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ricerche, inoltre, mettono in luce come i dirigenti delle scuole di maggiore successo sul piano educativo
siano capaci di accettare i rischi insiti in nuove iniziative pedagogiche: questi dirigenti investono molto nelle
relazioni interpersonali con i loro docenti, con le famiglie degli allievi e con la comunità dove è ubicata la
scuola, si mostrano sempre disponibili ad incontrare gli insegnanti e gli studenti e non hanno difficoltà
nell'offrire loro il tempo, sono in grado di utilizzare strategie comunicative idonee a creare il senso di
direzione dell'istituto e ad agire con risolutezza nell'indicare mete ed obiettivi da raggiungere. Una scuola
inclusiva non lascia nulla di intentato, ma è organizzata per raggiungere tutti i propri allievi non
permettendo a nessuno di “fallire” sul piano educativo. L'insuccesso formativo non è messo in preventivo
perché viene impostato un lavoro didattico speciale in cui le differenziazioni personali e le peculiarità
individuali sono riconosciute, accettate e prese di impegno per l'ideazione di proposte educative e
didattiche, mirate e speciali, di alto livello.
Una scuola che desideri diventare una valida realtà pedagogica inclusiva di eccellenza si deve fondare sulle
abilità didattiche dei propri docenti, in modo tale che siano in grado di intervenire con una proposta
formativa valida e motivante, la sola capace di promuovere l'apprendimento degli allievi. L'insegnamento ha
necessità di essere esperito concretamente, agito, per rappresentare quel volano educativo indispensabile
all'apprendimento e ciò è tanto piú vero al giorno d'oggi pensando alle difficoltà oggettive degli insegnanti
nel loro lavoro di promotori di apprendimento. Il tema della riflessione didattica è determinante. Una scuola
che voglia operare bene sul piano inclusivo necessità di una riflessione preliminare frutto di esperienza
diretta e provata. Emerge, quindi, la necessità che un'agenzia educativa desiderosa di aiutare i suoi allievi a
raggiungere i massimi livelli possibili deve impostare la propria proposta formativa su una riflessione
preventiva che illumina l'intervento educativo. La necessità che una scuola inclusiva abbia obiettivamente
bisogno di mettere in campo una didattica speciale di valore trova il suo fondamento nell'indispensabile e
preliminare esigenza progettuale che l'intervento pedagogico speciale impone. Nell'insegnamento non è piú
possibile prescindere dalle competenze didattiche speciali, una scuola inclusiva è obbligata, se desidera
lavorare bene, a mettere in atto processi di insegnamento-apprendimento consapevoli, fondati, validi sul
piano scientifico.
diagnosi, di piani didattici personalizzati, volti a rispondere alle loro specifiche esigenze.
Il “Bisogno Educativo Speciale” è un termine ombrello comprendente tre tipologie di allievi con problemi:
-la persona con disabilità: con certificazione legata alla Legge 104/92 (può dare la possibilità di avere
l'insegnante di sostegno);
– la persona con disturbo evolutivo specifico: può avere, o anche non avere, la diagnosi da parte di uno
specialista riconosciuto dalla Regione di appartenenza (non prevede la possibilità di avere l'insegnante di
sostegno);
Le esperienze e la didattica speciale ci dicono che se si desidera rispondere a questi bisogni particolari e
specifici è necessario attivarsi per sviluppare le risorse degli studenti. L'interesse principale dei docenti sono
le possibilità di tutti gli studenti.
proposta formativa che vale la pena affrontare con impegno. Agire perseguendo queste finalità presuppone
la conoscenza degli esperti che concorrono a creare una corretta gestione della classe.
L'aula è l'ambiente dove si vive la proposta formativa e in cui si consumano le dinamiche personali e
comunitarie di un gruppo di allievi, occorre, perciò, considerare attentamente la sua funzione; infatti, come
ogni luogo sociale, ha il suo significato e condiziona la presenza e il benessere delle persone. Gli insegnanti
non possono trascurare questo importante aspetto della vita personali e sociale scolastica.
Gli alunni, tutti i ragazzi, hanno sempre più necessità di incontrare “persone” desiderose di conoscere la loro
dimensione profonda, non solo la superficie, il loro animo, il loro cuore e quando un insegnante riesce con
autenticità a entrare in comunicazione con loro i risultati vengono raggiunti anche sul piano degli
apprendimenti. Analizziamo di seguito il ruolo dei bisogni da tener presente nelle dinamiche di classe:
a. Le esperienze personali;
e. La proposta educativo-didattica deve essere presentata con passione, con trasporto e in modo
affascinante;
f. Il ruolo delle attese ha bisogno di essere attentamente soppesato nella dinamica educativo-didattica della
classe;
g. L'autodeterminazione è uno dei massimi costrutti in grado di promuovere un effettivo cambiamento negli
allievi;
i. Occorre sempre agire sul piano educativo-didattica sollecitando la motivazione intrinseca degli allievi,
dimenticandoci della motivazione estrinseca.
Per gestire bene la classe occorre favorire un clima positivo. Gli allievi, per dare il meglio di sé, hanno
bisogno di trovarsi a loro agio in aula; la serenità di una vita relazionale di gruppo è l'elemento
indispensabile per promuovere le giuste motivazioni all'impegno e alla collaborazione. Le continue
situazioni negative frustranti non appartengono all'individuo una volontà ed un'apertura all'impegno, ma
piuttosto chiusure, difese serrate e poca disponibilità alla relazione spontanea. In questi casi è
indispensabile che l'insegnante favorisca la relazione interpersonale e l'autenticità della proposta educativo-
didattica. Occorre presentarsi per quello che si è, utilizzando modalità comunicative semplici ma efficaci.
