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DIDATTICA SPECIALE PER L’INCLUSIONE

PARTE PRIMA
LA DIDATTICA SPECIALE E LE SUE PROBLEMATICHE

CAPITOLO 1: IL RUOLO DELLA DIDATTICA SPECIALE


COSA ABBIAMO CAPITO?
Esquirol parlò di idiozia, imbecillità per descrivere persone educabili e non.
Nel 700 si usavano cretinismo, rachitismo, poi imbecille, insano di mente, demente
ecc..
L’ OMS Organizzazione Mondiale della Sanità specifica che occorre essere chiari per
parlare di soggetti con deficit. Il termine handicap è stato ideato per definire una
condizione sociale che limita l’adempimento normale alla vita sociale. Quindi è
sbagliato parlare di "portatore di handicap".
Parlare di "diversamente abili" acuisce le differenze, i disabili non sono diversi, né
hanno abilità differenti.
La persona con disabilità ha diritto a vivere come tutti gli altri cittadini.
• Negli anni 70, nelle scuole si parlava di "inserimento", come processo di accoglienza
sociale, quasi obbligatorio. L’inserimento non è sufficiente, l’ambiente deve essere
preparato. Non bastava quindi una legge (art.28 L. 118/1971).
• Negli anni 80, si inizio a parlare di "integrazione", per dare risposta positiva a quegli
allievi che necessitavano di interventi speciali, grazie ad insegnanti pronti a
modificare la propria impostazione educativa; ma per lo più gli insegnanti erano
impreparati ad affrontare una prospettiva didattica speciale;
• Oggi si parla, sempre più, di "inclusione" come accoglienza e indirizzamento
didattico speciale. Questa logica diventa naturale, indipendentemente dalla presenza di
allievi con disabilità.

NECESSITA’ DELLA DIDATTICA SPECIALE PER L’INCLUSIONE


Occorre soddisfare le necessità di tutti gli alunni, specialmente quelli con difficoltà.
La didattica speciale deve seguire una strada parallela ad una prospettiva inclusivista.
La scuola di oggi è molto complessa, frutto delle trasformazioni della società, della
globalizzazione. Deve garantire a tutti di conseguire i migliori risultati possibili, nel
rispetto delle diversità e promuovendo le capacità e le potenzialità, e non illudendo,
mai.
Insegnare è difficile, non solo per il contesto variegato, ma anche per l’atteggiamento
dei ragazzi di oggi che fanno fatica a rispettare. Non ci sono studenti con disabilità,
ma studenti svogliati, demotivati, che si annoiano.
Alcuni sono alunni difficili a causa delle condizioni socio-economico di appartenenza,
quindi a condizione esogene legate alla condizione sociale e familiare.

VIVERE IL CONCETTO DI INCLUSIONE COME ASSE PORTANTE DEL


PROPRIO AGIRE EDUCATIVO
Vuol dire avere consapevolezza che i ragazzi sono il nostro più grande interesse,
ognuno di loro richiede un impegno personale. Gli allievi sono al primo posto della
società educante.
Il Dirigente scolastico deve favorire un movimento pedagogico inclusivo,

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promuovendo: collaborazione, formazione attenta dei docenti, creazione di uno staff
capace, obiettivi elevati.

DIDATTICA SPECIALE DI ALTO LIVELLO


Per didattica si intende il "sapere dell’insegnamento" (le conoscenze relative
all’insegnare), quindi l’insegnamento è l’oggetto della didattica. I docenti devono
avere delle abilità didattiche.
La didattica è il luogo dell’azione e della riflessione, non può essere solo della
riflessione, perché anche questa comprende l’esperienza. L’azione è la base teorica
della didattica.
Una scuola che vuole operare bene, necessità di una riflessione precedente. La
capacità di insegnare, analizzando prima, dà vita a quello che si definisce "rapporto
fondamentale" (relazione asimmetrica e complementare tra insegnante e alunno).

LA SCUOLA ITALIANA E I SUOI NOTEVOLI PROBLEMI


Gli alunni della scuola italiana sono quasi 8 milioni, il 2,5 % dei quali con disabilità.
Quella intellettiva è la più diffusa, seguita da quella motoria, visiva o uditiva. Gli
insegnanti di sostegno sono 110 mila, in questi anni c’è un incremento di disabilità.
Anche la dispersione scolastica è preoccupante (700 mila), soprattutto al Sud. La
posizione della nostra scuola è inferiore alle medie nazionali.

