Sei sulla pagina 1di 462

Accedi ai servizi riservati

E. Camera - A. Signorino Gelo


LEGISLAZIONE
SCOLASTICA
MANUALE e QUESITI
Legislazione scolastica - Manuale e quesiti - I Edizione
Copyright © 2022 EdiSES edizioni S.r.l. – Napoli
9876543210
2026 2025 2024 2023 2022
Le cifre sulla destra indicano il numero e l’anno dell’ultima ristampa effettuata

Elisa Camera, Dirigente Scolastico, interessata alle tematiche della legislazione scolastica e
all’innovazione didattica in ambito delle lingue classiche e moderne.
Alessandro Signorino Gelo, Docente di Lingue e Letterature straniere, già Responsabile didattico
D.U.T. per conto di Università europee, traduttore parlamentare presso il Segretariato generale del
Parlamento europeo in Lussemburgo.
Progetto grafico: ProMedia Studio di A. Leano – Napoli
Cover design and cover illustration: Digital Followers srl:
Fotocomposizione: TPM – Città di Castello (PG)
Stampato presso: PrintSprint s.r.l. – Napoli
Per conto della EdiSES edizioni S.r.l. – Piazza Dante 89 – Napoli
www.edises.it
ISBN 978 88 3622 526 2

I curatori, l’editore e tutti coloro in qualche modo coinvolti nella preparazione o pubblicazione di
quest’opera hanno posto il massimo impegno per garantire che le informazioni ivi contenute siano
corrette, compatibilmente con le conoscenze disponibili al momento della stampa; essi, tuttavia, non
possono essere ritenuti responsabili dei risultati dell’utilizzo di tali informazioni e restano a
disposizione per integrare la citazione delle fonti, qualora incompleta o imprecisa.
Realizzare un libro è un’operazione complessa e, nonostante la cura e l’attenzione poste dagli autori e
da tutti gli addetti coinvolti nella lavorazione dei testi, l’esperienza ci insegna che è praticamente
impossibile pubblicare un volume privo di imprecisioni. Saremo grati ai lettori che vorranno inviarci le
loro segnalazioni e/o suggerimenti migliorativi sulla piattaforma assistenza.edises.it
Premessa
Il volume sintetizza le principali tematiche della legislazione scolastica. Dopo
una breve storia degli ordinamenti scolastici italiani, sono analizzati tutti i più
rilevanti punti della legislazione e della normativa scolastica (il sistema di
istruzione e formazione, gli ordinamenti didattici, la tutela normativa dei
bisogni educativi speciali, l’autonomia delle istituzioni scolastiche, il profilo
giuridico e contrattuale del personale docente, il Sistema nazionale di
valutazione, la regolamentazione della vita scolastica, gli aspetti legati alla
sicurezza sul lavoro e alla privacy nel settore dell’istruzione). Una attenzione
particolare, infine, è dedicata all’educazione musicale nel primo e secondo
ciclo di istruzione, agli istituti a indirizzo musicale e all’Alta formazione
artistico-musicale (AFAM).
Aggiornato a tutte le principali novità normative rilevanti per il settore, il
volume costituisce un prezioso strumento di preparazione ai concorsi in cui è
richiesta la conoscenza della normativa relativa al settore dell’istruzione.
Il volume è corredato da batterie di quesiti a risposta multipla (disponibili
fra le estensioni online) per favorire la verifica delle conoscenze. Con il
software online, accessibile gratuitamente previa registrazione, sarà possibile
effettuare infinite simulazioni d’esame. Grazie all’estrazione casuale da un
vastissimo database, ogni simulazione è diversa dalla precedente.

Ulteriori materiali didattici e approfondimenti sono disponibili nell’area


riservata a cui si accede mediante la registrazione al sito edises.it secondo
la procedura indicata a pagina II.
Eventuali errata corrige saranno pubblicati sul sito edises.it, nella scheda
“Aggiornamenti” della pagina dedicata al volume.
Altri aggiornamenti sulle procedure concorsuali saranno disponibili sui
nostri profili social.
facebook.com/infoConcorsi
blog.edises.it
infoconcorsi.edises.it
Indice
Accedi ai servizi riservati
Legislazione scolastica
Copyright
Premessa
Capitolo 1 Breve storia della scuola italiana
1.1 La nascita della scuola statale e l’Ottocento
1.2 La scuola della prima metà del Novecento
1.3 La scuola della seconda metà del Novecento
Capitolo 2 L’autonomia scolastica
2.1 Legge delega 30 luglio 1973, n. 477
2.1.1 Decreti delegati del 1974
2.1.2 D.P.R. n. 416/1974
2.1.3 D.P.R. n. 417/1974
2.1.4 D.P.R. n. 418/1974
2.1.5 D.P.R. n. 419/1974
2.1.6 D.P.R. n. 420/1974
2.2 Legge delega 24 dicembre 1993, n. 537
2.2.1 Legge 15 marzo 1997, n. 59
2.2.2 D.Lgs. 6 marzo 1998, n. 59
2.2.3 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112
2.2.4 D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233
2.3 Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e D.P.R. 20
marzo 2009, n. 81
2.4 D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito nella L. 15 luglio
2011, n. 111
2.5 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento recante
norme in materia di Autonomia delle istituzioni
scolastiche)
2.5.1 Definizione dei curricoli
2.6 D.Lgs. 30 giugno 1999, n. 233
2.7 D.Lgs. 20 luglio 1999, n. 258 - INVALSI
2.8 D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300
2.9 D.I. 1° febbraio 2001, n. 44 abrogato e sostituito dal
D.M. 28-8-2018, n. 129
2.10 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 -
Modifiche al Titolo V della Parte seconda della
Costituzione
2.11 Legge 13 luglio 2015, n. 107 (Legge della Buona
Scuola)
2.11.1 Autonomia delle istituzioni scolastiche
2.11.2 Il Piano dell’offerta formativa
2.11.3 Portale unico dei dati della scuola
2.11.4 Organico dell’autonomia
2.11.5 Percorsi per le competenze trasversali e per
l’orientamento (già alternanza scuola – lavoro)
2.11.6 Piano nazionale per la scuola digitale
2.11.7 Formazione dei docenti (Piano nazionale di
formazione) - Carta elettronica per l’aggiornamento e
la formazione
2.11.8 Bonus premiale docenti (valorizzazione del
merito) Legge 107/2015
2.11.9 Agevolazioni fiscali
2.11.10 Deleghe al Governo – I decreti attuativi della
Buona scuola
Capitolo 3 Ordinamenti didattici: norme generali comuni e per
ogni ordine e grado
3.1 Il primo ciclo di istruzione
3.1.1 La scuola dell’infanzia
3.1.2 La scuola primaria
3.1.3 La scuola secondaria di I grado
3.1.4 L’esame di Stato conclusivo del I ciclo di
istruzione
3.2 Il secondo ciclo di istruzione
3.2.1 Il sistema dei Licei
3.2.2 Gli Istituti Tecnici
3.2.3 Gli Istituti Professionali
3.2.4 L’esame di Stato nel secondo ciclo di istruzione
Capitolo 4 Il personale docente
4.1 Stato giuridico degli insegnanti
4.1.1 La funzione docente
4.1.2 L’attività di insegnamento
4.2 L’ARAN
4.3 Diritti e doveri del docente
4.3.1 Le fonti
4.3.2 Legge n. 300/1970 - Statuto dei lavoratori
4.3.3 Codice disciplinare del docente
4.3.4 Incompatibilità di incarichi del personale
docente
4.3.5 Collaborazioni plurime (art. 35, CCNL 2007)
4.3.6 Insegnamento aggiuntivo all’orario di cattedra
delle 18 ore
Capitolo 5 L’educazione musicale nel primo e secondo ciclo
di istruzione.
5.1 Le competenze chiave per l’apprendimento
permanente
5.1.1 La Raccomandazione del Parlamento europeo e
del Consiglio del 18 dicembre 2006
5.1.2 Le nuove competenze chiave 2018
5.2 L’educazione musicale nei diversi ordini scolastici
5.2.1 Musica nella scuola dell’infanzia
5.2.2 Musica nella scuola primaria
5.2.3 Riforme Berlinguer (2000) e Moratti (2003)
5.2.4 D.P.R. n. 89/2009
5.2.5 Le Indicazioni nazionali per il curricolo (2012)
nella scuola primaria
5.2.6 L’insegnamento della musica nella Legge Buona
scuola
5.2.7 Musica nella scuola secondaria di primo grado
5.2.8 Legge 31 dicembre 1962, n. 1859
5.2.9 I corsi ad indirizzo musicale nella scuola media
5.2.10 Legge 3 maggio 1999, n. 124 - D. M. 6 agosto
1999, n. 201
5.2.11 Programmi di insegnamento di strumento
musicale nei corsi di scuola media ad indirizzo
musicale - Allegato A del D.M. 6 agosto 1999, n. 201
5.2.12 Le Indicazioni nazionali del 2012 nella
secondaria di I grado
5.2.13 Modalità di costituzione delle classi ad
indirizzo musicale della scuola secondaria di I grado
5.2.14 Musica nella scuola secondaria di secondo
grado: gli istituti professionali
5.2.15 Musica nella scuola secondaria di secondo
grado: il Liceo musicale e coreutico
5.2.16 Regolamento per il riordino delle classi di
concorso
5.3 L’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica
(Afam)
5.3.1 Accademie di Belle Arti
5.3.2 Equipollenza di titoli esteri
5.3.3 Riconoscimento di titoli esteri Afam
5.3.4 Legge 21 dicembre 1999, n. 508
5.3.5 D.P.R. 28 febbraio 2003, n. 132 - Regolamento
recante criteri per l’autonomia statutaria,
regolamentare e organizzativa delle istituzioni
artistiche e musicali, a norma della legge 21 dicembre
1999, n. 508
5.3.6 Decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio
2005, n. 212
5.3.7 Decreti ministeriali 482 e 483 del 22 gennaio
2008
5.3.8 Decreto ministeriale 9 gennaio 2018, n. 14
Capitolo 6 La governance delle istituzioni scolastiche
6.1 Gli organi collegiali
6.1.1 Funzionamento degli organi collegiali
6.1.2 Organi collegiali - elezioni
6.1.3 Consiglio di intersezione, di interclasse e di
classe - composizione
6.1.4 Elezioni dei rappresentanti dei genitori e degli
studenti nei consigli di intersezione, di interclasse e di
classe
6.1.5 Riunione dei consigli di intersezione, di
interclasse e di classe
6.1.6 Funzioni dei consigli con i soli docenti (a) e con
la componente genitori e studenti (b)
6.1.7 Collegio dei docenti: funzionamento
6.1.8 Funzioni del collegio dei docenti
6.2. Consiglio di circolo o di istituto e giunta esecutiva
6.2.1 Composizione
6.2.2 Elezione
6.2.3 Funzioni
6.2.4 Sanzioni disciplinari studenti. Competenze del
consiglio di istituto
6.2.5 Composizione e funzioni della giunta esecutiva
6.2.6 Pubblicità degli atti e delle sedute
6.3 Comitato per la valutazione dei docenti
6.3.1 Istituto della valutazione del servizio a domanda
del docente
6.3.2 Riabilitazione del personale docente
6.4 Assemblee degli studenti e dei genitori
6.4.1 Assemblee degli studenti
6.4.2 Assemblee dei genitori
Capitolo 7 L’inclusione scolastica
7.1 Storia dell’inclusione scolastica
7.1.1 L’istituzione della scuola di Stato: l’esclusione
7.1.2 Il periodo della segregazione
7.1.3 L’integrazione
7.1.4 La Legge 104 del 1992
7.2 Alcune precisazioni terminologiche
7.3 L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità
7.3.1 I documenti fondanti
7.3.2 Il piano per l’inclusione
7.3.3 Il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI)
7.3.4 La certificazione della disabilità
7.3.5 Gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica
7.3.6 I Centri territoriali di supporto
7.4 I Disturbi Specifici dell’Apprendimento
7.4.1 Definizione
7.4.2 La certificazione dei disturbi specifici
dell’apprendimento
7.4.3 La didattica per DSA
7.4.4 Il Piano Didattico Personalizzato
7.4.5 Il referente d’istituto
7.4.6 La valutazione degli alunni con DSA
7.5 I Bisogni Educativi Speciali
7.6 Gli alunni adottati
7.6.1 Maggiori criticità legate agli alunni adottati
7.6.2 Accoglienza a scuola
7.7 Gli alunni stranieri
7.8 Le eccellenze e gli alunni plus-dotati
7.9 L’istruzione domiciliare e ospedaliera
7.10 Formazione per l’inclusione e assunzione docenti di
sostegno
7.11 Le principali innovazioni introdotte dal D.Lgs.
96/2017
Capitolo 8 Il Sistema Nazionale di Valutazione. Organi tecnici
di supporto
8.1 Istituzione del Sistema Nazionale di Valutazione e sue
prerogative
8.2 L’INVALSI
8.2.1 La struttura interna
8.2.2 Le prove nazionali
8.3 L’INDIRE
8.4 Il corpo ispettivo
8.5 Il procedimento di valutazione
8.5.1 Autovalutazione delle istituzioni scolastiche
8.5.2 Valutazione esterna
8.5.3 Azioni di miglioramento
8.5.4 Rendicontazione sociale delle istituzioni
scolastiche
8.6 Il comitato di valutazione e la valutazione dei docenti
8.6.1 La valorizzazione dei docenti
8.6.2 Il periodo di formazione e di prova dei docenti
neo-assunti
8.7 La valutazione della Dirigenza Scolastica
Capitolo 9 La regolamentazione della vita scolastica
9.1 La responsabilità disciplinare del personale scolastico
9.1.1 Il personale ATA
9.1.2 Il personale docente
9.1.3 Il procedimento disciplinare
9.2 Gli alunni
9.2.1 Il Regolamento di Istituto
9.2.2 Il cyberbullismo
9.2.3 La regolamentazione dell’uso dei dispositivi
elettronici
9.2.4 Il procedimento disciplinare
Capitolo 10 La sicurezza a scuola
10.1 Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81
10.2 Le definizioni nel Testo unico in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro
10.3 Lavoratore
10.4 Datore di lavoro. Suoi obblighi
10.4.1 Documento di valutazione dei rischi - DVR
10.4.2 Designazione del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi (RSPP)
10.4.3 Obblighi del datore di lavoro e del dirigente
10.5 Dirigente
10.6 Preposto
10.7 Addetto al servizio di prevenzione e protezione
(A.S.P.P)
10.8 Medico competente
10.9 Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS)
10.10 Servizio di prevenzione e protezione dai rischi
10.11 Sorveglianza sanitaria
10.12 Valutazione dei rischi
10.13 Pericolo
10.14 Rischio
Capitolo 11 La privacy e la trasparenza amministrativa a
scuola
11.1 Il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e il
Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 27 aprile 2016
11.1.1 Definizioni
11.1.2 Il trattamento dei dati personali
11.1.3 Il trattamento dei dati personali nelle istituzioni
scolastiche
11.2 La trasparenza amministrativa
11.2.1 Accesso informale e accesso formale
11.2.2 Accesso civico
11.3 Disposizioni in materia di prevenzione della
corruzione. Ruolo dell’ANAC (Autorità nazionale
anticorruzione)
Capitolo 1
Breve storia della scuola italiana
di Elisa Camera

1.1 La nascita della scuola statale e l’Ottocento


In seguito all’unificazione d’Italia, fu estesa al Regno d’Italia,
nato nel 1861, il sistema di istruzione istituito con la Legge n. 3725 del 13
novembre 1859, conosciuta come Legge Casati, dal nome dell’allora
Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati. Essa disponeva lâ
€™obbligo di frequenza della scuola elementare, con il principale fine di
contrastare l’analfabetismo, ancora diffuso capillarmente nella penisola.
La Legge Casati aveva istituito i seguenti ordini di scuola:

la scuola elementare, della durata di quattro anni, dei quali i due


inferiori erano obbligatori e gratuiti e i due superiori erano a carico dei
Comuni;
l’istruzione secondaria, suddivisa in due percorsi distinti, tecnica e
classica:
l’istruzione tecnica, divisa in primo grado, impartito nelle scuole tecniche, e in
secondo grado, impartito negli istituti tecnici; entrambi i gradi avevano la durata di tre
anni;
l’istruzione secondaria classica veniva impartita nei Ginnasi, al primo grado e per
cinque anni; e nei Licei, nel secondo grado, per tre anni;
l’istruzione superiore o università .

La Legge n. 3961 del 13 luglio 1877, detta legge Coppino dal nome del
Ministro che la promulgò, Michele Coppino, innalzava a tre anni lâ
€™istruzione elementare obbligatoria, portandone a cinque anni la durata
totale.
Un passaggio significativo nella storia della scuola è costituito dal Metodo
di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia, del 1880, e dai
successivi Programmi di insegnamento, accompagnati dalle relative
Istruzioni redatti nel 1888. L’autore di questi documenti fu il pedagogista
Aristide Gabelli, provveditore a Firenze e Roma, poi deputato. Grazie al suo
lavoro, la scuola italiana si trovò a disporre di programmi di studio
uniformi, basati su un metodo pratico e induttivo, legato all’osservazione
e all’esperienza.

1.2 La scuola della prima metà del Novecento


All’inizio del XX secolo, l’analfabetismo costituiva un problema
ancora diffuso nella maggioranza della popolazione italiana, dunque i
propositi connessi con la nascita della scuola dello Stato vennero in parte
disattesi, per varie ragioni. Anzitutto, i Comuni avevano difficoltà nel
reperimento delle risorse finanziarie necessarie ad assicurare locali e
insegnanti per le istituzioni scolastiche. Contemporaneamente, era sempre
più importante reperire lavoratori preparati, nel contesto della seconda
rivoluzione industriale in atto.
Nel 1904, Vittorio Emanuele Orlando, con la Legge n. 407 dell’8
luglio, rese obbligatoria l’istruzione fino al compimento del dodicesimo
anno di età . Istituì altresì un “corso popolareâ€, formato dalle classi
quinta e sesta, per i ragazzi che non intendevano proseguire gli studi.
La Legge n. 487 del 4 giugno 1911, emanata dai ministri Luigi Credaro ed
Edoardo Daneo, fece sì che le scuole elementari passassero sotto la diretta
gestione dello Stato anziché dei Comuni, fatta eccezione per le scuole nei
Comuni capoluogo o in quelli con un tasso di analfabetismo inferiore al 25%.
Fu fissata inoltre la retribuzione minima dei maestri e istituito il loro fondo
pensionistico; nacquero altresì i patronati scolastici per supportare le
famiglie in difficoltà . Fu poi istituito il Liceo Moderno (successivamente
denominato Liceo Scientifico).
Con il nome di Riforma Gentile si suole indicare l’insieme delle leggi
che rinnovarono il sistema di istruzione italiano nel periodo compreso fra il
1923 e il 1928. La riforma venne elaborata dal filosofo neoidealista Giovanni
Gentile con il contributo di personalità quali Giuseppe Lombardo Radice e
Benedetto Croce.
L’istruzione scolastica fu resa obbligatoria fino ai 14 anni: dopo la scuola
elementare, della durata di cinque anni, erano previsti diversi percorsi.
Il Ginnasio (i cui primi tre anni costituivano il Ginnasio inferiore, gli altri due
il Ginnasio superiore) dava l’accesso al Liceo, di durata triennale; lâ
€™istituto tecnico e l’istituto magistrale erano articolati in due corsi, uno
inferiore e uno superiore; in particolare, l’istituto tecnico poteva essere
seguito dal liceo scientifico oppure da un corso quadriennale superiore
tecnico; la scuola complementare, in seguito denominata scuola di
avviamento professionale, aveva la durata di tre anni e non consentiva la
prosecuzione degli studi.
Con il Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923 venivano introdotte alcune
importanti innovazioni:

l’istituzione dell’istituto magistrale per la preparazione degli


insegnanti delle scuole elementari, con un corso di studi della durata di
sette anni: i primi quattro costituivano il corso inferiore, i tre successivi
il corso superiore; a ogni istituto magistrale era annesso un giardino di
infanzia o una casa dei bambini;
il liceo scientifico aveva il fine di sviluppare e approfondire lâ
€™istruzione dei giovani che aspirassero agli studi universitari nelle
facoltà di scienze e di medicina e chirurgia, con particolare riguardo
alla cultura scientifica. Il liceo scientifico aveva la durata di quattro
anni;
il liceo femminile aveva la finalità di impartire un complemento di
cultura generale alle giovinette che non aspiravano né agli studi
superiori né al conseguimento di un diploma professionale. Esso
aveva la durata di tre anni;
introduzione dell’esame di maturità per l’accesso allâ
€™università ;
l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole
elementari;
il limite di 35 alunni per classe;
l’istituzione di scuole speciali per ciechi e sordomuti.

Un altro caposaldo della storia della scuola italiana è rappresentato dal Patto
Lateranense, firmato l’11 febbraio 1929. Esso prevedeva che la religione
cattolica fosse insegnata in tutte le scuole non universitarie; chi non intendeva
avvalersi di tale insegnamento, aveva la possibilità di chiederne lâ
€™esonero. Gli insegnanti di religione dovevano essere riconosciuti dallâ
€™autorità religiosa.
Con il Regio Decreto n. 1390 del 5 settembre 1938 al “personale
scolastico di razza ebraica†fu proibito insegnare nelle scuole e allâ
€™università ; ai bambini ebrei fu preclusa la frequenza delle scuole statali.
Con il successivo Regio Decreto n. 1630 del 23 settembre 1938 furono
istituite scuole elementari speciali per “fanciulli di razza ebraicaâ€.
Unicamente in queste scuole erano ammessi insegnanti di origine ebraica.
La Legge n. 899 del 1 luglio 1940, già anticipata nella Carta della Scuola
presentata alla Riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 15 febbraio
1939, introdusse la riforma del sistema scolastico a opera di Giuseppe
Bottai.
Essa portò l’obbligo scolastico a otto anni, avendo il fine di estendere lâ
€™accesso alle scuole superiori ai ceti meno abbienti, in linea con il
programma del governo fascista. Le discipline scientifico-tecniche e le
attività manuali furono considerate alla medesima stregua delle discipline
umanistiche che la riforma Gentile aveva individuato quali cardini dellâ
€™istruzione superiore.
La scuola materna divenne obbligatoria, mentre la scuola elementare (anche
chiamata “del primo ordineâ€) era stata suddivisa in due cicli: la scuola
elementare triennale, divisa in urbana e rurale, con diversi orari e programmi
didattici, e la scuola del lavoro, di durata biennale.
La scuola media (detta “del secondo ordineâ€) veniva divisa in tre corsi: la
scuola artigianale, rivolta ai figli dei contadini, si articolava in vari indirizzi
(commerciale, industriale, nautica, agricola, artistica); la scuola triennale di
avviamento professionale, che permetteva di proseguire gli studi in una
scuola tecnica; la scuola media unica, che consentiva l’accesso al liceo e
all’università .

1.3 La scuola della seconda metà del Novecento


La Costituzione Repubblicana, entrata in vigore a partire dal primo gennaio
1948, oltre a gettare le basi per la nascita della Repubblica, sancì
importanti principi afferenti anche all’ambito scolastico. In particolare, lâ
€™art. 33 riguarda la libertà di insegnamento, l’istituzione di nuove
scuole, l’esame di Stato; l’art. 34 afferma che la scuola è aperta a
tutti, confermando l’obbligo scolastico; l’art. 35 è relativo alla
formazione professionale; l’art. 117, riformulato con la Legge
costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, fissa le competenze regionali e statali.
La Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 istituì la scuola media unica,
della durata triennale, alla quale si accedeva al termine della scuola
elementare. Dopo il triennio, sostenendo un esame conclusivo, era possibile
ottenere la licenza media che dava accesso a tutte le scuole e a tutti gli istituti
di istruzione superiore.
Alla fine degli anni Sessanta, in parziale risposta alla contestazione giovanile,
furono adottati vari provvedimenti.
Il Decreto Legge n. 9 del 15 febbraio 1969 riformò l’esame di
maturità : quest’ultimo, infatti, da allora fu costituito da due prove
scritte e da un colloquio su due materie scelte dal candidato e dalla
commissione su quattro indicate dal Ministero.
La Legge n. 910 dell’11 dicembre 1969 consentì a tutti i diplomati di
accedere a tutte le facoltà universitarie; la Legge n. 444 del 18 marzo 1968
istituì la scuola materna statale e con la Legge n. 820 del 24 settembre
1971 fu introdotto il tempo pieno alla scuola elementare, per supportare le
famiglie in cui entrambi i genitori lavoravano.
La Legge n. 477 del 30 luglio 1973 e i suoi provvedimenti attuativi (i decreti
delegati del 1974) posero le basi per importanti cambiamenti in ambito
scolastico:

il Decreto del Presidente della Repubblica n. 416 istituì gli organi


collegiali;
il Decreto del Presidente della Repubblica n. 417 ridefinì lo stato
giuridico degli insegnanti, del personale direttivo e ispettivo;
il Decreto del presidente della Repubblica n. 419 introdusse la
possibilità di attuare sperimentazioni innovative, soprattutto nella
scuola superiore;
il Decreto del Presidente della Repubblica n. 420 ridefinì lo stato
giuridico del personale non docente.

La Legge n. 517 del 4 agosto 1977 costituì un ulteriore tassello nella storia
della scuola italiana: l’integrazione, nelle classi comuni, dei ragazzi
portatori di handicap, con la conseguente abolizione delle classi
differenziali, la programmazione didattica e curricolare, la possibilità di
lavorare per classi aperte, la valutazione formativa connessa al percorso
didattico e progressi d’apprendimento di ciascun allievo.
Come più ampliamente si dirà nel prosieguo della trattazione, gli interventi
normativi degli anni Settanta hanno fatto da spartiacque nel mondo della
scuola soprattutto nel campo della disabilità , determinando una frattura
epocale tra la scuola della separazione e quella della inclusione e
integrazione.
Una prolifica attività legislativa ha caratterizzato, negli anni seguenti, ruolo
e funzioni dello Stato e delle istituzioni scolastiche procedendo da quella che
possiamo denominare la Scuola del programma, nella quale si dava molto
spazio alla funzione trasmissiva dei saperi, alla Scuola che individua nellâ
€™alunno il cuore pulsante e il co-protagonista del dialogo formativo,
ovvero quella Scuola nella quale l’apprendimento è identificato come
solo uno dei molteplici aspetti della formazione.
In questo contesto, è da ricordare la legge Bassanini (L. 59/1997),
approvata durante il Governo Prodi I, che con l’art. 21 introduceva lâ
€™autonomia delle istituzioni scolastiche nel nostro ordinamento. La
traduzione operativa dell’art. 21 è il Regolamento dell’autonomia
(D.P.R. 275/1999) che segnerà uno dei momenti più significativi nel
contesto scolastico italiano.
La Riforma Moratti (L. 53/2003), anch’essa maggiormente approfondita
più avanti, articola il sistema educativo di istruzione e di formazione:

nella scuola dell’infanzia;


in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola
secondaria di primo grado;
in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema
dell’istruzione e della formazione.

Il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, nonostante dettasse disposizioni


urgenti per lo sviluppo economico della finanza pubblica e la perequazione
tributaria, conteneva un articolo, nella fattispecie l’articolo 64, con il
quale si fornivano disposizioni in materia di organizzazione scolastica. Il
decreto incideva pesantemente sul mondo della scuola e della UniversitÃ
operando tagli cospicui al fondo di finanziamento ordinario delle universitÃ
e il blocco del turn-over (art. 66, c. 13); predisponendo tagli agli indirizzi
delle scuole superiori; incidendo sui criteri vigenti in materia di formazione
delle classi e revisionando criteri e parametri vigenti per la determinazione
della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA,
finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi.
Il decreto, emanato durante il governo Berlusconi IV e convertito nella legge
6 agosto 2008, n. 133, insieme con altre disposizioni di analogo tenore era
solo uno dei tanti tasselli con cui si perseguiva il processo di revisione del
sistema scolastico italiano.
A tale riguardo, una delle norme più significative che hanno maggiormente
inciso sul sistema scolastico è stata la legge 30 ottobre 2008, n. 169, di
conversione del decreto-legge primo settembre 2008, n. 137, cosiddetto
decreto Gelmini, che recava disposizioni urgenti in materia di istruzione e
università .
Per una visione più approfondita dell’argomento e per una disamina dei
successivi provvedimenti legislativi, non ultima la legge 107/2015 della
Buona scuola, si rimanda ai capitoli successivi del manuale.
Capitolo 2
L’autonomia scolastica
di Alessandro Signorino Gelo

2.1 Legge delega 30 luglio 1973, n. 477


Il corpus normativo scolastico presenta provvedimenti che trovano
compiutezza formale nella capacità gestionale dei dirigenti e nella
responsabilizzazione degli insegnanti, “al fine di coniugare l’esigenza
della piena valorizzazione dell’autonomia professionale dei dirigenti e dei
docenti con quella della partecipazione degli utentiâ€1. Tale processo è il
frutto di un rapporto di relazione tra le numerose figure professionali delle
istituzioni scolastiche, le quali rappresentano il luogo di elaborazione del
pensiero critico e di formazione alla cittadinanza attiva. L’autonomia ne
rende più agevole il percorso offrendo, tra i tanti margini di flessibilità , una
proficua apertura al territorio, sempre più protagonista delle dinamiche
socio-educative dell’istituzione. Una delle leve cardine per il
rinnovamento delle istituzioni scolastiche italiane è attribuibile ai
sommovimenti sociali del Sessantotto nei quali veniva richiesta una maggiore
partecipazione del mondo civile alla vita della scuola. La legge delega n.
477/19732 ha rappresentato la sintesi con cui il legislatore ha raccolto le
istanze del mondo civile e della mobilitazione delle federazioni sindacali.
Essa va interpretata dunque come strumento e punto di partenza per un
processo unitario di aggregazione e di mobilitazione verso nuovi rapporti
didattici, nella direzione di nuove forme di garanzie di diritto allo studio3. La
legge esprime, da un lato, la tendenza della autorità centrale che, non
essendo più in grado di reggere il peso di una gestione mastodontica, è
portata a cedere parte dei suoi poteri (decentramento). Dall’altro, come
già evidenziato, quella della «base» sempre più esigente di partecipare
alla gestione dei mezzi necessari per risolvere almeno i propri problemi4. La
legge 477 ridisegnava l’aspetto ordinamentale complessivo della scuola
delegando il Governo della Repubblica ad emanare, entro nove mesi dallâ
€™entrata in vigore della stessa legge, uno o più decreti con valore di legge
ordinaria per la disciplina unitaria del nuovo stato giuridico del personale
docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed
artistica. Tale disposto, nel quadro dei princìpi costituzionali, doveva tener
conto della natura della professione docente e dei caratteri richiesti dal suo
esercizio in una scuola adeguata alle esigenze personali e sociali e in una
comunità scolastica nella quale si attua non solo la trasmissione della
cultura ma anche il continuo e autonomo processo di elaborazione di essa5.
La scuola identificata dunque come locus di trasmissione dei saperi e
laboratorio di trasformazione della società nella quale far convergere il
nuovo contributo del mondo civile. La legge estendeva gli orizzonti
democratici della scuola in un contesto sociale sempre più esigente di
dialogo con le componenti proprie del mondo della scuola. A tale scopo, essa
avviava un processo di recupero di quel rapporto società -scuola che il
fascismo ha violentemente spezzato e la trentennale gestione ministeriale
democristiana ha negato6. Tali premesse offrono dunque una più estesa
chiave di lettura di quell’articolo 5 che conferiva alla scuola i caratteri di
una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica.
La garanzia della libertà di insegnamento viene posta a fondamento dello
stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo. La legge
identifica la libertà di insegnamento come autonomia didattica e come
libera espressione culturale dell’insegnante nel rispetto dei principi
costituzionali e secondo gli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato7. A
nostro avviso, delineare il confine tra la libera espressione culturale dellâ
€™insegnante e il margine di spendibilità di tale libertà che la legge 477
delimita entro i confini degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, ci
sembra riduttivo della libertà medesima. Da più parti, invero, è stato
ravvisato il rischio di aprire il varco a una subdola strumentalizzazione
ideologica della scuola da parte dello Stato, in quanto apparato, cioè come
strumento di governo creato da una maggioranza e che, per definizione, non
è infallibile nel tradurre la volontà e gli orientamenti degli organi
intermedi nei quali si esprime l’intera nazione8.
Al Titolo II la legge dispone, oltre alla istituzione di nuovi organi collegiali
di governo, anche il riordinamento di quelli esistenti al fine di realizzare la
partecipazione nella gestione della scuola. In considerazione del
riordinamento di quelli esistenti, ci sembra utile ricordare che al tempo dellâ
€™approvazione della legge 477 esistevano il Consiglio di istituto, il
Consiglio di classe e il Consiglio scolastico provinciale.
Gli organi collegiali istituiti sono previsti:

a livello di circolo didattico e di istituto;


a livello distrettuale;
a livello provinciale;
a livello nazionale.

All’art. 6 leggiamo che i circoli didattici e gli istituti scolastici vengono


dotati di autonomia amministrativa per le spese di funzionamento
amministrativo e didattico, per le quali sono attribuiti annualmente appositi
stanziamenti, e dovranno disporre, per l’espletamento delle mansioni
conseguenti, di apposito personale qualificato9.
Lo stesso articolo dispone che a livello di circolo e di istituto siano istituiti o
riordinati i seguenti organi collegiali:
1) il consiglio di circolo o di istituto (che eleggerà una giunta esecutiva,
presieduta dal direttore didattico o dal preside, composta di non più di
cinque membri eletti dal consiglio stesso, in modo che sia assicurata la
rappresentanza di tutte le sue componenti. Di essa farà parte, di diritto, il
capo dei servizi di segreteria);
2) il collegio dei docenti (che eleggerà i suoi rappresentanti nel consiglio di
istituto o di circolo, e uno o più docenti incaricati di collaborare col
preside o il direttore didattico e di sostituirlo in caso di assenza o dâ
€™impedimento);
3) il consiglio di disciplina degli alunni;
4) il comitato, presieduto dal direttore didattico o dal preside eletto dal
collegio dei docenti tra i suoi membri, incaricato di compilare la
valutazione del servizio degli insegnanti;
5) i consigli di interesse o di classe.
Tutti gli organi istituiti o riordinati a norma dell’art. 6 dureranno in carica
un anno, tranne il consiglio di circolo o di istituto e la relativa giunta che
dureranno in carica un triennio, con possibilità di surroga dei componenti
che avranno perduto il titolo di farne parte.
L’articolo 7 stabilisce che a livello di distretto sarà istituito il consiglio
scolastico distrettuale, organo di partecipazione democratica alla gestione
della scuola, presieduto da un membro eletto nel suo seno dal consiglio
stesso, e composto dai rappresentanti eletti dei Comuni compresi nel
territorio del distretto, del personale direttivo e docente della scuola statale e
non statale, dei genitori degli alunni, delle forze sociali rappresentative di
interessi generali e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Con l’articolo 8, a livello provinciale, si dispone il riordino del consiglio
scolastico provinciale, comprendente nell’ambito della sua competenza le
scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche della Provincia. Il
consiglio scolastico provinciale elegge i consigli di disciplina per il personale
docente di ruolo provinciale composti da rappresentanti del personale
ispettivo, direttivo e docente della scuola e presieduti dal provveditore.
L’articolo 9 disciplina, a livello nazionale, l’istituzione del Consiglio
nazionale della pubblica istruzione (in sostituzione della seconda e terza
sezione del Consiglio superiore della pubblica istruzione e della quarta e
quinta sezione del Consiglio superiore delle antichità e belle arti). Il
Consiglio nazionale della pubblica istruzione doveva esprimere, tra le altre
funzioni, anche di propria iniziativa, per elezione, dal suo seno, i Consigli di
disciplina per il personale della scuola e per il contenzioso dei diversi ordini
di scuola, secondo le modalità precisate nei decreti delegati. I consigli di
disciplina saranno formati esclusivamente da personale ispettivo, direttivo e
docente, di ruolo e non di ruolo.

2.1.1 Decreti delegati del 1974


Su delega della legge n. 477/1973, il 31 maggio 1974 venivano approvati i
decreti del Presidente della Repubblica n. 416, 417, 418, 419 e 420 (i
cosiddetti decreti delegati) che recepivano le norme in essa contenute e
ancora oggi costituiscono la struttura portante della scuola italiana. È
innegabile come tali decreti, che sintetizzavano la richiesta di partecipazione
collettiva della società democratica, abbiano impresso una nuova identità a
una scuola in cui il processo di rinnovamento non era disgiunto dal contributo
della componente genitoriale e civile. Tale contributo, che con i decreti
assumono valenza giuridica, arricchiva le funzioni proprie del corpo docente
in una prospettiva di allargamento democratico agli organi collegiali. Con
essi si delineavano dunque i primi segnali di una linea rinnovatrice che, nel
tempo, avrebbe scardinato posizioni di privilegio educativo-didattico
consolidate nel tempo. L’istituzione degli organi collegiali della scuola
dunque costituiva la sintesi con cui il legislatore assumeva legalmente le
spinte sessantottine. “L’assetto piramidale†che per decenni aveva
caratterizzato il macrocosmo della scuola, prendeva da questo momento i
contorni di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale
e civica.

2.1.2 D.P.R. n. 416/1974


Al fine di realizzare la partecipazione della gestione della scuola dando ad
essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunitÃ
sociale e civica, il D.P.R. n. 416/197410 istituisce gli organi collegiali a
livello di circolo, di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale. Come
evidenziato da autorevoli osservatori, non rivolgendosi espressamente alle
scuole statali, è lecito ritenere che esso intenda istituire anche gli organi
collegiali delle scuole pubbliche non statali. Il decreto disciplina quanto
previsto nella legge delega 477/1973, contemperando il contributo dellâ
€™apparato scolastico interno e l’apporto democratico esterno. Pochi
mesi dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, il decreto 416/1974
veniva modificato dalla legge 14 gennaio 1975, n. 111, la quale, composta da
8 articoli, non porterà innovazioni di grande rilievo se non per disposizioni
di sistema:

la modifica del comma terzo dell’art. 5 del decreto 416/1974;


la partecipazione di sette alunni ai consigli scolastici distrettuali;
l’elezione di due rappresentanti del personale non insegnante di
ruolo e non di ruolo ai consigli di distretto.

Per quanto concerne l’autonomia amministrativa che il D.P.R. n.


416/1974 attribuiva alle scuole, essa era resa possibile attraverso
assegnazione di fondi per il funzionamento amministrativo e didattico sulla
base di un bilancio preventivo12. Il decreto dava mandato ai provveditori agli
studi di conferire alle istituzioni scolastiche i contributi per le spese di
funzionamento amministrativo e didattico con ordinativi tratti sui fondi messi
a loro disposizione con aperture di credito dal Ministero della pubblica
istruzione. Tali contributi venivano erogati tenuto conto della popolazione
scolastica, del numero delle classi, delle esigenze dei diversi tipi di scuola o
istituto nonché delle esigenze di funzionamento dei distretti e dei relativi
programmi di attività 13.

