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Università degli Studi di Pisa

Sintesi Galanti, Pavone, ?Didattiche da scoprire


Linguaggi, diversità, inclusione?
Scienze della Formazione Primaria
Prof: Fantozzi
Autore: Ernesta
Anno Accademico: 2019/2020
Sintesi
Didattiche da scoprire Linguaggi, diversità, inclusione
Maria Antonella Galanti, Marisa Pavone, a cura di Didattiche da scoprire. Linguaggi, diversità, inclusione, a cura di M. A. Galanti, M. Pavone, Mondadori
Education, Milano, 2020.

Introduzione
Nel testo si esplorano espressioni della didattica meno praticate, si sono scelti aspetti adatti per
qualsiasi tipo di disabilità o BES. I temi sono articolati in cinque sezioni, fulcro centrale di
ciascuno è il corpo e la corporeità.
La prima sezione contiene considerazioni generali sulle “didattiche altre” e la loro potenzialità
inclusiva. Il primo capitolo parla dei fondamenti di una scuola inclusiva di qualità, della
professionalità docente, della didattica come azione progettuale strategica, le competenze, i
rapporti tra gli allievi, il clima d’aula e la valutazione come processo formativo.
Il secondo capitolo opera una riflessione sulla didattica come disciplina complessa. La seconda, la
terza e la quarta sezione sono dedicate a corporeità, movimento, musica, drammatizzazione e
danza, all’ambiente naturale e agli animali.
L’ultima sezione indaga gli aspetti della comunicazione, la multimedialità come risorsa, il cinema.
Scopo del libro: mostrare come questi campi di esperienza possano essere fonte di arricchimento
per gli allievi, mettendo in gioco anche la dimensione corporea. La motricità è un apprendimento
complesso e mediatrice di comunicazione e espressione di sé. Le attività didattiche considerate
hanno in comune la capacità di coinvolgere, accanto all’intelligenza formale, quella emozionale,
tramite la corporeità.

Parte Prima. Didattiche trasversali e inclusive

Capitolo 1. Azione didattica e processi di inclusione Marisa Pavone

1.1 Inclusione delle diversità e qualità della scuola


Le “didattiche da scoprire”, più analogiche di quelle “tradizionali”, hanno un rapporto privilegiato
con un’azione di insegnamento attiva, possono favorire l’inclusione e l’apprendimento degli
studenti più fragili. La vera posta in gioco è la visione longitudinale dei traguardi di
apprendimento → promuovere la costruzione di profili di competenza in tutti gli studenti, affinché
realizzino al massimo il loro capitale di umanità.
1.1.1 Razionalizzazione dell’istruzione, di contrasto agli insuccessi scolastici
In una società orientata ai diritti universali l’efficacia di una scuola inclusiva è la maggiore
sfida al mondo dell’educazione quindi la capacità di elaborare curricula validi per tutti. Il
problema è la conciliazione tra la realizzazione delle potenzialità soggettive con il massimo
possibile di produttività e di qualità dei sistemi scolastici. La scuola reale ha difficoltà sia
nel promuovere il successo formativo per la generalità degli studenti, sia nel rinnovamento
dell’offerta formativa. Da quasi mezzo secolo educare nelle diversità risulta l’evoluzione
naturale dei sistemi scolastici, tuttavia è fonte di incertezze: il titolo di studio oggi non
garantisce occupazione e si hanno costi eccessivi in rapporto ai risultati. L’esigenza di
fronteggiare l’istruzione di massa e di mostrarsi all’altezza dell’industrializzazione,
dell’evoluzione tecnologica e della globalizzazione ha indotto i sistemi scolastici a una
pianificazione serrata → identificazione dei concetti essenziali dei saperi, studio
dell’architettura delle discipline, costruzione di percorsi curricolari, controllo e valutazione
oggettiva degli apprendimenti, assumendo un approccio scientifico-razionale alla didattica.
Per favorire i traguardi scolastici per gli alunni con bisogni particolari è stato adottato un
modello di potenziamento e differenziazione didattica: il mastery learning, con una forte
strutturazione degli obiettivi di apprendimento, differenziazione dei percorsi in funzione
delle difficoltà, scansione di tempi, supporti e rinforzi.

1.1.2 L’approdo alla categorizzazione dei bisogni educativi speciali: la scelta della
differenziazione didattica
La cultura postmoderna ha assunto la diversità come valore da promuovere, le politiche
scolastiche danno ampio spazio all’individualizzazione e personalizzazione per persone
candidate all’insuccesso scolastico e alla dispersione. I BES comprendono difficoltà diverse:
disabilità, DSA e altre situazioni di disagio. La scelta prevalente per i BES è stata quella
di approntare una didattica integrativa con servizi aggiuntivi e semplificare o diversificare i
percorsi. Gli studi evidenziano i rischi di questo modello:
1- l’idea che sia necessaria una progettazione didattica valida per la maggioranza degli
studenti e percorsi differenziati per chi ha difficoltà sottintende che l’apprendimento sia un
processo omogeneo per la maggioranza → percorsi di individualizzazione o
personalizzazione giustificati con la condizione di difficoltà;
2- la differenziazione estrema può produrre percorsi didattici diversi, in cui gli studenti più
fragili non partecipano né alla progettualità comune né al gruppo classe.

1.1.3 L’inclusione come motore di qualificazione della scuola


Il modello inclusivo non va declinato su approcci che contrappongono normalità presunta a
condizioni di specialità. I percorsi di apprendimento di tutti gli alunni sono diversi, gli
insegnanti devono rispettarli e valorizzarli. Impostare una classe in cui si insegni
individualmente a 25-30 studenti è impraticabile, a meno di non ricorrere
all’autoistruzione, ma essa non crea ambienti attivi. Occorre un modello con molte misure
in un solo contesto, nel quale gli approcci attivi pongono al centro ogni allievo. In tale
modello, l’apprendimento è inteso come traguardo sociale. Nella classe-comunità di
apprendimento inclusiva l’esito formativo non è analizzato solo secondo un’ottica
individuale o attribuito solo a circostanze interne al soggetto, ma è collocato entro un
sistema che si co-costruisce interattivamente. Nella declinazione inclusiva, l’azione
didattica non è destinata a pochi allievi, né è una didattica potenziata grazie a pratiche
specialistiche. L’innovazione sta nel cambiamento sistemico, nell’impostazione del processi
di insegnamento-apprendimento rivolto ad una popolazione di studenti eterogenea.

1.2 A proposito di progettazione di un’offerta scolastica efficace e inclusiva


Fra i paradigmi della didattica inclusiva l’Universal Design for Learning trasferisce i
principi della programmazione universale ai temi educativi. Essa suggerisce un percorso di
massima flessibilità nei traguardi, metodi, strumenti, valutazione, per ottimizzare le
opportunità. Il modello fornisce molti mezzi per il coinvolgimento motivazionale (perché
apprendere), per la rappresentazione del contenuto (cosa apprendere), per l’azione e
l’espressione (come apprendere). Il ricorso alla tecnologia è fondamentale per la sua
implementazione, per rendere disponibili una varietà di strumenti di scaffolding, adattabili
ai diversi stili di pensiero.

1.2.2 La scuola che include


Dalle indagini emerge che la realizzazione di pratiche inclusive si giova di scelte di
contesto che tendono a creare premesse valoriali e condizioni ambientali favorevoli.
Mitchell pone in primo piano la responsabilizzazione attiva degli insegnanti, dei dirigenti
scolastici e delle famiglie. Le strategie di contesto creano una cultura di rispetto e fiducia,
insegnamento collaborativo, coinvolgimento delle famiglie, promozione di comportamenti
positivi, buon clima di classe. Nel nostro Paese il valore dell’inclusione permea
l’architettura scolastica, da alcuni anni la scuola italiana manifesta interesse per il modello
Index per l’inclusione, che fornisce una mappa per l’analisi istituzionale, utile a orientarsi
nell’ideazione, realizzazione e valutazione dei percorsi inclusivi.

1.2.3 Il profilo del docente inclusivo


Per poter affrontare i problemi della vita gli studenti devono essere in grado di connettere
il sapere scolastico con le situazioni di realtà. In quest’ottica Perrenoud ridisegna la
professionalità docente sulla base di competenze trasversali di ordine progettuale e
metodologico: considerare i saperi come risorse da mobilitare, lavorare per situazioni
problema, condividere progetti formativi con gli allievi, pianificazione flessibile, minore
chiusura disciplinare. Le Boterf indaga l’evoluzione della competenza professionale negli
ultimi trent’anni: da dimensioni prestazionali e riproduttive a rielaborazione del sapere in
situazioni complesse. Egli suggerisce di trattare la competenza come un processo che
mobilita le risorse proprie e altrui e richiede una distanza riflessiva rispetto alle pratiche e
alle risorse messe in opera. Le competenze professionali dei docenti sono declinate in
modalità progettuali, flessibili, dialogiche, collaborative, in una visione dell’insegnamento
tesa a strutturare processi a spirale tra esperienza e riflessione. Il docente deve essere una
guida metacognitiva del processo didattico, regolare il feedback formativo e sostenere un
clima positivo. L’European Agency for Development in Special Needs Education ha
elaborato un profilo dei docenti inclusivi, i quali:
1- valorizzano la diversità dell’alunno (differenza come risorsa),
2- sostengono gli alunni coltivando alte aspettative sul loro successo scolastico,
3- collaborano con gli altri,
4- si aggiornano continuamente.
1.3 Declinazione inclusiva dell’azione didattica in classe
1.3.1 Dagli obiettivi alle competenze
Garantire il successo per la generalità degli studenti → gli studi convergono su alcuni principi e
azioni di insegnamento riconosciuti efficaci, tra questi l’orientamento verso traguardi di
apprendimento chiari, adottare procedure metacognitive, feedback frequenti, regolazione del
carico cognitivo, valorizzazione degli studenti e promozione della partecipazione, attenzione
all’autoefficacia, valutazione formativa. Tali strategie sono indispensabili per i soggetti
vulnerabili. Si è superata la tradizionale declinazione dei traguardi scolastici in termini di obiettivi
per approdare alle competenze, ovvero l’insieme delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e
comportamenti mobilizzati in maniera pertinente al contesto. In ambito scolastico si è archiviato il
sapere tradizionalmente inteso, simboleggiato dall’approccio analitico, strutturato attraverso
percorsi ordinati e documentato da traguardi in termini di obiettivi espressi attraverso
comportamenti osservabili e misurabili, Questa architettura è ancora ampiamente diffusa tra gli
insegnanti, tuttavia il sapere veicolato è rigido e lontano dall’esperienza. Per contro, il sapere
reale che la società chiede alla scuola deve rendere competente la generalità dei giovani nei
contesti di vita, stimolando la creatività nella risoluzione dei problemi. L’approccio
all’apprendimento per competenze è il punto di incontro tra sapere teorico-analitico e sapere
pratico-globale, tra la conoscenza maturata con l’esperienza e la riflessione su di essa → più
aderente alla complessità reale. Gli obiettivi sono inadeguati anche per i bisogni educativi degli
studenti, soprattutto quelli vulnerabili, sia perché la sua rigida impostazione non permette di
accogliere le novità, sia perché avalla la separatezza dei percorsi di studio tra studenti “normali” e
“speciali”, quindi favorisce marginalizzazione e isolamento dei più fragili.

1.3.2 La didattica come azione progettuale


Negli ultimi decenni la letteratura pedagogico-didattica ha proposto diversi modelli di
progettazione formativa: programmazione per obiettivi, per concetti, per sfondo integratore, per
competenze, sono le più diffuse.
I modelli a orientamento strategico
Evidenziamo gli approcci per progetti e per sfondo integratore, che collocano al centro del
processo didattico temi di una certa ampiezza, prevedono strategie induttive → avvicinamento
esplorativo al sapere. Le discipline sono concepite come strumenti di comprensione della realtà.
La didattica per progetti ha la sua origine storica nella seconda stagione dell’attivismo
pedagogico. L’allievo va posto di fronte ad un compito autentico, una situazione che richiede di
applicare una conoscenza nelle esperienze del mondo reale. Egli deve avere il materiale
informativo per procedere, sviluppare le soluzioni in modo ordinato, poter applicare le idee
maturate per chiarirne il significato. Impegnato a realizzare un progetto di apprendimento, lo
studente deve sapere integrare conoscenze, abilità e atteggiamenti.
La progettazione per sfondo integratore ha il proposito di superare i limiti della
progettazione standardizzata, disattenta alla specificità dei singoli, per sostenere lo sviluppo di
tutti gli allievi. Si caratterizza per l’identificazione di una cornice progettuale che fa da sfondo e
da contenitore spazio-temporale, organizzatore di uno o più percorsi didattici orientati al
raggiungimento di traguardi formativi. Lo sfondo è una struttura di connessione ed è una
struttura narrativa. Più diffusa nella scuola dell’infanzia, favorisce il coinvolgimento
motivazionale e l’autoapprendimento. Conoscenza e esperienza si alimentano reciprocamente.
I modelli progettuali a orientamento strategico stimolano la capacità di interagire con l’esperienza
del reale nella sua complessità, non riconducibile ad una singola disciplina, quindi sono in sintonia
con una didattica per competenze, perché l’azione progettuale favorisce l’emergere dell’apporto
che i saperi possono fornire allo sviluppo di competenze. Inoltre adottano una pianificazione
aperta e flessibile.
Cambiano i ruoli dei docenti e degli allievi
Le didattiche a orientamento progettuale strategico spostano il baricentro della proposta
formativa dal processo di insegnamento centrato sul docente, a quello di apprendimento
focalizzato sull’allievo. Il docente ha il ruolo del regista, predispone le condizioni dell’ambiente che
stimolino l’autoapprendimento, mantiene il controllo e la valutazione in itinere della qualità del
progetto didattico e deve essere capace di rielaborarne le tappe e proporne trasformazioni
evolutive. Gli studenti, attivi co-costruttori di conoscenza, collaborano alla problematizzazione del
compito, alla ricerca di informazioni, all’esplicitazione dei risultati. Questo può favorire
l’assunzione di responsabilità e l’autonomia. Queste didattiche trovano supporto in modalità
cooperative di lavoro per gruppi.

1.3.3 La valutazione per l’apprendimento


Le didattiche progettuali tendono a valorizzarne la funzione di sostegno e di stimolo
all'apprendimento → la valutazione ha un ruolo formativo. In contesti di didattica progettuale
alcuni propongono il modello della valutazione autentica, che verifica non solo ciò che lo studente
sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa. Essa vuole accertare la capacità di usare le
conoscenze e le abilità per negoziare un compito complesso, permette opportunità di ripetere,
praticare, consultare risorse, avere feedback su prestazioni e prodotti, che possono essere
perfezionati. Per i docenti l’impegno osservativo e valutativo è più complesso che nella didattica
tradizionale. Sono necessari criteri trasparenti e raccogliere evidenze e documentazioni.

