarsi a quella che è la logica della
classe. Es: Io ho una seconda classe della secondaria di primo grado (seconda media) oppure ho una terza
liceo: io faccio la mia lezione per questa tipologia di alunni, poi se qualcuno non ce la fa, perché ha delle
problematiche particolari, bisogna chiaramente che si trovino le forme per aiutarlo magari con la presenza
di altre persone, quindi gli insegnanti specializzati per il sostegno. E’ quindi questa la logica
dell'integrazione, che in alcuni casi è andata molto bene, perché sono stati creati anche degli avvicinamenti
e degli obiettivi, ma in altri casi un po’ meno.
La logica dell’inclusione invece è una logica diversa. Quando parliamo di inclusione non parliamo più di
inclusione di un allievo, cioè non si parla di Marco che ha la sindrome di Down, o ha l'autismo, che devo
integrare e far sì che partecipi alle attività della classe, che sia all'interno della classe e non di un contesto
speciale. Quando parlo di inclusione io parlo appunto di ambienti, di contesti. Cioè si fa l'inclusione di
Marco che ha la sindrome di Down e per farla si crea un contesto nel quale anche Marco possa avere la sua
dimensione, chiaramente con le sue caratteristiche. Quindi i due concetti sono differenti, cioè non mi chiedo
solo come posso aiutare lui, come posso lavorare in maniera adeguata con questo allievo che ha una
determinata sindrome, ma mi chiedo come posso costruire l'ambiente.
C'è un signore che si chiama Oliver che ha avuto la poliomielite 20 anni fa e ora non riesce a prendere gli
autobus. Lui si chiede: la colpa è la mia perché ho avuto la poliomielite 20 anni fa? O sono gli autobus che
non sono adatti a chi come me ha avuto questa vicissitudine nella sua vita? Sembra abbastanza banale come
concetto; se noi lo portiamo nel nostro ambito possiamo dire: il problema per il quale questo allievo non
riesce a partecipare alle attività della classe, è “colpa” sua, perché ha una determinata patologia? O è anche
il contesto classe-scuola a non essere adatto a chi ha queste condizioni?
Con l'inclusione cambiamo un po' la prospettiva, cioè non guardiamo solo i problemi di quel particolare
allievo e allora se ha la sindrome di Down ci vuole il superesperto di sindrome di Down, se ha l’autismo ci
vuole il superesperto di autismo, io faccio il professore di italiano, faccio il professore di musica.
Dobbiamo invece cambiare la nostra prospettiva, per esempio posso chiedermi: cosa posso modificare?
Questa immagine è abbastanza significativa, c'è una manifestazione sportiva, una partita e posso avere
diverse situazioni:
- Prima immagine: rappresenta il momento dell'esclusione. Il primo ragazzo vede molto bene perché è alto,
il secondo ci arriva appena, il terzo non vede proprio, quindi per lui ci vuole altro, non può seguire
- Seconda immagine: questa è una logica più dell'integrazione, cioè creiamo le condizioni per le quali ci
arrivano tutti a vedere la partita, gli diamo un maggiore aiuto.
- Terza immagine: questa è invece la logica inclusiva, cioè possiamo dire oltre a fare quello, cerchiamo di
togliere il muro, mettiamoci una rete in maniera tale che tutti quanti vedano dalla loro prospettiva. Così
diventa non solo un problema del più basso che non ci arriva, ma è anche un problema di tutti perché quel
muro è una barriera che potrebbe essere abbattuta, non è che mi serva così tanto per sviluppare il mio
contesto scolastico. Ovviamente dal punto di vista concettuale è semplice, poi vedremo però che un conto
è enunciarlo, un conto è farlo. Nel momento in cui lo si enuncia è difficile essere in disaccordo, a livello di
principi, perché fa parte proprio dei diritti della persona; ma è difficile farlo veramente, cioè in classe cosa
possiamo fare effettivamente per promuovere certe condizioni. Chiaramente diventa più complessa la
questione, però con questo dobbiamo fare i conti perché, a prescindere dalla disabilità, abbiamo una serie
di diversità che sono molto frequenti nel contesto delle classi.
Quindi dobbiamo chiederci: che cosa effettivamente possiamo fare per questi allievi? E il cosa fare diventa
ancora più significativo per tutta quella serie di allievi che non hanno una disabilità magari così consistente,
ma che mi pongono problemi? Esempio: disturbo dell'apprendimento, il dislessico, il disgrafico, o chi ha
problemi anche legati ad aspetti comportamentali, comportamento inadeguato? Come posso rapportarmi?
Abbiamo un’attrezzatura pedagogica per affrontare le cose, che non vuol dire poterle risolvere tutte quante
perché la scuola non può fare tutto, può fare molto ma non può fare tutto.
Però abbiamo una serie di possibilità che la ricerca e la sperimentazione mettono a nostra disposizione che
in molti contesti vengono utilizzate che è necessario conoscere, altrimenti divento soltanto un depositario
di una conoscenza di tipo disciplinare che certamente serve, ma che non basta con le classi che abbiamo
adesso. Succedeva un tempo che l’insegnate diceva: “Io ho spiegato bene, tanto è vero che su 25 allievi 15
ce l'hanno fatta perfettamente; se 10 non ce la fanno è colpa loro. Se non ci arrivano allora facciano altro.”
Non è questa la dimensione dell’inclusione. La logica dell’inclusione è: Cosa posso fare per far sì che
invece di 10 magari diventino un numero minore. Quindi questi sono gli aspetti che noi cercheremo di
trattare: come aiutare gli allievi, ma anche come rimuovere delle barriere anche mentali, di rigidità mentale.
“Devo fare il programma per forza, come faccio a finirlo?” o altre rigidità del tipo “ma se mi dedico a questi
allievi, gli altri li sacrifico. Oppure non gli do il tempo necessario per fare di più. Quindi è una giustizia
questa che considera solo coloro che hanno difficoltà e non quelli che potrebbero fare più?”
Abbiamo a che fare con questi processi inclusivi: Che cosa possiamo fare? come possiamo muoverci?
4 PIANI DELL’INCLUSIONE:
1) Piano dei principi: sono dei principi che potremmo definire inimpugnabili perché fanno parte proprio dei
diritti delle persone, sono inalienabili, è difficile contrastarli, però sono importanti perché se non ho la
visione giusta tutto mi sembra impossibile. Se mi approccio in un certo modo, troverò 100 giustificazioni
perché certe cose non si possono fare; se non riesco a penetrare in un substrato culturale che mi giustifica.
2) Piano organizzativo: Come posso organizzare la mia classe, la mia scuola, il curricolo della mia
disciplina qualsiasi essa sia: matematica, italiano, storia, educazione fisica, scienze artistiche; Come posso
renderlo più inclusivo?
3) Piano metodologico-didattico: questa inclusione come si fa? Chiaramente non vuol dire che dobbiamo
fare l'ora di inclusione, dopo matematica, italiano facciamo l'ora di inclusione. Questa logica deve innervare
tutte quante le discipline, cioè avere un approccio che non preclude i contenuti perché non sono contenuti
particolari, non sono “altre cose” che fai ma è come le fai.
4) Piano dell'evidenza empirica: dobbiamo chiederci: ma l'inclusione funziona? Nelle classi nelle quali si
sviluppano processi inclusivi più adeguati, più sofisticati si apprende meglio o si apprende peggio? Alcuni
sostengono che con l’inclusione si creano delle condizioni con un abbassamento dei livelli di competitività
e situazioni di maggiore aiuto e condivisione fra i compagni, quindi c'è un clima migliore per
l'apprendimento di tutti; altri sostengono che dovendomi dedicare anche a chi ha delle difficoltà poi gli altri
ne subiscono uno svantaggio, quindi il loro apprendimento è ridotto. Quindi l’inclusione la si può affermare
sul piano dei Principi, ma bisogna dimostrarla sul piano delle evidenze, cioè dobbiamo almeno
commisurarla dal punto di vista della concretezza e dei dati.
Chiariamo una cosa: l'inclusione non è una questione di tutto o niente, non è come un insieme di principi
che bisogna rispettare tutti. È un percorso, è una strada per cui qualche convinzione che prima avevo magari
la metto un po' in discussione e potrei diventare maggiormente in grado di realizzarla.
Molti di voi potrebbero dire: ma come si fa a mettere in pratica queste cose in quella scuola in cui c'è
quell'insegnante che da sempre detiene il potere e non ne vuol sapere, oppure c'è quel dirigente che basta
che fai le cose formali e non vuole assolutamente sporcarsi le mani. Quindi certamente non possiamo
modificare tutto, però dobbiamo mettere in campo dei processi cioè andando a scuola dobbiamo cercare
degli elementi di modifica di alcune situazioni perché fanno la differenza. E’ impossibile dire: questo è il
metodo, per cui dovete fare questo e siamo a posto. Non c'è il metodo, c'è la metodologia, cioè la possibilità
di ragionare, riflettere, modificare sempre con quell'immagine di abbattere delle barriere. Certamente chi è
in difficoltà andrà aiutato, ma non ci sono delle condizioni chiaramente ineliminabili. Il tutto è abbastanza
agevole nel momento in cui la penso come progettualità architettonica cioè elimino le barriere
architettoniche; è più difficile eliminare le barriere che sono invece e culturali e didattiche perché fare
educazione in questo senso è più complesso, perché devo fare i conti con tutta una serie di condizioni.
Quindi ci muoviamo su questi quattro piani:
PIANO DEI PRINCIPI:
Vuol dire effettivamente affermare il diritto all'inclusione, lo dicono tutte le norme però ovviamente la
scuola e la società non si cambiano con le norme. Ad esempio nella convenzione delle Nazioni Unite del
2006 sulla disabilità, l'articolo 24 sull'educazione dice: “tutte le persone hanno diritto a un’educazione
inclusiva”. Quindi tutte le persone hanno diritto educazione inclusiva lo dice anche la norma, tutte le norme
internazionali e l’Italia ha aderito a questo, quindi ha fatto propria la pronuncia delle Nazioni Unite. Però
ci sono anche altri Stati con altre realtà, tipo gli stati anglosassoni del nord Europa dove esistono le classi
speciali e differenziali e fanno educazione inclusiva così. Quindi dipende da cosa si fa concretamente. In
alcuni casi, quando la didattica inclusiva e l’integrazione si fanno male è meglio quello, perché almeno ci
sono delle competenze spiccate che sostengono situazioni di disabilità. Quando è possibile inserirli con
situazioni adeguate nelle classi comuni è meglio. Quindi non bisogna solo vedere se ci sono o meno scuole
speciali o classi differenziali, ma il punto è vedere cosa veramente facciamo nelle nostre classi comuni.
Le scuola secondaria di primo grado ha più difficoltà in questo perché c'è minore abitudine c'è minore
formazione; fino a questo momento gli insegnanti sono stati informati sulla base della didattica curricolare,
anzi neanche della didattica curricolare, ma delle conoscenze disciplinari cioè sei un bravo matematico,
non è detto che sei un bravo insegnante di matematica. Allo stesso modo, hai molta esperienza, non vuol
dire che sei un insegnante esperto, sono concetti un po' differenti.
Indice: cap 2, cap 3,cap 4,cap 5 (forse potremmo anche non farlo) ,cap 6, cap 7, cap 8, cap 10 e11,cap
14,cap 15 e 16 (indice dei capitoli da fare li inserirà nelle slide!).Ci darà slide per approfondire. Le domande
saranno in riferimento a questi aspetti . A lui interessa che abbiamo capito il senso di fare didattica
inclusiva.
su google : includere.uniud.it portale gratuito, fare il login per vedere tutto. Clicca su:
Documentazione documenti e in base agli argomenti ci sono vari file uscita primo numero della
rivista GIDIN il paradigma dell’inclusione scolastica (pag34) (ci sono le cose dette in questa lezione).Ci
dirà cosa scaricare da questo sito per le varie lezioni.
