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Riassunto Didattica Speciale per L' Inclusione

Didattica Speciale (Università degli Studi di Messina)

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DIDATTICA SPECIALE PER L'INCLUSIONE


PARTE PRIMA - La didattica speciale e le sue problematiche (Alonso)

1. Il ruolo della didattica speciale


Il termine HANDICAP è stato assunto per indicare una persona con problematiche fisiche, mentali o
sensoriali evidenti, senza capire che era stata ideata per indicare una determinata condizione sociale che
limita, ostacola,non offre le dovute opportunità alla persona con deficit di adempiere ad un ruolo normale
L'ambiente sociale capace di comprendere i diritti e le necessità delle persone può favorire enormemente lo
sviluppo dell'individuo in tutta la sua pienezza. A livello normativo il termine “inserimento” è stato
ufficializzato dall'art. 28 della Legge n° 118/1971, quello di “integrazione” soprattutto dalla Legge n°
104/1992, quello di “inclusione” dalla convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata
dall'Italia con la Legge n° 18/2010. Ciò che è determinante è il contesto di accoglienza disponibile ad
accettare la persona. Era essenziale che la scuola, la classe, gli insegnanti, il personale, fossero preparati ad
accettare tale novità e a modificare i propri ambienti e le proprie proposte formative per corrispondere ai
bisogni speciali di questi nuovi alunni. Quando si capì l'importanza di questo evento, intorno agli anni '80, si
iniziò sempre piú di “integrazione”. In tutti questi anni si è constatato un'EVIDENCE-BASED indiscutibile: una
scuola opera bene sul piano educativo e didattico speciale quando ha insegnanti preparati e
intenzionalmente predisposti al bene nei confronti degli allievi difficili, ma lavora sempre male sul piano
educativo e didattico speciale quando il suo dirigente è inefficace e incapace di indicare strade e controllare
processi. Le esperienze ci dicono che, indipendentemente dalla presenzadi un allievo con problemi, gli
insegnanti devono “pensare” la loro azione in una prospettiva didattica speciale. Si parla sempre piú di
INCLUSIONE e si tralascia giustamente il termine INTEGRAZIONE; si assume tale novità terminologica in un
tragitto di competenza didattica e di apertura culturale volto a designare situazioni educative indirizzate
all'accoglienza e a un accompagnamento educativo e didattico speciale che si attiva non solo quando si è in
presenza di un soggetto con deficit.
La prospettiva inclusiva è la strada obbligata per la nostra scuola e per le nostre istituzioni formative. È in
atto in tutte le società avanzate un processo di riforma “continuo” della scuola, in ogni Paese
economicamente e socialmente elevato si affrontano periodicamente le questioni scolastiche sottolineando
la necessità di rinnovare l'impianto formativo dell'istruzione. Un motivo che sollecita i Paesi a rinnovare la
propria scuola: l'evidenza che la complessità dell'esistenza entra nel cuore delle persone, le plasma
inconfondibilmente su un piano identitario individuale, le sospinge a prendere atto delle differenze e a
tramutare in valore anche i propri problemi. La condizione di disabilità di per sé non deve precludere
l'accesso alle opportunità di tutti, ma non dovrebbe nemmeno diventare il “nullaosta” che consente
l'accesso a qualsiasi esperienza di vita.Questa idea, che tutto è possibile indipendentemente dalle
condizioni oggettive, si sta insinuando in molti contesti sociali e culturali del nostro Paese e le conseguenze
le registriamo a scuola dove la complessità di una gestione personale e di gruppo sta diventando un
problema per molti versi perminente rispetto agli obiettivi didattici.
Una scuola che vuole agire in una prospettiva inclusiva pensa di dare risposte progettando preliminarmente
i processi educativi e le attività didattiche per tutti i suoi studenti. In un ambiente educativo e didattico così
impostato gli allievi sono al primo posto, negli interessi della comunità educante, infatti, gli insegnanti
parlano deiloro allievi, “parlano”, non “si lamentano”, discutono dei casi difficili, promuovono confronti
serrati, sia a livello assembleare generale nel collegio docenti, sia a livello intermedio nei consigli di plesso,
sia a livello locale nei consigli di classe, su tematiche nodali. Il ruolo del dirigente è determinante nel
favorire un “movimento pedagogico inclusivo” tale da incidere con risultati evidenti sui singoli allievi. Altre

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ricerche, inoltre, mettono in luce come i dirigenti delle scuole di maggiore successo sul piano educativo
siano capaci di accettare i rischi insiti in nuove iniziative pedagogiche: questi dirigenti investono molto nelle
relazioni interpersonali con i loro docenti, con le famiglie degli allievi e con la comunità dove è ubicata la
scuola, si mostrano sempre disponibili ad incontrare gli insegnanti e gli studenti e non hanno difficoltà
nell'offrire loro il tempo, sono in grado di utilizzare strategie comunicative idonee a creare il senso di
direzione dell'istituto e ad agire con risolutezza nell'indicare mete ed obiettivi da raggiungere. Una scuola
inclusiva non lascia nulla di intentato, ma è organizzata per raggiungere tutti i propri allievi non
permettendo a nessuno di “fallire” sul piano educativo. L'insuccesso formativo non è messo in preventivo
perché viene impostato un lavoro didattico speciale in cui le differenziazioni personali e le peculiarità
individuali sono riconosciute, accettate e prese di impegno per l'ideazione di proposte educative e
didattiche, mirate e speciali, di alto livello.
Una scuola che desideri diventare una valida realtà pedagogica inclusiva di eccellenza si deve fondare sulle
abilità didattiche dei propri docenti, in modo tale che siano in grado di intervenire con una proposta
formativa valida e motivante, la sola capace di promuovere l'apprendimento degli allievi. L'insegnamento ha
necessità di essere esperito concretamente, agito, per rappresentare quel volano educativo indispensabile
all'apprendimento e ciò è tanto piú vero al giorno d'oggi pensando alle difficoltà oggettive degli insegnanti
nel loro lavoro di promotori di apprendimento. Il tema della riflessione didattica è determinante. Una scuola
che voglia operare bene sul piano inclusivo necessità di una riflessione preliminare frutto di esperienza
diretta e provata. Emerge, quindi, la necessità che un'agenzia educativa desiderosa di aiutare i suoi allievi a
raggiungere i massimi livelli possibili deve impostare la propria proposta formativa su una riflessione
preventiva che illumina l'intervento educativo. La necessità che una scuola inclusiva abbia obiettivamente
bisogno di mettere in campo una didattica speciale di valore trova il suo fondamento nell'indispensabile e
preliminare esigenza progettuale che l'intervento pedagogico speciale impone. Nell'insegnamento non è piú
possibile prescindere dalle competenze didattiche speciali, una scuola inclusiva è obbligata, se desidera
lavorare bene, a mettere in atto processi di insegnamento-apprendimento consapevoli, fondati, validi sul
piano scientifico.

2. La scuola italiana e i suoi problemi


Gli alunni della scuola italiana sono quasi 8 milioni, mentre gli allievi con disabilità sono oltre 210.000. A
livello nazionale e per tutti gli ordini e gradi di scuola, la disabilità intellettiva rappresenta la tipologia piú
diffusa. Minori sono le percentuali degli alunni che hanno una forma di disabilità motoria, visiva o uditiva.
Gli insegnanti di sostegno sono circa 110 mila ed è interessante notare come ci sia nel corso degli anni un
incremento costante del numero di allievi certificati con disabilità nelle nostre scuole.
La scuola primaria riesce, per ora, a contenere le scosse di un mondo sempre piú in cambiamento e sempre
meno disponibile alla serena riflessione educativa. Ma anche in questo ciclo scolastico si notano derive
pedagogiche e culturali assai preoccupanti. Il Ministero dell'Istruzione italiano, consapevole di queste
enormi difficoltà e cosciente dei dati internazionali e nazionali che pongono la nostra scuola in una
posizione di enorme sofferenza, ha emanato il 27 dicembre 2012 la prima Direttiva recante Strumenti
d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica.
A seguito delle Legge 8 ottobre 2010, n° 170 i soggetti con DSA possono usufruire di percorsi capaci di
aiutarli a superare i loro disturbi oggettivi se ben pianificati. Abbiamo avuto, però, in ogni zona d'Italia e in
ogni ciclo scolastico, una fioritura di diagnosi davvero notevole e tale, a volte, da lasciare perplessi gli stessi
insegnanti. Non esistono allievi con Bisogni educativi speciali, non esiste il disturbo o la sindrome di BES
sono presenti nelle nostre scuole allievi che, in base alla normativa, possono usufrire, anche in assenza di
certificazioni e diagnosi, di piani didattici personalizzati, volti a rispondere alle loro assenza di certificazioni e

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diagnosi, di piani didattici personalizzati, volti a rispondere alle loro specifiche esigenze.
Il “Bisogno Educativo Speciale” è un termine ombrello comprendente tre tipologie di allievi con problemi:

-la persona con disabilità: con certificazione legata alla Legge 104/92 (può dare la possibilità di avere
l'insegnante di sostegno);

– la persona con disturbo evolutivo specifico: può avere, o anche non avere, la diagnosi da parte di uno
specialista riconosciuto dalla Regione di appartenenza (non prevede la possibilità di avere l'insegnante di
sostegno);

– la persona con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale: non ha nessuna diagnosi.