Capitolo 2. La didattica oltre la didattica Maria Antonella


Galanti

2.1 Qualificare la didattica attraverso la centralità del corpo, ma anche del virtuale
Per lungo tempo la didattica è stata considerata un raccoglitore delle ricadute pratiche e
delle riflessioni teoriche elaborate nella pedagogia. In realtà essa dovrebbe riguardare
l'acquisizione dei saperi e la riflessione sui processi di apprendimento intesi come percorsi
complessi. Si devono quindi considerare anche aspetti ulteriori rispetto ai contenuti
disciplinari, come ad esempio la capacità di esprimersi a livello corporeo e quella di usare
alfabeti legati all’emozionalità, in particolare la musica, la sensibilità ambientale, la danza,
il linguaggio filmico.
2.2 Per una didattica transdisciplinare e dinamica
La didattica potrebbe occuparsi della mediazione tra i diversi linguaggi non solo
disciplinari, ma anche offrire un approfondimento teorico rispetto a quelle che hanno come
oggetto di riflessione l’essere umano, discipline quali la pedagogia, biologia, psicologia,
filosofia, psicoanalisi, antropologia, sociologia, storia. Deve tenere conto non solo della
natura delle diverse discipline, ma anche del contesto di apprendimento, degli aspetti
motivazionali. Concerne sia gli aspetti emozionali e affettivi, sia il sé cognitivo, sia la
motricità intesa come strumento comunicativo ed espressivo. La motricità è il vettore
centrale attorno al quale, all’alba dell’esistenza, si formano la vita affettiva e cognitiva.
Attraverso l’azione motoria, nei primi anni di vita si formano le due cornici dell’esperienza,
il tempo e lo spazio. L’idea stessa della permanenza degli oggetti trae origine dalla
motricità. Per Piaget nel primo anno di vita l’apprendimento è il risultato di azioni che
diventano sempre più organizzate, fino a diventare prassie, ovvero movimenti preceduti e
accompagnati da un progetto. La motricità è una vera e propria funzione dell’Io. Essa ha
un duplice volto: insieme di prassie ma anche di segni che definiscono il linguaggio non
verbale, che produce azioni e significati.
2.3 Didattica e complessità
L’apprendimento è un processo complesso, che si realizza in una relazione. La didattica
potrebbe inoltre fare oggetto di riflessione la specializzazione disciplinare legata alla
separatezza dei saperi. La specializzazione disciplinare è un dato imprescindibile affinché
sia possibile un approfondimento delle ricerche. Tuttavia questo non dovrebbe significare
che non ci si preoccupi del dialogo tra i differenti saperi. L’apprendimento è cognitivo e
affettivo insieme. Intelligenza e attenzione sono funzioni primarie limitate che si possono
incoraggiare e sviluppare in relazione ai contesti e alle differenti esperienze, un filtro che
media i contenuti e i dati. Sono intrecciate strettamente alla memoria. Occorre sostituire
l’idea monolitica del modo di apprendere di ogni singolo alunno con una più sfaccettata,
che tenga conto della compresenza di funzionamenti cognitivo-affettivi diversi. Questo
approccio richiede la disponibilità del docente ad adattare la propria programmazione
pensando a percorsi di stimolazione trasversale. La conoscenza è anche il prodotto
dell’incontro tra persone, è originata dall’esperienza, l’epistemologia genetica di Piaget la
lega allo sviluppo e alle necessità adattive rispetto all’ambiente.
2.4 Insegnamento-apprendimento come pratica comunitaria condivisa
La scuola opera oggi in un contesto di grande complessità, reso variegato ed instabile
anche dai flussi migratori, dai conflitti legati all’appartenenza interculturale, religiosa, di
genere e di generazione. Il suo compito educativo riguarda sia il problema dell’educazione
alla cittadinanza attiva, sia quello delle differenze e alterità. Viviamo una fase storica in cui
i contesti comunitari si sono sgretolati e si vive un incremento del senso di precarietà, che
determinano l’acuirsi delle sofferenze identitarie. La didattica non può essere confinata al
possesso di metodologie adeguate e di tecniche, ma deve generare una teoria critica
rispetto agli stereotipi e alle idee vetuste sui processi di insegnamento-apprendimento,
concepito in ottica trasmissiva, e alla possibile neutralità del docente rispetto ai contenuti o
alle relazioni con allievi e colleghi. Proporre contenuti senza mostrare passione, in maniera
fredda e disincarnata, è una pratica autoritaria e inefficace. Qualsiasi contenuto
disciplinare è interessante se viene proposto come qualcosa di vivo e se genera curiosità,
dubbi, domande. Ciò è possibile solo se i contenuti non vengono presentati come certezze
monolitiche, ma come qualcosa di mobile e vivo, da poter confrontare con altri contenuti di
campi di saperi differenti. La disponibilità al confronto dovrebbe essere un impegno
condiviso dal corpo docente. Solo in un’ottica comunitaria la specializzazione disciplinare
può lasciare spazio a momenti transdisciplinari, legati a pratiche esperienziali diverse,
come la musica o altre attività che coinvolgano il corpo e il nostro rapporto con i fenomeni
naturali, come gli animali e l’ambiente.
2.5 Immaginazione, creatività, dimensione ludica e didattica. Il caso dei videogiochi
Tra Io e mondo esiste una terza area, intermedia, che ha a che vedere con
l’immaginazione. Cinema, teatro, musica, danza, attività motoria, rapporto diretto con
l’ambiente e gli animali rappresentano altrettanti modi di abitare questa terza dimensione.
Nella scuola tuttavia l’attenzione a questi elementi è scarsa o nulla, compaiono come
eccezioni e non come elementi importanti per la formazione. Anche l’uso della rete e dei
nuovi media, che rendono possibili nuovi modi di esprimersi e comunicare, deve essere
analizzato in quest’ottica. Spesso, nel riflettere sulla rete, si assumono atteggiamenti
moralistici improntati alla diffidenza, pregiudizi che valgono anche per i videogiochi,
considerati elementi di ostacolo o distrazione rispetto all’apprendimento, e non come
possibili facilitatori. I videogiochi sono in grado di sollecitare la dimensione intellettiva, ma
anche di canalizzare eventuali energie negative. Se attentamente selezionati possono
essere ausili importanti rispetto a problemi di apprendimento correlati a stress e ansia,
perché rendono possibile esprimere frustrazioni affettive e sentimenti, incrementando
l’intelligenza emozionale. Il fascino dei videogiochi è analogo a quello dei libri, ma con
qualcosa in più: la capacità di amplificare ciò che accade quando leggiamo. Durante la
lettura il cervello si comporta come se non sapesse che ciò che ci emoziona non è originato
da vicende personali. I romanzi e i racconti stimolano la formazione della teoria della
mente, competenze metacognitive importantissime nella relazionalità sociale. Allo stesso
modo viene stimolata la capacità empatica, perché è possibile immedesimarsi
maggiormente nei personaggi protagonisti delle narrazioni dei videogiochi, che
assomigliano a veri film, la cui trama non è però subita passivamente ma creata.
2.6 Riflessioni conclusive
La didattica nuova dovrebbe mediare tra esistenza soggettiva e oggettiva, tra Io e mondo,
collocandosi nella terza dimensione dell’immaginazione creativa. La sua riflessione
dovrebbe trovare spazio nell’alveo del pensiero complesso, creando legami tra le scienze
esatte e le scienze umane. Dovrebbe occuparsi anche della soggettività dei docenti e dei
discenti. I docenti non hanno solo il compito di proporre conoscenze, quanto quello di
adattarle ai saperi pregressi, allo stile di apprendimento, all’affettività e alle competenze
metacognitive degli allievi. Occorre incrinare la partizione disciplinare dei saperi anche
tramite esperienze di confine nei quali il corpo gioca un ruolo di primo piano.

Parte seconda. Corporeità e movimento


Capitolo 3. L’attività motoria nei processi di conoscenza e di mediazione didattico-pedagogica
Pasquale Moliterni
Rendere significativo l’apprendimento comporta mettere al centro l’esperienza degli
studenti e favorire un’ampia partecipazione. I contesti formativi dovrebbero porre al
centro l’azione più che la ricezione, per ragioni tipicamente evolutive. Infatti l’intelligenza
motoria è preesistente e persistente nell’attività di ogni essere umano ed è alla base dello
sviluppo di tutte le altre forme di intelligenza. Il movimento è alla base dei processi di
formalizzazione e simbolizzazione. Gli schemi motori e d’azione favoriscono lo sviluppo dei
processi di rappresentazione e concettualizzazione. La progettazione dei curricoli scolastici
dovrebbe tener conto di ciò e offrire esperienze che pongano al centro l’azione degli alunni,
favorendo un apprendimento problematizzante e per scoperta, usando una mediazione
calda, attiva ed analogica in contesti laboratoriali.
3.1 Corporeità e azione motoria nello sviluppo umano: tra evidenze e teorizzazioni
L’esperienza attraverso il corpo è fondamentale per lo sviluppo, ma l’agire con il corpo si
va sempre più affievolendo nell’esperienza del bambino. Invece è importante che i bambini
possano muoversi. Le neuroscienze evidenziano che esiste un senso condiviso del corpo-in-
azione. Vedere qualcuno eseguire un’azione evoca l’attivazione non soltanto della parte
visiva del cervello, ma anche quella motoria, le emozioni e l’affettività. Il sistema motorio
funziona in modo tale da permetterci non solo di agire, ma anche di simulare ciò che fanno
gli altri. I neuroni-specchio consentono una conoscenza non verbale, non concettuale e
inconsapevole che riduce le distanze tra noi e il mondo. Già Piaget chiarì le
interdipendenze tra attività senso-motoria e intelligenza, evidenziando come esistesse
un’intelligenza pratica, che utilizza percezioni e movimenti organizzati in schemi d’azione.
Esiste una conoscenza implicita, automatica, non riflessiva, che si esprime attraverso il
nostro corpo senza che noi ce ne rendiamo conto. Il corpo ha potenzialità espressive e
comunicative che si realizzano in un linguaggio con struttura e regole proprie.
3.2 Interazioni e movimento nei processi cognitivi e metacognitivi
Nella relazione io e corpo, secondo l’epistemologia genetica di Piaget, la conoscenza è
frutto di interazione tra il sé e l’altro, tra il soggetto e l’oggetto. Noi siamo e diventiamo
grazie al corpo. A partire dalla propria esperienza il soggetto sviluppa la propria azione in
forma non solo adattiva, ma anche creativa e costruttiva di sé. Il processo di
decentramento continuo, di gioco tra me e ciò che è fuori di me per conoscere me stesso è
alla base del compito di sviluppo di ogni persona, che diviene tale attraverso l’interazione e
l’intersoggettività, in un circolo virtuoso io-tu-mondo. Per essere persona e stare bene
devo “essere bene” con me stesso, con gli altri e il mondo, lavorando perché anche gli altri
e il mondo stiano bene. Il movimento è come un sesto senso, la prima organizzazione fisica
del mondo si sviluppa in reciprocità con percezione e motricità.
3.3 Il valore diffusivo del movimento nei processi formativi
La corporeità è l’espressione della persona che attraverso il movimento produce azioni,
cognizioni, relazioni, sentimenti, consapevolezza di sé in relazione al mondo. Il movimento
è essenziale per lo sviluppo conoscitivo. La conoscenza è il frutto di azioni e si struttura
attraverso l’attività corporea.
3.4 Corporeità e motricità per lo sviluppo di processi didattici significativi
Il corpo è inteso come medium di conoscenza e di comunicazione con sé, gli altri e
l’ambiente. Nell’esperienza preconcettuale la persona organizza il suo rapporto con la
realtà attraverso il proprio corpo. Gli schemi corporei sono il frutto delle interazioni con la
realtà e ne rendono possibile la comprensione attraverso la costruzione dei concetti. I
concetti si formano attraverso l’esperienza corporea. L’attenzione alla corporeità non può
essere centrata, pertanto, solo sulla dimensione oggettuale e tecnica ma deve sollecitare lo
sviluppo di tutte le dimensioni implicate nell’endiadi io-corpo (endiadi, figura retorica in
cui si disgiungono due termini in cui l’uno sarebbe invece il complemento dell’altro). Nella
pratica didattica bisognerebbe pensare non solo ai corpi in situazione, ma soprattutto ai
corpi in movimento e in relazione dinamica con gli altri. Vanno create le condizioni per un
ascolto globale, capace di produrre consapevolezza di ciò che accade all’interno del nostro
corpo, nella costruzione di un curricolo globale, basato su esperienza e scoperta, corporeità
e movimento. La didattica del corpo e del movimento nella scuola primaria vede la
corporeità e il movimento come sede di processi che a partire dalla sensorialità inducono
consapevolezze. Le occupazioni attive rendono facile il rapporto interpersonale fra
soggetti. La scuola dovrebbe porre al centro delle proprie proposte l’azione più che la
ricezione.
3.5 Mediazione didattica e mediatori attivi e analogici per processi formativi coinvolgenti e
inclusivi
Per rendere significativo l’apprendimento è necessario valorizzare l’esperienza e
predisporre contesti attivi e partecipativi in cui ogni allievo possa sentirsi attore nello
sviluppo dei costrutti conoscitivi. Nel modello della didattica come mediazione (Damiano) i
mediatori didattici più coinvolgenti a livello motorio sono due:
1. mediatori attivi, che valorizzano esplorazione e manipolazione,
2. mediatori analogici → simulazione, giochi di ruolo, nuove tecnologie. C’è una stretta
connessione tra mediatori attivi e analogici, poiché il gioco e le attività teatrali, ad
esempio, implicano un coinvolgimento motorio e attivo. Il teatro coinvolge tutta la
persona: suscita emozioni, sensazioni, sentimenti, in un impegno cognitivo vivificato dalle
emozioni: è una grande forma di mediazione ed è espressione vitale. Consente di mettere
in gioco progetti di natura interdisciplinari ed è di per sé un’attività giocosa. I mediatori
analogici sono quelli più carichi di significati simbolici, fanno riferimento alla realtà ma
attraverso simulazioni, processi più partecipativi e coinvolgenti. Rientrano in tale sistema
anche i contesti simulativi delle nuove tecnologie, che fanno leva sull’azione di
metaforizzazione. La drammatizzazione e il gioco aiutano tutti i ragazzi, compresi quelli
con disabilità e ritardo cognitivo, a trovare canali di comunicazione e di espressione di sé
diversi da quelli formali. Ciò facilita la relazione con gli altri e la comprensione del
mondo. Il gioco nelle sue varie forme dovrebbe costituire una dimensione importante, un
diritto e un’opportunità per ogni bambino. Eppure oggi siamo in presenza di un’anoressia
ludica, un diritto minacciato, correlato alla scomparsa dell’infanzia.
3.6 Valorizzazione dell’attività motoria nei percorsi formativi: indicazioni didattiche
È importante valorizzare ogni forma di attività espressivo-corporea nei processi formativi
ed educativi. La scuola dovrebbe favorire l’azione più che la ricezione, dovrebbe
considerare il movimento come fondamentale per lo sviluppo dei processi formativi e
pervasivo di ogni attività scolastica, in quanto veicolo e forma privilegiata di mediazione
della conoscenza. È fondamentale proporre esperienze coinvolgenti e per scoperta, facendo
leva sui mediatori attivi ed analogici, o anche iconici. Nella predisposizione di progetti
didattici dovremmo ipotizzare attività di tipo ludico, che favoriscano un’apprendimento per
scoperta. Nei programmi della scuola elementare del 1985 l’educazione motoria rivestiva
una grande rilevanza all’interno del curricolo, insieme all’educazione all’immagine e alla
musica, quale forma di mediazione didattica attiva rispetto a tutti gli altri apprendimenti.
Le stesse Indicazioni del 2012 sottolineano il ruolo rilevante della corporeità, dell’azione
motoria e del movimento nelle varie attività scolastiche, sia in termini di mediazione
didattica attiva, sotto forma di gioco, sia come modalità di espressione attraverso la
musica, la danza, le drammatizzazioni. Le attività motorie andrebbero sviluppate
quotidianamente in forma diffusiva, facendo assumere all’esperienza didattica la forma di
azione e non solo ricezione. L’educazione motoria e il gioco agevolano l’apprendimento
funzionale di base, lo scrivere, il matematizzare, lo sviluppo delle prassie e dei processi di
lateralizzazione e orientamento spazio-temporale con una migliore presa in carico dei
problemi dei ragazzi con DSA.
3.7 Valore educativo dell’esperienza motoria
Le abilità motorie non sono fini a se stesse ma orientate al compito reale, vanno sviluppate
e contestualizzate in situazioni reali di apprendimento. I giochi, i giochi tradizionali, le
attività motorie appartengono al patrimonio dell’umanità e devono costituire un’occasione
di crescita per ogni persona, anche per le persone in situazione di disabilità.

Capitolo 4. Il corpo come dispositivo inclusivo e di conoscenza.


Il processo embodied tra emozione e metacognizione Filippo Gomez Paloma

L’evoluzione scientifica e culturale del corpo e del movimento negli ultimi decenni ha
condotto l’educazione fisica ad essere riconosciuta come disciplina interdisciplinare, grazie
alla quale si sviluppano emozioni e metacognizione. Si è avuto il superamento dell’idea che
un corpo biologico si serva di una palestra per fini di salute e dell’aula come ambiente
privilegiato per lo sviluppo del pensiero astratto. L’Embodied Cognition valorizza azione e
percezione come base per lo sviluppo dei processi cognitivi.
4.1 Il contesto di riferimento
Nel XIX secolo si aveva la netta distinzione tra teoria come sapere e prassi come
produzione, in realtà la pratica è di supporto alla teoria e viceversa. Recenti ricerche
neuroscientifiche, grazie al neuroimaging, hanno dimostrato come tra teoria, ovvero
cognizione, e pratica, cioè azione, sussiste un legame indissolubile: il corpo. I
neuroscienziati hanno collegato questi meccanismi del sistema sensomotorio alle relazioni
sociali. Tra le scoperte più importanti, quella dei neuroni specchio ha dato la possibilità di
derivare la soggettività dall’intersoggettività. Il senso di sé è precocemente sviluppato a
partire dalla possibilità di interagire con l’altro. La simulazione motoria promossa dai
neuroni specchio è il correlato neurale della facoltà umana descrivibile come “simulazione
incarnata”, che rende possibile le esperienze intersoggettive, alla base dell’empatia.