2.1.3 D.P.R. n. 417/1974


Il decreto n. 417/197414, di 141 articoli, detta norme sullo stato giuridico del
personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare,
secondaria ed artistica dello Stato, sancendo quanto disposto nella legge n.
477/1973. L’art. 1 esordisce con la garanzia della libertà di
insegnamento intesa a promuovere la piena formazione della personalitÃ
degli alunni. Tale azione, esercitata in ottemperanza delle norme
costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dalle leggi dello Stato,
è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi.
Il decreto incardina nella funzione docente l’esplicazione essenziale dellâ
€™attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di
essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla
formazione umana e critica della loro personalità . In ragione di ciò ai
docenti è richiesto, oltre al loro normale orario di insegnamento, lâ
€™espletamento di altre attività connesse con la funzione docente che
vengono così individuate:
a) curano il proprio aggiornamento culturale e professionale, anche nel
quadro delle iniziative promosse dai competenti organi;
b) partecipano alle riunioni degli organi collegiali di cui fanno parte;
c) partecipano alla realizzazione delle iniziative educative della scuola,
deliberate dai competenti organi;
d) curano i rapporti con i genitori degli alunni delle rispettive classi;
e) partecipano ai lavori delle commissioni di esame e di concorso di cui siano
stati nominati componenti.
Viene riconosciuto al personale docente il diritto di riunione nei locali della
scuola, fuori dell’orario normale delle lezioni nei limiti di 10 ore per
ogni anno scolastico e il diritto al personale ispettivo, direttivo e docente ad
un mese di congedo ordinario nell’anno scolastico nei periodi di chiusura
delle scuole od istituzioni educative. Tale diritto è irrinunciabile. Viene
garantito inoltre il diritto a congedi straordinari e aspettative.
L’orario obbligatorio di servizio per le insegnanti della scuola materna
è fissato in 36 ore settimanali. L’orario obbligatorio di servizio per i
docenti delle scuole elementari e degli istituti e scuole di istruzione
secondaria e artistica è costituito:
a) delle ore da destinare all’insegnamento in ragione di 24 ore settimanali
per i docenti delle scuole elementari e di 18 ore settimanali, da svolgere in
non meno di cinque giorni alla settimana, per i docenti degli istituti e scuole
di istruzione secondaria e artistica;
b) delle ore riguardanti le attività non di insegnamento connesse con il
funzionamento della scuola in ragione di 20 ore mensili.
L’art. 89 dispone il divieto, per il personale docente, di impartire lezioni
private ad alunni del proprio istituto. Nel caso in cui il docente assuma
lezioni private, è tenuto ad informare il direttore didattico o il preside, al
quale deve altresì comunicare il nome degli alunni e la loro provenienza.
Ove le esigenze di funzionamento della scuola lo richiedano, il direttore
didattico o il preside possono vietare l’assunzione di lezioni private o
interdirne la continuazione, sentito il consiglio di circolo o di istituto. In tutti
i casi, nessun alunno può essere giudicato da docente dal quale abbia
ricevuto lezioni private; sono nulli gli scrutini o le prove di esame svoltisi in
contravvenzione a tale divieto.
Per il personale ispettivo e direttivo, invece, l’art. 90 dispone il divieto
assoluto di impartire lezioni private.
Per quanto attiene al divieto di cumulo di impieghi, l’art. 91 sancisce
che l’ufficio di docente, di direttore didattico, di preside, di ispettore
tecnico e di ogni altra categoria di personale prevista dallo stesso decreto
417 non è cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico. Lâ
۪esercizio di libere professioni, purch̩ non siano di pregiudizio allo
svolgimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano
compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio, rimane consentito
al personale docente previa autorizzazione del direttore didattico o del
preside. Avverso il diniego di autorizzazione è ammesso ricorso al
provveditore agli studi, che decide in via definitiva (art. 92).
Il titolo IV, che va dall’art. 94 all’art. 108, tratta la materia
disciplinare. Le sanzioni, descritte in quattro punti dalla censura alla
destituzione, possono essere inflitte al personale di cui allo stesso decreto. Per
il personale docente la censura, che costituisce il primo grado di sanzione
disciplinare, è costituita dall’avvertimento scritto consistente nel
richiamo all’osservanza dei propri doveri. Tale avvertimento è
declinato in una dichiarazione di biasimo scritta e motivata inflitta per
mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente o i
doveri di ufficio.
Le sanzioni disciplinari elencate nell’art. 94, oltre alla censura, sono
costituite da:
b) sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese;
c) sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese a sei
mesi;
c-bis) sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di
sei mesi e l’utilizzazione, trascorso il tempo di sospensione, per lo
svolgimento di compiti diversi da quelli inerenti alla funzione docente o
direttiva;
d) destituzione.
Il decreto, dopo aver trattato nel dettaglio le sanzioni previste nell’art. 94
e esplicitato le modalità di ricorso gerarchico contro i provvedimenti del
direttore didattico o del preside o del provveditore agli studi con cui vengono
irrogate sanzioni disciplinari nell’ambito delle rispettive competenze,
disciplina la materia della “cessazione del rapporto di servizio,
utilizzazione in altri compiti, restituzione e riammissioneâ€.
Con gli art. 119 e 120 vengono istituti rispettivamente:

il ruolo degli ispettori tecnici periferici che vengono assegnati, con


decreto del Ministro per la pubblica istruzione, a svolgere le proprie
funzioni nell’ambito di una regione o di una provincia, presso le
sovrintendenze scolastiche o gli uffici scolastici provinciali;
il ruolo dei presidi dei licei artistici e degli istituti d’arte. I direttori
degli istituti d’arte assumono la denominazione di presidi. A
entrambi si applicano, salva diversa disposizione, le norme sul
trattamento giuridico ed economico dei presidi degli istituti di
istruzione secondaria superiore.
2.1.4 D.P.R. n. 418/1974
Il decreto n. 418/1974 detta norme per la corresponsione di un compenso per
lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna,
elementare, secondaria ed artistica.

2.1.5 D.P.R. n. 419/1974


Il decreto n. 419/197415 si riferisce alla “sperimentazione e ricerca
educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi
istitutiâ€. Esso sancisce che la sperimentazione è intesa come ricerca e
realizzazione di innovazioni sul piano metodologico-didattico e che,
autorizzata dal collegio dei docenti dopo aver sentito il consiglio di circolo o
di istituto, è realizzata dai docenti previo parere dei consigli di interclasse o
di classe per le rispettive competenze.
Vengono istituiti gli IRRSAE, oggi soppressi, ovvero gli istituti di ricerca,
sperimentazione e aggiornamento educativi, nei capoluoghi di regione, sede
di ufficio scolastico regionale o interregionale. Sottoposti alla vigilanza del
Ministero della pubblica istruzione, avevano il compito di:
1) raccogliere, elaborare e diffondere la documentazione pedagogico-
didattica;
2) condurre studi e ricerche in campo educativo;
3) promuovere ed assistere l’attuazione di progetti di sperimentazione cui
collaborino più istituzioni scolastiche;
4) organizzare ed attuare iniziative di aggiornamento per il personale direttivo
e docente della scuola;
5) fornire consulenza tecnica sui progetti di sperimentazione e sui
programmi, sui metodi e sui servizi di aggiornamento culturale e
professionale dei docenti e collaborare all’attuazione delle relative
iniziative promosse a livello locale.
Gli istituti regionali si articolano in sezioni per la scuola materna, per la
scuola elementare, per la scuola secondaria di primo grado, per la scuola
secondaria di secondo grado e per l’istruzione artistica.
Il decreto, all’art. 12, istituisce il Centro europeo dell’educazione
(CEDE) che, avente personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia
amministrativa, ha il compito di curare la raccolta, l’elaborazione e la
diffusione della documentazione pedagogico-didattica italiana e straniera e
di condurre studi e ricerche sugli ordinamenti scolastici di altri Paesi con
particolare riguardo a quelli della Comunità europea e sull’attività in
campo educativo delle organizzazioni internazionali. Nel 1999, a norma della
Legge 59/1997, il CEDE verrà trasformato nell’Istituto Nazionale per la
valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI),
ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, con sede a
Roma. L’Invalsi, tra le altre funzioni, ha il compito di studiare e
predisporre strumenti e modalità oggettive di valutazione degli
apprendimenti e curare l’elaborazione e la diffusione dei risultati della
valutazione (Fonte: Invalsi.it).
Con l’art. 18 del D.P.R. 419/1974 vengono soppressi i centri didattici
nazionali e provinciali i cui beni, su proposta di una apposita commissione,
verranno devoluti al CEDE, alla biblioteca di documentazione pedagogica
(con sede in Firenze) ed ai singoli istituti.

2.1.6 D.P.R. n. 420/1974


Il decreto n. 420/1974 detta norme sullo stato giuridico del personale non
insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche.

1
Dal comunicato alla Presidenza del Senato del 9 luglio 2013, DDL
933/2013 (Norme per una nuova governance delle istituzioni scolastiche
autonome), del quale non si è mai iniziato l’esame.
2
Legge delega 30 luglio 1973, n. 477, “Delega al Governo per lâ
€™emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo,
ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria
e artistica dello Statoâ€.
3
Rizzi, R., La scuola dopo i decreti delegati, Roma, Ed. Riuniti, 1975, pag.
17-18.
4
Calzecchi Onesti, R., Gestione della scuola e partecipazione, giugno 1974,
pag. 398.
https://clmr.infoteca.it/bw5net/ShowFileAS.ashx?
Filename=IwNDLXrLT%20d86fddjq1guwjYICFZZAqw9/8JjPuB8ljRqnQ5s28GJ4VEYs
5
Legge 477/1973, art. 2, c. 1.
6
Rizzi, R., La scuola, cit, pag. 16.
7
Art. 4, c. 1. La libertà di insegnamento è tema da sempre indagato a
livello accademico – dottrinale e giurisprudenziale. Un aspetto del quale si
discute è se essa vada intesa nei termini di libertà individuale o libertÃ
dell’insieme degli appartenenti alla professione come corpo. Un
contributo interessante ci arriva dal Seminario nazionale dell’ADi del
novembre 2002 in cui è stata offerta la prospettiva secondo la quale
qualsiasi portatore di una conoscenza tecnica ha bisogno di un
riconoscimento/legittimazione da parte dei portatori di quella medesima
tecnica (uno è medico perché è riconosciuto tale dai medici). È
implicito che ogni tecnica si connota in una dimensione di gruppo sebbene le
due dimensioni siano strettamente correlate e non reciprocamente
escludentisi. Per una visione più estesa del tema consultare:
La libertà di insegnamento come garanzia del sistema pubblico dellâ
€™istruzione – Libertà e Servizio. Marzuoli, C., Testo della relazione
tenuta al Seminario nazionale dell’ADi, “Un nuovo stato giuridico per
la professione docenteâ€, svoltosi a Bologna il 30 novembre 2002.
8
Reguzzoni, M., La scuola come comunità , in Aggiornamenti Sociali,
(aprile) 1970, pp. 281-292, rubr. 31 – desunto da Rizzi, R., La scuola, cit.,
pag. 404.
9
Art. 6, c. 1.
10
D.P.R. 416/1974: Istituzione e riordinamento di organi collegiali della
scuola materna, elementare, secondaria ed artistica. (G.U. 13 settembre 1974,
n. 239).
11
“Modifiche al D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, concernente lâ
€™istituzione e il riordinamento di organi collegiali della scuola materna,
elementare, secondaria ed artisticaâ€.
12
Art. 25, c. 1.
13
Art. 25, c. 3.
14
D.P.R. 417/1974: Norme sullo stato giuridico del personale docente,
direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica
dello Stato.
15
D.P.R. 419/1974: Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento
culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti.

2.2 Legge delega 24 dicembre 1993, n. 537


L’art. 4, c. 1, della legge delega 24 dicembre 1993, n. 53716, collegato alla
finanziaria 1994, disvela il primo tentativo del legislatore di attribuire agli
istituti e alle scuole di ogni ordine e grado nonché alle istituzioni di alta
cultura di cui all’articolo 33 della Costituzione […] personalitÃ
giuridica conferendo loro autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di
ricerca e sviluppo. La legge intendeva allentare i vincoli centralistici del
sistema ampliando i margini dei poteri autonomi delle istituzioni scolastiche
rispetto a quelli dell’organizzazione statale e rafforzarli con lâ
€™attribuzione della personalità giuridica (che è chiaramente uno
strumento e non un fine17). La legge n. 537/199318 stabiliva che il consiglio di
circolo o di istituto elabora e adotta gli indirizzi generali, determina le forme
di autofinanziamento e approva il bilancio19; stabiliva inoltre che, per lâ
€™attuazione dell’autonomia scolastica e per il riassetto degli organi
collegiali, il Governo, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, era
delegato ad adottare uno o più decreti legislativi20. Tali decreti erano volti a
determinare i tempi di attuazione dell’autonomia, in relazione alla
definizione di un piano di razionalizzazione e di ridimensionamento degli
istituti e le scuole di ogni ordine e grado nonché le istituzioni di alta
cultura di cui all’articolo 33 della Costituzione da formulare anche sulla
base delle esigenze e delle proposte degli enti locali. Il predetto piano, avuto
riguardo all’età degli alunni, al numero degli handicappati inseriti, alle
zone definite a rischio per problemi di devianza giovanile e minorile, terrÃ
in specifica considerazione la necessità e i disagi che possono determinarsi
in relazione ad esigenze locali, particolarmente nelle comunità e zone
montane e nelle piccole isole21.
Malgrado la decadenza della delega conferita al Governo, è innegabile
come la legge 537/1993 avesse tracciato il solco di un processo che, di lì a
pochi anni, avrebbe radicalmente svecchiato il mondo della scuola; inoltre, la
volontà del legislatore di conferire personalità giuridica agli istituti e alle
scuole di ogni ordine e grado, segnava una attenzione istituzionale volta a
una più larga apertura delle istituzioni scolastiche al nuovo corso sociale.
Nonostante il mancato esercizio della delega, i princìpi essenziali della
legge di delega (attribuzione della personalità giuridica a tutti gli istituti di
istruzione e autonomia da esercitare nei campi organizzativo, finanziario,
didattico, di ricerca e di sviluppo22) furono richiamati dal comma 3 dellâ
€™art. 26 del T.U., oggi abrogato ex D.P.R. 8-3-1999, n. 27523.
2.2.1 Legge 15 marzo 1997, n. 59
Il 17 marzo 1997, nella Gazzetta Ufficiale n. 6324, veniva pubblicata la Legge
15 marzo 1997, n. 5925. L’art. 21, ai sensi del quale verrà in seguito
elaborato il “Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle
istituzioni scolastiche†(D.P.R. n. 275/1999), è l’articolo di legge che
introduce l’autonomia delle istituzioni scolastiche nel nostro
ordinamento attribuendo personalità giuridica e autonomia a tutte le scuole
nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dellâ
€™intero sistema formativo. Allo scopo di realizzare il processo di
autonomia delle istituzioni scolastiche, fermi restando i livelli unitari e
nazionali di fruizione del diritto allo studio, la legge operava una devoluzione
delle funzioni dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica
istruzione, in materia di gestione del servizio di istruzione, alle istituzioni
scolastiche. A tal fine, era estesa anche ai circoli didattici, alle scuole medie,
alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, la personalità giuridica
degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte ampliando lâ
€™autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga
alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato26. La legge segnava
dunque l’esplicito intendimento del legislatore di una riorganizzazione
dell’intero sistema formativo ben lontana dai vincoli del centralismo
statale. Il conferimento della personalità giuridica e della autonomia alle
istituzioni scolastiche era subordinato al raggiungimento di requisiti
dimensionali attraverso piani di dimensionamento della rete scolastica, da
attuarsi non oltre il 31 dicembre 200027.
La dotazione finanziaria essenziale delle istituzioni scolastiche già in
possesso di personalità giuridica e di quelle che l’acquistano ai sensi
del comma 4 è costituita dall’assegnazione dello Stato per il
funzionamento amministrativo e didattico, che si suddivide in assegnazione
ordinaria e assegnazione perequativa28. La dotazione finanziaria permette
dunque alle istituzioni scolastiche il loro funzionamento amministrativo e
didattico. Tale dotazione finanziaria è attribuita senza altro vincolo di
destinazione che quello dell’utilizzazione prioritaria per lo svolgimento
delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di
ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola29. La stessa dotazione
ordinaria […] è spesa obbligatoria ed è rivalutata annualmente sulla
base del tasso di inflazione programmata30.
L’entità della dotazione ordinaria delle singole scuole è stabilita dal
D.M. n. 21 del 1° marzo 2007 che, all’art. 1, stabilisce che le somme
iscritte nel “Fondo per le competenze dovute al personale delle istituzioni
scolastiche, con esclusione delle spese per stipendi del personale a tempo
indeterminato e determinato†del Ministero della pubblica istruzione e le
somme del “Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolasticheâ€,
confluiscono, a decorrere dall’anno 2007, nella dotazione finanziaria
annuale delle istituzioni scolastiche statali autonome e delle scuole annesse ai
convitti ed agli educandati, sulla base dei criteri e parametri di cui al decreto
stesso. Le risorse riferite al “Fondo per il funzionamento delle istituzioni
scolastiche†sono determinate, per ciascuna istituzione scolastica, sulla base
di criteri che tengono conto della tipologia dell’istituzione scolastica,
della consistenza numerica degli alunni, del numero degli alunni
diversamente abili, del numero di plessi e sedi in cui si articola la scuola oltre
la sede principale, dal numero delle classi terminali31.
La dotazione perequativa è costituita dalle disponibilità finanziarie residue
sui capitoli di bilancio riferiti alle istituzioni scolastiche non assorbite dalla
dotazione ordinaria. La dotazione perequativa è rideterminata annualmente
sulla base del tasso di inflazione programmata e di parametri socio-
economici e ambientali individuati di concerto dai Ministri della pubblica
istruzione e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica,
sentito il parere delle Commissioni parlamentari competenti32. Nellâ
€™esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica le istituzioni
scolastiche realizzano, sia singolarmente che in forme consorziate,
ampliamenti dell’offerta formativa che prevedano anche percorsi
formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell’abbandono e della
dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle
tecnologie anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del
lavoro, iniziative di partecipazione a programmi nazionali, regionali o
comunitari e, nell’ambito di accordi tra le regioni e lâ
€™amministrazione scolastica, percorsi integrati tra diversi sistemi
formativi33.
La legge n. 59/1997 disciplina altresì l’autonomia organizzativa e i
criteri di attuazione dell’autonomia didattica.
L’autonomia organizzativa è pensata come realizzazione della
flessibilità , della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del
servizio scolastico, e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si
esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di
unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle
modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di
ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e
temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a
livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di
cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di
servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti
invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita
programmazione plurisettimanale.
L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi
generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di
insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del
diritto ad apprendere. Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di
metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare
nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni
iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa lâ
€™eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel
rispetto delle esigenze formative degli studenti. A tal fine, sulla base di
quanto disposto dall’articolo 1, c. 71, della legge n. 662/1996, sono
definiti criteri per la determinazione degli organici funzionali di istituto,
fermi restando il monte annuale orario complessivo previsto per ciascun
curriculum e quello previsto per ciascuna delle discipline ed attività indicate
come fondamentali di ciascun tipo o indirizzo di studi e l’obbligo di
adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttivitÃ
scolastica e del raggiungimento degli obiettivi.
Nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica le istituzioni
scolastiche realizzano, sia singolarmente che in forme consorziate,
ampliamenti dell’offerta formativa che prevedano anche percorsi
formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell’abbandono e della
dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle
tecnologie anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del
lavoro, iniziative di partecipazione a programmi nazionali, regionali o
comunitari e, nell’ambito di accordi tra le regioni e l’amministrazione
scolastica, percorsi integrati tra diversi sistemi formativi. Le istituzioni
scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e
sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell’autonomia didattica e
organizzativa34.
È bene precisare che l’autonomia, intesa come possibilità di effettuare
da sé le proprie scelte, non significa libertà assoluta di agire ad libitum.
L’autonomia, infatti, è un concetto relazionale, nel senso che si è
autonomi nei confronti di qualcuno o di qualcosa. Essa implica il concetto di
limite35. Il richiamo alla libertà di scelta educativa e di insegnamento disvela
quanto già sancito in ambito costituzionale, e la legge, pur definendo da
subito che gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in
materia di gestione e programmazione sono definiti dallo Stato36, offre
orizzonti nuovi al mondo della scuola, come in passato fortemente richiesto
dalle piazze sessantottine.
A norma dell’art. 21 della legge 59/1997 negli anni sono stati approvati
molteplici provvedimenti volti al consolidamento di tutti quei processi
afferenti all’autonomia scolastica nel più ampio contesto di devoluzione
delle funzioni dello Stato alle istituzioni scolastiche. Il prosieguo della
presente narrazione è volto dunque ad analizzare alcune tra le tappe più
significative della produzione normativa di pertinenza del volume.

2.2.2 D.Lgs. 6 marzo 1998, n. 59


Il D.Lgs. 59/199837 istituisce la qualifica dirigenziale dei capi di istituto
preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita
personalità giuridica ed autonomia a norma dell’articolo 21 della legge
15 marzo 1997, n. 59, della quale è decreto attuativo. Al dirigente viene
conferita la gestione unitaria dell’istituzione di cui ha la legale
rappresentanza ed è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e
strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli
organi collegiali scolastici esercita autonomi poteri di direzione, di
coordinamento, di valorizzazione delle risorse umane ed è chiamato ad
organizzare l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di
efficacia formative. Nell’ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni
scolastiche, spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione
delle risorse e del personale. Nello svolgimento delle proprie funzioni
organizzative e amministrative, il dirigente può avvalersi di docenti da lui
individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è
coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia
operativa, nell’ambito delle direttive di massima impartite e degli
obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dellâ
€™istituzione scolastica, coordinando il relativo personale. Il dirigente
presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto
motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attivitÃ
formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia
informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze
degli organi della istituzione scolastica38.

2.2.3 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112


Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 11239, attuativo della legge delega 59/1997, tratta
del trasferimento di funzioni e compiti amministrativi alle regioni, alle
province, ai comuni, alle comunità montane o ad altri enti locali, prima
della riforma costituzionale del Titolo V (ad opera della L. Cost. 3/2001). Lâ
€™istruzione è ricompresa al Titolo IV, Capo III che, all’art. 135, ha
come oggetto la programmazione e la gestione amministrativa del servizio
scolastico.
Pur consigliandone una lettura complessiva, forniamo un sunto degli articoli
137, 138 e 139 che rispettivamente trattano delle competenze dello Stato,
delle deleghe alle regioni e dei trasferimenti alle province ed ai comuni.
Competenze dello Stato40:
Restano allo Stato i compiti e le funzioni concernenti i criteri e i parametri
per l’organizzazione della rete scolastica, le funzioni di valutazione del
sistema scolastico e le funzioni relative alla determinazione e allâ
€™assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e
del personale alle istituzioni scolastiche.
Deleghe alle regioni41:
Sono delegate alle regioni:
a) la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e
formazione professionale;
b) la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di
risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani
provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla
lettera a);
c) la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati,
del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dellâ
€™offerta formativa;
d) la determinazione del calendario scolastico;
e) i contributi alle scuole non statali;
f) le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito delle
funzioni conferite.
Le deleghe non riguardano le funzioni relative ai conservatori di musica, alle
accademie di belle arti, agli istituti superiori per le industrie artistiche, allâ
€™accademia nazionale d’arte drammatica, all’accademia nazionale
di danza, nonché alle scuole ed alle istituzioni culturali straniere in Italia.
Trasferimenti alle province ed ai comuni42:
Sono attribuiti alle province, in relazione all’istruzione secondaria
superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i
compiti e le funzioni concernenti:
a) l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole
in attuazione degli strumenti di programmazione;
b) la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni
scolastiche;
c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni
con handicap o in situazione di svantaggio;
d) il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, dâ
€™intesa con le istituzioni scolastiche;
e) la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti;
f) le iniziative e le attività di promozione relative all’ambito delle
funzioni conferite;
g) la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento,
sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale.
I comuni, anche in collaborazione con le comunità montane e le province,
ciascuno in relazione ai gradi di istruzione di propria competenza, esercitano,
anche d’intesa con le istituzioni scolastiche, iniziative relative a:
a) educazione degli adulti;
b) interventi integrati di orientamento scolastico e professionale;
c) azioni tese a realizzare le pari opportunità di istruzione;
d) azioni di supporto tese a promuovere e sostenere la coerenza e la
continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola;
e) interventi perequativi;
f) interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di
educazione alla salute.

2.2.4 D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233


Il decreto n. 233/199843 esordisce affermando che il raggiungimento delle
dimensioni ottimali delle istituzioni scolastiche ha la finalità di garantire
l’efficace esercizio dell’autonomia prevista dall’articolo 21 della
legge n. 59/1997. I parametri di tale dimensionamento, normati dal decreto in
parola, furono stabiliti per dare stabilità nel tempo alle stesse istituzioni e
per offrire alle comunità locali una pluralità di scelte che agevolassero lâ
€™esercizio del diritto all’istruzione. Il dimensionamento era altresì
finalizzato al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici
programmati, con l’ulteriore finalità di assicurare alle istituzioni
scolastiche la necessaria capacità di confronto con gli enti locali e le
istituzioni del proprio territorio44. Tali parametri sono contenuti all’art. 2,
c. 1, il quale sanciva che l’autonomia amministrativa, organizzativa,
didattica e di ricerca e progettazione educativa, veniva riconosciuta alle
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado che raggiungessero dimensioni
idonee a garantire l’equilibrio ottimale tra domanda di istruzione e
organizzazione dell’offerta formativa, e al comma 2 stabiliva che per
acquisire o mantenere la personalità giuridica, gli istituti di istruzione
dovessero avere, di norma, una popolazione consolidata e prevedibilmente
stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni.
Nelle piccole isole, nei comuni montani, nonché nelle aree geografiche
contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, questi parametri di
riferimento potevano essere ridotti fino a 300 alunni per gli istituti
comprensivi di scuola materna, elementare e media, o per gli istituti di
istruzione secondaria superiore. Era altresì consentito superare l’indice
massimo nelle aree ad alta densità demografica. Le singole scuole che non
raggiungessero gli indici di riferimento sopra indicati, erano unificate
orizzontalmente con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo
ambito territoriale o verticalmente in istituti comprensivi, a seconda delle
esigenze educative del territorio e nel rispetto della progettualitÃ
territoriale45.

16
“Interventi correttivi di finanza pubblicaâ€.
17
D’Amore, G., Scala, S., Commento al Testo Unico delle disposizioni
vigenti in materia di istruzione, Roma, Ed. SEAM, 1996, pag. 52.
18
Approvata durante la Presidenza del Consiglio di Carlo Azeglio Ciampi,
con Rosa Iervolino Russo ministro della Pubblica istruzione.
19
Art. 4, c. 2.
20
Art. 4, c. 6.
21
Art. 4, c. 7, lettera a).
22
D’Amore, G., Scala, S., Commento al Testo Unico, cit. pag. 51.
23
Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle istituzioni
scolastiche, ai sensi dell’art. 21, della legge 15 marzo 1997, n. 59.
24
Governo di Romano Prodi con Luigi Berlinguer ministro dellâ
€™istruzione e Franco Bassanini ministro per la funzione pubblica e affari
regionali.
25
“Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativaâ€.
26
Legge 59/1997, Capo IV, art. 21, c. 1.
27
Art. 21, c. 4. I requisiti dimensionali erano elencati nel D.P.R. 18 giugno
1998, n. 233 secondo cui, per acquisire o mantenere la personalità giuridica,
gli istituti di istruzione dovevano avere, di norma, una popolazione
consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa
tra 500 e 900 alunni. Il decreto prevedeva ulteriori requisiti dimensionali che
riguardavano le piccole isole, i comuni montani, nonché le aree
geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche (lâ
€™argomento verrà trattato più approfonditamente in seguito).
28
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 5, come modificato ex art. 2, c. 3,
D.L. 28-8-2000, n. 240 conv., con modif., in L. 27-10-2000, n. 306.
29
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 5, come modificato ex art. 2, c. 3,
D.L. 28-8-2000, n. 240 conv., con modif., in L. 27-10-2000, n. 306.
30
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 5, come modificato ex art. 2, c. 3,
D.L. 28-8-2000, n. 240 conv., con modif., in L. 27-10-2000, n. 306.
31
D.M. n. 21 del 1° marzo 2007, art. 3, come modificato dal D.M. n. 834
del 15 ottobre 2015, art. 1. Lo stesso D.M. n. 834, all’art. 1, c. 2, dispone
che alle istituzioni scolastiche possono essere assegnati, per esigenze
straordinarie, previa valutazione degli Uffici Scolastici Regionali e delle
risorse disponibili […] finanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli determinati
sulla base dei parametri indicati nel presente decreto. I nuovi criteri e
parametri sono adottati a partire dall’anno scolastico 2016/2017.
32
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 5, come modificato ex art. 2, c. 3,
D.L. 28-8-2000, n. 240 conv., con modif., in L. 27-10-2000, n. 306.
33
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 10.
34
Legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, c. 10.
35
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè editore, Milano, 2012,
pag. 81.
36
Art. 21, c. 1.
37
Decreto Legislativo 6 marzo 1998, n. 59, “Disciplina della qualifica
dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome, a norma
dell’articolo 21, comma 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59â€.
38
Decreto Legislativo 6 marzo 1998, n. 59, art. 1, commi da 1 a 6.
39
“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n. 59â€.
40
Art. 137.
41
Art. 138.
42
Art. 139.
43
“Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle
istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei
singoli istituti, a norma dell’art. 21 Legge n. 59 del 16.07.97â€.
44
D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, art. 1, commi 1, 2 e 3.

2.3 Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e D.P.R. 20


marzo 2009, n. 81
Il Decreto legge n. 112/200846 si inserisce nell’ambito del contenimento
della spesa pubblica voluto dall’allora Ministro dell’economia e delle
finanze Tremonti. Con l’art. 64 il decreto dettava disposizioni in materia
di organizzazione scolastica predisponendo un piano programmatico di
interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle
risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore
efficacia ed efficienza al sistema scolastico. La delega contenuta nel decreto
n. 112/2008, ed esercitata con il D.P.R. n. 81/200947, disponeva che dallâ
€™attuazione del dimensionamento della rete scolastica e dei punti di
erogazione del servizio doveva conseguire una economia di spesa non
inferiore a 85 ml di euro entro l’anno scolastico 2011/2012.

2.4 D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito nella L. 15


luglio 2011, n. 111
L’obiettivo atteso del decreto 81/2009, inizialmente stimato in una
riduzione di 700 istituzioni scolastiche fu raggiunto solo in parte. Successivi
interventi normativi hanno perciò riproposto la razionalizzazione della spesa
relativa all’organizzazione scolastica disponendo che48: a decorrere dallâ
€™anno scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia, la scuola primaria
e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi,
con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome
costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I
grado.
Inoltre, gli istituti comprensivi per acquisire l’autonomia devono essere
costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle
piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da
specificità linguistiche.
Il comma 4 con il quale era stata disposta la suddetta aggregazione è stato in
seguito dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte
costituzionale 7 giugno 2012, n. 14749. L’illegittimità costituzionale
riguardava il conflitto tra le competenze dello Stato e le attribuzioni delle
Regioni in tema di programmazione, sul piano regionale, della rete
scolastica, sulla base dei piani provinciali, come sancito dall’art. 138 del
Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 11250. La sentenza, intervenuta a
seguito di ricorso presentato da ben sette Regioni, riconoscendo lâ
€™incostituzionalità della disposizione, confermava la programmazione del
dimensionamento della rete scolastica come funzione della Regione sulla
base dei piani provinciali. A sanare il contenzioso, si intervenne con la Legge
8 novembre 2013, n. 12851, di conversione del decreto-legge 12 settembre
2013, n. 104, che all’art. 12 stabiliva che a decorrere dall’anno
scolastico 2014-2015, i criteri per la definizione del contingente organico dei
dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi […]
sono definiti con decreto avente natura non regolamentare, del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca previo accordo in
sede di Conferenza unificata […]. Le Regioni provvedono autonomamente al
dimensionamento scolastico sulla base dell’accordo in sede di
Conferenza unificata52.

45
D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, art. 2, commi 1, 2, 3, 5.
46
“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività , la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
Tributariaâ€.
47
Decreto Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 “Norme per
la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle
risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133.
48
Tale processo di razionalizzazione fu disposto con il comma 4, art. 19, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla L. 15
luglio 2011, n. 111.

2.5 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento


recante norme in materia di Autonomia delle
istituzioni scolastiche)
Con il Regolamento n. 275/1999 si scrive una delle pagine maggiormente
significative nel lungo percorso normativo di disciplina dell’autonomia
scolastica.
Il Regolamento dell’Autonomia è la traduzione operativa dell’art.
21 della legge 59/1997 e detta la disciplina generale dell’autonomia delle
istituzioni scolastiche, individua le funzioni ad esse trasferite e sancisce che
le stesse istituzioni provvedano alla definizione e realizzazione dellâ
€™offerta formativa53. Il Regolamento conferisce alle istituzioni scolastiche
la possibilità di costruire percorsi formativi funzionali alla realizzazione del
diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, attraverso la
definizione di precisi ambiti di intervento organizzativo54; definisce lâ
€™autonomia didattica delle scuole quale garanzia di libertà di
insegnamento e di pluralismo culturale e si applica alle istituzioni scolastiche
a decorrere dal 1° settembre 200055 (art. 2, c. 2).
Il Regolamento tratta specificamente dell’autonomia didattica,
organizzativa e dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e
sviluppo56. L’applicazione di queste norme è di diretta competenza
della scuola che vi dà attuazione con criteri di flessibilità , nel rispetto della
libertà di scelta educativa delle famiglie e, comunque, riconoscendo e
valorizzando le diversità , promuovendo le potenzialità di ciascun alunno, e
adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo.
L’autonomia scolastica, secondo l’Atto di indirizzo per la riforma del
primo ciclo (8 settembre 2009) si configura come un articolato dispositivo di
mezzi, di opportunità e di risorse per raggiungere l’obiettivo prioritario
del successo scolastico delle giovani generazioni. In coerenza con gli
obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione e nel rispetto della
libertà di insegnamento, delle scelte educative e formative dei genitori e del
diritto ad apprendere degli studenti, l’autonomia è lo strumento e la
risorsa attraverso cui adottare metodi di lavoro, tempi di insegnamento,
soluzioni funzionali alla realizzazione dei piani dell’offerta formativa e
alle esigenze e vocazioni di ciascun alunno. L’autonomia organizzativa
consente di dare al servizio scolastico flessibilità , diversificazione,
efficienza ed efficacia e di realizzare l’integrazione e il miglior utilizzo
delle risorse e delle strutture, anche attraverso l’introduzione e la
diffusione di tecnologie innovative. Il Regolamento, oltre a dettare criteri e
modalità per l’autonomia didattica, organizzativa e gestionale, dÃ
indicazioni su come ciascuna istituzione scolastica deve definire il proprio
Piano dell’Offerta Formativa (oggi PTOF) 57.
Il Regolamento, alla luce dell’autonomia didattica delle istituzioni
scolastiche, consente una diversa regolazione dei tempi dellâ
€™insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività .
Consente dunque alle scuole di adottare tutte le forme di flessibilità che
ritengono opportune, ovvero l’articolazione modulare del monte ore
annuale di ciascuna disciplina e attività , la definizione di unità di
insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione, lâ
€™attivazione di percorsi didattici individualizzati, l’articolazione
modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da
diversi anni di corso, l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti
disciplinari58.
Nell’ambito dell’autonomia didattica, agli alunni possono essere
assicurati percorsi formativi anche sulla base dei loro interessi coinvolgendo
più discipline e attività nonché insegnamenti in lingua straniera (art. 4,
c. 3).
Nell’esercizio della autonomia didattica le istituzioni scolastiche
assicurano comunque la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di
continuità e di orientamento scolastico e professionale; individuano inoltre
le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa
nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle
istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati (c. 4); provvedono alla
scelta, adozione e utilizzazione delle metodologie e degli strumenti didattici,
ivi compresi i libri di testo, coerenti con il Piano dell’offerta formativa (c.
5); individuano i criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei
debiti scolastici riferiti ai percorsi dei singoli alunni; sono altresì
individuati i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi relativi alle
attività realizzate nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta
formativa o liberamente effettuate dagli alunni e debitamente accertate o
certificate (c. 6); provvedono al riconoscimento reciproco dei crediti tra
diversi sistemi formativi e la relativa certificazione effettuati ai sensi della
disciplina di cui all’articolo 17 della legge 24 giugno 1997 n. 196, fermo
restando il valore legale dei titoli di studio previsti dall’attuale
ordinamento (c. 7).
Per quanto attiene all’autonomia organizzativa, essa è finalizzata alla
realizzazione della flessibilità , della diversificazione, dell’efficienza e
dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior
utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie
innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. L’autonomia
organizzativa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli
in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo
classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo
finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche,
materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale
previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non
meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali
di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere
assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di unâ
€™apposita programmazione plurisettimanale. Nell’art. 5 del
Regolamento, che riprende le norme afferenti all’autonomia
organizzativa fin qui espresse della legge 59/1997, il legislatore, per quanto
riguarda l’impiego dei docenti, sancisce che le istituzioni scolastiche
adottano ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertÃ
progettuale e sia coerente con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo
e indirizzo di studi.

2.5.1 Definizione dei curricoli


Il Regolamento dell’Autonomia, all’art. 8, sancisce che la definizione
dei curricoli59 è disciplina di competenza del Ministro della pubblica
istruzione il quale, previo parere delle competenti commissioni parlamentari e
sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, definisce sia gli
obiettivi generali del processo formativo, sia gli obiettivi specifici di
apprendimento relativi alle competenze degli alunni. Definisce altresì le
discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli, il
relativo monte ore annuale e l’orario obbligatorio annuale complessivo
dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota
obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche. Rientrano in tali competenze
i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e
attività della quota nazionale del curricolo e i criteri generali per lâ
€™organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione
permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di
istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-
città ed autonomie locali60. Di converso, è di competenza delle istituzioni
scolastiche determinare nel Piano dell’offerta formativa (oggi Piano
Triennale dell’Offerta Formativa) il curricolo obbligatorio per i propri
alunni in modo da integrare la quota definita a livello nazionale con la quota
loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente
scelte (D.P.R. 275/1999, art. 8, c. 2).

49
Sentenza nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 19,
comma 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15
luglio 2011, n. 111, promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna,
Liguria, Umbria, dalla Regione siciliana, e dalle Regioni Puglia e Basilicata,
con ricorsi notificati il 12-14 e il 13 settembre 2011.
50
“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n. 59â€.
51
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre
2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e
ricerca.
52
Prevista dall’art. 8 del Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni.
53
D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, artt. 1 e 2.
54
Decreto R.0000039 del 26-06-2020, “Documento per la pianificazione
delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del
Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021â€.
55
RITENUTO di dover approvare in via transitoria un programma nazionale
di sperimentazione che consenta alle istituzioni scolastiche di sviluppare
gradualmente capacità di autorganizzazione tali da consentire loro di
prepararsi al passaggio dal vigente ordinamento a quello configurato dallâ
€™art. 21 della L. 15.3.97, n. 59, la cui attuazione avverrà con lâ
€™emanazione dei regolamenti ivi previsti, fino a tale data (1° settembre
2000), trova applicazione il D.M. n. 251 del 29 maggio 1998.
56
Rispettivamente agli articoli 4, 5 e 6.
57
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
Autonomia scolastica, archivio.
58
Art. 4, c. 2.
59
A norma dell’articolo 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.
297.
2.6 D.Lgs. 30 giugno 1999, n. 233
Il 10 febbraio 1999, la 7° Commissione della Camera approvava le â
€œDisposizioni in materia di organi collegiali della scuola dellâ
€™autonomiaâ€; l’approvazione del disegno di legge ebbe solo
parzialmente seguito poiché portò alla rivisitazione dei soli organi
collegiali territoriali della scuola ad opera del D.Lgs. 30 giugno 1999, n.
23361.
Il decreto, all’art. 1, c. 2, prevedeva:
a) a livello centrale, il Consiglio superiore della pubblica istruzione62;
b) a livello regionale, i Consigli regionali dell’istruzione;
c) a livello locale, i Consigli scolastici locali.
Il Consiglio superiore della pubblica istruzione è organo di garanzia dellâ
€™unitarietà del sistema nazionale dell’istruzione, formula proposte ed
esprime pareri obbligatori sugli indirizzi in materia di definizione delle
politiche del personale della scuola e sulle direttive del Ministro della
pubblica istruzione in materia di valutazione del sistema dell’istruzione.
Si esprime inoltre sugli obiettivi, indirizzi e standard del sistema di istruzione
definiti a livello nazionale nonché sulla quota nazionale dei curricoli dei
diversi tipi e indirizzi di studio e sull’organizzazione generale dellâ
€™istruzione.
Il decreto sancisce inoltre che il Consiglio si pronunci sulle materie che il
Ministro ritenga di sottoporgli. È composto da 36 membri di cui:
a) quindici sono eletti dalla componente elettiva che rappresenta il personale
delle scuole statali;
b) quindici sono nominati dal Ministro tra esponenti significativi dei mondo
della cultura, dell’arte, della scuola, dell’Università , del lavoro,
delle professioni e dell’industria, dell’associazionismo
professionale, che assicurino il più ampio pluralismo culturale;
c) tre sono eletti rispettivamente uno dalle scuole di lingua tedesca, uno dalle
scuole di lingua slovena ed uno dalle scuole della Valle d’Aosta;
d) tre sono nominati dal Ministro in rappresentanza delle scuole pareggiate,
parificate e legalmente riconosciute e delle scuole dipendenti dagli enti
locali, tra quelli designati dalle rispettive associazioni.
Il Consiglio superiore della pubblica istruzione dura in carica cinque anni. Il
Consiglio elegge nel suo seno, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il
presidente; qualora nella prima votazione non si raggiunga la predetta
maggioranza il presidente è eletto a maggioranza relativa dei votanti.