Le esperienze e la didattica speciale ci dicono che se si desidera rispondere a questi bisogni particolari e
specifici è necessario attivarsi per sviluppare le risorse degli studenti. L'interesse principale dei docenti sono
le possibilità di tutti gli studenti.

3. La didattica speciale in una scuola inclusiva


Una scuola che si pensa sul piano inclusivo è una scuola che pianifica avendo presente la necessità di dare
risposte ai suoi studenti. Un team di docenti che opera sul piano inclusivo è un team che pensa a impostare
unitariamente un progetto formativo volto a dare risposte significative a tutti i ragazzi presenti in aula. Un
insegnante che agisce sul piano inclusivo programma il suo lavoro in modo da raggiungere e soddisfare le
necessità di ogni allievo della sua classe. Le esperienze condotte in questi anni ci dicono come sia molto
pesante il lavoro in classe dell'insegnante, dispendioso persino sul piano fisico, le energie a disposizione
spesso devono essere impiegate nella conduzione di un gruppo classe sempre meno disposto all'ascolto e al
rispetto reciproco. Un insegnante non è in grado di insegnare se non riesce a gestire la sua classe. La
didattica speciale per una scuola inclusiva inizia necessariamente dal concetto di gestione della classe.
La scuola inclusiva si caratterizza nel proporre attività educative e didattiche tali da coinvolgere con
naturalizza l'allievo con disabilità, con problemi o disturbi specifici, facendolo sentire parte di un gruppo
valorizzandolo ed evitando che possa avere la sensazione di essere un elemento da sopportare e a cui
dedicare attenzioni caritatevoli. In una scuola inclusiva tutti sono considerati componenti importanti del
gruppo, non si mette minimamente in discussione questo pilastro fondante, figlio di una politica scolastica
di valore che trae origine da una consapevolezza pedagogica evidente: tutti gli allievi presenti in aula sono
da rispettare, tutti gli studenti sono da valorizzare, tutti gli alunni meritano attenzioni specifiche. In una
scuola inclusiva essere membri di un gruppo classe significa avere coscienza che i compagni sono una
risorsa indispensabile per la propria crescita perché ognuno, ciascun componente del gruppo valorizza tutti
gli altri vivendo, crescendo e impegnandosi a scuola. Per poter condurre in porto processi pedagogici
inclusivi significativi, occorre che l'insegnante possegga idee chiare su come agire nell'ambiente fisico
dell'aula, conosca le dinamiche sociali che possono insorgere, capisca il proprio ruolo nei confronti del
gruppo e dei singoli, sia consapevole del grande valore educativo dello stile comunicativo, riconosca i
bisogni individuali dei propri allievi, promuova interesse e partecipazione, traini ed entusiasmi sfruttando le
abilità relazionali, metta in atto le strategie più idonee ed efficaci. La gestione della classe è la capacità da
parte dell'insegnante di operare in classe, con l'intero gruppo degli allievi, in modo coinvolgente attraverso
l'offerta di una proposta formativa di valore, indicando strade di lavoro per tutti e per ciascuno. Solo
un'efficace gestione della classe permette una corretta differenziazione della proposta formativa; infatti, per
soddisfare le necessità personali degli allievi presenti in aula, alcune delle quali molto specifiche e
particolari, occorre essere in grado di operare con l'intera classe utilizzando modalità condivise e accettate
dagli allievi, credibili e interessanti per tutti, in modo che ogni membro della classe si senta partecipe di una

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proposta formativa che vale la pena affrontare con impegno. Agire perseguendo queste finalità presuppone
la conoscenza degli esperti che concorrono a creare una corretta gestione della classe.
L'aula è l'ambiente dove si vive la proposta formativa e in cui si consumano le dinamiche personali e
comunitarie di un gruppo di allievi, occorre, perciò, considerare attentamente la sua funzione; infatti, come
ogni luogo sociale, ha il suo significato e condiziona la presenza e il benessere delle persone. Gli insegnanti
non possono trascurare questo importante aspetto della vita personali e sociale scolastica.
Gli alunni, tutti i ragazzi, hanno sempre più necessità di incontrare “persone” desiderose di conoscere la loro
dimensione profonda, non solo la superficie, il loro animo, il loro cuore e quando un insegnante riesce con
autenticità a entrare in comunicazione con loro i risultati vengono raggiunti anche sul piano degli
apprendimenti. Analizziamo di seguito il ruolo dei bisogni da tener presente nelle dinamiche di classe:

a. Le esperienze personali;

b. Determinati bisogni, quelli di mancanza;

c. Ogni allievo desidera comprendere le logiche delle proposte educative e didattiche;

d. Il bisogno di successo e quello di evitare il fallimento;

e. La proposta educativo-didattica deve essere presentata con passione, con trasporto e in modo
affascinante;

f. Il ruolo delle attese ha bisogno di essere attentamente soppesato nella dinamica educativo-didattica della
classe;

g. L'autodeterminazione è uno dei massimi costrutti in grado di promuovere un effettivo cambiamento negli
allievi;

h. La competenza rappresenta un importante volano in grado di promuovere forti motivazioni


all'apprendimento, ma la consapevolezza di essere persone capaci di raggiungere determinati traguardi o
risolvere particolari aspetti legati allo studio o all'apprendimento non è qualcosa che nasce con spontaneità
nei ragazzi;

i. Occorre sempre agire sul piano educativo-didattica sollecitando la motivazione intrinseca degli allievi,
dimenticandoci della motivazione estrinseca.

Per gestire bene la classe occorre favorire un clima positivo. Gli allievi, per dare il meglio di sé, hanno
bisogno di trovarsi a loro agio in aula; la serenità di una vita relazionale di gruppo è l'elemento
indispensabile per promuovere le giuste motivazioni all'impegno e alla collaborazione. Le continue
situazioni negative frustranti non appartengono all'individuo una volontà ed un'apertura all'impegno, ma
piuttosto chiusure, difese serrate e poca disponibilità alla relazione spontanea. In questi casi è
indispensabile che l'insegnante favorisca la relazione interpersonale e l'autenticità della proposta educativo-
didattica. Occorre presentarsi per quello che si è, utilizzando modalità comunicative semplici ma efficaci.
Alcuni pilastri fondamentali su cui fondare una corretta gestione della classe:

1. GESTIRE LA CLASSE È ESSERE PRESENTI IN MODO EFFICACE: la presenza continua e vigile dell'insegnante
può favorire una comunicazione più efficace con gli allievi che presentano particolari problemi o necessità
marcate; la capacità di agire con rapidità limita, di fatto, le inevitabili interruzioni che si verificano quando
occorre dare risposte diversificate a qualche ragazzo che ne ha bisogno, ma soprattutto a la sua presenza
efficace comunica che gli allievi hanno a disposizione un insegnante capace edi cui si possono fidare.

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2. UTILIZZARE IL CONTROLLO PROSSIMALE: è una strategia educativa di intervento molto valida e funzionale
in ogni contesto didattico. Permette al docente di contenere gli atteggiamenti anomali che, il più delle
volte, cessano quando l'allievo vede arrivare accanto a sé l'insegnante.

3. IL RUOLO DELL'EFFETTO ONDA: la tecnica offre all'insegnante l'opportunità di “fare pressione” sull'allievo
che viola la norma richiamandolo pubblicamente. Lo scopo è l'effetto dell'azione educativa, il riverbero che
essa produce all'interno della classe.

4. LA COMUNICAZIONE DEVE ESSERE CHIARA E PRECISA: l'improvvisazione è uno strumento che raramente
sortisce risultati in campo educativo. La chiarezza e la precisione nella comunicazione, invece, risultano
sempre molto efficaci.

5. LA DOMINANZA: capacità di guidare con risolutezza le relazioni con i singoli allievi e con l'intero gruppo
classe. Per esprimere dominanza è necessario non solo essere consapevoli della sua importanza, ma anche
esercitarla concretamente in aula attraverso l'uso consapevole di determinazione, risolutezza, decisione,
energia.

6. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE: con il corpo si possono esprimere molti messaggi, annunciare
direttive, esprimere sentimenti, manifestare emozioni e l'insegnante abile è in grado di servirsi di questo
importante veicolo comunicativo in tutta la sua valenza e ampiezza. Il contatto oculare, il portamento, le
espressioni facciali, la respirazione sono gli strumenti naturali a disposizione dell'insegnante per poter
interagire meglio e con più efficacia con gli allievi: essi permettono, nello stesso momento, di comunicare
direttive differenti a diversi soggetti presenti in aula e offrono supporto indispensabile per colorare le
comunicazioni verbali di espressioni ed emozioni.

7. UTILIZZO SAPIENTE DELLA PROPRIA VOCE: quando un insegnante padroneggia pienamente lo strumento
voce, i ragazzi rimangono affascinati, sono conquistati e tutti sentono e ascoltano. L'insegnante può
utilizzare il registro della voce per comunicare meglio e con più intensità. In secondo luogo, sappianodalle
ricerche che il timbro è assai importante nelle relazioni perché ha il compito di aiutare chi ascolta a capire le
sensazioni, le emozioni di colui che parla. In terzo luogo, l'insegnante deve sapere che la voce esprime
anche la prosodia, il metalinguaggio che usiamo per comunicare il significato delle parole. Inoltre,
l'insegnante ha a disposizione il ritmo, caratteristica decisiva della voce perché permette di aumentare o
meno la velocità del linguaggio e quindi di enfatizzare o meno alcuni passaggi informativi che il discente
deve apprendere fino ad arrivare a utilizzare sapientemente pause e silenzio. Infine, il volume, un altro
elemento che concorre a rendere efficace l'uso della voce. Ciò che determina se un tono è basso, medio o
alto è proprio il volume della voce.

8. VALORIZZARE GLI ALLIEVI: gli studenti hanno bisogno di comprendere che il proprio insegnante, il proprio
educatore ha fiducia in loro, ha stima per la loro persona e per comunicare questo è necessario sempre
ricordare di elogiare gli allievi quando si comportano in modo opportuno, di complimentarci per il loro
atteggiamento costruttivo.

9. SLANCIO E SCORREVOLEZZA: l'insegnante deve ideare all'inizio delle sue proposte formative gli opportuni
slanci che possano agganciare e attrarre gli allievi e, quando questo avviene, occorre evitare inopportune
interruzioni, salti contenutistici inefficaci o sospensioni inutili.

10. IMPOSTARE PIÙ ATTIVITÀ CONTEMPORANEAMENTE: è diventata una strategia sempre più necessaria in
classe. Il lavoro cooperativo diventa una modalità generale di vita della classe.

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11. IMPOSTARE UNA CONTINUA DIVERSIFICAZIONE NELLA PROPOSTA DIDATTICA: gli allievi hanno sempre
più bisogno di sollecitazioni nuove, di attrattive differenti, di interessi reali che possano dare significato al
loro impegno scolastico. È doveroso bandire la noia in classe e l'insegnante, essendo il principale attore, è
nella condizione di evitare questo pericolo: la sua creatività dovrebbe spaziare dando vita a progetti mai
considerati prima. Al giorno d'oggi i device a disposizione permettono di effettuare compiti e attività
estremamente attraenti, l'accessibilità informatica oramai ha raggiunto vette elevatissime, l'uso di tablet, di
smartphone, della robotica a scuola dovrebbe rappresentare l'attualità di una didattica speciale per
l'inclusione.
3.6 L'UNIVERSAL DESIGN FOR LEARNING è la progettazione universale dell'apprendimento,
favorisce una foce naturale volta all'inclusione, puntando su una pianificazione della proposta didattica
indirizzata a risolvere le problematiche speciali presenti in classe ma, nello stesso tempo, utile per tutti i
membri della classe .Grande importanza viene data alla scelta di strumenti didattici flessibili e alle differenti
attività alternative che possono essere utilizzati al fine di una personalizzazione delle proposte formative.
Questo approccio all'insegnamento-apprendimento inclusivo si fonda sulla consapevolezza che i nostri
allievi hanno abilità e stili di apprendimento differenti e quando si progettano le varie attività e le diverse
programmazioni è necessario prevedere e tenere in considerazione il fatto che queste peculiarità possono
riguardare la vista; l'udito; il movimento; la lettura, la scrittura, il calcolo; la comprensione linguistica;
l'attenzione e l'organizzazione; l'apprendimento. L'Universal Design for Learning si basa sui seguenti principi
di base che ogni insegnante dovrebbe assumere in classe:

I. Fornire molteplici modi di coinvolgimento;

II. Fornire molteplici modi di rappresentazione;

III. Fornire molteplici modi di azione ed espressione.

Per sintetizza ed operazionalizzare questi principi di base si possono mettere in evidenza i seguenti
fondamenti programmatici: equità; flessibilità; semplicità; percettibilità; tolleranza all'errore; contenimento
dello sforzo fisico;misure e spazi idonei.
La didattica speciale in una scuola inclusiva odierna ha bisogno di innestarsi in una vita scolastica in cui le
proposte formative ed educative vengano progettate rispettando sostanzialmente due valori pedagogici
essenziali: il bene della persona e il bene del gruppo classe. È la classe lo spazio vitale e sociale in cui
incrementare la propria umanità.La parola chiave è “progettare” preliminarmente ma chi opera nella scuola
evidenzia un'altra parola legata alle difficoltà del fare scuola odierno: “differenziare”. Tomlinson, una grande
esperta nel campo dell'istruzione differenziata, sottolinea come la differenzazione è un modo di pensare
all'insegnamento e all'apprendimento, mettendo così immediatamente in luce il dato fondamentale:
occorre pensare all'insegnamento avendo presenti le molteplici necessità degli allievi presenti in aula. Per
agire in modo da differenziare la proposta didattica occorre abbandonare i tradizionali pregiudizi che
fondano e purtroppo mantengono ancora in vita la proposta formativa “tradizionale”.Per differenziare la
proposta didattica, occorre abbandonare questi pregiudizi; mutando l'approccio all'insegnamento si
favorisce la crescita di tutti gli allievi presenti in classe, accogliendo i loro reali bisogni e assistendoli nei
processi di apprendimento. In sostanza non esistono “strategie dedicate” che fondano la differenzazione,
ma la pratica didattica si appoggia suun set di principi che richiedono all'insegnante di analizzare in
continuazione gli studenti per regolare meglio la

proposta formativa. Gli elementi che caratterizzano la differenziazione in classe possono essere così
sintetizzati:

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- conoscere gli allievi;

– focalizzare l'insegnamento sulle abilità e sulle conoscenze essenziali;

– indirizzare gli interessi sulle differenti esigenze degli allievi;

– incominciare con una proposta formativa articolata che agganci gli interessi degli studenti rispettando i
loro differenti bisogni;

– progettare un piano di lavoro adattandolo alle esigenze degli studenti in classe con contenuti, percorsi e
prodotti da realizzare differenti;

– usare una pluralità di strategie didattiche;

– far partecipare tutti gli allievi alla proposta di lavoro;

– far percepire che l'apprendimento si fonda sulla collaborazione fra insegnanti e allievi.

Mastropieri e Scruggs identificano cinque aree di funzionamento personale che inibiscono le performance
di questi soggetti in classe in compiti di apprendimento: l'area del linguaggio, l'area cognitiva,
dell'attenzione e della memoria, del comportamento social, l'area fisica e delle funzioni sensoriali.
Conoscere le oggettive difficoltà in queste aree consente un'azione didattica speciale inclusiva capace di
supportare i deficit degli allievi. Occorre pertanto ricordare che, se si desidera lavorare bene sul paino
inclusivo, ogni allievo è una persona e ogni tecnica che si mette in campo deve essere attentamente
considerata e scelta in base alle necessità personali di ogni allievo. In questi anni si è visto che il successo sul
piano inclusivo lo si raggiunge solo in quei contesti scolastici dove esiste un'effettiva collaborazione tra
insegnanti “di classe” e insegnante di sostegno. I punti essenziali per operare in unità e collaborazione,
aspetti che si evincono anche da importanti ricerche relative all'individuazione dei prerequisiti che rendono
un team altamente collaborativo sono:

a. Fiducia nelle competenze dei colleghi;

b. Progettazione unitaria dell'ambiente educativo nella quale si svolgeranno i processi di insegnamento-

apprendimento;

c. Creazione di un clima collaborativo grazie al quale la partecipazione dei colleghi e i vari contributi espressi
siano valutati positivamente;

d. Alta considerazione del momento di programmazione unitaria;

e. Incremento della produttività, della creatività e della collaborazione.