4.2 Embodied cognition: dalla scienza alla consapevolezza del docente


Esiste una circolarità tra stimoli ambientali ed adattamento del cervello, vanno progettati
protocolli di ricerca che utilizzino parametri neurobiologici per analizzare il processo di
apprendimento. Per L’EC (Embodied Cognition ) il corpo, nel rispetto della percezione e
dell’azione, funge da mediatore biologico e culturale per il processo di apprendimento. La
cognizione è basata sulla percezione e sull’azione. Molti compiti cognitivi sono eseguiti
usufruendo delle risorse sensoriali e motorie, ad esempio l’uso delle immagini mentali.
Quando è nata l’EC? Quali filoni si sono sviluppati? Gli studiosi hanno formulato l’ipotesi
che il comportamento manifesto dipenda dal corpo in azione, in modo da far dipendere la
cognizione dal corpo. La cognizione nasce dall’interazione dinamica del cervello che
controlla la percezione corporea e l’azione di controllo. L’azione plasma la percezione.
L’attenzione per il corpo e l’azione è già presente a inizio Novecento, ma è stata a lungo
contrastata dalla psicologia cognitiva classica, che ritiene l’azione secondaria alla
conoscenza. Il principio della cognizione incarnata invece è che il pensiero è un’attività
fortemente influenzata dal corpo. La cognizione esiste per guidare l’azione. È necessario
avviare una riflessione sulla scuola, in particolare sulla didattica della corporeità. Filoni
scientifici per la futura ricerca:
1. cognizione corporea,
2. competenze integrate,
3. formazione dei docenti EC based, per costruire competenze relazionali ed empatiche per
una scuola inclusiva. La formazione EC based opera sulla persona e sull’identificazione
di una forma mentis sensibile all’inclusione come opportunità e non come ostacolo.

4.3 Embodied cognition: l’inclusione tra metacognizione ed emozioni


La psicologia cognitiva apre nuove riflessioni sul significato e sulla ricaduta della
psicologia speciale. I nuovi contributi sono finalizzati ad una didattica inclusiva e alla
valorizzazione delle differenze. Fino a circa venti anni fa l’approccio dominante in
psicologia era quello che vedeva la mente come software di un computer: si riteneva
importante indagarne il funzionamento senza investigare la sua relazione con l’hardware,
ovvero il cervello e il corpo. Oggi le cose sono cambiate. Non è più possibile studiare la
mente senza tener conto che i processi cognitivi sono influenzati dal cervello e dal corpo in
generale. Si ha l’idea della stretta circolarità tra percezione, azione e cognizione. Come
incidono queste teorie sulla psicologia speciale? Due sono gli elementi chiave:
metacognizione e emozioni. Attivare la metacognizione, che parte dalla conoscenza del
sistema e che si compone di corpo, cognizione e azione in interazione reciproca, significa
sollecitare tali influenze, che ricadono sul processo di apprendimento. Le emozioni hanno
un ruolo nell’apprendimento e nella didattica inclusiva. Solo attraverso la ricomposizione
della frattura del cognitivo e dell’emotivo diventa possibile educare alla socialità e alla
moralità, al sentire l’altro e a compartecipare alle sue tonalità emotive (riferimento a
Damasio). Questa acquisizione era già stata anticipata dagli esponenti dell’attivismo
pedagogico: l’apprendimento va vissuto in prima persona tramite un’esperienza
emotivamente coinvolgente. Risulta pertanto centrale l’attività dell’alunno, in alternativa
all’apprendimento passivo tradizionale, specie se organizzata attraverso il procedimento
per problemi.
Insuccesso scolastico: spesso gli scarsi risultati didattici a scuola contribuiscono
all’instaurarsi di fattori psicopatologici secondari, infatti l'insuccesso prolungato genera
scarsa autostima, disagio psicologico, demotivazione ad apprendere, inibizione,
aggressività, atteggiamenti di disturbo, depressione, che in alcune situazioni sarebbero
riducibili con adeguati interventi educativi. Sarebbe opportuno definire azioni mirate alla
riduzione delle probabilità di insuccesso scolastico attraverso interventi rapidi e mediante
un approccio multidisciplinare. È necessario orientare la formazione dei docenti in base al
paradigma dell’EC, secondo il quale il processo di apprendimento ha senso solo se parte
dalla valorizzazione del sistema sensomotorio, e quindi da compiti reali. La corporeità è
indispensabile all’attivazione di un processo apprenditivo che abbia una reale e
significativa pregnanza per l’acquisizione delle competenze.

4.4 Corpo e ambienti di apprendimento: dalla riqualificazione architettonica alla


metodologia mindfulness
Il ruolo del corpo in relazione all’ambiente coinvolge non solo esperti di psicologia,
pedagogia e didattica, ma anche di architettura → attenzione alla progettazione e alla
riqualificazione dello spazio scolastico. È infatti dimostrata l’interazione tra la formazione e
la riqualificazione degli spazi di apprendimento, riqualificazioni che tentano di rispondere a
nuove esigenze dell’apprendimento e delle relazioni.
Per tornare all’Embodied Cognition, nelle scienze cognitive molti studi dimostrano che il
corpo e i processi sensomotori hanno un ruolo fondamentale in diversi settori della vita
umana, in particolar modo nelle interazioni sociali. Negli ultimi venti anni è stata riservata
maggiore attenzione ai contenuti del pensiero e all’empatia. La mindfulness offre una
prospettiva particolarmente interessante. Il suo fulcro risiede nel richiamo agli scopi vitali
e agli obiettivi della persona, alla libertà di scelta e azione, alla disponibilità a vivere fino in
fondo la propria esperienza accettandone anche i lati dolorosi. Essa può offrire interessanti
ricadute in ambiente didattico. L’approccio mindfulness prevede la presenza mentale, un
approccio non giudicante, a partire dal qui e ora, affinché l’esperienza non sia costretta in
categorie rigide e, nel caso scolastico, in linea con il superamento dell’approccio
disciplinarista. Tale prospettiva suggerisce di accogliere i fenomeni in modo attento e
consapevole. Essa dovrebbe portare al benessere totale dell’individuo, condizione per
costruire comportamenti civili e alte competenze. La mindfulness favorisce la rinascita
personale, capace di far raggiungere uno stato di flessibilità mentale. Comunemente il
nostro sistema educativo attribuisce importanza ad un curriculum di contenuti, più che un
curriculum che si focalizzi sulla coltivazione della mente. Da qui la proposta di un modello
educativo capace di promuovere abilità e flessibilità mentali. L’insegnante, divenendo
conscio dei propri codici personali, che possono essere sviscerati, può sradicare i propri
atteggiamenti basati su pregiudizi. La consapevolezza rappresenta l’esercizio di strategie
di apertura nei contesti educativi. L’insegnante deve essere capace di sintonizzarsi sui
propri stati interni e su quelli degli allievi nel proporre le attività. Un insegnante presente
è capace di esercitare un coinvolgimento naturale con i suoi allievi. Alcuni programmi
contemplativi per l’insegnamento mindful prendono spunto dal Mindfulness Stress
Reduction, programma per integrare la mindfulness nei percorsi medici riabilitativi. Tale
approccio utilizza pratiche meditative ed esercizi sul respiro. In campo educativo, la
gestione dello stress favorisce un comportamento più calmo e attento, mirato alla gestione
delle situazioni problematiche nel contesto classe. Tra i programmi più popolari negli Stati
Uniti si trova l’Inner Kids, che utilizza elementi simili alla Mindfulness Stress Reduction,
adattandoli ad una popolazione più giovane, facendo della chiarezza e della compassione i
suoi scopi principali. Un ulteriore indirizzo di ricerca è rappresentato dalla Mindfulness
Education for Children, che prevede un intervento di circa dieci settimane in classi di
scuole primarie e secondarie inferiori. Il programma prevede una serie di training rivolti
agli insegnanti, da attuare attraverso tecniche progettate per migliorare la consapevolezza
di sé, il problem solving, l’autoregolazione e la riduzione dello stress.
4.5 Indicazioni strategiche per insegnanti
La didattica deve legarsi a costrutti che regolano i processi cognitivi di percezione, azione,
modalità di organizzazione e di rielaborazione del sapere. Tuttavia, il passaggio dai
principi teorici alla prassi didattica non è un processo semplice e lineare.
Alcuni suggerimenti utili per una didattica embodied :
● prevedere grande varietà di informazioni plurisensoriali e motorie,
● creare collegamenti,
● favorire l’interazione tra soggetto e ambiente,
● attivare processi metacognitivi, con la presa di coscienza da parte dello studente di ciò
che viene percepito attraverso il corpo,
● favorire la consapevolezza attraverso l’autovalutazione,
● creare ambienti di apprendimento motivanti e coinvolgenti,
● attivare processi di apprendimento situati,
● modificare spesso l’approccio didattico,
● dare input e lasciare aperto il piacere della scoperta, della conoscenza esperienziale,
personale e diretta,
● rispettare il pensiero divergente e favorire la costruzione condivisa di concetti e saperi
disciplinari anche attraverso punti di vista differenti.

Capitolo 5. La drammatizzazione nella scena scolastica. Utilizzi didattici


contemporanei e sfide future
Serenella Besio e Mabel Giraldo
5.1 Illuminare l’azione di oggi: andare all’origine
La declinazione scolastica del teatro ha assunto la sua originale fisionomia con il nome di
drammatizzazione. Nel secondo dopoguerra si ha un profondo ripensamento della scuola,
in area cattolica con Maritain, tra gli intellettuali laici con Dewey. Emerge una riflessione
sulla funzione della drammatizzazione nella formazione del fanciullo. Ciò porta alle forme
moderne della drammatizzazione, attività espressive agite da bambini con spontaneità,
libera creazione e improvvisazione. I Programmi del 1955 citano il ruolo della scoperta,
delle libere attività creative, tra cui mimica e drammatizzazione, a supporto degli
apprendimenti disciplinari. Negli anni Sessanta, con il boom economico, la scuola cambia di
fisionomia, la frequenza scolastica aumenta e la drammatizzazione entra nella vita
scolastica quotidiana. Nella legge n. 1859 del 1962, istitutiva della scuola media unica, la
drammatizzazione viene considerata attività complementare alla didattica disciplinare e
non ricreativa. La sfida non è però raccolta dai docenti, che nelle attività drammatiche
privilegiano la tradizione recitativa. Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta,
la drammatizzazione diventa uno degli strumenti di apprendimento, ma anche di impegno
sociale, ma gli scenari ad inizio anni Ottanta cambiano, la scuola comincia a cedere
sull’impegno sociale e sul rapporto con il teatro. La drammatizzazione a scuola vede un
miglioramento della dimensione estetica, ma un impoverimento del percorso educativo.
Paradossalmente, i programmi per la scuola primaria del 1985 richiamano l’importanza
delle attività teatrali. Negli anni Novanta si hanno accordi con enti e agenzie teatrali per
educare al teatro e ampliare l’utenza giovanile. L’importanza della promozione delle
espressioni artistiche nella scuola è richiamata dalla legge 107/2015
5.2 La drammatizzazione a scuola: obiettivi pedagogico-didattici
Motivazioni del fare drammatizzazione → secondo Rivoltella la differenza comunicativa del
teatro deve essere individuata nella relazione. L’attualità educativa del teatro si svolge
lungo quattro temi: situazione, attività, relazione, corporeità.
5.2.1 Il tema della situazione
La drammatizzazione è concreta, passa attraverso gesti, diviene terreno comune di
costruzione del senso. Si apprende tramite l’esperienza (didattica di afferenza
costruttivista). L’ambiente in cui la pratica si svolge deve essere attentamente progettato.
Offre l’occasione di portare dentro alla situazione esperienziale la forza degli apprendimenti
che avvengono in situazioni non formali. Può permettere di affrontare in modo diverso
tematiche di attualità ed emergenti a scuola (il bullismo, la disabilità) o nel territorio
(diritti umani, differenze etniche), consentendo agli studenti di riflettere per costruire
impianti narrativi e rappresentativi. Può anche consistere nella fruizione di un evento
teatrale all’interno di un progetto di formazione alla cultura letteraria, ma la fruizione
passiva non ha dimostrato un potere di avvicinamento all’arte teatrale.
5.2.2 Il tema dell’attività
La passività non si dimostra efficace, l’attività è invece una delle caratteristiche della
drammatizzazione, che permette l’agire in prima persona. In questa sua accezione rafforza
la concezione dell’allievo attivo protagonista del proprio percorso di crescita, un soggetto
che porta contenuti e originalità. Tale contributo, nella drammatizzazione, si può liberare
da vincoli comunicativi, si sgancia dal feedback valutativo, per aderire spontaneamente ad
un feedback di processo.
5.2.3 Il tema della relazione
La relazione all’interno di un gruppo è la forma ideale di insegnamento-apprendimento
nella pedagogia attiva. A seconda del grado di strutturazione dell’esperienza, la relazione
nel gruppo può assumere connotazioni cooperative, più strutturate, o collaborative, più
libere nell’apporto individuale. Qualunque sia la metodologia adottata, il rapporto tra i
compagni si rinforza nella condivisione di un progetto, il cui risultato non appartiene più al
singolo. La relazione didattica si caratterizza in termini di animazione non direttiva e si
realizza nel dialogo e nell’organizzazione di feedback mirati più all’insorgere di risorse
creative che per correggere errori prestazionali. Curiosità ed entusiasmo risvegliano
un’attitudine creativa, che attiva il pensiero divergente, in un clima di totale accoglienza di
ogni contributo.
5.2.4 Il tema della corporeità
Il corpo viene valorizzato per la sua dimensione conoscitiva, si riconosce la connessione tra
percezione e azione e i processi cognitivi più elevati (embodied cognition). La pedagogia
attiva vede confermate le sue ipotesi, la conoscenza è creata da una trasformazione
dell’esperienza. Perché la drammatizzazione è efficace nella scuola? L’esperienza
drammatica mette in scena e rende situati scorci, contesti, relazioni, permette di
rappresentare emozioni e sentimenti, di sperimentare ipotesi su aspetti della vita, autorizza
a giocare i ruoli degli altri, tra finzione e realtà. Simulazione e metafora offrono la chiave
di accesso a questo mondo intermedio: la simulazione favorisce la sperimentazione di
situazioni fittizie, la metafora facilita il passaggio tra esperienza concreta e astrazione.
5.2.5 L’educazione estetica
La drammatizzazione appartiene anche all’educazione artistica ed estetica, può educare ai
tipi e alla storia delle arti e alla formazione di uno sguardo critico-culturale, allo studio di
stilemi formali, alla fruizione analitica e comparativa dei testi. L’esistenza di un prodotto o
evento conclusivo segna il discrimine tra due tipologie di approcci: l’uno meramente
laboratoriale, l’altro con un profilo artistico-teatrale più accentuato, dunque con maggiori
ambizioni estetiche. La presenza di un pubblico segna questa differenza. In fase
progettuale occorre considerare con accortezza l’opzione della presenza di spettatori,
poiché tale decisione apre al tema estetico.