BES COME BEN-ESSERE A SCUOLA


La scuola secondaria risulta essere in crisi, alto è il livello di bocciature.
Il Ministero dell’istruzione ha emanato il 27 dicembre 2012 la prima direttiva sugli
strumenti d’intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e l’organizzazione
territoriale per l’inclusione scolastica.
Questa direttiva offre anche a coloro che non hanno la certificazione di disabilità, e
che non hanno la diagnosi di Disturbo specifico di apprendimento, ma che hanno
difficoltà dovute a particolari situazioni socio/familiari dei piani differenti, dei
percorsi personalizzati.
La legge 2010 n.170 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento
in ambito scolastico) introduce una diagnosi di uno specialista esterno alla scuola, per
gli allievi con DSA. L’articolo 5 della legge 170, così recita: Gli studenti con DSA
hanno diritto ad appositi provvedimenti, anche nei cicli universitari; hanno diritto ad
una didattica individualizzata, all’introduzione di strumenti compensativi (tecnologie);
strumenti anche per la lingua straniera che facilitino la comunicazione e se è
necessario, anche l’esonero; forme di verifica anche per gli esami di stato e
universitari apposite. Abbiamo avuto una fioritura di diagnosi che lascia perplessi.
Nella direttiva del 2012 si afferma che ci sono disagi che non riguardano solo i deficit.
Il Bisogno educativo speciale comprende tre tipologie:
1. La persona con disabilità: con certificazione di disabilità legata alla legge 104/92
(che dà la possibilità dell’insegnante di sostegno);
2. con disturbo evolutivo specifico: che può avere o no la diagnosi riconosciuta da uno
specialista (non prevede il sostegno);
3. con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale (non ha nessuna diagnosi).
È previsto un Piano didattico personalizzato (PDP): un percorso individualizzato per
definire e monitorare le strategie d’intervento idonee e i criteri di valutazione.

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Occorre un cambiamento rispetto alla didattica tradizionale: lezioni frontali,
spiegazioni alla cattedra, interrogazioni quotidiane, verifiche periodiche, pagelle.

CAPITOLO 3: LA DIDATTICA SPECIAL IN UNA SCUOLA INCLUSIVA


Una scuola che opera in modo inclusivo è difficile da attuare, soprattutto al giorno
d’oggi, in alcune realtà come le periferie dove bisogna fare i conti anche con la
sfrontatezza delle nuove generazioni. Per realizzare una didattica inclusiva bisogna
partire dal concetto di gestione della classe.

GESTIONE DELLA CLASSE.


Bisogna coinvolgere tutti gli allievi allo stesso modo, e far sentire quelli con problemi
parte della classe. Tutti sono componenti importanti, da valorizzare. Bisogna condurre
gli allievi con naturalezza e rigore, tenendo conto delle diversità, l’insegnante deve
avere le idee chiare sul contesto in cui opera e sulle dinamiche sociali che si possono
attivare.
Gestione della classe = capacità dell’insegnante di operare in classe, con il gruppo di
allievi, in modo coinvolgente, con un’offerta di valore, per tutti e per ciascuno,
promuovendo cooperazione e produttività.
Agire nell’ambiente fisico della classe. L’aula è l’ambiente in cui si opera. Deve
essere pulita, curata, ordinata, serena, accogliente, con ambienti luminosi, caldi, belli.
Maslow e Mintz hanno messo in evidenza come allievi con classi poco ospitali
lamentavano dolori diffusi, mal di testa, depressione.
È importante la disposizione di mobiletti, banchi, sedie… Ciascun ragazzo deve avere
un proprio spazio vitale, questo non può avvenire se c’è sovraffollamento. È l’ideale
avere anche un’area con attrezzature per facilitare l’apprendimento, dove appendere
cartelloni.
I banchi possono essere disposti: a doppia coppia, file singole, file orizzontali, ferro di
cavallo, a spina di pesce. L’illuminazione è importante, però bisogna stare attenti
perché alcuni studenti autistici hanno ipersensibilità alle fonti luminose.

CONOSCERE E SODDISFARE I BISOGNI DI TUTTI.


Abbiamo un gruppo eterogeneo, e tutti meritano rispetto. Devono fidarsi del proprio
educatore che deve agire nel loro bene. Per farlo deve conoscerli in profondità.
L’educatore deve piacere all’alunno, motivarlo, conoscere la sua storia personale.
Ogni alunno ha bisogno di sicurezza, stima, amore, di evitare il fallimento. La
proposta deve essere presentata con passione e trasporto, tenendo conto delle
prospettive, ansie e inquietudini degli allievi.
Bisogna promuovere l’autodeterminazione, la capacità di prendere decisioni
autonome, per evitare la frustrazione.
Promuovere la competenza per essere in grado di raggiungere determinati traguardi.
Per Bandura, il senso di autoefficacia, deve essere indotto anche dall’insegnante che
convince l’alunno di potercela fare, di avere tutti i requisiti. E lo valorizza anche in
presenza di errori. Occorre sollecitare la motivazione intrinseca.
Costruire un adeguato clima di classe.
Occorre favorire un clima positivo, di serenità. Molti studenti hanno bassa autostima e
scarsa motivazione, bisogna lavorare su questo.