Alcuni pilastri fondamentali su cui fondare una corretta gestione della classe:
1. GESTIRE LA CLASSE È ESSERE PRESENTI IN MODO EFFICACE: la presenza continua e vigile dell'insegnante
può favorire una comunicazione più efficace con gli allievi che presentano particolari problemi o necessità
marcate; la capacità di agire con rapidità limita, di fatto, le inevitabili interruzioni che si verificano quando
occorre dare risposte diversificate a qualche ragazzo che ne ha bisogno, ma soprattutto a la sua presenza
efficace comunica che gli allievi hanno a disposizione un insegnante capace edi cui si possono fidare.
2. UTILIZZARE IL CONTROLLO PROSSIMALE: è una strategia educativa di intervento molto valida e funzionale
in ogni contesto didattico. Permette al docente di contenere gli atteggiamenti anomali che, il più delle
volte, cessano quando l'allievo vede arrivare accanto a sé l'insegnante.
3. IL RUOLO DELL'EFFETTO ONDA: la tecnica offre all'insegnante l'opportunità di “fare pressione” sull'allievo
che viola la norma richiamandolo pubblicamente. Lo scopo è l'effetto dell'azione educativa, il riverbero che
essa produce all'interno della classe.
4. LA COMUNICAZIONE DEVE ESSERE CHIARA E PRECISA: l'improvvisazione è uno strumento che raramente
sortisce risultati in campo educativo. La chiarezza e la precisione nella comunicazione, invece, risultano
sempre molto efficaci.
5. LA DOMINANZA: capacità di guidare con risolutezza le relazioni con i singoli allievi e con l'intero gruppo
classe. Per esprimere dominanza è necessario non solo essere consapevoli della sua importanza, ma anche
esercitarla concretamente in aula attraverso l'uso consapevole di determinazione, risolutezza, decisione,
energia.
6. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE: con il corpo si possono esprimere molti messaggi, annunciare
direttive, esprimere sentimenti, manifestare emozioni e l'insegnante abile è in grado di servirsi di questo
importante veicolo comunicativo in tutta la sua valenza e ampiezza. Il contatto oculare, il portamento, le
espressioni facciali, la respirazione sono gli strumenti naturali a disposizione dell'insegnante per poter
interagire meglio e con più efficacia con gli allievi: essi permettono, nello stesso momento, di comunicare
direttive differenti a diversi soggetti presenti in aula e offrono supporto indispensabile per colorare le
comunicazioni verbali di espressioni ed emozioni.
7. UTILIZZO SAPIENTE DELLA PROPRIA VOCE: quando un insegnante padroneggia pienamente lo strumento
voce, i ragazzi rimangono affascinati, sono conquistati e tutti sentono e ascoltano. L'insegnante può
utilizzare il registro della voce per comunicare meglio e con più intensità. In secondo luogo, sappianodalle
ricerche che il timbro è assai importante nelle relazioni perché ha il compito di aiutare chi ascolta a capire le
sensazioni, le emozioni di colui che parla. In terzo luogo, l'insegnante deve sapere che la voce esprime
anche la prosodia, il metalinguaggio che usiamo per comunicare il significato delle parole. Inoltre,
l'insegnante ha a disposizione il ritmo, caratteristica decisiva della voce perché permette di aumentare o
meno la velocità del linguaggio e quindi di enfatizzare o meno alcuni passaggi informativi che il discente
deve apprendere fino ad arrivare a utilizzare sapientemente pause e silenzio. Infine, il volume, un altro
elemento che concorre a rendere efficace l'uso della voce. Ciò che determina se un tono è basso, medio o
alto è proprio il volume della voce.
8. VALORIZZARE GLI ALLIEVI: gli studenti hanno bisogno di comprendere che il proprio insegnante, il proprio
educatore ha fiducia in loro, ha stima per la loro persona e per comunicare questo è necessario sempre
ricordare di elogiare gli allievi quando si comportano in modo opportuno, di complimentarci per il loro
atteggiamento costruttivo.
9. SLANCIO E SCORREVOLEZZA: l'insegnante deve ideare all'inizio delle sue proposte formative gli opportuni
slanci che possano agganciare e attrarre gli allievi e, quando questo avviene, occorre evitare inopportune
interruzioni, salti contenutistici inefficaci o sospensioni inutili.
10. IMPOSTARE PIÙ ATTIVITÀ CONTEMPORANEAMENTE: è diventata una strategia sempre più necessaria in
classe. Il lavoro cooperativo diventa una modalità generale di vita della classe.
11. IMPOSTARE UNA CONTINUA DIVERSIFICAZIONE NELLA PROPOSTA DIDATTICA: gli allievi hanno sempre
più bisogno di sollecitazioni nuove, di attrattive differenti, di interessi reali che possano dare significato al
loro impegno scolastico. È doveroso bandire la noia in classe e l'insegnante, essendo il principale attore, è
nella condizione di evitare questo pericolo: la sua creatività dovrebbe spaziare dando vita a progetti mai
considerati prima. Al giorno d'oggi i device a disposizione permettono di effettuare compiti e attività
estremamente attraenti, l'accessibilità informatica oramai ha raggiunto vette elevatissime, l'uso di tablet, di
smartphone, della robotica a scuola dovrebbe rappresentare l'attualità di una didattica speciale per
l'inclusione.