La classe "non appartiene” al singolo insegnante ma tutti i docenti che vi operano ne hanno la
responsabilità e la Legge n° 104/92 sottolinea l'assunzione della contitolarità da parte dell'insegnante di
sostegno. Docente “di classe” e insegnante di “sostegno” si devono valorizzare in modo tale che le rispettive
professionalità possano essere messe al servizio del bene comune e diventare così complementari. Il Piano
Educativo Individualizzato è lo strumento a disposizione dei docenti per offrire un aiuto personalizzato e
mirato rispetto ai bisogni individuali che il deficit impone. Il PEI, se ben impostato, può offrire le indicazioni
formative ed educative più adeguate per progettare un cammino educativo e sociale basato sulla flessibilità
e l'innovazione, perché la preparazione alla vita del ragazzo possa trovare risposte competenti nella scuola.

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Per operare con una didattica speciale inclusiva occorre pianificare una diversificazione della proposta
educativo-didattica adeguando la programmazione approntata per una certa classe in un determinato anno
scolastico alle reali esigenze dei singoli allievi.Per fare questo è possibile utilizzare il seguente modello di
“adattamento”:

1. definire preliminarmente gli obiettivi per i singoli allievi;

2. considerare i livelli e le difficoltà che presentano i ragazzi;

3. valutare le necessità di tempi aggiuntivi e diversi per i singoli allievi;

4. programmare diversi livelli di supporto per incontrare le necessità dei singoli;

5. prevedere modalità differenti per valutare le competenze acquisite.

Inoltre, è bene tenere presenti i seguenti indirizzi pedagogico-didattici speciali, fondamentali per capire
come valorizzare meglio il processo di adattamento della proposta formativa:

i. Puntare sull'attiva partecipazione dell'allievo alla costruzione della conoscenza;

ii. Scegliere di approfondire piuttosto che ampliare, preferendo la riflessione precisa e acuta, il lavoro sui
macroconcetti, le macroabilità all'assaggio superficiale di tutti gli argomenti;

iii. Indirizzare le attività sulle connessioni esistenti e sulle relazioni effettive con la realtà;

iv. Sollecitare al lavoro unitario di rielaborazione,

v. Focalizzare il lavoro più sulle strategie da mettere in campo e meno sulla memorizzazione dei contenuti.

Vi è poi il problema della valutazione. Alcuni problemi sorgono per le scuole superiori dove la normativa
prevede per l'allievo con disabilità tre tipologie di prove valutative:

A. una prova uguale a quella dei compagni di classe;

B. una prova equipollente e tempi più lunghi rispetto alla prova dei compagni di classe;

C. una prova differenziata rispetto a quella progettata dei compagni di classe.

Vi è la necessità che l'allievo con disabilità sia valutato con proposte educative e didattiche il più possibile
corrispondenti alle sue effettive capacità. Tra i nostri allievi, però, possono esserci soggetti con disabilità
specifiche e limitazioni consistenti tali da non compromettere le possibilità di successo finale negli
apprendimenti, ma che necessitano di attenzioni più mirate. Questi ragazzi meritano un aiuto speciale e in
questo caso le prove equipollenti risultano utili e doverose. Esse, è la normativa che lo prevede, sono prove
sostenibili, accessibili in relazione alle modalità di realizzazione. Anche per quanto concerne la terza
opportunità prevista dalla normativa a disposizione degli insegnanti è indicativa e prevede un cammino
pedagogico e didattico significativo in linea con l'idea, sempre feconda, del servizio che la scuola può offrire
a tutti i suoi allievi, anche a coloro che a causa di problematiche psichiche, fisiche o sensoriali sono
impossibilitati ad affrontare tutte le esperienze di apprendimento e le attività previste dalla scuola, ma che
tuttavia hanno bisogno di percorrere ugualmente tali tragitti grazie a proposte curricolari individualizzate,
essenziali allo sviluppo globale della persona.
Le strategie dell'apprendimento sono tecniche, principi o regole che facilitano l'acquisizione, la
manipolazione, l'integrazione, la categorizzazione e il ricordo di informazioni. Vengono anche definire come

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“un set di risposte organizzate per risolvere un problema”. Una strategia di pianificazione formativa
particolarmente interessante e utile per diversificare la proposta formativa è la strategia PASS che consiste
nei seguenti quattro elementi:

1- PRIORITÀ NEGLI OBIETTIVI;

2- ADATTARE l'insegnamento;

3- SISTEMATIZZARE l'insegnamento avendo presenti le seguenti variabili: struttura, chiarezza, ridondanza,


entusiasmo, appropriato livello, massimizzare l'interesse;

4- SISTEMATIZZARE la valutazione.

Molto importanti sono le strategie mnemoniche che paiono molto indicate perché permettono anche al
soggetto con disabilità intellettiva di avere visivamente presente i passaggi utili a produrre risposte
significative, una fra le più note è la strategia denominata RARE che contiene in sé i seguenti passi

- RIPETERE la domanda;

– AGIRE per rispondere alla domanda;

– RAGIONI da dare per giustificare la risposta data;

– ESEMPI da offrire in risposta al quesito.

Estremamente importanti sono poi le strategie per IMPARARE A STUDIARE. La tecnica SQ3R dispone di
procedere seguendo determinate fasi consequenziali di apprendimento strategico:

• Effettuare una rassegna (S) del materiale da studiare per cercare di avere un'idea complessiva degli aspetti
principali;

• Esaminare gli argomenti più importanti e formulare una domanda (Q);

• Leggere (R) il compito per trovare una risposta alla domanda;

• Cercare di rispondere (R) effettivamente alla domanda;

• Rivedere (R) e richiamare alla mente i punti principali del compito per un'esposizione adeguata.

La strategia PQRST si caratterizza per questa sequenza: previsione (P); domanda (Q); leggere (R); auto-
recitazione (S); verifica (T).
L'iter scolastico di un alunno in situazione di gravità ha certamente inizio con il dischiudersi delle porte
concrete, garantito dalla legge, che gli consente l'accesso al percorso formativo, ma risulta sovente fin da
subito ostacolato da barriere non materiali, di fatto pesanti e difficilmente sormontabili. Spesso a questo
ragazzo con esigenze così marcatamente diverse da quelle degli altri, anche se non ufficialmente, vengono
precluse le strade che portano all'inclusione, con programmazioni didattiche completamente “a latere”
della classe, con attività specifiche che di fatto lo isolano ancora dal resto dell'umanità.
Si preferisce il disimpegno, si sceglie di non pensare perché la risposta potrebbe avere conseguenze rilevanti
in quanto tutti sanno che per corrispondere ai bisogni degli allievi con gravi disabilità occorrerebbe
strutturare la scuola in un altro modo, tutti sanno che non si fa un vero servizio alla persona suddividendo le
giornate scolastiche in ore-materia a prescindere dai collegamenti disciplinari e da una piattaforma
programmatica unitaria che dia senso e significato alle varie attività. Non solo gli insegnanti specializzati

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sanno bene come questa organizzazione formativa non sia funzionale a soddisfare i bisogni dei soggetti con
disabilità, ogni docente di classe che possiede un minimo di sensibilità per le “diversità” riconosce
l'inadeguatezza, la forzatura del modello tradizionale di scansione oraria e la difficoltà di modulare al suo
interno esperienze d'apprendimento capaci di coinvolgere davvero tutti i ragazzi.

PARTE SECONDA – Dalla Didattica Speciale per l'inclusione alla Didattica Inclusiva. L'approccio
cooperativo e meta-cognitivo (Bocci)

1. Allestire l'ambiente inclusivo: dalla didattica tradizionale alla didattica inclusiva


Le variabili principali della teoria dell'apprendimento scolastico di Bloom sono:

I. COMPORTAMENTI COGNITIVI D'INGRESSO, ossia le conoscenze e le abilità che sono richieste perun
determinato compito di apprendimento;

ii. le CARATTERISTICHE AFFETTIVE D'INGRESSO;

iii. le QUALITÀ DELL'ISTRUZIONE. Per Carroll le caratteristiche essenziali di questa variabile risiedono
primariamente nell'organizzazione dell'apprendimento e nella proposta di un insegnamento centrato sulle
caratteristiche dell'allievo.
Nella DIDATTICA TRADIZIONALE le caratteristiche peculiari dell'allievo non sono prese in considerazione se
non in una dimensione di pregresse conoscenze disciplinari o prerequisiti funzionali alla
trasmissione/assimilazione di conoscenze prestabilite. Si fa riferimento a un allievo IDEALE e non REALE,
pertanto le caratteristiche del compito sono conformi per tutti e, soprattutto, questo è centrato
sull'insegnamento e non sull'apprendimento. Questa idea statica della conoscenza fa sì che si ritenga
superflua una formazione degli insegnanti. Da questo quadro si sviluppano due conseguenze:

A) Ha a che fare con gli esiti dell'apprendimento. Si tratta di una visione statica della funzione
dell'educazione, rispondente a una visione altrettanto statica della società, interessata e proiettata
sostanzialmente a riprodurre le diseguaglianze che la permeano.