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I PILASTRI.
Quando uno studente incontra un educatore valido, la sua intera vita può cambiare in
meglio. Ecco quali sono i pilastri fondamentali su cui fondare la gestione della classe:
• Gestire la classe non è solo mantenere la disciplina, ma essere presenti in modo
efficace: dare la sensazione agli allievi che nulla sfugge all’insegnante, che non tende
a controllarli, ma a stare con loro.
• Utilizzare il controllo prossimale: è una strategia educativa d’intervento che mira a
contenere i comportamenti anomali, avvicinandosi fisicamente all’allievo.
• Il ruolo dell’effetto onda: richiamare chi non rispetta le regole, non per agire sul
singolo, ma per produrre un effetto su tutta la classe.
• La comunicazione deve essere chiara e precisa.
• La dominanza: non bisogna essere del tutto autoritari, ma nemmeno troppo
indulgenti. Occorre agire con naturalezza ed esercitare allo stesso tempo una guida
trainante.
• La comunicazione non verbale: utilizzare il proprio corpo per esprimere messaggi,
ad esempio la comunicazione oculare.
• Utilizzo sapiente della propria voce: il linguaggio verbale è essenziale (il tono, la
modulazione, la cadenza, le pause, il volume la chiarezza, non essere monotoni… ).
• Valorizzare gli allievi: anche quando fanno giusto è bene evidenziarlo e lodarli per
ammentarne le motivazioni.
• Slancio e scorrevolezza: richiamare con impeto l’attenzione iniziale e mantenerla
continua e scorrevole.
• Impostare più attività contemporaneamente: di fronte alla diversità della classe,
questo è essenziale.
• Impostare una continua diversificazione nella proposta didattica: stare attenti alla
monotonia delle attività, promuovendone sempre di nuove, attrattive, magari con l’uso
delle tecnologie.

L’ UNIVERSAL DESIGN FOR LEARNING


È la progettazione universale dell’apprendimento, favorisce l’inclusione, puntando
sulla pianificazione mirata a risolvere i problemi presenti in classe, utilizzando
strumenti didattici flessibili e volti all’individualizzazione.
Per realizzarla l’insegnante deve avere dimestichezza con strategie d’insegnamento
differenti perché diversi sono i problemi degli studenti: vista, udito, movimento,
lettura, scrittura e calcolo, comprensione linguistica, attenzione e organizzazione,
apprendimento.
L’Universal design permette all’insegnante di rispondere a tutte le esigenze della
classe.
Si basta sui seguenti principi:
• Far molteplici modi di coinvolgimento: promuovere l’apprendimento in base alle
esigenze (in gruppo, individuale).
• Fare molteplici modi di rappresentazione: fornire diversi modi per presentare gli
argomenti, in base alle esigenze degli allievi (ad esempio spiegazione orale).
• Fare molteplici modi di azione ed espressione: non usare per la verifica solo forma
scritta e orale, ma anche iconica, simbolica, artistica.

Ecco i fondamenti dell’Universal design: flessibilità, semplicità, percettibilità (chiara

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e riconoscibile), tolleranza all’errore, contenimento dello sforzo fisico, misure e spazi
idonei.
Per la rappresentazione:
• il maestro deve ridurre le barriere che ostacolano l’accesso alle informazioni;
• deve offrire modalità idonee per personalizzare l’esposizione delle informazioni
(colore del testo, carattere grafico...);
• deve offrire alternative per le informazioni uditive (testi con immagini, sottotitoli…);
• offrire alternative per le informazioni visive (fornire descrizioni scritte il linguaggio
braille, fornire oggetti fisici e modelli spaziali);
• chiarire il significato di vocaboli e simboli, chiarire sintassi e strutture, utilizzare i
media.

DIFFERENZIARE L’INSEGNAMENTO IN CLASSE.


La classe è il luogo in cui incrementare la propria umanità, la didattica inclusiva mira
a permetterlo a tutti. Bisogna progettare una didattica differenziata. Bisogna pensare
all’insegnamento avendo presenti le necessità degli allievi, in un clima sereno, con
relazioni significative.
Occorre eliminare i pregiudizi della scuola tradizionale: vedere l’insegnante come un
oratore, percepire lo studente come passivo, considerare gli allievi incapaci, valutare
alcuni intelligenti e altri no, pensare che l’apprendimento riguardi solo l’allievo
considerare i bambini con DSA un problema.
Per procedere con la differenziazione occorre: conoscere gli allievi, focalizzarsi sulle
capacità, sui bisogni, usare diverse strategie e far partecipare gli allievi alla proposta
di lavoro.
Molti insegnanti sono timorosi, ma questi approcci si sono dimostrati di successo.

PIANIFICARE LE DIVERSE ATTIVITÀ PER GLI ALLIEVI CON PROBLEMI.


Mastropieri e Scruggs identificano 5 aree compromesse, nei ragazzi con problemi:
• area del linguaggio, cognitiva, dell’attenzione e della memoria, del comportamento
sociale, fisica e delle funzioni sensoriali.