60
Con Decreto Ministeriale 26 giugno 2000, n. 234, il Ministro della
Pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e
della Programmazione economica, CONSIDERATO che, con effetto dal 1°
settembre 2000, la disciplina dell’autonomia si applica a tutte le
istituzioni scolastiche e che, a decorrere dalla stessa data, occorre dare
attuazione all’articolo 8 del citato regolamento (ovvero D.P.R.
275/1999); RITENUTO necessario assicurare alle scuole flessibilitÃ
organizzativa e didattica secondo i principi dell’autonomia; ADOTTA il
“Regolamento, recante norme in materia di curricoli nell’autonomia
delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 8 del decreto del
Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275â€. Per completezza, si
segnalano anche i susseguenti D.M. 28 dicembre 2005 e D.M. 13 giugno
2006, n. 47.
61
“Riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, a norma dellâ
€™articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59â€.
62
Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, costituito con decreto del
Ministro del 31 dicembre 2015, n. 980, garantisce, a livello centrale,
rappresentanza e partecipazione alle diverse componenti della scuola. Le
tematiche da sottoporre al Consiglio sono determinate dal Presidente, sentito
l’Ufficio di Presidenza, o proposte da almeno cinque Consiglieri vincolati
all’approvazione del Consiglio stesso. Il Consiglio Superiore della
Pubblica Istruzione sostituisce il C.N.P.I. (Consiglio Nazionale della
Pubblica Istruzione) istituito a norma del decreto del Presidente della
Repubblica 31 maggio 1974, n. 416. Informazioni desunte da: Ministero dellâ
€™Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Home» Istruzione»
Direzioni Generali» D.G. Ordinamenti» Pareri CNPI.

2.7 D.Lgs. 20 luglio 1999, n. 258 - INVALSI


L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione
(INVALSI) è l’Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto
pubblico, nato dalla trasformazione del Centro europeo dell’educazione.
Istituito dal D.Lgs. 258/199963, attuativo della delega prevista dallâ
۪articolo 11 della legge n. 59/1997, ̬ dotato di autonomia
amministrativa, contabile e finanziaria, valuta l’efficienza e lâ
€™efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso, inquadrando la
valutazione nazionale nel contesto internazionale. Inoltre, fornisce assistenza
tecnica all’amministrazione per la realizzazione di autonome iniziative di
valutazione e supporto alle singole istituzioni scolastiche. L’INVALSI è
soggetto alla vigilanza del Ministero dell’Istruzione che individua le
priorità strategiche delle quali l’Istituto tiene conto per programmare la
propria attività . A supporto delle proprie attività istituzionali, lâ
€™INVALSI si avvale della Biblioteca che cura la raccolta di materiale
bibliografico nell’ambito delle scienze dell’educazione, con una
particolare attenzione agli aspetti della valutazione. Parte integrante della
Biblioteca è l’emeroteca, con una ricca collezione di riviste
specialistiche ed un posseduto storico di rilievo nazionale. Organi dellâ
€™Invalsi, che ha sede a Roma, sono:
a) il Presidente;
b) il Consiglio di amministrazione;
c) il Consiglio scientifico;
d) il Collegio dei revisori dei conti.
L’Istituto promuove il miglioramento dei livelli di istruzione e della
qualità del capitale umano, contribuendo allo sviluppo e alla crescita del
Sistema d’Istruzione, motore di crescita dell’economia italiana e
promotore di equità sociale. L’INVALSI, tra i suoi compiti, promuove
la collaborazione con gli altri enti di ricerca, le amministrazioni pubbliche, le
regioni, gli enti locali, le strutture universitarie e il mondo dell’impresa64.

63
Decreto Legislativo 20 luglio 1999, n. 258, “Riordino del Centro
europeo dell’educazione, della biblioteca di documentazione pedagogica
e trasformazione in Fondazione del museo nazionale della scienza e della
tecnica ‘Leonardo da Vinci’, a norma dell’articolo 11 della legge
15 marzo 1997, n. 59â€.

2.8 D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300


Il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 30065 detta norme per la razionalizzazione, il
riordino, la soppressione e la fusione di ministeri, l’istituzione di
agenzie, il riordino dell’amministrazione periferica dello Stato.
Nella fattispecie: all’art. 49 si istituiva il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca66; l’art. 50 disciplinava le aree
funzionali del Ministero; l’art. 75 dettava disposizioni particolari per lâ
€™area dell’istruzione non universitaria; l’art. 76 riordinava gli
istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi.

2.9 D.I. 1° febbraio 2001, n. 44 abrogato e


sostituito dal D.M. 28-8-2018, n. 129
Il D.M. 28-8-2018, n. 12967, dal 1° gennaio 2019, ha abrogato e sostituito il
D.I. 44/200168, dettando i principi e le istruzioni generali sulla gestione
amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche cui è stata attribuita
personalità giuridica ed autonomia. Dispone che le risorse assegnate dallo
Stato, costituenti la dotazione finanziaria di istituto, sono utilizzate senza
altro vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimento delle
attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie dellâ
€™istituzione interessata, come previste ed organizzate nel piano triennale
dell’offerta formativa. L’unitaÌ€ temporale della gestione eÌ€ lâ
€™anno finanziario che comincia il 1° gennaio e termina il 31 dicembre
dello stesso anno. La gestione finanziaria ed amministrativo-contabile delle
istituzioni scolastiche si esprime in termini di competenza, è improntata a
criteri di efficacia, efficienza ed economicità , e si conforma ai principi di
trasparenza, annualità , universalità , integrità , unità, veridicità ,
chiarezza, pareggio, armonizzazione, confrontabilità e monitoraggio,
rientrando a pieno titolo nella devoluzione di competenze alle scuole nel
quadro complessivo dell’autonomia scolastica. La gestione finanziaria
delle istituzioni scolastiche si svolge in base al programma annuale redatto in
termini di competenza ed in coerenza con le previsioni del P.T.O.F. Le
istituzioni scolastiche, sempre che non si tratti di finanziamenti vincolati a
specifiche destinazioni, provvedono altresì all’autonoma allocazione
delle risorse finanziarie derivanti:
a) da finanziamenti dell’Unione europea;
b) da altri finanziamenti dello Stato;
c) da finanziamenti delle regioni, di Enti locali o di altri Enti pubblici;
d) da finanziamenti di Enti o altri soggetti privati;
e) da entrate proprie.
Nell’ambito delle funzioni di direzione, gestione, organizzazione,
coordinamento e valorizzazione delle risorse umane e nel rispetto degli
organi collegiali, il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dellâ
€™istituzione scolastica ed eÌ€ responsabile della gestione delle risorse
finanziarie e strumentali e dei relativi risultati.

64
Fonte: INVALSI, Statuto, ai sensi del decreto legislativo 25 novembre
2016, n. 218, articoli 3, 4 e 19.
65
“Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dellâ
€™articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59â€, come modificato dallâ
€™articolo 1 della legge 16 giugno 1998, n. 191 e dall’articolo 9 della
legge 8 marzo 1999, n. 50
66
Con decreto-legge 9 gennaio 2020, n. 1 Disposizioni urgenti per lâ
€™istituzione del Ministero dell’istruzione e del Ministero dellâ
€™università e della ricerca (GU n. 6 del 9-1-2020) all’art. 1: “Sono
istituiti il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell’università e
della ricerca ed è conseguentemente soppresso il Ministero dellâ
€™istruzione dell’università e della ricercaâ€. Il decreto è stato
convertito nella Legge 5 marzo 2020, n. 12, “Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 9 gennaio 2020, n. 1, recante disposizioni
urgenti per l’istituzione del Ministero dell’istruzione e del Ministero
dell’università e della ricercaâ€, entrata in vigore il 10 marzo 2020.
67
“Regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-
contabile delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 1, comma 143,
della legge 13 luglio 2015, n. 107.
68
D.I. emanato a norma dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e
del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1998, n. 233.

2.10 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 -


Modifiche al Titolo V della Parte seconda della
Costituzione
Il 24 ottobre 2001, nella G.U. n. 248, veniva pubblicata la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante: Modifiche al Titolo V della
Parte seconda della Costituzione, in attuazione dell’art. 5 cost69.
La nuova formulazione dell’art. 117 sancisce che la potestà legislativa
è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali. Nell’ambito della suddivisione della potestÃ
legislativa tra lo Stato e le Regioni, l’art. 117 riserva allo Stato la
legislazione esclusiva su una serie di materie70: politica estera e rapporti
internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea;
ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici
nazionali; norme generali sull’istruzione.
Le materie di legislazione concorrente, ovvero quelle che afferiscono ai
compiti suddivisi tra Stato e Regioni, sono ripartite conferendo alle Regioni
la potestà legislativa esercitata nel quadro dei princìpi fondamentali
riservati alla legislazione dello Stato; fra di esse figura l’istruzione, salva
l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione
e della formazione professionale; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all’innovazione per i settori produttivi. Nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello
Stato.
L’art. 117 non elenca i settori in cui si esercita la potestà legislativa
residuale; secondo il comma 4 dell’art. 117, “spetta alle Regioni la
potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Statoâ€.
“La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione
esclusiva, salva delega alle Regioni†(c. 6). “La potestà regolamentare
spetta alle Regioni in ogni altra materia†(c. 7).

69
Art. 5 Cost: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
70
Si forniscono qui solamente alcuni dei diciassette settori del comma 2 dellâ
€™art. 117 Cost.

2.11 Legge 13 luglio 2015, n. 107 (Legge della


Buona Scuola)
Per affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e
l’autonomia delle istituzioni scolastiche il legislatore ha mirato ad
innalzare i livelli di istruzione attraverso una nuova formulazione del Piano
dell’offerta formativa e una diversa distribuzione di ruoli e competenze
agli organi di governo delle istituzioni scolastiche. A tal fine, durante la XVII
legislatura, veniva approvata la legge 13 luglio 2015, n. 107, strutturata in un
unico articolo con 212 commi, rubricata “Riforma del sistema nazionale di
istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative
vigenti71â€.
La Legge della Buona Scuola, già dal comma 1, indica le finalità della
riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione72:
1. contrastare le disuguaglianze socio-culturali e sociali;
2. realizzare pienamente l’idea di una scuola aperta come laboratorio
permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di
partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva;
3. garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e
di istruzione permanente dei cittadini.

2.11.1 Autonomia delle istituzioni scolastiche


La legge dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche
di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e afferma, al
comma 1, il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza per
innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli
studenti al fine di realizzare una scuola aperta, quale laboratorio
permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica. Il
provvedimento intende disciplinare l’autonomia delle istituzioni
scolastiche dotando le stesse delle risorse umane, materiali e finanziarie,
nonché della flessibilità , necessarie a realizzare le proprie scelte
formative e organizzative (art. 1, commi 1-4)73.
2.11.2 Il Piano dell’offerta formativa
Una scelta di fondo della legge è la valorizzazione dell’autonomia
scolastica che trova il suo apice nella ridefinizione del Piano dellâ
€™Offerta Formativa. Esso, al comma 1, art. 3 del D.P.R. 8 marzo 1999, n.
275, è definito il documento fondamentale costitutivo dell’identitÃ
culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la
progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che
le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia.
La legge 107/2015, riscrivendo l’art. 3 del Regolamento dellâ
€™autonomia scolastica, amplia la validità del POF ad un triennio e ne
ridefinisce le funzioni per il potenziamento dei saperi e delle competenze
delle studentesse e degli studenti e per l’apertura della comunitÃ
scolastica al territorio con il pieno coinvolgimento delle istituzioni e delle
realtà locali (c. 2). Ma è al comma 14 che vengono espressamente innovati
caratteristiche, contenuti e modalità di predisposizione del piano dellâ
€™offerta formativa, che da ora in poi assumerà la denominazione di PTOF
(Piano Triennale dell’Offerta Formativa): riscrivendo l’articolo 3 del
Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999,
n. 275, si dispone che Ogni istituzione scolastica predispone, con la
partecipazione di tutte le sue componenti, il piano triennale dell’offerta
formativa, rivedibile annualmente.
Nel Piano triennale le scuole indicheranno il fabbisogno di personale docente
e ATA (per quest’ultimo, nel rispetto dei limiti e dei parametri stabiliti
dal D.P.R. 119/2009), nonché le infrastrutture e le attrezzature materiali di
cui hanno bisogno per l’espansione dell’offerta formativa. Obiettivi
di quest’ultima sono, fra gli altri, il potenziamento dell’insegnamento
linguistico in italiano e in altre lingue europee, anche tramite l’utilizzo
della metodologia CLIL, il potenziamento delle competenze matematiche,
logiche e scientifiche, di musica e arte, giuridiche ed economiche, digitali, lo
sviluppo delle discipline motorie, nonché l’apertura pomeridiana della
scuola, il contrasto della dispersione scolastica e della discriminazione, lâ
€™incremento dell’alternanza scuola-lavoro, la riduzione del numero di
alunni per classe, l’alfabetizzazione e il perfezionamento dell’italiano
come lingua seconda (L2) per alunni e studenti di cittadinanza e/o di lingua
non italiana, la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo, lâ
€™educazione alla parità di genere, la definizione di un sistema di
orientamento74.
Nella riformulazione dell’art. 3 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, la legge
107/2015 rivisita ruoli e competenze del collegio dei docenti, del dirigente
scolastico e del consiglio di istituto. In precedenza, gli indirizzi generali per
le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di
amministrazione erano definiti dal consiglio di circolo o di istituto che, dopo
la fase di elaborazione del piano dell’offerta formativa da parte del
collegio dei docenti, lo adottava. Il comma 14 della legge 107/2015, pur
lasciando inalterato il ruolo del collegio docenti, stabilisce che gli indirizzi
generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di
amministrazione sono adesso definiti dal dirigente scolastico, e che lo stesso
piano venga approvato dal consiglio di istituto. In sintesi, il piano è
predisposto dal collegio dei docenti (entro il mese di ottobre dell’anno
scolastico precedente al triennio di riferimento) sulla base degli indirizzi e
delle scelte di gestione definiti dal dirigente scolastico, ed è approvato dal
consiglio di istituto (art. 1, co. 5-7, 12-17 e 19). Il predetto piano contiene
anche la programmazione delle attività formative rivolte al personale
docente e amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché la definizione delle
risorse occorrenti in base alla quantificazione disposta per le istituzioni
scolastiche. Il piano può essere rivisto annualmente entro il mese di ottobre
(c. 12).
Una volta approvato, il PTOF viene inviato all‘Ufficio scolastico regionale
che verifica che esso rispetti il limite dell’organico assegnato a ciascuna
istituzione scolastica e trasmette al MIUR gli esiti della verifica (c. 13).
La legge 107/2015 conferisce dunque una forte assunzione di responsabilitÃ
al dirigente scolastico nell’ottica di una sempre più rafforzata azione di
direzione, gestione, organizzazione e coordinamento75. Il dirigente, come
sancito dal comma 78 della legge, per dare piena attuazione allâ
€™autonomia scolastica, è chiamato a garantire un’efficace ed
efficiente gestione delle risorse umane, seppur nel rispetto delle competenze
degli organi collegiali76.

2.11.3 Portale unico dei dati della scuola


Le istituzioni scolastiche, dovendo assicurare la piena trasparenza e
pubblicità dei piani triennali dell’offerta formativa e al fine di
permettere una valutazione comparativa da parte degli studenti e delle
famiglie, pubblicano il PTOF nel Portale unico dei dati della scuola (commi
17 – 136).

2.11.4 Organico dell’autonomia


Il comma 5 istituisce l’organico dell’autonomia, funzionale alle
esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche
come emergenti dal piano triennale dell’offerta formativa predisposto ai
sensi del comma 14.
Come ribadito dal Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di
formazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, l’introduzione dell’organico dell’autonomia costituisce
uno degli elementi più innovativi a servizio delle scuole. Esso rappresenta, a
tutti gli effetti, l’organico complessivo della scuola e ha lo scopo, oltre
che di soddisfare le necessità e le esigenze didattiche e formative della
comunità scolastica e territoriale, di ampliare le possibilità progettuali della
scuola stessa. Infatti, come previsto dall’art. 1, comma 5, della Legge
107/2015, tutti i docenti dell’organico dell’autonomia contribuiscono
alla realizzazione dell’offerta formativa attraverso le attività di
insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di
progettazione e di coordinamento 77.
Se ne desume, dunque, che docenti finora utilizzati solo per lâ
€™insegnamento curriculare possono occuparsi, adesso, in tutto o in parte, di
attività di arricchimento dell’offerta formativa, in coerenza con le
competenze professionali possedute. Si pensi, inoltre, alla possibilità di far
svolgere ai docenti di staff (collaboratori, coordinatori, referenti, individuati
ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. 165/2001 e del comma 83 art. 1 delle
Legge 107/2015) attività di organizzazione, progettazione, coordinamento,
in coerenza con il sopra richiamato comma 5 della Legge. A tale proposito, si
ricordi che la Legge di stabilità 2015 ha eliminato l’istituto dellâ
€™esonero del collaboratore vicario, abrogando l’articolo 459 del
decreto legislativo n. 297/1994 e rinviando - di fatto - la questione allâ
€™utilizzo dell’organico dell’autonomia78. Inoltre, poter disporre dei
posti di potenziamento può favorire una articolazione modulare dei tempi e
della struttura della didattica, l’apertura delle classi e l’articolazione
delle stesse, gli scambi di docenza, la realizzazione della didattica
laboratoriale, l’individualizzazione e la personalizzazione dei percorsi
formativi, la sostenibilità delle sostituzioni per assenze brevi grazie allâ
€™utilizzo di tutto l’organico dell’autonomia79.
A ben vedere, l’istituzione dell’organico dell’autonomia è volta
al consolidamento di quella comunità scolastica della quale il mondo della
scuola ha da sempre avvertito l’esigenza. Questa comunità di pratiche,
come già espresso dal Ministero dell’istruzione, è guidata dal dirigente
scolastico il quale organizza l’attività scolastica secondo criteri di
efficienza e di efficacia formative80. Le istituzioni scolastiche individuano il
fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia, in relazione allâ
€™offerta formativa che intendono realizzare, e possono inserire nel PTOF
alcuni degli obiettivi formativi prioritari, elencati nel comma 7 della legge81.

2.11.5 Percorsi per le competenze trasversali e per lâ


€™orientamento (già alternanza scuola – lavoro)
Al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di
orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola – lavoro,
contemplati nei commi 33-44, sono anticipati al terzo anno delle scuole
secondarie di secondo grado. La legge dispone che i percorsi di alternanza
sono inseriti nei piani triennali dell’offerta formativa82. Nell’ambito
dei suddetti percorsi di alternanza, al comma 37 della legge 107/2015 è
adottato un regolamento con cui è definita la Carta dei diritti e dei doveri
degli studenti in alternanza scuola-lavoro, concernente i diritti e i doveri
degli studenti della scuola secondaria di secondo grado impegnati nei
percorsi di formazione.
È un regolamento in 7 articoli che spiega i diritti e i doveri delle studentesse
e degli studenti nel corso delle attività di alternanza. La Carta mette al
centro la necessità di informare studentesse, studenti e genitori, in unâ
€™ottica di dialogo e condivisione che deve sempre accompagnare il
rapporto scuola – famiglia83.
La legge dispone, inoltre, che le scuole secondarie di secondo grado
svolgano attività di formazione in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro, mediante l’organizzazione di corsi rivolti
agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza scuola-lavoro (c. 38) e, a
decorrere dall’anno scolastico 2015/2016, è istituito presso le camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura il registro nazionale per lâ
۪alternanza scuola-lavoro (c. 41). Il registro ̬ una sorta di banca dati in
cui sono presenti imprese, enti privati, enti pubblici disponibili a realizzare
percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento.
Il dirigente scolastico individua, all’interno del registro di cui al comma
41, le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili all’attivazione dei
percorsi di cui commi da 33 a 44 e stipula apposite convenzioni anche
finalizzate a favorire l’orientamento scolastico e universitario dello
studente (c. 40).
È da dire che apposite convenzioni possono essere attivate anche su
iniziativa degli studenti, purché il campo di interesse rientri nelle attivitÃ
previste dal PTOF. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con
musei, istituti e luoghi della cultura e delle arti performative.
La legge n. 145/2018 ha poi disposto una riformulazione di tali attività ,
denominate ora Percorsi per le competenze trasversali e per lâ
€™orientamento.

2.11.6 Piano nazionale per la scuola digitale


Con il comma 56, la legge n. 107/2015 adotta il Piano nazionale per la scuola
digitale con lo scopo di sviluppare e di migliorare le competenze digitali
degli studenti e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di
costruzione delle competenze in generale. Le azioni coerenti con le finalità ,
i princìpi e gli strumenti previsti nel Piano nazionale per la scuola digitale
di cui al comma 56 promossi dalle istituzioni scolastiche all’interno dei
piani triennali dell’offerta formativa, sono sanciti nel successivo comma
57. Gli obiettivi del Piano nazionale scuola digitale sono elencati al comma
5884.

2.11.7 Formazione dei docenti (Piano nazionale di


formazione) - Carta elettronica per lâ
€™aggiornamento e la formazione
Circa la formazione dei docenti, la legge 107/2015 al comma 124 sancisce
che nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la
formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e
strutturale. A ben vedere, ci troviamo di fronte a un argomento indagato giÃ
a partire dal lontano 1974 con il D.P.R. 31 maggio, n. 419, art. 7, in cui, al
Titolo II, si legge che l’aggiornamento è un diritto-dovere fondamentale
del personale ispettivo, direttivo e docente. Esso è inteso come
adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per singole
discipline e nelle connessioni interdisciplinari; come approfondimento della
preparazione didattica; come partecipazione alla ricerca e alla innovazione
didattico-pedagogica. Il Testo unico (D.Lgs. 297/1994), all’art. 282. c. 1,
riprende tal quale quanto espresso nel D.P.R. n. 419, sancendo, di fatto, un
diritto-dovere del personale della scuola. Lo stesso CCNL 2007, all’art.
29, c. 1, annovera l’aggiornamento tra le attività funzionali allâ
€™insegnamento: l’attività funzionale all’insegnamento è
costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente previsto dai diversi
ordinamenti scolastici. Essa comprende tutte le attività , anche a carattere
collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione,
documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei
lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e lâ
€™attuazione delle delibere adottate dai predetti organi e, all’art. 63, c.
1, la formazione è definita una leva strategica fondamentale per lo sviluppo
professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di
cambiamento, per un’efficace politica di sviluppo delle risorse umane.
L’Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunitÃ
che garantiscano la formazione in servizio.
In questo solco, dunque, ampiamente tracciato da diversi provvedimenti
normativi, la legge 107/2015 riprende e sostiene l’azione legislativa nel
campo della formazione istituendo la Carta elettronica per lâ
€™aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado per un importo nominale di euro 500
annui per ciascun anno scolastico85 (c. 121). Le attività di formazione sono
definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale
dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento
delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle prioritÃ
nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni
con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria (c.
124).
Nel contesto di numerosi e talora contrastanti provvedimenti normativi, il
Piano per la Formazione del personale, come atto di indirizzo adottato con
decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
orienta la progettualità delle scuole e dei docenti e assume una funzione di
indirizzo per concretizzare le proposte formative dell’Amministrazione
centrale e periferica, in modo da rendere coerenti e sistematici gli interventi
formativi e creare una sinergia virtuosa tra scelte possibili e risorse
disponibili. Rappresenta quindi un quadro di riferimento istituzionale
rinnovato della formazione in servizio, e non un semplice insieme di
prescrizioni amministrative o gestionali86.
Altro aspetto rilevante da evidenziare è se la formazione debba essere
ricompresa all’interno delle 40 ore funzionali all’insegnamento. Un
contributo di spessore arriva da una ordinanza della Corte di cassazione
(7320/19) che statuisce chiaramente che la formazione in servizio dei docenti,
divenuta obbligatoria in seguito alla previsione dell’art. 1, comma 124,
della legge n. 107/2015, deve effettuarsi all’interno delle 40 ore per le
attività funzionali all’insegnamento dei docenti, nelle attività di
carattere collegiale87. Di converso, le ore eccedenti le 40 stabilite sono
retribuite con il Fondo unico per il miglioramento dell’offerta formativa
come attività aggiuntive di non insegnamento, CCNL 2007, art. 88, c. 2,
lettera d), con il compenso orario di Euro 17,50.

2.11.8 Bonus premiale docenti (valorizzazione del


merito) Legge 107/2015
La valorizzazione del merito dei docenti è contemplata al comma 127: Il
dirigente scolastico, sulla base dei criteri individuati dal comitato per la
valutazione dei docenti, istituito ai sensi dell’articolo 11 del testo unico
di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come sostituito dal
comma 129 del presente articolo, assegna annualmente al personale docente
una somma del fondo di cui al comma 126 sulla base di motivata valutazione.
La legge demanda dunque al dirigente scolastico la responsabilità di
scegliere i docenti più meritevoli e nulla gli vieta di premiare più volte,
negli anni, gli stessi insegnanti.
Anche tale norma è stata al centro di acceso dibattito politico-sindacale
volto a riportare le risorse accessorie al trattamento economico fondamentale
tra le materie pattizie. In sede di rinnovo contrattuale 2018, il confronto con
le organizzazioni sindacali ha sortito gli effetti che oggi leggiamo nellâ
€™art. 22, c. 4, lettera c88:
Sono oggetto di contrattazione integrativa, a livello di istituzione scolastica
ed educativa:
c4) i criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla
valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale
docente ai sensi dell’art. 1, comma 127, della legge n. 107/2015.
Risulta evidente che la norma ingenerava diversi problemi di interpretazione
alla luce delle competenze dei tanti soggetti coinvolti nella attribuzione del
bonus premiale docenti. Con l’approvazione della legge di Bilancio 2020,
legge 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, c. 249: le risorse iscritte nel fondo di
cui all’articolo 1, comma 126, della legge 13 luglio 2015, n. 107, giÃ
confluite nel fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, sono
utilizzate dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico,
senza ulteriore vincolo di destinazione. Le risorse del “bonus docentiâ€
saranno adesso utilizzate dalla contrattazione integrativa a favore del
personale scolastico89.

2.11.9 Agevolazioni fiscali


Le agevolazioni fiscali (art. 1, commi 145-151) prevedono l’istituzione di
un credito d’imposta per le erogazioni liberali a favore delle istituzioni
scolastiche (School bonus). Per la realizzazione di nuove strutture
scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il
sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti, spetta
un credito d’imposta pari al 65% per il 2015 e il 2016 e del 50% per il
2017 per chi effettua erogazioni liberali in denaro, nel limite massimo di €
100.000 per ogni periodo di imposta.
È parimenti prevista una detrazione IRPEF, per un importo annuo non
superiore a 400 euro per alunno o studente, per le spese sostenute per la
frequenza di scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e della
scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione (c.
151).

2.11.10 Deleghe al Governo – I decreti attuativi della


Buona scuola
Con il comma 180, la legge 107/2015 delega il Governo ad adottare, entro
diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla
codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, anche in
coordinamento con le disposizioni di cui alla presente legge. I princìpi
generali per l’esercizio della delega sono contemplati nel comma 181 e
contemplano:
a) la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di istruzione
(ovvero il riordino delle disposizioni normative già contenute nel Testo
unico, D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297);
b) il riordino, l’adeguamento e la semplificazione del sistema di
formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria
(in modo da renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della
professione);
c) la promozione dell’inclusione degli studenti con disabilità e
ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno anche attraverso lâ
€™istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria;
d) la revisione dei percorsi di istruzione professionale (nel rispetto dellâ
€™articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dellâ
€™istruzione e formazione professionale);
e) l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla
nascita fino a sei anni e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni
della scuola dell’infanzia e dei servizi educativi per l’infanzia.
A tal fine, il nuovo Governo il 14 gennaio 2017 approvò in prima lettura 8
schemi di decreti legislativi, emanati il 13 aprile successivo:

D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 59: Riordino, adeguamento e semplificazione


del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella
scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e
culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e
181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 60: Norme sulla promozione della cultura
umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni
culturali e sul sostegno della creatività , a norma dell’articolo 1,
commi 180 e 181, lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 61: Revisione dei percorsi dell’istruzione
professionale nel rispetto dell’articolo 11790 della Costituzione,
nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione
professionale, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera d),
della legge 13 luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 62: Norme in materia di valutazione e
certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a
norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13
luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 63: Effettività del diritto allo studio
attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla
persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai
servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente,
a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera f), della legge 13
luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 64: Disciplina della scuola italiana allâ
€™estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h),
della legge 13 luglio 2015, n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 65: Istituzione del sistema integrato di
educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dellâ
€™articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015,
n. 107;
D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 66: Norme per la promozione dellâ
€™inclusione scolastica degli studenti con disabilità , a norma dellâ
€™articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015,
n. 107.

71
L’iter procedurale della legge 107/2015, altrimenti detta Legge della
Buona Scuola, è stato decisamente più veloce rispetto al percorso
parlamentare consueto di una legge ordinaria. Il 9 luglio 2015 lâ
€™Assemblea della Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge
di riforma della scuola, presentato dal Governo il 27 marzo 2015. Il testo era
stato approvato dall’Assemblea della Camera in prima lettura, con
modifiche, il 20 maggio 2015 e, con ulteriori modifiche, il 25 giugno 2015,
dall’Assemblea del Senato. La legge è stata pubblicata nella Gazzetta
ufficiale del 15 luglio 2015 (L. 107/2015). (Fonte: camera.it).
72
Vengono indicate qui solo alcune delle finalità della riforma del sistema
nazionale di istruzione e formazione. Per una disamina esaustiva si rimanda
al comma 1 della legge.
73
Fonte: camera.it – XVII Legislatura dal 15/03/2013 – al 22/03/2018.
74
Fonte: camera.it – XVII Legislatura dal 15/03/2013 – al 22/03/2018.
75
D.Lgs. 165/2001, art. 25, c. 2.
76
Nel merito, è da ribadire che il dirigente scolastico, nell’esercizio di
autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle
risorse umane, esercita tali attribuzioni nel rispetto delle competenze degli
organi collegiali scolastici come sancito dal D.Lgs. 165/2001, art. 25, c. 2.
Ancor prima, il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 disponeva, all’art. 16,
comma 1, che gli organi collegiali della scuola garantiscono l’efficacia
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nel quadro delle norme che
ne definiscono competenze e composizione.
77
Nota Ministeriale n. 2852 del 05-09-2016.
78
Ibidem.
79
Ibidem.
80
D.Lgs. 165/2001, art. 25, c. 2
81
Per una visione esaustiva delle potenzialità espresse nel comma 7, se ne
riporta qui il contenuto integrale: a) valorizzazione e potenziamento delle
competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano
nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche
mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated
learning; b) potenziamento delle competenze matematico-logiche e
scientifiche; c) potenziamento delle competenze nella pratica e nella cultura
musicali, nell’arte e nella storia dell’arte, nel cinema, nelle tecniche e
nei media di produzione e di diffusione delle immagini e dei suoni, anche
mediante il coinvolgimento dei musei e degli altri istituti pubblici e privati
operanti in tali settori; d) sviluppo delle competenze in materia di
cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dellâ
€™educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il
dialogo tra le culture, il sostegno dell’assunzione di responsabilitÃ
nonché della solidarietà e della cura dei beni comuni e della
consapevolezza dei diritti e dei doveri; potenziamento delle conoscenze in
materia giuridica ed economico-finanziaria e di educazione allâ
€™autoimprenditorialità ; e) sviluppo di comportamenti responsabili ispirati
alla conoscenza e al rispetto della legalità , della sostenibilità ambientale,
dei beni paesaggistici, del patrimonio e delle attività culturali; f)
alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media di produzione e
diffusione delle immagini; g) potenziamento delle discipline motorie e
sviluppo di comportamenti ispirati a uno stile di vita sano, con particolare
riferimento all’alimentazione, all’educazione fisica e allo sport, e
attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attivitÃ
sportiva agonistica; h) sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con
particolare riguardo al pensiero computazionale, all’utilizzo critico e
consapevole dei social network e dei media nonché alla produzione e ai
legami con il mondo del lavoro; i) potenziamento delle metodologie
laboratoriali e delle attività di laboratorio; l) prevenzione e contrasto della
dispersione scolastica, di ogni forma di discriminazione e del bullismo, anche
informatico; potenziamento dell’inclusione scolastica e del diritto allo
studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi
individualizzati e personalizzati anche con il supporto e la collaborazione dei
servizi socio-sanitari ed educativi del territorio e delle associazioni di settore
e l’applicazione delle linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio
degli alunni adottati, emanate dal Ministero dell’istruzione, dellâ
€™università e della ricerca il 18 dicembre 2014; m) valorizzazione della
scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di
sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunitÃ
locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese; n) apertura
pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per
classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del
tempo scolastico o rimodulazione del monte orario rispetto a quanto indicato
dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo
2009, n. 89; o) incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo
ciclo di istruzione; p) valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e
coinvolgimento degli alunni e degli studenti; q) individuazione di percorsi e
di sistemi funzionali alla premialità e alla valorizzazione del merito degli
alunni e degli studenti; r) alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano
come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza
o di lingua non italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti
locali e il terzo settore, con l’apporto delle comunità di origine, delle
famiglie e dei mediatori culturali; s) definizione di un sistema di
orientamento.
82
La legge 107/2015 disponeva che la durata dei percorsi di alternanza fosse
la seguente: “negli istituti tecnici e professionali, nel secondo biennio e
nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, di
almeno 200 ore nel triennioâ€. Con la legge n. 145/2018 (legge di bilancio
per il 2019, art. 1, c. 784) la durata dei percorsi è stata riformulata: “I
percorsi in alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile
2005, n. 77, sono ridenominati «percorsi per le competenze trasversali e
per l’orientamento» e, a decorrere dall’anno scolastico 2018/2019,
con effetti dall’esercizio finanziario 2019, sono attuati per una durata
complessiva:
a) non inferiore a 210 ore nel triennio terminale del percorso di studi degli istituti professionali;
b) non inferiore a 150 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi degli istituti
tecnici;
c) non inferiore a 90 ore nel secondo biennio e nel quinto anno dei liceiâ€.
83
Informazione desunta da: Ministero dell’Istruzione, dellâ
€™Università e della Ricerca – Alternanza Scuola/Lavoro - la Carta dei
diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza.
84
Obiettivi del Piano nazionale della scuola digitale: a) realizzazione di
attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche
attraverso la collaborazione con università , associazioni, organismi del terzo
settore e imprese, nel rispetto dell’obiettivo di cui al comma 7, lettera h);
b) potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a
migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni
scolastiche; c) adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire
la governance, la trasparenza e la condivisione di dati, nonché lo scambio
di informazioni tra dirigenti, docenti e studenti e tra istituzioni scolastiche ed
educative e articolazioni amministrative del Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca; d) formazione dei docenti per lâ
€™innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale per lâ
€™insegnamento, l’apprendimento e la formazione delle competenze
lavorative, cognitive e sociali degli studenti; e) formazione dei direttori dei
servizi generali e amministrativi, degli assistenti amministrativi e degli
assistenti tecnici per l’innovazione digitale nell’amministrazione; f)
potenziamento delle infrastrutture di rete, sentita la Conferenza unificata di
cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni, con particolare riferimento alla connettività nelle
scuole; g) valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche
anche attraverso la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e di
formazione; h) definizione dei criteri e delle finalità per l’adozione di
testi didattici in formato digitale e per la produzione e la diffusione di opere e
materiali per la didattica, anche prodotti autonomamente dagli istituti
scolastici.
85
La Carta può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in
formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili allâ
€™aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software,
per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione
delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di
laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo
professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al
profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per
l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo,
nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito
del piano dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di
formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce
retribuzione accessoria né reddito imponibile.
86
Piano per la formazione dei docenti, 2016 – 2019, MIUR, La Buona
scuola.
87
La stessa ordinanza ha statuito che: Il personale docente del comparto della
scuola assunto con contratto a tempo parziale, sulla base delle disposizioni
dettate dai CCNL 4.8.1995, art. 46, 24.7.2003, art. 36, e 29.11.2007, art. 39,
nonché dall’O.M. 23.7.1997, art. 7, ha l’obbligo di svolgere le
attività funzionali all’insegnamento di carattere collegiale, di cui agli
artt. 42, comma 3, lett. a) CCNL 1995, 27 comma 3 lett. a) CCNL 2003, 29,
comma 3, lett. a) CCNL 2007, con le stesse modalità previste per i docenti a
tempo pieno e, in caso di part time verticale o misto, è tenuto a partecipare
all’attività collegiale anche se la convocazione è disposta in giorni
della settimana non coincidenti con quelli stabiliti per l’insegnamento.
88
Quanto di nostra pertinenza è contemplato nella lettera c4.
89
Alla luce di talune improvvide interpretazioni, riteniamo di dover segnalare
che la dizione “personale scolastico†è da riferire a personale docente e
Ata.
90
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto
della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva
nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con
l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di
Stati non appartenenti all’Unione europea; b)immigrazione; c) rapporti
tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate;
sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del
risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;
sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci
pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e
relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia
amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione
e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n)
norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e
Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi
internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento
informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale,
regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente, dellâ
€™ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti
internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con lâ
€™estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia
delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della
formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e
sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;
alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del
territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa;
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione
dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivitÃ
culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere
regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle
materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di
loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto
delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le
modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione
esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestÃ
regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena paritÃ
degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e
promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il
migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi
comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con
Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato.
Capitolo 3
Ordinamenti didattici: norme
generali comuni e per ogni ordine e
grado
di Elisa Camera

3.1 Il primo ciclo di istruzione


La fonte normativa principale per il primo ciclo di istruzione è, senza
dubbio, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 20 marzo 2009.