Per la lezione di domani troviamo il materiale su questo sito sempre nella sezione ” ricerca evid. Base”
strumenti: scala di valutazione della qualità dell’inclusione scolastica.
Sul sito ci sono anche dei corsi on line: formazione percorsi formativi video mobiling (video specifici
per spiegare come comportarsi in classe per i bambini autistici- funziona molto meglio dell’insegnamento
diretto) moduli (video lezioni –corsi online)
Nella mattinata abbiamo parlato di questo insegnamento preliminare per il raggiungimento dei 24 crediti
necessari per il concorso e abbiamo introdotto l’inclusione, abbiamo definito che cos’è, come si ponga
trasversalmente negli insegnamenti, non è una materia, non è una disciplina particolare ma un modo di
approcciarsi alle situazioni. Abbiamo cercato di distinguerla dal concetto di integrazione.Abbiamo parlato
della diversità.
Stamattina abbiamo parlato del piano dei principi dell’inclusione:
1. piano dei principi
2. piano organizzativo
3. piano metodologico-didattico
4. piano dell’evidenza empirica
Standberg (ne” le 3 intelligenze”) invece dice che puoi adottare processi di pensiero creativo
analitico e pratico su ognuno delle intelligenze, in ambito matematico, linguistico, artistico,
musicale, etc.
Le due cose non sono in contrapposizione ma sono connesse e integrate all’altra, sono una
conseguenza.
Questa seconda dimensione del curriculo inclusivo, la dimensione organizzativa, è uno degli
elementi di maggior interesse e ricchezza per lo sviluppo di questa prospettiva.
Esemplificazione:
programma di geografia in quinta elementare e prima media (schema su slide). Il tema è la regione.
Come si insegna e cosa si fa, come si possono fare adattamenti Udl: si aggiunge qualche immagine,
si usano le mappe, etc.. trovare modi differenti per organizzare le cose. Tentativo di portare sul
piano inclusivo le discipline, quindi i curriculi.
E’ importante capire che dal punto di vista della didattica il gioco non si fa e non si migliora solo con
le schede ma il miglioramento si fa sul piano dell’organizzazione, della metodologia ,della gestione
dell’errore, dell’approccio, etc..
Questi aspetti sono di fondamentale rilevanza.
3. Piano metodologico didattico: cosa significa fare educazione inclusiva.
Oggi faremo un quadro d’insieme, domani ne parleremo in maniera più approfondita.
Strategia di didattica inclusiva: è un metodo significativo, ci chiediamo cosa possiamo fare.
clima e gestione della classe è importante per l’inclusione la modalità con la quale gestisco
e organizzo il clima della classe. Se è un clima molto competitivo , processi inclusivi fanno più
fatica a decollare. Ci deve essere qualche volta un clima competitivo ma anche collaborativo e
individualistico. Devono coesistere tutti quanti. Non bisogna eliminare la competizione, gli
allievi competono per tutto. Possiamo eliminare la competizione ma non possiamo enfatizzarla
oltre misura perchè non giova nei processi di condivisione.
Qual è il clima della mia classe? Questionario in due versioni per la scuola media. (slide)
È costituito da 30 domande. Serve per capire come costruire un clima in classe in cui si sta meglio
insieme (è saltata la registrazione!).
-Ex come lavorare per la creazione di un miglior clima. L’insegnante mi manda un sms perché sto male.
Questo fa la differenza. L’alunno si sente importante, non è uno qualsiasi. Sente di avere un ruolo.
-Quello che incide di più è la modalità con cui ti approcci con l’alunno. Non bisogna aggredire.
-Anche dove ci si pone è importante. L’insegnante sta sempre dietro la cattedra?
Alcuni colleghi hanno prodotto delle proposte molto interessanti dalla scuola primaria alla secondaria
di secondo grado , un lavoro relativo al clima e alla gestione. Non è vero che siamo cosi capaci di farlo,
ma ci sono delle strategie. Anche il controllo del comportamento è un acquisizione specifica. Anche in
ambito psicologico ha un suo peso.
Strategie cooperative devo sollecitare anche la cooperazione tra i miei allievi(peer tutoring).
Lavorare sulle strategie cooperative influenza anche il clima. Non sono elementi staccati.
L’aiuto non può che stimolare il clima di collaborazione. Anche qui dipende da come lo si fa.
C’è chi fa il tutor e chi viene aiutato ma si possono invertite i ruoli. Anche qui si può organizzare
in maniera sistematica. Nel peer tutoring (aiuto tra pari, un allievo aiuta l’altro) chi trae
maggiori benefici è chi aiuta. Sostanzialmente faccio un’educazione meto-cognitiva. Ex Ai
bambini più grandi (con sindrome di Asperger) si fanno fare i tutor dei bambini più piccoli. Ne
traggono grandi vantaggi perché li costringi ad entrare in relazione, ad avere una lunghezza
d’onda più o meno ravvicinata, a capire un po’ come la pensa l’altro.
Dai un ruolo agli alunni: tu prendi il biglietto, tu prendi gli appunti, tu quell’altra cosa… devono portare a
termine il loro ruolo. Gli altri lo possono aiutare ma non sostituirsi.
Tutto questo non vuol dire che dobbiamo fare sempre cosi (e lo vedremo meglio nella quarta dimensione
dell’inclusione empirica) , anche la lezione tradizionale va bene ma non possiamo fare sempre quella.
Abbiamo forme che devono essere diverse e devono tenere conto della variabilità che c’è nell’ambiente
della classe, altrimenti li perdiamo.
È più facile essere oppositivo per l’alunno, perché è più facile che ammettere di non farcela, di non essere
capace se l’errore viene enfatizzato come qualcosa che denota un giudizio sulla persona, perchè mi fa
certificare come incapace; quindi invece di risultare incapace, si oppone.
Quello che noi ci aspettiamo spesso avviene(esempio quello che chiamiamo “effetto pigmalione” cioè
l’aspettativa, ti aspetti che debba avere grandi successi).
Strategie cognitive e metacognitive quelle che sviluppano / promuovono processi cognitivi
di pensiero e metacognitivi cioè di consapevolezza: cosa sta succedendo, come l’ho fatto, ma
potevi fare in maniera diversa.
Tutto questo si collega al metodo di studio, come meglio affrontare i compiti. Anche qui non
posso avere un solo metodo di studio.
Ex Facciamo le mappe concettuali e le mappe mentali. Ma se io sono un tipo che non riesce a
visualizzare/organizzare le cose nella propria mente, questo metodo non mi aiuterà. Per altri
potrebbe esserlo. Non esiste “il metodo” ma ti faccio vedere dei processi sui quali riflettiamo
che possono dare determinati risultati su alcuni: cosa ne pensi? potrebbe esserti utile?
Un autore importante David Ausubel nel ‘78 propose il programma degli organizzatori anticipati per
l’apprendimento significativo. Ex Domani faremo questo argomento: vai a leggerti questo argomento dal
libro. Hai creato degli organizzatori anticipati. Tutte queste cose sono importanti per favorire
l’apprendimento dei nostri allievi. Non significa solo esercitare la memoria ma esercitarla in maniera
strategica. Anche lo studio mnemonico aiuta ma bisogna sempre esercitare la memoria in maniera
strategica.
Dal punto di vista didattico ci sono tante possibilità di strategie cognitive e metacognitive(ex flipped
classroom : classe rovesciata sono organizzatori anticipati , quello che facevi a casa fai a scuola, quello
che fai a scuola fai a casa, vedi un filmato, leggi qualcosa, ti crei un’idea di quello che a scuola
approfondiamo! ).
L’apprendimento significativo si crea nel momento in cui vai a modificare la struttura cognitiva di cui già
disponi, non semplicemente sommando. L’apprendimento significativo non è solo per scoperta ma può
essere anche per trasmissione.
Le cose devono essere collegate in una visione di un certo tipo che è sostanzialmente l’educazione di tipo
inclusivo. Non è niente di innovativo ma si cerca di organizzare in funzione di un miglioramento
nell’apprendimento dei nostri allievi.
Oltre alla didattica disciplinare bisogna avere una didattica che studia le strategie cognitive.
Si lavora sul metodo di studio, che andrebbe fatto dalla scuola primaria non arrivati all’università.
Il metodo di studio non è quello che si apprende con le strategie della memoria che si fanno nel weekend
con l’associazione di numeri , per alcuni va bene ma non per tutti. E’ un aspetto meta cognitivo
importante.
Ex. Abbiamo un brano di storia. Qual è la differenza tra una didattica cognitiva e meta cognitiva? Nella
didattica cognitiva ti chiedo di fare delle operazioni, come il riassunto (pensiero analitico).
Nella didattica meta cognitiva: domani te la chiedo, come potresti fare per studiarla? Non ti chiedo di farla
ma ti chiedo di indicare la modalità con la quale potresti ottenere un risultato.
Altro esempio: ora facciamo un brain-storming(traducibile in lingua italiana come assalto mentale, o
"tempesta di cervelli", è una tecnica creativa di gruppo per far emergere idee volte alla risoluzione di un
problema). Se io faccio il brain-storming , voi mi dite come lo studiereste. Nel brain storming bisogna
leggere almeno 10 volte, secondo le regole nel brain storming non si esprimono giudizi di valori. Dobbiamo
leggerlo una decina di volte, che conseguenze può avere, che conseguenze positive e negative potremmo
avere? Ex mi stanco, molta fatica,provo noia,etc.. Dobbiamo inserire quali sono gli elementi che secondo
noi hanno maggiori fattori positivi (più benefici che costi) .Questo è un lavoro meta cognitivo. Non sto
insegnandone uno ma cercando di portarvi a ragionare. E’ un altro metodo interessante nella didattica.
Educazione emozionale e prosociale vale soprattutto per i più piccoli. Anche qui ci sono
strategie importanti. Fare i conti con le emozioni per i bambini, training emozionali. Ci sono vari
tipi di autoregolazioni emozionali (come regolare le emozioni) le emozioni sono lecite, non
bisogna relazionarsi con l’aver paura, non è illogico aver paura o essere arrabbiato , può essere
illogica la conseguenza, può essere giusta o non accettabile la conseguenza, ma non il fatto che
io mi arrabbi. Per i bambini è importante non penalizzare delle forme emozionali oppure
modelli di lavori, come il SEL (social emotional learning) cioè l’apprendimento socio
emozionale che è uno sviluppo in chiave didattica della intelligenza emotiva di Coehn.
L’educazione pro sociale, cos’è la pro socialità: io sono pro sociale nel momento in cui finalizzo la mia
attività, il mio lavoro, il mio impegno al benessere dell’altro. Sono assertivo quando mi comporto in
maniera adeguata, cerco di raggiungere degli obiettivi personale, voglio essere bravo a scuola, essere il
primo della classe però rispettando le regole. L’aggressivo è quello che lo fa senza rispettare le regole.
Sono pro sociale nel momento in cui il mio obiettivo è aiutare l’altro. Non possiamo certamente essere
sempre pro sociali. Spesso facciamo cose pro sociali anche se sono assertive: ex faccio beneficenza ma ci
tengo che si sappia.
Come educare la pro socialità: un collega spagnolo Robert Roger ha fatto un programma bellissimo per la
pro socialità tradotto anche in italiano. È un progetto europeo e fa parte della università di Barcellona. Ha
individuato 10 obiettivi pro sociali.
Poi lui ha strutturato una serie di attività didattiche per la scuola dell’infanzia e la scuola di secondo grado
per migliorare queste competenze. Non facciamo le regole delle buone maniere ma facciamo dei compiti
didattici che sviluppano obiettivi pro sociali.