B) Riguarda la scarsa permeabilità del sistema scuola alle differenze, a quegli allievi chiamati ELEMENTI
PERTURBANTI DEL SISTEMA. L'ASSENZA DI CONSIDERAZIONE delle caratteristiche che rendono peculiare
l'elemento perturbante lo esclude dalla possibilità di essere/avere parte attiva del processo di
insegnamento-apprendimento. La Didattica Inclusiva affonda le sue radici, almeno in Italia, in quel NUOVO
MODO DI CONCEPIRE e DI ATTENUARE LA SCUOLA promulgato inizialmente dalla Relazione Falcucci del
1975 e poi confermato dalla Legge 517 del 1977. Si fonda sul modello dell'individualizzazione che si afferma,
sul piano scientifico culturale nel nostro Paese, proprio negli anni Settanta del Novecento.In una prima
accezione di inclusione la caratteristica DIVERGENTE dell'allievo è ancora considerata come ELEMENTO
PERTURBANTE del sistema classe/scuola, il quale però, a differenza di quanto avviene nel sistema didattico
tradizionale, lo accetta, lo accoglie. In questo caso il sistema risulta certamente permeabile alla
PERTURBABILITÀ del soggetto perturbante e, a partire da questo, mette in atto una serie di dispositivi di
accorgimento/accomodamento finalizzati.

In altre parole, questa concezione dell'inclusione continua ad essere sovrapponibile al modello


dell'integrazione in quanto è incentrata su una concezione che è certamente orientata a offrire maggiori
opportunità di apprendimento, ma è ancora agganciata alla presenza di SOGGETTI SPECIALI. Vi sono diverse
criticità da segnalare:

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1. È la presenza del/dei soggetti a richiedere l'attivazione dei dispositivi, delle procedure e degli interventi
diaccomodamento del sistema e di differenziazione della didattica;

2. Ciò comporta, ancora, che:

a- La conoscenza delle caratteristiche dei singoli richiede processi diagnostici basati sul modello clinico;

b- La differenziazione della didattica è ancora ad appannaggio del singolo o dei singoli che presentano
unbisogno educativo speciale;

c- I docenti agiscono scarsamente in modo collegiale e si attuano quei fenomeni di delega tanto noti quanto
invisi nella maggior parte dei casi all'insegnante specializzato o a chi è volenteroso;

d- Le diverse didattiche rischiano di essere ad appannaggio di questi ultimi e sono ancora considerate alla
stregua di tecniche per chi è in difficoltà.

Ed è su questi aspetti che noi ravvisiamo la necessità di un cambiamento epistemologico. In una accezione
più autentica di inclusione e di didattica inclusiva è il sistema che deve essere AMICHEVOLE AL
CAMBIAMENTO. La permeabilità alla perturbabilità, quindi, non deve essere susseguente alla presenza
dell'ELEMENTO PERTURBANTE, ma organica al sistema. Diversamente dalla concezione dell'integrazione
l'inclusione come qui la intendiamo non pone l'accento sugli alunni disabili o con bisogni speciali, ma
semmai su come determinati dispositivi li rendano e li denotino tali. Come rileva D'Alessio, l'accento “è
posto sui meccanismi e sui contesti che devono essere modificati in quanto l'educazione inclusiva è un
modo di sfidare la presunta norma della scuola regolare e di andare oltre il paradigma dell'integrazione
scolastica”.

2- Didattica Cooperativa e Metacognitiva


1.2 L'APPRENDIMENTO COOPERATIVO si è strutturato e diversificato nel tempo secondo una
multiformità di approcci, definizioni o modalità, ciascuno dei/delle quali ha privilegiato alcuni aspetti
specifici. Lo STUDENT TEAM LEARNING (S.T.M.) elaborato da Slivin intorno al 1983 valorizza la dimensione
della MOTIVAZIONE ESTRINSECA. Slivin sostiene che laddove gli studenti non siano sorretti da un livello di
motivazione interna tale da mantenere un adeguato e continuativo impegno nei compiti di apprendimento,
il confronto con i compagni può agire come una sorta di propellente, favorendo anche l'instaurarsi di un
clima positivo che a sua volta agisce da rinforzatura della motivazione.
Il COMPLEX INSTRUCTION (C.I.) , ideato da Cohen nel 1986, parte dal presupposto che la didattica
tradizionale è spesso finalizzata a far acquisire allo studente poche abilità di base il cui possesso è tarato su
specifiche categorie di studenti. Si tratta di un evidente limite che richiede un cambiamento di orizzonte e di
senso.
Il COLLABORATIVE APPROACH (C.A.) è stato ideato da Cowie e Rudduck nel Regno Unito intorno al 1988 e
da Reid, Forrestal e Cook in Australia nel 1989. Qui si dà risalto all'importanza dei rapporti di collaborazione
tra gli studenti ed è finalizzata all'acquisizione di capacità inerenti la comunicazione, la condivisione delle
informazioni e del lavoro in team in vista del raggiungimento di uno scopo comune. Nel C.A. L'acquisizione
di queste abilità incide positivamente sulle capacità degli studenti di affrontare e risolvere i conflitti,
migliorando tra l'altro le relazioni sociali tra gli studenti che appartengono a gruppi sociali ed etnici diversi.
Il GROUP INVESTIGATION, elaborato da Sharan e Sharan in Israele nel 1992, trae diretta ispirazione dalla
teoria di Dewey e pone al centro della sua elaborazione il concetto di ricerca.

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Secondo i fratelli Johnson, ideatori del LEARNING TOGETHER (anni '80), affinché si possa parlare di
APPRENDIMENTO COOPERATIVO è necessario che vengano soddisfatte cinque condizioni fondamentali.

1. INTERDIPENDENZA POSITIVA → I membri del gruppo lavorano su obiettivi tali per cui ciascuno giunge al
successo solo se, e nella misura in cui, tutto il gruppo lo raggiunge.

2. RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE → Tutti gli studenti inseriti in un gruppo sono chiamati a rendere conto
agli altri componenti della propria parte di lavoro e di quanto hanno appreso. L'applicazione di tale principio
evita quindi che in un gruppo vi sia il cosiddetto BATTITORE o CORRIDORE LIBERO (FREE RIDERS), ossia il
membro che compie ogni operazione per conto proprio senza lasciare spazio agli altri, oppure che si
verifichino fenomeni di delega e di disimpegno (SOCIAL LOAFING).

3. INTERAZIONE FACCIA A FACCIA → Esalta la funzione del feedback nelle situazioni di lavoro cooperativo. È
necessario, quindi, che il contesto di apprendimento sia strutturato in modo da consentire atutti di potersi
guardare reciprocamente.

4. INSEGNAMENTO DIRETTO DELLE ABILITÀ SOCIALI → Uno dei principi fondamentali.

5. VALUTAZIONE INDIVIDUALE E DI GRUPPO → I membri verificano e discutono i progressi compiuti in vista


del raggiungimento degli obiettivi preposti e si soffermano ad analizzare la qualità dei loro rapporti
relazionali. Dai diversi studi condotti emerge un sostanziale accordo sul fatto che l'INTERDIPENDENZA
POSITIVA possa assumere diverse forme:

a. SCOPO: tutti i membri lavorano per conseguire un obiettivo comuni;

b. COMPITO: ciascun membro svolge una parte del compito per conseguire un obiettivo comune;

c. RUOLO: si assegnano agli studenti ruoli complementari e interconnessi per aiutare il gruppo a svolgere la
propria funzione. Quattro tipologie di ruoli finalizzati: alla GESTIONE DEL GRUPPO; al FUNZIONAMENTO DEL
GRUPPO; all'APPRENDIMENTO; alla STIMOLAZIONE DEL GRUPPO.

d. RISORSE: i membri condividono le loro differenti abilità, lo competenze, le idee,... Tanto più quindi il
compito è diversificato e strutturato tanto più gli allievi si sentono incoraggiati ad applicare le proprie
specifiche abilità.

e. MATERIALI: i membri condividono materiali e informazioni tra loro diverse. È fondamentale che ciascuno
sia il possessore esclusivo di una certa tipologia di materiale.

f. IDENTITÀ: i membri di ciascun gruppo inventano un nome, uno slogan, un motto che rafforza il senso di
appartenenza al proprio gruppo di riferimento ma anche alla classe .Per attivare e strutturare
l'interdipendenza positiva è necessario che i docenti ripongano la massima attenzione ai seguenti aspetti: il
CONTESTO; la CELEBRAZIONE; la VALUTAZIONE. Con il termine ABILITÀ SOCIALI si fa riferimento sia a
funzioni cognitive sia a comportamenti manifesti che gli individui attivano in modo fluido, efficace e
efficiente, mentre interagiscono con una o più persone. Come evidenzia Spence le abilità sociali sono agite a
più livelli di complessità. Siamo dunque all'interno di una rete articolata di cognizioni e di azioni che
consentono al soggetto di conseguire risultati positivi per se stesso e per gli altri che lo circondano.
L'insegnamento e l'apprendimento delle abilità sociali deve avvenire all'interno di un contesto altamente
operativo. Esistono diversi programmi che nel corso del tempo hanno mostrato una certa validità per la
promozione delle abilità sociali e dei correlati repertori strategici implicati.