3.1.1 La scuola dell’infanzia


La scuola dell’infanzia statale è stata istituita, come Scuola Materna,
dalla Legge n. 444 del 18 marzo 1968. La sua organizzazione attuale è
definita dal D.P.R. 89/2009; l’art. 2, in particolare, afferma quanto segue:
“La scuola dell’infanzia accoglie bambini di età compresa tra i tre e
i cinque anni compiuti entro il 31 dicembre dell’anno scolastico di
riferimento. 2. Su richiesta delle famiglie sono iscritti alla scuola dellâ
€™infanzia, le bambine e i bambini che compiono tre anni di età entro il 30
aprile dell’anno scolastico di riferimento. Al fine di garantire qualitÃ
pedagogica, flessibilità e specificità dell’offerta educativa in coerenza
con la particolare fascia di età interessata, l’inserimento dei bambini
ammessi alla frequenza anticipata è disposto alle seguenti condizioni: a)
disponibilità dei posti; b) accertamento dell’avvenuto esaurimento di
eventuali liste di attesa; c) disponibilità di locali e dotazioni idonei sotto il
profilo dell’agibilità e funzionalità , tali da rispondere alle diverse
esigenze dei bambini di età inferiore a tre anni; d) valutazione pedagogica e
didattica, da parte del collegio dei docenti, dei tempi e delle modalità dellâ
€™accoglienza. 3. Analogamente è prevista la possibilità , previo accordo
in sede di Conferenza unificata, di proseguire nelle iniziative e negli
interventi relativi all’attivazione delle «sezioni primavera», ai sensi
dell’articolo 1, commi 630 e 634, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
stabilendo gli opportuni coordinamenti con l’istituto degli anticipi, nellâ
€™ambito delle risorse finanziarie destinate allo scopo a legislazione
vigente. 4. L’ istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in
collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata
partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema
scolastico nel suo complesso. 5. L’orario di funzionamento della scuola
dell’infanzia è stabilito in 40 ore settimanali, con possibilità di
estensione fino a 50 ore. Permane la possibilità , prevista dalle norme
vigenti, di chiedere, da parte delle famiglie, un tempo scuola ridotto, limitato
alla sola fascia del mattino, per complessive 25 ore settimanali. Tali orari
sono comprensivi della quota riservata all’insegnamento della religione
cattolica in conformità all’Accordo che apporta modifiche al
Concordato lateranense e relativo Protocollo addizionale, reso esecutivo con
legge 25 marzo 1985, n. 121, ed alle conseguenti intese. Le istituzioni
scolastiche organizzano le attività educative per la scuola dell’infanzia
con l’inserimento dei bambini in sezioni distinte a seconda dei modelli
orario scelti dalle famiglie. 6. Le sezioni della scuola dell’infanzia con
un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in
comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a
comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono
accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la
cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale
sulla formazione dell’organico. L’inserimento di tali bambini
avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra
istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a
sdoppiamenti di sezioniâ€.
Il Decreto n. 254 del 16 novembre 2012, contenente le “Indicazioni
Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo
d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89â€, pone in essere la
finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità , dellâ
€™autonomia, della competenza per avviarli alla cittadinanza. Viene inoltre
posta attenzione sui protagonisti del percorso formativo di questa fascia di
età : i bambini, le famiglie, i docenti, l’ambiente di apprendimento.
Notevole importanza assumono i campi di esperienza qui introdotti e relativi
a “Il sé e l’altroâ€, “Il corpo e il movimentoâ€, “Immagini,
suoni, coloriâ€, “I discorsi e le paroleâ€, “La conoscenza del mondoâ€.
Il Decreto Legislativo n. 65 del 13 aprile 2017, prevede l’“Istituzione
del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei
anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13
luglio 2015, n. 107â€. Esso promuove la continuità del percorso educativo e
scolastico, con particolare riferimento al primo ciclo di istruzione, sostenendo
lo sviluppo delle bambine e dei bambini in un processo unitario, in cui le
diverse articolazioni del Sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6
collaborano attraverso attività di progettazione, di coordinamento e di
formazione comuni; concorre a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e
relazionali e favorisce l’inclusione di tutte le bambine e di tutti i bambini
attraverso interventi personalizzati e un’adeguata organizzazione degli
spazi e delle attività ; accoglie le bambine e i bambini con disabilitÃ
certificata; rispetta e accoglie le diversità ; sostiene la primaria funzione
educativa delle famiglie, anche attraverso organismi di rappresentanza,
favorendone il coinvolgimento, nell’ambito della comunità educativa e
scolastica; favorisce la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei
genitori e la cura delle bambine e dei bambini, con particolare attenzione alle
famiglie monoparentali; promuove la qualità dell’offerta educativa
avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria
e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del
lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale.
Il medesimo decreto stabilisce che il Sistema integrato di educazione e di
istruzione accoglie le bambine e i bambini in base all’età ed è
costituito dai servizi educativi per l’infanzia e dalle scuole dellâ
€™infanzia statali e paritarie.
I servizi educativi per l’infanzia sono articolati in:
a) nidi e micronidi, che accolgono le bambine e i bambini tra tre e trentasei
mesi di età e concorrono con le famiglie alla loro cura, educazione e
socializzazione, promuovendone il benessere e lo sviluppo dellâ
€™identità , dell’autonomia e delle competenze. Presentano modalitÃ
organizzative e di funzionamento diversificate in relazione ai tempi di
apertura del servizio e alla loro capacità ricettiva, assicurando il pasto e il
riposo e operano in continuità con la scuola dell’infanzia;
b) sezioni primavera, istituite dall’articolo 1, comma 630, della Legge n.
296 del 27 dicembre 2006, che accolgono bambine e bambini tra
ventiquattro e trentasei mesi di età e favoriscono la continuità del
percorso educativo da zero a sei anni di età . Esse rispondono a specifiche
funzioni di cura, educazione e istruzione con modalità adeguate ai tempi e
agli stili di sviluppo e di apprendimento delle bambine e dei bambini nella
fascia di età considerata. Esse sono aggregate, di norma, alle scuole per lâ
€™infanzia statali o paritarie o inserite nei Poli per l’infanzia;
c) servizi integrativi che concorrono all’educazione e alla cura delle
bambine e dei bambini e soddisfano i bisogni delle famiglie in modo
flessibile e diversificato sotto il profilo strutturale ed organizzativo. Essi si
distinguono in:
1. spazi gioco, che accolgono bambine e bambini da dodici a trentasei mesi
di età affidati a uno o più educatori in modo continuativo in un
ambiente organizzato con finalità educative, di cura e di socializzazione,
non prevedono il servizio di mensa e consentono una frequenza flessibile,
per un massimo di cinque ore giornaliere;
2. centri per bambini e famiglie, che accolgono bambine e bambini dai
primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore, offrono un
contesto qualificato per esperienze di socializzazione, apprendimento e
gioco e momenti di comunicazione e incontro per gli adulti sui temi dellâ
€™educazione e della genitorialità , non prevedono il servizio di mensa e
consentono una frequenza flessibile;
3. servizi educativi in contesto domiciliare, comunque denominati e gestiti,
che accolgono bambine e bambini da tre a trentasei mesi e concorrono
con le famiglie alla loro educazione e cura. Essi sono caratterizzati dal
numero ridotto di bambini affidati a uno o più educatori in modo
continuativo.
I servizi educativi per l’infanzia sono gestiti dagli Enti locali in forma
diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati; le sezioni
primavera possono essere gestite anche dallo Stato.
I Poli per l’infanzia accolgono, in un unico plesso o in edifici vicini, più
strutture di educazione e di istruzione per bambine e bambini fino a sei anni
di età , nel quadro di uno stesso percorso educativo, in considerazione dellâ
€™età e nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento di ciascuno. I
Poli per l’infanzia si caratterizzano quali laboratori permanenti di ricerca,
innovazione, partecipazione e apertura al territorio, anche al fine di favorire
la massima flessibilità e diversificazione per il miglior utilizzo delle risorse,
condividendo servizi generali, spazi collettivi e risorse professionali.
I Poli per l’infanzia possono essere costituiti anche presso direzioni
didattiche o istituti comprensivi del sistema nazionale di istruzione e
formazione.
Lo Stato promuove e sostiene la qualificazione dell’offerta dei servizi
educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia mediante il Piano
di azione nazionale pluriennale per il raggiungimento di alcuni obiettivi
strategici, in coerenza con le politiche europee, atti soprattutto a potenziare la
rete territoriale dei servizi educativi per l’infanzia e l’inclusione.
Il Decreto prevede altresì la qualificazione universitaria del personale dei
servizi educativi per l’infanzia, prevedendo il conseguimento della laurea
in Scienze dell’educazione e della formazione nella classe L19 ad
indirizzo specifico per educatori dei servizi educativi per l’infanzia o
della laurea quinquennale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria
integrata da un corso di specializzazione per complessivi 60 crediti formativi
universitari, da svolgersi presso le università .
Vengono poi definiti le funzioni e i compiti dello Stato, delle Regioni e degli
Enti Locali.
In particolare, lo Stato:
a) indirizza, programma e coordina la progressiva e equa estensione del
Sistema integrato di educazione e di istruzione su tutto il territorio
nazionale, in coerenza con le linee contenute nel Piano di azione nazionale
pluriennale;
b) assegna le risorse a carico del proprio bilancio;
c) promuove azioni mirate alla formazione del personale del Sistema
integrato di educazione e di istruzione, anche nell’ambito del Piano
nazionale di formazione di cui all’articolo 1, comma 124, della legge 13
luglio 2015, n. 107;
d) definisce i criteri di monitoraggio e di valutazione dell’offerta
educativa e didattica del Sistema integrato di educazione ed istruzione, dâ
€™intesa con le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli
Enti locali, in coerenza con il sistema nazionale di valutazione di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80;
e) attiva, sentito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, un
sistema informativo coordinato con le Regioni, le Province autonome di
Trento e di Bolzano e gli Enti locali secondo quanto previsto dagli articoli
14 e 50 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante «Codice dellâ
€™amministrazione digitale»;
f) per assicurare la necessaria continuità educativa, definisce, con decreto
del Ministro dell’istruzione, gli orientamenti educativi nazionali per i
servizi educativi per l’infanzia sulla base delle Linee guida
pedagogiche, in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curriculo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Con il decreto
ministeriale 22 novembre 2021, n. 334, sono state adottate le Linee
pedagogiche per il sistema integrato zerosei.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano:
a) programmano e sviluppano il Sistema integrato di educazione e di
istruzione sulla base delle indicazioni del Piano di azione nazionale
pluriennale, secondo le specifiche esigenze di carattere territoriale;
b) definiscono le linee d’intervento regionali per il supporto professionale
al personale del Sistema integrato di educazione e di istruzione, per quanto
di competenza e in raccordo con il Piano nazionale di formazione di cui alla
legge n. 107 del 2015;
c) promuovono i coordinamenti pedagogici territoriali del Sistema integrato
di educazione e di istruzione, d’intesa con gli Uffici scolastici regionali
e le rappresentanze degli Enti locali;
d) sviluppano il sistema informativo regionale in coerenza con il sistema
informativo nazionale;
e) concorrono al monitoraggio e alla valutazione del Sistema integrato di
educazione e di istruzione;
f) definiscono gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei Servizi
educativi per l’infanzia, disciplinano le attività di autorizzazione,
accreditamento e vigilanza effettuate dagli Enti locali, individuano le
sanzioni da applicare per le violazioni accertate.
Gli Enti locali, singolarmente o in forma associata:
a) gestiscono, in forma diretta e indiretta, propri servizi educativi per lâ
€™infanzia e proprie scuole dell’infanzia, tenendo conto dei
provvedimenti regionali e delle norme sulla parità scolastica e
favorendone la qualificazione;
b) autorizzano, accreditano, vigilano sugli stessi, applicando le relative
sanzioni, i soggetti privati per l’istituzione e la gestione dei servizi
educativi per l’infanzia, nel rispetto degli standard strutturali,
organizzativi e qualitativi definiti dalle Regioni, delle norme sullâ
€™inclusione delle bambine e dei bambini con disabilità e dei contratti
collettivi nazionali di lavoro di settore;
c) realizzano attività di monitoraggio e verifica del funzionamento dei
servizi educativi per l’infanzia del proprio territorio;
d) attivano, valorizzando le risorse professionali presenti nel Sistema
integrato di educazione e di istruzione, il coordinamento pedagogico dei
servizi sul proprio territorio, in collaborazione con le istituzioni scolastiche
e i gestori privati, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali
disponibili a legislazione vigente;
e) coordinano la programmazione dell’offerta formativa nel proprio
territorio per assicurare l’integrazione e l’unitarietà della rete dei
servizi e delle strutture educative;
f) promuovono iniziative di formazione in servizio per tutto il personale del
Sistema integrato di educazione e di istruzione, in raccordo con il Piano
nazionale di formazione di cui alla legge n. 107 del 2015;
g) definiscono le modalità di coinvolgimento e partecipazione delle famiglie
in considerazione della loro primaria responsabilità educativa;
h) facilitano iniziative ed esperienze di continuità del Sistema integrato di
educazione e di istruzione con il primo ciclo di istruzione.

3.1.2 La scuola primaria


L’art. 4 del D.P.R. 89/2009 descrive l’assetto organizzativo della
scuola primaria. Sono iscritti alla scuola primaria le bambine e i bambini che
compiono sei anni di età entro il 31 dicembre dell’anno scolastico di
riferimento.
Possono, altresì, essere iscritti alla scuola primaria, su richiesta delle
famiglie, le bambine e i bambini che compiono sei anni di età entro il 30
aprile dell’anno scolastico di riferimento.
Il tempo scuola della primaria è svolto ai sensi dell’articolo 4 del
Decreto Legge n. 137 del 1° settembre 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, secondo il modello dell’insegnante
unico che supera il precedente assetto del
modulo e delle compresenze, e secondo le differenti articolazioni dellâ
€™orario scolastico settimanale a 24, 27, e sino a 30 ore, nei limiti delle
risorse dell’organico assegnato; è previsto altresì il modello delle 40
ore, corrispondente al tempo pieno. Tali articolazioni riguardano a regime lâ
€™intero percorso della scuola primaria e, per l’anno scolastico 2009-
2010, solo le classi prime, tenendo conto delle specifiche richieste delle
famiglie. Qualora il docente non sia in possesso degli specifici titoli previsti
per
l’insegnamento della lingua inglese e dei requisiti per l’insegnamento
della religione cattolica, tali insegnamenti sono svolti da altri docenti che ne
abbiano i titoli o i requisiti. Le classi successive alla prima continuano a
funzionare, dall’anno scolastico 2009-2010 e fino alla graduale messa a
regime del modello previsto dal precedente comma 3, secondo i modelli
orario in atto:
a) 27 ore, corrispondenti all’orario di insegnamento di cui all’articolo
7, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2004, con esclusione delle
attività opzionali facoltative di cui al comma 2 del medesimo articolo,
senza compresenze;
b) 30 ore comprensive delle attività opzionali facoltative, corrispondente
all’orario delle attività di cui all’articolo 7, comma 2, del Decreto
Legislativo n. 59 del 2004, senza compresenze e nei limiti dell’organico
assegnato per l’anno scolastico 2008/2009;
c) 40 ore corrispondenti al modello di tempo pieno, nei limiti dellâ
€™organico assegnato per l’anno scolastico 2008/2009 senza
compresenze. Per la determinazione dell’organico di dette classi è
confermata l’assegnazione di due docenti per classe, eventualmente
coadiuvati da insegnanti di religione cattolica e di inglese in possesso dei
relativi titoli o requisiti. Le maggiori disponibilità di orario derivanti dalla
presenza di due docenti per classe, rispetto alle 40 ore del modello di tempo
pieno, rientrano nell’organico d’istituto.
3.1.3 La scuola secondaria di I grado
L’art. 5 del D.P.R. 89/2009 definisce l’assetto della scuola secondaria
di I grado.
L’orario annuale obbligatorio delle lezioni è di complessive 990 ore,
corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad
attività di approfondimento riferita agli insegnamenti di materie letterarie.
Nel tempo prolungato il monte ore è determinato mediamente in 36 ore
settimanali, elevabili fino a 40, comprensive delle ore destinate agli
insegnamenti e alle attività e al tempo dedicato alla mensa.
Gli orari di cui ai periodi precedenti sono comprensivi della quota riservata
alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della
religione cattolica in conformità all’Accordo modificativo del
Concordato lateranense e relativo Protocollo addizionale, reso esecutivo con
legge 25 marzo 1985, n. 121, ed alle conseguenti intese.
I piani di studio, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo
della scuola secondaria di I grado, sono funzionali alle conoscenze e alle
competenze da acquisire da parte degli alunni in relazione alle diversitÃ
individuali, comprese quelle derivanti da disabilità .
Le classi a «tempo prolungato» sono autorizzate nei limiti della dotazione
organica assegnata a ciascuna provincia e tenendo conto delle esigenze
formative globalmente accertate, per un orario settimanale di insegnamenti e
attività di 36 ore. In via eccezionale, può essere autorizzato un orario
settimanale fino ad un massimo di 40 ore solo in presenza di una richiesta
maggioritaria delle famiglie. Le classi funzionanti a «tempo prolungato»
sono ricondotte all’orario normale in mancanza di servizi e strutture
idonei a consentire lo svolgimento obbligatorio di attività in fasce orarie
pomeridiane e nella impossibilità di garantire il funzionamento di un corso
intero a tempo prolungato.
Il quadro orario settimanale e annuale delle discipline e le classi di concorso
per gli insegnamenti della scuola secondaria di I grado è così
determinato:
Disciplina Settimanale Annuale

Italiano, Storia, Geografia 9 297

Attività di approfondimento in materie letterarie 1 33


Matematica e scienze 6 198

Tecnologia 2 66

Inglese 3 99

Seconda lingua comunitaria 2 66

Arte e immagine 2 66

Scienze motorie e sportive 2 66

Musica 2 66

Religione cattolica 1 33

A seguito della L. 92/2019, dall’a.s. 2020/21 alle discipline ora viste si


aggiunge l’insegnamento di Educazione Civica.
Il quadro orario settimanale e annuale delle discipline per gli insegnamenti
della scuola secondaria di I grado a tempo prolungato è così determinato:
Disciplina Settimanale Annuale

Italiano, Storia, Geografia 15 495

Matematica e scienze 9 297

Tecnologia 2 66

Inglese 3 99

Seconda lingua comunitaria 2 66

Arte e immagine 2 66

Scienze motorie e sportive 2 66

Musica 2 66

Religione cattolica 1 33

Approfondimento a scelta delle scuole nelle discipline presenti nel 1 o 2 33/66


quadro orario

Anche in questo caso, a seguito della L. 92/2019, dall’a.s. 2020/21 alle


discipline ora viste si aggiunge l’insegnamento di Educazione Civica. A
decorrere dall’anno scolastico 2009/2010, a richiesta delle famiglie e
compatibilmente con le disponibilità di organico e l’assenza di esubero
dei docenti della seconda lingua comunitaria, è introdotto lâ
€™insegnamento dell’inglese potenziato anche utilizzando le 2 ore di
insegnamento della seconda lingua comunitaria. Le predette ore sono
utilizzate anche per potenziare l’insegnamento della lingua italiana per gli
alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze
nella medesima lingua italiana nel rispetto dell’autonomia delle scuole.
3.1.4 L’esame di Stato conclusivo del I ciclo di
istruzione
L’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione è finalizzato a
verificare le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite dall’alunna
o dall’alunno anche in funzione orientativa.
Presso le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione è
costituita la commissione d’esame, articolata in sottocommissioni per
ciascuna classe terza, composta dai docenti del consiglio di classe. Per ogni
istituzione scolastica svolge le funzioni di Presidente il dirigente scolastico, o
un docente collaboratore del dirigente individuato ai sensi dell’articolo
25, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, in caso di assenza
o impedimento o di reggenza di altra istituzione scolastica.
Per ogni istituzione scolastica paritaria svolge le funzioni di Presidente il
coordinatore delle attività educative e didattiche.
L’esame di Stato è costituito da tre prove scritte ed un colloquio,
valutati con votazioni in decimi. La commissione d’esame predispone le
prove d’esame ed i criteri per la correzione e la valutazione.
Le prove scritte, finalizzate a rilevare le competenze definite nel profilo
finale dello studente secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo, sono:
a) prova scritta di italiano o della lingua nella quale si svolge lâ
€™insegnamento, intesa ad accertare la padronanza della stessa lingua;
b) prova scritta relativa alle competenze logico matematiche;
c) prova scritta, relativa alle competenze acquisite, articolata in una sezione
per ciascuna delle lingue straniere studiate.
Il colloquio è finalizzato a valutare le conoscenze descritte nel profilo finale
dello studente secondo le Indicazioni nazionali, con particolare attenzione
alla capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero
critico e riflessivo, nonché il livello di padronanza delle competenze di
cittadinanza, delle competenze nelle lingue straniere. Per i percorsi ad
indirizzo musicale, nell’ambito del colloquio è previsto anche lo
svolgimento di una prova pratica di strumento.
La commissione d’esame delibera, su proposta della sottocommissione, la
valutazione finale complessiva espressa con votazione in decimi, derivante
dalla media, arrotondata all’unità superiore per frazioni pari o superiori
a 0,5, tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove e del colloquio
di cui al comma 3. L’esame si intende superato se il candidato consegue
una votazione complessiva di almeno sei decimi.
La valutazione finale espressa con la votazione di dieci decimi può essere
accompagnata dalla lode, con deliberazione all’unanimità della
commissione, in relazione alle valutazioni conseguite nel percorso scolastico
del triennio e agli esiti delle prove d’esame.
L’esito dell’esame per i candidati privatisti tiene conto della
valutazione attribuita alle prove scritte e al colloquio.
Per le alunne e gli alunni risultati assenti ad una o più prove, per gravi
motivi documentati, valutati dal consiglio di classe, la commissione prevede
una sessione suppletiva d’esame.
Gli esiti finali degli esami sono resi pubblici mediante affissione all’albo
della scuola. La certificazione delle competenze nel primo ciclo descrive lo
sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di
cittadinanza progressivamente acquisite dalle alunne e dagli alunni, anche
sostenendo e orientando gli stessi verso la scuola del secondo ciclo. La
certificazione è rilasciata al termine della scuola primaria e del primo ciclo
di istruzione.
I modelli nazionali per la certificazione delle competenze sono emanati con
decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca
sulla base dei seguenti principi (si veda il D.M. n. 742 del 3 ottobre 2017):
a) riferimento al profilo dello studente nelle Indicazioni nazionali per il
curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione;
b) ancoraggio alle competenze chiave individuate dall’Unione europea,
così come recepite nell’ordinamento italiano;
c) definizione, mediante enunciati descrittivi, dei diversi livelli di
acquisizione delle competenze;
d) valorizzazione delle eventuali competenze significative, sviluppate anche
in situazioni di apprendimento non formale e informale;
e) coerenza con il piano educativo individualizzato per le alunne e gli alunni
con disabilità ;
f) indicazione, in forma descrittiva, del livello raggiunto nelle prove a
carattere nazionale, distintamente per ciascuna disciplina oggetto della
rilevazione e certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua
inglese.
Per gli alunni in istruzione parentale o che frequentano una scuola non statale
e non paritaria iscritta negli albi regionali, è previsto un esame di
idoneità . L’accesso all’esame di idoneità per le classi seconda,
terza, quarta e quinta della scuola primaria e per la prima classe della scuola
secondaria di primo grado è consentito a coloro che, entro il 31 dicembre
dello stesso anno in cui sostengono l’esame, abbiano compiuto o
compiano rispettivamente il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo
anno di età . L’accesso all’esame di idoneità per le classi seconda e
terza di scuola secondaria di primo grado è consentito a coloro che, entro il
31 dicembre dello stesso anno in cui sostengono l’esame, abbiano
compiuto o compiano rispettivamente l’undicesimo e il dodicesimo anno
di età . La richiesta per sostenere l’esame di idoneità va presentata al
dirigente scolastico dell’Istituto di riferimento entro il 30 aprile.
In caso di frequenza di una scuola del primo ciclo non statale non paritaria
iscritta negli albi regionali, i genitori dell’alunna e dell’alunno,
ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a
presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico
del territorio di residenza. Le alunne e gli alunni sostengono l’esame di
idoneità al termine del quinto anno di scuola primaria, ai fini dellâ
€™ammissione al successivo grado di istruzione, oppure all’esame di
Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione, in qualità di candidati
privatisti presso una scuola statale o paritaria. Sostengono altresì lâ
€™esame di idoneità nel caso in cui richiedano l’iscrizione in una
scuola statale o paritaria.
L’esito dell’esame è espresso con un giudizio di idoneità ovvero di
non idoneità . Sono ammessi a sostenere l’esame di Stato conclusivo del
primo ciclo di istruzione in qualità di candidati privatisti coloro che
compiono, entro il 31 dicembre dello stesso anno scolastico in cui sostengono
l’esame, il tredicesimo anno di età e che abbiano conseguito lâ
€™ammissione alla prima classe della scuola secondaria di primo grado. La
richiesta per sostenere l’Esame di Stato del I ciclo di istruzione va
presentata al dirigente scolastico dell’istituto di riferimento entro il 20
marzo. Sono inoltre ammessi i candidati che abbiano conseguito tale
ammissione alla scuola secondaria di primo grado da almeno un triennio. Per
essere ammessi a sostenere l’esame di Stato i candidati privatisti
partecipano alle prove INVALSI presso una istituzione scolastica statale o
paritaria.
In caso di frequenza di una scuola del primo ciclo straniera in Italia
riconosciuta dall’ordinamento estero, fatte salve norme di maggior favore
previste da Accordi ed Intese bilaterali, le alunne e gli alunni sostengono lâ
€™esame di idoneità ove intendano iscriversi ad una scuola statale o
paritaria.

3.2 Il secondo ciclo di istruzione


3.2.1 Il sistema dei Licei
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 15 marzo 2010
disciplina il sistema dei Licei. I Licei sono finalizzati al conseguimento di un
diploma di istruzione secondaria superiore e costituiscono parte del sistema
dell’istruzione secondaria superiore quale articolazione del secondo ciclo
del sistema di istruzione e formazione. I percorsi liceali forniscono allo
studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione
approfondita della realtà , affinché egli si ponga, con atteggiamento
razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni
e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con
le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di
ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del
lavoro.
I percorsi liceali hanno durata quinquennale. Si sviluppano in due periodi
biennali e in un quinto anno che completa il percorso disciplinare.
Il primo biennio è finalizzato all’iniziale approfondimento e sviluppo
delle conoscenze e delle abilità e a una prima maturazione delle competenze
caratterizzanti le singole articolazioni del sistema liceale, nonché allâ
€™assolvimento dell’obbligo di istruzione. Le finalità del primo
biennio, volte a garantire il raggiungimento di una soglia equivalente di
conoscenze, abilità e competenze al termine dell’obbligo di istruzione
nell’intero sistema formativo, nella salvaguardia dell’identità di ogni
specifico percorso, sono perseguite anche attraverso la verifica e lâ
€™eventuale integrazione delle conoscenze, abilità e competenze raggiunte
al termine del primo ciclo di istruzione.
Il secondo biennio è finalizzato all’approfondimento e allo sviluppo
delle conoscenze e delle abilità e alla maturazione delle competenze
caratterizzanti le singole articolazioni del sistema liceale.
Nel quinto anno si persegue la piena realizzazione del profilo educativo,
culturale e professionale dello studente.
Il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, linguistico, musicale e
coreutico, scientifico e delle scienze umane.
Per il Liceo Artistico l’orario annuale delle attività e degli insegnamenti
obbligatori per tutti gli studenti è di 1122 ore nel primo biennio,
corrispondenti a 34 ore medie settimanali; di 759 ore, corrispondenti a 23 ore
medie settimanali nel secondo biennio, e di 693 ore, corrispondenti a 21 ore
medie settimanali nel quinto anno. L’orario annuale delle attività e degli
insegnamenti di indirizzo è di 396 ore nel secondo biennio, corrispondenti a
12 ore medie settimanali e di 462 ore, corrispondenti a 14 ore medie
settimanali nel quinto anno.
Per il Liceo Classico l’orario annuale delle attività e degli insegnamenti
obbligatori per tutti gli studenti è di 891 ore nel primo biennio, che
mantiene la denominazione di ginnasio, corrispondenti a 27 ore medie
settimanali, e di 1023 ore nel secondo biennio e nel quinto anno,
corrispondenti a 31 ore medie settimanali.
Per il Liceo Linguistico l’orario annuale delle attività e insegnamenti
obbligatori per tutti gli studenti è di 891 ore nel primo biennio,
corrispondenti a 27 ore medie settimanali, e di 990 ore nel secondo biennio e
nel quinto anno, corrispondenti a 30 ore medie settimanali.
Per il Liceo Musicale e Coreutico l’orario annuale delle attività e
insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 594 ore nel primo
biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 18 ore medie
settimanali. Al predetto orario si aggiungono, per ciascuna delle sezioni
musicale e coreutica, 462 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel
quinto anno, corrispondenti a 14 ore medie settimanali.
Per il Liceo Scientifico l’orario annuale delle attività e degli
insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 891 ore nel primo
biennio, corrispondenti a 27 ore medie settimanali, e di 990 ore nel secondo
biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 30 ore medie settimanali.
Per il Liceo delle Scienze Umane l’orario annuale delle attività e
insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 891 ore nel primo
biennio, corrispondenti a 27 ore medie settimanali e di 990 nel secondo
biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 30 ore medie settimanali.

3.2.2 Gli Istituti Tecnici


Il documento di riferimento per gli Istituti Tecnici è costituito dal Decreto
del Presidente della Repubblica n. 88 del 15 marzo 2010. All’art. 3 si
afferma che l’identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida
base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni
dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, lâ
€™approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di
carattere generale e specifico e che essa è espressa da un limitato numero di
ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e
produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in
relazione all’esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze
necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro e per l’accesso
all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore. I
percorsi degli istituti tecnici hanno durata quinquennale e si concludono
con il conseguimento di diplomi di istruzione secondaria superiore. Lâ
۪insegnamento di scienze motorie ̬ impartito secondo le indicazioni
nazionali relative al medesimo insegnamento dei percorsi liceali.
Gli istituti tecnici collaborano con le strutture formative accreditate dalle
Regioni nei Poli tecnico-professionali costituiti secondo le linee guida
adottate dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ai
sensi dell’articolo 13, comma 1-quinquies del decreto-legge 31 gennaio
2007, n. 7, convertito con modificazioni dalla Legge n. 40 del 2 aprile 2009,
anche allo scopo di favorire i passaggi tra i sistemi di istruzione e formazione.
Agli istituti tecnici si riferiscono gli istituti tecnici superiori secondo quanto
previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio
2008, con l’obiettivo prioritario di sostenere lo sviluppo delle professioni
tecniche a livello terziario, mediante le specializzazioni richieste dal mondo
del lavoro, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese.
Gli Istituti Tecnici si articolano nei settori economico e tecnologico.
Gli Istituti tecnici per il settore economico sono suddivisi in diversi indirizzi:
a) amministrazione, finanza e marketing;
b) turismo;
Gli Istituti tecnici per il settore tecnologico sono suddivisi nei seguenti
indirizzi:
a) meccanica, meccatronica ed energia;
b) trasporti e logistica;
c) elettronica ed elettrotecnica;
d) informatica e telecomunicazioni;
e) grafica e comunicazione;
f) chimica, materiali e biotecnologie;
g) sistema moda;
h) agraria, agroalimentare e agroindustria;
i) costruzioni, ambiente e territorio.
Questi percorsi prevedono, nell’ambito delle attività e degli
insegnamenti, le seguenti ore di compresenza in laboratorio: 264 ore nel
primo biennio, 891 ore nel triennio di cui 561 ore nel secondo biennio e 330
ore nel quinto anno. Gli istituti tecnici per il settore tecnologico sono dotati di
un ufficio tecnico con il compito di sostenere la migliore organizzazione e
funzionalità dei laboratori a fini didattici e il loro adeguamento in relazione
alle esigenze poste dall’innovazione tecnologica, nonché per la
sicurezza delle persone e dell’ambiente.
L’orario complessivo annuale è determinato in 1.056 ore,
corrispondente a 32 ore settimanali di lezione, comprensive della quota
riservata alle regioni e dell’insegnamento della religione cattolica; i
percorsi hanno la seguente struttura:
a) un primo biennio articolato, per ciascun anno, in 660 ore di attività e
insegnamenti di istruzione generale e in 396 ore di attività e insegnamenti
obbligatori di indirizzo, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di
istruzione e dell’acquisizione dei saperi e delle competenze di indirizzo
in funzione orientativa, anche per favorire la reversibilità delle scelte degli
studenti;
b) un secondo biennio articolato, per ciascun anno, in 495 ore di attività e
insegnamenti di istruzione generale e in 561 ore di attività e insegnamenti
obbligatori di indirizzo;
c) un quinto anno articolato in 495 ore di attività e insegnamenti di
istruzione generale e in 561 ore di attività e insegnamenti obbligatori di
indirizzo;
Negli istituti tecnici si realizzano metodologie finalizzate a sviluppare, con
particolare riferimento alle attività e agli insegnamenti di indirizzo,
competenze basate sulla didattica di laboratorio, l’analisi e la soluzione
dei problemi, il lavoro per progetti; sono orientati alla gestione di processi in
contesti organizzati e all’uso di modelli e linguaggi specifici; sono
strutturati in modo da favorire un collegamento organico con il mondo del
lavoro e delle professioni, compresi il volontariato ed il privato sociale.
Stage, tirocini e alternanza scuola lavoro sono strumenti didattici per la
realizzazione dei percorsi di studio.
I percorsi degli istituti tecnici sono oggetto di costante monitoraggio, anche ai
fini della loro innovazione permanente, nel confronto con le regioni, gli enti
locali, le parti sociali e gli altri Ministeri interessati, avvalendosi anche dellâ
€™assistenza tecnica dell’Istituto nazionale per la valutazione del
sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI), dell’Agenzia
nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ANSAS, ora
INDIRE), dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei
lavoratori (ISFOL), di Italia lavoro e dell’Istituto per la promozione
industriale (IPI), senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica.
Gli indirizzi, i profili e i relativi risultati di apprendimento degli istituti
tecnici sono aggiornati, periodicamente, con riferimento agli esiti del
monitoraggio e agli sviluppi della ricerca scientifica e alle innovazioni
tecnologiche, nonché alle esigenze espresse dal mondo economico e
produttivo. I risultati di apprendimento sono oggetto di valutazione periodica
da parte dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di
istruzione e formazione (INVALSI), che ne cura anche la pubblicizzazione
degli esiti. I risultati del monitoraggio e della valutazione sono oggetto di un
rapporto presentato al Parlamento ogni tre anni dal Ministro dellâ
€™istruzione, dell’università e della ricerca.