Ex facciamo un tema di italiano. Ognuno di voi sorteggia il nome di un compagno, senza farlo vedere, e
sviluppa il tema di italiano su questo compagno , sviluppando almeno 3 caratteristiche positive sul
compagno, senza mai mettere il nome. Poi si leggono questi componimenti e si cerca di individuare questo
compagno di cui si parla. Esce fuori che tutti hanno delle caratteristiche positive.
Tutto questo può essere d’aiuto nei confronti con i compagni in difficoltà, è importante la conoscenza del
deficit. Alcuni insegnanti dicono spesso ,soprattutto con ragazzi con alto funzionamento, con anche
disturbo dello spettro autistico, fanno in modo che questi ragazzi si mimetizzano, che non si vedano, per
non mettere in evidenza i loro problemi , per non esporli al rischio che vengano messe in evidenza delle
difficoltà . Se la pensiamo in un ottica inclusiva dovrei fare esattamente l’opposto. Non si può attuare un
programma che escluda l’alunno disabile. Deve però iniziare dall’infanzia non dalle superiori. La costruzione
la facciamo sulla conoscenza dell’altro, senza associare alla diversità la negatività. Perchè le diversità sono
tante: non c’è solo lui che ha la disabilità, c’è anche chi mangia solo certe cose, chi si comporta in un
determinato modo. Tutto questo è positivo perché altrimenti resta il compagno strano che è con
l’insegnante di sostegno, che non fa neanche parte della nostra classe ed è difficile che diventi qualcuno
con cui interagire. I ragazzi con la sindrome di Aspergan della scuola secondaria di secondo grado sono in
Italia quelli che percentualmente subiscono il maggior numero di atti di bullismo. Perchè la vittima ideale
del bulletto di turno è il saputello, facilmente ingannabile, lo inganni facilmente, ti fa le cose che gli chiedi.
Se tu avessi costruito il percorso sulla conoscenza: dicendo lui ha la sindrome di Aspergan, che vuol dire
certe cose. Chiaro se ci sono situazioni che creano problematiche anche di natura emozionale, valutiamole
ma spesso sono fisse nostre. Io non lo devo fare, non devo dire,etc.. ma loro si valutano, si giudicano,
questo non deve diventare une elemento di negatività. Perché è più facile poi che lo invitano al
compleanno se lo conoscono. Quando comincio a fare una certa cosa so cosa devo fare e quindi ho
un’interazione migliore. Tutto questo significa fare inclusione. Dire: qualche volta lo faccio stare nella mia
classe, o quando si fa educazione fisica scarica un pò di energia. Ma questa non significa fare inclusione:
non vuol dire che sta sempre in quella classe ma non vuol dire neanche che è un ospite della mia classe.
Non funziona così. Queste cose non si cambiano domani, domani la scuola non migliorerà: ma possiamo
coinvolgere qualche collega, a mettere in campo qualche azione, che ci aiuta.
Strategia di intervento sui bisogni speciali degli allievi parlare di educazione inclusiva non
vuol dire che non ci sono più i bisogni speciali. Se ho un allievo con sindrome di Down è chiaro
che lui ha bisogno di qualcosa di particolare. Tutto questo serve ma anche qualche strategia
che richiami un po’ il modello individuale di cui abbiamo parlato stamattina. Ma non posso fare
solo questo. Se faccio solo questo, ho bisogno che arrivi l’esperto di quella patologia e ci pensa
lui. No . Però non posso neanche pensare che lui non abbia esigenze particolari e non abbia
bisogno di qualcosa di specifico. Chiaramente questo sarà un ambito di conoscenza che
l’insegnante specializzato per il sostegno farà in maniera più accentuata, farà formazione
aggiuntiva. Ma qualcosa devo saper anche io come insegnante curriculare. È chiaro che
diventerà qualcosa di centrale se fate i FIT per il sostegno. Approfondiremo domani.
Per concludere abbiamo visto cosa fare: qualche possibilità ,ne abbiamo viste parecchie,
significative, queste prescindono dai contenuti. Non dobbiamo fare lo spazio del curriculo dedicato
all’inclusione. E’ un approccio di cui magari mettiamo in atto anche solo un elemento. Cosi si fanno
passi avanti importanti. Non pensiamo che o è tutto ok o è tutto uno schifo. Non funziona così.
È un cammino nel quale è importante non solo il risultato ma anche il processo, come lo metti in
campo, anche per l’insegnante stesso perché modifica anche me stesso come insegnante. Divento
più riflessivo. La professione dell’insegnante non si fa una volta per tutte. Non si costruisce solo
con la formazione iniziale, ma ti devi rapportare con la pratica e devi riflettere sulla pratica. Se
accumuli solo pratica non basta . L’insegnante esperto non è quello che ha l’esperienza, può anche
esserlo, ma non è detto. Se invece è riflessivo, cioè ragiona su quello che sta facendo, insieme ai
colleghi , ai supporti specialisti , allora è un’altra cosa.
La qualità della scuola si misura sulla qualità dell’inclusione. E anche la qualità dell’insegnante è
commisurata a quanto sei inclusivo: sei un insegnante migliore, sei più riflessivo, sei più capace di
fare i conti con la diversità.
Naturalmente questi punti sono tutti collegati. Questa è una schematizzazione, una
semplificazione, ma le cose sono un tutt’uno.
Non basta fare appello ai buoni sentimenti, non basta dire : dovete essere buoni,bravi, etc. Ma
bisogna mettere in pratica delle azioni inclusive. Bisogna prendere un impegno, bisogna creare
un‘abitudine, festeggiamo quell’allievo non solo per il compleanno ma perchè ha raggiunto un
risultato.
(slide)Sintesi di tutto quello detto fino ad ora: gestione della classe, clima della classe,
metacognizione, apprendimento cooperativo, assertività e prosocialità, autodeterminazione,
educazione delle emozioni, talenti e stili, conoscenza della diversità, individualizzazione/
personalizzazione, organizzazione, adattamento curricoli.
4. Piano dell’evidenza empirica: l’educazione inclusiva funziona? (domande varie)
Una volta i programmi scolastici erano prescrittivi, si pensavano per l’allievo medio. Ogni
programma è diverso, da paese a paese.
-Domanda trattante gli aspetti legati all’interculturalità: presenza di allievi diversi nelle classi con
livelli diversi e bassi di scolarizzazione. Anche per questo c’è un percorso?
Si sta facendo un grosso sforzo con master ,su tutto il territorio nazionale, in educazione inclusiva
di tipo interculturale, per sapere come orientarsi in queste situazioni particolari. I principi sono
sempre quelli ma li devi coniugare sempre su contesti complessi sul piano dello svantaggio socio
culturale. Ha senso se lo si vede come svantaggio temporaneo, non è una disabilità.
Nel sito c’è anche materiale su questo se vi interessa, nella sezione interculturalità.
Se vi può interessare stiamo sviluppando un master per 100 insegnanti di varie discipline sia della
scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado che prevede oltre agli insegnamenti, anche
esperienze di ricercazione. Poi questi docenti formati (non so se ci sia anche in Calabria)che fanno il
master diventano i tutor di colleghi in contesti socio culturali ad alta presenza di allievi migranti.
-Domanda: Il rapporto didattica inclusiva-prova invalsi?
Non c’è rapporto , hanno funzioni diverse. Le prove invalsi non hanno niente a che fare con
l’educazione inclusiva. Sono dei modelli di lavoro molto specifica. I livelli di acquisizione di certe
conoscenze a determinati livelli di età; voglio valutare in maniera comparativa su territorio
nazionale qual è l’acquisizione di certi contenuti, per confronti anche internazionali – ecco a cosa
servono le prove invalse.
L’insegnante solitamente si sente giudicato dalle prove invalse, pensano che viene valutata non
valida la propria classe. Non è quello. Viene dato un eccessivo valore alle prove invalsi come se
fossero un fattore educativo ma non lo sono. Sono semplicemente una misurazione di
apprendimento in un determinato periodo del percorso per confrontarlo con altri. Non devono
essere intesi come una valutazione personale dell’insegnante.
-Domanda: perché continuiamo a calcolare il quoziente intellettivo? Mica misura l’intelligenza, ma
misura alcune competenze di tipo linguistico- cognitivo. Non ci aspettiamo che siano dei modelli
per valutare la competenza in maniera specifica ma valutano quella cosa li: ci serve, non ci serve. È
una cosa limitata.
Sempre parlando delle prove invalsi per alcune cose possono essere utili ma per altre no. Possiamo
notare la ritrosia della scuola italiana ad essere valutata. Non dobbiamo continuare a pensare che
sia un ambito di autovalutazione. Mette in evidenza come il nostro lavoro sia un lavoro ricorsivo.
Bisogna riflettere su ciò che si fa.
Tornando a noi cosa sappiamo realmente sugli studi valutativi, sul come funziona? Quali sono i
problemi, le difficoltà dal punto di vista dello sviluppo di una didattica inclusiva?
Domanda: Cosa fare quando si ha a che fare con bambini autistici e down, per fari si che non si
sentano discriminizzati . Come faccio a sensibilizzare, informare i bambini perché una delle
condizioni è quella della conoscenza della diversità del deficit sulla condizione dei loro allievi.
Ci sono tutta una serie di prodotti per i piccoli come storie figurate, video, libretti, fumetti,etc che
sono molto belli nei quali il personaggio è diverso, fa certe cose. Ex “il re del mercato” basato su un
bambino autistico. Sono dei programmi simpatici che con il linguaggio del bambino presentano le
diversità. Se lo conosciamo è più facile aiutarlo.
Solitamente gli adulti hanno una ritrosia nei confronti del metodo inclusivo: come faccio a dire
questa cosa davanti a quell’allievo? Come si sentirà? Domani vedremo un video proprio su questo.
Una donna racconta la sua storia, racconta quando ha capito quanto è importante il momento in
cui ha capito cosa effettivamente arriva.
Le resistenze mentali sono più degli adulti che dei ragazzi.
Il concetto di felicità, di soddisfazioni, si obiettivi, lo fissiamo sempre sulla base di una media che è
quella che ci sembra importante per lui, non per la persona. Questo ci deve far riflettere. È un
sistema che si esperimenta anche vivendo con le persone. Lo aiuto se riesco a fargli capire certe
cose. Ci sono strumenti per i piccoli, per i più grandi, ci sono sistemi attraverso i quali lo si aiuta a
studiare la sua stessa situazione al ragazzo (il fatto di avere un cromosoma in più, non ti manca
qualcosa ma ne hai troppo). Tutti sistemi che si mettono in campo cosi tutti sanno cosa c’è che non
va ma nessuno sa cos’è, poi finisce la scuola e il percorso diventa familiare o di associazioni più
chiuse, che poco si addicono alla vita sociale. È un percorso non semplice ma è l’unico che si sposa
con la filosofia inclusiva. Non siamo tutti uguali e non possiamo fare finta che lo siamo.
Stiamo ragionando tra noi, non sto dicendo le cose giuste, sto dicendo cose anche provocatorie per
stimolare l’interazione tra di noi. E’ un aspetto che si collega ai principi del “come la penso”.
Se ci avviciniamo a una persona con sindrome di down ci sentiamo in diritto di dargli del tu, anche
se ha 42 anni, come se fosse un bambino. Lo facciamo perché abbiamo uno stereotipo. Ma
sappiamo che il mondo è popolato da persone con caratteristiche diverse.
Dobbiamo essere convinti di questo, a scuola. Alcune situazioni sono immodificabili finchè
persisteranno, altre sono ….. Con elementi un po’ più deboli, se poi ci arrivi con scarse convinzioni,
senza averle approfondite, non fai altro che adeguarti ad uno status quo che non cambierà mai.