Il dirigente scolastico deve promuovere l’inserimento dell’insegnante di sostegno nel


team dei docenti, si deve sentire parte del team, si deve creare un clima collaborativo,
ci deve essere una progettazione unitaria. La legge 104/1992 sottolinea la contitolarità
da parte dell’insegnante di sostegno. La valutazione degli studenti con problemi deve
essere congruente con il Piano educativo individualizzato (PEI) ovvero il documento
nel quale vengono descritti tutti gli interventi per l’alunno con handicap. Le prove e i
compiti sono differenziati.

ADATTAMENTI.
Occorre adeguare la programmazione alle esigenze dei singoli allievi. Questo non
vuol dire ridurre la programmazione, ma irrobustirla e renderla più accessibile,
puntare sulla partecipazione e la costruzione della conoscenza. Per renderli partecipi si
può chiedere loro di fare connessioni, elaborare quesiti e idee, sintetizzare.
La valutazione è trattata dall’articolo 9 della legge 122/2009: è riferita al
comportamento, alle discipline e alle attività svolte sulla base del PEI; per l’esame
conclusivo del primo ciclo sono previste prove diversificate, in base al PEI; per le

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scuole superiori ci sono 3 tipologie di prove (una uguale a quella dei compagni, una
equipollente ma con tempi più lunghi, una differenziata).

ALCUNE SEMPLICI STRATEGIE.


Le strategie di apprendimento sono tecniche, principi o regole che facilitano
l’acquisizione, la manipolazione e il ricordo di informazioni.
Una utile a diversificare la proposta formativa è la PASS (priorità negli obiettivi,
adattare l’insegnamento agli allievi, sistematizzare l’insegnamento e la valutazione,
facendo attenzione a: struttura, chiarezza, entusiasmo, appropriato livello,
massimizzare l’interesse = SCREAM).
Tra le strategie mnemoniche abbiamo RARE (ripetere, agire, ragioni, esempi).
Per imparare a studiare abbiamo SQ3R (effettuare una rassegna SURVEY, esaminare
gli argomenti QUESTION, leggere READ, rivedere REWIEW).
E la PQRST (previsione, domanda, leggere, autocertificazione, verifica).

GLI ALLIEVI GRAVI


Quelli con problematiche più gravi, faticano ad inserirsi, probabilmente perché fin
dalla scuola dell’obbligo non trovano ambienti idonei, e spesso gli insegnanti li
vedono come un peso, un problema e invece di aiutarli tendono a contenere la
situazione, tenendoli buoni, mentre gli altri lavorano.
La cosa fondamentale da fare sarebbe invece non limitarsi a permettere loro di
acquisire nozioni scolastiche che se pur importanti, non sono tutto; ma farli crescere
dal punto di vista umano, favorendo l’autodeterminazione, cioè la capacità di scegliere
liberamente, senza coercizione. E aiutarli a sviluppare l’autonomia: essere autonomi
nell’igiene, nella vita domestica, nell’alimentazione, nel tempo libero.

PARTE SECONDA

CAPITOLO 1: ALLESTIRE L’AMBIENTE INCLUSIVO: DALLA DIDATTICA


TRADIZIONALE A QUELLA INCLUSIVA
Si può fare una differenza tra didattica tradizione e didattica inclusiva, e tra un
approccio che vede l’inclusione come un’azione finalizzata ad includere qualcuno, e
un approccio che la vede come qualcosa che riguarda tutti.
Nella didattica tradizionale le caratteristiche dell’allievo non sono prese in
considerazione, si fa riferimento ad un allievo ideale e non reale, e tutto è centrato
sull’insegnamento e non sull’apprendimento. C’è un’idea statica della conoscenza e si
ritiene superflua una formazione antropologica, sociale e psicologica dell’insegnante.
Non si fa attenzione alle differenze individuali, e si finisce per avere il successo di
pochi.
La didattica inclusiva prende le mosse da un nuovo modo di concepire la scuola
promulgato dalla legge 517/1975. Si fonda sull’individualizzazione. Le differenze
sono valorizzate. Si può fare una differenza tra inclusione e didattica inclusiva: nella
prima, la caratteristica divergente dell’allievo viene vista come perturbante
dall’ambiente scuola, il quale però, a differenza della didattica tradizionale lo accetta e
lo accoglie; nella seconda, non è il soggetto che deve adattarsi al sistema, ma il
sistema deve essere amichevole al cambiamento.

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CAPITOLO 2:
APPRENDIMENTO COOPERATIVO E DIDATTICA METACOGNITIVA
L’apprendimento è facilitato se gli studenti capiscono ciò che apprendono e attuano
strategie di controllo e regolazione del processo, dando vita ad interazioni sociali. È il
caso di due strategie: l’Apprendimento cooperativo e la Didattica metacognitiva.