3.2.3 Gli Istituti Professionali


Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 15 marzo 2010, che
delinea l’organizzazione degli Istituti Professionali, è stato superato dal
Decreto Legislativo n. 61 del 13 aprile 2017 (attivato progressivamente a
partire dall’a.s. 2018/2019 e pienamente in vigore dall’a.s.
2022/2023).
Ai fini dell’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla
formazione sino al conseguimento, entro il diciottesimo anno di età , di
almeno una qualifica professionale triennale, la studentessa e lo studente in
possesso del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione può scegliere,
all’atto dell’iscrizione ai percorsi del secondo ciclo del sistema
educativo di istruzione e formazione, tra:
a) i percorsi di istruzione professionale per il conseguimento di diplomi
quinquennali, realizzati da scuole statali o da scuole paritarie riconosciute ai
sensi della Legge n. 62 del 10 marzo 2000;
b) i percorsi di istruzione e formazione professionale per il conseguimento di
qualifiche triennali e di diplomi professionali quadriennali, realizzati dalle
istituzioni formative accreditate dalle Regioni e dalle Province autonome di
Trento e di Bolzano, ai sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.
Al fine di assicurare alla studentessa e allo studente una solida base di
istruzione generale e competenze tecnico-professionali in una dimensione
operativa in relazione alle attività economiche e produttive cui si riferisce lâ
€™indirizzo di studio prescelto, i percorsi di istruzione professionale hanno
un’identità culturale, metodologica e organizzativa che è definita nel
profilo educativo, culturale e professionale.
I percorsi di istruzione professionale hanno una durata quinquennale e sono
finalizzati al conseguimento di diplomi di istruzione secondaria di secondo
grado, che danno accesso agli istituti tecnici superiori, all’università e
alle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica.
Gli indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale (a seguito del
D.Lgs. 61/2017) sono i seguenti:
a) Agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e
gestione delle risorse forestali e montane;
b) Pesca commerciale e produzioni ittiche;
c) Industria e artigianato per il Made in Italy;
d) Manutenzione e assistenza tecnica;
e) Gestione delle acque e risanamento ambientale;
f) Servizi commerciali;
g) Enogastronomia e ospitalità alberghiera;
h) Servizi culturali e dello spettacolo;
i) Servizi per la sanità e l’assistenza sociale;
l) Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico;
m) Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico.
L’istruzione professionale è caratterizzata da una struttura quinquennale
dei percorsi, che sono articolati in un biennio e in un successivo triennio.
Il biennio dei percorsi dell’istruzione professionale comprende 2112 ore
complessive, articolate in 1188 ore di attività e insegnamenti di istruzione
generale e in 924 ore di attività e insegnamenti di indirizzo, comprensive del
tempo da destinare al potenziamento dei laboratori. Le attività e gli
insegnamenti di istruzione generale e di indirizzo sono aggregati in assi
culturali. Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione
professionale, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa e
didattica, e con riferimento al Progetto formativo individuale, possono
organizzare le azioni didattiche, formative ed educative in periodi didattici. I
periodi didattici possono essere collocati anche in due diversi anni scolastici
ai fini dell’accesso al terzo anno dei percorsi. Nell’ambito delle 2112
ore, una quota, non superiore a 264 ore, è destinata alla personalizzazione
degli apprendimenti, alla realizzazione del progetto formativo individuale ed
allo sviluppo della dimensione professionalizzate delle attività di alternanza
scuola-lavoro. Nel biennio le istituzioni scolastiche possono prevedere
specifiche attività finalizzate ad accompagnare e supportare le studentesse e
gli studenti, anche facendo ricorso alla rimodulazione dei quadri orari e nei
limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
Il triennio dei percorsi dell’istruzione professionale è articolato in un
terzo, quarto e quinto anno. Per ciascun anno del triennio, l’orario
scolastico è di 1056 ore, articolate in 462 ore di attività e insegnamenti di
istruzione generale e in 594 ore di attività e insegnamenti di indirizzo, al
fine di consentire alla studentessa e allo studente di:
a) consolidare e innalzare progressivamente, soprattutto in contesti di
laboratorio e di lavoro, i livelli di istruzione generale acquisiti nel biennio,
anche attraverso spazi orari riservati nell’ambito della quota di
autonomia;
b) acquisire e approfondire, specializzandole progressivamente, le
competenze, le abilità e le conoscenze di indirizzo in funzione di un rapido
accesso al lavoro;
c) partecipare alle attività di alternanza scuola-lavoro, previste dallâ
€™articolo 1, comma 33, della Legge n. 107 del 13 luglio 2015, anche in
apprendistato ai sensi degli articoli 41, 42 e 43 del Decreto Legislativo n.
81 del 15 giugno 2015;
d) costruire il curriculum della studentessa e dello studente, in coerenza con il
Progetto formativo individuale;
e) effettuare i passaggi tra i percorsi di istruzione professionale e quelli di
istruzione e formazione professionale e viceversa.
Al fine di realizzare l’integrazione, l’ampliamento e la
differenziazione dei percorsi e degli interventi in rapporto alle esigenze e
specificità territoriali, le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di
istruzione professionale possono attivare, in via sussidiaria, percorsi di
istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del
diploma professionale quadriennale. Tali percorsi sono realizzati nel rispetto
degli standard formativi definiti da ciascuna regione.
Il quinto anno dell’istruzione professionale è strutturato dalle istituzioni
scolastiche nell’ambito della loro autonomia, in modo da consentire il
conseguimento del diploma di istruzione professionale previo superamento
degli esami di Stato, nonché di maturare i crediti per l’acquisizione del
certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS), ove previsto dalla
programmazione delle singole Regioni. Le istituzioni scolastiche che offrono
percorsi di istruzione professionale sono dotate di un ufficio tecnico, senza
ulteriori oneri di funzionamento se non quelli previsti nell’ambito delle
risorse disponibili a legislazione vigente, con il compito di sostenere la
migliore organizzazione e funzionalità dei laboratori a fini didattici e il loro
adeguamento in relazione alle esigenze poste dall’innovazione
tecnologica nonché per la sicurezza delle persone e dell’ambiente.
L’assetto didattico dell’istruzione professionale è caratterizzato:
a) dalla personalizzazione del percorso di apprendimento che si avvale di
una quota del monte ore non superiore a 264 nel biennio e dal Progetto
formativo individuale. Il Progetto formativo individuale viene redatto dal
consiglio di classe entro il 31 gennaio del primo anno di frequenza e
aggiornato durante l’intero percorso scolastico. Il Progetto formativo
individuale si basa su un bilancio personale che evidenzia i saperi e le
competenze acquisiti da ciascuna studentessa e da ciascuno studente, anche
in modo non formale e informale ed è idoneo a rilevare le potenzialità e
le carenze riscontrate, al fine di motivare ed orientare nella progressiva
costruzione del percorso formativo e lavorativo. Il dirigente scolastico,
sentito il consiglio di classe, individua, all’interno di quest’ultimo, i
docenti che assumono la funzione di tutor per sostenere le studentesse e gli
studenti nell’attuazione e nello sviluppo del Progetto formativo
individuale. L’attività di tutorato è svolta dai docenti designati, nellâ
€™ambito delle risorse disponibili presso l’istituzione scolastica a
legislazione vigente;
b) dall’aggregazione, nel biennio, delle discipline all’interno degli
assi culturali caratterizzanti l’obbligo di istruzione e dallâ
€™aggregazione, nel triennio, delle discipline di istruzione generale;
c) dalla progettazione interdisciplinare dei percorsi didattici
caratterizzanti i diversi assi culturali;
d) dall’utilizzo prevalente di metodologie didattiche per lâ
€™apprendimento di tipo induttivo, attraverso esperienze laboratoriali e
in contesti operativi, analisi e soluzione dei problemi relativi alle attivitÃ
economiche di riferimento, il lavoro cooperativo per progetti, nonché la
gestione di processi in contesti organizzati;
e) dalla possibilità di attivare percorsi di alternanza scuola-lavoro, giÃ
dalla seconda classe del biennio, e percorsi di apprendistato;
f) all’organizzazione per unità di apprendimento, che, partendo da
obiettivi formativi adatti e significativi per le singole studentesse e i singoli
studenti, sviluppano appositi percorsi di metodo e di contenuto, tramite i
quali si valuta il livello delle conoscenze e delle abilità acquisite e la
misura in cui la studentessa e lo studente abbiano maturato le competenze
attese. Le unità di apprendimento rappresentano il necessario riferimento
per il riconoscimento dei crediti posseduti dalla studentessa e dallo
studente, soprattutto nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e
formazione;
g) dalla certificazione delle competenze che è effettuata, nel corso del
biennio, con riferimento alle unità di apprendimento, secondo un modello
adottato con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e
della ricerca, ferma restando la disciplina vigente in merito alla
certificazione delle competenze per il triennio, nonché per le qualifiche
triennali e i diplomi quadriennali.
Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale
possono, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica:
a) utilizzare la quota di autonomia del 20 per cento dell’orario
complessivo del biennio, nonché dell’orario complessivo del
triennio, per il perseguimento degli obiettivi di apprendimento relativi al
profilo di uscita di ciascun indirizzo di studio e per potenziare gli
insegnamenti obbligatori per tutte le studentesse e tutti gli studenti, con
particolare riferimento alle attività di laboratorio, sulla base dei criteri
generali e delle indicazioni contenuti nel Profilo educativo, culturale e
professionale, nell’ambito dell’organico dell’autonomia;
b) utilizzare gli spazi di flessibilità , in coerenza con gli indirizzi attivati e
con i profili di uscita, entro il 40 per cento dell’orario complessivo
previsto per il terzo, quarto e quinto anno, nell’ambito dell’organico
dell’autonomia;
c) sviluppare le attività e i progetti di orientamento scolastico, nonché di
inserimento nel mercato del lavoro, anche attraverso l’apprendistato
formativo di primo livello;
d) stipulare contratti d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle
professioni, in possesso di una specifica e documentata esperienza
professionale maturata nell’ambito delle attività economiche di
riferimento dell’indirizzo di studio e in possesso di competenze
specialistiche non presenti nell’Istituto, ai fini dell’arricchimento
dell’offerta formativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ferma
restando la possibilità di ricevere finanziamenti da soggetti pubblici e
privati. A riguardo, le istituzioni scolastiche provvedono nel limite delle
risorse disponibili a legislazione vigente;
e) attivare partenariati territoriali per il miglioramento e l’ampliamento
dell’offerta formativa, per il potenziamento dei laboratori, ivi comprese
le dotazioni strumentali degli stessi, per la realizzazione dei percorsi in
alternanza, comprese le esperienze di scuola-impresa e di bottega-scuola,
nel rispetto dei vincoli di bilancio, ferma restando la possibilità di ricevere
finanziamenti da soggetti pubblici e privati;
f) costituire, nell’esercizio della propria autonomia didattica,
organizzativa e di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, i dipartimenti quali articolazioni funzionali del collegio dei
docenti, per il sostegno alla didattica e alla progettazione formativa;
g) dotarsi, nell’esercizio della propria autonomia didattica e
organizzativa, di un comitato tecnico-scientifico, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica, composto da docenti e da esperti del mondo
del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica, con
funzioni consultive e di proposta per l’organizzazione delle attività e
degli insegnamenti di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di
autonomia e flessibilità . Ai componenti del comitato non spettano
compensi, indennità , gettoni di presenza o altre utilità comunque
denominate.
Allo scopo di promuovere l’innovazione, il permanente raccordo con il
mondo del lavoro, l’aggiornamento periodico, degli indirizzi di studio e
dei profili di uscita, nonché allo scopo di rafforzare gli interventi di
supporto alla transizione dalla scuola al lavoro, diffondere e sostenere il
sistema duale realizzato in alternanza scuola-lavoro e in apprendistato, è
istituita la “Rete nazionale delle scuole professionaliâ€, di cui fanno parte,
nel rispetto della loro diversa identità e pari dignità , le istituzioni
scolastiche statali o paritarie che offrono percorsi di istruzione professionale e
le istituzioni formative accreditate sulla base dei livelli essenziali delle
prestazioni.
I passaggi tra i percorsi di istruzione professionale e i percorsi di
istruzione e formazione professionale costituiscono una delle opportunitÃ
che garantiscono alla studentessa e allo studente la realizzazione di un
percorso personale di crescita e di apprendimento, in rapporto alle proprie
potenzialità , attitudini ed interessi, anche attraverso la ridefinizione delle
scelte, senza disperdere il proprio bagaglio di acquisizioni.
Il passaggio prevede, da parte delle istituzioni scolastiche e formative
interessate, la progettazione e l’attuazione di modalità di
accompagnamento e di sostegno della studentessa e dello studente e la
possibilità di inserimento graduale nel nuovo percorso. Il passaggio è
effettuato esclusivamente a domanda della studentessa e dello studente nei
limiti delle disponibilità di posti nelle classi di riferimento delle istituzioni
scolastiche e formative.
Il passaggio tiene conto dei diversi risultati di apprendimento e dello
specifico profilo di uscita dell’ordine di studi e dell’indirizzo, riferiti
al percorso al quale si chiede di accedere anche nel caso in cui la studentessa
e lo studente sia già in possesso di ammissione all’annualità successiva
del percorso di provenienza. La determinazione dell’annualità di
inserimento è basata sul riconoscimento dei crediti posseduti, sulla
comparazione tra il percorso di provenienza e quello cui la studentessa e lo
studente chiede di accedere, nonché sulle sue effettive potenzialità di
prosecuzione del percorso. Nel corso o al termine dei primi tre anni, le
istituzioni scolastiche e le istituzioni formative accreditate tengono conto dei
crediti maturati e certificati, secondo le seguenti modalità :
a) certificazione delle competenze acquisite nel precedente percorso
formativo, con riferimento alle unità di apprendimento;
b) elaborazione, anche sulla base di eventuali verifiche in ingresso, di un
bilancio di competenze da parte delle istituzioni che accolgono la
studentessa e lo studente;
c) progettazione e realizzazione delle attività di inserimento e di
accompagnamento nel nuovo percorso.
La studentessa e lo studente, conseguita la qualifica triennale, possono
chiedere di passare al quarto anno dei percorsi di istruzione professionale,
oppure di proseguire il proprio percorso di studi con il quarto anno dei
percorsi di istruzione e formazione professionale sia presso le istituzioni
scolastiche sia presso le istituzioni formative accreditate per conseguire un
diploma professionale di tecnico.
I diplomi di istruzione professionale, rilasciati in esito agli esami di Stato
conclusivi dei relativi percorsi quinquennali, le qualifiche e i diplomi
professionali rilasciati in esito agli esami conclusivi dei percorsi di istruzione
e formazione professionale, rispettivamente di durata triennale e
quadriennale, sono titoli di studio tra loro correlati nel Repertorio nazionale
dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali di cui
all’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 13 del 16 gennaio 2013.

3.2.4 L’esame di Stato nel secondo ciclo di


istruzione
L’esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di
secondo grado verifica i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun
candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni
indirizzo di studi, con riferimento alle Indicazioni nazionali per i licei e alle
Linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali, anche in funzione
orientativa per il proseguimento degli studi di ordine superiore ovvero per lâ
€™inserimento nel mondo del lavoro.
In relazione al profilo educativo, culturale e professionale specifico di ogni
indirizzo di studi, l’esame di Stato tiene conto anche della partecipazione
alle attività di alternanza scuola-lavoro, dello sviluppo delle competenze
digitali e del percorso dello studente. Sono ammessi a sostenere l’esame
di Stato in qualità di candidati interni le studentesse e gli studenti che
hanno frequentato l’ultimo anno di corso dei percorsi di istruzione
secondaria di secondo grado presso istituzioni scolastiche statali e paritarie.
L’ammissione all’esame di Stato è disposta, in sede di scrutinio
finale, dal consiglio di classe, presieduto dal dirigente scolastico o da suo
delegato. È ammesso all’esame di Stato la studentessa o lo studente in
possesso dei seguenti requisiti:
a) frequenza per almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato;
b) partecipazione, durante l’ultimo anno di corso, alle prove predisposte
dall’INVALSI, volte a verificare i livelli di apprendimento conseguiti
nelle discipline oggetto di rilevazione;
c) svolgimento dell’attività di alternanza scuola-lavoro secondo quanto
previsto dall’indirizzo di studio nel secondo biennio e nell’ultimo
anno di corso;
d) votazione non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di
discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto secondo lâ
€™ordinamento vigente e un voto di comportamento non inferiore a sei
decimi. Nel caso di votazione inferiore a sei decimi in una disciplina o in un
gruppo di discipline, il consiglio di classe può deliberare, con adeguata
motivazione, l’ammissione all’esame conclusivo del secondo ciclo.
Il voto espresso dal docente di religione o per le attività alternative, per le
alunne e gli alunni che si sono avvalsi di detto insegnamento, se
determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale.
Sono equiparati ai candidati interni le studentesse e gli studenti in possesso
del diploma professionale quadriennale di «Tecnico» conseguito nei
percorsi del Sistema di istruzione e formazione professionale, che abbiano
positivamente frequentato il corso annuale previsto dall’articolo 15,
comma 6, del Decreto Legislativo n. 226 del 17 ottobre 2005, e recepito dalle
Intese stipulate tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca e le regioni o province autonome. Sono ammessi, a domanda,
direttamente all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, le
studentesse e gli studenti che hanno riportato, nello scrutinio finale della
penultima classe, non meno di otto decimi in ciascuna disciplina o gruppo di
discipline e non meno di otto decimi nel comportamento, che hanno seguito
un regolare corso di studi di istruzione secondaria di secondo grado e che
hanno riportato una votazione non inferiore a sette decimi in ciascuna
disciplina o gruppo di discipline e non inferiore a otto decimi nel
comportamento negli scrutini finali dei due anni antecedenti il penultimo,
senza essere incorsi in non ammissioni alla classe successiva nei due anni
predetti. Le votazioni suddette non si riferiscono all’insegnamento della
religione cattolica e alle attività alternative.
Sono ammessi a sostenere l’esame di Stato in qualità di candidati
esterni coloro che:
a) compiano il diciannovesimo anno di età entro l’anno solare in cui si
svolge l’esame e dimostrino di aver adempiuto all’obbligo di
istruzione;
b) siano in possesso del diploma di scuola secondaria di primo grado da un
numero di anni almeno pari a quello della durata del corso prescelto,
indipendentemente dall’età ;
c) siano in possesso di titolo conseguito al termine di un corso di studio di
istruzione secondaria di secondo grado di durata almeno quadriennale del
previgente ordinamento o siano in possesso di diploma professionale di
tecnico di cui all’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 226 del 17
ottobre 2005;
d) abbiano cessato la frequenza dell’ultimo anno di corso prima del 15
marzo.
Fermo restando quanto disposto dall’articolo 7 della Legge n. 425 del 10
dicembre 1997, l’ammissione dei candidati esterni che non siano in
possesso di promozione all’ultima classe è subordinata al superamento
di un esame preliminare inteso ad accertare la loro preparazione sulle materie
previste dal piano di studi dell’anno o degli anni per i quali non siano in
possesso della promozione o dell’idoneità alla classe successiva,
nonché su quelle previste dal piano di studi dell’ultimo anno.
Sostengono altresì l’esame preliminare, sulle materie previste dal piano
di studi dell’ultimo anno, i candidati in possesso di idoneità o di
promozione all’ultimo anno che non hanno frequentato il predetto anno
ovvero che non hanno comunque titolo per essere scrutinati per lâ
€™ammissione all’esame. Il superamento dell’esame preliminare,
anche in caso di mancato superamento dell’esame di Stato, vale come
idoneità all’ultima classe. L’esame preliminare è sostenuto davanti
al consiglio della classe dell’istituto, statale o paritario, collegata alla
commissione alla quale il candidato è stato assegnato; il candidato è
ammesso all’esame di Stato se consegue un punteggio minimo di sei
decimi in ciascuna delle prove cui è sottoposto.
I candidati esterni debbono presentare domanda di ammissione agli esami di
Stato all’Ufficio scolastico regionale territorialmente competente, il quale
provvede ad assegnare i candidati medesimi, distribuendoli in modo uniforme
sul territorio, agli istituti scolastici statali o paritari aventi sede nel comune di
residenza del candidato stesso ovvero, in caso di assenza nel comune dellâ
€™indirizzo di studio indicato nella domanda, nella provincia e, nel caso di
assenza anche in questa del medesimo indirizzo, nella regione.
I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni degli istituti statali
e paritari e il loro numero non può superare il cinquanta per cento dei
candidati interni, fermo restando il limite numerico di trentacinque candidati.
Gli esami preliminari, ove prescritti, sono sostenuti dai candidati esterni
presso le istituzioni scolastiche loro assegnate come sede di esame. La
mancata osservanza di tali disposizioni preclude l’ammissione allâ
€™esame di Stato, fatte salve le responsabilità penali, civili e
amministrative a carico dei soggetti preposti alle istituzioni scolastiche
interessate. L’ammissione all’esame di Stato è altresì subordinata
alla partecipazione presso l’istituzione scolastica in cui lo sosterranno alla
prova a carattere nazionale predisposta dall’INVALSI nonché allo
svolgimento di attività assimilabili all’alternanza scuola-lavoro, secondo
criteri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dellâ
€™università e della ricerca.
I candidati non appartenenti a Paesi dell’Unione europea, che non
abbiano frequentato l’ultimo anno di corso di istruzione secondaria
superiore in Italia o presso istituzioni scolastiche italiane all’estero,
possono sostenere l’esame di Stato in qualità di candidati esterni, con le
medesime modalità previste per questi ultimi.
In sede di scrutinio finale il consiglio di classe attribuisce il punteggio per il
credito scolastico maturato nel secondo biennio e nell’ultimo anno fino
ad un massimo di quaranta punti, di cui dodici per il terzo anno, tredici per il
quarto anno e quindici per il quinto anno.
Partecipano al consiglio tutti i docenti che svolgono attività e insegnamenti
per tutte le studentesse e tutti gli studenti o per gruppi degli stessi, compresi
gli insegnanti di
religione cattolica e per le attività alternative alla religione cattolica,
limitatamente agli studenti che si avvalgono di questi insegnamenti.
Per i candidati esterni il credito scolastico è attribuito dal consiglio di classe
davanti al quale sostengono l’esame preliminare, sulla base della
documentazione del curriculum scolastico e dei risultati delle prove
preliminari.
Sono sedi degli esami per i candidati interni le istituzioni scolastiche statali e
gli istituti paritari da essi frequentati. Per i candidati esterni sono sedi di
esame gli istituti statali e gli istituti paritari a cui sono assegnati. Ai candidati
esterni che abbiano compiuto il percorso formativo in scuole non statali e non
paritarie o in corsi di preparazione, comunque denominati, è fatto divieto di
sostenere gli esami in scuole paritarie che dipendano dallo stesso gestore o da
altro gestore avente comunanza di interessi. Presso le istituzioni scolastiche
statali e paritarie sede di esami sono costituite commissioni d’esame, una
ogni due classi, presiedute da un presidente esterno all’istituzione
scolastica e composte da tre membri esterni e per ciascuna delle due classi da
tre membri interni. In ogni caso, è assicurata la presenza dei commissari
delle materie oggetto di prima e seconda prova scritta. Ad ogni classe sono
assegnati non più di trentacinque candidati. Presso l’Ufficio scolastico
regionale è istituito l’elenco dei presidenti di commissioni, cui possono
accedere dirigenti scolastici, nonché docenti della scuola secondaria di
secondo grado, in possesso di requisiti definiti a livello nazionale dal
Ministero dell’istruzione, che assicura specifiche azioni formative per il
corretto svolgimento della funzione di presidente. Le commissioni dâ
€™esame possono provvedere alla correzione delle prove scritte operando
per aree disciplinari; le decisioni finali sono assunte dall’intera
commissione a maggioranza assoluta.
Il consiglio di classe elabora, entro il quindici maggio di ciascun anno, un
documento che esplicita i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi e i tempi del
percorso formativo, nonché i criteri, gli strumenti di valutazione adottati e
gli obiettivi raggiunti. La commissione tiene conto di detto documento nellâ
€™espletamento dei lavori. L’esame di Stato comprende due prove a
carattere nazionale e un colloquio. La prima prova, in forma scritta, accerta la
padronanza della lingua italiana o della diversa lingua nella quale si svolge lâ
€™insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e
critiche del candidato. Essa consiste nella redazione di un elaborato con
differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico,
scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico. La prova può essere
strutturata in più parti, anche per consentire la verifica di competenze
diverse, in particolare della comprensione degli aspetti linguistici, espressivi
e logico-argomentativi, oltre che della riflessione critica da parte del
candidato.
La seconda prova, in forma scritta, grafica o scritto-grafica, pratica,
compositivo/esecutiva musicale e coreutica, ha per oggetto una o più
discipline caratterizzanti il corso di studio ed è intesa ad accertare le
conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale
e professionale della studentessa o dello studente dello specifico indirizzo.
Con decreto del Ministro dell’istruzione sono definiti, nel rispetto delle
Indicazioni nazionali e Linee guida, i quadri di riferimento per la redazione e
lo svolgimento delle suddette prove, in modo da privilegiare, per ciascuna
disciplina, i nuclei tematici fondamentali. Al fine di uniformare i criteri di
valutazione delle commissioni d’esame, sono definite le griglie di
valutazione per l’attribuzione dei punteggi relativamente alle prove. Le
griglie di valutazione consentono di rilevare le conoscenze e le abilitÃ
acquisite dai candidati e le competenze nell’impiego dei contenuti
disciplinari. Con decreto del Ministro dell’istruzione, sono individuate
annualmente, entro il mese di gennaio, le discipline oggetto della seconda
prova, nell’ambito delle materie caratterizzanti i percorsi di studio, lâ
€™eventuale disciplina oggetto di una terza prova scritta per specifici
indirizzi di studio e le modalità organizzative relative allo svolgimento del
colloquio. Il Ministro sceglie i testi della prima e seconda prova per tutti i
percorsi di studio tra le proposte elaborate da una commissione di esperti. Nei
percorsi dell’istruzione professionale la seconda prova ha carattere
pratico ed è tesa ad accertare le competenze professionali acquisite dal
candidato. Una parte della prova è predisposta dalla commissione dâ
€™esame in coerenza con le specificità del Piano dell’offerta formativa
dell’istituzione scolastica. Il colloquio ha la finalità di accertare il
conseguimento del profilo culturale, educativo e professionale della
studentessa o dello studente. A tal fine la commissione, propone al candidato
di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare lâ
€™acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la
capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare
in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera. Nellâ
€™ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione
e/o un elaborato multimediale, l’esperienza di alternanza scuola-lavoro
svolta nel percorso di studi. Il colloquio accerta altresì le conoscenze e
competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a
«Cittadinanza e Costituzione» (ora Educazione Civica).
Per i candidati risultati assenti ad una o più prove, per gravi motivi
documentati, valutati dalla commissione, è prevista una sessione suppletiva
e una sessione straordinaria d’esame e, in casi eccezionali, particolari
modalità di svolgimento degli stessi.
A conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un
punteggio finale complessivo in centesimi, che è il risultato della somma
dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove e al colloquio e
dei punti acquisiti per il credito scolastico da ciascun candidato per un
massimo di quaranta punti.
La commissione d’esame dispone di un massimo venti punti per la
valutazione di ciascuna delle prove e di un massimo di venti punti per la
valutazione del colloquio.
L’esito delle prove scritte è pubblicato, per tutti i candidati, all’albo
dell’istituto sede della commissione d’esame almeno due giorni
prima della data fissata per l’inizio dello svolgimento del colloquio.
Il punteggio minimo complessivo per superare l’esame è di sessanta
centesimi. La commissione d’esame può motivatamente integrare il
punteggio fino a un massimo di cinque punti ove il candidato abbia ottenuto
un credito scolastico di almeno trenta punti e un risultato complessivo nelle
prove d’esame pari almeno a cinquanta punti.
La commissione all’unanimità può motivatamente attribuire la lode a
coloro che conseguono il punteggio massimo di cento punti senza fruire della
predetta integrazione del punteggio, a condizione che:
a) abbiano conseguito il credito scolastico massimo con voto unanime del
consiglio di classe;
b) abbiano conseguito il punteggio massimo previsto per ogni prova dâ
€™esame.
L’esito dell’esame con l’indicazione del punteggio finale
conseguito, inclusa la menzione della lode, è pubblicato,
contemporaneamente per tutti i candidati della classe, all’albo dellâ
€™istituto sede della commissione, con la sola indicazione «non
diplomato» nel caso di mancato superamento dell’esame stesso.
Le studentesse e gli studenti iscritti all’ultimo anno di scuola secondaria
di secondo grado sostengono prove a carattere nazionale, computer based,
predisposte dall’INVALSI, volte a verificare i livelli di apprendimento
conseguiti in italiano, matematica e inglese, ferme restando le rilevazioni
già effettuate nella classe seconda. Per le studentesse e gli studenti risultati
assenti per gravi motivi documentati, valutati dal consiglio di classe, è
prevista una sessione suppletiva per l’espletamento delle prove. Per la
prova di inglese, l’INVALSI accerta i livelli di apprendimento attraverso
prove di posizionamento sulle abilità di comprensione e uso della lingua,
coerenti con il Quadro comune di riferimento europeo per le lingue,
eventualmente in convenzione con gli enti certificatori. Le azioni relative allo
svolgimento delle rilevazioni nazionali costituiscono per le istituzioni
scolastiche attività ordinarie d’istituto.
Le studentesse e gli studenti con disabilità sono ammessi a sostenere lâ
€™esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione. Il consiglio di
classe stabilisce la tipologia delle prove d’esame e se le stesse hanno
valore equipollente all’interno del piano educativo individualizzato.
La commissione d’esame, sulla base della documentazione fornita dal
consiglio di classe, relativa alle attività svolte, alle valutazioni effettuate e
all’assistenza prevista per l’autonomia e la comunicazione,
predispone una o più prove differenziate, in linea con gli interventi
educativo-didattici attuati sulla base del piano educativo individualizzato e
con le modalità di valutazione in esso previste. Tali prove, ove di valore
equipollente, determinano il rilascio del titolo di studio conclusivo del
secondo ciclo di istruzione. Nel diploma finale non viene fatta menzione
dello svolgimento di prove differenziate. Per la predisposizione, lo
svolgimento e la correzione delle prove d’esame, la commissione può
avvalersi del supporto dei docenti e degli esperti che hanno seguito la
studentessa o lo studente durante l’anno scolastico. La commissione
potrà assegnare un tempo differenziato per l’effettuazione delle prove da
parte del candidato con disabilità . Alle studentesse e agli studenti con
disabilità , per i quali sono state predisposte dalla commissione prove non
equipollenti a quelle ordinarie sulla base del piano educativo individualizzato
o che non partecipano agli esami o che non sostengono una o più prove,
viene rilasciato un attestato di credito formativo recante gli elementi
informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito,
alle discipline comprese nel piano di studi, con l’indicazione della durata
oraria complessiva destinata a ciascuna delle valutazioni, anche parziali,
ottenute in sede di esame. Per le studentesse e gli studenti con disabilità il
riferimento all’effettuazione delle prove differenziate è indicato solo
nella attestazione e non nelle tabelle affisse all’albo dell’istituto.
Al termine dell’esame di Stato viene rilasciato ai candidati con disabilitÃ
il curriculum della studentessa e dello studente.
Le studentesse e gli studenti con disabilità partecipano alle prove
standardizzate. Il consiglio di classe può prevedere adeguate misure
compensative o dispensative per lo svolgimento delle prove e, ove non
fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti della prova.
Le studentesse e gli studenti con disturbo specifico di apprendimento
(DSA), certificato ai sensi della legge n. 170 dell’8 ottobre 2010, sono
ammessi a sostenere l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di
istruzione, sulla base del piano didattico personalizzato. La commissione
d’esame, considerati gli elementi forniti dal consiglio di classe, tiene in
debita considerazione le specifiche situazioni soggettive adeguatamente
certificate e, in particolare, le modalità didattiche e le forme di valutazione
individuate nell’ambito dei percorsi didattici individualizzati e
personalizzati.
Nello svolgimento delle prove scritte, i candidati con DSA possono utilizzare
tempi più lunghi di quelli ordinari per l’effettuazione delle prove
scritte ed utilizzare gli strumenti compensativi previsti dal piano didattico
personalizzato e che siano già stati impiegati per le verifiche in corso dâ
€™anno o comunque siano ritenuti funzionali alla svolgimento dellâ
€™esame, senza che venga pregiudicata la validità delle prove scritte. Nel
diploma finale non viene fatta menzione dell’impiego degli strumenti
compensativi. Per i candidati con certificazione di DSA che hanno seguito un
percorso didattico ordinario, con la sola dispensa dalle prove scritte ordinarie
di lingua straniera, la commissione, nel caso in cui la lingua straniera sia
oggetto di seconda prova scritta, sottopone i candidati medesimi a prova orale
sostitutiva della prova scritta. Nel diploma finale non viene fatta menzione
della dispensa dalla prova scritta di lingua straniera.
In casi di particolari gravità del disturbo di apprendimento, anche in
comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato
diagnostico, la studentessa o lo studente, su richiesta della famiglia e
conseguente approvazione del consiglio di classe, sono esonerati dallâ
€™insegnamento delle lingue straniere e seguono un percorso didattico
differenziato. In sede di esame di Stato sostengono prove differenziate, non
equipollenti a quelle ordinarie, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo
al rilascio dell’attestato di credito formativo. Per detti candidati, il
riferimento all’effettuazione delle prove differenziate è indicato solo
nella attestazione e non nelle tabelle affisse all’albo dell’istituto.
Le studentesse e gli studenti con DSA partecipano alle prove
standardizzate. Per lo svolgimento delle suddette prove il consiglio di classe
può disporre adeguati strumenti compensativi coerenti con il piano
didattico personalizzato. Le studentesse e gli studenti con DSA dispensati
dalla prova scritta di lingua straniera o esonerati dall’insegnamento della
lingua straniera non sostengono la prova nazionale di lingua inglese.
Il diploma finale rilasciato in esito al superamento dell’esame di Stato,
anche in relazione alle esigenze connesse con la circolazione dei titoli di
studio nell’ambito dell’Unione europea, attesta l’indirizzo e la
durata del corso di studi, nonché il punteggio ottenuto. Al diploma è
allegato il curriculum della studentessa e dello studente, in cui sono
riportate le discipline ricomprese nel piano degli studi con l’indicazione
del monte ore complessivo destinato a ciascuna di esse. In una specifica
sezione sono indicati, in forma descrittiva, i livelli di apprendimento
conseguiti nelle prove scritte a carattere nazionale, distintamente per ciascuna
delle discipline oggetto di rilevazione e la certificazione sulle abilità di
comprensione e uso della lingua inglese. Sono altresì indicate le
competenze, le conoscenze e le abilità anche professionali acquisite e le
attività culturali, artistiche e di pratiche musicali, sportive e di volontariato,
svolte in ambito extra scolastico nonché le attività di alternanza scuola-
lavoro ed altre eventuali certificazioni conseguite, anche ai fini dellâ
€™orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro.
Per le alunne, gli alunni, le studentesse e gli studenti che frequentano corsi di
istruzione funzionanti in ospedali o in luoghi di cura per periodi
temporalmente rilevanti, i docenti che impartiscono i relativi insegnamenti
trasmettono alla scuola di appartenenza elementi di conoscenza in ordine al
percorso formativo individualizzato attuato dai predetti alunni e studenti, ai
fini della valutazione periodica e finale.
Nel caso in cui la frequenza dei corsi abbia una durata prevalente rispetto a
quella nella classe di appartenenza, i docenti che hanno impartito gli
insegnamenti nei corsi stessi effettuano lo scrutinio previa intesa con la
scuola di riferimento, la quale fornisce gli elementi di valutazione
eventualmente elaborati dai docenti della classe. Analogamente si procede
quando l’alunna, l’alunno, la studentessa o lo studente, ricoverati nel
periodo di svolgimento degli esami conclusivi, devono sostenere in ospedale
tutte le prove o alcune di esse. Tali modalità di valutazione si applicano
anche ai casi di istruzione domiciliare. In caso di istruzione parentale, i
genitori dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente,
ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a
presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico
del territorio di residenza. Tali alunni o studenti sostengono annualmente lâ
€™esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di
candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino allâ
€™assolvimento dell’obbligo di istruzione.
Capitolo 4
Il personale docente
di Alessandro Signorino Gelo

4.1 Stato giuridico degli insegnanti


Con la legge 30 luglio 1973, n. 477 era stata conferita delega al Governo per
l’emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo,
ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria
e artistica dello Stato. In attuazione di tale delega furono emanati i quattro
decreti delegati per antonomasia, uno dei quali, il D.P.R. 31 maggio 1974, n.
417 ancora vigente, al Titolo I norma la funzione docente, direttiva e
ispettiva. Nell’art. 1, che riprende l’art. 4 della legge n. 477/1973, è
ribadito che ai docenti è garantita la libertà di insegnamento nel
rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti
dalle leggi dello Stato. L’esercizio di tale libertà è inteso a promuovere
attraverso un confronto aperto di posizioni culturali la piena formazione
della personalità degli alunni. Tale articolo di legge fa eco alla Costituzione
che nell’art. 33 statuisce che l’arte e la scienza sono libere e libero
ne è l’insegnamento. Trattasi, invero, non di una libertà supra legem,
bensì di una funzione attuata nel rispetto della coscienza morale e civile
degli alunni. In tale assunto vi è chiaramente coniugato il dettato
costituzionale secondo il quale tutti hanno diritto di manifestare liberamente
il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione
(art. 21 Cost.).

4.1.1 La funzione docente


Tenuto conto che i docenti delle scuole di ogni ordine e grado, oltre a
svolgere il loro normale orario di insegnamento, espletano le altre attivitÃ
connesse con la funzione docente […], il decreto n. 417/1974 definisce tale
funzione come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della
cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla
partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica
della loro personalità 91, principio questo che verrà in seguito cristallizzato
nell’art. 395 del T.U92.
L’articolo 2 del decreto norma la funzione docente e stabilisce che i
docenti delle scuole di ogni ordine e grado, oltre a svolgere il loro normale
orario di insegnamento, curano il proprio aggiornamento culturale e
professionale; partecipano alle riunioni degli organi collegiali di cui fanno
parte e alla realizzazione delle iniziative educative della scuola, deliberate dai
competenti organi; curano i rapporti con i genitori degli alunni delle rispettive
classi; partecipano ai lavori delle commissioni di esame e di concorso di cui
siano stati nominati componenti.
Le attività funzionali risultano essere imprescindibili dallo svolgimento dei
compiti connessi alla mera attività di docenza e, appositamente, sono state
annoverate e integrate dai contratti collettivi che sono contratti normativi
stipulati dalle associazioni sindacali per disciplinare uniformemente i
rapporti di lavoro della categoria93.
La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento
volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli
alunni94. Tra le attività funzionali all’insegnamento, l’art. 29, c. 1,
del CCNL 2006-09 annovera ogni impegno inerente alla funzione docente
previsto dai diversi ordinamenti scolastici. Esse comprendono tutte le
attività , anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione,
ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa
la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle
riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi. La
funzione docente si esplica, altresì, nelle attività individuali e collegiali.
Tra gli adempimenti individuali dovuti rientrano le attività relative:
a) alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni;
b) alla correzione degli elaborati;
c) ai rapporti individuali con le famiglie95.

4.1.2 L’attività di insegnamento


Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di
insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione di insegnamento96.
L’attività di insegnamento, come leggiamo nel vigente CCNL 2007, è
svolta come di seguito esposto97:
Scuola dell’infanzia 25 ore settimanali
Scuola primaria 22 ore settimanali
Scuola secondaria 18 ore settimanali
È però da precisare che nella scuola primaria vanno aggiunte 2 ore da
dedicare, anche in modo flessibile e su base plurisettimanale, alla
programmazione didattica da attuarsi in incontri collegiali dei docenti
interessati, in tempi non coincidenti con l’orario delle lezioni. Nellâ
€™ambito delle 22 ore d’insegnamento la quota oraria eventualmente
eccedente l’attività frontale e di assistenza alla mensa è destinata,
previa programmazione, ad attività :

di arricchimento dell’offerta formativa;


di recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo
nei processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni
stranieri, in particolare provenienti da Paesi extracomunitari.

Nel caso in cui il collegio dei docenti non abbia effettuato tale
programmazione o non abbia impegnato totalmente la quota oraria eccedente
l’attività frontale e di assistenza alla mensa, tali ore saranno destinate
per supplenze in sostituzione di docenti assenti fino ad un massimo di cinque
giorni nell’ambito del plesso di servizio98.
L’attività di insegnamento è distribuita in non meno di cinque giornate
settimanali.
Negli istituti e scuole di istruzione secondaria, ivi compresi i licei artistici e
gli istituti d’arte, i docenti, il cui orario di cattedra sia inferiore alle 18 ore
settimanali, sono tenuti al completamento dell’orario di insegnamento da
realizzarsi mediante la copertura di ore di insegnamento disponibili in classi
collaterali non utilizzate per la costituzione di cattedre orario, in interventi
didattici ed educativi integrativi, con particolare riguardo, per la scuola dellâ
€™obbligo, alle finalità indicate al comma 2, nonché mediante lâ
€™utilizzazione in eventuali supplenze e, in mancanza, rimanendo a
disposizione anche per attività parascolastiche ed interscolastiche99.
Al di fuori dei casi previsti dalla riduzione dell’ora di lezione per cause di
forza maggiore determinate da motivi estranei alla didattica (vis maior cui
resisti non potest), qualunque riduzione della durata dell’unità oraria di
lezione ne comporta il recupero nell’ambito delle attività didattiche
programmate dall’istituzione scolastica. La relativa delibera è assunta
dal collegio dei docenti100.
Il CCNL 2016-18101, all’art. 28, precisa che, fermo restando l’articolo
28 del CCNL 29/11/2007, l’orario di cui al comma 5 di tale articolo può
anche essere parzialmente o integralmente destinato allo svolgimento di
attività per il potenziamento dell’offerta formativa o quelle
organizzative; le eventuali ore non programmate nel PTOF dei docenti della
scuola primaria e secondaria sono destinate alle supplenze sino a dieci giorni.
Inoltre, il potenziamento dell’offerta formativa comprende le attività di
istruzione, orientamento, formazione, inclusione scolastica, diritto allo studio,
coordinamento, ricerca e progettazione previste dal piano triennale dellâ
€™offerta formativa, ulteriori rispetto a quelle occorrenti per assicurare la
realizzazione degli ordinamenti scolastici, per l’attuazione degli obiettivi
di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 13 luglio 2015, n. 107, che
disciplina il fabbisogno dei posti dell’organico dell’autonomia. Le ore
di potenziamento dell’offerta formativa sono retribuite, purché
autorizzate, quando eccedenti quelle funzionali e non ricomprese nellâ
€™orario di attività dei docenti. Il CCNL 2016-18 conferma dunque lâ
€™orario di lavoro stabilito dagli artt. 28 e 29 del CCNL 2007
(rispettivamente attività di insegnamento e attività funzionali allâ
€™insegnamento), comprese le 40 + 40 di attività collegiali, con lâ
€™integrazione degli obblighi riguardanti i docenti impegnati sul
potenziamento e, all’art. 27, integra nel profilo professionale dei docenti
competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche,
metodologico-didattiche, organizzativo relazionali, di orientamento e di
ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si
sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio
e di sistematizzazione della pratica didattica. Lo stesso art. 27 dispone inoltre
che i contenuti della prestazione professionale del personale docente si
definiscono nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema
nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati nel piano dellâ
€™offerta formativa della scuola.
La definizione della scuola come comunità educante, che il CCNL 2016-
18 esplicita nell’art. 24, ovvero una scuola in cui ognuno, con pari
dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla
cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle
potenzialità di ciascuno […] riprende l’assunto già sancito dal Testo
Unico della scuola (D.Lgs. 297/1994), che, all’art. 3, aveva accomunato
la scuola a una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale
e civica. Il nuovo contratto collettivo amplia quanto espresso nel T.U.;
definisce la scuola comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza
sociale, improntata e informata ai valori democratici e volta alla crescita
della persona in tutte le sue dimensioni e ne estende la partecipazione a
dirigente scolastico, personale docente ed educativo, DSGA e personale
amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché alle famiglie, alunni e studenti
i quali partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali
previsti dal D.Lgs. n. 297/1994. Il centro dell’azione della nuova
comunità educante è la progettazione educativa e didattica che trova
espressione nella realizzazione del Piano triennale dell’offerta formativa
elaborato dal Collegio dei docenti nel rispetto della libertà di insegnamento.
Nella predisposizione del Piano viene assicurata priorità all’erogazione
dell’offerta formativa ordinamentale e alle attività che ne assicurano un
incremento, nonché l’utilizzo integrale delle professionalità in
servizio presso l’istituzione scolastica. I docenti partecipano, a tal fine,
alle attività del collegio nell’ambito dell’impegno orario. Gli
obiettivi che la scuola si prefigge si realizzeranno in armonia con i princìpi
sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dellâ
€™infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi
generali dell’ordinamento italiano.
Il concetto di comunità educante offre dunque una visione della scuola più
ampia rispetto al passato. In una comunità nella quale tutti hanno valenza
educativa, ogni azione concorre alla formazione dell’alunno che è fine
ultimo della scuola. In sintesi, il processo formativo diventa il frutto dellâ
€™azione sinergica di tutti i componenti della scuola e non più soltanto
dell’azione dell’insegnante. Ciascuno, nella diversità dei ruoli, opera
per garantire la formazione dell’allievo alla cittadinanza e la crescita della
persona in tutte le sue dimensioni.

91
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 2, c. 1.
92
D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, Testo Unico delle disposizioni legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado
(s.o. G.U. n.115 del 19/5/1994).
93
Bianca, C.M., Istituzioni di Diritto privato, Milano, Giuffrè Editore 2018,
pag. 21.
94
CCNL 2006-09, art. 26.
95
Art. 29, c. 2.
96
CCNL 2006-09, art. 28, comma 4.
97
CCNL 2006-09, art. 28, comma 5.
98
CCNL 2006-09, art. 28, comma 5.
99
CCNL 2006-09, art. 28, comma 6.
Il citato comma 2, anch’esso dell’art. 28, così recita: Nel rispetto
della libertà d’insegnamento, i competenti organi delle istituzioni
scolastiche regolano lo svolgimento delle attività didattiche nel modo più
adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine
possono adottare le forme di flessibilità previste dal Regolamento sulla
autonomia didattica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche di cui allâ
€™articolo 21 della legge n. 59 del 15 marzo 1997 – e, in particolare,
dell’articolo 4 dello stesso Regolamento-, tenendo conto della disciplina
contrattuale.
100
CCNL 2006-09, art. 28, comma 7. La materia resta altresì regolata dalle
circolari ministeriali n. 243 del 22.9.1979 e n. 192 del 3.7.1980 nonché
dalle ulteriori circolari che le hanno confermate.
101
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) relativo al personale
del comparto Istruzione e ricerca, è valido per il triennio 2016-2018. Per
quanto non espressamente previsto, continuano a trovare applicazione le
disposizioni contrattuali dei CCNL dei precedenti comparti di contrattazione
e le specifiche norme di settore, in quanto compatibili con le disposizioni
degli stessi e con le norme legislative, nei limiti del D.Lgs. n. 165/2001.