3.6 L'UNIVERSAL DESIGN FOR LEARNING è la progettazione universale dell'apprendimento,
favorisce una foce naturale volta all'inclusione, puntando su una pianificazione della proposta didattica
indirizzata a risolvere le problematiche speciali presenti in classe ma, nello stesso tempo, utile per tutti i
membri della classe .Grande importanza viene data alla scelta di strumenti didattici flessibili e alle differenti
attività alternative che possono essere utilizzati al fine di una personalizzazione delle proposte formative.
Questo approccio all'insegnamento-apprendimento inclusivo si fonda sulla consapevolezza che i nostri
allievi hanno abilità e stili di apprendimento differenti e quando si progettano le varie attività e le diverse
programmazioni è necessario prevedere e tenere in considerazione il fatto che queste peculiarità possono
riguardare la vista; l'udito; il movimento; la lettura, la scrittura, il calcolo; la comprensione linguistica;
l'attenzione e l'organizzazione; l'apprendimento. L'Universal Design for Learning si basa sui seguenti principi
di base che ogni insegnante dovrebbe assumere in classe:
Per sintetizza ed operazionalizzare questi principi di base si possono mettere in evidenza i seguenti
fondamenti programmatici: equità; flessibilità; semplicità; percettibilità; tolleranza all'errore; contenimento
dello sforzo fisico;misure e spazi idonei.
La didattica speciale in una scuola inclusiva odierna ha bisogno di innestarsi in una vita scolastica in cui le
proposte formative ed educative vengano progettate rispettando sostanzialmente due valori pedagogici
essenziali: il bene della persona e il bene del gruppo classe. È la classe lo spazio vitale e sociale in cui
incrementare la propria umanità.La parola chiave è “progettare” preliminarmente ma chi opera nella scuola
evidenzia un'altra parola legata alle difficoltà del fare scuola odierno: “differenziare”. Tomlinson, una grande
esperta nel campo dell'istruzione differenziata, sottolinea come la differenzazione è un modo di pensare
all'insegnamento e all'apprendimento, mettendo così immediatamente in luce il dato fondamentale:
occorre pensare all'insegnamento avendo presenti le molteplici necessità degli allievi presenti in aula. Per
agire in modo da differenziare la proposta didattica occorre abbandonare i tradizionali pregiudizi che
fondano e purtroppo mantengono ancora in vita la proposta formativa “tradizionale”.Per differenziare la
proposta didattica, occorre abbandonare questi pregiudizi; mutando l'approccio all'insegnamento si
favorisce la crescita di tutti gli allievi presenti in classe, accogliendo i loro reali bisogni e assistendoli nei
processi di apprendimento. In sostanza non esistono “strategie dedicate” che fondano la differenzazione,
ma la pratica didattica si appoggia suun set di principi che richiedono all'insegnante di analizzare in
continuazione gli studenti per regolare meglio la
proposta formativa. Gli elementi che caratterizzano la differenziazione in classe possono essere così
sintetizzati:
– incominciare con una proposta formativa articolata che agganci gli interessi degli studenti rispettando i
loro differenti bisogni;
– progettare un piano di lavoro adattandolo alle esigenze degli studenti in classe con contenuti, percorsi e
prodotti da realizzare differenti;
– far percepire che l'apprendimento si fonda sulla collaborazione fra insegnanti e allievi.
Mastropieri e Scruggs identificano cinque aree di funzionamento personale che inibiscono le performance
di questi soggetti in classe in compiti di apprendimento: l'area del linguaggio, l'area cognitiva,
dell'attenzione e della memoria, del comportamento social, l'area fisica e delle funzioni sensoriali.
Conoscere le oggettive difficoltà in queste aree consente un'azione didattica speciale inclusiva capace di
supportare i deficit degli allievi. Occorre pertanto ricordare che, se si desidera lavorare bene sul paino
inclusivo, ogni allievo è una persona e ogni tecnica che si mette in campo deve essere attentamente
considerata e scelta in base alle necessità personali di ogni allievo. In questi anni si è visto che il successo sul
piano inclusivo lo si raggiunge solo in quei contesti scolastici dove esiste un'effettiva collaborazione tra
insegnanti “di classe” e insegnante di sostegno. I punti essenziali per operare in unità e collaborazione,
aspetti che si evincono anche da importanti ricerche relative all'individuazione dei prerequisiti che rendono
un team altamente collaborativo sono:
apprendimento;
c. Creazione di un clima collaborativo grazie al quale la partecipazione dei colleghi e i vari contributi espressi
siano valutati positivamente;
La classe "non appartiene” al singolo insegnante ma tutti i docenti che vi operano ne hanno la
responsabilità e la Legge n° 104/92 sottolinea l'assunzione della contitolarità da parte dell'insegnante di
sostegno. Docente “di classe” e insegnante di “sostegno” si devono valorizzare in modo tale che le rispettive
professionalità possano essere messe al servizio del bene comune e diventare così complementari. Il Piano
Educativo Individualizzato è lo strumento a disposizione dei docenti per offrire un aiuto personalizzato e
mirato rispetto ai bisogni individuali che il deficit impone. Il PEI, se ben impostato, può offrire le indicazioni
formative ed educative più adeguate per progettare un cammino educativo e sociale basato sulla flessibilità
e l'innovazione, perché la preparazione alla vita del ragazzo possa trovare risposte competenti nella scuola.