5.3 Come “fare drammatizzazione” a scuola? Aspetti realizzativi


Programmare un’attività di drammatizzazione a scuola implica sintonizzare i vincoli
organizzativi con gli obiettivi pedagogico-didattici. C’è inoltre la possibilità di intrecciare
relazioni con istituzioni artistiche o di animazione drammatica presenti sul territorio, in
grado di fornire consulenza alla scuola. Anche le famiglie devono essere coinvolte, è
importante che la valenza educativa venga condivisa, per evitare il rischio di
declassamento a mero svago. Sotto il profilo metodologico, è necessaria una progettualità
ben costruita, minuziosa.
5.3.1 Alcune tecniche per la drammatizzazione
● Teatro scuola o teatro scolastico: si basa sulla tradizione recitativa che proponeva
corretti modelli di comportamento per la formazione di buoni cittadini. Indispensabile un
prodotto finale e il rispetto assoluto del testo e dell’autore.
● Gioco drammatico: destinato ai più piccoli, è una sorta di educazione alla teatralità.
Obiettivo: consapevolezza dei meccanismi del teatro, liberazione fisica e emotiva.
● Role playing: deriva dallo psicodramma, prevede che il bambino si identifichi con
specifici personaggi, è usato per scopi disciplinari e finalità educative più generali.
● Story telling: costituita da due attività indipendenti. Nella prima il bambino detta la sua
storia, nella seconda questa viene drammatizzata.
● Improvvisazione: sul modello del canovaccio della Commedia dell’Arte, prevede una
struttura di sfondo su cui si crea improvvisando
● Creative drama: drammatizzazione improvvisata in cui i partecipanti sono guidati da un
leader (insegnante) per immaginare e riflettere su esperienze reali o di fantasia.
● Process drama: forma di story telling interessata alle dinamiche relazionali, sociali e
emotive.
● Story drama: partendo da una storia, consente ai partecipanti di risolvere il testo in
modo originale, permette di prendere in considerazione prospettive diverse.
5.3.2. Due forme per la drammatizzazione a scuola
● Laboratorio: è la forma per antonomasia del teatro d’avanguardia. I laboratori si sono
diffusi nella forma contaminata con la territorialità attraverso l’animazione teatrale. Vi
si svolgono attività artistiche di varia natura: pittura, musica, danza, teatro. Si fondano
sulla significativa relazione tra i partecipanti. Ciò che conta è il processo. Nel caso della
scuola, il laboratorio assume la forma di libera sperimentazione artistica. Un laboratorio
permanente all’interno dell’offerta formativa offre l’occasione per attività di educazione
all’arte o può sostenere la didattica disciplinare.
● Performance/art: si colloca sul versante opposto al laboratorio, di solito eseguita dal
vivo, può anche circolare sui media. Sviluppa il pensiero critico, un punto di vista non
convenzionale, più che alla comunicazione tende all’espressione autonoma dell’individuo.
5.3.3 Applicazioni disciplinari e in ambito psico-socio-educativo
Due possibili utilizzi della drammatizzazione scolastica: disciplinare-didattico e psico-socio-
educativo. Per quanto riguarda la valenza disciplinare, sono numerosi gli esempi in
letteratura: anziché la rappresentazione di un testo esistente, è possibile effettuare una
sua trasformazione collettiva o una creazione ex novo, ad esempio trasformando un
dibattito tra scienziati o filosofi in una disputa, alla moda della quaestio, tra due
individui o gruppi. Può essere usata come strumento per insegnare una lingua
straniera, con effetti positivi sulla competenza linguistica e comunicativa. Per quanto
riguarda le scienze naturali possiamo avere una forma presentazionale o una
esperienziale, in cui gli studenti sperimentano le conoscenze scientifiche in un
contesto. Il role-playing permette ai bambini di vestire i panni dello scienziato, per
raffigurare le fasi del lavoro e del metodo scientifico. Se gli obiettivi riguardano le
competenze chiave trasversali, l’accento può essere posto sull’ambito comunicativo,
sullo sviluppo di competenze metacognitive, nel riconoscere e attuare ruoli e
temperamenti dei protagonisti. Lo spirito di iniziativa può essere potenziato nel
proporre soluzioni a problemi scenici. A seconda delle problematiche emergenti
all’interno della scuola, la drammatizzazione può includere una grande varietà di temi
(differenze etniche, di genere, inclusione sociale, dipendenze digitali ecc…). L’ambito
psico-socio-educativo include anche attività volte a raggiungere una maggiore
competenza del sé, autoconsapevolezza, controllo della motricità, espressione delle
emozioni (educazione emotivo-sentimentale).
5.4 L’estetica del corpo in scena: il teatro e l’inclusione
A scuola la drammatizzazione è ottima per migliorare l’inclusione, assicurando ad ognuno
originalità espressiva. Quando l’obiettivo è raggiungere un pubblico, si pone il tema
della resa estetica. La persona con disabilità è portatrice di una precisa specificità che
passa per la specificità del suo corpo. Come trattare questo corpo sulla scena? È
tempo che quel corpo si manifesti nella sua normalità. La disabilità porta al teatro ciò
di cui ha bisogno e si nutre: diversità, originalità, punto di vista obliquo. Di fronte ad
un “teatro vero”, che include persone con disabilità, la reazione del pubblico è di
spiazzamento, ciò costringe al risveglio e al ripensamento e apre lo spazio ad una
nuova idea di normalità.
5.5 Riflessioni conclusive
La drammatizzazione scolastica appartiene al patrimonio didattico ed è citata nei
programmi ministeriali, ma non ha sistematizzazione efficace. Questo patrimonio nascosto
va valorizzato.

Capitolo 6. Danza e “danzamovimentoterapia” per un’educazione inclusiva


Flavia Bucciero
In ogni fase della vita scolastica, la danza ha una funzione diversa e importante per la
crescita e la relazione con gli altri. Nella scuola dell’infanzia prevale l’aspetto ludico, alla
primaria la creazione dello spirito di gruppo e lo sviluppo delle capacità relazionali. Nella
scuola media il corpo del bambino subisce trasformazioni, questo genera un problema di
identità, aspetto che si manifesta anche negli istituti di secondo grado. Un apprendimento
che passa attraverso il corpo, i sensi, le emozioni, la condivisione, consente di integrare le
differenze, sviluppa solidarietà di gruppo e amplifica le capacità di apprendimento. La
danza è mobilitazione dell’energia fisica, applicata al contesto scolastico è veicolo di
superamento dei limiti e crea una comunità solidale.
Faremo riferimento alla danzaterapia di Maria Fux e all’expression primitive di France
Schott Billmann, due metodologie che fanno riferimento alle potenzialità terapeutiche della
danza.
6.1 La danza nella scuola dell’infanzia
Prevale l’aspetto ludico, che non prescinde da apprendimenti induttivi come la percezione
ritmica del movimento e un’embrionale condivisione delle dinamiche di gruppo. Sta
avvenendo il passaggio da un’intelligenza sensomotoria, che si basa sull’assimilazione di
dati di realtà, alla formazione del pensiero logico, che fra quei dati crea analogie, rapporti,
collegamenti. Inoltre, si ha il passaggio da una fase egocentrica ad una fase sociale. Il
movimento e la danza possono svolgere un ruolo determinante perché queste fasi si
realizzino compiutamente. Il corpo e la danza devono consentire la varietà della percezione
e l’arricchimento delle possibilità motorie. La condivisione sociale dell’esperienza consente
l’integrazione dei bambini con difficoltà. Per quanto riguarda le proposte che rafforzano la
relazione sociale e il senso di gruppo, suggeriamo un momento finale in cerchio, in cui ogni
bambino, a turno, viene nel centro e propone un movimento inventato, che il gruppo imita.
Una sorta di rituale di saluto, con musica allegra e ritmica, preferibilmente popolare. La
durata dell’attività dovrebbe essere di circa 40 minuti.
Qualche esempio pratico: La condivisione di movimenti di danza su base ritmica in
bambini non udenti o con disagio sociale consente di farli uscire dall’isolamento. È
importante compiere collegamenti tra danza e altri linguaggi dell’espressione artistica, ad
esempio l’uso del segno e del colore: creare una similitudine tra il segno realizzato con un
pennarello e il segno realizzato con il corpo. Un altro esercizio che riscuote grande
successo consiste nell’impiego di palloncini colorati.
Si invita ad essere ecumenici nell’uso dei generi musicali; dalla tipica canzonetta per
bambini, alla musica classica, al jazz, alla musica etnica e popolare.

6.2 La scuola primaria: metodi ed esperienze. Un intervento applicato a bambini con DSA
Nella scuola primaria gli obiettivi sono diversificati tra primo e secondo ciclo. Nel primo
ciclo le metodologie e gli strumenti saranno simili alla scuola dell’infanzia, sebbene con
un’accentuata creazione di gruppo, aspetto che sarà sviluppato nel secondo ciclo. L’idea del
gruppo e l’aspetto inclusivo diventano più consapevoli, mediati anche dall’aspetto
razionale. Spesso i bambini di altre nazionalità, che non sanno ancora esprimersi nella
lingua italiana, sono più dotati nel movimento, ciò consente al gruppo classe di guardarli
attraverso una nuova prospettiva, conoscendone nuove abilità. Nel secondo ciclo possiamo
inserire maggior complessità, ad esempio rinforzare la relazione tra i diversi linguaggi
artistici. Molto interessante applicare la danza ad una narrazione, che consente di aprire la
relazione della danza con altri campi di apprendimento, quindi scegliere brevi storie da
rappresentare attraverso la danza. Suscitano grande interesse le storie di animali, si può
stimolare i bambini ad acquisire le sembianze di un animale che salta, striscia, vola.
Inventiamo una storia semplice che abbia come protagonisti animali con diverse
caratteristiche motorie e scegliamo musiche che si adattino al loro modo di procedere. È
possibile incoraggiare dinamiche relazionali nel gruppo più complesse, ad esempio
costruendo un grande elastico, di dimensione proporzionata alla quantità di bambini. A
seconda della forma dell’elastico possiamo realizzare esercizi diversi, ad esempio stimolare
nel gruppo la creazione di un equilibrio basato su tensioni contrastanti, permettendo ai
bambini di scambiarsi di posto → importante la relazione che si crea. Usiamo musiche
giocose e vivaci, per una danza festosa in cui l’aspetto della relazione interpersonale e
all’interno dell’intero gruppo prenderà sempre più corpo. Nell’elastico a forma di rete
possiamo avere esercizi diversi, la rete è costituita da spazi vuoti diversi gli uni dagli altri.
Attraverso movimenti di danza si creeranno contrapposizioni ed equilibri di forze. I
bambini si scambieranno di posto, anche qui la relazione deve essere forte perché c’è
necessità di coordinamento. Negli spazi grandi i movimenti saranno ampi, in quelli stretti
avranno ampiezza limitata. Questo esercizio sviluppa il senso del limite e della
condivisione. Intendiamo illustrare un’esperienza di “danzamovimentoterapia” realizzata
con bambini con DSA in una scuola primaria di Lucca. I laboratori sono stati pensati per
fare usare al bambino lo spazio in maniera più piena e articolata, mettendolo in relazione
con l'espansione della sua dimensione emotiva e relazionale, così da rendere possibile un
uso più adeguato dello spazio-foglio. Si è trattato del gioco del “costruire architetture”.
Grazie ad un filo rosso, fatto passare da un punto all’altro della stanza, si è trasformato lo
spazio in tanti spazi frammentati, di diverse forme e misure. I bambini sono stati invitati a
scegliersi uno spazio adatto a sé, riempiendo il proprio spazio con salti, giri, curve e i
movimenti più disparati. Abbiamo visto svilupparsi un significativo progresso, i bambini
iniziano a concepire che c’è un retro e non solo un davanti. Terminato il percorso, si
evidenziano una maggior consapevolezza dello spazio, un miglioramento delle relazioni, un
incremento dell’autostima e dell’autonomia.
6.3 La scuola media di primo grado: come Alice nel Paese delle Meraviglie
La scuola secondaria di primo grado è il ciclo della “sindrome di Alice”. Il corpo subisce
continue trasformazioni, ciò genera un rilevante problema di identità. È il periodo più
delicato della crescita, ma anche quello in cui sono attuati meno interventi con i linguaggi
delle arti. Nella scuola si preferisce spesso esaltare unicamente l’aspetto della conoscenza
razionale. In questa età si solidifica la biforcazione occidentale tra conoscenze razionali e
corporee-emozionali. La danza rimette al centro il problema di questa età: il corpo. Il
rapporto con il sociale è più consapevole, ma anche più popolato da pregiudizi e stereotipi
che accentuano il problema. C’è bisogno di intervenire con strategie raffinate. Un
intervento di natura artistica, che pone al centro la conoscenza del corpo non di tipo
sportivo, incontra diffidenze da parte degli allievi. Infatti, mettere al centro una relazione
di consapevolezza non meccanicistica con il proprio corpo crea problemi di accettazione,
oltre al pregiudizio che la danza sia un’attività femminile. È utile allora inserire la danza in
una visione teatrale più ampia. Se torniamo ad Alice nel Paese delle Meraviglie possiamo
proporre un testo parallelo, creato dai ragazzi, che individui dietro i vari caratteri alcuni
personaggi dei nostri giorni. Sono possibili sinergie con altri insegnamenti, come la musica
o l’inglese. La danza sarà un mezzo privilegiato di espressione artistica. Tutti i personaggi
dovranno essere interpretati da tutti, in modo che le diverse abilità si sviluppino in
ciascuno. Moltiplicheremo i personaggi: tante Alici, tanti cappellai e così via.
6.4 Gli istituti di secondo grado: altre strategie
Nelle scuole medie superiori, le strategie usate saranno in parte analoghe a quelle delle
medie inferiori, con una connessione più evidente con gli altri insegnamenti. Riportiamo
un’esperienza condotta nel liceo artistico di Pisa “F. Russoli”, con diverse classi del terzo e
quarto anno. Il laboratorio aveva la tematica della prima guerra mondiale, con le lettere
dei soldati al fronte. Al centro un episodio particolare: la notte di Capodanno del 1917 i
nemici austriaci e italiani escono dalle trincee e insieme cantano, suonano e ballano. Questa
è la chiave di volta che ha posto al centro il corpo e la danza. I testi delle lettere sono stati
letti nelle ore di italiano e storia, sono stati tagliati scegliendo le parti che mettevano in
gioco il corpo. I laboratori sono stati sempre inclusivi. Partire dallo stimolo della guerra ha
permesso di coinvolgere anche i maschi, le allieve sono state altrettanto gratificate nel
rivestire ruoli maschili. L’immedesimazione in storie molto intense ha sviluppato
consapevolezza, senso critico nei confronti delle guerre e senso di gruppo e spirito di
solidarietà.
È proprio in relazione agli aspetti drammatici del vissuto adolescenziale che appare
importantissimo proporre strumenti di tipo artistico, per elaborare il disagio evolutivo.
6.5 Riflessioni conclusive
L’intervento della danza può essere svincolato da qualsiasi intento interpretativo ed avere
l’unico obiettivo di creare relazioni tra gli allievi, coinvolgendo anche i ragazzi più fragili e
lavorando quindi con l’intero gruppo classe. Se invece si ha l’obiettivo di affrontare
problematiche specifiche di alcuni ragazzi, è più proficuo costruire gruppi integrati con un
numero di allievi inferiore a 12 unità. Dobbiamo compiere un’attenta analisi delle
caratteristiche e dei bisogni dei ragazzi coinvolti. Va maturata la sensibilità a riconoscere
caratteristiche fisiche che possono essere spie di problematiche e agire su quelle. All’inizio
è opportuno rompere il ghiaccio facendo muovere i ragazzi in uno spazio ampio. Se
abbiamo ragazzi ipercinetici, possiamo usare musiche che li obblighino a rallentare, se
abbiamo ragazzi introversi, possiamo usare esercizi che li obblighino all’apertura e al
protagonismo. Con ragazzi depressi e inattivi usiamo un ritmo sostenuto. Se notiamo
rigidità usiamo dinamiche che incoraggino fluidità di movimento, con apporti musicali di
tipo melodico. L’apprendimento attraverso la danza, concepita come strumento educativo,
dovrebbe essere un elemento costante in tutta la vita scolastica.

Parte terza. Ambiente naturale e animali

Capitolo 7. Esperienze educativo-didattiche tramite l’agricoltura sociale


Francesco Di Iacovo, Paola Scarpellini
L’agricoltura sociale ripensa in modo attuale gli usi dell’agricoltura per realizzare servizi a
supporto delle persone e delle comunità. La legge 141/2015 definisce tra le pratiche di
agricoltura sociale, oltre alle azioni formative di inclusione sociale e lavorativa, anche le
attività didattiche. Ne sono esempi le forme di educazione attiva nelle fattorie didattiche,
gli agrinidi e gli asili nel bosco.
7.1 Il contesto di riferimento
Un numero crescente di persone manifesta curiosità nei confronti dell’attività agricola,
curiosità che deriva da stimoli diversi: a volte il richiamo alle radici rurali dell’Italia
contadina, altre volte la nostalgia di quanto perso per strada con la scomparsa della società
contadina. Sono forse i tratti di una società che nel modernizzarsi è andata affrancandosi
dalla terra per urbanizzarsi rapidamente. L’agricoltura continua a produrre beni essenziali
per il sostentamento. Le risorse agricole, la gestione dei cicli biologici e della natura
assicurano anche altre funzioni accanto a quella della produzione alimentare, funzioni che
hanno una rilevanza pubblica, ambientale, paesaggistica, di benessere animale e
salvaguardia della biodiversità → agricoltura multifunzionale. Sono funzioni che la
modernizzazione dell’agricoltura ha sottovalutato, a favore della produzione intensiva di
alimenti, ma che oggi sono riattualizzate. La normativa nazionale assegna all’impresa
agricola la possibilità di svolgere attività connesse, alcuni esempi sono l’agriturismo, la
ristorazione, la vendita diretta, la didattica in fattoria. All’interno di questa dinamica le
aziende agricole hanno sviluppato anche progetti di agricoltura sociale.
7.2 L’agricoltura sociale nell’esperienza italiana e nelle norme
Le comunità rurali avevano un’organizzazione sociale basata sull’azienda famigliare.
Produzione e riproduzione sociale vivevano con una coerenza interna, semplice sebbene
povera. Nelle società evolute, si ha un ripensamento dei ruoli dell’agricoltura e delle
aziende agricole nella società. Nel tempo, le attività di agricoltura si sono affiancate ad
azioni di supporto a persone con disabilità psichiatriche all’interno delle strutture
manicomiali. Negli anni Settanta si sono diffuse pratiche di agricoltura comunitaria, alcune
delle quali prevedevano l’inclusione di persone con difficoltà. In anni più recenti emerge
l’agricoltura sociale, che identifica un uso diverso delle risorse naturali e agricole, in
connessione con il welfare nazionale. In Italia la legge del 2015 promuove l’agricoltura
sociale per:
● inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e svantaggio,
● prestazioni e attività sociali nelle comunità locali, inclusione sociale e lavorativa,
ricreazione,
● prestazioni di supporto alle terapie mediche, psicologiche e riabilitative, anche
attraverso animali,
● progetti di educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità, fattorie
sociali e didattiche.
7.3 Le pratiche di agricoltura sociale: alcune caratteristiche
Le risorse dell’agricoltura sociale sono rappresentate dalla valorizzazione dei cicli biologici,
della possibilità di operare in gruppi ristretti ma aperti, all’interno di spazi naturali, per
generare protezione sociale attraverso nuove opportunità e servizi per le persone. La
diffusione di queste pratiche si realizza sia intorno alle aree urbane, sia nelle aree rurali,
dove la rarefazione dei servizi si fa sentire sulla qualità di vita dei territori. Elemento
rilevante dell’agricoltura sociale è la realizzazione di servizi ovunque sia presente
un’impresa agricola. La struttura agrituristica può assicurare servizi e accoglienza ad
anziani e minori, persone fragili, ma anche realizzare agriasili e agrinidi lì dove le strutture
pubbliche stenterebbero a trovare una sostenibilità economica. Agrinidi e agriasili sono
servizi educativi e di supporto alla genitorialità, aperti all’interno di aziende agricole. Un
altro servizio innovativo è l'agritata, servizio di cura per bambini tra tre mesi e tre anni, in
una casa ubicata presso un'azienda agricola. I bambini possono realizzare esperienze di
gioco libero, di scoperta e esplorazione in ambiente naturale, in contatto con i cicli naturali
e in interazione con gli esseri viventi. Un’altra esperienza è rappresentata dagli asili nel
bosco, nati in Italia seguendo l’esempio dei paesi del Nord Europa, in generale sono scuole
dell’infanzia gestite e finanziate da gruppi di genitori, nelle quali le attività si svolgono
quasi sempre all’aperto. Non sempre sono collegate ad aziende agricole. La fattoria
didattica è un’azienda agricola, zootecnica o agrituristica, che offre servizi didattici ed
educativi. Esse tendono a puntare l’attenzione sulla cura o sull’allevamento etico degli
animali e sulla salvaguardia dell’ambiente. Si tratta di un luogo di pedagogia attiva e di
promozione di valori ambientali e sociali.