Non vai avanti.
Le nuove generazioni , i nuovi modelli formativi dovrebbero consentire qualcosa in più . Non so
come verrà fuori, ma se pensate ai contenuti del modello FIT è un passo avanti. È un modello
formativo superiore al passato.
La formazione continua è un dovere, non facoltativa.
Domani vedremo di creare gli organizzatori anticipati. La scuola inclusiva è anche una scuola in cui
l’apprendimento è efficace? Quali sono le strategie più efficaci?
Affrontiamo un attimo l’ultimo aspetto dello schema:
Strategia di intervento sui bisogni speciali degli allievi prendendo in considerazioni gli allievi
autistici, che sono quelli più complessi perché anche quando sei con un livello di funzionalità alto
ma hai grandi problemi a livello relazionale, o hanno altri tipi di problemi come disabilità
intellettiva, problemi sensoriali, autolesionismo, aggressività ,diventa tutto più complesso; questi
principi qui come li possiamo coniugare nella situazione più grave, più problematica che c’è?
Vedremo tutto domani.
2)PEDAGOGIA SPECIALE 23/4/2018 fino alla pausa (PRIMA PARTE) Prof
Lucio Cottini
Stamattina abbiamo definito che cos’è l’inclusione e come trasversalmente si ponga
negli insegnamenti, non è una materia, non è una disciplina particolare ma è un
modo di approcciarsi alle situazioni ed abbiamo cercato di distinguerla dal concetto
di integrazione.
Abbiamo accennato i quattro piani dell’inclusione che non sono tra loro divisi:
1. IL PIANO DEI PRICIPI in Italia ne abbiamo parlato tanto forse anche troppo
a livello di principi in confronto alle applicazioni che poi siamo riusciti a
mettere in campo, però è assolutamente necessario entrarci dentro capire di
cosa stiamo parlando avere un substrato adeguato perché poi anche le prassi
possano in qualche modo germogliare. Quindi la riflessione che abbiamo fatto
sui modelli della diversità come va intesa ci hanno portato a poter affrontare gli
aspetti più metodologici e didattici in maniera concreta.
2. IL PIANO ORGANIZZATIVO investe sulle alleanze, quindi sul lavorare un
pò insieme, prima che sia coinvolto anche il dirigente scolastico; chiaramente
l’inclusione non è una questione di insegnante di sostegno, ma è una questione
che si costruisce tutti insieme. Abbiamo visto l’importanza di interagire con le
famiglie con gli specialisti ecc.. Questa alleanza è molto ribadita più che
praticata soprattutto nella scuola secondaria dove c’è l’abitudine di lavorare
insieme.
Non esiste un programma per allievo medio ma non esiste neanche un
programma per l’allievo questa affermazione è pesante perché non possiamo
pensare faccio il mio programma di questa disciplina perché è una doppia
implicazione. E’ logico che non esiste un programma per allievo perché molto
spesso dobbiamo individualizzare le programmazioni, ma non vuol dire che se
ho 25 allievi faccio 25 programmi, non è mai riuscito a nessuno è un’assurdità
metodologica. Allora possiamo fare sostanzialmente due cose la prima è
abbastanza rassicurante perché la si mette sempre in campo cioè faccio il
programma per la mia classe poi per coloro che non ce la fanno per vari motivi
attiveremo momenti di recupero di approfondimento con forme varie ecc. cioè
chi non ce la fa lo aiutiamo.
La seconda strada è UNIVERSAL PROGRAMMING FOR LEARNING
PROGRAMMAZIONE UNIVERSALE PER L'APPRENDIMENTO UDL è
quella che ci fa chiede prima cosa possiamo fare per far si che il numero di
coloro che poi dovranno essere oggetto di momenti di approfondimento di
recupero di potenziamento ecc. sia un po’ inferiore.
Quello che è necessario per qualcuno può essere utile per qualcun altro come
l’esempio delle rampe che servono per le persone in carrozzina, ma la mamma
col passeggino ci passa o al supermercato quando abbiamo il carrello pieno
utilizziamo la rampa.
E’ una logica di compensazione perché se quel determinato tipo di elemento
serve per aiutare alcune persone ma la logica è che io non semplifico quindi
non modifico i contenuti, ma i contenuti diventano solo più maggiormente in
grado di impattare sulla modalità anche di apprendimento diverse.
L’insegnante potrebbe lavorare attraverso l’adattamento dei curriculi:
sul modello di presentazione, posso farlo in maniera diversa con
immagini usando la tecnologia
sulla modalità di espressione delle conoscenze e delle competenze dei
miei allievi
modalità di elaborazioni le opzioni possono essere:
a) opzioni per le funzioni esecutive ad esempio guidare la
scelta, guidare l’elaborazione dell’informazione,
aumentare la capacità di controllo
b) opzioni per la comprensione
c) opzioni per le diverse forme di pensiero si può
presentare in maniera diversa aggiungendo stimoli,
facendo presentazioni con supporti multimediali,
le modalità di espressione.
Ad esempio alcuni studenti non hanno dimestichezza col
pensiero analitico, ma sono più creativi, cioè inventano
cose nuove.
Alcuni allievi sono bravi sul modello del pensiero più
pratico ma non sul modello analitico.
L’intelligenza non è solo quella dei test esistono dei modelli diversi.
Si è visto nella scuola primaria che quando hanno inserito molte più immagini o
utilizzare delle schematizzazioni delle giornate, delle attività ecc. gli allievi con
disturbi dello spettro autistico magari a buon livello di funzionalità si sono trovati
molto meglio, ma molti degli altri allievi ne hanno tratto giovamento, non si è
rallentato.
Il gioco non si migliora solo con le schede il miglioramento si fa sul piano della
metodologia, dell’approccio, della programmazione, dell’errore, della condivisione di
alcuni elementi ecc..
3. IL PIANO METODOLOGICO-DIDATTICO
Eccoci qua, adesso ci concentriamo sulle strategie di intervento sui bisogni speciali degli allievi,
sempre con le raccomandazioni in riferimento alla schematicità, vediamo cosa accade quando
abbiamo a che fare con allievi che hanno difficoltà specifiche e queste difficoltà specifiche che
chiamiamo i bisogni educativi speciali, non vengono meno perché abbiamo deciso di fare
l’inclusione, quindi inclusione è una scuola per tutti, certamente quelle cose sono fondamentali, poi
qualche elemento di attenzione particolare per queste situazioni, ce le dobbiamo mettere però, se
abbiamo l’allievo con autismo o con disabilità intellettiva qualcosa dobbiamo fare.
Questo è l’universo dei BES, ovvero dei Bisogni Educativi Speciali. Abbiamo la
Disabilità( intellettiva, motorie, sensoriali), il Disturbo( DSA disturbi specifici dell’apprendimento,
ADHD disturbo da deficit di attenzione e iperattività, Funzionamento Intellettivo Limite) e poi
l’area dello Svantaggio. Quando parliamo di BES parliamo di tutto questo. Le condizioni di
Disabilità sono quelle certificate con la legge 104 che poi permettono di acquisire la dotazione di
insegnanti aggiuntivi, quindi gli insegnanti specializzati per il sostegno.
!
Ecco quello che volevo un attimo premettere, dato ch noi parliamo di apprendimento dei nostri
allievi, vogliamo insegnare delle cose che loro possono apprendere, non solo come scienze ma
anche come competenze, quindi non solo quello che sai, ma anche quello che sai fare che è l’aspetto
legato alle competenze. Ecco quali sono i problemi principali dei nostri allievi con situazioni di
disabilità. La parte interna della diapositiva sono i processi che avvengono nell’apprendimento, cioè
quando noi chiediamo ad esempio ad un nostro allievo e gli diciamo guarda fai questa operazione di
matematica, piuttosto che leggi questo brano di storia e poi me lo ripeterai, oppure fai questo
esercizio motorio e poi lo dovrai ripetere, quindi presentiamo una certa situazione stimolo ai nostri
allievi, tra questa situazione stimolo ed il fatto che loro facciano la prestazione che cosa accade e
quali problemi hanno gli allievi che presentano quei bisogni educativi speciali che vedevamo prima.
Oltre questi aspetti ce ne sono altri come la motivazione, l’atteggiamento metacognitivo,
l’intelligenza e stile, l’autoefficacia e l’autostima, che non agiscono direttamente sui dati, ma che
permettono di funzionare meglio questi sistemi, cioè ad esempio se il mio allievo è motivato
certamente concentrerà più l’attenzione, quindi se lui ha un deficit di attenzione io posso lavorare
sulla motivazione e poi all’esterno della diapositiva ci dovrebbe essere un’altra ellissi relazione e
contesto ovvero l’apprendimento avviene non in un vuoto, ma avviene in un contesto, allora non li
affrontiamo tutti questi aspetti, ma ci servono per capire quali caratteristiche hanno, cioè facciamo
un esempio qualsiasi anche molto semplice, devi leggere un brano e riferirmi gli aspetti principali,
oppure devi fare qualche operazione aritmetica, oppure devi fare qualcosa legata all’educazione
artistica, quindi qualsiasi situazione la chiamiamo stimolo, quello che propongo, fra questo ed il
fatto che loro lo facciano quali processi avvengono; il primo è l’attenzione che rappresenta la porta
d’ingresso dei nostri processi cognitivi, cioè io apprendo quello su cui concentro l’attenzione.