Per operare con una didattica speciale inclusiva occorre pianificare una diversificazione della proposta
educativo-didattica adeguando la programmazione approntata per una certa classe in un determinato anno
scolastico alle reali esigenze dei singoli allievi.Per fare questo è possibile utilizzare il seguente modello di
“adattamento”:
Inoltre, è bene tenere presenti i seguenti indirizzi pedagogico-didattici speciali, fondamentali per capire
come valorizzare meglio il processo di adattamento della proposta formativa:
ii. Scegliere di approfondire piuttosto che ampliare, preferendo la riflessione precisa e acuta, il lavoro sui
macroconcetti, le macroabilità all'assaggio superficiale di tutti gli argomenti;
iii. Indirizzare le attività sulle connessioni esistenti e sulle relazioni effettive con la realtà;
v. Focalizzare il lavoro più sulle strategie da mettere in campo e meno sulla memorizzazione dei contenuti.
Vi è poi il problema della valutazione. Alcuni problemi sorgono per le scuole superiori dove la normativa
prevede per l'allievo con disabilità tre tipologie di prove valutative:
B. una prova equipollente e tempi più lunghi rispetto alla prova dei compagni di classe;
Vi è la necessità che l'allievo con disabilità sia valutato con proposte educative e didattiche il più possibile
corrispondenti alle sue effettive capacità. Tra i nostri allievi, però, possono esserci soggetti con disabilità
specifiche e limitazioni consistenti tali da non compromettere le possibilità di successo finale negli
apprendimenti, ma che necessitano di attenzioni più mirate. Questi ragazzi meritano un aiuto speciale e in
questo caso le prove equipollenti risultano utili e doverose. Esse, è la normativa che lo prevede, sono prove
sostenibili, accessibili in relazione alle modalità di realizzazione. Anche per quanto concerne la terza
opportunità prevista dalla normativa a disposizione degli insegnanti è indicativa e prevede un cammino
pedagogico e didattico significativo in linea con l'idea, sempre feconda, del servizio che la scuola può offrire
a tutti i suoi allievi, anche a coloro che a causa di problematiche psichiche, fisiche o sensoriali sono
impossibilitati ad affrontare tutte le esperienze di apprendimento e le attività previste dalla scuola, ma che
tuttavia hanno bisogno di percorrere ugualmente tali tragitti grazie a proposte curricolari individualizzate,
essenziali allo sviluppo globale della persona.
Le strategie dell'apprendimento sono tecniche, principi o regole che facilitano l'acquisizione, la
manipolazione, l'integrazione, la categorizzazione e il ricordo di informazioni. Vengono anche definire come
“un set di risposte organizzate per risolvere un problema”. Una strategia di pianificazione formativa
particolarmente interessante e utile per diversificare la proposta formativa è la strategia PASS che consiste
nei seguenti quattro elementi:
2- ADATTARE l'insegnamento;
4- SISTEMATIZZARE la valutazione.
Molto importanti sono le strategie mnemoniche che paiono molto indicate perché permettono anche al
soggetto con disabilità intellettiva di avere visivamente presente i passaggi utili a produrre risposte
significative, una fra le più note è la strategia denominata RARE che contiene in sé i seguenti passi
- RIPETERE la domanda;
Estremamente importanti sono poi le strategie per IMPARARE A STUDIARE. La tecnica SQ3R dispone di
procedere seguendo determinate fasi consequenziali di apprendimento strategico:
• Effettuare una rassegna (S) del materiale da studiare per cercare di avere un'idea complessiva degli aspetti
principali;
• Rivedere (R) e richiamare alla mente i punti principali del compito per un'esposizione adeguata.
La strategia PQRST si caratterizza per questa sequenza: previsione (P); domanda (Q); leggere (R); auto-
recitazione (S); verifica (T).
L'iter scolastico di un alunno in situazione di gravità ha certamente inizio con il dischiudersi delle porte
concrete, garantito dalla legge, che gli consente l'accesso al percorso formativo, ma risulta sovente fin da
subito ostacolato da barriere non materiali, di fatto pesanti e difficilmente sormontabili. Spesso a questo
ragazzo con esigenze così marcatamente diverse da quelle degli altri, anche se non ufficialmente, vengono
precluse le strade che portano all'inclusione, con programmazioni didattiche completamente “a latere”
della classe, con attività specifiche che di fatto lo isolano ancora dal resto dell'umanità.
Si preferisce il disimpegno, si sceglie di non pensare perché la risposta potrebbe avere conseguenze rilevanti
in quanto tutti sanno che per corrispondere ai bisogni degli allievi con gravi disabilità occorrerebbe
strutturare la scuola in un altro modo, tutti sanno che non si fa un vero servizio alla persona suddividendo le
giornate scolastiche in ore-materia a prescindere dai collegamenti disciplinari e da una piattaforma
programmatica unitaria che dia senso e significato alle varie attività. Non solo gli insegnanti specializzati
sanno bene come questa organizzazione formativa non sia funzionale a soddisfare i bisogni dei soggetti con
disabilità, ogni docente di classe che possiede un minimo di sensibilità per le “diversità” riconosce
l'inadeguatezza, la forzatura del modello tradizionale di scansione oraria e la difficoltà di modulare al suo
interno esperienze d'apprendimento capaci di coinvolgere davvero tutti i ragazzi.