7.4 L’agricoltura sociale italiana: gli elementi di innovazione


L’agricoltura sociale italiana ha caratteristiche peculiari che suscitano interesse anche al di
fuori dei confini nazionali, in relazione al modo in cui le risorse agricole sono mobilizzate
dal welfare nazionale attraverso un sistema di reti tra attori pubblici e privati, non solo del
privato sociale, ma anche delle imprese.
7.5 Agricoltura sociale e minori: alcune applicazioni italiane
Per fornire indicazioni concrete si presentano alcuni casi:
● Vecchia fattoria di Verona, che offre servizi di fattoria didattica,
● Lo spaventapasseri, agriasilo e campi estivi a Castelnuovo di Garfagnana,
● Azienda Cooperativa agricola La Sonnina di Genazzano Romano, opera
nell’integrazione di minori migranti.

7.6 Attivare le risorse dell’agricoltura sociale per accrescere le possibilità delle persone
L’agricoltura sociale offre l’occasione per ricostruire le reti di relazioni sul territorio, di
welfare di comunità, nuove alleanze comunitarie attraverso la sussidiarietà tra pubblico,
privato sociale, privato d’impresa, cittadini, consumatori.

Capitolo 8. Le attività di “antrozoologia” per la scuola Angelo Gazzano,


Chiara Mariti
Gli animali nella vita quotidiana dei bambini sono importanti: essi offrono sia benefici fisici
che psicologici. È inoltre comprovata l’efficacia di interventi assistiti da animali con
bambini affetti da disturbi di vario tipo.
8.1 Il rapporto bambino-animale nella visione antrozoologica
Negli ultimi anni i rapporti con gli animali sono notevolmente diminuiti → perdita di
conoscenze sul comportamento degli animali. Al momento si ha una discreta letteratura
scientifica sull’importanza che gli animali rivestono nella vita quotidiana dei bambini: gli
animali d’affezione inibiscono l’attività del sistema nervoso simpatico, evidente in
situazioni di stress. I bambini proprietari di animali domestici hanno benefici di vario tipo,
dalla prevenzione delle reazioni allergiche alla maggior probabilità di svolgere attività
fisica. Hanno inoltre migliori capacità di rapportarsi con i coetanei. L’interazione con gli
animali ha specifiche valenze:
● formative: diminuisce la diffidenza verso la diversità, aumenta l’autostima e le relazioni
empatiche,
● didattiche: tramite esperienze di gioco-studio.
Le esperienze con gli animali offrono la possibilità di formare una personalità più aperta ed
integrata, capace di andare incontro alle esigenze della società. Dalla metà degli anni
Ottanta, sono stati sviluppati progetti educativi nelle scuole, nel tentativo di migliorare la
conoscenza dei bambini sugli animali, in particolare quelli d’affezione. Inizialmente
l’obiettivo principale era di tipo formativo. La scuola era nella posizione privilegiata per
preparare gli studenti alla conoscenza degli animali. Rapidamente hanno preso piede anche
progetti con obiettivi diversi. Spesso il bambino ha grande interesse e passione per gli
animali, specialmente quando ha difficoltà in famiglia, a scuola, oppure quando sono malati
o con problemi psichici. In molti paesi europei e nordamericani sono state avviate
esperienze di interazione uomo-animale applicate alla didattica e all’assistenza.
L’interazione con l’animale domestico apporta modificazioni del comportamento di bambini
con difficoltà, aiuta il bambino a prendere possesso delle sue capacità espressive e delle
potenzialità del proprio corpo.La conoscenza dell’universo animale è fondamentale per lo
sviluppo della fantasia. Contemporaneamente alcuni studiosi hanno realizzato come la
relazione bambino-animale possa rispecchiare altre relazioni, ad esempio alcuni
neuropsichiatri hanno utilizzato i diversi approcci manifestati dai giovani verso gli animali
come indicatori per individuare situazioni di disagio.

8.2 La antrozoologia e i progetti nelle scuole


L’esigenza di capire le caratteristiche del rapporto uomo-animale ha portato alla nascita
dell’antrozoologia. Accanto ad un’antrozoologia teorica, che analizza l’interazione uomo-
animale, si è sviluppata un’antrozoologia didattica distinta in tre aree, che si occupa di
problemi di relazione dei proprietari con i propri animali domestici, di didattica ai bambini
nelle scuole, di attività terapeutica coadiuvata dalla presenza degli animali (pet therapy).
Dopo trent’anni di esperienze e di studi, si sottolinea l’importanza della relazione con
l’animale nel dare sostegno nelle diverse aree di problematicità dell’età evolutiva. In
generale, la presenza di un cane può migliorare gli atteggiamenti verso gli animali ed
accrescere l’empatia nei loro confronti. Tuttavia l’obiettivo principale dei progetti di
antrozoologia con i bambini è stata la prevenzione delle morsicature. Sul piano pedagogico,
introducendo un cane nella scuola è possibile spiegare fatti, nozioni e meccanismi che
potrebbero risultare di difficile comprensione, ottenendo maggior efficacia e motivazione. I
comportamenti assunti dai bambini forniscono maggiore comprensione delle loro capacità
relazionali, emotive e affettive. Poiché l’interesse per gli animali declina dai 15 anni, è
opportuno sfruttare l’interesse presente nel periodo precedente. Nonostante il
coinvolgimento del cane possa apparire come un metodo facile e poco costoso per
migliorare le condizioni di insegnamento è tuttavia necessario che i bambini non vengano
esposti a potenziali rischi, inoltre anche i cani devono essere tutelati. Le attività possono
essere effettuate solo se esistono le condizioni adatte e se si ha la collaborazione di un team
con diverse professionalità.
Lo studio di cui parleremo è un progetto di humane education , che vede l’uso
dell’educazione per coltivare la compassione e il rispetto per gli esseri viventi. Nel caso
dell’antrozoologia didattica, l’uso delle storie, lezioni e attività relative agli animali mira a
favorire il rispetto e la responsabilità nella relazione dei bambini con gli animali e le
persone. Tali esperienze sono condotte nelle scuole da personale esterno.

8.3 Il progetto didattico “Animali Amici”


È importante fornire un’informazione corretta al bambino riguardo alla relazione da
instaurare con l’animale domestico, conoscendone i bisogni essenziali e il comportamento.
Con il cane esiste la possibilità di incidenti, anche gravi, in quanto comportamenti errati
del bambino possono indurre atteggiamenti aggressivi nell’animale. Il progetto “Animali
Amici” stato svolto nelle classi 3° 4° e 5° di scuole primarie, si è composto di quattro
incontri di circa un’ora, condotti da medici veterinari. Nella prima lezione si è avuto come
argomento il cane, inquadrando l’animale nella storia evolutiva dell’uomo. Si è parlato
delle modalità di comunicazione del cane e delle regole di comportamento in diverse
situazioni potenzialmente pericolose, delle corrette modalità di approccio all’animale. Al
termine della lezione, si è provato l’approccio al cane. L’animale è stato condotto nel
cortile delle scuole ed ogni alunno ha avuto la possibilità di avere un contatto diretto, senza
essere obbligato. Nella seconda lezione si è trattata la storia dei felini domestici, le
principali caratteristiche anatomiche del gatto, le fasi principali della vita, il modo di
comunicare gli stati d’animo, come rapportarsi al gatto, introduzione all’uso di metodi
positivi di insegnamento, evitando le punizioni, ancora molto utilizzate sugli animali
d’affezione. L’ultima lezione è stata dedicata al coniglio e a come comprenderne lo stato
d’animo. Alla fine della quarta lezione è stato somministrato un questionario, si è poi
svolta una giornata finale in cui ogni classe ha presentato un lavoro. La verifica dei
risultati è stata effettuata tramite il confronto delle risposte fornite ai questionari prima e
dopo il progetto.
8.3.1 Area A: livello culturale dello studente riguardo agli argomenti trattati
I risultati indicano un effetto positivo delle lezioni nel migliorare i livelli di conoscenza
degli argomenti trattati. Le giovani generazioni sono deficitarie nella relazione con gli
animali, non possono quindi avvalersi dei benefici educativi e didattici propri di
un’interazione con essi.
8.3.2 Area B: responsabilità: monitoraggio dell’educazione al rispetto degli animali
Uno degli obiettivi del progetto era quello di favorire il rispetto verso l’animale. I risultati
dei questionari indicano che tale obiettivo è stato raggiunto. È possibile ipotizzare il
miglioramento nell’educazione alla socialità. I progetti di antrozoologia didattica
migliorano l’interazione tra bambini e animali e offrono la chiave per capire l’alterità
animale. Il bambino è naturalmente portato a vedere l’animale come un essere indifeso, è
possibile perciò avviare una riflessione sui doveri verso il prossimo e sulle conseguenze dei
nostri comportamenti.

Capitolo 9. Scuola e Natura: come sviluppare l’intelligenza naturalistica,


emotiva e sociale. Gli Interventi Assistiti con gli Animali
Mariateresa Cairo
9.1 Qualità della vita, benessere e salute
Lavorare nell'ambito degli IAA (interventi assistiti con animali) significa operare su un
triplice fronte: umano, animale e dei servizi. I temi della disabilità, della prevenzione, della
corporeità e della cura sono centrali.
9.2 Tipologie di interventi educativi e riabilitativi assistiti con gli animali
Gli IAA sono un settore interdisciplinare tra psicologia, etologia, medicina e pedagogia. Si
articola nei seguenti ambiti:
1. Terapia Assistita con gli Animali (IAA): intervento a valenza terapeutica per la cura
di disturbi fisici, neuro e psicomotori, emotivi e relazionali. L’intervento è personalizzato
sul paziente e richiede una prescrizione medica;
2. Educazione Assistita con gli Animali (EAA): intervento di tipo educativo per
attivare relazione e inserimento sociale delle persone con difficoltà. Possibili gli
interventi di gruppo. Vengono attuati anche percorsi di rieducazione comportamentale;
3. Attività Assistita con gli Animali ( AAA): finalità ludico-ricreativa e di socializzazione
per il miglioramento della qualità della vita e la corretta interazione uomo-animale.
9.3 Il rapporto dei bambini e degli adolescenti con gli animali
La natura e gli animali rappresentano un’opportunità educativa unica. Per molto tempo,
l’idea di sviluppo è stata associata alla possibilità di distaccarsi dalla dipendenza dalla
terra, oggi c’è la tendenza contraria. L’idea di sostenibilità ambientale è divenuta cruciale
anche in educazione. La relazione con un animale ha un effetto benefico sulla persona, i
bambini hanno più facilità ad identificarsi in un animale domestico che nelle figure adulte.
Il piccolo tende a proiettare le proprie emozioni, ansie e insoddisfazioni sugli animali, che
diventano una sorta di estensione del proprio Io e permettono di dominare ansia e paura.
L’animale aiuta sia perché facilita la comprensione del diverso, sia perché consente di
realizzare rapporti sociali positivi. Nell’incontro con l’animale il bambino inizia a prendere
in considerazione bisogni, comportamenti, necessità diversi dai propri, tutto ciò facilita lo
sviluppo dell’empatia. Nella relazione tra bambino e animale l’esperienza è favorita
dall’utilizzo del canale analogico (non verbale). Gli animali sono in grado di stabilire
profondi legami affettivi senza pregiudizi, ciò rappresenta per i bambini un grande
esempio. Nello svolgimento del lavoro educativo l’animale ha un ruolo di primaria
importanza, facilitando il compito del docente:
● l’animale come centro di interesse, mediatore accattivante,
● l’animale come evocatore di esperienze di gioco/studio, i ragazzi imparano divertendosi,
collaborano, la comunicazione è circolare,
● l’animale come testimonial di percorsi interdisciplinari, soggetto da esplorare a partire
da diverse discipline,
● l’animale come essere vivente avvicina alla comprensione della morale umana.

9.4 Persone con disabilità e animali


Gli animali offrono alle persone con disabilità un’esperienza unica, soprattutto dal punto di
vista motivazionale e il piacere di vivere una situazione che non richiede standard
normalizzati di comportamento. Permettono di conoscere la persona in condizioni di
fragilità sotto un’altra luce. L’alunno può divenire protagonista attivo della propria
riabilitazione. Con persone con gravi disabilità le opportunità si fondano principalmente
sulla corporeità, sulla concretezza, sulle attività piacevoli e fonte di soddisfazione. Ogni
persona possiede potenzialità latenti che emergono con difficoltà nel quotidiano, gli animali
ne permettono l’esplosione. La presenza di un animale consente l’aumento dei tempi di
attenzione, il miglioramento della postura e del movimento, manifestazioni emotive di
affetto, cambi di tono e di umore, aumento dell’intenzionalità comunicativa, autocontrollo
comportamentale.
Per una buona riuscita del progetto è necessario che siano individuate le caratteristiche
che l’animale deve possedere. La presenza di una equipe esperta è un elemento importante.
Lavorare con gli animali richiede calma, pazienza, autocontrollo; un bambino ipercinetico
se vuole stare con un cavallo deve saper aspettare, rispettare l’animale, imparare a
monitorare quello che fa per non sbagliare.

9.5 Indicazioni operative


Gli animali adatti per gli IAA sono il cane, il gatto, il coniglio, il cavallo e l’asino. Le
attività che è possibile realizzare sono:
● accarezzare e coccolare,
● spazzolare e prendersi cura,
● offrire cibo,
● portare a passeggio,
● parlare e interagire con l’animale,
● parlare dell’animale e raccontare storie sugli animali,
● presenza fisica dell’animale,
● osservare gli animali e i loro comportamenti,
● giocare con gli animali,
● fare esercizi fisici con l’ausilio degli animali,
● utilizzare gli oggetti dell’animale,
● imparare nozioni sulla vita dell’animale,
● attività creative connesse agli animali,
● prepararsi alla visita dell’animale,
● stimolazione sensoriale,
● imparare a condurre un animale
Possono esserci anche controindicazioni, gli animali non vanno bene per tutti. Per
problemi di salute, paura degli animali, scarso interesse è preferibile rinunciare piuttosto
che creare incidenti.
9.6 L’importanza del lavoro in equipe
Sia in ambito terapeutico che educativo e sociale è necessaria la presenza di diversi
professionisti in campo sanitario umano e animale, assistenziale, educativo e didattico. Il
veterinario svolge un ruolo fondamentale per la scelta dell’animale più adatto e per la sua
tutela. Una parte decisiva è svolta anche dal conduttore. L’educatore-insegnante di
sostegno conosce bene il fruitore e può dare consigli su cosa serve e come agire rispetto
alle sue richieste.
9.7 Alcune attività riabilitative note con animali
9.7.1 Il metodo di riabilitazione globale a mezzo cavallo dell’Associazione Nazionale
Italiana di Riabilitazione Equestre (ANIRE)
Il metodo globale di riabilitazione a mezzo del cavallo (MGRC)
Terapia del movimento che facilita la costruzione e ricostruzione di schemi senso motori.
Agisce sul danno biologico, permettendo di contenerlo e di compensarlo funzionalmente.
Può avere obiettivi rivolti alla sfera psico-motoria, comportamentale, neuromotoria,
cognitiva.