L’attenzione dei nostri allievi con disabilità come funziona? Ad esempio se noi abbiamo un allievo
con disabilità intellettiva con sindrome di down, come funziona la sua attenzione, perché se mi
aspetto che lui abbia una organizzazione simile a quella dei suoi compagni magari mi sbaglio, ad
esempio la sua attenzione ha difficoltà a focalizzare gli aspetti essenziali del compito, cioè su cosa
deve stare attento, legge il brano e quali sono le parti dove deve stare attento diventa complesso,
quanta quantità di attenzione quindi volume dell’attenzione riesce a metterci poca, magari non sa gli
aspetti essenziali su cui concentrarsi e tiene poca capacità di attenzione; la settimana scorsa ero in
una classe primaria e lavoravano con i blocchi logici per le forme geometriche, ma la sua attenzione
era sulla forma oppure sul colore, sembra banale ma così non è, probabilmente il colore attira
maggiormente l’attenzione, quindi è chiaro ch dal punto di vista didattico che cosa devi fare, prima
lavoro su situazioni che hanno colori identici e quindi tutti quanti sono dello stesso colore e poi ti
dicono trova il quadrato anche se di colore diverso, tutte queste cose le devo tenere in memoria,
perché se prendo un allievo con autismo ad esempio dal punto di vista dell’attenzione il suo
problema è diverso cioè lui non ha difficoltà a capire questi aspetti, oppure concentrare l’attenzione
per un tempo più lungo, poi dipende dal livello di funzionalità perché alcuni hanno anche un
problema legato ad aspetti cognitivi chiaramente, quindi a basso funzionamento, il suo problema è
sulla focalizzazione dell’attenzione, cioè l’allievo con autismo concentra l’attenzione su aspetti
minimali, noi diciamo iperfocalizza la sua attenzione, ti guarda interessato solo al bottone della
camicia, quindi tu gli illustri chissà che cosa ma la sua attenzione è iperfocalizzata non funziona,
noi diciamo vede l’albero ma non vede il bosco, cioè tiene una percezione molto minimale, questo
condiziona molto l’apprendimento, ci fa capire come possiamo agire, io ho seguito per anni una
bambina con livello di funzionamento molto basso, non parlava pero era brava a fare i puzzle, che
sono cose che succedono spesso, però lei era brava a fare i puzzle al rovescio, cioè non con
l’immagine, se tu le mettevi l’immagine della casa lei non ce la faceva, perché l’immagine la
costringeva a ragionare sulla globalità della situazione, mentre lei lavora molto meglio sulla forma
delle tessere, ognuno di noi deve fare la casa, quindi faccio il tetto, prima guardo se ci sia una cosa
rossa, poi vado a vedere se si incastra, il modello di ragionamento di un allievo con autismo è prima
la particolarità, ed è il motivo per il quale alcuni di loro che non hanno problemi intellettivi poi
diventano molto abili su alcune cose, quelle che noi chiamiamo le isole di abilità, perché l’interesse
è focalizzato in maniera particolare su quello, ci dedichi grande attenzione, quindi ti interessano
soltanto i mezzi di trasporto e magari li conosci tutti, non hai problemi intellettivi particolari. Se ho
un allievo con deficit di attenzione con iperattività la ADHD, a livello di attenzione lui funziona in
maniera ancora diversa, il suo problema non è ne quello della quantità di attenzione, ne quello del
focalizzarsi su alcune cose, il suo problema riguarda la stabilità dell’attenzione, cioè non riesce a
stare concentrato sulle cose, parte con altre situazioni, sia a livello motorio ma anche mentale, cioè
per lui diventa quasi impossibile cominciare a pensare sta ascoltando l’insegnante e poi comincia a
pensare che dopo giocherà, che dopo comincia a pensare che farà un’altra cosa, poi passa un aereo
fuori e parte ancora, cioè è continuamente a costruire situazioni diverse; un insegnante si lamentava
perché non sapeva come fare, gli do un’ora come i suoi compagni e lui in 55 minuti accartoccia la
carta, rompe le penne, spinge ad uno, fa tutte una serie di cose, gli ultimi 5 minuti saprebbe anche
farlo però a quel punto il tempo è poco per cui pasticcia e fa gran confusione, ho deciso che invece
di dargli un’ora gli darò due ore secondo lei faccio bene? Questo è stato il quesito che mi ha rivolto,
la risposta è stata l posso dire cosa succederà, un’ora e 55 farà tutte le sue cose e gli ultimi 5 minuti
farà quello, cioè devi fare esattamente l’opposto, però devi conoscere certi principi, cioè nel senso
gli devi dare dei limiti, quindi tempi brevi, controllo della situazione e poi lo impegni ancora,
perché altrimenti lui girerà pensieri continui, quindi sono situazioni diverse. A livello di memoria di
lavoro stessa cosa, cioè cos’è la memoria di lavoro, ovvero la capacità di mantenere per breve
tempo le informazioni, allora se devo fare un’operazione in colonna diciamo della matematica,
oppure devo leggere un brano perchè me lo devo ricordare e chiaro che devo mantenere in memoria
quello che ho letto prima, per dargli un significato, se no chiaramente non ce la faccio, oppure devo
mantenere in memoria certe operazioni mentre vado a cercare alcune regole del calcolo mentale
della memoria, anche queste hanno aspetti particolari, l’allievo con disabilità intellettiva ha un
deficit generalizzato a questo livello si ricorda minime cose, sappiamo che anche l’ampiezza risulta
essere particolare, faccio un esempio, se io adesso dicessi ad uno di voi, adesso le dico 20 sillabe
senza senso, dopo 20 secondi lei me le dovrà ripetere, tipo pan-gli-stra-pun ecc..domando a tutti
secondo voi quante se ne ricorderà più o meno? Circa 7 c’è un articolo di Miller che parla del
magico numero 7-8-9, soprattutto le prime e soprattutto le ultime; se questa cosa qua, la facciamo
con un vostro allievo con sindrome di down di scuola media, secondo voi quante se ne ricorda? 2 o
3 elementi si chiama span di memoria, cioè è chiaro che se tu devi leggere di memoria ed hai 2 o 3
me-mi-mo-mu il me se lo ha scordato, cioè non gli rimane in memoria, capite quindi che la sua
prestazione viene a decadere pesantemente, allora altra cosa le chiedo: le darò queste 20 sillabe,
saprò che se ne ricorderà quelle 3, però le faccio fare un compito diverso, nei 20 secondi che
intercorrono tra la conclusione cioè quello che le ho detto ed il fatto che lei me le ripete, le chiedo di
contare ad alta voce da 985 e togliere 3 alla volta, quindi 985, 982, 979 e così via ad alta voce dopo
20 secondi lei mi deve dire quelle che si ricorda, se le ricorderà più o meno di prima? Meno, lui
come ognuno di noi nei 20 secondi di tempo che intercorrono fra la fine della presentazione ed il
momento in cui me lo deve ripetere che cosa fa? Fa due operazioni ovvero cerca di mettere insieme
le cose che si chiama codifica, l’altra se la ripete, tipo il numero di telefono, se qualcuno ci dice il
nostro numero di telefono con una codifica diversa 83547490 questo non è il mio, noi cerchiamo di
usare dei sistemi che ci permettono di collegare delle cose, dato che gli spazi sono pochi 789 ecc..e
le richieste sono eccedenti cosa faccio li codifico, cioè se dico 32 dal punto di vista dell’impegno
della memoria la stessa cosa che dicessi 3, impegno sempre lo spazio, questo però richiede
attenzione, cioè mi devo concentrare su quello, se io lo faccio contare all’indietro non si tratta di un
compito automatico, se gli chiedessi tu nei 20 secondi conta in avanti, oppure dimmi l’alfabeto
ABCD… nessun problema si ricorderebbe uguale, perché questo è un compito automatico, invece il
contare all’indietro togliendo 3 alla volta ci devi pensare. Abbiamo fatto lo stesso esperimento con
sindrome di down, di età dai 15 ai 25 anni, gli presentavamo un certo numero di parole e poi gli
chiedevamo di fare dei compiti non automatici come dire le lettere delle parole ecc.. alla fine ci
aspettavamo che la loro prestazione calasse quando nello spazio di tempo era collocato un compito
interferente, cosa è successo, che non peggiorano, perché meno sviluppata, cioè cosa facciamo noi,
usiamo delle strategie, cioè le mettiamo insieme, perché non peggiorano, perché anche quando
hanno il tempo di usare delle strategie non sono in grado di farlo, quindi no si tratta di una cosa che
migliora, cioè tu hai un limite strutturale e hai anche un limite funzionale, cioè nel momento in cui
puoi fare certe cose, poi non lo fai perché sei capace di farlo, quindi hai un deficit ipocognitivo da
questo punto di vista, quindi capite che l’apprendimento diventa complesso anche per questi motivi,
cioè non posso usare certi sistemi, l’allievo con disturbo dello spettro autistico ha un funzionamento
diverso a questo livello, cioè per lui è come una foto cioè una memoria meccanica poco strategica,
cioè magari se ne ricorda anche 20 senza problemi, però se deve studiare un brano lui non sa
distinguere la parte essenziale dal dettaglio spesso, non si tratta solo di una mancanza da un punto
di vista quantitativo ma anche qualitativo. In generale nell’autismo il problema che si trova a vivere
la persona riguarda la difficoltà ad uscire fuori da quello che tu conosci, come se noi arrivassimo in
un mondo diverso, non hai nessuna idea di che cosa stiamo facendo qui, mentre quando capisci la
realtà ti muovi in maniera più adeguata, cioè che cosa non riesce a fare la persona con autismo in
questo caso, cioè non riesce a prevedere delle situazioni che vanno oltre quello che lui ha capito,
quindi ha una memoria meccanica molto buona, ma non sa usarla in funzione di certe situazioni. Ad
esempio vi sono ragazzi che sanno fare dei calcoli più veloci di una calcolatrice in alcuni casi, però
non sanno comprarsi un panino, questi aspetti sono molto importanti per capire la didattica. La
stessa cosa avviene sulla memoria a lungo termine, devi recuperare dalla memoria a lungo termine
cose che conosci, anche qui agisci in maniera differente, cioè quello che dicevamo ieri ovvero
l’avere la possibilità di collegare tipo gli organizzatori anticipati, nelle persone con disabilità non
funziona, qui non solo hai limiti, ma hai anche problemi strategici, cioè non sai funzionarla al
meglio, un allievo con autismo magari si ricorda tantissime cose, ma poi usarli in funzione di quel
particolare momento diventa problematico, allora di fronte a tutto questo ci serve a dire che cosa
possiamo fare con gli allievi con disturbo autistico.
I principi che abbiamo visto fino ad adesso proviamo a portarli all’interno di questa situazione.