4.2 L’ARAN
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è la fonte normativa
che riunisce le regole che disciplinano il rapporto di lavoro a seguito di
confronto e di decisioni assunte tra le organizzazioni rappresentative dei
lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro.
Nel settore del pubblico impiego, e dunque anche per la scuola, il CCNL è
stipulato tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e l’ARAN, lâ
€™Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche
Amministrazioni, istituita dal D.Lgs. 29/1993 ed accresciuta e riconfermata
nelle sue funzioni dai decreti legislativi nn. 165/2001 e 150/2009. Unico
organismo preposto alla negoziazione nel pubblico impiego, l’ARAN è
l’Agenzia tecnica, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di
autonomia organizzativa, gestionale e contabile, che rappresenta le pubbliche
amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro. Essa
svolge ogni attività relativa alla negoziazione e definizione dei contratti
collettivi del personale dei vari comparti del pubblico impiego e si attiene agli
atti di indirizzo dei Comitati di settore, con l’autonomia dettata dallâ
€™esigenza di garantire una corretta e funzionale dinamica negoziale102.

4.3 Diritti e doveri del docente


4.3.1 Le fonti
Le fonti dei diritti e dei doveri del docente sono rinvenibili:

nella carta costituzionale nella quale si sancisce che l’arte e la


scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento103;
nel codice civile, come sancito dal D.Lgs. n. 165/2001, art. 2, c. 2, che
così dispone: i rapporti di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo
I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni
contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a
carattere imperativo. Inoltre, al comma 3 è sancito che i rapporti
individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente.

Lo stesso D.Lgs. 165/2001, all’art. 5, c. 2, dispone che […] le


determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla
gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari
opportunità , e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro
nell’ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi
preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro
[…].
Ed ancora, le fonti dei diritti e dei doveri del docente sono rinvenibili:

nello Statuto dei lavoratori, Legge n. 300/1970;


nel D.Lgs. n. 297/1994;
nel CCNL.

Il profilo giuridico del docente, connotato dall’esercizio del principio


della libertà di insegnamento, si attua nel rispetto delle norme
costituzionali e degli ordinamenti della scuola. L’esercizio di tale libertÃ
di insegnamento, intesa come autonomia didattica e come libera espressione
culturale del docente, non è da intendersi come attività supra legem,
piuttosto è la sintesi della più ampia condivisione collegiale di contenuti e
parametri di riferimento volti a promuovere, attraverso un confronto aperto
di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni104.
Tale azione di promozione è attuata nel rispetto della coscienza morale e
civile degli stessi105.
Il profilo giuridico del docente trova forma sostanziale in diversi
provvedimenti normativi che ne garantiscono il diritto di esercizio. A tal
proposito, il dirigente scolastico, per l’esercizio e la tutela della libertÃ
di insegnamento e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da
parte degli alunni, promuove gli interventi per assicurare la qualità dei
processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali,
sociali ed economiche del territorio [...]106. Tali interventi sono rintracciabili
in corsi di aggiornamento in presenza o online, seminari, convegni, ovvero in
tutte quelle forme di sostegno alla crescita professionale del corpo docente e
della comunità scolastica in generale. La libertà di insegnamento, sancita
dalla Costituzione è altresì tutelata dal dirigente scolastico, il quale agisce
nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici. Essa, inoltre,
trova compiutezza formale nell’autonomia delle istituzioni scolastiche,
prevista dall’art. 21 della Legge n. 59/1997. Tale articolo finalizza lâ
€™autonomia didattica al perseguimento degli obiettivi generali del sistema
nazionale di istruzione nel rispetto della libertà di insegnamento, della
libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere
attraverso la scelta libera e programmata di metodologie, strumenti,
organizzazione e tempi di insegnamento [...]107.

4.3.2 Legge n. 300/1970 - Statuto dei lavoratori


La Costituzione riconosce il lavoro quale fondamento della Repubblica:
affermando che l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro108, ne sancisce il principio lavorista. La Costituzione, in quanto legge
che enuncia le basilari scelte politiche del nostro ordinamento109, fa del
lavoro il primo diritto sociale e lo pone al vertice delle scelte che lo Stato
persegue a tutela dell’individuo. Riconoscendo a tutti i cittadini il diritto
al lavoro, la Repubblica è chiamata a promuovere le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Di converso, ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società 110.
Al Titolo III, che tratta dei Rapporti economici, la Costituzione indica tutele e
diritti da riconoscere al lavoro e al lavoratore. La Repubblica tutela il lavoro
in tutte le sue forme ed applicazioni e cura la formazione e l’elevazione
professionale dei lavoratori111. Con l’art. 36 al lavoratore è garantito il
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a seÌ e alla famiglia unâ
€™esistenza libera e dignitosa.
La Costituzione sancisce che la durata massima della giornata lavorativa è
stabilita dalla legge e che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a
ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Sancisce inoltre che la donna
lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che
spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire lâ
€™adempimento della essenziale funzione familiare della donna lavoratrice e
assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge n. 300/1970112, nota come lo “Statuto dei lavoratoriâ€, interviene
a tutela dei lavoratori conferendo loro il diritto, nei luoghi dove prestano la
loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero nel rispetto della
Costituzione e delle norme della stessa legge, e il diritto di costituire
associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale. La legge
è suddivisa in tre parti:
TITOLO I Artt. 1-13
DELLA LIBERTÀ E DIGNITÀ DEL LAVORATORE Norme a tutela dei diritti individuali dei lavoratori
TITOLO II Artt. 14-18
DELLA LIBERTÀ SINDACALE Norme di garanzia dei lavoratori
TITOLO III Artt. 19-27
DELL’ATTIVITÀ SINDACALE Norme sulle rappresentanze sindacali e loro tutela
Per quanto attiene alla tutela del diritto di difesa in caso di contestazione di
addebito del datore di lavoro, la legge sancisce che il datore di lavoro non
può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo
sentito a sua difesa113.
Al datore di lavoro è fatto divieto, sia ai fini dell’assunzione come nel
corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche
a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,
nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine
professionale del lavoratore114.

4.3.3 Codice disciplinare del docente


La riforma del Pubblico impiego ha privatizzato il rapporto di lavoro anche
nel settore statale. Di conseguenza, oggi il docente ha un rapporto di impiego
in regime privatistico. Tale rapporto di impiego è disciplinato dal codice
civile e dallo Statuto dei lavoratori, e regolato dai contratti individuali e
collettivi.
In ragione di ciò, il codice disciplinare del docente è articolato nei
seguenti atti normativi:

Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297;


D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62;
CCNL Comparto Istruzione e ricerca;
Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Il docente, quale dipendente pubblico, a norma del D.P.R. n. 62/2013, deve


attenersi ai doveri minimi di diligenza, lealtà , imparzialità e buona
condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare.
Il dipendente, inoltre, osserva la Costituzione servendo la Nazione con
disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai princìpi di buon
andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e perseguendo lâ
۪interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui ̬
titolare. Il docente rispetta altresì i princìpi di integrità , correttezza,
buona fede, proporzionalità , obiettività , trasparenza, equità e
ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità ,
astenendosi in caso di conflitto di interessi115.

4.3.4 Incompatibilità di incarichi del personale


docente
L’art. 98 della Costituzione dispone che i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della Nazione. A mente del dettato costituzionale è stata
dunque sancita l’incompatibilità tra l’impiego pubblico e il
concomitante svolgimento di altra attività lavorativa. Per quanto attiene al
personale docente, la disciplina contenuta agli artt. 89, 90, 91 e 92 del D.P.R.
417/1974116 è oggi normata dall’art. 508 del D.Lgs. 297/1994, che
così dispone:
“1. Al personale docente non è consentito impartire lezioni private ad
alunni del proprio istituto.
2. Il personale docente, ove assuma lezioni private, è tenuto ad informare il
direttore didattico o il preside, al quale deve altresì comunicare il nome
degli alunni e la loro provenienza.
3. Ove le esigenze di funzionamento della scuola lo richiedano, il direttore
didattico o il preside possono vietare l’assunzione di lezioni private o
interdirne la continuazione, sentito il consiglio di circolo o di istituto.
4. Avverso il provvedimento del direttore didattico o del preside è ammesso
ricorso al provveditore agli studi, che decide in via definitiva, sentito il
parere del consiglio scolastico provinciale.
5. Nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto
lezioni private; sono nulli gli scrutini o le prove di esame svoltisi in
contravvenzione a tale divieto.
6. Al personale ispettivo e direttivo è fatto divieto di impartire lezioni
private.
7. L’ufficio di docente, di direttore didattico, di preside, di ispettore
tecnico e di ogni altra categoria di personale prevista dal presente titolo non
è cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico.
8. Il predetto personale che assuma altro impiego pubblico è tenuto a darne
immediata notizia all’amministrazione.
9. L’assunzione del nuovo impiego importa la cessazione di diritto dallâ
€™impiego precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza
eventualmente spettante ai sensi delle disposizioni in vigore.
10. Il personale di cui al presente titolo non può esercitare attivitÃ
commerciale, industriale e professionale, né può assumere o mantenere
impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a
fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la
nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta l’autorizzazione del
Ministero della pubblica istruzioneâ€.
In merito all’esercizio di attività incompatibili con la funzione docente
è intervenuto il Dipartimento per l’istruzione che, con nota Prot. n.
1584/Dip/Segr del 29 luglio 2005, ha chiarito che ai sensi del disposto di cui
all’articolo 508, comma 10 del D.Lgs. n. 297/1994 (Testo Unico), il
personale docente non può esercitare attività commerciale, industriale
o professionale, né può accettare o mantenere impieghi alle dipendenze
di privati o accettare cariche in società costituite a fini di lucro, tranne che si
tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo
Stato. Tale divieto non si applica nel caso di personale nei cui confronti sia
stata disposta la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, con
una prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo
pieno. Tale personale è tuttavia tenuto a comunicare lo svolgimento dellâ
€™attività aggiuntiva, a pena di decadenza dall’impiego, secondo
quanto previsto dall’articolo 1, comma 61, della legge n. 662 del 1996
(finanziaria 1997). Al personale docente è consentito, previa autorizzazione
del dirigente scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione
che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle
attività inerenti alla funzione docente e che risulti, comunque, coerente con
l’insegnamento impartito.
Per la disciplina degli incarichi istituzionali ed extraistituzionali117 del
proprio personale, lo stesso Ministero dell’istruzione ha emanato la
direttiva n. 653 del 2 settembre 2015118 che si applica al personale
dipendente, o a qualsiasi titolo in servizio
presso il MI, con rapporto di lavoro a tempo determinato e indeterminato, a
tempo pieno e a tempo parziale. La direttiva rinvia alle norme vigenti per
quanto non disciplinato dalla stessa (art. 13) e dispone il divieto di svolgere
qualunque attività che, in ragione della interferenza con i compiti
istituzionali, possa generare situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di
interesse, compromettere il decoro ed il prestigio dell’Amministrazione o
danneggiarne l’immagine (art. 3).
La Direttiva dispone inoltre che le attività e gli incarichi extraistituzionali
non possono essere svolti senza previa autorizzazione, salve le ipotesi
indicate nell’articolo 7119, ovvero per le attività riconducibili alle
categorie di cui all’art. 53, comma 6, D.Lgs. 165/2001.
Allorquando il dipendente è autorizzato allo svolgimento di un incarico, ha
l’obbligo di svolgere l’attività al di fuori dell’orario di lavoro e
di non utilizzare, per lo svolgimento dell’attività autorizzata, locali,
mezzi o strutture del Ministero. Deve inoltre svolgere l’incarico nel
rispetto degli obblighi di servizio e di non utilizzare le informazioni acquisite
in ragione d’ufficio per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali.

4.3.5 Collaborazioni plurime (art. 35, CCNL 2007)


I docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali
che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi,
abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non
presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Tale
collaborazione non comporta esoneri anche parziali dall’insegnamento
nelle scuole di titolarità o di servizio ed è autorizzata dal dirigente
scolastico della scuola di appartenenza, a condizione che non interferisca con
gli obblighi ordinari di servizio.
4.3.6 Insegnamento aggiuntivo all’orario di
cattedra delle 18 ore
Nel rispetto dell’orario di lavoro definito dai contratti collettivi vigenti, i
dirigenti scolastici attribuiscono ai docenti in servizio nell’istituzione
scolastica, prioritariamente e con il loro consenso, le frazioni inferiori a
quelle stabilite contrattualmente come ore aggiuntive di insegnamento oltre lâ
€™orario d’obbligo fino ad un massimo di 24 ore settimanali120.

102
Fonte: aranagenzia.it
103
Art. 33 Cost. La ratio legis di tale articolo è da rintracciare nellâ
۪assunto secondo il quale la formazione culturale dei singoli ̬ essenziale
quale garanzia di un ordinamento democratico: pertanto si pone come proprio
scopo quello di garantire e favorire questa formazione. Fonte: Brocardi.it
104
Si veda D.Lgs. 297/1994, art. 1, commi 1 e 2.
105
D.Lgs. n. 297/1994, artt. 1 e 2.
106
D.Lgs. n.165/2001, art. 25, comma 3.
107
Legge n. 59/1997, art. 21, c. 9.
108
Art. 1.
109
Bianca, C.M., Istituzioni di Diritto privato, Milano, Giuffrè Editore
2018, pag. 15.
110
Art. 4 Cost.
111
Art. 35 Cost.
112
Legge 20 maggio 1970, n. 300, “Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale,
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamentoâ€.
113
Art. 7. Licenziamento, tempestività della contestazione va valutata in
base a tipo di indagini, Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 6 aprile 2020,
n. 7703. Cassazione Civile, sez., sentenza 06 ottobre 2017 n° 23408,
Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 20 giugno 2017 n° 15204,
Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 03 novembre 2016 n° 22322.
Fonte: altalex.com
114
Art. 8.
115
D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, “Regolamento recante codice di
comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165â€.
116
Decreto Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, “Norme sullo
stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola
materna, elementare, secondaria ed artistica dello Statoâ€. In particolare: art.
89, lezioni private; art. 90, divieto di lezioni private per il personale ispettivo
e direttivo; art. 91, divieto di cumulo di impieghi; art. 92, altre
incompatibilità – decadenza.
117
Per incarichi extraistituzionali si intendono gli incarichi conferiti da
soggetti diversi dal Ministero, in assenza di formale designazione del
Ministero stesso.
118
In applicazione dell’articolo 53, comma 5, del decreto legislativo 20
marzo 2001, n. 165, come modificato dall’articolo 1, comma 42, della
legge 6 novembre 2012, n. 190.
119
L’autorizzazione non è richiesta per lo svolgimento delle attività ,
anche a titolo oneroso, riconducibili alle categorie di cui all’art. 53,
comma 6, D.Lgs. 165/2001, e cioè:
i) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
ii) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dellâ
€™ingegno e di invenzioni industriali;
iii) partecipazioni a convegni e seminari;
iv) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese
documentate;
v) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione
di aspettativa, di comando o fuori ruolo;
vi) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le
stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
vii) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica
amministrazione, nonché di docenza e di ricerca scientifica;
viii) attività a titolo gratuito presso associazioni di volontariato e societÃ
cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro, e presso
società ricreative, culturali, sportive i cui ambiti di interesse non
interferiscano con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio,
secondo quanto previsto dall’art. 5, d.P.R. 62/2013 e dell’art. 5 del
Codice di comportamento dei dipendenti del Ministero dell’Istruzione.
120
Legge 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)â€, art. 22,
c. 4.
Capitolo 5
L’educazione musicale nel
primo e secondo ciclo di istruzione.
Gli istituti a indirizzo musicale.
AFAM (Alta formazione artistico â
€“ musicale)
di Alessandro Signorino Gelo

5.1 Le competenze chiave per l’apprendimento


permanente
5.1.1 La Raccomandazione del Parlamento europeo e
del Consiglio del 18 dicembre 2006
Al termine della sessione straordinaria del 23 e 24 marzo 2000 il Consiglio
europeo di Lisbona concludeva che un quadro europeo dovrebbe definire le
nuove competenze di base da assicurare lungo l’apprendimento
permanente, e dovrebbe essere un’iniziativa chiave nell’ambito della
risposta europea alla globalizzazione e al passaggio verso economie basate
sulla conoscenza. In seguito, i Consigli europei di Stoccolma (23 e 24 marzo
2001) e di Barcellona (15 e 16 marzo 2002) sottoscrivevano gli obiettivi
futuri concreti dei sistemi di istruzione e formazione europei nonché un
programma di lavoro (il programma di lavoro «Istruzione e formazione
2010») per poterli raggiungere entro il 2010121. In considerazione di quanto
sottoscritto dal Consiglio europeo, il Parlamento europeo e il Consiglio dellâ
€™Unione europea formulavano la Raccomandazione del 18 dicembre 2006
relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente
(2006/962/CE). In un contesto culturale europeo in cui la globalizzazione
poneva l’Unione europea di fronte a nuove sfide, si sottolineava lâ
€™esigenza che ciascun cittadino europeo disponesse di un’ampia
gamma di competenze chiave per adattarsi in modo flessibile a un mondo in
rapido mutamento e caratterizzato da forte interconnessione. Nel documento,
le competenze sono definite alla stregua di una combinazione di conoscenze,
abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono
quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali,
la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.
La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 2006
delineava otto competenze chiave122:
1) comunicazione nella madrelingua;
2) comunicazione nelle lingue straniere;
3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;
4) competenza digitale;
5) imparare a imparare;
6) competenze sociali e civiche;
7) spirito di iniziativa e imprenditorialità ;
8) consapevolezza ed espressione culturale.
L’ottava competenza chiave era definita come la consapevolezza dellâ
€™importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni
in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le
arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive123. È interessante osservare
come la musica, alla stregua della letteratura e delle arti visive, veniva
promossa quale veicolo dell’espressione creativa di esperienze ed
emozioni. Tali intenti hanno poi trovato compiutezza normativa e valenza
operativa nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dellâ
€™infanzia e del primo ciclo di istruzione, nel 2012124.

5.1.2 Le nuove competenze chiave 2018


La raccomandazione adottata nel 2006 dal Parlamento europeo e dal
Consiglio dell’Unione europea è stata un importante documento di
riferimento per lo sviluppo di istruzione, formazione e apprendimento
orientati alle competenze. In essa gli Stati membri erano invitati a sviluppare
«l’offerta di competenze chiave per tutti nell’ambito delle loro
strategie di apprendimento permanente, tra cui le strategie per lâ
€™alfabetizzazione universale», e ad avvalersi del quadro di riferimento
europeo «Competenze chiave per l’apprendimento permanente125».
Le competenze richieste oggi sono cambiate: più posti di lavoro sono
automatizzati, le tecnologie svolgono un ruolo maggiore in tutti gli ambiti del
lavoro e della vita quotidiana e le competenze imprenditoriali, sociali e
civiche diventano più importanti per assicurare resilienza e capacità di
adattarsi ai cambiamenti. È pertanto diventato più importante che mai
investire nelle competenze di base.
Nel 2016, la comunicazione «Una nuova agenda per le competenze per lâ
€™Europa126» ha pertanto annunciato la revisione della Raccomandazione
del 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento
permanente, riconoscendo che investire nelle capacità e nelle competenze e
in una concezione comune e aggiornata delle competenze chiave costituisce il
primo passo per promuovere l’istruzione, la formazione e lâ
€™apprendimento non formale in Europa. In risposta ai cambiamenti
intervenuti nella società e nell’economia, si rendeva necessario rivedere
e aggiornare sia la Raccomandazione relativa a competenze chiave per lâ
€™apprendimento permanente, sia il pertinente quadro di riferimento
europeo.
Con la Raccomandazione del 22 maggio 2018127 il Consiglio UE ha pertanto
proceduto alla revisione della Raccomandazione del 2006. Ai fini della nuova
Raccomandazione, le competenze sono definite come una combinazione di
conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui:

la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che


sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo
settore o argomento;
per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi ed
applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati;
gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o
reagire a idee, persone o situazioni.

Le competenze chiave sono considerate tutte di pari importanza; ognuna di


esse contribuisce a una vita fruttuosa nella società . Le competenze possono
essere applicate in molti contesti differenti e in combinazioni diverse. Esse si
sovrappongono e sono interconnesse.
Le nuove competenze chiave sono:
competenza alfabetica funzionale;
competenza multilinguistica;
competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e
ingegneria;
competenza digitale;
competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare;
competenza in materia di cittadinanza;
competenza imprenditoriale;
competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Per quanto riguarda la competenza in materia di consapevolezza ed


espressione culturali, la Raccomandazione del Consiglio UE del 22 maggio
2018 ha sostanzialmente ribadito quanto affermato nel precedente
documento. Vi si legge infatti che “La competenza in materia di
consapevolezza ed espressione culturali implica la comprensione e il rispetto
di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in
diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturaliâ€. Tale
competenza “include la comprensione dei diversi modi della
comunicazione di idee tra l’autore, il partecipante e il pubblico nei testi
scritti, stampati e digitali, nel teatro, nel cinema, nella danza, nei giochi,
nell’arte e nel design, nella musica, nei riti, nell’architettura oltre
che nelle forme ibrideâ€.
La competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali
presuppone la consapevolezza dell’identità personale e del patrimonio
culturale all’interno di un mondo caratterizzato da diversità culturale e
la comprensione del fatto che le arti e le altre forme culturali possono essere
strumenti per interpretare e plasmare il mondo. Le relative abilità
comprendono la capacità di esprimere e interpretare idee figurative e
astratte, esperienze ed emozioni con empatia, e la capacità di farlo in
diverse arti e in altre forme culturali. Comprendono anche la capacità di
riconoscere e realizzare le opportunità di valorizzazione personale, sociale o
commerciale mediante le arti e altre forme culturali e la capacità di
impegnarsi in processi creativi, sia individualmente sia collettivamente.

121
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30.12.2006,
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre
2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente,
(2006/962/CE).
122
Si riporta di seguito la definizione ufficiale delle otto competenze-chiave
(Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre
2006 (2006/962/CE)).
La comunicazione nella madrelingua è la capacità di esprimere e
interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale
sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed
espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul
piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali
istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero.
La comunicazione nelle lingue straniere condivide essenzialmente le
principali abilità richieste per la comunicazione nella madrelingua. La
comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità quali la
mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di un
individuo varia inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione
orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e tra le
diverse lingue e a seconda del suo retroterra sociale e culturale, del suo
ambiente e delle sue esigenze ed interessi.
La competenza matematica è l’abilità di sviluppare e applicare il
pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni
quotidiane. Partendo da una solida padronanza delle competenze aritmetico-
matematiche, l’accento eÌ€ posto sugli aspetti del processo e dellâ
€™attività oltre che su quelli della conoscenza. La competenza matematica
comporta, in misura variabile, la capacità e la disponibilità a usare modelli
matematici di pensiero (pensiero logico e spaziale) e di presentazione
(formule, modelli, schemi, grafici, rappresentazioni).
La competenza in campo scientifico si riferisce alla capacità e alla
disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e delle metodologie
possedute per spiegare il mondo che ci circonda sapendo identificare le
problematiche e traendo le conclusioni che siano basate su fatti comprovati.
La competenza in campo tecnologico è considerata l’applicazione di
tale conoscenza e metodologia per dare risposta ai desideri o bisogni avvertiti
dagli esseri umani. La competenza in campo scientifico e tecnologico
comporta la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attivitÃ
umana e la consapevolezza della responsabilità di ciascun cittadino.
La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e
spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro,
il tempo libero e la comunicazione. Essa implica abilità di base nelle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC): l’uso del
computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare
informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative
tramite Internet.
Imparare a imparare eÌ€ l’abilitaÌ€ di perseverare nellâ
€™apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante
una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale
sia in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio
processo di apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle
opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli ostacoli per
apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta lâ
€™acquisizione, l’elaborazione e l’assimilazione di nuove
conoscenze e abilità come anche la ricerca e l’uso delle opportunità di
orientamento. Il fatto di imparare a imparare fa sì che i discenti prendano le
mosse da quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita
per usare e applicare conoscenze e abilità in tutta una serie di contesti: a
casa, sul lavoro, nell’istruzione e nella formazione. La motivazione e la
fiducia sono elementi essenziali perché una persona possa acquisire tale
competenza.
Le competenze sociali e civiche includono competenze personali,
interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento
che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla
vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più
diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La
competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno
alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture
sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.
Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di
una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività , lâ
€™innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacitaÌ€ di
pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. EÌ€ una competenza
che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera
domestica e nella società , ma anche nel posto di lavoro, ad avere
consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunitÃ
che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze
più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono ad
un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la
consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo.
Consapevolezza ed espressione culturale riguarda l’importanza dellâ
€™espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia
varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello
spettacolo, la letteratura e le arti visive.
123
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30.12.2006, cit., L.
394/2018.
124
Decreto 16 novembre 2012, n. 254, “Regolamento recante indicazioni
nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dâ
€™istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89â€.
125
G.U. L 394 del 30.12.2006, pag. 10.
126
COM (2016) 381 final.
127
G.U. C 189 del 4.6.2018.

5.2 L’educazione musicale nei diversi ordini


scolastici
5.2.1 Musica nella scuola dell’infanzia
Nelle Indicazioni nazionali del 2012 è ben delineato come la storia della
scuola italiana, caratterizzata da un approccio pedagogico e antropologico che
cura la centralità della persona che apprende, assegni alla scuola dellâ
€™infanzia e del primo ciclo d’istruzione un ruolo preminente in
considerazione del rilievo che tale periodo assume nella biografia di ogni
alunno. È in questa fascia d’età scolare che i metodi didattici debbono
essere capaci di attivare pienamente le energie e le potenzialità di ogni
bambino e ragazzo. Le Indicazioni attribuiscono pregnante rilevanza agli
apprendimenti diffusi che avvengono fuori dalle mura scolastiche in quanto
parimenti costitutivi dell’identità della persona. La scuola dellâ
€™infanzia è la risposta al diritto all’educazione e alla cura di tutte le
bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età . Tale diritto è esercitato in
coerenza con i princìpi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti
nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dellâ
€™infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione Europea.
La scuola dell’infanzia si pone la finalità di promuovere nei bambini lo
sviluppo dell’identità , dell’autonomia, della competenza e li avvia
alla cittadinanza.
Consolidare l’identità significa vivere serenamente tutte le dimensioni
del proprio io, stare bene, essere rassicurati nella molteplicità del proprio
fare e sentire. Vuol dire sperimentare il ruolo di figlio, alunno, compagno,
maschio o femmina, abitante di un territorio, membro di un gruppo.
Sviluppare l’autonomia significa avere fiducia in sé e fidarsi degli
altri; esprimere sentimenti ed emozioni; partecipare alle decisioni esprimendo
opinioni, imparando ad operare scelte e ad assumere comportamenti e
atteggiamenti sempre più consapevoli.
Acquisire competenze significa giocare, muoversi, manipolare, curiosare,
domandare, imparare a riflettere sull’esperienza attraverso lâ
€™esplorazione, l’osservazione e il confronto tra proprietà , quantità ,
caratteristiche, fatti.
Vivere le prime esperienze di cittadinanza significa scoprire l’altro da
sé e attribuire progressiva importanza agli altri e ai loro bisogni; rendersi
conto della necessità di stabilire regole condivise; implica il primo esercizio
del dialogo che è fondato sulla reciprocità dell’ascolto, lâ
€™attenzione al punto di vista dell’altro e alle diversità di genere, il
primo riconoscimento di diritti e doveri uguali per tutti.
Nel Campo di esperienza “Immagini, suoni, colori†è chiaramente
indicato come i linguaggi a disposizione dei bambini, come la voce, il gesto,
la drammatizzazione, i suoni, la musica, la manipolazione dei materiali, […]
vanno scoperti ed educati perché sviluppino nei piccoli il senso del bello,
la conoscenza di sé stessi, degli altri e della realtà . Ancora una volta
viene ribadito che la musica è un’esperienza universale che si manifesta
in modi e generi diversi, tutti di pari dignità , carica di emozioni e ricca di
tradizioni culturali. Il bambino, interagendo con il paesaggio sonoro,
sviluppa le proprie capacità cognitive e relazionali, impara a percepire,
ascoltare, ricercare e discriminare i suoni all’interno di contesti di
apprendimento significativi128. Il bambino si confronta con i nuovi media e
con i nuovi linguaggi della comunicazione; in questo percorso, la scuola può
aiutarlo a familiarizzare con l’esperienza della fotografia, il cinema, la
televisione, il digitale, ovvero con la multimedialità favorendo un contatto
attivo con i “media†e la ricerca delle loro possibilità espressive e
creative.
Le stesse Indicazioni individuano, per questo Campo d’esperienza, i
seguenti “Traguardi per lo sviluppo della competenzaâ€.
Traguardi per lo sviluppo della competenza
Il bambino comunica, esprime emozioni, racconta, utilizzando le varie possibilità che il linguaggio del corpo
consente.
Inventa storie e sa esprimerle attraverso la drammatizzazione, il disegno, la pittura e altre attività manipolative;
utilizza materiali e strumenti, tecniche espressive e creative; esplora le potenzialità offerte dalle tecnologie.
Segue con curiosità e piacere spettacoli di vario tipo (teatrali, musicali, visivi, di animazione…); sviluppa interesse
per l’ascolto della musica e per la fruizione di opere d’arte.
Scopre il paesaggio sonoro attraverso attività di percezione e produzione musicale utilizzando voce, corpo e oggetti.
Sperimenta e combina elementi musicali di base, producendo semplici sequenze sonoro-musicali.
Esplora i primi alfabeti musicali, utilizzando anche i simboli di una notazione informale per codificare i suoni
percepiti e riprodurli.

5.2.2 Musica nella scuola primaria


I primi “Programmi didattici per la scuola primaria†della Repubblica
furono emanati con il D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503129, ed entrarono in
vigore dal 1° ottobre 1955 per la parte relativa alla I classe e dal 1°
ottobre 1956 per la parte relativa alle altre classi.
I programmi indicavano sia il fine assegnato all’istruzione primaria sia la
descrizione della via da seguire per raggiungere il fine stesso; inoltre
comprendevano un complesso di suggerimenti desunti dalla migliore
esperienza didattica e scolastica. Per quanto attiene al fine, i programmi
hanno carattere normativo e prescrivono il grado di preparazione che lâ
€™alunno deve raggiungere: ciò per assicurare alla totalità dei cittadini
quella formazione basilare della intelligenza e del carattere che è condizione
per un’effettiva e consapevole partecipazione alla vita della società e
dello Stato. Per quanto al metodo da seguire per il raggiungimento degli scopi
dell’istruzione primaria, le indicazioni non hanno il medesimo carattere
normativo delle precedenti poiché lo Stato, se ha il diritto e il dovere di
richiedere l’istruzione obbligatoria, non ha una propria metodologia
educativa. Dopo il rinnovamento operato dai programmi del 1923130 e da
quelli del 1945131, la formulazione di questi nuovi programmi è stata
sollecitata più direttamente da due esigenze: far aderire maggiormente il
piano didattico alla struttura psicologica del fanciullo e tenere conto che per
precetto della Costituzione l’istruzione inferiore obbligatoria ha per tutti
la durata di almeno otto anni. Per rendere questi intenti praticamente attuabili
è stato alleggerito il carico delle nozioni rispetto ai programmi
quinquennali precedenti e sono stati elaborati programmi graduati per
cicli didattici. Il decreto orienta l’azione educativa dell’insegnante a
promuovere la formazione integrale della personalità dell’alunno
attraverso l’educazione religiosa, morale, civile, fisica e le altre forme di
attività spirituali e pratiche corrispondenti agli interessi, ai gradi, ai modi
dell’apprendere e del conoscere propri dell’età . Nell’assolvere
questo compito, l’insegnante fa leva sulle tendenze costitutive dellâ
€™alunno guidandolo ad osservare, riflettere, esprimersi, senza alcuna
preoccupazione di ripartire nelle tradizionali materie le attività scolastiche e
il contenuto dell’insegnamento. Nei programmi per la prima e la seconda
classe si dà molta importanza al canto corale all’unisono di facili motivi,
in lingua o in dialetto, appropriati all’estensione vocale del fanciullo e
accompagnati, se possibile, da interpretazioni mimiche o ritmiche. Scopo del
canto è di contribuire all’elevazione spirituale e alla socialità allâ
€™educazione dell’orecchio, della voce, della retta pronuncia; allâ
€™addestramento motorio. È consigliato inoltre l’ascolto di brani
musicali adatti all’età . Nelle classi terza, quarta e quinta si ribadisce
come il canto corale, espressione di sentimenti personali più profondi e di
socievolezza, valga ad educare e ad affinare la voce, l’orecchio e lo
spirito del fanciullo per mezzo di semplici ed artistici motivi religiosi,
patriottici e popolari, all’unisono e anche a due voci, per imitazione. Il
testo dei canti deve sempre essere ben conosciuto e compreso dagli alunni. I
canti devono essere bene intonati, eseguiti con grazia, con dolcezza e con
sentita espressione. Si dovranno pertanto evitare la pronunzia imperfetta, la
monotonia, la forzatura della voce e le grida incomposte che si manifestano
quando la musica nulla dice alla mente e al cuore del fanciullo.
I programmi del 1955 rimasero in vigore fino al 1985 quando furono abrogati
e sostituiti dai nuovi programmi contenuti nel D.P.R. 12 febbraio 1985, n.
104132 che entrarono in vigore nelle classi prime dell’anno scolastico
1987-88 e, progressivamente, nelle classi successive nei quattro anni
scolastici seguenti. Si trattava, in verità , di programmi sperimentali133 che
divennero definitivi con la legge n. 148/1990134 i cui articoli furono
successivamente recepiti nel Testo Unico delle leggi sulla scuola, approvato
con D.Lgs. n. 297/1994. Erano ispirati all’assunto secondo il quale la
scuola elementare dà un sostanziale contributo a rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e lâ
€™uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana (art. 3 della legge 27 dicembre 1947). Inoltre essa attua il suo compito
nell’ambito della istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni,
obbligatoria e gratuita135. Il decreto n. 104/1985 evidenzia il raccordo
pedagogico imprescindibile tra la scuola elementare con la scuola materna e
con la scuola media le quali, insieme, promuovono la continuità del
processo educativo, condizione questa essenziale per assicurare agli alunni il
positivo conseguimento delle finalità della istruzione obbligatoria. In questa
prospettiva un ruolo fondamentale compete alla scuola materna la quale
integra l’azione della famiglia al fine di eliminare disuguaglianze di
opportunità nel processo di scolarizzazione. Preminente rilevanza è
attribuita all’educazione alla convivenza democratica: in ragione di ciò
il decreto cita ancora la Costituzione italiana che, all’art. 3, sancisce che
tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. Agli insegnanti è attribuito il
compito di stimolare le energie interiori del fanciullo al fine di promuovere
una riflessione sulle concrete esperienze di vita e in particolare su quelle
concernenti i rapporti umani. I nuovi programmi evidenziano come la scuola
(che il decreto definisce ambiente educativo di apprendimento) debba
concorrere a sviluppare la potenziale creatività del fanciullo. In essa si
realizza un clima sociale positivo nella vita sociale quotidiana organizzando
forme di lavoro di gruppo e di aiuto reciproco. L’esercizio del diritto allâ
€™educazione ed all’istruzione nell’ambito dell’istruzione
obbligatoria deve essere garantito anche in presenza di situazioni di handicap
o di svantaggio distinte nei seguenti termini: la condizione di svantaggio è
legata a carenze familiari ed affettive, a situazioni di disagio economico e
sociale, a divari culturali e linguistici dovuti a scarsità di stimolazioni
intellettive. Per quanto attiene a situazioni di handicap, il processo di
integrazione di tali alunni esige non tanto una “certificazione medicaâ€,
quanto la possibilità per la scuola di affrontare il processo educativo
didattico, sulla base di una “diagnosi funzionale†predisposta da servizi
specializzati. Il decreto sancisce che i programmi aiutano l’alunno a
soddisfare il suo bisogno di conoscere e di comprendere, a possedere
unitariamente la cultura che apprende ed elabora, a penetrare il significato
della lingua e a elaborare una conoscenza attenta della vita umana e sociale
nelle sue varie espressioni. Nella terza parte del decreto, l’allegato
annesso elenca le discipline con obiettivi e contenuti e indicazioni didattiche:
lingua italiana; lingua straniera; matematica; scienze; storia-geografia-studi
sociali (studi sociali e conoscenza della vita sociale); religione; educazione
all’immagine; educazione al suono e alla musica; educazione motoria. Il
decreto, oltre ad attribuire all’educazione musicale una dimensione ben
definita quale componente essenziale dell’unità educativa della persona,
sottolinea il rapporto imprescindibile tra il complesso mondo dei suoni,
costituito dalla realtà acustica “naturale†prodotto dalle culture e dalle
tecnologie, e la sua rilevanza formativa. Rileva come l’educazione al
suono e alla musica abbia come obiettivi generali la formazione di capacitÃ
di percezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione dei diversi
linguaggi sonori. I fenomeni acustici della natura, della civiltà urbana e
contadina e la produzione musicale dei popoli, sono presi a modello come
campo delle attività di esplorazione, conoscenza e apprendimento. Lâ
€™ascolto e l’analisi guidata dei suoni sono due aspetti iniziali di una
serie di attività rivolte a stimolare l’attenzione sui fenomeni acustici al
fine di preparare l’alunno alla fruizione della musica nelle sue varie
forme. Nella scelta dei brani musicali da proporre per l’ascolto occorre
seguire criteri di gradualità negli anni del corso elementare; inoltre le
attività consigliate nell’arco dei cinque anni di scuola elementare
permettono di evidenziare le caratteristiche integrate dei materiali sonori
musicali relative a durata, altezza, intensità , timbro, forma-struttura,
organizzazione ritmica, melodia e armonica. I programmi del 1985
ribadiscono che l’educazione musicale di base non intende formare futuri
musicisti, ma fornire un primo livello di alfabetizzazione nel campo dei suoni
e sottolineano l’importanza dell’apprendimento di strumenti che
consentano facilmente al fanciullo una immediata gratificazione. Le
indicazioni didattiche indicate nel decreto, considerate come un contributo
per la programmazione, invitano a tener conto, per l’elaborazione dei
progetti didattici, del paesaggio fonico in cui è inserito il fanciullo, delle
già acquisite capacità di comprensione ed espressione musicale e del grado
di codificazione da lui raggiunto in relazione alla propria esperienza sonora.
Grande importanza viene attribuita ad ascoltare musica da soli e in gruppo;
manipolare strumenti e oggetti sonori per scoprirne le caratteristiche e le
modalità d’uso; sperimentare forme corali e strumentali; attuare
esperienze di teatro musicale e di teatro danza.