9.7.2 La zooantropologia didattica della Scuola Interazione Uomo-Animale (SIUA)


La zooantropologia ha la convinzione che gli animali sono una risorsa educativa
inesauribile. L’incontro e il confronto con gli animali offre al bambino contributi in termini
di ispirazioni, modelli, ostacoli da superare, sostegni.
Le attività di pet-relationship(APR) possono essere:
● referenziali, ci si riferisce all’animale, ma questi non è presente,
● implicitative, l’animale è presente ma non si fanno attività che fanno ad esso
riferimento,
● osservative,
● interattivo guidate,
● gestionali, per qualche attimo l’animale è affidato al fruitore,
● performative, realizzate con l’animale.

9.7.3 La terapia psicomotoria assistita con gli animali (TPAA)


Si basa sull’utilizzo del rapporto speciale che le persone instaurano con gli animali
domestici, principalmente il cane, per favorire il processo terapeutico. L’animale agisce
come facilitatore sociale, accelera e favorisce la relazione terapista-paziente. Il cane è il
medium che permette di entrare in relazione con il terapista, deve essere di proprietà dello
psicomotricista.
9.7.4 Il metodo Del Negro
L’educazione al rispetto degli animali si inserisce nella più ampia prospettiva
dell’educazione ambientale e dell’educazione al rispetto della natura. Occuparsi di un’altra
vita è fondamentale per togliere il bambino dal suo naturale egocentrismo e abituarlo a
sentimenti di gentilezza e responsabilità.

Parte quarta. Musica, relazione, inclusione

Capitolo 10. La musica nella didattica inclusiva Lucia


Chiappetta Cajola
Rapporto tra la Musica e la Special Education: la musica è una risorsa flessibile ed efficace
per favorire l’apprendimento e la partecipazione degli allievi con disabilità o altro BES. Se
la musica è proposta con modalità laboratoriale in una dimensione di gioco, sviluppa le
potenzialità individuali e il senso di autoefficacia in tutti gli allievi.

10.1 Universalità del linguaggio musicale e formatività dell’esperienza musicale


Il laboratorio musicale è uno dei contesti più efficaci per la realizzazione di percorsi
formativi ad alto grado di interazione. La musica, in quanto esperienza universale, si
qualifica quale risorsa adatta a favorire l’apprendimento degli allievi con disabilità o altro
BES. La rilevanza inclusiva della musica è determinata dalla possibilità sia di essere
accessibile a qualsiasi persona, sia di produrre effetti positivi sul processo di sviluppo delle
persone con disabilità, in particolare sull’autonomia personale, sia di favorire il
potenziamento dei livelli generali di benessere, autostima, motivazione all’incontro con
l’altro e partecipazione emotiva. La musica rivela una vocazione alla connessione
interdisciplinare. Essa è una disciplina che, oltre all’apprendimento dei propri contenuti,
promuove anche quello linguistico, cognitivo e sociale, mediante metodologie appropriate
all’età, alle caratteristiche e alle condizioni individuali. L’incontro tra essere umano e
universo musicale permette l’espressione delle emozioni, della motivazione, cognizione,
funzioni motorie, determinando esperienze efficaci per lo sviluppo globale e il benessere.

10.2 La Musica nel curricolo inclusivo e le competenze degli insegnanti


La didattica musicale può offrire un apporto allo sviluppo della dimensione inclusiva.
Alcune importanti innovazioni hanno arricchito il contesto scolastico, tra le quali la
progettazione di laboratori musicali interdisciplinari, realizzati dall’insegnante di sostegno,
dal musicista e dagli insegnanti su posto comune; appositi percorsi musicali per gli allievi
con DSA. Il dispositivo per la costruzione di un ambiente inclusivo è rappresentato dal
curricolo, lo scopo è valorizzare la centralità dell’allievo con le proprie differenze cognitive,
linguistiche, emotive, fisiche, sociali. Tale prospettiva esige curricoli ricchi di fattori
ambientali facilitanti e sollecita la promozione di modelli organizzativi centrati
sull’interdisciplinarità e sulla collaborazione tra insegnanti.

10.3 Il laboratorio musicale quale contesto inclusivo: dalle intuizioni di Seguin al valore
dell’educazione artistico-musicale
L’attività musicale nella dimensione laboratoriale è un contesto collettivo di apprendimento
e di interazione sociale in cui ciascuno può sviluppare un livello soddisfacente di
partecipazione, l’attitudine per il suono è infatti una caratteristica universale degli esseri
umani. La musica ha vocazione interdisciplinare e ha la capacità di potenziare le altre
discipline, produce rilevanti miglioramenti del linguaggio, della memoria, della lettura,
della matematica. La predisposizione di un ambiente di apprendimento musicale inclusivo
che pone alla base l’esperienza sensoriale, corporea ed emotiva del suono richiede una
progettualità consapevole, che ricerchi soluzioni idonee per valorizzare le differenze
individuali attraverso attività che, riducendo le distanze tra le persone, consentano lo
sviluppo del senso di appartenenza alla comunità. La pratica musicale è un fondamento
dello sviluppo della persona, il laboratorio musicale può divenire una arricchente
esperienza di gioco.

10.4 La dimensione ludica del laboratorio musicale: l’esperienza della gioia e della bellezza
Musicalità e senso sonoro sono doti innate in tutti i bambini, quindi bisogna guidare a
scoprire tale potenzialità, affinché affiori spontaneamente.
La musica e il gioco si intrecciano, promuovendo la partecipazione autentica dell’allievo. Il
gioco per Vygotskij è la fonte dello sviluppo e crea la zona di sviluppo prossimale. Giocare
significa vivere con piacere e intensità esperienze concrete, comprendendone il significato e
incrementando abilità motorie, cognitive, linguistiche e sociali. L’attività di gioco è di
particolare rilevanza per i soggetti con BES, perché promuove lo sviluppo del potenziale.
Per gli allievi con disabilità, la partecipazione ad attività ludiche consente di superare o
ridurre la passività che spesso caratterizza le situazioni educative e riabilitative, a favore
di un attivo coinvolgimento psicofisico e una gratificazione personale. Se il gioco e la
musica si incontrano in un progetto laboratoriale, danno luogo ad una doppia integrazione,
non soltanto per l’incontro efficace tra gli allievi, ma anche tra docenti motivati a fare
gruppo.

10.5 La musica come gioco: la “didattica delle condotte” di François Delalande


Affinché possa esercitare la partecipazione e l’apprendimento di tutti gli allievi, è
fondamentale che la musica venga proposta con modalità didattiche in grado di sollecitare
le potenzialità cognitive, linguistiche, motorie del soggetto con disabilità. Di particolare
interesse è la proposta del compositore francese François Delalande, relativa alla
“didattica della condotta musicale”. L’obiettivo non è la riproduzione meccanica di atti,
gesti e movimenti, bensì il “risveglio musicale” mediante il gioco musicale.
10.6 La partecipazione al flow musicale e la capacità di decentramento percettivo:
l’incontro di linguaggio, corporeità, pensiero
Il laboratorio musicale offre la possibilità di sperimentare la corporeità produttrice di
suoni, ma anche di far affiorare gli interessi degli allievi per la musica e il piacere di
esprimersi con spontaneità insieme agli altri. I modelli laboratoriali sono tesi a valorizzare,
nei contesti di musica d’insieme, il potenziale espressivo e comunicativo di ogni persona.
Permette a ciascun allievo di partecipare con piacere e gratificazione al flusso musicale (
flow), operando continui decentramenti attentivi e percettivi. Sia il flow, sia il
decentramento percettivo sono le caratteristiche costanti delle attività collettive, vocali,
strumentali e motorie, tipiche del laboratorio musicale, in cui l’organizzazione dei repertori
e delle modalità esecutive consente di partecipare, favorendo l’inserimento piacevole del
flusso musicale e lo spostamento dell’attenzione dal proprio intervento a quello di altri
singoli e del gruppo. Tale capacità di raggiungere e mantenere la duplice attenzione nei
confronti del globale e dei dettagli rappresenta un obiettivo dello sviluppo del pensiero
cognitivo e musicale in soggetti in età evolutiva. Presuppone la maturazione del pensiero
operatorio, la padronanza del pensiero reversibile. L’accesso al flow musicale consente di
vivere l’espressività creativo-musicale. A tale scopo sono utilizzate alcune tecniche
specifiche: la musicalizzazione ludica, il coinvolgimento in attività collettive di danza e
movimento espressivo. Sono attività che permettono di montare brani ritmici con le body
percussion o con strumenti a percussione.

10.7 Il prompt per facilitare il coinvolgimento musicale e ulteriori fattori ambientali


facilitatori
Allievi con disabilità e con BES: l’insegnante che intenda far vivere loro l’esperienza del
flow potrà avvalersi in particolare del prompt, tecnica di facilitazione del compito che,
utilizzando la mimica, la gestualità amplificata, i gesti sonori, il supporto fisico, favorisce la
partecipazione. Ulteriori tecniche di facilitazione sono la scansione ritmico-verbale,
l’anticipazione degli interventi con l’invito oculare, gestuale o verbale, il rispecchiamento
motorio, il sostegno fisico. Spesso gli allievi con BES che vivono ripetute esperienze di
fallimento scolastico possiedono un basso livello di autoefficacia, potenziare i livelli di
autoefficacia è indispensabile per migliorare le performance scolastiche, l’umore, la
quantità di impegno, la fiducia verso se stessi e gli altri.

Capitolo 11. Voce, canto, relazione in età infantile


Giorgio Guiot
La riflessione sulla voce nel contesto educativo riguarda lo sviluppo della fonologia e del
linguaggio, dell’espressione di sé e della comunicazione. La voce è uno strumento di
comunicazione, ma è anche corporeità.
11.1 Canto dunque sono
Dalle prime settimane di vita la comunicazione umana tra adulto e bambino avviene in
forme di protocomunicazione, un dialogo senza parole che alterna gesti e vocalizzi, in uno
scambio emotivo che esprime intenzionalità comunicativa.
L’importanza della voce e del canto riguarda anche l’origine della specie umana, c’è infatti
l’ipotesi che forme di relazione e comunicazione cantata abbiano preceduto l’origine del
linguaggio. I canti potrebbero essere emersi da segnali vocali di allarme o corteggiamento,
con funzione affiliativa. Questo potrebbe essere il motivo della forte valenza emotiva della
musica e del canto.

11.2 Armonie interne, armonie esterne


Cosa avviene quando cantiamo, e quando lo facciamo con altri? Considerando le funzioni
interne, il canto è il risultato di un’armonia tra respirazione, postura, coordinazione e
percezione della propria voce → è la ricerca di un equilibrio. Il canto è anche un gesto
sociale e di relazione, la ricerca di un equilibrio di armonie esterne, ovvero intonazione,
insieme ritmico, timbrica, interpretazione, elaborazione e comprensione, aspetti che
occorre condividere nel momento in cui si canta in gruppo. Ciò che interessa è l’equilibrio
tra queste due categorie di armonie. Le attività musicali risultano gradite a persone con
difficoltà relazionali, che faticano a comunicare. Quando sono inserite in un gruppo di
attività musicale mostrano capacità di recupero sorprendenti nella loro intelligenza sociale.
Interessante è l'utilità del canto per la riabilitazione di disagi legati alla dimensione
fonatoria. Cantando in gruppo, si ha la possibilità di osservare, ascoltare e imitare; non si
tratta di un’imitazione passiva, ma di una emulazione, che comporta la comprensione e
l’imitazione delle intenzioni a causa del comportamento manifesto. Il canto è una buona
pratica volta a tutti, nella quale ciascuno persegue un equilibrio tra le proprie armonie
interne e quelle esterne del gruppo. La ricerca dell’equilibrio porta a modificare i propri
comportamenti nel gruppo.

11.3 Da “autismo e musica” al Relational Singing Mode


Spesso chi soffre di disturbi dello spettro autistico si avvicina naturalmente alla musica.
Molte esperienze musicali a scuola riescono ad includere bambini con questo disturbo. Tra
le diverse esperienze d’approccio la più efficace è legata al modello DIR-Floortime . Il
coinvolgimento del bambino autistico nel gruppo di compagni è l’obiettivo del laboratorio e
ha reso necessaria la creazione di un repertorio musicale specifico e l’articolazione
dell’incontro musicale in modo da alternare vari climi emotivi. L’esperienza ha stimolato
un successivo approfondimento teorico. Il Relational Singing Model (RSM) ha
l’obiettivo di sviluppare pratiche utilizzabili con tutte le persone. Si tratta di un modello in
cui è fondamentale l’osservazione, l’ascolto, il rispetto delle richieste del gruppo,
l’articolazione delle proposte musicali che veda l’alternanza di accoglienza, vitalità,
rilassamento e congedo. La proposta è particolarmente indicata per l’applicazione nel
contesto scolastico, con interessanti applicazioni nel contesto terapeutico.
11.4 Come, dove, quando, perché la musica
11.4.1. Chi deve condurre le attività musicali
Quando abbiamo un ampio progetto di educazione musicale nella scuola, volto alla crescita
tecnica degli allievi, è senz’altro il musicista a dover condurre le attività musicali. Quando
parliamo invece di pratica musicale infantile, o di diffusione del canto, la questione si
complica. I punti essenziali sono due:
1. la formazione, perché ogni insegnante dovrebbe essere in possesso di informazioni di
base che possano rendere il suo intervento efficace,
2. Il trasferimento di competenze, si basa sul confronto tra insegnanti ed esperti e ha al
centro la verifica su ciò che davvero avviene nelle classi. Un confronto serio è
fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi laboratorio.
Una proposta concreta: valorizzare il ruolo dell’insegnante di sostegno; orientato verso
l’utilizzo di più linguaggi, potrebbe assumere un ruolo di facilitatore espressivo per la
classe.
11.4.2 Quando proporre le attività musicali
Il laboratorio musicale dovrebbe essere un appuntamento strutturato, con una cadenza ben
precisa, con obiettivi specifici e guidato preferibilmente da un musicista o da un
insegnante con una formazione adeguata. Ma se la voce e il canto sono strumenti di
relazione importanti per coinvolgere chi ha maggiori difficoltà di comunicazione,
dovranno esserci delle strategie da mettere in pratica ogni giorno. Potremmo
accompagnare con il canto alcuni momenti rituali della giornata scolastica, stimolare
gli allievi alla creazione di testi e melodie, curare la musicalità della voce.
11.4.3 Dove e come condurre le attività musicali
Il laboratorio musicale non dovrebbe essere svolto in una semplice stanza, il locale
dovrebbe avere caratteristiche acustiche appropriate, tali da consentire buone attività
di ascolto. Il locale dovrebbe essere non troppo piccolo e ben arieggiato.
Si possono usare basi musicali, che forniscono indicazioni per una corretta esecuzione → è
possibile usarle nella fase di introduzione di un nuovo brano, ma quando gli allievi
avranno imparato la melodia e il ritmo il sostegno musicale dovrà essere abbandonato
per favorire le dinamiche di gruppo.

11.5 Indicazioni operative


11.5.1 Acustica e voce
Risulta essenziale acquisire una piena consapevolezza del problema della voce e dello
sforzo vocale.
11.5.2 Ergonomia vocale
Condurre un’attività basata sul canto richiede una conoscenza dei meccanismi di buon
funzionamento del canto, o quantomeno la consapevolezza di un corretto utilizzo
dell’organo fonatorio:
● range vocale: sono ottimali melodie all’interno dell’ottava di comodità per giovani e
adulti e della quinta di comodità per i bambini. Nella fase iniziale è necessario scegliere
canti con un’estensione ridotta e non troppo lunghi,
● tessitura: collocare la quinta e l’ottava di comodità a un’altezza mediamente comoda per
il gruppo,
● procedimenti melodici: ci sono successioni di intervalli melodici più semplici e agevoli e
successioni più impegnative.
L’utilizzo di uno strumento musicale per accompagnare il canto, generalmente il pianoforte
o la tastiera, può avere rischi e benefici. Il rischio principale è quello di essere un elemento
di costrizione, una sorta di base musicale dominante. L'opportunità è quella di eseguire
una melodia assieme al coro, che lo strumento può forse accennare, anticipandola.