PARTE SECONDA – Dalla Didattica Speciale per l'inclusione alla Didattica Inclusiva. L'approccio
cooperativo e meta-cognitivo (Bocci)
I. COMPORTAMENTI COGNITIVI D'INGRESSO, ossia le conoscenze e le abilità che sono richieste perun
determinato compito di apprendimento;
iii. le QUALITÀ DELL'ISTRUZIONE. Per Carroll le caratteristiche essenziali di questa variabile risiedono
primariamente nell'organizzazione dell'apprendimento e nella proposta di un insegnamento centrato sulle
caratteristiche dell'allievo.
Nella DIDATTICA TRADIZIONALE le caratteristiche peculiari dell'allievo non sono prese in considerazione se
non in una dimensione di pregresse conoscenze disciplinari o prerequisiti funzionali alla
trasmissione/assimilazione di conoscenze prestabilite. Si fa riferimento a un allievo IDEALE e non REALE,
pertanto le caratteristiche del compito sono conformi per tutti e, soprattutto, questo è centrato
sull'insegnamento e non sull'apprendimento. Questa idea statica della conoscenza fa sì che si ritenga
superflua una formazione degli insegnanti. Da questo quadro si sviluppano due conseguenze:
A) Ha a che fare con gli esiti dell'apprendimento. Si tratta di una visione statica della funzione
dell'educazione, rispondente a una visione altrettanto statica della società, interessata e proiettata
sostanzialmente a riprodurre le diseguaglianze che la permeano.
B) Riguarda la scarsa permeabilità del sistema scuola alle differenze, a quegli allievi chiamati ELEMENTI
PERTURBANTI DEL SISTEMA. L'ASSENZA DI CONSIDERAZIONE delle caratteristiche che rendono peculiare
l'elemento perturbante lo esclude dalla possibilità di essere/avere parte attiva del processo di
insegnamento-apprendimento. La Didattica Inclusiva affonda le sue radici, almeno in Italia, in quel NUOVO
MODO DI CONCEPIRE e DI ATTENUARE LA SCUOLA promulgato inizialmente dalla Relazione Falcucci del
1975 e poi confermato dalla Legge 517 del 1977. Si fonda sul modello dell'individualizzazione che si afferma,
sul piano scientifico culturale nel nostro Paese, proprio negli anni Settanta del Novecento.In una prima
accezione di inclusione la caratteristica DIVERGENTE dell'allievo è ancora considerata come ELEMENTO
PERTURBANTE del sistema classe/scuola, il quale però, a differenza di quanto avviene nel sistema didattico
tradizionale, lo accetta, lo accoglie. In questo caso il sistema risulta certamente permeabile alla
PERTURBABILITÀ del soggetto perturbante e, a partire da questo, mette in atto una serie di dispositivi di
accorgimento/accomodamento finalizzati.
1. È la presenza del/dei soggetti a richiedere l'attivazione dei dispositivi, delle procedure e degli interventi
diaccomodamento del sistema e di differenziazione della didattica;
a- La conoscenza delle caratteristiche dei singoli richiede processi diagnostici basati sul modello clinico;
b- La differenziazione della didattica è ancora ad appannaggio del singolo o dei singoli che presentano
unbisogno educativo speciale;
c- I docenti agiscono scarsamente in modo collegiale e si attuano quei fenomeni di delega tanto noti quanto
invisi nella maggior parte dei casi all'insegnante specializzato o a chi è volenteroso;
d- Le diverse didattiche rischiano di essere ad appannaggio di questi ultimi e sono ancora considerate alla
stregua di tecniche per chi è in difficoltà.
Ed è su questi aspetti che noi ravvisiamo la necessità di un cambiamento epistemologico. In una accezione
più autentica di inclusione e di didattica inclusiva è il sistema che deve essere AMICHEVOLE AL
CAMBIAMENTO. La permeabilità alla perturbabilità, quindi, non deve essere susseguente alla presenza
dell'ELEMENTO PERTURBANTE, ma organica al sistema. Diversamente dalla concezione dell'integrazione
l'inclusione come qui la intendiamo non pone l'accento sugli alunni disabili o con bisogni speciali, ma
semmai su come determinati dispositivi li rendano e li denotino tali. Come rileva D'Alessio, l'accento “è
posto sui meccanismi e sui contesti che devono essere modificati in quanto l'educazione inclusiva è un
modo di sfidare la presunta norma della scuola regolare e di andare oltre il paradigma dell'integrazione
scolastica”.
Secondo i fratelli Johnson, ideatori del LEARNING TOGETHER (anni '80), affinché si possa parlare di
APPRENDIMENTO COOPERATIVO è necessario che vengano soddisfatte cinque condizioni fondamentali.
1. INTERDIPENDENZA POSITIVA → I membri del gruppo lavorano su obiettivi tali per cui ciascuno giunge al
successo solo se, e nella misura in cui, tutto il gruppo lo raggiunge.
2. RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE → Tutti gli studenti inseriti in un gruppo sono chiamati a rendere conto
agli altri componenti della propria parte di lavoro e di quanto hanno appreso. L'applicazione di tale principio
evita quindi che in un gruppo vi sia il cosiddetto BATTITORE o CORRIDORE LIBERO (FREE RIDERS), ossia il
membro che compie ogni operazione per conto proprio senza lasciare spazio agli altri, oppure che si
verifichino fenomeni di delega e di disimpegno (SOCIAL LOAFING).
3. INTERAZIONE FACCIA A FACCIA → Esalta la funzione del feedback nelle situazioni di lavoro cooperativo. È
necessario, quindi, che il contesto di apprendimento sia strutturato in modo da consentire atutti di potersi
guardare reciprocamente.
b. COMPITO: ciascun membro svolge una parte del compito per conseguire un obiettivo comune;
c. RUOLO: si assegnano agli studenti ruoli complementari e interconnessi per aiutare il gruppo a svolgere la
propria funzione. Quattro tipologie di ruoli finalizzati: alla GESTIONE DEL GRUPPO; al FUNZIONAMENTO DEL
GRUPPO; all'APPRENDIMENTO; alla STIMOLAZIONE DEL GRUPPO.
d. RISORSE: i membri condividono le loro differenti abilità, lo competenze, le idee,... Tanto più quindi il
compito è diversificato e strutturato tanto più gli allievi si sentono incoraggiati ad applicare le proprie
specifiche abilità.
e. MATERIALI: i membri condividono materiali e informazioni tra loro diverse. È fondamentale che ciascuno
sia il possessore esclusivo di una certa tipologia di materiale.
f. IDENTITÀ: i membri di ciascun gruppo inventano un nome, uno slogan, un motto che rafforza il senso di
appartenenza al proprio gruppo di riferimento ma anche alla classe .Per attivare e strutturare
l'interdipendenza positiva è necessario che i docenti ripongano la massima attenzione ai seguenti aspetti: il
CONTESTO; la CELEBRAZIONE; la VALUTAZIONE. Con il termine ABILITÀ SOCIALI si fa riferimento sia a
funzioni cognitive sia a comportamenti manifesti che gli individui attivano in modo fluido, efficace e
efficiente, mentre interagiscono con una o più persone. Come evidenzia Spence le abilità sociali sono agite a
più livelli di complessità. Siamo dunque all'interno di una rete articolata di cognizioni e di azioni che
consentono al soggetto di conseguire risultati positivi per se stesso e per gli altri che lo circondano.
L'insegnamento e l'apprendimento delle abilità sociali deve avvenire all'interno di un contesto altamente
operativo. Esistono diversi programmi che nel corso del tempo hanno mostrato una certa validità per la
promozione delle abilità sociali e dei correlati repertori strategici implicati.
- Il SOCIAL SKILLS TRAINING (SST) descritto da Spence è un programma EVIDENCE-BASED sviluppato in linea
con studi empirici che ne hanno dimostrato l'efficacia nell'incrementare la performancein specifiche abilità
sociali con soggetti tra i 7 e i 18 anni. Quello proposto da Spence è un approccio integrato e multimodale.
Anche Comoglio, nell'ambito dei suoi studi sull'APPRENDIMENTO COOPERATIVO, fa riferimento alle abilità
sociali e alla loro acquisizione mediante insegnamento. Oltre al MODELING e al ROLE PLAYING viene
suggerito il ricorso alle CARTE A T. Insegnanti/e e allievi rielaborano e sintetizzano le esperienze e le
osservazioni condotte nelle fasi precedenti attraverso la compilazione di una tabella, definita per l'appunto
CARTE A T, che consente di evidenziare gli aspetti verbali e non verbali connessi all'abilità sociale affrontata.
Il docente è chiamato a programmare le azioni e a definire tutta una serie di questioni inerenti l'intero
percorso da compiere. L'insegnante è una regista che ha il compito di strutturare un contesto di
apprendimento che permetta a tutti e a ciascuno di partecipare attivamente al processo di apprendimento
valorizzando le competenze e le abilità di ognuno. Per tale ragione, gli esperti dell'APPRENDIMENTO
COOPERATIVO suggeriscono di organizzare i materiali in modo eterogeneo.
I fratelli Johson, con Holubec, operano una triplice distinzione dei gruppi avvalendosi del criterio della
DURATA;
1. GRUPPI FORMALI → La durata non risponde a una tempistica prestabilita, si tratta di circa 4-6 settimane
ma non vi è prescrittività. Sono utilizzati prevalentemente per l'apprendimento di contenuti di diversa
natura e hanno la funzione di promuovere il coinvolgimento degli studenti e la loro capacità di
rielaborazione in merito ai contenuti curricolari oggetto di studio.
2. GRUPPI INFORMALI → Generalmente si costituiscono per finalità specifiche. Si può ricorrere a questa
tipologia di gruppi nell'ambito di attività concernenti argomenti particolarmente rilevanti in un determinato
momento della vita di classe, oppure per svolgere attività di ripasso e di consolidamento. In tal senso
possono anche formarsi dei GRUPPI DI INTERESSE.
3. GRUPPI BASE → Si tratta di gruppi a lungo termine, con membri stabili che si scambiano il sostegno,
l'aiuto, l'incoraggiamento e l'assistenza necessari per apprendere.