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– Il programma elaborato da Goldstein, conosciuto in Italia come APPRENDIMENTO STRUTTURATO, prevede


quattro fasi tra loro interrelate: MODELING; ROLE PLAYING; PERFORMANCE FEEDBACK; TRANSFER OF
LEARNING.

- Il SOCIAL SKILLS TRAINING (SST) descritto da Spence è un programma EVIDENCE-BASED sviluppato in linea
con studi empirici che ne hanno dimostrato l'efficacia nell'incrementare la performancein specifiche abilità
sociali con soggetti tra i 7 e i 18 anni. Quello proposto da Spence è un approccio integrato e multimodale.

Anche Comoglio, nell'ambito dei suoi studi sull'APPRENDIMENTO COOPERATIVO, fa riferimento alle abilità
sociali e alla loro acquisizione mediante insegnamento. Oltre al MODELING e al ROLE PLAYING viene
suggerito il ricorso alle CARTE A T. Insegnanti/e e allievi rielaborano e sintetizzano le esperienze e le
osservazioni condotte nelle fasi precedenti attraverso la compilazione di una tabella, definita per l'appunto
CARTE A T, che consente di evidenziare gli aspetti verbali e non verbali connessi all'abilità sociale affrontata.
Il docente è chiamato a programmare le azioni e a definire tutta una serie di questioni inerenti l'intero
percorso da compiere. L'insegnante è una regista che ha il compito di strutturare un contesto di
apprendimento che permetta a tutti e a ciascuno di partecipare attivamente al processo di apprendimento
valorizzando le competenze e le abilità di ognuno. Per tale ragione, gli esperti dell'APPRENDIMENTO
COOPERATIVO suggeriscono di organizzare i materiali in modo eterogeneo.
I fratelli Johson, con Holubec, operano una triplice distinzione dei gruppi avvalendosi del criterio della
DURATA;

1. GRUPPI FORMALI → La durata non risponde a una tempistica prestabilita, si tratta di circa 4-6 settimane
ma non vi è prescrittività. Sono utilizzati prevalentemente per l'apprendimento di contenuti di diversa
natura e hanno la funzione di promuovere il coinvolgimento degli studenti e la loro capacità di
rielaborazione in merito ai contenuti curricolari oggetto di studio.

2. GRUPPI INFORMALI → Generalmente si costituiscono per finalità specifiche. Si può ricorrere a questa
tipologia di gruppi nell'ambito di attività concernenti argomenti particolarmente rilevanti in un determinato
momento della vita di classe, oppure per svolgere attività di ripasso e di consolidamento. In tal senso
possono anche formarsi dei GRUPPI DI INTERESSE.

3. GRUPPI BASE → Si tratta di gruppi a lungo termine, con membri stabili che si scambiano il sostegno,
l'aiuto, l'incoraggiamento e l'assistenza necessari per apprendere.
L'eterogeneità all'interno dei gruppi può essere garantita tenendo conto di tre aspetti: il livello di
competenza di ciascuno; la diversa tipologia delle abilità possedute dagli allievi; il livello di socialità
posseduto .Va tenuto anche presente che l'acquisizione delle abilità sociali necessarie per rendere
produttivo il lavoro di gruppo sono l'esito di un percorso. Non solo i gruppi non devono essere sciolti se si
presentano delle difficoltà, ma occorre investire risorse per consentire la loro evoluzione in ottica
migliorativa. L'incoraggiamento e il rinforzamento svolgono qui una funzione fondamentale.
Kagan ha elaborato intorno ai primi anni Novanta l'APPROCCIO STRUTTURALE che ha avuto un'ampia
diffusione negli Stati Uniti e una certa notorietà nel contesto italiano. Egli è giunto alla conclusione che la
didattica tradizionale non consente la piena partecipazione a tutti gli studenti. Il limite più evidente è quello
di svolgersi seguendo una scansione lineare, caratterizzata da sequenzialità temporali che prevedono lo
svolgimento di singole azioni, denominate ELEMENTI, che si succedono l'una all'altra e che coinvolgono un
esiguo numero di studenti per volta. Kagan afferma che più si accresce la possibilità di interazione, maggiore
è la possibilità che l'apprendimento sia ricco e significativo per tutti i suoi protagonisti. Egli introduce le
STRUTTURE, le quali rappresentano dei modi di organizzare l'interazione tra gli studenti in classe,
prevedendo un uso congiunto di diversi elementi. La continua combinazione dei diversi elementi, che ha

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luogo nelle STRUTTURE, crea situazionidi apprendimento nuove che hanno il pregio di accrescere la
partecipazione e il coinvolgimento di tutti alle diverseattività proposte.I principi guida di questo approccio
sono:

i. INTERAZIONE SIMULTANEA;

ii. EQUA PARTECIPAZIONE;

iii. INTERDIPENDENZA POSITIVA;

iv. RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE.

2.2 Nella DIDATTICA METACOGNITIVA un'azione didattica, come rivela Calvani, oltre che indirizzarsi a far
apprendere specifici contenuti, deve “essere orientata a far acquisire abilità metacognitive, cioè a rendere
l'alunno capace di darsi obiettivi e di affrontare nuovi compiti autonomamente”.Usualmente tra gli addetti
ai lavori si attribuisce allo psicologo statunitense Flavell il merito di aver introdotto ai primordi degli anni
Settanta il termine METACOGNIZIONE nel lessico scientifico, grazie ai suoi studi sulla memoria e alle attività
di memorizzazione. Flavell e Wellman nella metà degli anni Settanta hanno elaborato un modello in base al
quale la metacognizione rappresenta una modalità di elaborazione delle informazioni.Un successivo passo
avanti, come rilevano Antonietti e Cantoia, è stato quello di cercare di spiegare come le persone siano in
grado di collegare tra di loro conoscenze metacognitive diverse e ciò ha portato gli studiosi a focalizzare
l'attenzione sul concetto di controllo. Viene così eleborato da Flavell intorno agli anni Ottanta un modello
più complesso, che individua quattro componenti quali facilitatori dell'azione del soggetto sui compiti
cognitivi: le METE COGNITIVE; le CONOSCENZE METACOGNITIVE; le ESPERIENZE METACOGNITIVE; gli ATTI
COGNITIVI. La proposta di Brown rappresenta la METACOGNIZIONE centrando l'attenzione sul controllo dei
processi, proponendo al contempo un'accurata analisi di tali meccanismi. Allo stato attuale, quando ci si
riferisce al costrutto/concetto di METACOGNIZIONE, si intende fare riferimento da un alto alle conoscenze
che il soggetto sviluppa in merito ai propri processi cognitivi e al loro funzionamento, dall'altro alle attività
esecutive che gli sono proprie e che sovrintendono al monitoraggio e all'autoregolazione dei processi
cognitivi stessi. La METACOGNIZIONE di ciascun soggetto, quindi, ingloba le conoscenze sulle sue abilità
cognitive, sulla natura dei processi cognitivi, sulle strategie per affrontarli e l'abilità di controllarli e
monitorarli prima, durante e dopo la loro esecuzione. Cornoldi specifica quelli che sono a suo avviso i due
elementi centrali che compongono la METACOGNIZIONE:

A) la CONOSCENZA COGNITIVA DI BASE (Atteggiamento metacognitivo) → Ha a che vedere con la


propensione dell'individuo a operare riflessione sulla natura della propria attività cognitiva e alla tendenza a
riconoscere la/le possibilità di utilizzarla ed estenderla. Questa modalità può essere attivata anche in
assenza delle conoscenze metacognitive specifiche per un determinato compito che si sta affrontando.