Capitolo 12. Corpo, musica e affettività Mario


Paolini
Non esiste musica senza ascolto, e l’ascolto è il primo elemento per la relazione. La musica
alimenta la capacità di ascoltare.
12.1 In principio era il ritmo
Ritmo: ci sono meccanismi psicologici che partono dal ritmo spontaneo, movimenti che
sono espressione del funzionamento di base dell’individuo. In questi meccanismi troviamo
gli spunti per stimolare nei bambini le prime associazioni suono-significato. L’esplorazione
spontanea del bambino è di tipo ritmico-percussivo, perché è la più semplice. Nel caso del
bambino con disabilità è importante offrire lo stimolo sotto forma di gioco educativo. La
ninnananna per essere efficace deve avere un ritmo simile a quello del cuore a riposo, la
struttura ritmico-melodica della ninnananna è la stessa in tutto il mondo. Il ritmo è quello
del respiro, tutto rimanda alla quiete.
Il gioco è una componente che non può mancare, la parola giocare in tante lingue è la
stessa che si usa per indicare il suonare. Il bambino piccolo che può avvicinarsi
liberamente ad uno strumento senza essere istruito a suonare per prima cosa tocca tutto
l’oggetto e quando il suo tocco produce un suono ripete l’azione. Il passaggio da
esplorazione casuale all’intenzionalità è legato all’ascolto, che seleziona un suono in mezzo
agli altri. Il ruolo dell’adulto è quello di mediatore, la musica non si spiega, si fa. La si fa
insieme perché i primi cambiamenti si costruiscono per imitazione, si impara non solo
facendo, ma anche guardando e ascoltando gli altri (neuroni specchio). La risposta ad uno
stimolo prodotto dal suono-musica non si manifesta necessariamente nello stesso ambito:
soprattutto in ambito educativo e abilitativo con bambini con disabilità.
12.2 Corpo, gioco, movimento
Dalcroze, uno degli innovatori nella pedagogia della musica, associa il corpo al movimento
e al ritmo per arrivare alla musica. In un contesto educativo il gioco motorio associa
musica a movimento ritmico, ciò è alla base della coordinazione fine, importante per lo
sviluppo del bambino. Il gioco crea un ambiente favorevole, non deve essere banale: lo
stimolo sonoro deve essere bello. Alla base dell’intervento educativo precoce si trova
l’attenzione al corpo nella sua interezza. La musica, anche in contesto scolastico, è prima
di tutto relazione, un ponte per arrivare all’altro. Con l’utilizzo di strumenti anche
autocostruiti si può realizzare un contesto di gioco privo di vincoli, per osservare il
funzionamento dei bambini e avviare relazioni.
12.3 Musica e… la stimolazione cognitiva mediante i suoni
È possibile stimolare l’intelligenza musicale, ma anche utilizzare l’intelligenza musicale per
stimolare altre forme di intelligenza. Il movimento richiede lo sviluppo dell’intelligenza
spaziale: lungo e corto sono parametri di durata se applicati al suono, di dimensione
spaziale se al movimento. Una trasposizione grafica di un segno che rappresenti un suono
lungo rispetto a un suono corto avvia la sperimentazione di prerequisiti dell’educazione
linguistica. Il gioco può essere proposto chiedendo al bambino di tracciare un segno finché
sente un suono, proponendogli una sequenza di suono di diversa durata (segue la
descrizione di diverse attività).
12.4 Analisi del canto
Parla di costruzione di un ritmo condiviso.
12.5 Musica e linguaggi non verbali
Riflettiamo non sui contenuti semantici della parola, ma sulle componenti musicali della
nostra voce e di come la usiamo: la prosodia ha gli stessi parametri del suono in musica, e
la loro combinazione definisce dei significati chiaramente percepiti. Il tono ha
un’importante valenza semantica, definisce il senso di una frase: nella cultura occidentale,
a seconda dell’intonazione della sillaba finale, un parlato viene percepito come domanda
quando ha intonazione ascendente, oppure risposta o consegna quando ha intonazione
piana o discendente. A volte si sottovaluta l’effetto del proprio tono di voce in chi ci
ascolta.
12.6 Musica, ascolto, educazione affettiva: a cosa serve suonare insieme in orchestra
(A inizio paragrafo si parla dell’esperienza di creazione musicale di un ragazzo con
sindrome di Down).
Un ragazzo che impara a suonare uno strumento, impara a misurarsi con qualcosa che
mette in moto tutte le intelligenze enumerate da Gardner, suonando insieme ad altri si
alimentano principalmente le intelligenze intra e interpersonali.

Parte quinta. Didattiche multimediali in prospettiva inclusiva

Capitolo 13. Narrazioni digitali per l’inclusione Barbara Bruschi


13.1 Narrare per includere
È noto il potere dei sistemi narrativi nella realizzazione di ambienti di apprendimento
inclusivi. Quale tipo di narrazione può funzionare per quali situazioni specifiche? Esiste
una grande differenza tra le soluzioni narrative adatte per i temi di inclusione culturale e i
dispositivi narrativi impiegati per sviluppare le capacità di racconto dei soggetti che
utilizzano la comunicazione aumentativa. Ciò che conta nell’applicazione dello storytelling
nei contesti educativi è il processo, ovvero il sistema di azioni e obiettivi che si intendono
avviare attraverso il percorso narrativo. Il DST (digital storytelling) nei contesti inclusivi
assume significato nel momento in cui determina un cambiamento nelle capacità espressive
e comunicative del soggetto. Spesso la dimensione narrativa rappresenta una risposta alle
necessità comunicative degli alunni. Sviluppare nelle persone le capacità narrative significa
dotarle di strumenti per interagire con la realtà esterna e per mettersi in relazione con gli
altri, generando competenze di autonomia. La dimensione digitale spesso porta ad una
banalizzazione: il risultato è la produzione di materiali che non portano allo sviluppo di
vere competenze comunicative.
A scuola occorre distinguere tra narrazioni realizzate per gli studenti da quelle prodotte
con gli studenti. Entrambe sono efficaci, ma hanno finalità diverse. Nel primo caso è il
docente che realizza prodotti narrativi per gli studenti, proponendo i problemi centrali che
saranno affrontati a lezione. La soluzione narrativa permette di rendere più coinvolgente la
spiegazione, facilita il passaggio dal piano dell’astrazione a quello della concretezza. Nel
caso di storie prodotte dai discenti gli obiettivi sono diversi e si concentrano sui processi
metacognitivi e riflessivi che devono essere attivati nel processo narrativo. Possiamo
ricorrere a metodologie narrative, testuali, multimediali, per favorire l’acquisizione della
capacità di organizzare le informazioni, le capacità espressive e di sintesi, stimolare il
pensiero creativo, sostenere le competenze comunicative nei soggetti con difficoltà.
L’alfabetizzazione deve includere i linguaggi dei media, le forme della narrazione sono
infatti sempre più basate su codici audiovisivi. Il digital storytelling, così come la
realizzazione di un blog, diventano non solo spazi di apprendimento narrativo, ma contesti
mediaeducativi in cui esercitare scrittura e lettura mediale. La pluralità dei codici permette
una maggiore personalizzazione delle forme espressive anche a chi presenta difficoltà. I
contesti digitali e multimediali hanno una naturale capacità inclusiva, essi permettono a
tutti di partecipare alle attività di classe grazie alla molteplicità delle soluzioni e dei
linguaggi, e grazie anche alle soluzioni collaborative che danno a ciascuno l’opportunità di
contribuire.
13.2 Narrazioni digitali: dal blog al digital storytelling
Il digitale offre varie possibilità di applicazione delle metodologie narrative.
13.2.1 Foto storytelling
La diffusione dei dispositivi mobili ha incrementato il ricorso alla fotografia, siamo sempre
più abituati a raccontare le nostre storie con l’aiuto di fotografie. In didattica possiamo
sfruttare questa opportunità. Il foto storytelling può essere il risultato dell’incontro tra una
storia e una o più fotografie. La sua flessibilità permette di proporre l’attività all’intera
classe, o di riservarla agli studenti con particolari difficoltà espressive e comunicative.
Varie soluzioni di foto racconto:
● sequenza di immagini: serie di scatti montati in sequenza che compongono un
racconto. Permette di acquisire sia competenze tecniche rispetto alla fotografia e agli
strumenti di manipolazione delle immagini, sia competenze narrative multimediali.
● racconto di una storia a partire dalle immagini: le immagini hanno un carattere
polisemico, ovvero si prestano ad interpretazioni diversificate in funzione
dell’esperienza e delle conoscenze. Pertanto il lavoro narrativo a partire da una
singola immagine può essere funzionale a diverse finalità: dalla verifica iniziale delle
preconoscenze, alla costruzione di un percorso narrativo incentrato sul sé, alla
narrazione come risultato di una ricerca disciplinare. In una didattica inclusiva il
soggetto può raccontare in forma coerente alle sue capacità, sviluppando competenze
narrative ed espressive, svolgendo la stessa attività dei compagni. Mentre il racconto
scritto è tendenzialmente critico per i soggetti con problemi, la narrazione orale può
costituire un elemento favorevole. Pertanto è opportuno definire secondo quale forma
debba essere raccontata la storia. Il digitale offre un ausilio significativo permettendo
di registrare la voce narrante.
13.2.2. Blog/Vlog
Il blog è una sorta di diario online, in parte sostituito dai social network, continua ad avere
utilità in ambito didattico, soprattutto per stimolare la narrazione.
I blog a scuola:
● sono strumenti per l’apprendimento cooperativo e collaborativo che permettono di
realizzare prodotti editoriali multimediali,
● permettono l’uso di diversi registri di scrittura,
● aprono ad attività di sperimentazione e comunicazione con altre classi, Le modalità con
cui usare il blog sono molteplici:
● come portfolio in cui gli studenti possono tenere traccia dei prodotti dei loro
apprendimenti. È noto che, soprattutto per gli studenti più fragili, è difficile percepire il
cambiamento, l’impiego del portfolio è adeguato ad ogni studente;
● spazio narrativo, in cui gli studenti possono esercitare competenze narrative. Ancora
più interessante se gli studenti possono leggersi e commentarsi reciprocamente, per
favorire la condivisione, il senso critico, di analisi e di argomentazione;
● blog di classe, l’obiettivo è lavorare sulle soft skills, sull’apprendimento collaborativo e
sulle competenze organizzative. La collaborazione permette di superare ostacoli in
studenti con disabilità.
Tutte queste applicazione richiedono un’attenta progettazione, la verifica delle finalità e
delle modalità attraverso cui gestire il lavoro. Fondamentale risulta la supervisione del
docente. Una variante del blog è il vlog o video-blog, in cui i contenuti sono rappresentati
da video.
13.2.3 Video su youtube
La maggior parte dei contenuti può rientrare nella categoria delle narrazioni. Youtube e
altre piattaforme di broadcasting costituiscono ambienti interessanti per la promozione
sociale e l’inclusione. Un esempio: nel 2015 per la Giornata Mondiale della Sindrome
Down un ragazzo ha realizzato un video diventato virale in cui racconta e presenta il
fratello e la sua disabilità (the simple interview). Questo caso testimonia come la
narrazione digitale possa essere realizzata a scuola per perseguire obiettivi educativi e di
cittadinanza attiva. Si tratta di forme che rientrano nella media education e che hanno la
finalità principale di utilizzare le tecnologie per raggiungere fini di partecipazione
democratica. Realizzare narrazioni audiovisive permette inoltre l’acquisizione di
competenze di tipo linguistico, comunicativo e artistico.
13.2.4 Storie sociali digitali
Le storie sociali sono narrazioni utilizzate per aiutare le persone con autismo a
comprendere le situazioni e gli eventi sociali. Esistono interi repertori online, tuttavia i
docenti possono creare le proprie. È necessario attenersi a una serie di criteri. Ci sono
diverse soluzioni per scrivere storie sociali, la più semplice consiste nell’impiegare un
software di presentazione per montare una sequenza di immagini e testi, accompagnati da
una voce narrante. Un’altra possibilità è produrre dei video che riproducano i contesti
specifici permettendone la comprensione. Un’altra opportunità è fornita dalla
trasformazione dei PDF in materiali interattivi, associando immagini e voce narrante.

13.2.5 Digital storytelling


Il digital storytelling è una pratica narrativa di ampia diffusione. Per le sue caratteristiche
multimediali rappresenta una sorta di sintesi delle varie forme narrative finora esplorate. Il
DST è un breve racconto, della durata massima di dieci minuti, realizzato con immagini,
musica e voce narrante. Sul versante educativo è un alleato sia per interventi di
promozione sociale, sia per favorire la riflessione sul Sé, in uno scenario coerente con le
pratiche inclusive. Può essere utile come:
● organizzatore anticipato, illustrando i concetti di base da affrontare a lezione,
● strumento per favorire la connessione tra argomenti disciplinari e vita quotidiana,
● portfolio per raccontare i propri successi nello studio.
Il DST può vedere coinvolti gli studenti o può essere un’attività svolta dal docente. È
innanzitutto un processo narrativo e non la creazione di un prodotto, la finalità principale
va ricercata nei processi narrativi, riflessivi e collaborativi.
13.3. Progettare ambienti narrativi inclusivi: indicazioni metodologiche
Scegliamo di ricorrere ad ambienti narrativi in quanto riteniamo che, quando le finalità
sono di tipo inclusivo, è necessario predisporre veri e propri spazi di apprendimento. Le
teorie costruttiviste definiscono gli ambienti di apprendimento veri e propri spazi fisici e/o
virtuali, nell’ambito dei quali i soggetti possono trovare tutte le risorse materiali e
relazionali necessarie all’apprendimento. Nel progettare ambienti narrativi di tipo inclusivo
è opportuno considerare alcuni fattori:
● Narrazioni come processo in cui la personalizzazione dell’apprendimento, la
valorizzazione delle capacità individuali e collegiali, l’empowerment, sono il focus su
cui concentrarsi.
● Criteri di scelta della formula narrativa:
● competenza del docente,
● disponibilità del target ad essere coinvolto,
● disponibilità di tempo,
● possibilità di adattamento a necessità specifiche,
● riconoscimento istituzionale della pratica utilizzata,
● criteri di valutazione del lavoro degli studenti.
● Propedeuticità: preparare gli studenti con attività propedeutiche. È opportuno
proporre esercizi di narrazione a partire da immagini.
● Rapporto individuo/classe: il valore aggiunto delle metodologie narrative è quello di
essere pratiche inclusive, tuttavia è necessario valutare in che modo includere la
classe.
● Verificare se esistono evidenze scientifiche rispetto alla validità dello strumento o
della metodologia usata. È importante agire sulla base di una cornice
metodologicamente fondata.
● Dare continuità ai processi messi in atto, definire anticipatamente qual è il ruolo di
queste esperienze nell’economia del percorso scolastico.
● Alto grado di flessibilità, le metodologie devono adattarsi alle persone e non viceversa.
● Emozioni: uno dei punti di forza delle narrazioni è la capacità di suscitare stati emotivi
funzionali sia all’apprendimento sia alla memorizzazione

Capitolo 14. Multimedialità e inclusione Marco Guastavigna


Le attuali tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione possono favorire
accessibilità, flessibilità e personalizzazione di ambienti e strumenti di apprendimento e
contribuire a realizzare un’inclusione scolastica di qualità, con la strutturazione di attività
didattiche significative per l’intero gruppo classe.
14.1 La prospettiva dell’Universal Design for Learning (UDL)
Nel 1985 L’architetto statunitense Mace ha concepito l’Universal Design , una
metodologia progettuale esplicitamente inclusiva, per produrre ambienti ed oggetti fruibili
da tutti, indipendentemente dalle condizioni personali.
L’UD deve seguire 7 principi di base:
1. Uso equo,
2. Uso flessibile,
3. Uso semplice,
4. Percettibilità delle informazioni,
5. Tolleranza all’errore,
6. Riduzione dello sforzo fisico,
7. Dimensioni e spazi adeguati.
La progettazione universale è utilizzabile anche quando si realizzano materiali e ambienti
virtuali, che vanno ideati fin dall’inizio in modo da essere impiegabili senza ulteriori
adattamenti.
L’Universal Design for Learning deriva dall’UD, estendendo al curricolo scolastico
l’assunto secondo cui l’ambiente ha un peso fondamentale nel determinare la condizione di
difficoltà e quindi di disabilità. La scarsa attenzione all’impostazione del percorso di
istruzione può innescare difficoltà che un attento processo di adattamento può evitare.
Un’istruzione inclusiva richiede la modificazione della rigidità dei curricula e non quella
degli allievi. L’obiettivo è eliminare tutte le barriere inutili, in campo materiale,
ergonomico, cognitivo e relazionale. È necessario:
● fornire agli allievi molteplici mezzi di rappresentazione,
● fornire agli allievi molteplici mezzi di azione ed espressione,
● fornire agli allievi molteplici occasioni di coinvolgimento.
La multimedialità rende l’ambiente digitale promettente per l’UDL. La crossmedialità offre
possibilità e opportunità di concepire e realizzare i contenuti culturali e gli strumenti
didattici fruibili su diversi media → avere un medesimo file digitale in modi differenti.