L'eterogeneità all'interno dei gruppi può essere garantita tenendo conto di tre aspetti: il livello di
competenza di ciascuno; la diversa tipologia delle abilità possedute dagli allievi; il livello di socialità
posseduto .Va tenuto anche presente che l'acquisizione delle abilità sociali necessarie per rendere
produttivo il lavoro di gruppo sono l'esito di un percorso. Non solo i gruppi non devono essere sciolti se si
presentano delle difficoltà, ma occorre investire risorse per consentire la loro evoluzione in ottica
migliorativa. L'incoraggiamento e il rinforzamento svolgono qui una funzione fondamentale.
Kagan ha elaborato intorno ai primi anni Novanta l'APPROCCIO STRUTTURALE che ha avuto un'ampia
diffusione negli Stati Uniti e una certa notorietà nel contesto italiano. Egli è giunto alla conclusione che la
didattica tradizionale non consente la piena partecipazione a tutti gli studenti. Il limite più evidente è quello
di svolgersi seguendo una scansione lineare, caratterizzata da sequenzialità temporali che prevedono lo
svolgimento di singole azioni, denominate ELEMENTI, che si succedono l'una all'altra e che coinvolgono un
esiguo numero di studenti per volta. Kagan afferma che più si accresce la possibilità di interazione, maggiore
è la possibilità che l'apprendimento sia ricco e significativo per tutti i suoi protagonisti. Egli introduce le
STRUTTURE, le quali rappresentano dei modi di organizzare l'interazione tra gli studenti in classe,
prevedendo un uso congiunto di diversi elementi. La continua combinazione dei diversi elementi, che ha
luogo nelle STRUTTURE, crea situazionidi apprendimento nuove che hanno il pregio di accrescere la
partecipazione e il coinvolgimento di tutti alle diverseattività proposte.I principi guida di questo approccio
sono:
i. INTERAZIONE SIMULTANEA;
2.2 Nella DIDATTICA METACOGNITIVA un'azione didattica, come rivela Calvani, oltre che indirizzarsi a far
apprendere specifici contenuti, deve “essere orientata a far acquisire abilità metacognitive, cioè a rendere
l'alunno capace di darsi obiettivi e di affrontare nuovi compiti autonomamente”.Usualmente tra gli addetti
ai lavori si attribuisce allo psicologo statunitense Flavell il merito di aver introdotto ai primordi degli anni
Settanta il termine METACOGNIZIONE nel lessico scientifico, grazie ai suoi studi sulla memoria e alle attività
di memorizzazione. Flavell e Wellman nella metà degli anni Settanta hanno elaborato un modello in base al
quale la metacognizione rappresenta una modalità di elaborazione delle informazioni.Un successivo passo
avanti, come rilevano Antonietti e Cantoia, è stato quello di cercare di spiegare come le persone siano in
grado di collegare tra di loro conoscenze metacognitive diverse e ciò ha portato gli studiosi a focalizzare
l'attenzione sul concetto di controllo. Viene così eleborato da Flavell intorno agli anni Ottanta un modello
più complesso, che individua quattro componenti quali facilitatori dell'azione del soggetto sui compiti
cognitivi: le METE COGNITIVE; le CONOSCENZE METACOGNITIVE; le ESPERIENZE METACOGNITIVE; gli ATTI
COGNITIVI. La proposta di Brown rappresenta la METACOGNIZIONE centrando l'attenzione sul controllo dei
processi, proponendo al contempo un'accurata analisi di tali meccanismi. Allo stato attuale, quando ci si
riferisce al costrutto/concetto di METACOGNIZIONE, si intende fare riferimento da un alto alle conoscenze
che il soggetto sviluppa in merito ai propri processi cognitivi e al loro funzionamento, dall'altro alle attività
esecutive che gli sono proprie e che sovrintendono al monitoraggio e all'autoregolazione dei processi
cognitivi stessi. La METACOGNIZIONE di ciascun soggetto, quindi, ingloba le conoscenze sulle sue abilità
cognitive, sulla natura dei processi cognitivi, sulle strategie per affrontarli e l'abilità di controllarli e
monitorarli prima, durante e dopo la loro esecuzione. Cornoldi specifica quelli che sono a suo avviso i due
elementi centrali che compongono la METACOGNIZIONE:
soggetto scelga quella che ritiene la più adeguata ed efficace per la prestazione richiesta e per il
conseguimento delle mete auspicate. Ianes, operando un vaglio della letteratura di settore, evidenzia come
le strategie, a seconda del loro ambito di applicazione, possano essere disposte in modo rappresentativo su
tre livelli gerarchicamente disposti e che vanno, quindi, dal generale allo specifico: le STRATEGIE CENTRALI,
le MACROSTRATEGIE, le MICROSTRATEGIE.
