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UNIVERSITATEA PETRE ANDREI DIN IASI

FACULTATEA DE PSIHOLOGIE, STIINTELEEDUCATIEI SI ASISTENTA


SOCIALA

Program postuniversitar: Perspective actuale ale educației incluzive

Cursant: Stefano Giannelli


La garanzia del diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo, oltre al riconoscimento
e la valorizzazione dei talenti di ognuno, costituiscono l’obiettivo principale del sistema scolastico
italiano. In virtù dell’autonomia scolastica, ogni istituzione ha la disponibilità di strumenti di
supporto e di pianificazione strategica al fine di effettuare scelte didattiche, educative e
organizzative per la definizione e concretizzazione di curriculi verticali che possano essere percorsi
da ciascuno con modalità diversificate in relazione alle caratteristiche di ognuno.
Si tratta di “cucire un vestito su misura per ciascuno”, nell’intento di abbandonare pratiche
didattiche uniformi e indifferenziate e di assicurare, invece, un intervento educativo e didattico che
tenga conto delle diversità tra gli alunni.
Ai fini dell’inclusione è necessario tener conto di due dimensioni importanti: da una parte la cura e
il dovere di riconoscere l’unicità delle persone e rispettarne l’originalità e, dall’altra, la capacità di
progettare percorsi individualizzati e/o personalizzati nell’ambito del contesto classe.
In tal senso, l’integrazione si basa su un processo di continuo scambio e condivisione tra alunno
diversamente abile e il gruppo classe verso lo sviluppo di potenzialità di tutti e l’acquisizione del
massimo livello di autonomia di ciascuno. L’eterogeneità diviene normalità e la diversità non è solo
accettata, ma valorizzata, divenendo arricchimento a vantaggio di tutti e riconsiderata secondo le
accezioni positive di valorizzazione della persona umana, unica e irripetibile per le molteplici
sfaccettature che la compongono nei diversi aspetti della personalità.
La Scuola italiana vuole essere una comunità accogliente, nella quale tutti gli alunni, a prescindere
dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale.
Parlare di educazione per tutti e quindi di educazione inclusiva significa garantire che ogni
studente si senta considerato e rispettato, e possa godere di un autentico senso di appartenenza.
L’inclusione scolastica determina la ridefinizione del concetto di formazione di tutti i docenti per
riconoscere adeguatamente i bisogni delle nuove emergenze educative, speciali e non. Ciò richiede
la puntuale riorganizzazione dei saperi, delle conoscenze e competenze che costituiscono il
bagaglio professionale degli operatori scolastici, adottando una pluralità di approcci conoscitivi per
rendere più funzionali gli interventi educativi.
La discriminazione basata sul genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la ricchezza, la disabilità, la
lingua, la migrazione, la religione o altri credi sono tutti possibili ostacoli all’inclusione e che,
quindi,
vanno eliminati.
Ma anche l’esclusione dovuta alla mancanza di mezzi, alla lontananza dagli edifici scolastici, alla
carenza di strumenti tecnologici (durante la pandemia da Covid-19 questo è stato un elemento
cruciale).

Educazione inclusiva vuol dire anche evitare di “appiccicare” sui bambini un’etichetta che limita le
loro potenzialità. Significa, soprattutto, considerare la diversità come un valore, e comprendere
che un approccio diversificato nell’insegnamento può portare benefici a tutti gli studenti.
“L’educazione – dichiara ancora l’UNESCO – è essenziale per costruire società inclusive e
democratiche, nelle quali le differenze di opinione possano essere liberamente espresse e
un’ampia gamma di voci diverse possano venire ascoltate”.
Un’educazione inclusiva porta ogni studente a diventare effettivamente e pienamente cittadino
della propria comunità ed è il prerequisito per democrazie basate sull’equità e la giustizia.
Favorisce il dialogo interculturale e contrasta l’abbandono scolastico, il bullismo e ogni forma di
prevaricazione, veicolando valori di giustizia sociale e rispetto dei diritti umani e delle diversità.
Anche l’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU fa esplicito riferimento
al raggiungimento di un’educazione di qualità, equa e inclusiva per tutti.
Ma il ruolo dell’educazione è considerato strategico anche nel raggiungimento di altri obiettivi
dell’Agenda relativi alla salute, all’eguaglianza di genere, al lavoro dignitoso, al consumo e alla
produzione responsabile, alla crescita economica, perfino al contrasto ai cambiamenti climatici.
L’educazione è un diritto fondamentale. Un’educazione per tutti è dunque un imperativo morale.
Ma l’educazione inclusiva non è ancora una realtà. È piuttosto un processo, un cammino nel quale
tutti i Paesi sono coinvolti, naturalmente a diversi stadi.
Secondo il report dell’UNESCO, 258 milioni di bambini e ragazzi in tutto il mondo sono esclusi dal
sistema scolastico (il 17% in generale, ma il 31% in Africa e il 21% in Asia Centrale e del Sud).
In tutti i Paesi (tranne le nazioni ricche di Europa e Nord America) soltanto il 18% dei giovani più
poveri riescono a completare la scuola secondaria, al contrario dei coetanei nati in famiglie
abbienti, che ci riescono al 100%.
Per i ragazzi disabili, un quarto dei Paesi dispone l’istruzione in scuole speciali separate, il 10%
opta per l’integrazione in scuole standard e solo il 17% si spinge verso una piena inclusione. Quasi
la metà adotta invece sistemi misti.
L’educazione inclusiva è certamente un ideale alto, ma le difficoltà per raggiungerlo non sono
soltanto materiali.
Creare un sistema che risponda allo specifico bisogno di ogni singolo studente, inclusi i bambini e i
ragazzi con disabilità gravi, può paradossalmente portare anche a effetti negativi.
Gli sforzi compiuti per l’inclusione possono inavvertitamente trasformarsi in pressioni per
attenuare il senso di identità di alcuni gruppi e finire per marginalizzare ancora di più. Nel caso di
studenti con disabilità, l’educazione inclusiva e l’abolizione delle scuole speciali vogliono garantire
il rispetto