14.2 Rappresentazioni grafiche della conoscenza


Le applicazioni per la realizzazione di diversi tipi di schemi sono strumenti utili per attuare
un insegnamento a vocazione molteplice, secondo i principi dell’UDL. Molte di esse sono
ad accesso gratuito, ad esempio Cmap Tools o Xmind. Le mappe concettuali sono la forma
di rappresentazione più complessa e pertanto è opportuno introdurle in quarta o quinta
classe primaria, mentre le mappe argomentative andranno introdotte dal terzo anno della
secondaria di primo grado.
Si dovrebbero prevedere percorsi longitudinali di acquisizione di competenze e
rappresentazione, che a partire dal disegno nella scuola dell’infanzia, forniscano
progressivamente le abilità necessarie. Consigliamo di:
● arredare le aule con esempi delle diverse tipologie di rappresentazione grafica,
● abituare gli allievi a dotarsi di un portfolio con tutte le mappe realizzate e a portarlo
con sé nei passaggi tra i diversi ordini di scuola.
L’introduzione intenzionale e costante della schematizzazione quale supporto
all’apprendimento ha una valenza inclusiva: proposto all’insieme della classe, costruisce
l’abitudine ad utilizzare le mappe. Questo approccio sviluppa la capacità di farsi domande,
concettualizzare, analizzare, individuare relazioni, definire e verificare ipotesi. Sollecitiamo
a ricorrere al “cloze”: dato un materiale di apprendimento, assegnare agli allievi schemi da
completare.

14.3 Logica e orientamento


Negli ultimi anni della scuola dell’infanzia e nei primi della primaria può avere valenza
didattica inclusiva l’utilizzo di robot, ad esempio il Bee-Bot. Agendo sui comandi, i bambini
possono programmare spostamenti di vario genere, fino a 40 ordini. L’applicazione
permette anche di muovere virtualmente Bee-Bot lungo tragitti in 3d simulata. Esempio di
percorso didattico:
● Azione-osservazione: esplorazione e conoscenza del robot, discussione;
● Azione-prova: ogni bambino prova a far muovere il robot;
● Azione-comando: gli insegnanti assegnano le consegne e diversi percorsi da completare;
● Azione-misura: prove per capire come si comporta il robot, ipotesi, previsioni, verifiche,
può essere l’occasione per introdurre il righello per misurare. Nella scuola dell’infanzia
si possono usare unità di misura non formali;
● Percorsi-creare: proporre percorsi con il corpo, creare tragitti per Bee-Bot su cartelloni;
● Ostacoli: introdurre ostacoli sui percorsi sia sui cartelloni che sull’applicazione:
● Figure geometriche: tracciare figure geometriche programmando il robot.
14.4 Artigianato multimediale
Possono avere valenza inclusiva anche la produzione diretta di materiali didattici
multimediali. L’espressione mediante codici comunicativi diversi può avvantaggiare
l’apprendimento di tutti. Perché artigianato? Non si tratta di sviluppare competenze con
materiali professionale, ma costruire manufatti finalizzati all’apprendimento. Le attività a
cui faremo cenno richiedono un PC, smartphone o tablet.
14.4.1 Diapositive multimediali
Le slide digitali sono unità informative che possono contenere testo, immagini, video,
audio e link. L’uso più frequente è la presentazione, si presta a potenziare le lezioni dei
docenti, che potranno essere ridistribuite agli allievi. Anche gli allievi possono preparare
proprie forme di esposizione individuali o di gruppo, come supporto per interrogazioni o
esami o per raccontare una storia o documentare un’esperienza.
14.4.2 Produzione di brevi video
Un filmato artigianale può avere gli stessi scopi didattici delle slide, suggeriamo di
valorizzare i tutoriali, che offrono un’opportunità di mediazione didattica interessante,
permettendo di proporre istruzioni essenziali per un obiettivo operativo e può avere anche
una finalità pratica di interazione inclusiva. Un’altra opportunità è la raccolta di filmati
liberi da diritto d’autore, scaricabili e riutilizzabili in una produzione originale. Perché una
nostra produzione sia accessibile e inclusiva consigliamo di provvedere di registrazioni
audio tutte le parti testuali e di supportare con sottotitoli.
14.5 Adattamento dei libri di testo e scrittura controllata
Roberto Cuzzocrea ha elaborato dei protocolli di adattamento per i libri di testo, graduati a
seconda delle competenze linguistiche dei destinatari, concepiti per riformulare in modo
accessibile il contenuto testuale dei volumi scolastici.
Livello 1, competenza linguistica insufficiente:
● prevalenza di lemmi del repertorio fondamentale del Vocabolario di Base (De Mauro),
● frasi con meno di 15 parole, frasi nucleari complete, frasi binucleari coordinate
(congiuntive e disgiuntive),
● esplicitare sempre il soggetto,
● assenza di forme passive,
● eliminazione dei processi inferenziali,
● corpo tipografico grande, numero di parole per pagina tra 80 e 150,
● testo con immagini esplicative colorate.
Livello 2, competenza linguistica mediocre:
● lemmi del repertorio fondamentale e di alto uso,
● frasi con meno di 20 parole, frasi nucleari complete, binucleari coordinate, binucleari
subordinate causali, temporali e finali,
● spesso esplicitare il soggetto,
● introduzione di forme passive,
● riduzione dei processi di inferenza richiesti,
● immagini schematiche in bianco e nero.
Livello 3, competenza linguistica quasi sufficiente:
● lemmi del repertorio fondamentale, di alto uso, di alta disponibilità, introdurre parole
non appartenenti al Vocabolario di Base,
● frasi con più di 20 parole, introduzione di ipotetiche, consecutive, concessive,
avversative, comparative, modali, aggiuntive, esclusive, eccettuative e limitative,
● tendenza a rendere implicito il soggetto,
● presenza di forme passive,
● richiesta di processi inferenziali,
● immagini non sempre necessarie.
Faciltesto è un software di tutoraggio dell’adattamento dei libri scolastici, che imposta la
veste grafica e analizza il lessico e la lunghezza delle frasi in modo automatico, segnalando
problemi in rapporto al protocollo adottato. Molti contenuti di apprendimento possono
essere esposti in modo più accessibile e quindi inclusivo, senza essere necessariamente
banalizzate.

14.6 Una palestra per i testi


Il word processing costituisce una facilitazione del processo di scrittura per testi ampi e
complessi, il suo uso consapevole dovrebbe diventare parte costitutiva del curricolo
scolastico. Vi sono anche applicazioni destinate ai bambini, per esempio Open Office for
Kids, che ha un’interfaccia semplificata. Dovrebbero essere introdotti a partire dalla scuola
primaria, affinché i bambini ne comprendano la capacità di facilitare e stimolare la stesura
e la revisione della propria produzione linguistica. Può essere abbinato alla sintesi vocale
nel caso di DSA. Impadronirsi dell’architettura logico-operativa di un word processor
allena la capacità cognitiva di scrivere testi sempre più complessi. È inoltre utile la
funzione di commento, con cui il docente affianca e supporta la scrittura degli allievi,
valorizzandone l’aspetto processuale. La pratica formativa del commento-mediazione
dovrebbe entrare nella quotidianità curriculare.
14.7 Video incrementati
Internet dà la possibilità di fruire di moltissimi filmati. I video potranno essere utilizzati
così come sono oppure incrementati, cioè arricchiti con collegamenti, spiegazioni e
approfondimenti. La connessione ad altri contenuti stimola l’analisi e la riflessione.
VideoAnt realizza video annotati, fruibili attraverso il browser.
Incrementare i prodotti video significa tracciare piste di elaborazione, fornendo gli elementi
necessari alla comprensione, per esempio informazioni sul contesto storico e sull’esito
dell’evento narrato, nella direzione di una maggiore accessibilità e inclusione. L’approccio
non separa la fruizione diretta dalla riflessione. Consigliamo video brevi. Quanto descritto
e ipotizzato fino ad ora vede protagonista l’insegnante e può essere immaginato all’interno
della flipped classroom, ma anche gli studenti possono essere autori di video incrementati.
C’è poi EdPuzzle.com, che permette l’inserimento di domande a risposta aperta e chiusa.
Esso è concepito per l’istruzione a distanza e rende possibile costruire classi virtuali.
14.8 Percorsi interattivi strutturati
Gino Roncaglia, a proposito delle forme assunte dalla cultura digitale, considera la
prevalenza di contenuti brevi, granulari e frammentati come un dato rilevante ma anche
storico e contingente. Nella scuola è necessaria una maggiore consapevolezzza cognitiva e
culturale, per superare la frammentazione che caratterizza molti degli attuali contenuti
digitali. Bisogna perciò costruire strutture narrative che connettano i nuclei
dell’ecosistema digitale secondo percorsi che strutturino e guidino l’apprendimento. Questo
processo è compito della produzione editoriale e delle istituzioni formative, ma anche degli
insegnanti. Padlet e Pearltrees sono bacheche digitali in cui raccogliere, ordinare e
descrivere risorse Internet raggiungibili mediante link. Raiscuola è un altro ambiente volto
a realizzare percorsi multimediali organizzati e interattivi in termini di unità didattiche. In
generale, possiamo concepire i prodotti citati sia come corsi o lezioni a cura
dell’insegnante, sia come cartelloni, relazioni ed altre forme digitalizzate di esplorazione
consapevole e di elaborazione strutturata di contenuti culturali da parte degli studenti. Il
valore inclusivo è dato in particolare nel caso in cui si scelga la classe rovesciata.

14.9 Libri digitali


Un libro digitale può contenere testi adattati, schemi, mappe, disegni, fotografie, filmati,
collegamenti a video incrementati, esercizi interattivi monitorati. Impiegare ebook
autoprodotti aumenta le responsabilità professionali e culturali degli insegnanti. La scelta
ha però anche grandi potenzialità inclusive, perché introduce flessibilità, facilitazione e
compensazione. Inoltre permette di fornire ciascun allievo di una propria copia dei
materiali a costi limitati.

Capitolo 15. Cinema, disabilità e diversità. Possibili percorsi didattici e


formativi Fabio Bocci
La validità del cinelinguaggio come mediatore didattico è ampiamente dimostrata in
letteratura. Si tratta di una pratica che è ancora considerata innovativa e non esiste come
insegnamento diffuso nelle scuole. Spesso ci si avvale del mediatore cinematografico come
mero strumento di supporto alle didattiche disciplinari. La nostra riflessione riguarda
l’utilizzo del cinelinguaggio come mediatore per discorsi inerenti la rappresentazione della
diversità e della disabilità, avente sfondo inclusivo. Le narrazioni cinematografiche hanno
una straordinaria capacità di coinvolgimento cognitivo ed emotivo, permettono inoltre di
problematizzare i contenuti veicolati, ma anche di fornire un’analisi dei meccanismi
narrativi per mezzo dei quali si costruiscono i discorsi sulle cosiddette diversità → fornisce
strumenti di comprensione dell’alterità nel palinsesto sociale.

15.1 Elementi essenziali del cinelinguaggio


È fondamentale avere un’alfabetizzazione minima del lessico cinematografico se si vuole
usare la narrazione filmica come strumento didattico, per dotare i destinatari di una lente
di analisi critica. Occorre possedere una struttura di analisi e all’interno di essa ordinare il
materiale che costituisce la narrazione filmica.
È utile soffermare l’attenzione su alcuni termini. La parola Cinema fa riferimento a un
fatto sociale originato dall’impiego tecnico di un mezzo meccanico specifico relativo a valori
espressivi che gli sono propri. La sua forma espressiva è il cinelinguaggio. Chi fa cinema
ha un materiale e un lessico peculiari, tra cui l’inquadratura. Nelle inquadrature si
distinguono i piani e i campi. I piani dipendono dalla distanza reale tra cinepresa e oggetto
ripreso e si riferiscono sempre alle persone. I campi delimitano lo spazio scelto e possono
comprendere figure umane. Ci sono poi altre inquadrature, come il particolare o il
dettaglio. La scelta delle inquadrature e dei campi non è mai neutra. Pertanto anche al di
là dei contenuti della narrazione, la modalità di narrarli agisce come vettore nella
costruzione di un immaginario individuale e collettivo, che ha un rapporto diretto con la
realtà socioculturale del tempo in cui il film viene pensato e realizzato.

15.2 Il cinelinguaggio come mediatore didattico e formativo


È bene chiarire di cosa parliamo quando ci riferiamo al connubio cinema e didattica.
Possiamo operare alcune distinzioni. In primo luogo, rispetto all’utilizzo che l’autore fa del
mezzo filmico per perseguire un effetto sul pubblico. In questa accezione possiamo dire che
il film ha una sua intrinseca natura-finalità pedagogica. Se questo scopo marcatamente
dichiarato è più o meno visibile, resta aperta la questione che qualsiasi produzione è
sempre pedagogica, ossia non neutra, a prescindere dagli intenti consapevoli di chi la
realizza. In secondo luogo, riferendoci al modo in cui un film già prodotto viene impiegato
da terzi con una finalità di carattere didattico-formativo. Ad esempio gli insegnanti che si
avvalgono di una pellicola come mezzo didattico per introdurre un argomento o un tema.
In terzo luogo, possiamo riferirci al processo educativo-didattico specifico che ha per
oggetto l’alfabetizzazione cinematografica.
Il cinelinguaggio può apportare un contributo in ambito formativo, sia quando è utilizzato
come mediatore educativo-didattico, sia quando è oggetto specifico di un’attenzione
didattica finalizzata ad implementarne la conoscenza. In quanto linguaggio, la narrazione
cinematografica si avvale di una forma estetico-espressiva peculiare, basata su quelli che
Morin ha definito trucchi magici, come la mobilità della macchina da presa, la dilatazione
del tempo (flashback e flashforward), l’utilizzo del sonoro. Tali elementi hanno una
ricaduta sullo spettatore e innescano una sorta di incantamento grazie ai meccanismi di
identificazione e proiezione. Sul piano formativo lo spettatore (lo studente) interagendo con
quanto proiettato, attiva processi-percorsi di conoscenza. Il cinelinguaggio è uno stimolo
che sollecita la comunicazione intellettuale, in grado di suscitare l’orientamento aspettante,
una sorta di stato di allerta che si riscontra tipicamente nei soggetti in esperienza di
apprendimento. Il tutto è supportato dalla dimensione emotiva intrinseca all’esperienza
cinematografica. La tensione conoscitiva che si ingenera avviene sia per immersione che
per astrazione. Il cinelinguaggio attiva il pensiero narrativo e quello paradigmatico,
offrendo la possibilità all’esperienza compiuta di essere riconfigurata mediante il
ragionamento.
15.3 Cinema, disabilità e diversità. Qualche considerazione
Il connubio cinema-disabilità/diversità è stato ampiamente indagato, è facilmente intuibile
l’apporto del cinema nella promozione di molte visioni della disabilità e delle differenze. Il
cinelinguaggio favorisce uno sguardo sensibile alla diversità e aperto all’inconsueto. La
visione di un film che parli o faccia riferimento alla diversità o disabilità rappresenta
un’opportunità per acquisire o sviluppare elementi nuovi e favorire il progresso culturale,
sociale e politico di una comunità.
In ambito formativo e didattico il mediatore cinematografico riguardo a tali temi può
essere finalizzato alla:
● conoscenza di eterogenei profili di funzionamento dell’umano, anche con uno sguardo
diacronico per mostrare come la società nel corso della storia abbia reagito dinanzi a
soggettività atipiche;
● sensibilizzazione;
● approfondimento di questioni cruciali legate all’alterità, come emarginazione, inclusione
oppure evidenziare forme di resilienza o attivismo;
● decostruzione delle retoriche discorsive implicate nella rappresentazione della diversità
per fare emergere gli impliciti.
15.4 Applicazione in aula del film come mediatore didattico: esempi
Si evidenziano tre esempi sul tema della disabilità e diversità. Faremo riferimento a un
film e ad un’attività rispettivamente mirati alla conoscenza (Il ragazzo Selvaggio di
Truffaut), alla sensibilizzazione (Basta guardare il cielo di Chelsom) e all'approfondimento
(La madre di David di Ackerman). Il film di Truffaut narra la vicenda di Itard e del
giovane Victor, il secondo film è una pellicola divulgativa sul tema dell’incontro con l’altro,
il terzo affronta il tema dell’autismo da una prospettiva inconsueta. Seguono le schede dei
film e le attività possibili.
15.5. Riflessioni conclusive
Qualsiasi opera filmica chiede allo spettatore un completamento, insito all’atto della visione
e che avviene grazie ai meccanismi di identificazione e proiezione. La didattica mediata dal
cinema consente al fruitore di sentirsi nel flusso (flow) della vicenda narrata, interagendo
con i propri vissuti. Lo spettatore non si limita a ricevere spiegazioni, ma rielabora i
contenuti implementando il proprio potenziale creativo. L’immaginazione è messa nelle
migliori condizioni per supportare l’attività conoscitiva, nutrendo la dimensione poetica ed
estetica insita nell’atto conoscitivo stesso.

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