L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Ci sono stati diversi precursori: Platone (con i suoi dialoghi), Quintiliano, Seneca
(Quid docet discet= chi insegna apprende), Abelardo, Comenio (aprendere gli uni agli
altri).
Il mutuo insegnamento nasce con Lancaster e Bell, poi ne fanno uso Tolstoj, Neill.
Dewey ne sottolinea gli aspetti positivi, Freinet, Piaget, Vygotskij (che parla
dell’importanza dell’altro significativo), Bruner (parla di strutture come modelli per
interpretare la realtà e parla dell’Io narratore), Gardner con la sua teoria delle
intelligenze multiple, che parla dell’intelligenza interpersonale.
Comoglio e Cardoso, definiscono il Cooperative Lerning: un insieme di tecniche di
conduzione della classe, in cui gli studenti lavorano in gruppi, e ricevono valutazioni
in base ai risultati. Nell’apprendimento cooperativo si valorizza sia la sfera
individuale che di gruppo, c’è interdipendenza positiva ecc.

LE DIVERSE MODALITÀ O DECLINAZIONI DI COOPERATIVE LEARNING


• Lo Student team learning: di Slavin, valorizza la motivazione estrinseca che subisce
nel clima di gruppo un rinforzo;
• Complex Instruction: Cohen, gli studenti devono contribuire al processo di
apprendimento;
• Collaborative approach: Cowie e Rudduck, Collaborazione in team per il
raggiungimento di uno scopo comune;
• Group Investigation: Sharan e Sharan, gli studenti sono sollecitati a porsi domande e
fare ricerche, confrontandosi poi in gruppi.

IL LEARNING TOGETHER.
Per parlare di apprendimento cooperativo per i fratelli Johnson si devono soddisfare 5
condizioni:
1. Interdipendenza positiva: ciascuno giunge al successo se tutti vi giungono;
2. Responsabilità individuale: tutti devono rendere conto agli altri;
3. Interazione faccia a faccia: il contesto (banchi sedie) deve consentire il confronto;
4. Insegnamento diretto delle abilità sociali;
5. Valutazione individuale e di gruppo: (il monitoring può essere svolto
dall’insegnante o da uno studente incaricato).

L’interdipendenza che abbiamo nominato prima è fondamentale, può assumere 3


forme:
1. In riferimento al compito: ciascun membro svolge una parte del compito per lo
scopo comune (in un cartellone uno disegna, uno colora...);
2. Al ruolo: si assegnano ruoli complementari e interconnessi, c’è chi gestisce il
gruppo (la voce, il rumore), chi il funzionamento del gruppo (spiegare le idee,

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incoraggiare), chi l’apprendimento (riepilogo, ricerca), chi stimola il gruppo (facendo
valere e chiarendo le idee di tutti).
3. Di risorse: condividono le loro differenti competenze;
4. Di materiali: condividono materiali e informazioni diverse (libri, cartelloni...):
5. Con l’identità: si crea un nome, uno slogan per aumentare l’appartenenza al gruppo.

I docenti devono stare attenti: al contesto, alla celebrazione (fare in modo che si
congratulino tra di loro ed evitino le guerre di gruppo), alla valutazione (sia del
singolo che del gruppo).

Abilità sociali = si fa riferimento a funzioni cognitive (empatia, capacità di valutare e


prevedere) e comportamenti manifesti (verbali e non) che gli individui attivano,
mentre interagiscono con altre persone. È la capacità di intraprendere relazioni
interpersonali, e di agire in modo adeguato al contesto sociale.
Sono acquisiti grazie a influenze ambientali, a figure di riferimento, feedback; e
sviluppano capacità di automonitoraggio e autovalutazione.
La Carta T è un documento (una tabella) che insegnanti e allievi elaborano,
evidenziando gli aspetti verbali (cosa dico) e non verbali (cosa faccio), connessi
all’abilità sociale affrontata.

LA PROGETTAZIONE DI UN PERCORSO COOPERATIVO.


L’insegnante deve assolvere una funzione strategica, di regia, in modo da restare sullo
sfondo e mettere in primo piano gli allievi, e dalla quale si evinca solo il suo stile.
1. Prima della lezione: si prendono decisioni, si scelgono gli obiettivi, la composizione
dei gruppi, dell’aula, i ruoli ecc.
2. Nell’introduzione della lezione: i comunica quanto detto prima, scegliendo il tipo di
interdipendenza, richiedendo determinati comportamenti e fornendo i materiali;
3. Durante la lezione: si avvia l’insegnamento delle abilità sociali, si analizzano i
contenuti, si interviene sul lavoro di gruppo;
4. Dopo la lezione: si ascolta la presentazione dei lavori, si verificano i processi
attivati dal gruppo, si fa una valutazione, si definiscono eventuali miglioramenti.

LA COMPOSIZIONE DEI GRUPPI.


I fratelli Jonhson fanno una distinzione dei gruppi, in base alla durata:
1. Formali: 4-6 settimane, apprendimento di contenuti di diversa natura;
2. Informali: arco di una lezione, per finalità specifiche e argomenti rilevanti in un
particolare momento. Si possono creare gruppi d’interesse;
3. Gruppi di base: a lungo termine, anche l’intero anno, i scambiano sostegno, aiuto...
I gruppi devono essere eterogenei: in base al livello di competenza di ciascuno, le
diverse abilità, il livello di socialità posseduto.