della dignità di queste persone, valorizzare al massimo le loro abilità mentali e fisiche, i
loro talenti e la loro creatività.
Eppure, si legge nel rapporto UNESCO, in alcune situazioni aver inserito i bambini con disabilità
nelle scuole statali ha abbassato la qualità della loro istruzione.
Per questo la Commissione per i Diritti delle Persone con Disabilità chiarisce che “trasferire
studenti con disabilità nelle classi standard senza accompagnare questo processo con cambiamenti
strutturali nell’organizzazione, nella definizione del curriculum, nelle strategie di insegnamento,
non costituisce inclusione e non garantisce automaticamente la fine della segregazione”.
In Italia, la direttiva del Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca del 27 dicembre 2012 è
alla base della politica inclusiva nel nostro Paese in ambito scolastico.
Individua diverse categorie di Bisogni Educativi Speciali (BES): comprendono tutti quei bambini e
ragazzi che presentano difficoltà, anche transitorie, che impediscono il normale apprendimento e
richiedono interventi individualizzati.
Per esempio, alunni con disabilità, con disturbi dell’apprendimento, deficit del linguaggio o della
coordinazione motoria. Anche un lutto, la separazione dei genitori o la recente immigrazione
possono essere cause transitorie di BES.
In tutti questi casi i docenti sono tenuti a personalizzare la didattica, per venire incontro a questi
bisogni. Viene redatto per ogni alunno un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che può prevedere
l’uso di strumenti di supporto, sia digitali sia analogici, tempi più estesi per sostenere alcune
prove, oppure quantità ridotte di compiti a casa.
Non esiste più dunque uno standard cui il “diverso” deve uniformarsi. C’è invece una classe di
individui concreti, ciascuno con il proprio bisogno educativo, ciascuno con il proprio stile di
apprendimento. E l’insegnante deve trovare strategie efficaci per tutti.
Personalizzare la didattica richiede preparazione, fantasia, pazienza, energia. Non basta più, per
esempio, scrivere alla lavagna una nuova lettera dell’alfabeto e farla copiare sul quaderno, perché
ci sono bambini per i quali questo non è un messaggio sufficiente.
Meglio proporla in tante modalità diverse: realizzarla con la pasta modellabile, il legno o altri
materiali, chiedendo agli alunni di riconoscerla al tatto, in modo da fissarla nella memoria”;
associarla a un’immagine, per sfruttare la memoria visiva, o a una canzone.
Il consiglio dei pedagogisti è quello, in sostanza, di adottare strumenti didattici e metodi diversi, di
avere una “cassetta degli attrezzi” molto ricca e modi differenti di organizzare la classe.
I principali sono la didattica cooperativa, quella laboratoriale, oltre all’uso di tutti i diversi canali di
comunicazione: uditivo, visivo, tattile, cinestetico.