B) i PROCESSI COGNITIVI DI CONTROLLO (attività metacognitiva di controllo) → Si attivano nel soggetto


quando questi è chiamato alla scelta, all'applicazione e alla valutazione delle strategie ritenute adeguate per
la soluzione della generalità dei compiti di natura mentale. La loro finalità ultima è quella di tenere sotto
controllo tutta la vasta gamma di operazioni che ricorrono nell'esperienza di PROBLEM SOLVING. Una
funzione di particolare rilievo è giocata dai PROCESSI DI PREVISIONE, i quali consentono di formulare giudizi
preventivi sull'andamento di un'attività o in merito ai suoi risultati. Le strategie assolvono una funzione
fondamentale: aiutare il soggetto impegnato in un compito o in una attività a mettere in atto tutta quella
serie di operazioni cognitive essenziali ai fini del raggiungimento di un apprendimento INTERIORIZZATO
efficace. La conoscenza e la padronanza di un consistente numero di strategie aumenta la probabilità che il

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soggetto scelga quella che ritiene la più adeguata ed efficace per la prestazione richiesta e per il
conseguimento delle mete auspicate. Ianes, operando un vaglio della letteratura di settore, evidenzia come
le strategie, a seconda del loro ambito di applicazione, possano essere disposte in modo rappresentativo su
tre livelli gerarchicamente disposti e che vanno, quindi, dal generale allo specifico: le STRATEGIE CENTRALI,
le MACROSTRATEGIE, le MICROSTRATEGIE.
Ianes delinea i seguenti aspetti positivi presenti nell'insegnamento metacognitivo:

1. Si enfatizza con intenzionalità e con sistematicità lo sviluppo della flessibilità, del pensiero,
dell'automonitoraggio continuo e del controllo delle azioni e del pensiero di ciascun allievo in relazione a un
certo compito e a uno o più obiettivi;

2. È data una significativa rilevazione all'obiettività dell'analisi delle diverse situazioni cui l'allievo è chiamato
a confrontarsi;

3. L'autoregolazione stimola l'uso di un pensiero strategico;

4. L'autoconsapevolezza ha un valore inestimabile nel processo evolutivo della persona;

5. Assumono un ruolo rilevante il linguaggio e il dialogo guidato;

6. La valorizzazione delle differenze e l'assegnazione di ruoli attivi a tutti gli allievi.

PARTE TERZA – Tecnologie didattiche e apprendimento (Pinnelli)


1. EDUCAZIONE MEDIALE e TECNOLOGIE EDUCATIVE sono due espressionei spesso usate come sinonimi,
che in realtà definiscono due modi diversi di guardare al binomio FORMAZIONE e NEW MEDIA:
interrogandosi prevalentemente su come i media possano essere strumenti che favoriscano il processo di
apprendimento e lo potenziano, su come le tecnologie possano supportare l'agire educativo del docente e
in che termini la didattica debba confrontarsi con le nuove risorse digitali per migliorare la sua azione.
La MEDIA EDUCATION è una parte di una più ampia forma di “cittadinanza democratica”. Tale espressione si
riferisce prevalentemente e sinteticamente, alla riflessione critica e alla progettazione di percorsi di
esplorazione e analisi delle logiche che sottendono l'esperienza mediale, un'educazione nei media e all'uso
dei media. La Media Education, in sintesi, è quell'area di studio che punta a sviluppare un'ampia base di
riflessioni scientifiche sui processi di apprendimento e di insegnamento delle competenze, necessarie alla
gestione della comunicazione mediale. La funzione della Media Education è di promuovere lo sviluppo di un
pensiero cretico nelle giovani generazioni sull'uso dei media.
Con l'espressione TECNOLOGIE EDUCATIVE si intende, invece, l'area di studio di sperimentazione atta a
fornire agli insegnanti in formazione e in servizio concetti e strumenti per lavorare con i media dentro la
scuola, per programmare azioni educative e per costruire cultura con essi. Lo studio delle tecnologie
educative, applicate ai processi di insegnamento e apprendimento e le metodologie didattiche che hanno
orientato i risultati, sono stati operazioni culturali periodicamente rinnovate nella sostanza e nella forma, in
relazione al cambiamento dell'offerta tecnologica, alla crescita della consapevolezza e della competenza
operativa e didattica dei soggetti occupati nella formazione e, soprattutto, in relazione al mutare del
modello epistemologico di riferimento. Molte fonti fanno risalire al 1954 la data di nascita delle tecnologie
educative. Il termine “tecnologie educative” inizia ad essere utilizzato verso la fine degli anni Cinquanta nel
dibattito scientifico anglosassone. In Italia l'interesse scientifico in questo campo si comincia ad avviare solo
alla fine degli anni Ottanta. Alla fine degli anni Settanta, in ambito anglosassone, prese forma il concetto di
“tecnologie dell'istruzione”, intendendo la “scienza dei mezzi”, cioè uno studio sistematico dei metodi e dei

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media per l'analisi, la profettazione, lo sviluppo, la valutazione dei processi di insegnamento e di


apprendimento. Dagli anni Settanta ad oggi la diffusione dei nuovi media digitali nella scuola è mutata. È
possibile distinguere diverse fasi:

1. Dalla metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta, coincidente con l'affermarsi dell'approccio
comportamentista allo studio dei processi di istruzione, è stata quella dell'istruzione programmata e dei
programmi tutoriali in cui il computer è stato concepito come un sostituto dell'insegnante che garantisce il
percorso di apprendimento dell'alunno (COMPUTER TUTOR);

2. Fino a metà degli anni Ottanta, in cui si afferma il modello di riflessione cognitivista e la mente dell'uomo
non è più considerata una scatola nera inesplorabile, il computer è stato visto come un utensiel cognitivo
(COMPUTER TOOL). Secondo questa prospettiva esso, per mediazione dell'utente, può contribuire a
controllare e migliorare l'apprendimento potenziando alcune funzioni cognitive specifiche. In questa fase
rientrano gli ambienti GENERAL-PURPOSE;

3. Anni Novanta, il computer è un utensile comunicativo sempre più multimediale e, successivamente,


ipertestuale e interattivo. Va per altro diffondendosi un significato più esteso della multimedialità
corrispondente al caso in cui, all'impiego di mezzi, si associa la possibilità di interagire con i vari supporti
delle informazioni e il contenuto informativo che essi veicolano. L'interazione tra uomo e macchina passa, in
questa fase, da lineare a ramificata, da standard a personalizzata, grazie proprio allo sviluppo della logica
ipertestuale. Un IPERTESTO è un insieme di documenti messi in relazione tra loro per mezzo di parole
chiave. Le caratteristiche che lo contraddistinguono dal testo lineare sono: la NON LINEARITÀ nella lettura, si
annullano i canoni aristotelici della scrittura a vantaggio di una struttura reticolare. L'ipertestualità e la
multimedialità dei sistemi promuovono l'altra caratteristica essenziale e innovativa che è l'INTERATTIVITÀ.
L'interattività informatica è un'evoluzione dell'interazione umana. Un prodotto multimediale è interattivo se
consente all'UTENTE DI INTERVENIRE NELLA FRUIZIONE DEI CONTENUTI; se prevede un feedback
tempestivo alle richieste dell'utente; se prevede la PLURIDIREZIONALITÀ dello scorrimento delle
informazioni; se il RITMO DELLA COMUNICAZIONE è in tempo reale e se prevede la PRODUZIONE DI
OGGETTI COMUNICATIVI nuovi non completamente prevedibili a priori ma esito del percorso di navigazione
descritto dall'utente.

4. Fine degli anni '90 e inizio secondo millennio, è quella della connettività. Il computer, multimediale,
ipertestuale e interattivo, è ora connesso al resto del mondo grazie all'esplosione di Internet e delle reti
geografiche.

Il modello psicopedagogico di riferimento e di progettazione didattica che corrobora l'evoluzione


tecnologica degli anni Novanta è il costruttivismo e il costruzionismo sociale, modelli pedagogici che
promuovono forme di apprendimento collaborativo, in cui sia previsto un ruolo attivo e riflessivo dello
studente nei processi di costruzione, co-costruzione e condivisione di conoscenza, in un contesto reale e
AUTENTICO, in cui interagisce con gli altri, con le risorse informative e con le tecnologie.Cartina di tornasole
di un processo di cattiva assimilazione delle ICT (Tecnologie della Comunicazione e dell'Informazione) nelle
scuole è di un uso inadeguato viene dall'analisi dell'introduzione della Lavagna InterattivaMultimediale
(LIM) nelle aule. Accanto all'esigenza di recuperare la competenza metodologica all'uso delle tecnologie, a
come fare delle ICT un alleato per perseguire obiettivi formativi e non solo informativi, si pone un secondo
elemento di riflessione, un vero COMPITO PEDAGOGICO ed emergenza formativa di cui il docente deve farsi
carico, è l'educazione al PENSIERO CRITICO e al LINGUAGGIO FORMALE. L'accesso alle risorse informative
online ha liberalizzato la cultura e sdoganato i saperi per tutti ma, sbriciolando in maniera destabilizzante i
saperi, ha anche banalizzato e appiattito la qualità della comunicazione e delle conoscenze. La