L’APPROCCIO STRUTTURALE DI KAGAN.


Elaborato intorno ai primi anni 90 perché nota che la didattica tradizionale, troppo
sequenziale, non permette la partecipazione attiva di tutti.
Introduce le Strutture che sono dei modi di organizzare l’interazione, con un uso
congiunto di diversi elementi.
Si basa su:

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• l’interazione simultanea (tutti hanno la possibilità di interagire
contemporaneamente);
• equa partecipazione (tutti devono essere incoraggiati a partecipare);
• interdipendenza positiva (legata a compiti, premi, risorse e ruoli).
Ci sono diverse strutture in base agli obiettivi: per la padronanza delle conoscenze, per
le competenze cognitive, per le competenze comunicative.

I PROGETTI DI GRUPPO: IL JIGSAW E IL CO-OP, CO-OP


A differenza delle Strutture si possono protrarre per varie lezioni.
Il Jigsaw è stato promosso da Aronson (70), dopo la spiegazione dell’insegnante,
favorisce l’approfondimento dei contenuti: si formano 7-5 gruppi (gruppi base), chi ha
una competenza specifica è l’esperto di gruppo (essi formano i gruppi tecnici) e i
scambiano tra loro competenze, si ottengono così nuovi gruppi che formano altri
gruppi base, in cui ciascuno è esperto e trasmette quanto sa agli altri.
Il Co-p, Co-p è simile, solo che tutto avviene in un solo gruppo.

LA DIDATTICA METACOGNITIVA
Deriva dalla Psicologia Cognitiva, è un’azione didattica flessibile, aperta, attenta alle
peculiarità dei singoli.
Vuole far acquisire abilità metacognitive, cioè rendere l’alunno capace di darsi
obiettivi e affrontare nuovi compiti autonomamente. L’attenzione dell’insegnante è
rivolta a formare le abilità mentali superiori di autoregolazione. Rendere l’alunno
consapevole di ciò che fa e perché lo fa. Il termine metacognizione si attribuisce a
Flavell.
Per lui la metacognizione è una modalità di elaborazione che coinvolge:
• gli attributi personali (autovalutazione delle proprie capacità), caratteristiche del
compito, strategie del compito, strategie per affrontarlo e condizioni nelle quali deve
essere effettuato il compito (ambiente, tempi, difficoltà).
Per metacognizione si intende le conoscenze che il soggetto sviluppa in merito ai
propri processi cognitivi, e il monitoraggio e l’autoregolazione degli stessi.
Abbiamo:
• Le strategie centrali: hanno a che fare con la disposizione dell’allievo nei confronti
del compito;
• Macrostrategie: legate ai compiti più specifici (monitoraggio, verifica e
autovalutazione);
• Microstrategie: consistono nel porsi domande e pianificare le proprie azioni in un
ambito definito.

Conoscenza metacognitiva di base = (attività metacognitiva di controllo) si attiva nel


soggetto se questo è chiamato alla scelta delle strategie adeguate per la soluzione dei
compiti di natura mentale.

DIDATTICA METACOGNITIVA: UNA BREVE GUIDA


L’insegnante è tenuto a lavorare sui seguenti aspetti: conoscenze sul funzionamento
cognitivo, uso generalizzato di strategie di autocontrollo, autoconsapevolezza del
proprio funzionamento cognitivo, variabili psicologiche sottostanti. Ecco come:
• Deve illustrare all’allievo il funzionamento globale della mente, come funzionano la

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memoria, la percezione, l’attenzione, il ragionamento, le emozioni ecc.
• In una seconda fase deve applicare queste conoscenze alla realtà, alle modalità che
lui usa per apprendere. Si attivano così: introspezione, autoanalisi,
autoconsapevolezza. (Esempio di Einstein che aveva voti bassi, perché nessuno capiva
come arrivasse a certi risultati).
• Dopo di che l’allievo deve organizzare in modo strategico i propri processi cognitivi
(avere chiaro l’obiettivo, confrontare i risultati ottenuti con quelli attesi ecc.).

Le variabili psicologiche sottostanti sono le caratteristiche affettive (concetto di sè,


atteggiamenti e autostima).
Il Locus of control è una dimensione in base alla quale il soggetto attribuisce la
causalità dei propri atti a sé stesso (locus interno), agli altri (esterno).
Lo stile di attribuzione è il grado di interesse che l’allievo attribuisce alle strategie che
apprende, e da esso dipende l’impegno che ci mette.
Il senso di autoefficacia ( self-efficacy) è la convinzione che ha circa la capacità di
autoregolare il proprio apprendimento.
La motivazione può essere intrinseca (quando ci si impegna in un compito al di là dei
riconoscimenti); estrinseca (quando si fa qualcosa per avere un riconoscimento).