I docenti specializzati nell’insegnamento ai ragazzi con BES sono abituati a usare le tecnologie che
possono favorire l’autonomia dei bambini con disabilità o difficoltà, ma possono tornare utili
anche
altri alunni.
Per questo è bene che tutti i docenti, non solo quelli specializzati, abbiano familiarità con questi
software.
Ad esempio ci sono:
 programmi che permettono, attraverso la sintesi vocale, di facilitare la lettura e la scrittura;
 editor di testi che abbinano le immagini alle parole;
 calcolatrici “parlanti”;
 funzioni per creare mappe concettuali, schemi e riassunti.
L’educazione inclusiva ha bisogno di ambienti di apprendimento pensati allo scopo. Un ambiente
di apprendimento non è soltanto costituito dall’aula e dagli arredi che accolgono gli studenti.
È piuttosto uno spazio mentale, culturale, organizzativo e affettivo. E comprende gli insegnanti, gli
allievi, gli strumenti culturali e tecnici, il “clima” che si respira in classe.
Secondo Save the Children, una classe inclusiva:
- è una classe rispettosa, dove nessun bambino viene marginalizzato;
- è una classe bambino-centrica, per cui gli insegnanti pensano in maniera personalizzata alle
attività da svolgere;
- è una classe salutare, in cui il bambino si sente a proprio agio e non esistono barriere
architettoniche e mentali;
- è una classe protettiva, al cui interno ogni bambino è protetto da abusi e violenze, verbali e
fisiche, e tutti sono incoraggiati a proteggere il prossimo;
- infine, è una classe famigliare, perché i genitori vengono inclusi nel processo educativo.
Gli psicologi e i pedagogisti ritengono che la creazione di nuovi spazi di apprendimento e il
miglioramento degli ambienti scolastici favoriscano le relazioni, la condivisione, la creatività in ogni
sua forma e contribuiscano a un’istruzione di qualità, equa e inclusiva, come indicato nell’Agenda
2030.
L’educazione inclusiva aumenta le opportunità di interazioni tra pari e la formazione di amicizie
strette tra studenti con e senza disabilità.
Inoltre, aumenta la probabilità che le persone con disabilità vengano impiegate.
Essere formati in un ambiente differenziato, con curricula speciali, garantisce magari
un’occupazione in luoghi protetti, ma questo probabilmente contribuisce all’isolamento piuttosto
che all’inclusione sociale delle persone con disabilità.

Essere formati in un ambiente inclusivo porta invece a qualifiche e competenze scolastiche e


professionali che aumentano la probabilità di scegliere altre forme di occupazione, come
l’occupazione assistita, il collocamento diretto e il lavoro autonomo, aumentando le opportunità di
una vita indipendente.
L’odierna multiformità, con la quale le problematiche della diversità si manifestano nelle classi,
impone alla scuola un cambiamento: il superamento di modelli didattici e organizzativi uniformi e
lineari, destinati ad un alunno medio astratto, in favore di approcci flessibili adeguati ai bisogni
formativi speciali dei singoli alunni. La Qualità della scuola si misura sulla sua capacità di sviluppare
processi inclusivi di apprendimento, offrendo risposte adeguate ed efficaci a tutti e a ciascuno.
Ogni individuo impara in modo diverso sulla base di molteplici fattori: fisici, emotivi,
comportamentali, neurologici e culturali.
L’utilizzo di una varietà di metodi di insegnamento permette agli studenti d’imparare nelle
modalità con cui si trovano più a loro agio.
Invece di una soluzione valida per tutti, i corsi progettati con UDL offrono quindi ampia flessibilità.
Questo è importante perché il processo di apprendimento avviene in modo estremamente diverso
da una persona all’altra. Ogni studente ha infatti specifiche modalità di coinvolgimento,
specifici metodi di acquisizione delle informazioni e diversi mezzi di espressione con cui dimostrare
ciò che ha imparato.
In questa direzione penso che si possa promuovere una scuola davvero inclusiva, in grado di
riconoscere la diversità come ricchezza e come valore al perseguimento dell’equità e delle pari
opportunità, attraverso un ambiente di apprendimento favorevole, motivante e accogliente, una
didattica finalizzata all’inclusione durante tutte le normali attività formative, anche di tipo
prettamente disciplinare e un’ attenzione nelle particolari esigenze di alcuni allievi, con riferimento
all’ambito della disabilità, dei disturbi specifici dell’apprendimento e degli altri bisogni educativi
speciali.
BIBLIOGRAFIA

Delre A.M., Educazione inclusiva – Nuove prospettive per l’inclusione scolastica,


Edises edizioni, 2021

Manzo G., Bisogni educativi individuali e didattica inclusiva, Anicia Editore, 2020

Di Palma D., Pedagogia e didattica per l’inclusione, Rogiosi Editore, 2023

Canevaro A., Ciambrone R., Nocera S., L’inclusione scolastica in Italia. Percorsi,
riflessioni e prospettive future, Erickson

d’Alonzo L., Bocci F., Pinnelli S., Didattica speciale per l’inclusione, La Scuola Editrice

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