Proviamo a farla partendo da questa diapositiva. Ho messo a sinistra della slide i dubbi
dell’insegnante quando abbiamo allievi così complessi con autismo, mentre a destra della slide le
domande dell’allievo, cioè che cosa mi chiederebbe se fosse in grado di farlo, che denotano il suo
funzionamento. E’ chiaro che una metodologia, la posso ottenere se metto insieme le cose, perché
se considero solo il mio punto di vista e non cerco di ascoltare pure lui, faccio poca strada, quindi
un tentativo di entrare nelle logiche dell’inclusione, cioè cosa posso fare in classe, cosa posso fare
con l’aiuto dei compagni e così via. Guardate la prima domanda, deve restare sempre in classe
oppure deve anche andare nella classe di sostegno, cioè sfido chiunque abbia avuto questo tipo di
esperienza ad essersi posto una domanda del genere, cercheremo di dare qualche risposta, lo
abbiamo detto anche ieri cioè che non rispondiamo in maniera ideologica, l’inclusione vuol dire che
ci deve stare sempre, però poi lui ha dei problemi sensoriali a volte molto consistenti, nel caso di
rumori di ventole di raffreddamento; mentre per altri le problematiche sull’ipersensorialità visiva,
ci sono molte luci con cartelloni appese al muro che lo mandano in tilt, anche il neon troppo forte;
per altri problematiche di natura olfattiva, gli da fastidio l’odore della persona e non perché non si
lavi, ma impatta sul sistema sensoriale molto carente. Quindi se faccio un lavoro di gruppo, parte la
discussione in classe, parlano in tanti, in questa situazione difficile da un punto di vista sensoriale,
si alza l’ansia e può avere problemi comportamentali molto importanti, quindi devo stare molto
attento a queste cose. Seconda domanda sono un insegnante non uno psicologo come posso valutare
allievi così strani, un’altra delle questioni che ci poniamo, valutare e anche intervenire, come si
pone l’insegnante, qualcuno deve dirmi cosa devo fare, certamente abbiamo bisogno di persone che
ci aiutano con professionalità anche diverse, come lo psicologo, il neuropsichiatra, però poi la
didattica è una roba nostra, non possiamo pensare che arriva il logopedista e mi dice cosa possiamo
fare con l’allievo che ha dei deficit di lettura come in questo caso, cosa ne sa mica lo ha spiegato,
quindi dobbiamo crescere da questo punto di vista, non possiamo essere meri esecutori di quello
che ci dicono altri, quando abbiamo delle persone che pongono dei problemi, ma dobbiamo avere
delle conoscenze da questo punto di vista, perché altrimenti l’insegnante diventa sempre l’esecutore
di qualcosa di altri che non hanno le conoscenze didattiche gli dicono di fare che non va bene,
anche nell’equipe funziona spesso così. Altra domanda a scuola devo fare le stesse cose che fanno
nel centro riabilitativo, il pomeriggio va a fare un programma riabilitativo, devo rifare la stessa
cosa, la scuola è una cosa diversa dalla riabilitazione, bisogna tenerlo bene in testa; quale metodo
devo usare, magari c’è il metodo. Altra domanda quando manifesta problemi comportamentali cosa
posso fare, si fa del male cosa faccio, come posso agire, e chiaro che non posso fare tutto da solo,
però alcune strategie le abbiamo, perché quello che funziona con uno non e detto che funzioni con
gli altri, nell’ambito dell’autismo abbiamo situazioni meno generalizzabili che in altri contesti. Altra
domanda perchè nessuno capisce che questo ambiente mi infastidisce, lui ce lo direbbe mi da
fastidio, viene sollecitata così una condizione di tipo sensoriale che magari mi caratterizza, tutte le
persone con autismo hanno problemi sensoriali, che sono iper o ipo, in alcuni casi batti la testa
contro il muro e non dai segni di dolore, ti colpisci sembra che non ti fai male ma ti distacchi la
retina, in alcuni casi più gravi. Se non pensiamo ad un allievo con autismo che si adatti alla realtà
diventa difficile, bisogna un pochino che anche l’ambiente va nei suoi confronti, cioè nell’aspetto
inclusivo, devi un pò modificare le cose. Perché i miei messaggi non vengono compresi, noi
abbiamo uno stereotipo ovvero l’allievo con autismo non interagisce con gli altri, non è vero, alcuni
genitori dicono professore non può essere autistico perché quando incontra qualcuno gli sale sulle
ginocchia, oppure gli va vicino gli tocca qualcosa ecc…, come può essere autistico mica si mette
sempre per conto suo, quindi non è vero che le persone con autismo evitano il contatto, alcuni lo
fanno mentre altri no, altri li chiamiamo attivi ma strani, cioè provano ad interagire ma non hanno
idea di come si fa, allora è chiaro che bisogna cercare di insegnarglielo, poi se abbiamo tempo
vediamo il filmato di una signora che parla di se stessa, che è assolutamente eloquente straniera con
130 di quoziente intellettivo, sopra la media nella gaussiana solo circa il 2-3 % di persone hanno
quel livello in base ai test; quindi una persona molto intelligente come è possibile che riscontra
difficoltà in situazioni apparentemente banali, parla cinque lingue però la relazione la deve fare in
svedese, poi per il linguaggio colloquiale usa un’altra lingua ecc…,ovvero parla un’ora e mezzo
senza cambiare espressione, situazione molto particolare, quindi la difficoltà nell’utilizzare la
mimica, l’usare i gesti, che noi tanto utilizziamo, capire i gesti, capire le metafore. Mentre altre
persone hanno ritardo mentale, hanno problemi di linguaggio verbale, problemi di comportamento,
quindi diventa difficilissimo se non la vedo dal suo punto di vista. Cosa facciamo questa mattina e
dove si svolgono le attività, ad esempio facciamo questa attività, diventa difficile per lei capirla,
cioè se noi non sapessimo come si svolge la nostra giornata, saremo un pochino più in difficoltà,
quando finisce un compito e gli dici adesso facciamo questo e dopo un’altra cosa, ma quando
finisce adesso e comincia dopo per un allievo che ha queste caratteristiche, questa signora ha un
livello intellettivo molto elevato ma poi il problema di organizzazione di questi elementi è
importantissimo. Nell’autismo c’è sempre una migliore capacità di organizzare gli stimoli visivi,
perché ti restano lì, poi usi anche il linguaggio, però le immagini ce le devi mettere, altrimenti non
riesci a mantenerli in memoria. L’allievo con sindrome di down, ha un ritardo mentale, una
disabilità intellettiva, quell’abilità non riesce a raggiungerla però è uno sviluppo simile al ragazzo
tipico; mentre l’allievo con autismo no, cioè può avere anche un ritardo ma anche una modalità
diversa di organizzarsi. Una delle caratteristiche degli allievi con autismo è la difficoltà viene
chiamata a costruire una teoria della mente, cioè cosa vuol dire, se io faccio un complimento ad una
persona, oppure ne offendo un’altra, ho un’idea di cosa quella persona sentirà, questa si chiama
teoria della mente, cioè se offendo questa probabilmente me ne dice quattro, se gli faccio un
complimento sarà contenta, se rubo il giocattolo al bambino e glielo rompo ciò idea che sarà
dispiaciuto di questo; questa cosa nell’autismo è molto problematica, cioè non sai metterti
nell’altro, non sai leggere la mente dell’altro; dei colleghi inglesi hanno fatto un esperimento con
allievi ad alto livello di funzionalità, con una buona intelligenza con autismo, cioè presentavano un
modello:
Hanno fatto un esperimento di questo genere, due bambole e due bambine giocano con dei
giocattoli, una di queste due bambine ad un certo punto(si chiama il protocollo di Sally e Anne)
prende il suo gioco lo mette in una cesta e se ne va fuori, mentre lei è fuori l’altra bambina prende il
giocattolo e lo va a mettere da un’altra parte, rientra Sally si blocca la situazione, agli allievi che
hanno assistito gli si chiede secondo voi adesso dove va a cercare il suo gioco Sally, chiaro che dici
lo va a cercare dove lo ha lasciato, lei non ha visto che è stato spostato, quindi lo va a cercare dove
lo ha lasciato, però per far questo tu cosa devi fare, ti devi mettere in Sally e dire lei pensa così,
perché non ha assistito al fatto che la compagna lo ha trasferito, cosa accade nei bambini a sviluppo
atipico, fino a 3 anni sbagliano, cioè lo vanno a cercare dov’è, dai 4 anni in poi vanno tranquilli e lo
vanno a cercare dove lo ha lasciato; cosa accade negli allievi con autismo, che ben oltre i 4 anni lo
vanno a cercare lì, lo vanno a cercare dove effettivamente si trova, perché hai magari un livello
cognitivo elevato, un’età mentale anche di 12 anni eppure commetti errori, un’abilità che da un
punto di vista mentale dovrebbe essere risolta verso i 4 anni, questo è un problema che c’è sempre,
cioè la capacità di attribuire stati mentali, se io non attribuisco stati mentali provate a pensare come
posso avere una relazione, poiché la relazione è fatta da una condivisone, non posso dirti solo
quello che interessa a me e ti spiego duecento volte che questa cosa avviene in un certo modo e che
ti ho scocciato abbondantemente, non so modulare il mio tipo d’interazione con una percezione
adeguata. Il ragazzo autistico a difficoltà a mettersi nell’altro seppur avendo una intelligenza alta e
quindi diventa tutto più difficile. Abbiamo diversi tipi di autismi con condizioni che possono essere
a bassa funzionalità o a basso funzionamento, cioè oltre queste cose tu hai problemi mentali,
problemi sensoriali molto importanti, dei comportamenti inadeguati, oppure possono essere anche
ad lata funzionalità, cioè queste cose ce le hai però poi hai anche un’intelligenza nella norma per
esempio. Poi abbiamo la Sindrome di Asperger, che è ancora più su, il Rain Man(film del 1989 con
Tom Cruise) della situazione che solitamente vediamo anche nei film, che pur avendo molte
difficoltà su diversi aspetti hai un linguaggio molto buono, competenze logiche estremamente
affinate ecc… ma malgrado quello non vedi bene, questa signora rientra in questa categoria, cioè ha
grandi capacità, intelligenza notevolissima ecc.., però ha delle difficoltà elevate, ad esempio una
comprensione letterale del linguaggio, ad esempio lei racconta mi sono voluti quasi vent’anni per
capire come mai mia mamma si arrabbiasse tanto quando lei gli diceva puoi rimettere a posto dopo
la tua stanza, lei rispondeva si e poi non faceva niente; tutta questa modalità comunicativa che noi
solitamente abbiamo con l’allievo tipico, con l’autismo vai in difficoltà anche quando sei con la
Sindrome di Asperger, che cosa facciamo solitamente come insegnanti, non capisci te lo spiego, uso
dei sinonimi, parole diverse ecc.., peggio che andar di notte perché lo confondi. Ad esempio se ad
un bambino con Sindrome di Asperger gli parlo di filosofia lui vai in difficoltà perchè non riesce a
costruire schemi mentali visivi organizzabili con concetti puramente teorici filosofici, mentre se gli
parlo di altre cose no; quindi se non capiamo come si orienta e come pensa una persona con autismo
non ce la facciamo anche se dotati di molta intelligenza, come nel caso della signora che ha un
quoziente intellettivo di 130, ad esempio riesce ad imparare e ripetere molti numeri, ma se gli
domandi cosa è per te un amico va in difficoltà, che non vuol dire essere neutri da un punto di vista
affettivo, cioè è diverso ed ha una modalità di affrontare problemi sensoriali molto diversi, c’è una
bellissima domanda che le fanno a questa signora che poi vi faccio ascoltare, uno del pubblico gli
dice adesso che sei così brava, hai parato per un’ora e mezzo come gestisci i rapporti intimi,le
persone significative per te, gli da una risposta adesso non ve l’anticipo, che tipicamente da una
persona con Sindrome di Asperger, molto cognitiva; io ho un collega che ha scritto uno dei dieci
articoli più citati in matematica molto intelligente, però questo ogni tanto parte battendo da solo le
mani e corre, quindi nella Sindrome di Asperger è difficile individuare il limite, ovvero dove c’è la
patologia e dove il genio; ad esempio nel caso della sindrome di down gli faccio la mappa
cromosomica ed invece di avere 23 coppie il 21 risulta triplicato ed ha la sindrome di down punto,
non ho problemi, ma nell’autismo questo non c’è, cioè sappiamo che ci sono problemi biologici, ma
non sono identificabili attraverso prove strumentali, cioè gli fai la tac non vedi nulla, quindi la
diagnosi avviene sulla base dei sintomi della persona e allora se devi stabilire dove finisce la
Sindrome d Asperger e dove comincia il genio, che si dedica esclusivamente a quella cosa lì, non sa
cambiare una lampadina ma su certe cose è un genio, come fai a tracciare il confine, molto delicata
la cosa, non a caso l’ultima versione del DSM-5 ha tolto la Sindrome di Asperger dallo spettro
autistico.
Noi dobbiamo chiederci in questa situazione ma lo faremo nel pomeriggio, come possiamo in
qualche modo intervenire a livello scolastico nella prospettiva dell’inclusione. Anche quando hanno
la Sindrome di Asperger sono facilmente ingannabili, sono spesso oggetti dei bulletti di turno,
perché indifeso perché credi alle cose che ti dicono. La nostra interpretazione sbagliata sta nel dire
che non hanno sentimenti, non sono in gradi d’interagire, sono particolari un mondo diverso ovvero
un modo differente; ad esempio mi deve dare retta perché sono l’insegnante, non lo fanno peggio
che andar di notte, tu devi fare in modo che la regola la capisca, la visualizzi bene ed a quel punto
diventa ipercritico, cioè la pretende la sanzione. Nella slide ho inserito 4 parole chiave:
2) Organizzazione: ho organizzato l’ambiente cioè l’ambiente deve parlare per queste persone,
dove facciamo le cose bisogna che sia chiaro, sfruttando i punti di forza attraverso le
immagini, cioè ad esempio per andare in palestra ti metto la striscia che ti conduce alla
palestra, anche se avessi un bambino non vedente lo farei lo stesso per sentire il tragitto da
fare, che cosa facciamo adesso, che cosa faremo dopo che finisce il compito ecc.., bisogna
che lui abbia tutte le informazioni così sta più tranquillo, poi magari ci riuscirò lo stesso
senza tutti quei sussidi;
3) Didattica speciale: che cosa faccio, quali strategie sono migliori per queste persone e come
posso applicarle a scuola;
4) Compagni: come possono essere gli altri di aiuto per lui; prima di tutto conoscendolo.