PARTE TERZA

TECNOLOGIE DIDATTICHE E APPRENDIMENTO

CAPITOLO 1: ICT E MEDIA EDUCATION


Educazione mediale (Media education) e Tecnologie educative, sono due modi diversi
di guardare al binomio formazione e new media.
• Media education: è un’area di studio che punta a sviluppare riflessioni sui processi di
apprendimento (literacy), necessari alla gestione della comunicazione mediale. Lo
scopo è di promuove uno spirito critico delle nuove generazioni sull’uso dei media
intesi non solo come strumenti, ma come linguaggi attraverso cui si costruisce e si
trasforma la cultura.
• Tecnologie educative: area di studio e sperimentazione atta a fornire agli insegnanti
in formazione e in servizio strumenti per lavorare con i media dentro la scuola, per
costruire la cultura con essi.

Tappe evolutive delle tecnologie didattiche


• Nascono nel 1954, con una pubblicazione di Skinner, negli anni 60 in Inghilterra si
parla di "tecnologie dell’istruzione";
• Dalla metà degli anni 50 alla fine degli anni 60 il computer è stato concepito come
un sostituto dell’insegnante (computer tutor); (prima fase)
• Fino a metà degli anni 80 la mente dell’uomo non è più una scatola nera
inesplorabile, e il computer è un utensile cognitivo (computer tool); (seconda fase)
• Negli anni 90 il computer è un utensile multimediale e successivamente ipertestuale
(mezzo di comunicazione). (terza fase).
Ipertesto = insieme di documenti messi in relazione tra loro per mezzo di parole
chiave, non è lineare, ma reticolare, non è gerarchico, l’ordine è deciso dal lettore.

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Interattività = è una variante dell’interazione umana, è data dalla sensazione di
relazionarsi col media. Un prodotto multimediale è interattivo se consente all’utente di
intervenire nella fruizione dei contenuti.
• Alla fine degli anni 90 abbiamo la connettività. Il computer è connesso al resto del
mondo grazie a internet. (quarta fase).
Le ICT (information communication tecnologies), in italiano TIC (tecnologie della
comunicazione e dell’informazione), si usano nelle aule ma non necessariamente
determinano un migliore apprendimento. È necessario che gli insegnanti abbiano il
tempo di padroneggiarli.

IL SOFTWARE NELLA DIDATTICA


Il panorama dei software disponibili potrebbe essere diviso, rispetto a:
• Modelli di progettazione: ipertestuale puro (contenuti e navigazione liberi);
modulare (c’è una divisione in livelli organizzati); lineare (i passaggi sono obbligati
dal progettista).
• Rispetto alle funzioni: software diagnostici (per supportare la diagnosi di difficoltà
in contesto scolastico di disturbi di apprendimenti, dell’attenzione, di iperattività ecc.);
• Software abilitativi e riabilitativi (finalizzati ad esercitare e recuperare funzioni
cognitive, sensoriali, motorie o emozionali, che sono compromesse, carenti o
scarsamente attivate);
• Software di tipo general-purpose (vuol dire a scopo/ultilizzo generico, non sono nati
per scopi didattici ma possono essere usati per creare ambienti di apprendimento);
• Software didattici educativi (che mirano a traguardi formativi e si possono trovare
pure in rete).

LA LIM- LAVAGNA INTERATTIVA MULTIMEDIALE


È un dispositivo informatico con la forma di uno schermo, non più piccolo della
lavagna, provvisto di tecnologia "touch sensitive", connesso a un computer. La prima
è nata nell’82. In Italia dopo il 2000.
È una periferica che svolge le funzioni di input e output di un elaboratore, ossia un
computer, ma può essere collegata anche in wireless.
Dove la si colloca è necessario che vi sia spazio, così che più persone possano usarla,
lo schermo si può dividere anche in due parti. Non bisogna collocarla troppo in alto.
L’ideale sarebbe accanto alla lavagna, con i banchi a ferro di cavallo. Dalla Lim si
possono esportare i file nei formati più diffusi (PDF, jpeg), ha strumenti di disegno,
programmi di scrittura ecc.
Sicuramente c’è un beneficio per l’attenzione grazie all’interazione fisica con lo
strumento.
Alcuni studi però sottolineano che non ci sono correlazioni automatiche tra l’uso delle
tecnologie e i traguardi positivi. Quello che conta è lo stile di conduzione della
lezione, dalla capacità del docente di creare attraverso una Lim una lezione dialogica e
dinamica.

CAPITOLO 2: LA RETE E IL PROCESSO FORMATIVO


Internet è la rete geografica di computer distribuiti in tutto il globo e connessi tra loro
grazie a protocolli di comunicazione, ossia linguaggi che permettono scambi di dati. Il
web è un non-luogo di creazione di cultura. Si possono costruire relazioni basate sulla

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collaborazione e lo scambio. Si possono costruire comunità di lavoro. Il CSL
(computer supported collaborative learning) è un ambito di ricerca che individua nelle
reti telematiche gli strumenti per facilitare i processi di apprendimento.