5.2.3 Riforme Berlinguer (2000) e Moratti (2003)


Con il Riordino dei cicli scolastici, contenuto nella legge quadro 10 febbraio
2000, n. 30, il ministro Berlinguer disponeva il riordino dei cicli dellâ
€™istruzione con un ripensamento ad ampio raggio del sistema educativo di
istruzione. Luigi Berlinguer, professore di Fonti del diritto italiano presso lâ
€™Università di Siena, di cui fu anche rettore fino al 1994, era un
entusiasta della scuola elementare italiana quanto era critico aspro nei
confronti dei docenti della scuola media accusati di non aver realizzato
quegli obiettivi che il Paese e don Milani si erano aspettati136. Non faceva
mistero dell’intento di fondere la scuola elementare con la scuola media
(un’idea di Gramsci di sessanta anni prima) e si indispettiva apertamente
davanti alle fiere riluttanze dei professori secondari a confondersi con i
maestri elementari137. La legge, entrata in vigore il 9 marzo 2000, non fu
però mai attuata in quanto abrogata e sostituita dalla riforma Moratti. Val la
pena, comunque, di ricordarne le articolazioni essenziali. In base alla riforma,
il sistema educativo di istruzione si articolava nella scuola dell’infanzia,
nel ciclo primario, che assumeva la denominazione di scuola di base, e nel
ciclo secondario, che assumeva la denominazione di scuola secondaria. Lâ
€™obbligo scolastico iniziava al sesto anno e terminava al quindicesimo
anno di età ; l’obbligo di frequenza di attività formative fino al
compimento del diciottesimo anno di età . La scuola di base, della durata di
sette anni, si sarebbe raccordata da un lato alla scuola dell’infanzia (di
durata triennale) e dall’altro alla scuola secondaria.
La scuola di base era caratterizzata dalle seguenti finalità :
a) acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base;
b) apprendimento di nuovi mezzi espressivi;
c) potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e
nel tempo;
d) educazione ai principi fondamentali della convivenza civile;
e) consolidamento dei saperi di base anche in relazione alla evoluzione
sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea;
f) sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte a
consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali
successive.
A conclusione della scuola di base era previsto un esame di Stato. Lâ
€™intendimento era dunque quello di creare un ciclo unico di 7 anni che
avrebbe cancellato scuola elementare e scuola media. La scuola secondaria,
ovvero il ciclo successivo alla scuola di base della durata di cinque anni,
articolata nelle aree classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica,
artistica e musicale, aveva la finalità di consolidare, riorganizzare ed
accrescere le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario.
Come riportano autorevoli osservatori138, ce n’era abbastanza per fare
esplodere la corporazione. Si gridò alla elementarizzazione totale della
scuola dell’obbligo, al passo indietro, alla mortificazione della docenza
disciplinare, alla mescolanza tra insegnamento diplomato e insegnamento
laureato, anche se si sapeva che in prospettiva (come avvenne con il D.M. 26
maggio 1998, s.n.), ai maestri elementari sarebbe stato richiesto il possesso
della laurea. La riforma, di fatto, non fu mai attuata perché abrogata e
sostituita dalla legge 28 marzo 2003, n. 53139, cosiddetta riforma Moratti,
dal nome di Letizia Moratti, imprenditrice milanese chiamata alla guida del
Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca dall’11 giugno 2001 al 17 maggio
2006. La legge n. 53/2003 articola il sistema educativo di istruzione e di
formazione:
• nella scuola dell’infanzia;
• in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola
secondaria di primo grado;
• in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dellâ
€™istruzione e della formazione.
La scuola dell’infanzia ha durata triennale; il primo ciclo di istruzione è
costituito dalla scuola primaria, della durata di cinque anni, e dalla scuola
secondaria di primo grado della durata di tre anni. Ferma restando la
specificità di ciascuna di esse, la scuola primaria è costituita da un primo
anno, teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi
didattici biennali; la scuola secondaria di primo grado si articola in un biennio
e in un terzo anno che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed
assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo; nel primo
ciclo è assicurato altresì il raccordo con la scuola dell’infanzia e con
il secondo ciclo. Con il D.Lgs. n. 59/2004140 veniva data esecuzione alla
delega contenuta nella stessa legge n. 53/2003 in materia di norme generali
relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione. Il
decreto sancisce che la scuola primaria promuove lo sviluppo della
personalità e ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le
abilità di base, ivi comprese quelle relative all’alfabetizzazione
informatica, fino alle prime sistemazioni logico-critiche. La scuola primaria
promuove inoltre l’apprendimento dei mezzi espressivi, della lingua
italiana e l’alfabetizzazione nella lingua inglese. Pone le basi per lâ
€™utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale,
dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare le capacità relazionali e
di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai princìpi
fondamentali della convivenza civile.
L’allegato B del decreto n. 59/2004 contiene le “Indicazioni
Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria†che
esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole Primarie del
Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute per garantire il diritto personale,
sociale e civile all’istruzione e alla formazione di qualità . Le Indicazioni
indicano le ragioni che motivano la natura della scuola primaria dal punto di
vista pedagogico e le presenta senza attribuire all’ordine con cui sono
esposte alcun particolare valore gerarchico.
La prima è culturale. Viene promossa l’acquisizione di un primo livello
di padronanza delle conoscenze e delle abilità indispensabili alla
comprensione del mondo umano, naturale e artificiale nel quale si vive.
La seconda è gnoseologica ed epistemologica. Assunto che l’esperienza
è l’abbrivio di ogni conoscenza, la Scuola Primaria è il luogo in cui ci
si abitua a radicare le conoscenze (sapere) sulle esperienze (il fare e lâ
€™agire) integrando le due dimensioni e a concepire i primi ordinamenti
formali, semantici e sintattici del sapere.
La terza è sociale. La Scuola primaria assicura a tutti i fanciulli le
condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative idonee a porre in
essere quanto disposto dall’art. 3 della Costituzione ovvero a rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana.
La quarta è etica. Per concorrere al progresso materiale o spirituale della
società , come disposto dall’art. 4 della Costituzione, la Scuola Primaria
crea le basi per superare le forme di egocentrismo e praticare i valori del
reciproco rispetto.
L’ultima è psicologica. Nel solco del cammino iniziato dalla famiglia e
dalla scuola dell’infanzia, nell’ultimo anno della Scuola Primaria i
fanciulli imparano l’alfabeto dell’integrazione affettiva della
personalità e vengono poste le basi per una immagine realistica di sé.
Le materie di studio normate dal decreto sono: religione cattolica; italiano;
inglese; storia; geografia; matematica; scienze, tecnologia e informatica,
musica, arte ed immagine; scienze motorie e sportive. Nell’allegato B,
per ciascuna materia, sono elencati gli obiettivi specifici di apprendimento
per il primo anno, per il primo e il secondo biennio. Nelle tabelle che
seguono abbiamo voluto riportare gli obiettivi specifici di apprendimento
della materia musica:
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO PER LA CLASSE PRIMA - MUSICA
Al termine della classe prima, la scuola ha organizzato
per lo studente attività educative e didattiche unitarie La sonorità di ambienti e oggetti naturali ed
che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a trasformare in artificiali.
competenze personali le seguenti conoscenze e abilità Tipologie di espressioni vocali (parlato,
disciplinari: declamato, cantato, recitazione, ecc.)
Giochi vocali individuali e di gruppo.
Filastrocche, non-sense, proverbi, favole,
racconti, ecc.
Materiali sonori e musiche semplici per
attività espressive e motorie.

Produzione
Utilizzare la voce, il proprio corpo, e oggetti
vari, a partire da stimoli musicali, motori,
ambientali e naturali, in giochi, situazioni,
storie e libere attività per espressioni parlate,
recitate e cantate, anche riproducendo e
improvvisando suoni e rumori del paesaggio
sonoro.

Percezione
Discriminare e interpretare gli eventi sonori,
dal vivo o registrati.
Attribuire significati a segnali sonori e
musicali, a semplici sonorità quotidiane ed
eventi naturali.

OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO PER LE CLASSI SECONDA E TERZA (PRIMO


BIENNIO)
Al termine delle classi seconda e terza, la scuola ha Parametri del suono, timbro, intensità , durata, altezza,
organizzato per lo studente attività educative e ritmo, profilo melodico.
didattiche unitarie che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a Strumento didattico, oggetti di uso comune.
trasformare in competenze personali le seguenti Giochi musicali con l’uso del corpo e della voce.
conoscenze e abilità disciplinari: Brani musicali di differenti repertori (musiche, canti,
filastrocche, sigle televisive…) propri dei vissuti dei
bambini.
Produzione Eseguire per imitazione, semplici canti e brani,
individualmente e/o in gruppo, accompagnandosi con
oggetti di uso comune e coi diversi suoni che il corpo
può produrre, fino all’utilizzo dello strumentario
didattico, collegandosi alla gestualità e al movimento di
tutto il corpo.
Applicare semplici criteri di trascrizione intuitiva dei
suoni.
Percezione Riconoscere, descrivere, analizzare, classificare e
memorizzare suoni ed eventi sonori in base ai parametri
distintivi, con particolare riferimento ai suoni dellâ
€™ambiente e agli oggetti e strumenti utilizzati nelle
attività e alle musiche ascoltate.
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO PER LE CLASSI QUARTA E QUINTA (SECONDO
BIENNIO)
Al termine delle classi quarta e quinta, la scuola ha Elementi di base del codice musicale (ritmo, melodia,
organizzato per lo studente attività educative e timbro, dinamica, armonia, formali, architettonici, ecc.)
didattiche unitarie che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a Canti (a una voce, a canone, ecc.) appartenenti al
trasformare in competenze personali le seguenti repertorio popolare e colto, di vario genere e provenienza.
conoscenze e abilità disciplinari: Sistemi di notazione convenzionali e non convenzionali.
Produzione Principi costruttivi dei brani musicali, ripetizione,
variazione, contesto, figura-sfondo.
Componenti antropologiche della musica: contesti,
pratiche sociali, funzioni.
Esprimere graficamente i valori delle note e lâ
€™andamento melodico di un frammento musicale
mediante sistemi notazionali tradizionali, grafici o altre
forme intuitive, sia in ordine al canto che allâ
€™esecuzione con strumenti.
Usare lo strumentario di classe, sperimentando e
perseguendo varie modalità di produzione sonora,
improvvisando, imitando o riproducendo per lettura, brevi
e semplici brani che utilizzano anche semplici ostinati
ritmico-melodici, e prendendo parte ad esecuzioni di
gruppo.
Usare le risorse espressive della vocalità nella lettura,
recitazione e drammatizzazione di testi verbali, e
intonando semplici brani monodici e polifonici,
singolarmente e in gruppo.
Percezione Riconoscere alcune strutture fondamentali del linguaggio
musicale, mediante l’ascolto di brani di epoche e
generi diversi.
Cogliere i più immediati valori espressivi delle musiche
ascoltate, traducendoli con la parola, l’azione
motoria, il disegno.
Cogliere le funzioni della musica in brani di musica per
danza, gioco, lavoro, cerimonia, varie forme di
spettacolo, pubblicità , ecc.
Non vi è dubbio che le Indicazioni attribuiscano valore pregnante agli
ambienti sonori naturali e insistano sulla valenza dell’abilità disciplinare
del gioco vocale. Viene dato risalto allo studio del proprio corpo per
espressioni recitate e alla interpretazione degli eventi sonori al fine dellâ
€™acquisizione delle competenze personali: parametri del suono, timbro,
intensità , durata, altezza, ritmo, profilo melodico. Laddove le Indicazioni
sollecitano la conoscenza dei repertori popolari e colti di vario genere e
provenienza, ci sembra di ravvisare l’invito alla promozione del
patrimonio della cultura musicale nella più ampia prospettiva della presa di
coscienza delle proprie tradizioni e del mondo circostante. Le risorse
espressive della vocalità nella lettura e nella recitazione condensano il senso
del valore eloquente immediato della musica tradotta in parole e azione
motoria, anche ai fini della socializzazione. È dato valore pregnante alla
componente antropologica della musica in quanto costitutiva dello studio
psicologico di quegli aspetti umani che trovano nella musica una delle
massime espressioni culturali. Interessante appare la declinazione del valore
espressivo delle musiche in parole e azione motoria e nella messa in scena di
testi verbali attraverso la condivisione e l’intonazione di brani monodici e
polifonici, singolarmente e in gruppo.

5.2.4 D.P.R. n. 89/2009


Fermo restando quanto previsto dalla legge Moratti (legge n. 53/2003141), con
il D.P.R. n. 89 del 20 marzo 2009142 l’allora Ministro dell’Istruzione,
dell’università e della ricerca Mariastella Gelmini provvedeva ad
introdurre, nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione,
misure di riorganizzazione e qualificazione al fine di assicurare migliori
opportunità di apprendimento e di crescita educativa. In particolare l’art.
4, comma 10, del provvedimento demandava ad un apposito decreto
ministeriale l’individuazione dei titoli prioritari per l’insegnamento di
musica e pratica musicale. Tali titoli trovarono declinazione normativa nel D.
M. 31 gennaio 2011, n. 8, che, con particolare riferimento alla scuola
primaria, interveniva nell’ambito delle iniziative volte alla:

diffusione della cultura e della pratica musicale nella scuola;


qualificazione dell’insegnamento musicale;
formazione del personale ad esso destinato.

Il D.M. 8/2011, pur non introducendo novità di tipo ordinamentale,


determina titoli di studio dei docenti e strumenti organizzativi attraverso i
quali cominciare un cammino coerente per la diffusione della cultura e della
pratica musicale. L’insegnamento curricolare di musica nella scuola
primaria era affidato prioritariamente a docenti compresi nell’organico
assegnato alle istituzioni scolastiche che dovevano essere in possesso, oltre
che dell’abilitazione all’insegnamento per la scuola primaria, di
uno o più titoli elencati nell’articolo 3 conseguiti presso istituzioni dellâ
€™alta formazione musicale. Pertanto, in attesa che venissero definiti
specifici percorsi formativi destinati alla specializzazione in musica del
personale docente della scuola primaria, il decreto disponeva di fare
riferimento a uno o più dei titoli sotto elencati:
a) Diploma quadriennale in didattica della musica;
b) Diploma biennale di cui al Decreto Ministeriale 28 settembre 2007, n.
137;
c) Diploma accademico di secondo livello;
d) Diploma conseguito secondo l’ordinamento previgente il Decreto del
Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212;
e) Diploma accademico di primo livello;
f) Diploma accademico specifico in didattica della musica o in musica per lâ
€™educazione conseguito all’estero presso istituzione di alta
formazione musicale il cui titolo finale è equiparato secondo la normativa
vigente.
Ci sembra altresì utile rilevare che al fine di sviluppare la pratica e la
cultura musicali strumentale e corale in tutti i gradi e gli ordini di scuola e di
favorire la verticalizzazione dei curriculum musicali, il decreto disponeva
che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
promuovesse specifici Corsi di pratica musicale. Tali corsi erano destinati a
implementare l’approccio alla pratica vocale e strumentale e a fornire le
competenze utili alla prosecuzione dello studio di uno strumento musicale143.
I corsi coinvolgono gli alunni a partire dal terzo anno della scuola primaria
e si concludono al quinto anno, al termine del quale è rilasciato un
certificato attestante le competenze musicali acquisite144. Il decreto prevedeva
la costituzione di una rete tra le istituzioni scolastiche sedi di sezioni di liceo
musicale e le istituzioni Afam ad esse convenzionate, istituzioni scolastiche
sedi di sezioni di scuola secondaria di primo grado ad indirizzo musicale e
almeno una scuola primaria del territorio selezionata mediante specifici
protocolli d’intesa145. Il reclutamento del personale era normato in base a
un ordine di priorità definito dall’art. 9:
a) risorse interne all’organico della scuola primaria sede del corso;
b) risorse interne all’organico delle istituzioni firmatarie del protocollo;
c) risorse esterne all’organico d’istituto.
Il D.M. 8/2011 era stato emanato per incentivare le esperienze musicali nelle
scuole primarie con particolare riferimento all’interpretazione vocale e
strumentale, improvvisazione, composizione, interazione tra suono e
movimento. In ragione di ciò il Ministero dell’Istruzione, dellâ
€™Università e della Ricerca, interveniva successivamente con la
trasmissione delle “Linee guida†allo stesso decreto, fornendo indicazioni
operative146. Tra le tante raccomandazioni vi era quella che l’istituzione
scolastica interessata, una volta avuta contezza delle proprie risorse di
organico, articolasse il tempo scuola secondo criteri e modalità in modo tale
da consentire il migliore impiego delle risorse, l’ampliamento del servizio
e l’incremento dell’offerta formativa; il tutto valorizzando le
potenzialità proprie dall’autonomia organizzativa e didattica.
Fondamentale risulta l’azione di coordinamento che le scuole riusciranno
a mettere in campo e per la quale si reputa opportuna la costituzione di
apposite équipe didattico-musicali (gruppi di lavoro e di studio) cui
affidare non solo la progettazione dei corsi di cui al D.M. 8/2011, ma anche
l’individuazione di propri criteri di valutazione e autovalutazione. Nella
scuola dell’autonomia occorre valorizzare le proprie competenze interne
favorendo anzitutto l’azione riflessiva quale elemento cardine per lo
sviluppo della ricerca e dell’innovazione didattica. È auspicabile, in tal
senso, che l’azione di coordinamento rafforzi quindi la creazione di
occasioni di studio (e di scambio/seminari, meeting didattici, mostre ecc.) che
pongano, quale principale artefice, la scuola al centro dei processi di
innovazione didattica e tecnologica. Le indicazioni operative indagano la
musica come processo globale dell’esperienza sonora la cui “praticaâ€
non esclude i variegati piani su cui si sviluppano conoscenze e abilità . In
questa prospettiva, l’apprendimento pratico della musica promosso dal
D.M. 8/2011 si configura quale sintesi di ogni processo di esplorazione –
comprensione – apprendimento, e quale “laboratorio†in cui trovano
spazio percorsi di lavoro basati su vocalità , uso di strumenti musicali
(convenzionali e non), attività grafiche, gestuali e motorie, armonizzando
linguaggi musicali diversi. La presenza di qualsiasi progetto educativo che
preveda l’apprendimento pratico della musica, in particolare nel
segmento della scuola primaria, non può prescindere da una sua
collocazione culturale a tutto tondo. L’esperienza musicale dovrebbe
quindi potersi connettere in modo virtuoso con altri ambiti disciplinari
declinandone e interpretandone le conoscenze. Le Linee guida definiscono le
pratiche musicali collettive (dal duo, all’orchestra e al coro) il cuore
musicalmente pulsante di una collettività desiderosa di farsi “sistema†e
anche occasione di scambio tra i docenti chiamati a realizzarle. A tal fine
può risultare di forte impatto strategico l’estensione dell’esperienza
al di fuori dei ristretti confini delle singole realtà scolastiche. Viene
auspicato che la dimensione performativa possa interfacciarsi con altre
realtà formative musicali quali altre scuole in rete, gruppi amatoriali, bande,
scuole musicali civiche, studenti dei Conservatori di musica ecc. In questa
prospettiva, la problematicità della scelta dei “repertori†può trovare
nuove risposte:
a) nella rivalutazione della dimensione orale della trasmissione dei saperi e
dei patrimoni artistico-culturali (individuali e collettivi);
b) nella reinvenzione anche estemporanea di tracce musicali preesistenti o
costruite ex novo (improvvisazione/composizione);
c) nella scelta di opere (“letteratureâ€, all’occorrenza opportunamente
adattate) quali campi esperienziali sonori, esplorare e interpretare anche
attraverso l’ascolto consapevole.
Le indicazioni operative invitano le scuole a individuare, anche nellâ
€™ambito delle reti costituite, appositi locali ampi e possibilmente
insonorizzati affinché si possa fare musica insieme in quanto modo di
condivisione dei saperi. La dimensione collettiva del far ed essere musica
insieme è declinata nella possibilità di svolgere attività corali,
strumentali, anche di gruppo. Contestualmente è opportuna lâ
€™individuazione di ulteriori aule insonorizzate di medie dimensioni per le
lezioni collettive di strumento o per attività di tipo cameristico. Questi spazi
è opportuno che contengano stabilmente oltre a un pianoforte/tastiera,
alcune attrezzature di base (ad es. sedie e leggii) purché diversamente
organizzabili nello spazio, in modo da consentire attività anche connesse al
movimento, al teatro e in generale a diverse soluzioni e modalitÃ
performative. L’apprendimento pratico della musica si colloca in unâ
€™ottica curricolare ed entro le coordinate delle Indicazioni nazionali, degli
Ordinamenti, dei vincoli definiti dal Contratto collettivo di lavoro, delle
risorse disponibili. Nello scenario così delineato è possibile introdurre lâ
€™insegnamento pratico della musica utilizzando la maggiore flessibilitÃ
possibile attraverso un intenso coinvolgimento degli Organi collegiali per
disegnare soluzioni differenziate in relazione alle situazioni territoriali e alle
risorse disponibili:
a) Risorse umane (cfr. art. 3 DM 8/2011 e art. 6-ter del CCNI sulle
utilizzazioni):
1. Docenti di scuola primaria con competenze in direzione di coro o
strumento;
2. Docenti di Musica e/o Strumento in esubero;
3. Docenti di musica e/o Strumento in utilizzazione a domanda;
4. Docenti utilizzati nell’ambito della rete;
b) Risorse progettuali:
c) Il curricolo, quale luogo privilegiato di progettazione della pratica corale,
strumentale e della musica d’insieme, deve essere organico al PTOF di
Istituto e deve ramificarsi in:
1. Pratica corale;
2. Musica d’insieme;
3. Pratica strumentale.
Il curricolo deve raccordarsi, sul piano didattico e metodologico, con le
iniziative formative incardinate nel PTOF. Per quanto attiene alla
progettualità di istituto, il decreto individua nella qualità della Rete un
punto di forza in quanto, se ben organizzata, si rivela utile allo studio delle
situazioni in itinere e alla progettazione di iniziative che consentano di
raggiungere al meglio e del tutto gli obiettivi definiti nel curricolo.

5.2.5 Le Indicazioni nazionali per il curricolo (2012)


nella scuola primaria
L’apprendimento della musica è altresì oggetto di indagine delle
nuove Indicazioni nazionali contenute nel Regolamento147 che il ministro
Profumo firmava il 16 novembre 2012 emanato a norma del D.P.R. 89/2009.
Il D.P.R. 89/2009, all’art. 1, c. 3, disponeva infatti che per un periodo
non superiore a tre anni scolastici decorrenti dal 2009-2010 fossero
applicate le Indicazioni nazionali 2004, emanate dal ministro Moratti, come
aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo 2007, emanate dal ministro
Fioroni. Queste ultime, sperimentate nel biennio 2007/2008 e 2008/2009,
hanno costituito un punto di riferimento per la progettazione dei piani dellâ
€™offerta formativa. Il successivo atto di indirizzo del Ministro dellâ
€™istruzione, datato 8 settembre 2009, nel ribadire che il D.P.R. 89/2009
stabilisce che per un periodo non superiore ai prossimi tre anni scolastici
continuino ad applicarsi le Indicazioni suddette in attesa che si proceda alla
loro armonizzazione, precisa che tale armonizzazione è prevista dal Piano
programmatico elaborato dal Ministero dell’Istruzione, dellâ
€™università e della Ricerca di concerto con il Ministero dellâ
۪Economia e delle Finanze. La prospettiva comune ̬ quella di pervenire
a definizioni ed esiti dei curricoli largamente condivisi dall’intera
comunità educante. L’atto di indirizzo del Ministro definisce poi i criteri
generali necessari ad armonizzare gli assetti pedagogici, didattici ed
organizzativi agli obiettivi previsti dal D.P.R. 89/2009. Tali criteri
prevedevano di:
1) porre al centro, nell’azione della scuola, l’alunno e il suo itinerario
di formazione personale e di apprendimento;
2) mantenere in primo piano l’obiettivo di formare i cittadini di oggi e di
domani;
3) operare per una scuola dell’inclusione;
4) fissare le tappe e i traguardi da superare nel percorso formativo continuo
dai 3 ai 14 anni, secondo standard diffusi nell’area UE e OCSE;
5) verificare periodicamente e con sistematicità i progressi di ogni singolo
alunno, soprattutto nelle capacità di base;
6) responsabilizzare ogni scuola rispetto ai risultati e ai livelli di
apprendimento che i propri alunni sono chiamati a raggiungere;
7) definire e proporre un curricolo adeguato alla formazione degli alunni e al
loro proseguimento negli studi.
Per procedere alla revisione delle Indicazioni nazionali, il decreto 89/2009
aveva previsto un apposito monitoraggio sulle attività poste in essere dalle
istituzioni scolastiche affidato all’Agenzia nazionale per lo sviluppo dellâ
€™autonomia scolastica (ANSAS) e all’Istituto per la valutazione del
sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI). Per predisporre
tale monitoraggio, avviato dal Ministero dell’Istruzione, dellâ
€™Università e della Ricerca con la circolare ministeriale n. 101 del 4
novembre 2011, la Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici affidò
all’ANSAS il compito di predisporre uno specifico questionario,
fornendo opportuni criteri per la sua definizione e validandone la stesura
finale. Il questionario costituiva una opportunità per dirigenti scolastici e
docenti per mettere in evidenza le potenzialità dell’innovazione, le
eventuali criticità connesse, nonché le esperienze per sostenere
efficacemente i processi di cambiamento e di qualificazione dell’offerta
formativa. Le risposte fornite dalle scuole delineavano un orientamento
positivo nei confronti del lavoro che si stava facendo, suggerendo utili
proposte di modifica del documento. Analogamente molte associazioni
professionali e disciplinari, oltre al Consiglio nazionale della pubblica
istruzione, hanno offerto il loro qualificato apporto rivelando, in tal senso, un
segno positivo dell’impegno degli insegnanti nel volersi confrontare con
le questioni culturali, sociali, educative che riguardano il futuro della scuola
italiana. Con la C.M. n. 31 del 18 aprile 2012 il Ministero procedeva dunque
alla “Revisione delle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e
per il primo ciclo di istruzione†fornendo criteri di revisione e disponendo
che il nuovo documento non sarà rielaborato ex novo ma dovrà essere il
frutto della revisione del testo allegato al D.M. 31 luglio 2007 e a suo tempo
consegnato a tutte le istituzioni scolastiche. Disponeva inoltre che le
eventuali criticità emerse nel triennio di adozione sperimentale fossero
affrontate consultando esperti dei diversi settori e che la definizione dei
profili di competenze fosse chiara e priva di ambiguità . Veniva ribadito che
il testo dovesse richiamare le competenze sociali e civiche inerenti allâ
€™insegnamento di Cittadinanza e Costituzione (introdotto dalla legge 30
ottobre 2008, n. 169). La circolare, in ultimo ai criteri di revisione, invitava a
redigere il nuovo testo adottando struttura e forma linguistica affinché lo
stesso fosse leggibile e comprensibile anche da parte di cittadini non esperti
del settore scolastico.
Come già esposto, con decreto 16 novembre 2012, n. 254, il ministro
Profumo licenziava le nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione le quali
confermano la validità dell’impianto educativo e culturale della scuola
di base italiana che si è venuto consolidando nel corso di tanti anni con le
sue vocazioni di accoglienza e di inclusione. Si delinea un core curriculum
che deve saper riscoprire le cose essenziali, quelle che contano nella
formazione dei ragazzi di oggi, che sono già proiettati in un mondo per larga
parte ancora sconosciuto, da affrontare con una dotazione di competenze
appropriata148. Ciò che caratterizza il primo ciclo d’istruzione è lâ
€™acquisizione delle conoscenze e delle abilitaÌ€ fondamentali per
sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva del pieno
sviluppo della persona. Le Indicazioni nazionali del 2012 articolano lâ
€™apprendimento della musica su due dimensioni:
a) produzione, mediante l’azione diretta;
b) fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di
significati personali, sociali e culturali.
La musica, componente fondamentale e universale dell’esperienza
umana, attraverso l’esperienza del “far musica insiemeâ€, contribuisce
al benessere psicofisico in una prospettiva di prevenzione del disagio, dando
risposta a bisogni, desideri, domande, caratteristiche delle diverse fasce dâ
€™età . Lo sviluppo della musicalità che è in ciascuno di noi è favorito
dal canto, dalla pratica degli strumenti musicali, dalla produzione creativa,
dall’ascolto. In particolare, ognuno potrà cominciare a leggere e a
scrivere musica, a produrla anche attraverso l’improvvisazione, intesa
come gesto e pensiero che si scopre nell’attimo in cui avviene. Lâ
۪apprendimento della musica ̬ veicolo di rappresentazione simbolica
della realtà e educa gli alunni all’espressione e alla comunicazione
attraverso gli strumenti e le tecniche specifiche del proprio linguaggio.
Mediante le funzioni identitaria e interculturale la musica induce gli alunni a
prendere coscienza della loro appartenenza a una tradizione culturale e nel
contempo fornisce loro gli strumenti per la conoscenza, il confronto e il
rispetto di altre tradizioni culturali e religiose. Le pratiche compartecipate e lâ
€™ascolto condiviso instaurano relazioni interpersonali e di gruppo e in
quanto mezzo di espressione e di comunicazione la musica interagisce
costantemente con le altre arti ed è aperta agli scambi e alle interazioni con i
vari ambiti del sapere.
Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola primaria
L’alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale e in riferimento alla
loro fonte.
Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali, imparando ad ascoltare sé
stesso e gli altri; fa uso di forme di notazione analogiche o codificate.
Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le esegue con la voce, il corpo
e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali, suoni e silenzi.
Esegue, da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e culture differenti, utilizzando
anche strumenti didattici e auto-costruiti. Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale,
utilizzandoli nella pratica. Ascolta, interpreta e descrive brani musicali di diverso genere.

5.2.6 L’insegnamento della musica nella Legge


Buona scuola
Nella Legge 107/2015 il legislatore dispone che per l’insegnamento della
lingua inglese, della musica e dell’educazione motoria nella scuola
primaria sono utilizzati, nell’ambito delle risorse di organico disponibili,
docenti abilitati all’insegnamento per la scuola primaria in possesso di
competenze certificate, nonché docenti abilitati all’insegnamento
anche per altri gradi di istruzione in qualità di specialisti, ai quali è
assicurata una specifica formazione nell’ambito del Piano nazionale di
formazione149. La legge sancisce dunque la figura del docente specialista
nella scuola primaria e rileva come, con l’introduzione dell’organico
dell’autonomia previsto dall’art. 1, comma 5, sia adesso diventato
possibile ampliare le possibilità progettuali della scuola stessa in quanto tutti
i docenti dell’organico dell’autonomia contribuiscono alla
realizzazione dell’offerta formativa attraverso le attività di
insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di
progettazione e di coordinamento150.

5.2.7 Musica nella scuola secondaria di primo grado


Un’analisi approfondita delle innumerevoli norme che hanno
accompagnato la musica nel panorama scolastico italiano risulterebbe poco
funzionale allo scopo del presente manuale. Prenderemo dunque in esame,
seppur in modo marginale, alcuni provvedimenti legislativi quali le leggi
Boncompagni (ottobre 1848), Lanza (marzo 1857) e Casati (novembre 1859)
che, durante il Regno di Sardegna, non misero in alcun conto lâ
€™insegnamento della musica, sebbene ad esse vada riconosciuto il merito di
aver operato il primo tentativo di laicizzazione radicale dell’ordinamento
scolastico. Delle tre, ben nota è la legge Casati che, raccolte le istanze di
quelle precedenti, promuoveva un assetto organico e gerarchizzato della
scuola e dell’università , poste sotto la diretta dipendenza del consiglio
della pubblica istruzione, nominato direttamente dal ministro. Lâ
€™ordinamento (legge Casati 13 novembre 1859, n. 3725) fu esteso, con lâ
€™unificazione, all’intero Regno d’Italia ed è entrato in vigore nel
1861. Gabrio Casati fu ministro della Pubblica istruzione dal 19 luglio 1859
al 21 gennaio 1860. In concreto venne istituita la prima scuola elementare per
tutti, di quattro anni con un biennio inferiore, obbligatorio e gratuito, ed uno
superiore, in cui s’insegnavano religione, lettura e scrittura, aritmetica e
sistema metrico, lingua italiana, geografia elementare, storia nazionale,
scienze fisiche e naturali applicabili principalmente agli usi della vita
quotidiana. Sebbene la legge non avesse previsto lo studio della musica, per
la sua incidenza nel contesto storico dell’epoca ne ricordiamo i
provvedimenti più rilevanti. Casati aveva suddiviso la pubblica Istruzione in
tre rami: al primo, l’istruzione superiore; al secondo, l’istruzione
secondaria classica; al terzo, la tecnica e la primaria. La visione dâ
€™insieme, per quanto sommaria, delle tre leggi consente di cogliere gli
indirizzi di fondo della politica scolastica preunitaria. Si profilavano in
sostanza tre grandi questioni tra loro interconnesse: come rafforzare il
controllo e la centralità dello Stato nell’istruzione pubblica; come
estendere l’istruzione primaria alle classi popolari; come promuovere lâ
€™idea di nazione e l’identità italiane attraverso la scuola, portando il
modello piemontese oltre i confini sabaudi. In considerazione di questi grandi
obiettivi generali, furono prese decisioni relative ai curricoli, ai programmi
delle singole discipline, alle metodologie didattiche da impiegare151. Tuttavia
nessuna di queste decisioni riguardava la musica che continuava dunque a
essere relegata a una condizione di evidente marginalità .
Tra le prime proposte di riforma dell’ordinamento scolastico che hanno
annoverato l’insegnamento di materie affini alla musica è da
ricordare quella di Giovanni Maria Bertini152 il quale, nel 1864, su incarico
del ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Natoli (nel primo Governo
La Marmora 1864-1865) inserì lo studio del canto nella sua proposta di
creare una Scuola media unica, attraverso la fusione del Ginnasio inferiore
con il corso inferiore delle Scuole tecniche. Il parere non vincolante del
Consiglio superiore sul progetto Bertini fu favorevole, ma il ministro Natoli
lo ignorò e abbandonò il progetto153. Soltanto nel 1888 con i programmi
ministeriali elaborati dal saggista e positivista Aristide Gabelli, membro del
Consiglio superiore della Pubblica istruzione, ci fu un’apertura verso lâ
€™educazione musicale. Gabelli prospettava la possibile virilità del diletto
musicale invitando a considerare i possibili effetti positivi della musica in
senso morale e sociale, probabilmente per difenderla da chi la riteneva unâ
€™arte priva di qualsiasi utilità pratica. Con Gabelli prende dunque avvio
un processo di legittimazione della disciplina che condurrà a una sia pur
minima presenza ufficiale nei programmi scolastici, sancita dalla riforma di
Giovanni Gentile nel 1923154. Seppur per sommi capi è da rammentare la
legge 12 luglio 1896, n. 293155, del ministro Emanuele Gianturco (avvocato e
deputato della Repubblica), dove si legge che nelle scuole normali maschili e
nelle femminili, di durata triennale, si insegna canto corale secondo i
programmi stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione.
Una riflessione merita inoltre l’attenzione che Giovanni Gentile profuse
con il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice nei confronti della scuola.
Con Regio Decreto 6 maggio 1923, n. 1054, rubricato “Ordinamento della
istruzione media e dei convitti nazionaliâ€, Gentile ripensava il ciclo
secondario inferiore costituendo istituti medi di istruzione di primo e di
secondo grado. A tal fine, distingueva in:
a) istituti di primo grado: la scuola complementare, il ginnasio, il corso
inferiore dell’istituto tecnico, il corso inferiore dell’istituto
magistrale;
b) istituti di secondo grado: il liceo, il corso superiore dell’istituto
tecnico, il corso superiore dell’istituto magistrale, il liceo scientifico, il
liceo femminile.
L’art. 54 (Capo V - Dell’istruzione magistrale) così disponeva: â
€œNel corso inferiore si insegnano: lingua italiana, lingua latina, dal
secondo anno storia e geografia; matematica; una lingua straniera; disegno;
elementi di musica e canto corale; studio di uno strumento musicaleâ€.
L’art. 55, dal canto suo, prevedeva che: “Nel corso superiore si
insegnano: lingua e lettere italiane, lingua e lettere latine e storia; filosofia e
pedagogia, matematica e fisica; scienze naturali, geografia ed igiene,
disegno, elementi di musica e canto corale, studio di uno strumento
musicaleâ€.