Nel pomeriggio affronteremo con precisione tutto questo e se site stanchi vedremo il filmato di
questa signora. I compagni devono capire che non è cattivo, ma non capisce quella cosa lì. Quindi
per loro è meglio la scuola speciale oppure la scuola comune, dipende da come la facciamo; se
pensiamo che non abbiamo nessuna idea dell’autismo e pensiamo che possa essere trattato come un
altro allievo che funzioni allo stesso modo ecc.., non lo aiutiamo un granchè, non starà in classe per
molto tempo; il contrario se sfruttiamo anche le potenzialità dei compagni, senza pretendere che
arrivi per forza allo stesso livello ecc.., lì comprendiamo che è una comprensione cioè che è
diverso, allora diventa una ricchezza straordinaria.
Pedagogia speciale del 24.04 mattina da inizio lezione fino alla pausa (I parte), prof Cottini.
operando? ottenuti?
Le persone che hanno delle difficoltà all’interno della classe non devono essere considerate il punto
di arrivo, ma, bensì devono stimolarci ad individuare le strategie da adottare per consentire
un’adeguata istruzione all’interno della classe in questione, poiché la scuola deve essere per tutti ed
uguali per tutti senza nessun tipo di differenza.
La metodologia ovviamente deve essere inserita nel tempo a noi necessario, quindi deve essere una
didattica che si arricchisca delle diversità e non che si impoverisca, al fine di raggiungere tale
obiettivo è necessario che venga adoperata nel tempo a nostra disposizione, attraverso un metodo di
confronto, di collaborazione e non di tipo individuale.
Sul primo punto ovvero, come si sta operando in base a ricerche descrittive sono emerse i principali
riscontri, e sono i seguenti:
Di seguito, vengono elencate le circostanze che fanno riferimento ai limiti dell’inclusione, e sono:
- carenza organizzativa;
- i bisogni di sostegno;
- l’atteggiamento degli insegnanti e delle comunità nei confronti delle diversità e della politica
dell’integrazione;
- le procedure didattiche che vengono adottate nelle classi in cui si sviluppa un progetto inclusivo.
Le sopra menzionate circostanze, sono una semplice elencazione, rappresentano tutte indicatori del
concetto di risultato, al fine di poter realizzare un progetto inclusivo. Lo si può realizzare attraverso
la formazione, che riesce a realizzare una condivisione sociale attraverso il coinvolgimento dei
genitori, di agenzie e via dicendo, che a mano a mano si rinforza.
Gli esiti, possono essere di vario tipo, e sono i seguenti, verranno solo ed esclusivamente
menzionati:
- Effetto surplus;
Le strategie adottate dalle scuole più inclusive rispetto a quelle del passato, fanno riferimento ad
una serie di strategie, che di seguito vengono elencate:
Il secondo punto, la collaborazione, incide fortemente sui successi scolastici e sulla qualità
formativa, come è stato evidenziato da alcune ricerche meta- analisi. A tal proposito, è bene
introdurre un ulteriore concetto che è quello della meta- analisi e lo facciamo attraverso un esempio.
Prendiamo in considerazione i tutors, che sono terze persone che aiutano gli allievi nello studio, essi
effettuano delle ricerche in campo scolastico. Ipotizziamo che l’oggetto di ricerca è capire quale sia
il miglior modo di insegnare una medesima disciplina, con modalità differenti, quale può essere una
di tipo inclusiva e l’altra un po' meno, in due differenti classi. A questo punto ci chiediamo quale
modo sarà più efficiente?
E’ possibile ricavarlo con il calcolo dell’indice Cohen’s d, attraverso la meta- analisi (si tratta di una
ricerca di secondo livello ricavato dalle precedenti ricerche del tutoring)
SD è la deviazione standard.
Il terzo e il quarto punto sono strategie adottate al fine di poter realizzare un’adeguata formazione
ed infine il quinto ed ultimo punto fa riferimento ai tutors, ovvero a terze persone che aiutano gli
allievi in ambito scolastico, mentre le cooperative learning fa riferimento ad una forma di
apprendimento di tipo collaborativo fra gli alunni.
Il tema dell’inclusione riguarda tutti gli allievi, non solo coloro che sono diversamente abili, ma,
bisogna “fare i conti con le differenze”.
- analisi fattoriale
VS
Campione Prove
Da questo confronto emerge che nelle classi inclusive si apprende meglio, si velocizza
l’apprendimento da cui ne trae beneficio anche l’apprendimento curriculare.
La strategia didattica inclusiva, in presenza di allievi con bisogni educativi particolari/specifici, con
disabilità, con DSA, con ADHD, con funzionamento limite, con autismo vengono identificati con il
termine di BES. Anche per quest’ultimi bisogna escogitare strategie di apprendimento non solo per
poter apprendere conoscenze ma anche le competenze, necessarie per il mondo del lavoro. A tal
fine, sarà opportuno conoscere le diverse situazioni di disabilità al fine di adottare un’adeguata
strategia formativa.
4)LEZIONE PEDAGOGIA SPECIALE DEL 24-4-2018 POMERIGGIO PRIMA
Nel video un’ora e mezzo ha parlato di sè senza minimamente cambiare espressione diceva anche delle cose
divertenti per certi versi, ma non è come solitamente avviene se uno dice una barzelletta o una battuta sorride
prima dell’interlocutore questo è lo stesso stato da attribuire agli stati mentali che permettere agli altri di
condividere. Hanno parlato delle sue caratteristiche riferite al cibo, anche questo è una situazione molto
particolare nelle persone con autismo, le quali sono molto selettive sul cibo. Ha detto che per sei mesi ha
mangiato ininterrottamente paté di fegato e prugne, una roba del genere sei mesi mangiava solo quelle due
cose oltre tutto, una delle difficolta che spesso si presenta, soprattutto nelle persone con sindrome di asperger
più che in quelle che hanno basse livello di funzionamento, è la difficolta di rendere automatico le cose, dicevo
di rendere automatico le funzioni cioè che significa una persona ha uno sviluppo tipico come l’apprendiamo,
noi apprendiamo un’abilita e poi questa diventa automatica. Io non sto a continuare a fare l’elaborazione,
mentre leggo delle varie parti che compongono la parola come facevo quando ho cominciato, non penso a
come si va in bicicletta stando attenti, o a guidare la macchina ecc.. Una difficolta di queste persone è rendere
un’abilità automatica, lei diceva io mangiavo quelle cose perché non mi ricordavo di dover masticare e doveva
pensare a cosa preferiva a masticare e ad ingoiare completamente, cioè per dirvi delle difficoltà di una persona
che non riusciva proprio a capirlo come mai gli altri la rifiutassero; perché lei non sapeva fare certe cose che
gli altri facevano; e al contrario ne sapeva fare di diverse. Finita la scuola ha cominciato la psicoterapia, tra
l’altro psicodinamica quindi ha raccontato dell’esperienza pessima e che non si era sentita per niente capita,
però gli era venuta sta grande curiosità di capire come funzionano le persone è quindi è andata nella biblioteca
di Göteborg e si è letta tutti i libri di psicologia che c’erano li ha letti tutti e ne ha trovato uno di Gilbert in cui
si parlava dell’autismo e si è riconosciuta molto nelle sue attività però pensavo che non fossi lei perché nel
libro venivano descritte persone che avevano disabilità più gravi ad esempio che non riuscivano a parlare, ma
pian piano ha scritto all’autore del libro e si sono messi in contatto e Gilbert le ha fatto la diagnosi ed adesso
la presa anche nel suo staff, infatti lavora all’università con Gilbert, il quale è uno dei più importati nell’ambito
degli studi sull’autismo adulto; è veramente un riferimento mondiale Gilbert. Per dirvi una storia un po'
particolare è interessante sentirsela raccontare da lei, perché poi anche alcuni particolari incredibili ad esempio
lei non riesce a riconoscere il viso delle persone si chiama la prosopoagnosia vedi delle persone senza
lineamenti; lei non riconosceva nessuno dei suoi compagni e siccome non si orientava quando doveva andare
da qualche parte seguiva i compagni ma per seguire i compagni doveva seguire non il viso ma la maglia ad
esempio; poi qualche volta il compagno non doveva andare in qualche zona alla mensa ma doveva andare da
qualche altra parte e lei si ritrovava in un'altra parte della scuola senza sapere come tornare indietro, queste
sono una serie di difficolta incredibili considerato che parla cinque lingue che ha una capacità cognitiva
notevolissima. Poi una ragazza del pubblico le ha chiesto come gestisci i tuoi rapporti intimi le tue persone
importati per te con cui condividi la tua vita e cetera. Lei ha dato una risposta straordinaria senza sorridere ,
per voi deve essere difficile capire perché io non so relazionarmi a livello sociale e quindi io non ho un amico
e non so cosa significa avere una vita diversa però sono contenta della vita che conduco e poi ha concluso
quando guardo tutte queste persone che hanno rapporti intimi personali non mi sembrano che siano cosi felici
e l’ha chiusa lì in un gelo. Un gelo completo senza fare la battuta come del tipo prendi e porta a casa veramente
per dire una particolarità della persona con i quali bisogna fare i conti, ma perché vuoi pensare di trasformarla
in un qualcosa che si adegui ai tuoi canoni ad alcune cose particolari. Se facciamo l’inclusione nei momenti
in cui cerchiamo di avvicinarci a una persona che può vivere bene, vivere felicemente anche se è molto diversa
dalla situazione che siamo soliti definire tipica, questo è un tentativo di andare dentro l’autismo. L’autismo è
sostanzialmente questo anche se andiamo dalla bassa funzionalità, gli americani dicono basso funzionamento,
elettrodomestico, insomma che non appartiene ad una persona a basso funzionamento, anche i CFU parla di
profilo di funzionamento, quindi dobbiamo abituarci anche a queste terminologie e quindi l’autismo può
essere dal basso funzionamento fino all’alto funzionamento perché è caratterizzato dall’avere problemi di
comunicazione che non vuol dire problemi di linguaggio. Le persone con autismo hanno problemi di
comunicazione e interazione con le persone cioò non vuol dire che per forza si isolano; c’è un bel lavoro di
Gould e Wing che poi ha ripreso Theo Peeters che qui in Calabria è molto conosciuto perché è venuto molte
volte che è un altro personaggio importate degli studi sull’autismo purtroppo è mancato poco tempo fa lui
dice:” Per identificare il comportamento sociale, una persona con disturbo dell’autismo ha problemi sociali
comunicativo e sociale delle prime due aree, ma sociale intente non che ti isoli lui intente la metafora per
illustrare questo è come sostanzialmente abbiamo tre tipologie di comportamento sociale problematico, voi
immaginatevi una partita di calcio giocata da un giocatore che non ha nessuna teoria di come si gioca, cioè di
come si svolgono le cose che cosa potrebbe fare la prima cosa metto per conto mio e faccio le cose che mi
interessano tipo isolato, quindi l’isolato quello che si isola c’è l’abbiamo e poi potrebbe non stare li e dici sei
li ti passano vicino non ci capisci nulla non sai bene come funziona il tipo passivo, non sei nel contesto non è
che te ne vai ma non partecipi e poi ci potrebbe essere quello che tutti corrono tutti vanno dietro alla palla tutti
gli danno i calci si divertono vuol dire che cosi è divertente e anche questo corre dietro la palla da i calci alla
palla ma non sa se la butta da una parte o dall’altra ecc.. Li chiamiamo attivi, ma strani cioè che vogliono
entrare in un rapporto ma non hanno idea di come si fa, nell’autismo abbiamo tutte queste tipologie, l’allievo
che ti viene vicino, ma lo vedi che socialmente è particolare”. Quindi deve uscire dall’idea che l’autistico si
isola, ma entra in gioco l’interazione di terzo livello che è l’aspetto del comportamento sensoriale. Sono tutte
cioè ti interessa solamente quella cosa lì. Capite che in queste tre cose l’intelligenza non c’è quinti tu potresti
avere questi tre problemi e avere 130 come la signora che abbiamo intravisto nel filmato però lei ha problemi
di comunicazione, c’è li ha con un tutta una serie di sintomi che nel dsm elencati e nel lcd ha problemi di
elevata oppure potresti avere queste tre condizioni, ma anche problemi molto forti dal punta di visto intellettivo
no deficit sensoriali pesanti; si parla di autismo perché dal punto di vista biologico sono state trovate
problematiche di tipo diverso molto diverso alcune ad esempio hanno problemi ai lobi frontali che è la parte
del cervello anche la caratteristica che ci distingue dagli animali è quella che ci dà la coscienza, questa capacità
di pianificare le cose; ad altri sono stati trovate problemi al cervelletto che è la struttura arcaica del nostro
sistema nervoso che condividiamo anche con gli animali, come possono poi situazioni così diverse dar luogo
ad un quadro che non è lo stesso, ma che magari è impossibile raggiungere. Incide anche l’ aspetto genetico
altrimenti non si spiegherebbe perché ci sono più autistici maschi rispetto alle femmine. Io mi ricordo alcuni
anni fa abbiamo fatto una serie di corsi per le famiglie ad Urbino, nelle Marche, mi ricordo una famiglia di
Napoli che aveva tre figli due maschietti il più piccolo e il più grande e la femminuccia in mezzo ma un anno
di differenza, i due maschietti avevano un autismo molto grave la femmina assolutamente niente anche
brillante nel modo di fare, che cosa in effetti ha protetto quella bambina a confronto ai due fratellini, ecco tutto
questo al momento non lo sappiamo e si sta studiando quali elementi possono essere coinvolti e come incidono.