LA RETE TRA APPRENDIMENTO FORMALE E INFORMALE


La rete facilita il lifelong learning. I nativi digitali entrano, spesso a contesti di
accesso informale alla conoscenza, di cui le agenzie formali (scuola e università)
devono tenere conto.
Internet può dare luogo ad apprendimenti casuali, ad esempio quando si partecipa ad
una comunità di interessi (filosofia, arte ecc.). Questo apprendimento informale
promuove le capacità di autoregolazione. Tuttavia si possono usare e risorse internet
anche per l’apprendimento formale.
La scuola deve essere un mediatore tra l’allievo e internet.
L’e-learning è una metodologia di insegnamento e apprendimento che prevede
l’opportunità di partecipare a percorsi di formazione strutturati attraverso piattaforme
web. Ci sono contenuti disciplinari, verifiche, laboratori. È una delle prime forme di
Formazione a distanza.

MASSIVE OPEN ONLINE COURSES.


È un percorso di apprendimento elettronico finalizzato all’acquisizione di un titolo di
studio, sono corsi aperti e gratuiti.

LE APP.
Sono applicazioni informatiche dedicate ai dispositivi di tipo mobile (smartphone e
tablet).
LA REALTÀ AUMENTATA.
(RA) è una forma di comunicazione molto diffusa che permette di sovrapporre
contenuti digitali, resi visibili con la videocamera di smartphone o tablet, al mondo
reale.
LE SIMULAZIONI NEI LABORATORI ONLINE.
Con simulazione si fa riferimento metodologie educative basate su una finzione, che
riproducono virtualmente situazioni, cose e persone.
I LABORATORI REMOTI.
È un sistema hardware/software che consente agli utenti di interagire con processi
fisici e attrezzature dislocate in altri luoghi, attraverso internet.
LE FLIPPED CLASSROOM.
(Classe capovolta) Si intende che la spiegazione, o parte di essa avviene a casa con
materiali predisposti dal docente (in genere videolezioni), mentre la parte esercitativa
si svolge in classe, con il docente. Il docente passa da trasmettitore a mediatore di
significati. È una forma di blended learning. Così si ottimizza meglio il tempo. Tra i
pionieri abbiamo Bergman e Sams.

CAPITOLO 3: LE TECNOLOGIE E LA DIDATTICA SPECIALE


Le ICT servono da supporto nelle situazioni di disabilità, a partire da Skinner. Anche
in Italia si utilizzano ai fini di migliorare la qualità di vita di questi ragazzi.

ACCESSIBILITA’ DEL WEB E UNIVERSAL DESIGN

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ll termine Universal design è stato coniato da Mace per definire un metodo progettuale
destinato a realizzare contesti inclusivi. Ciò che risulta progettato per chi ha difficoltà,
sarà adeguato anche agli altri.

TECNOLOGIE ASSISTIVE E IL MODELLO BIOPSICOCIALE


Le tecnologie assistite (TA) migliorano la vita della persona svantaggiata.
Il testo dell’ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e
della salute), fonda i suoi assunti sul modello biopsicosociale, o universale creando
una proposta per l’interpretazione dello stato di salute degli individui di tipo olistico e
interattivo. In questo modello la disabilità è considerata il prodotto di un’interazione
dinamica tra le condizioni di salute della persona e il contesto sia ambientale che
personale. In ambito scolastico si possono usare le seguenti TA:
• Tastiere speciali: per chi non può usare la tastiera standard;
• Emulatori di mouse: (il monitor sreen, uso di pulsanti ecc.);
• Sensori: dispositivi capaci di trasmettere comandi ad uno strumento (ausili per la
lettura e la scrittura ecc.);
• Comunicatori: trasformano un codice iconico o alfabetico in un messaggio
comprensibile;
• Ausili tiflotecnici: aiutano l’accesso al computer per persone non vedenti o
ipovedenti.

TECNOLOGIE PER L’ALUNNO CON DSA


Abbiamo: la sintesi vocale (fa leggere alla voce sintetica del pc i testi scelti dallo
studente; il registratore per memorizzare meglio le lezioni; i programmi di
videoscrittura con correttore ortografico; la calcolatrice; tabelle formulari, mappe
concettuali ecc.
Ce ne sono altri che si possono dividere in:
• strumenti di bassa tecnologia: matite e penne con impugnature specifiche,
evidenziatori, quaderni ad anelli ecc.
• strumenti ad alta tecnologia: calcolatrici parlanti, libri digitali, audiolibri ecc.

TECNOLOGIE PER L’ALUNNO CON ADHD


Molti studi evidenziano come siano importanti le tecnologie come gli organizer
digitali, che li supportano nella pianificazione della vita lavorativa. Sono adeguati
anche programmi software di tipo tutoriale per la lettura assistita dal computer o per la
matematica.

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