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comunicazione multimediale consente di costruire messaggi efficaci, densi, esplicativi; il tempo che i media
consentono di recuperare sul piano dell'efficacia comunicativa e della pregnanza informativa va reinvestito
in azioni dialogiche tra insegnanti e allievi e tra pari per ricostruire i nessi di significato, sollecitate idee,
stimolare l'uso del pensiero critico, offrendo stimoli, piste di discussione, compiti di recupero e
completamento autonomo e costruendo consegne che obblighino al confronto ad andare oltre
l'informazione. Accanto all'impatto di CONTENUTO e DI RELAZIONE dei new media sulla nostra cultura e sui
processi di formazione, occorre sottolineare l'impatto che essi hanno nell'architettura stessa dei PROCESSI
COGNITIVI che in essa si sviluppano, nella geografia delle reti neuronali, nella riduzione dei tempi di
attenzione e della elaborazione profonda a vantaggio di un'attenzione diffusa, superficiale e multitasking,
nelle abilità visuo-spazili di esplorazione della realtà, nella velocità di fruizione a discapito della profondità e
della comprensione. L'educazione formale deve prendere atto di questi cambiamenti, sfruttarli e
compensare attraverso i media tradizionali e attraverso esperienze di apprendimento significativo le carenze
in termini di riflessione profonda, pensiero critico, pensiero creativo, riflessione metacognitiva.
Il panorama dei prodotti software disponibile potrebbe essere organizzato secondo diversi criteri, qui se ne
propongono due: per MODELLO DI PROGETTAZIONE e per FUNZIONE.
Per MODELLO DI PROGETTAZIONE il software potrà essere: ipertestuale; modulare; lineare. Rispetto alle
FUNZIONI i software disponibili possono essere classificati in quattro tipologie: software diagnostici;
software abilitativi e riabilitativi; software di tipo general-purpose; software didattici educativi. Parlando di
software didattico occorre specificare che esso, tanto a livello di modello di sviluppo quanto a livello di
modello di applicazione in classe, si è evoluto passando dall'essere prevalentemente uno strumento di
autoapprendimento destinato al singolo alunno all'essere uno strumento di lavoro collaborativo, in cui
convogliare gli sforzi di un gruppo di studenti, all'essere uno strumento che il docente utilizza come
supporto alle proprie lezioni per la classe. Per tutte le tipologie descritte i sistemi possono essere CHIUSI o
APERTI: sono chiusi quando gli esercizi sono definiti direttamente dal programma, sono invece aperti
quando l'insegnante può integrare dentro il programma una batteria di esercizi o contenuti calibrati sulle
necessità dello studente.

1.5 La prima lavagna interattiva è stata prodotta nel 1982; in ambito didattico essa ha cominciato ad essere
usata dalla fine degli anni Novanta e in Italia dopo il 2000 grazie a forti investimenti in progetti ministeriali di
enti locali e allo sviluppo di software didattico per il suo utilizzo. In un contesto comunicativo in cui è
presente la LIM l'utilizzazione interagisce con il sistema attraverso speciali penne o direttamente con le dita;
grazie alle funzioni messe a disposizione dal software presente nel computer, al quale la LIM è connessa, è
possibile scrivere, disegnare, muovere oggetti sullo schermo, scrivere con una testiera virtuale, connettersi
ad Internet e gestire ogni programma presente sul computer. La lavagna può essere considerata una
periferica che svolge le funzioni di input e di output di un elaboratore, ossia di un computer a cui essa è
collegata, anche in modalità wireless. Discutendo
di contesti formativi è inevitabile distinguere tra piano informale e formale. Il primo è riferibile alle
esperienze che caratterizzano la vita della persona e che determinano involontariamente processi di
apprendimento sovente molto significativi, il secondo è riferibile alle esperienze presso agenzie
instituzionalmente deputate a promuovere processi di insegnamento-apprendimento. Internet può dare
luogo ad apprendimenti casuali, incidentali. L'apprendimento informale con la Rete è da considerarsi non
solo per la Rete è da considerarsi non solo per la possibilità di accesso ed esplorazione della molesterminata
di dati e notizie reperibili online, ma anche perché promuove le capacità di autoregolazione cognitiva. I
recenti sviluppi della ricerca educativa in ambito tecnologico indicano l'importanza di incentivare nuove
forme di insegnamento/apprendimento che favoriscano l'interazione tra la dimensione formale e quella
informale del processo di acquisizione delle conoscenze. La rete Internet è particolarmente adatta per

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supportare lo sviluppo di competenze cognitive, riflessive, teorico-investigative e collaborative. La


dimensione formale dell'apprendimento attraverso il web è ascrivibile a risorse precise in continua
espansione che possano essere canalizzate verso il soddisfacimento di bisogni e obiettivi di apprendimento
disciplinari, sempre e comunque coordinate con l'apprendimento informale, valorizzando il LEARNING BY
DOING quale qualità fondamentale per il successo formativo dei DIGITAL STUDENTS. Tuttavia sul piano
organizzativo delle pratiche scolastiche si tratta di capire se e come il contesto formale di apprendimento
riesca ad essere adeguatamente allestito in maniera da fornire un ambiente realistico in cui sviluppare,
attraverso l'uso della comunicazione mediata da fornire un ambiente realistico in cui sviluppare, attraverso
l'uso della comunicazione mediata,nuove pratiche che rendano più significativi e degni di interesse i
processi di insegnamento e che consentano di valorizzare e valutare la dimensione informale della pratica
digitale.
La scuola dovrebbe preoccuparsi di sviluppare il necessario abito critico, senza il quale un uso libero
dovrebbe preoccuparsi di sviluppare il necessario abito critico, senza il quale un uso libero di Internet può
risultare più dannoso che utile per l'allievo. Gli effetti negativi, su cui la scuola ha il dovere di intervenire
massicciamente, possono consistere in acquiescenza acritica all'informazione online, incapacità di valutare
l'affidabilità delle informazioni, il plagio, la dispersività e futilità nelle relazioni, l'appiattimento delle
capacità di giudizio personale e di pensiero divergente a vantaggio di un pensiero omologato. La scuola non
ha bisogno di accrescere la quantità d'informazione, ma di insegnare a meglio valutarle e di lavorare sulle
infrastrutture cognitive per il management delle informazioni. Le evidenze relative al pensiero multitasking
indicano che l'uso di pratiche di questo tipo si accompagna di norma ad un abbassamento del controllo
cognitivo: i giovani che praticano un multitasking intenso sono meno capaci di filtrare le interferenze
provenienti da indicazioni irrilevanti dei compiti. La competenza digitale implica una contemporanea
presenza di sapere e maestria tecnica , congiuntamente a pensiero critico e capacità etico-sociale. Da più
voci viene sottolineato il ruolo dell'insegnante quale principale artefice del successo del processo di
apprendimento. Di conseguenza, le tecnologie non sono da considerarsi determinanti in se stesse, quanto
invece lo sono la qualità delle interazioni didattiche e, soprattutto, le strategie messe a punto dal docente, in
cui le tecnologie stesse svolgono una funzione di supplemento all'insegnamento tradizionale, piuttosto che
sostitutive.
Gli studenti favorevoli a sperimentare forme di didattica alternativa a quelle tradizionali hanno buone
capacità di autoregolazione. La pratica della costruzione e della esplorazione di ipertesti, in linea con la
prospettiva cognitivista, si rivela particolarmente utile al processo di apprendimento visto come processo
elaborativo, basato su meccanismi e strategie di organizzazione, di comprensione e di attribuzione di
significati. Tale pratica conduce all'acquisizione di competenze di controllo del processo e di rielaborazione
critica dei contenuti e stimola processi metacognitivi in parte spontanei e in parte attraverso alcune
specifiche strategie.
2.2 L'ELECTRONIC LEARNING (e-Learning) è una metodologia di insegnamento e apprendimento che
prevede l'opportunità di partecipare a percorsi di formazione strutturati attraverso piattaforme web. Essi
sono finalizzati ad erogare contenuti disciplinari, attività laboratoriali, verifiche e valutazioni sino al
conseguimento del titolo di studi e sono attivati presso strutture formative che hanno scelto di offrire tali
servizi di apprendimento per rispondere a bisogni specifici di utenza che, per ragioni legate a distanze
geografiche o altri impedimenti, non potrebbero frequentare le lezioni in presenza. Peculiarità dell'e-
learning è l'alta flessibilità garantita al discente dalla reperibilità sempre e ovunque dei contenuti formativi
che permette l'autogestione e l'autodeterminazione del proprio apprendimento e la scansione del processo
formativo e rimanda alla capacità di pianificare il processo e il senso di responsabilità del formando al fine
del raggiungimento degli obiettivi didattici prefissati. Centrale diventa il ruolo dell'utente, che in maniera

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autonoma sceglie come e quando approcciarsi alla materia, contando su un apprendimento attivo e
collaborativo.

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