Le fibre di trasmissione sono anche strutture cosi lontane e difficili da capire e quindi come possono
determinare il problema, mentre quello che sappiamo molto bene è che cosa funziona e che cosa non funziona
dal punto di vista educativo quindi non ci sono i farmaci per l’autismo l’unica strategia che funziona è quella
educativa abilitativa/riabilitativa.
Ancora non si capisce perché malattia si presenta, no si è ancora capito se dipenda dai vaccini, se dipenda dalle
diete seguite durante la gravidanza , ma in alcuni quest’ultima diagnosi è state esclusa. Esistono due tipologie
di condizioni di autismo la prima è quella che il bambino ha dei problemi da subito dalla nascita, però un
occhio non allenato preparato che non se lo spetta non lo vede anche perché dal punto di vista degli aspetti
somatici non ci sono segni particolari piccoli li ho trovati sempre di bellissimi è un dato scientifico, non è
come la sindrome di down vedi anche l’aspetto somatico che ti insospettisce fai in questo caso , quindi alcuni
segnali iniziali che sono complessi da leggere non si gira quando si chiama va be c’è sempre la nonna che dice
anche tu eri cosi eri sempre per i fatti tuoi. I primi sintomi sono una carenza sull’attenzione condivisa cioè
verso i sette nove mesi la mamma parla del giocattolo ma il bambino continua a guardare la mamma ignorando
il giocattolo, quindi l’allievo con autismo o il bambino con l’autismo continua a guardare la mamma ma sono
segnali difficili da percepire. Un altro aspetto è quello che chiamava la comunicazione proto referenziali cioè
un conto è mio figlio comunica certamente quando vuole qualcosa ti prende per mano e ti porta li questa è
una cosa che usi il corpo dell’altro, altro è cercare di influenzarlo senza un contatto fisico cioè gli indichi una
cosa gliela dici questa è proto referenziale cerchi di modificare quello che lui pensa il bambino tipico lo fa
molto presto piange ma non piange più molto spesso, cioè comunque ti comunica un’intenzione; tutti questi
segnali sono difficili da cogliere per cui spesso tolti i casi dove c’è una compromissione mentale più pesante
tendono a regredire cioè a manifestarsi più avanti no quando incomincia a parlare e spesso questo è molto
vicino anche al momento in cui tu fai le vaccinazioni in tutto ci abbiamo anche dei bambini che perdono cioè
si sviluppano abbastanza bene e questo lo vedi soprattutto dai filmati un tempo si faceva il filmato solo per il
compleanno e le fotografie adesso sono il quotidiano quindi ti rendi conto possibilmente che hanno
ogni 78 più meno siamo soliti 1 su 100 o che sono tanti la sindrome di down son 1su 1000, quindi 10 volte più
frequente della sindrome do down 1 su 68 secondo un autorevole istituto di studio di etiologici americani
collegano anche l’incidenza con i finanziamenti che ottengono per la ricerca perché se è una sindrome rara
c’ha un poco se è più frequente c’ ha di più mettiamoci tutto quello che vogliamo anche se l’istituto è serissimo
se parliamo 1 su 100. Io quando ho fatto il primo lavoro sull’autismo era il 1996 mi sembra si parlava in quel
caso del libro scritto cosi di 2 o 4 casi ogni 10000. 2 o 4 casi ogni 10000 adesso 1 su 100 l’amico ci può dire
che è cresciuto di quante volte 70 volte una roba spaventosa 2 o 4 casi ogni 10000 a 1 su 100 cosa è successo
l’epidemia di autismo, no perché è diventata anche una moda e quindi adesso si tende ad avere un interesse
maggiore, per cui cosa è successo prima vengono diagnosticate quelle forme che un tempo non lo erano cioè
quelle più lievi, era l’allievo strano cosi un po’ particolare che poi finiva la scuola e finiva in psichiatria il
discorso psichiatrico di cui si diceva prima un po’ schizzo frenico ma in effetti poteva benissimo non essere
schizo frenico ma essere autistico come situazione questo sicuramente c’è stato, Domanda di collega in aula:
Lo facevano crescere credendo fosse schizzo frenico ma aveva un'altra patologia? C’era un impianto di una
patologia di tipo diverso, ma era più difficile diagnosticarli perché poi venivano tenuti un attimino più, era
meno evidente perché c’era meno cultura per la sindrome di asperger per l’autismo di alta funzionalità di
quando non avvenga adesso, la seconda cosa forse ancora di più importante è quella che noi lo diagnostichiamo
sulla base dei sintomi quindi non si ha uno dato strumentale non è che si fa l’analisi del sangue e sai che hai
il colesterolo alto perché lo ho 220 se ho 190 no, ma in questo caso ti devi mettere d’accordo a livello
internazionale ed è quello che fanno i manuali che abbiamo visto e quindi perché venga diagnosticato come
autismo, quindi ci vogliono tutta una serie di sintomi per diagnosticare la prima categoria di disturbo della
comunicazione , oppure per diagnosticare i sintomi della seconda categoria di disturbi dell’interazione, invece
per diagnosticare i sintomi della terza parte; quindi è chiaro che andando avanti con i sistemi di classificazione
si è un po' alleggerita la cosa, se mi chiedi 10 sintomi perché ti possa diagnosticare cosi o me ne metti 5 magari
la persona che prima non ci rientrava nella seconda situazione ora invece ci rientra semplifico. Per capire
sostanzialmente molto dell’aumento dei casi di autismo si deve anche a questo cambiato del sistema di
classificazione e di diagnosi prima il dsm 1-2-3 era molto diverso dal 4 e dal 5 e questi aspetti sono importati,
poi ci sono anche le cause ambientali che hanno determinato, ancora si sta studiando, ma per ora non sono
state individuate l’abuso di sostanze più tosto che fattori inquinanti piuttosto che altri elementi, quindi non si
è ancora trovato una correlazione al momento però non è escluso che qualcosa possa ulteriormente anche dal
punto di vista cosi dallo stile di vita dalle situazioni che si vengono a creare su quest’aumento che è davvero
incredibile 2 o4 casi su 100000 e 1 su 100 quindi diciamo 1000 volte oppure di più se fosse 1 ogni 10000
sarebbe 100 volte di più quini in questo caso 30 40 volte superiori in quando non era prima che è moltissimo.
Gli studi dei geni diceva il collega sono geneticamente delle modificazioni, gli studi dal punto di vista genetico
non evidenziano grandi differenze fra gli uni e gli altri, alcuni geni sembrano implicati ma sembra che
interessino di più le modalità di interpretazione in assoluto, quindi è molto più complesso di quanto può
apparire, non è tanto il gene o il cromosoma che è differente ma le modalità con le quali poi i geni interagiscono
fra loro per determinare le funzioni quindi è una situazione molto più complessa. Sembra incidere
maggiormente ed è chiaro che c’è una famigliarità cioè se si va a vedere un po' nella famiglia qualche situazione
magari non di autismo ma di deficit del linguaggio con qualche situazione di difficoltà si trova sicuramente
qualche debolezza al punto di vista anche genetico ereditario, ma anche su questo si sta ancora studiando.
Nella scuola dell’inclusione, non quindi nella scuola speciale dove molte ricerche sono state condotte in
ambiente anglosassoni che sono chiaramente ambienti dove ci sono le classi speciali. Le prime domande di cui
abbiamo parlato del punto di vista del bambino sono cosa ci direbbe e come abbiamo analizzato stamattina se
potesse parlare dove facciamo le cose quando dura. Un allievo tipico acquisisce in maniera implicita, anche i
bambini della scuola dell’infanzia e della materna dopo dieci giorni che vanno a scuola dell’infanzia hanno
capito l’organizzazione, ad esempio il bambino capisce dove mettere il cappotto e che dopo farà quel gioco e
poi dopo farà quell’attività e che poi si mangia perché c’è l’ha chiara la cosa. Per gli allievi come i nostri può
non essere cosi agevole cosa facciamo prima questo poi quest’altro poi quest’altro ancora, cioè non è chiara
per loro la successione, cioè l’organizzazione della giornata; per loro è fondamentale per essere tranquilli che
a fine giornata si torna a casa; ma se il bambino non riuscisse ad acquisire la percezione di questo sarebbe
sempre in ansia.
Ora vi faro vedere certe cose che hanno fatto gli insegnanti,qui sulla mappa della scuola c’è indicato cosa puoi
trovare , una signora come Gonilla con le sue capacità si perde , siamo andati a prendere il caffènella pausa del
suoi intervento è tornata dentro e si è messa a disegnare la strada vista dal lato come se l’avesse fotografata
piena di particolari, poi però non trova la strada per uscire ci vuole qualcuno che gli dice come si fa se fosse
La cartina ci fa notare che in un aula dove c’è un bambino autistico, il banco del bambino autistico ha una
bacheca di fronte ed ha un angolo dove poter fare l’attività dedicata c’è un separé perché gli da fastidio vedere
troppe cose contemporaneamente. Per fare l’inclusione dei bambini con autismo le classi devono essere grandi.
Quindi non dobbiamo pensare solo alle schede ma anche all’organizzazione della classe. Inoltre vediamo in
un aula di sostegno di Pordenone che hanno una trentina di allievi con disabilità nelle varie classi , si vede che
ci sono pochi stimoli e l’organizzazione è molto importante per far diminuire i livelli di ansia, cosi si può
Domanda : Gli insegnanti di sostegno possono rimanere in classe? Devono rimaner in classe, ci mancherebbe
e dove vanno, tra l’altro l’insegnante di sostegno ed un insegnante della classe e può esprimere giudizio non
solo del suo allievo, ma di tutta la classe. Deve uscire l’idea, che come dicono i genitori, che l’insegnante di
sostegno deve stare solo con il bambino che ha bisogno , anzi se lo chiedessero a me risponderei al genitore di
benedire questa situazione perché così suo figlio non avrà il babysitter sempre vicino. A volte mi capita di
andare a scuola sembra che l’insegnante di sostegno ha il banco vicino all’allievo ed è sempre seduto li di
fianco, ma ci deve stare solo se ne ha bisogno non se fai delle cose che sono effettivamente necessarie.