Ianes delinea i seguenti aspetti positivi presenti nell'insegnamento metacognitivo:
1. Si enfatizza con intenzionalità e con sistematicità lo sviluppo della flessibilità, del pensiero,
dell'automonitoraggio continuo e del controllo delle azioni e del pensiero di ciascun allievo in relazione a un
certo compito e a uno o più obiettivi;
2. È data una significativa rilevazione all'obiettività dell'analisi delle diverse situazioni cui l'allievo è chiamato
a confrontarsi;
1. Dalla metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta, coincidente con l'affermarsi dell'approccio
comportamentista allo studio dei processi di istruzione, è stata quella dell'istruzione programmata e dei
programmi tutoriali in cui il computer è stato concepito come un sostituto dell'insegnante che garantisce il
percorso di apprendimento dell'alunno (COMPUTER TUTOR);
2. Fino a metà degli anni Ottanta, in cui si afferma il modello di riflessione cognitivista e la mente dell'uomo
non è più considerata una scatola nera inesplorabile, il computer è stato visto come un utensiel cognitivo
(COMPUTER TOOL). Secondo questa prospettiva esso, per mediazione dell'utente, può contribuire a
controllare e migliorare l'apprendimento potenziando alcune funzioni cognitive specifiche. In questa fase
rientrano gli ambienti GENERAL-PURPOSE;
4. Fine degli anni '90 e inizio secondo millennio, è quella della connettività. Il computer, multimediale,
ipertestuale e interattivo, è ora connesso al resto del mondo grazie all'esplosione di Internet e delle reti
geografiche.
comunicazione multimediale consente di costruire messaggi efficaci, densi, esplicativi; il tempo che i media
consentono di recuperare sul piano dell'efficacia comunicativa e della pregnanza informativa va reinvestito
in azioni dialogiche tra insegnanti e allievi e tra pari per ricostruire i nessi di significato, sollecitate idee,
stimolare l'uso del pensiero critico, offrendo stimoli, piste di discussione, compiti di recupero e
completamento autonomo e costruendo consegne che obblighino al confronto ad andare oltre
l'informazione. Accanto all'impatto di CONTENUTO e DI RELAZIONE dei new media sulla nostra cultura e sui
processi di formazione, occorre sottolineare l'impatto che essi hanno nell'architettura stessa dei PROCESSI
COGNITIVI che in essa si sviluppano, nella geografia delle reti neuronali, nella riduzione dei tempi di
attenzione e della elaborazione profonda a vantaggio di un'attenzione diffusa, superficiale e multitasking,
nelle abilità visuo-spazili di esplorazione della realtà, nella velocità di fruizione a discapito della profondità e
della comprensione. L'educazione formale deve prendere atto di questi cambiamenti, sfruttarli e
compensare attraverso i media tradizionali e attraverso esperienze di apprendimento significativo le carenze
in termini di riflessione profonda, pensiero critico, pensiero creativo, riflessione metacognitiva.
Il panorama dei prodotti software disponibile potrebbe essere organizzato secondo diversi criteri, qui se ne
propongono due: per MODELLO DI PROGETTAZIONE e per FUNZIONE.
Per MODELLO DI PROGETTAZIONE il software potrà essere: ipertestuale; modulare; lineare. Rispetto alle
FUNZIONI i software disponibili possono essere classificati in quattro tipologie: software diagnostici;
software abilitativi e riabilitativi; software di tipo general-purpose; software didattici educativi. Parlando di
software didattico occorre specificare che esso, tanto a livello di modello di sviluppo quanto a livello di
modello di applicazione in classe, si è evoluto passando dall'essere prevalentemente uno strumento di
autoapprendimento destinato al singolo alunno all'essere uno strumento di lavoro collaborativo, in cui
convogliare gli sforzi di un gruppo di studenti, all'essere uno strumento che il docente utilizza come
supporto alle proprie lezioni per la classe. Per tutte le tipologie descritte i sistemi possono essere CHIUSI o
APERTI: sono chiusi quando gli esercizi sono definiti direttamente dal programma, sono invece aperti
quando l'insegnante può integrare dentro il programma una batteria di esercizi o contenuti calibrati sulle
necessità dello studente.
1.5 La prima lavagna interattiva è stata prodotta nel 1982; in ambito didattico essa ha cominciato ad essere
usata dalla fine degli anni Novanta e in Italia dopo il 2000 grazie a forti investimenti in progetti ministeriali di
enti locali e allo sviluppo di software didattico per il suo utilizzo. In un contesto comunicativo in cui è
presente la LIM l'utilizzazione interagisce con il sistema attraverso speciali penne o direttamente con le dita;
grazie alle funzioni messe a disposizione dal software presente nel computer, al quale la LIM è connessa, è
possibile scrivere, disegnare, muovere oggetti sullo schermo, scrivere con una testiera virtuale, connettersi
ad Internet e gestire ogni programma presente sul computer. La lavagna può essere considerata una
periferica che svolge le funzioni di input e di output di un elaboratore, ossia di un computer a cui essa è
collegata, anche in modalità wireless. Discutendo
di contesti formativi è inevitabile distinguere tra piano informale e formale. Il primo è riferibile alle
esperienze che caratterizzano la vita della persona e che determinano involontariamente processi di
apprendimento sovente molto significativi, il secondo è riferibile alle esperienze presso agenzie
instituzionalmente deputate a promuovere processi di insegnamento-apprendimento. Internet può dare
luogo ad apprendimenti casuali, incidentali. L'apprendimento informale con la Rete è da considerarsi non
solo per la Rete è da considerarsi non solo per la possibilità di accesso ed esplorazione della molesterminata
di dati e notizie reperibili online, ma anche perché promuove le capacità di autoregolazione cognitiva. I
recenti sviluppi della ricerca educativa in ambito tecnologico indicano l'importanza di incentivare nuove
forme di insegnamento/apprendimento che favoriscano l'interazione tra la dimensione formale e quella
informale del processo di acquisizione delle conoscenze. La rete Internet è particolarmente adatta per
autonoma sceglie come e quando approcciarsi alla materia, contando su un apprendimento attivo e
collaborativo.