5.2.8 Legge 31 dicembre 1962, n. 1859


Un momento di svolta nel panorama scolastico italiano si avrà con la Legge
31 dicembre 1962, n. 1859156, che istituiva la scuola media unica,
obbligatoria, gratuita, in attuazione dell’art. 34 della Costituzione. In soli
25 articoli si realizzava un disegno che i più illuminati pedagogisti e politici
inseguivano da quasi un secolo e che aveva occupato i dibattiti più accesi
per almeno un ventennio prima dell’avvento del fascismo157. Una scuola
media figlia diretta della Costituzione nella quale erano previste norme per la
liberalizzazione dell’accesso a qualsiasi facoltà universitaria da parte
dei maturati del Liceo scientifico, con la sola eccezione di quella di Lettere e
Filosofia158. Già con il primo articolo il legislatore gettava una luce sullâ
€™assunto pedagogico della scuola media la quale concorre a promuovere la
formazione dell’uomo e del cittadino come sancito dalla Costituzione
favorendo l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attivitÃ
successiva. Il piano di studi della scuola media comprendeva i seguenti
insegnamenti obbligatori: religione (con la particolare disciplina di cui alla
legge 5 giugno 1930, numero 824); italiano, storia ed educazione civica,
geografia; matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali; lingua
straniera; educazione artistica; educazione fisica. L’insegnamento del
latino, come materia autonoma, ha inizio in terza classe come materia
facoltativa. La legge, all’art. 2, c. 2, rendeva inoltre obbligatorie nella
prima classe le applicazioni tecniche e l’educazione musicale che
diventano facoltative nelle classi successive. È lo stesso ministro Gui a
spiegare i motivi della facoltatività di alcune discipline prendendo a
riferimento l’art. 3, c. 2, della legge che fissa a 26 ore settimanali lâ
€™orario complessivo massimo degli insegnamenti obbligatori. Il ministro
ne fa esplicito riferimento nel suo discorso alla Camera dei deputati nella
seduta del 20 dicembre 1962 allorquando dichiarava che quanto, poi, alle
preoccupazioni di ordine didattico, è ovvio che la risposta deve essere
diversa. Non è stata imposta la presenza obbligatoria per tutti e tre gli anni
di tutte e tre queste discipline159 contemporaneamente, sia per l’esigenza
di articolazione che poco fa ho ricordato, sia perchè vi è anche un limite
di sopportabilità degli alunni, e quindi di ampiezza degli orari di
insegnamento: o noi, per rendere presenti tutte queste discipline, riduciamo
le ore destinate alle materie fondamentali ad un numero troppo esiguo, e
quindi assolutamente insufficiente affinchè siano formative, oppure
estendiamo l’orario oltre il limite della sopportabilità degli alunni. Non
si possono volere contemporaneamente cose contraddittorie. Questa è la
ragione, senza alcuna minor considerazione per il valore di quelle discipline,
che ha portato a questa configurazione. NeÌ, onorevoli colleghi, io ritengo
che la facoltatività di queste discipline significhi una loro minore efficacia
didattica. Nel suo discorso il ministro sottolineava come la facoltà concessa
agli alunni di seguire o meno questi insegnamenti non significava
discrezionalità , per il Ministero o per il legislatore, circa la presenza nella
scuola degli insegnanti. Questo è tanto vero che il disegno di legge
prescrive che per ogni certo numero di corsi, cioè indipendentemente dal
numero degli allievi che seguano quegli insegnamenti facoltativi, sia
obbligatoria la presenza in organico di un insegnante di educazione musicale
e di uno di applicazioni tecniche. Per nessun altro insegnamento v’è
una prescrizione del genere. Secondo le intenzioni del ministro, la nuova
scuola media non era intesa come elemento di un quadro del tutto nuovo della
struttura scolastica italiana, né avrebbe sospeso la vita delle altre scuole,
bensì le influenzerà , ne sarà influenzata, ma non potrà non tenere conto
delle scuole che vengono prima e di quelle che vengono dopo. Questâ
€™altro elemento di concretezza servirà ad indicarci in parte anche le linee
della sua struttura. Una scuola dunque aperta a tutti come sancito nellâ
€™art. 34 della Costituzione. Il faro dell’articolo costituzionale è ciò
che muove il proseguo dell’intervento del ministro quando afferma che la
nuova scuola media, diventando scuola di tutti, come è già la scuola
elementare, e adempiendo alla funzione di completamento dell’obbligo,
non potrà più essere fondata, come l’attuale, prevalentemente sul
principio della selettività , neÌ essere concepita esclusivamente in quanto
preparatoria a studi successivi.
La legge fissava le materie di esame in: italiano, storia ed educazioni civica,
geografia, matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali, lingua
straniera, educazione artistica, educazione fisica. Il diploma di licenza dÃ
accesso a tutte le scuole istituti di istruzione secondaria di 2° grado; coloro
che intendono iscriversi al liceo classico debbono superare anche la prova
relativa all’insegnamento di latino di cui all’articolo 2. Per quanto
attiene all’esame di licenza potevano sostenere la prova di latino anche
gli alunni che non avessero seguito tale insegnamento nella classe terza.
Orari e programmi d’insegnamento della scuola media statale erano
portati dal Decreto ministeriale 24 aprile 1963160. Nella premessa il decreto
ribadisce la trasformazione profonda dell’ordinamento dell’istruzione
secondaria di primo grado operata dalla legge n. 1859/1962 ispirata ai
principi espressi nell’art. 34 della Costituzione. La scuola media si
struttura come scuola sostanzialmente unica ed essenzialmente formativa
assolvendo, in pari tempo, ad una funzione orientativa. Infatti, assecondando
con i vari insegnamenti, anche facoltativi, la maturazione dei singoli alunni,
essa ne chiarisce e ne sviluppa le inclinazioni e gli interessi e permette a tutti
di rivelare le proprie attitudini anche in vista delle ulteriori scelte scolastiche
e professionali. Il decreto espone poi in sequenza i programmi di tutte le
discipline di insegnamento previste dalla legge n. 1859/1962 e per quanto
attiene all’educazione musicale dispone che essa deve suscitare nellâ
€™alunno l’amore verso l’arte dei suoni, intesa come forma del
linguaggio e della espressione. Viene suggerito il canto corale come
strumento particolarmente idoneo per educare nel ragazzo il bisogno di
manifestare la esuberanza dei sentimenti del proprio animo. Il decreto
prescrive inoltre che l’insegnante guidi l’alunno al riconoscimento e
alla comprensione dei suoni, all’ascolto delle musiche per le quali si
raccomanda vivamente di tener presenti quelle popolari, spesso anonime, da
non confondersi con quelle pseudo-popolari. Per quanto concerne le musiche
classiche il decreto dispone di dare preferenza alle composizioni religiose,
teatrali, sinfoniche e da camera, la cui validità sia consacrata dal tempo. Lâ
€™uso di uno strumento musicale è consigliato per avvalorare lâ
€™insegnamento dell’educazione musicale.
Il principio della facoltatività sarà in seguito eliminato dalla Legge 16
giugno 1977, n. 348161, che segnerà l’ampliamento dellâ
€™insegnamento dell’educazione musicale a tutte le classi: agli
insegnamenti obbligatori previsti dal primo comma dell’art. 2 della
Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sono aggiunte per tutte le classi lâ
€™educazione tecnica, in sostituzione delle applicazioni tecniche, e lâ
€™educazione musicale. La legge sostituiva il primo ed il secondo comma
dell’art. 3 della legge n. 1859/1962 disponendo che i programmi, gli
orari di insegnamento e le prove di esame sono stabiliti con decreto del
Ministro per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della
Pubblica Istruzione. L’orario degli insegnamenti non può superare le 30
ore settimanali e l’art. 3, c. 2, novellando i commi secondo, terzo e quarto
dell’art. 6 della legge 1859/1962, elencava le nuove materie di esame:
italiano, storia ed educazione civica, geografia, scienze matematiche,
chimiche, fisiche e naturali; lingua straniera, educazione artistica, educazione
tecnica, educazione musicale, educazione fisica. La legge avrà effetto dallâ
€™inizio dell’anno scolastico 1977/78.
Gli interventi legislativi del 1977 hanno inteso sviluppare i principi ispiratori
della riforma del 1962 sia mettendo a disposizione più adeguate strutture per
un servizio scolastico finalizzato alla promozione umana e culturale di tutto il
popolo italiano, sia eliminando quelle strutture che si erano dimostrate
inadeguate (classi d’aggiornamento e classi differenziali)162.
A seguito delle modifiche di alcune norme della legge del 1962 apportate
dalla legge n. 348/1977, con il Decreto Ministeriale 9 febbraio 1979163 si
fornivano nuovi programmi e si ridefinivano le ore di lezione per la scuola
media statale164. I nuovi programmi si innestano in una scuola media che
risponde al principio democratico di elevare il livello di educazione e di
istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il popolo italiano,
potenzia la capacità di partecipare ai valori della cultura, della civiltà e
della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo. Il decreto
attribuisce all’educazione musicale due ore settimanali per ciascuna delle
tre classi.
La Parte IV del Decreto Ministeriale n. 9/1979, “Le discipline come
educazione metodologiche dell’apprendimentoâ€, enuncia che tutti gli
interventi disciplinari concorrono in una prospettiva unitaria allâ
€™educazione della persona. Il decreto, nel riprendere alcuni passaggi della
legge n. 348/1977, ribadisce come essa pur ponendo l’accento sul
rafforzamento dell’educazione linguistica, sul potenziamento dellâ
€™educazione scientifica, sulla valorizzazione del lavoro nellâ
€™educazione tecnica e sull’introduzione dell’educazione sanitaria,
avvalori come tutte le discipline curriculari, se correttamente interpretate,
promuovono nell’allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la
soluzione dei problemi, gli chiedono di produrre risultati apprezzabili. Allâ
€™art. 2 del decreto, lettera f), leggiamo che l’educazione musicale,
mediante la conoscenza e la pratica della musica -intesa come forma di
linguaggio e di espressione- sviluppa nel preadolescente la capacità non
solo di ascoltare, ma di esprimersi e comunicare mediante il linguaggio
musicale. Con gradualità e con la metodologia propria dell’educazione
musicale, essa concorre allo sviluppo della sensibilità del preadolescente,
alla maturazione del senso estetico e ad un primo avvio alla capacità del
giudizio critico. Nella loro differenziata specialità le discipline sono
strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di
funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti, indispensabili alla
maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte.
Le “osservazioni sui contenutiâ€, riferite all’educazione musicale,
indicano come essa contribuisca, al pari delle altre discipline, alla
maturazione espressiva e comunicativa del preadolescente. Analogamente a
quello dell’educazione artistica, il programma di educazione musicale
non è suddiviso in modo da distribuire i vari argomenti per anni di corso.
Dal punto di vista didattico appare infatti inopportuna la previsione in rigida
progressione delle molteplici attività che offre la disciplina musicale. SarÃ
quindi necessario soffermarsi via via, a seconda delle situazioni concrete,
più a lungo su determinati argomenti o su particolari esperienze espressive
ed esecutive, tenuto conto del reale livello di maturazione della classe, dei
gruppi, dei singoli alunni. Si tratta del resto di soddisfare l’esigenza che il
preadolescente manifesta, passando da esperienze di vita più globali e di
cultura più indifferenziate, proprie della scuola primaria, a quelle più
articolate e specifiche della scuola secondaria di primo grado, sulla linea della
necessaria e appropriata pluralità delle discipline e dei contributi che esse
forniscono. Da ciò si evince il primario obiettivo dell’educazione
musicale ovvero la partecipazione attiva del preadolescente all’esperienza
della musica nel suo duplice aspetto di espressione-comunicazione (momento
del “fare musicaâ€) e di ricezione (momento dello “ascoltareâ€). Lâ
€™educazione musicale permette di valorizzare una dotazione linguistica
universale costitutiva della personalità , educa all’uso della
comunicazione sonora e alla comprensione partecipativa dei maggiori
patrimoni della civiltà e contribuisce all’affinamento del gusto estetico.
Il decreto pone l’accento sull’opportunità che i diversi fattori della
materia (educazione dell’orecchio musicale, ascolto, apprendimento della
notazione, pratica vocale e strumentale, creatività ) siano trattati globalmente
per favorirne il coordinamento, e non considerati momenti fra loro
indipendenti. La distribuzione degli argomenti nell’arco triennale è
lasciata alla discrezionalità dell’insegnante che terrà conto delle
specifiche situazioni scolastiche ed ambientali in cui si troverà ad operare.
Gli stessi argomenti saranno utilmente ripresi da un anno all’altro con
ritorni ciclici che consentano l’approfondimento degli aspetti
fondamentali del far musica. Il decreto prosegue ancora con “sviluppo
delle capacità e proposte di contenutiâ€:
1) Educazione dell’orecchio musicale: capacità di discriminare e di
memorizzare i fatti sonori, negli aspetti ritmico, melodico, armonico,
timbrico, formale. Capacità di una corretta riproduzione del suono,
soprattutto mediante la voce, di cui si curerà una adeguata impostazione:
– osservazioni e analisi dei fenomeni acustici della realtà quotidiana
(suoni e ritmi dell’ambiente naturale e umano con riferimento anche
all’aspetto fonico del linguaggio verbale). Osservazione e analisi del
suono nei suoi vari parametri (altezza, intensità , timbro, durata);
– riconoscimento di strumenti e voci attraverso il timbro: tale esperienza
sarà utilmente arricchita dalla conoscenza visiva degli strumenti
accompagnati da cenni esplicativi sulla loro forma e struttura in funzione
dell’emissione del suono;
– il senso ritmico verrà maturato non solo attraverso un tradizionale
strumentario, ma anche attraverso una pratica fonogestuale individuale e
collettiva (dai semplici movimenti ritmici alla danza);
– si darà ampio spazio a libere proposizioni ritmiche attraverso
imitazione e improvvisazione, mentre si procederà parallelamente con le
relative scritture e letture;
2) Notazione: comprensione della corrispondenza suono-segno per un primo
avvio all’uso consapevole della notazione musicale, sia di tipo intuitivo,
sia di tipo tradizionale, con cenni ai sistemi grafici usati nella musica
contemporanea;
3) Lettura dell’opera musicale intesa come ascolto guidato e ragionato:
capacità di prendere coscienza dei più semplici elementi costitutivi
(ritmici, melodici, timbrici, ecc.) di ogni brano musicale;
– affinamento del gusto e scoperta sia della personalità dell’autore
sia delle testimonianze storico-sociali dei documenti musicali ascoltati;
– l’ascolto spazierà nelle più varie dimensioni senza preclusioni di
epoca, nazionalità , genere, non trascurando musiche di civiltà extra-
europea, il canto popolare e religioso;
4) Attività espressivo-creative:
a) capacità di riprodurre modelli musicali dati: con la voce, con i mezzi
strumentali a disposizione, individualmente, in gruppo.
La pratica corale dovrà farsi, dopo adeguata preparazione, per
improvvisazione, imitazione e lettura. Questo momento sarà di grande
importanza ai fini della socializzazione.
La pratica strumentale si esplicherà sia con gli strumenti di uso più
comune nelle scuole, sia con quelli eventualmente costruiti dagli alunni
stessi, sia con l’utilizzazione degli oggetti circostanti o facilmente
reperibili;
b) capacità di portare un contributo personale alla realizzazione dei
modelli musicali proposti, intervenendo negli aspetti dinamico, agogico,
timbrico, fino a variarne la struttura ritmica, melodica, modale;
c) capacità di ricreare con la voce o con i mezzi a disposizione, da solo o
con altri, i più elementari processi formativi del linguaggio musicale. In
altri termini, analogamente a quanto avviene per gli altri mezzi espressivi
(figurativo, verbale, gestuale, ecc.), capacità di dar forma a semplici idee
musicali che abbiano una loro logica (utilizzando elementi ritmici,
melodici, timbrici, dinamici, ecc.) singolarmente o in combinazione.
Tutti gli interventi disciplinari, dunque, aiutano l’alunno ad acquisire
progressivamente una immagine sempre più chiara ed approfondita della
realtà sociale e a comprendere il rapporto che intercorre fra le vicende
storiche ed economiche, le strutture, le aggregazioni sociali e la vita e le
decisioni del singolo.

5.2.9 I corsi ad indirizzo musicale nella scuola media


Con il Decreto Ministeriale 8 settembre 1975 venivano istituiti i primi corsi
di strumento musicale sperimentali nella scuola media, inizialmente nella
provincia di Milano. Si trattava di una sperimentazione in cui lâ
€™insegnamento dell’educazione musicale era connesso con lo studio di
strumenti musicali e integrato nel contesto delle altre discipline. Il decreto
disponeva che l’insegnamento dell’educazione musicale dovesse
evidenziare la capacità formativa ed orientativa della musica attraverso uno
studio non strettamente tecnicistico e nozionistico, ma principalmente
culturale, propedeutico per eventuali prosecuzioni165.
In seguito, il Decreto Ministeriale 3 agosto 1979166 darà sistematicità alla
legislazione vigente istituendo corsi triennali di scuola media ad indirizzo
musicale su tutto il territorio nazionale prevedendo corsi da un minimo di tre
ad un massimo di cinque specialità strumentali sulla base di quelle previste
nel quadro dei corsi principali dei conservatori di musica, ovvero: pianoforte,
violino, violoncello, oboe, clarinetto, flauto, corno e tromba. I corsi erano
dispensati nelle prime classi per estendersi gradualmente, negli anni scolastici
successivi, nelle seconde e nelle terze167. Oltre allo studio degli strumenti
musicali indicati nel decreto, era ammesso anche lo studio della chitarra
classica. L’art. 1 disponeva che “i corsi dovranno comprendere
almeno una specialità strumentale per ciascuno dei tre settori fondamentali:

strumenti a tastiera (pianoforte);


strumenti a corda (violino o violoncello o chitarra classica);
strumenti a fiato (oboe o clarinetto o flauto o corno o tromba)â€.

Il decreto prevedeva una sperimentazione musicale di quattro ore di


insegnamento di materie musicali alla settimana suddivise in: tre ore di
educazione musicale (teoria-solfeggio e dettato musicale comprensive delle
ore di educazione musicale curriculari); un’ora di strumento musicale,
impartita in due mezze ore individuali da effettuare, a distanza di giorni, due
volte alla settimana. Alla lezione di strumento musicale era previsto che
prendessero parte due alunni per volta, impegnati per mezza ora in lezione
individuale, per un’altra mezza ora in ascolto partecipativo168. Qualora ne
ricorressero le necessarie condizioni organizzative, preventivamente accertate
dal ministero, finito il ciclo triennale era consentito introdurre nuove
specialità strumentali, quando esse non raggiungessero il numero di cinque.
Al termine del ciclo triennale era altresì consentito, sempreché ne
ricorrano le necessarie condizioni organizzative, preventivamente accertate
dal ministero, un avvicendamento delle specialità strumentali nello studio
dei settori degli strumenti a corda e degli strumenti a fiato.
L’art. 2 stabiliva che l’insegnamento delle materie musicali, nei
predetti corsi, è conferito ad insegnanti di ruolo, incaricati o aspiranti allâ
€™incarico inclusi nelle graduatorie provinciali per l’insegnamento
dell’educazione musicale, oppure a nuovi aspiranti a supplenze di
educazione musicale, che siano in possesso di particolari requisiti artistico-
didattico-professionali, nonché del diploma specifico per lâ
€™insegnamento di uno degli strumenti musicali indicati al precedente art.
1, valutati dalla commissione di cui all’art. 7169. I corsi sperimentali di
scuola media ad indirizzo musicale, anche di prosecuzione delle attività in
atto, andavano richieste al Ministero della P.I. – direzione generale
istruzione. Tali richieste necessitavano di apposita documentazione ovvero
deliberazione del collegio dei docenti e del consiglio di istituto170. Affinché
fossero attivati i corsi era necessario che le scuole medie di Stato offrissero,
sul piano didattico-organizzativo, i requisiti necessari per l’attuazione del
particolare tipo di esperimento ed in particolare: disponibilità di locali
idonei e di orario pieno anche nelle ore pomeridiane accertati dal ministero;
disponibilità , nell’ambito della provincia, di personale docente
particolarmente qualificato per gli insegnamenti specialistici adottati nel
corso, accertata dalla commissione di cui all’art. 7, sufficiente numero di
aspiranti forniti dei requisiti necessari per frequentare con profitto le materie
musicali. Ai corsi si accedeva previo prova orientativa fisico-attitudinale che
consiste nell’accertamento del senso ritmico, dell’intonazione della
voce e delle caratteristiche fisiche in relazione allo strumento prescelto,
svolta da docenti all’uopo designati dal direttore del conservatorio di
musica di competenza, in numero di quattro, uno per ciascuna delle seguenti
specialità : strumenti a tastiera (pianoforte); strumenti ad arco (violino o
violoncello), anche la chitarra classica; strumenti a fiato del raggruppamento
oboe, clarinetto e flauto; strumenti fiato del raggruppamento corno e
tromba171. I docenti delle materie musicali hanno il trattamento giuridico ed
economico dei docenti di ruolo od incaricati di educazione musicale della
scuola media, sono tenuti, quindi, ai sensi dell’art. 88 del D.P.R. 31
maggio 1974, n. 417 a svolgere 18 ore settimanali di servizio e 20 ore
mensili per attività connesse con il funzionamento della scuola. In caso di
riduzione del numero dei frequentanti il corso, durante l’anno scolastico,
il docente delle materie musicali dovrà coprire le ore venute meno con
lezioni di sostegno per quegli alunni che ne avessero necessità , o con
attività di esercitazioni collettive, ove possibile172. Il decreto nulla innovava
in materia di esami confermando le stesse norme stabilite con D. M. 9
febbraio 1979173.
Il D.M. 13 febbraio 1996174 offrirà in seguito una visione più approfondita
del tessuto normativo dei corsi sperimentali prevedendoli come parte
integrante del progetto metodologico-didattico della scuola media. Essi
venivano adesso realizzati nell’ambito della programmazione educativo-
didattica dei Consigli di classe e del Collegio dei docenti, in sintonia con la
premessa ai programmi della scuola media. In estrema sintesi, i corsi
concorrevano a promuovere la formazione globale dell’individuo
offrendo al preadolescente, attraverso una più compiuta applicazione ed
esperienza musicale, della quale è parte integrante lo studio specifico di
uno strumento, occasioni di maturazione logica, espressiva e comunicativa,
di consapevolezza della propria identità e, quindi, di capacità di operare
scelte nell’immediato e per il futuro175. Il decreto prevedeva che il corso
triennale sperimentale di insegnamento di strumenti nelle scuole medie ad
indirizzo musicale avesse inizio nella prima classe e si estendesse
gradualmente, negli anni scolastici successivi, alla seconda e alla terza.
Diversamente dal D. M. 3 agosto 1979 che prevedeva corsi con almeno una
specialità strumentale per ciascuno dei tre settori fondamentali, ovvero:
tastiera corda e fiato, il decreto del 1996 aggiungeva gli strumenti a
percussione. L’art. 2, c. 2, del D.M. 13 febbraio 1996 infatti così
disponeva: “Il corso si articola sull’insegnamento di non meno di tre
strumenti, scelti fra almeno tre dei seguenti gruppi:
a) strumenti a tastiera;
b) strumenti a corda;
c) strumenti a fiato;
d) strumenti a percussioneâ€.
All’interno delle classi del corso sperimentale deve costituirsi un gruppo
di almeno cinque o sei alunni per ciascuno strumento prescelto. In ragione del
numero complessivo degli alunni di ciascuna classe potranno formarsi anche
gruppi di consistenza inferiore, ma, in ogni caso, con non meno di tre alunni.
Alle discipline musicali sono assegnate quattro ore settimanali così
suddivise: tre ore di educazione musicale, di cui una di solfeggio e un’ora
individuale di strumento musicale. L’effettuazione delle ore individuali di
strumento, le modalità di partecipazione degli alunni alla lezione e di
ascolto partecipativo vanno definite nell’ambito della programmazione
didattico-educativa del Consiglio di classe. Il decreto inoltre disponeva che
per i corsi che attuano il tempo prolungato l’autorizzazione della
sperimentazione di strumento preveda, rispetto all’orario già svolto, lâ
€™aggiunta di due ore, nelle quali non sono consentite compresenze.
5.2.10 Legge 3 maggio 1999, n. 124 - D. M. 6 agosto
1999, n. 201
Nel panorama strumentale scolastico italiano si avrà un momento di svolta
solo con la legge 3 maggio 1999, n. 124176, entrata in vigore il 25 maggio
1999, la quale sanciva la riconduzione a ordinamento dei corsi di scuola
media a indirizzo musicale, fino a quel momento autorizzati e funzionanti in
via sperimentale. All’art. 11, c. 9, essa disponeva che a decorrere dallâ
€™anno scolastico 1999-2000, i corsi a indirizzo musicale, autorizzati in via
sperimentale nella scuola media e funzionanti nell’anno scolastico 1998-
1999, sono ricondotti a ordinamento. In tali corsi l’insegnamento dello
strumento musicale è inteso come integrazione interdisciplinare ed
arricchimento dell’insegnamento obbligatorio dell’educazione
musicale. Con proprio decreto il Ministro della pubblica istruzione stabilisce
le tipologie di strumenti musicali insegnati, i programmi, gli orari, le prove
d’esame e l’articolazione delle cattedre provvedendo anche allâ
€™istituzione di una specifica classe di concorso di strumento musicale (art.
11, c. 9, terzo periodo)177. La legge stabiliva inoltre che i docenti che avessero
360 giorni di servizio effettivo nell’insegnamento sperimentale di
strumento musicale nella scuola media nel periodo compreso tra l’anno
scolastico 1989-1990 e la data di entrata in vigore della stessa legge, di cui
almeno 180 giorni a decorrere dall’anno scolastico 1994-1995, fossero
immessi in ruolo su tutti i posti annualmente disponibili a decorrere dallâ
€™anno scolastico 1999-2000 ai sensi della normativa vigente. A tal fine essi
erano inseriti, a domanda, nelle graduatorie permanenti.
Con il D. M. 6 agosto 1999, n. 201178 di riconduzione a ordinamento dei
corsi di scuola media a indirizzo musicale si dava esecuzione alla delega
contenuta nell’art. 11, c. 9, della legge n. 124/1999, ovvero venivano
stabilite le tipologie di strumenti musicali insegnati, i programmi, gli orari, le
prove d’esame e l’articolazione delle cattedre provvedendo anche allâ
€™istituzione di una specifica classe di concorso di strumento musicale. Lo
specifico insegnamento di strumento musicale costituirà integrazione
interdisciplinare ed arricchimento dell’insegnamento obbligatorio dellâ
€™educazione musicale nell’ambito della programmazione educativo
didattica dei consigli di classe e del collegio dei docenti. Il decreto libera la
musica da quell’aspetto di separatezza che l’ha spesso penalizzata al
fine di rendere esplicita la dimensione sociale e culturale dell’evento
musicale. Dispone che le classi in cui viene impartito l’insegnamento di
strumento musicale sono formate secondo i criteri generali dettati per la
formazione delle classi, previa apposita prova orientativo attitudinale
predisposta dalla scuola per gli alunni che all’atto dell’iscrizione
abbiano manifestato la volontà di frequentare i corsi a indirizzo musicale.
Gli alunni di ciascuna classe vengono ripartiti in quattro gruppi per lâ
€™insegnamento di quattro e diversi strumenti musicali. Tenuto conto del
rilevante significato formativo e didattico della musica d’insieme, al
collegio dei docenti è demandata la scelta delle specialità strumentali da
insegnare tra quelle indicate nei programmi allegati allo stesso decreto179,
così come la tipologia degli strumenti musicali e i relativi programmi di
insegnamento (rinvenibili nell’Allegato A). Si fa inoltre esplicito
riferimento all’autonomia organizzativa e didattica delle scuole nelle
quali gli organi collegiali possono adeguare il modello organizzativo di cui al
presente decreto alle situazioni particolari di funzionamento dei corsi, al fine
di realizzare l’impiego ottimale delle risorse, anche prevedendo attivitÃ
di approfondimento, potenziamento e recupero (art. 3). Per ciascun corso,
ferma restando la dotazione organica per la copertura di due ore settimanali
per classe di educazione musicale, la dotazione organica prevista è di
quattro cattedre di strumento musicale articolate su tre classi. Le ore di
insegnamento sono destinate alla pratica strumentale individuale e/o per
piccoli gruppi anche variabili nel corso dell’anno, all’ascolto
partecipativo, alle attività di musica di insieme, nonché alla teoria e
lettura della musica: quest’ultimo insegnamento - un’ora settimanale
per classe - può essere impartito anche per gruppi strumentali180. Lâ
€™insegnante di strumento musicale, in sede di valutazione periodica e
finale, esprime un giudizio analitico sul livello di apprendimento raggiunto da
ciascun alunno al fine della valutazione globale di pertinenza del consiglio di
classe; in sede di esame di Stato viene verificata, nell’ambito del previsto
colloquio pluridisciplinare, anche la competenza musicale raggiunta al
termine del triennio sia sul versante della pratica esecutiva, individuale e/o dâ
€™insieme, sia su quello teorico. Il D.M. n. 201/1999 istituisce la classe di
concorso di “strumento musicale nella scuola media†(classe n. 77/A181)
per l’insegnamento delle specialità strumentali previste dallo stesso
decreto (art. 9).
Per completezza di informazioni si precisa che a decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto previsto dall’art. 12182 del Decreto
Legislativo n. 60/2017, il decreto ministeriale 6 agosto 1999, n. 201, cessa di
produrre effetti (come disposto nell’art. 16). È da dire che l’inerzia
del legislatore nell’emanazione di quanto disposto dall’art. 12 in
parola, ha fatto sì che alla data di stesura del presente manuale il decreto n.
201/1999 continuasse a disciplinare i corsi a indirizzo musicali.
5.2.11 Programmi di insegnamento di strumento
musicale nei corsi di scuola media ad indirizzo
musicale - Allegato A del D.M. 6 agosto 1999, n. 201
L’allegato A del D. M. 6 agosto 1999, n. 201183 contiene i “Programmi
di insegnamento di strumento musicale nei corsi di scuola media ad indirizzo
musicaleâ€. Nel primo paragrafo, “Indicazioni generaliâ€, viene ribadito
come l’insegnamento strumentale, nel quadro delle finalità della scuola
media e del progetto complessivo di formazione della persona, costituisce
integrazione interdisciplinare ed arricchimento dell’insegnamento
obbligatorio dell’educazione musicale. Esso concorre, pertanto, alla più
consapevole appropriazione del linguaggio musicale attraverso la fruizione
dei suoi aspetti tecnico pratici e teorici, lessicali, storici e culturali che
insieme costituiscono la complessiva valenza dell’educazione musicale.
Le Indicazioni generali offrono una chiara visione dell’ambito in cui
realizzare l’indirizzo musicale: esso deve rapportarsi con l’insieme
dei campi del sapere in una adeguata condizione metodologica di
interdisciplinarità . L’educazione musicale e la pratica strumentale,
essendo posti in rapporto costante, liberano la musica da quell’aspetto di
separatezza che l’ha spesso penalizzata e viene resa esplicita la
dimensione sociale e culturale dell’evento musicale. Le Indicazioni si
soffermano altresì sulla rilevanza che la musica assume quale veicolo di
comunicazione capace di fornire agli alunni una maggiore capacità di lettura
attiva e critica del reale, una ulteriore possibilità di conoscenza, espressione
e coscienza, razionale ed emotiva, di seÌ. Obiettivo del corso triennale, una
volta fornita una completa e consapevole alfabetizzazione musicale, è porre
alcuni traguardi essenziali che dovranno essere da tutti raggiunti. Adeguata
attenzione viene riservata a quegli aspetti del far musica, come la pratica
corale e strumentale di insieme, che pongono il preadolescente in relazione
consapevole e fattiva con altri soggetti. A tal riguardo si fa esplicito
riferimento all’autonomia scolastica la quale potrà garantire ulteriori
possibilità di approfondimento e sviluppo anche nella prospettiva di rendere
l’esperienza musicale funzionale o propedeutica alla prosecuzione degli
studi, nonché alla diffusione della cultura musicale nel territorio, in modo
da rafforzare il ruolo della scuola come luogo di aggregazione e diffusione di
saperi e competenze. Il paragrafo dedicato agli “Orientamenti formativiâ€,
ribadisce che l’insegnamento strumentale:

promuove la formazione globale dell’individuo offrendo, attraverso


un’esperienza musicale resa più completa dallo studio dello
strumento, occasioni di maturazione logica, espressiva, comunicativa;
integra il modello curricolare con percorsi disciplinari intesi a
sviluppare, nei processi evolutivi dell’alunno, unitamente alla
dimensione cognitiva, la dimensione pratico-operativa, estetico-
emotiva, improvvisativo-compositiva;
offre all’alunno, attraverso l’acquisizione di capacità
specifiche, ulteriori occasioni di sviluppo e orientamento delle proprie
potenzialità , una più avvertita coscienza di seÌ e del modo di
rapportarsi al sociale;
fornisce ulteriori occasioni di integrazione e di crescita anche per gli
alunni in situazione di svantaggio.

Al fine di consentire agli alunni l’interiorizzazione di tratti significativi


del linguaggio musicale a livello formale, sintattico e stilistico, viene ribadita
la peculiare importanza dell’acquisizione di capacità cognitive in
ordine alle categorie musicali fondamentali (melodia, armonia, ritmo, timbro,
dinamica, agogica) e alla loro traduzione operativa nella pratica strumentale.
A loro volta i contenuti dell’educazione musicale si modellano con il
necessario contributo della pratica strumentale. In particolare la produzione
dell’evento musicale, attraverso la pratica musicale, comporta la
formalizzazione della gestualità in rapporto al sistema operativo dello
strumento concorrendo, in questo modo, allo sviluppo delle abilità senso-
motorie legate a schemi temporali precostituiti. La pratica strumentale
consente all’alunno di accedere direttamente all’universo di simboli e
significati fondanti il linguaggio musicale attraverso lo studio dei repertori
strumentali; in tal modo esso mette in gioco la soggettività e sviluppa le
capacità di valutazione critico-estetiche. La produzione dell’evento
musicale permette l’accesso ad autonome elaborazioni del materiale
sonoro, ovvero improvvisazione – composizione, sviluppando la
dimensione creativa dell’alunno. L’aspetto performativo della pratica
strumentale porta alla consapevolezza della dimensione pubblica dellâ
€™evento musicale stesso; in questo modo, l’alunno sviluppa il senso di
appartenenza sociale.
Gli “Obiettivi di apprendimentoâ€, descritti nel terzo paragrafo,
affermano che nel campo della formazione musicale l’insegnamento
strumentale persegue un insieme di obiettivi generali all’interno dei quali
si individua l’acquisizione di alcuni traguardi essenziali, quali:

il dominio tecnico del proprio strumento al fine di produrre eventi


musicali tratti da repertori della tradizione scritta e orale con
consapevolezza interpretativa, sia nella restituzione dei processi
formali sia nella capacità di attribuzione di senso;
la capacità di produrre autonome elaborazioni di materiali sonori, pur
all’interno di griglie predisposte;
l’acquisizione di abilità in ordine alla lettura ritmica e intonata e
di conoscenze di base della teoria musicale;
> un primo livello di consapevolezza del rapporto tra organizzazione dell’attività senso-
motoria legata al proprio strumento e formalizzazione dei propri stati emotivi;
un primo livello di capacità performative con tutto ciò che ne
consegue in ordine alle possibilità di controllo del proprio stato
emotivo in funzione dell’efficacia della comunicazione.

A ben vedere, gli obiettivi di apprendimento promuovono un avvaloramento


dell’espressione corporea che il discente intrattiene con lo strumento e
alla sua capacità di restituzione delle abilità tecnico-interpretative insite
nello studio dello stesso.
Il decreto passa poi a esplicitare i “Contenuti fondamentali†delle
singole specificità strumentali che devono essere perseguiti, ovvero:
> ricerca di un corretto assetto psico-fisico: postura, percezione corporea,
rilassamento, respirazione, equilibrio in situazioni dinamiche,
coordinamento;
> autonoma decodificazione allo strumento dei vari aspetti delle notazioni
musicali: ritmico, metrico, frastico, agogico, dinamico, timbrico; armonico;
> padronanza dello strumento sia attraverso la lettura sia attraverso lâ
€™imitazione e l’improvvisazione, sempre opportunamente guidata;
> lettura ed esecuzione del testo musicale che dia conto, a livello
interpretativo, della comprensione e del riconoscimento dei suoi parametri
costitutivi;
> acquisizione, da parte degli alunni, di un metodo di studio basato sullâ
€™individuazione dell’errore e della sua correzione;
> promozione della dimensione ludico-musicale attraverso la musica di
insieme e la conseguente interazione di gruppo.
Il paragrafo dedicato alle “Competenze e criteri di valutazione†è
rivolto alla integrazione tra le discipline musicali intesa come mezzo di
costituzione della competenza generale che si fonda su:
> il riconoscimento e la descrizione degli elementi fondamentali della sintassi
musicale;
> il riconoscimento e la descrizione di generi musicali, forme elementari e
semplici condotte compositive;
> la capacità di collocare in ambito storico-stilistico gli eventi musicali
praticati;
> la produzione e/o la riproduzione di melodie attraverso il mezzo vocale con
il supporto della lettura ritmica e intonata.
Lo studio strumentale si fonda sulla capacità di lettura allo strumento,
ovvero come la capacità di correlazione segno – gesto – suono; uso e
controllo dello strumento nella pratica individuale e collettiva con
riferimento ai riflessi sull’acquisizione delle tecniche specifiche;
capacità di esecuzione e ascolto nella pratica individuale e collettiva, ossia
livello di sviluppo dei processi di attribuzione di senso e delle capacità
organizzative dei materiali sonori; esecuzione, interpretazione ed eventuale
elaborazione autonoma allo strumento del materiale sonoro, laddove anche
l’interpretazione può essere intesa come livello di sviluppo delle
capacità creative. Fatti salvi gli obiettivi e le indicazioni programmatiche di
ogni singola specialità strumentale, il criterio di valutazione del percorso
didattico relativo all’insegnamento strumentale fornito dal decreto si basa
sull’accertamento di una competenza intesa come dominio, ai livelli
stabiliti, del sistema operativo del proprio strumento in funzione di una
corretta produzione dell’evento musicale rispetto ai suoi parametri
costitutivi: struttura frastica e metro-ritmica e struttura melodico-armonica
con le relative connotazioni agogico - dinamiche.
Gli strumenti metodologici proposti nelle Indicazioni generali, contenuti nel
paragrafo dedicato alle “Esemplificazioni metodologicheâ€, hanno un
valore prevalentemente indicativo nel rispetto dell’autonomia di
progettazione e programmazione delle singole scuole. Non poteva essere
diversamente, in verità , posto che le diverse caratteristiche organologiche
degli strumenti implicano una diversa progressione nell’acquisizione
delle tecniche specifiche, con tempi differenziati nella possibilità di accesso
diretto alle categorie musicali indicate negli orientamenti formativi. In
ragione di tale premessa la pratica della Musica d’insieme si pone come
strumento metodologico privilegiato in quanto l’evento musicale prodotto
da un insieme consente, da parte degli alunni, la partecipazione all’evento
stesso, anche a prescindere dal livello di competenza strumentale raggiunto.
Particolare attenzione va data alla pratica vocale adeguatamente curata a
livello del controllo della fonazione, sia come mezzo più immediato per la
partecipazione all’evento musicale e per la sua produzione, sia come
occasione per accedere alla conoscenza della notazione e della relativa teoria
al fine di acquisire dominio nel campo della lettura intonata. La competenza
ritmica, oltre ad essere assunta mediante il controllo dei procedimenti
articolatori propri dei vari strumenti, deve essere incrementata da una pratica
fonogestuale individuale e collettiva sostenuta dalla capacità di lettura. In
tale prospettiva metodologica la pratica del solfeggio viene declinata nella
più generale pratica musicale. Altra risorsa metodologicamente efficace
può essere l’apporto delle tecnologie elettroniche e multimediali. Lâ
€™adozione mirata e intellettualmente sorvegliata di strumenti messi a
disposizione dalle moderne tecnologie può costituire un incentivo a
sviluppare capacità creativo elaborative senza che queste vengano vincolate
al dominio tecnico di strumenti musicali che richiedono una avanzata
capacità di controllo.
L’ultimo paragrafo, “Strumenti musicali e indicazioni
programmaticheâ€, fa una elencazione delle specialità strumentali, previste
nello stesso decreto, e le relative indicazioni programmatiche. Nel paragrafo
ci si sofferma sulla necessità che il perseguimento degli obiettivi indicati si
articoli sia in attività individuali sia in attività collettive (piccoli gruppi,
musica d’insieme). La successione degli obiettivi verrà stabilita dagli
insegnanti in modo da determinare un percorso graduale che tenga conto
delle caratteristiche e delle potenzialità dei singoli alunni. Esercizi e studi
finalizzati all’acquisizione di specifiche abilità tecniche possono
rientrare nel percorso metodologico e didattico di ciascun insegnante che
terrà comunque conto delle innovazioni della didattica strumentale.
Successivamente, ritenuto necessario ridefinire la composizione delle cattedre
alla luce delle nuove classi di abilitazione all’insegnamento in coerenza
con i nuovi piani di studio della scuola secondaria di primo grado, con il
Decreto Ministeriale n. 37 del 26 marzo 2009 le classi di concorso a
cattedre, precedentemente fornite con la tabella A annessa al D.M. n. 30
gennaio 1998, n. 39184, venivano trasformate in classi di abilitazione
assumendo la denominazione indicata nell’allegato n. 1, annesso al
decreto stesso. Le nuove classi di abilitazione entreranno in vigore dallâ
€™anno scolastico 2009/2010.
Il quadro orario settimanale delle discipline della scuola secondaria di I
grado, definito tenendo conto dei nuovi piani di studio è così
determinato185:
(quadro orario e composizione delle cattedre nelle classi a tempo normale)
Discipline o gruppi di discipline I classe II classe III classe
Italiano, Storia, Geografia 9 9 9
Matematica e Scienze 6 6 6
Tecnologia 2 2 2
Inglese 3 3 3
Seconda lingua comunitaria 2 2 2
Arte e immagine 2 2 2
Scienze motoria e sportive 2 2 2
Musica 2 2 2
Religione cattolica 1 1 1
Attività di approfondimento in materie letterarie 1 1 1
Totale orario settimanale 30 30 30
Per quanto attiene ai corsi a indirizzo musicale il decreto stabilisce che essi si
svolgano oltre l’orario obbligatorio delle lezioni curriculari, sono regolati
dal D.M. 6 agosto 1999, n. 201, ed assicurano l’insegnamento di quattro
diversi strumenti musicali.
Tenendo conto del quadro orario settimanale delle discipline come sopra
definito, la composizione delle cattedre per gli insegnamenti della scuola
secondaria di I grado è così stabilita:
MATERIE O GRUPPI CONDIZIONI PER L’ISTITUZIONE DELLA
DI MATERIE CATTEDRA.
1) Italiano, storia e geografia Nove ore settimanali per classe - Una cattedra e nove ore per ogni
corso. Tre cattedre ogni due corsi. In fase residuale, per il
completamento della cattedra possono essere utilizzate le ore di
approfondimento in materie letterarie (18 ore settimanali).
2) Matematica e scienze Sei ore settimanali per classe – Una cattedra per ogni corso, ovvero
ogni tre classi (18 ore settimanali).
3) Tecnologia Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero
ogni nove classi (18 ore settimanali).
4) Lingua straniera inglese Tre ore settimanali per classe – Una cattedra ogni due corsi, ovvero
ogni sei classi (18 ore settimanali).
5) Seconda lingua comunitaria Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero
ogni nove classi (18 ore settimanali).
6) Arte e immagine Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero
ogni nove classi (18 ore settimanali).
7) Musica Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero
ogni nove classi (18 ore settimanali).
8) Scienze motorie e sportive Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero
ogni nove classi (18 ore settimanali).
9) Religione cattolica Un’ora settimanale di lezione per classe – una cattedra ogni 18
classi.
10) Approfondimenti Un’ora settimanale di approfondimento in materie letterarie - non
costituisce cattedra - Contribuisce alla formazione di cattedra interne
in fase residuale sia con classi a tempo normale che a tempo
prolungato.
11) Strumento musicale Sei ore settimanali per classe o gruppo di alunni per ognuno dei
quattro strumenti. Un posto per ogni corso (18 ore settimanali) per
ciascuno dei quattro strumenti. Con l’obbligo d’insegnamento
nelle classi di un corso completo.
Le istituzioni scolastiche, nell’esercizio dell’autonomia didattica e
organizzativa prevista dal D.P.R. 275/1999, organizzano le attivitÃ
educative e didattiche e decidono, ogni anno, sulla base delle apposite analisi
dei bisogni formativi, l’integrazione, la distribuzione e i tempi delle
discipline e delle attività .
Quadro orario e composizione delle cattedre nelle classi a tempo
prolungato sono normati nell’art. 3 del decreto. Le classi a tempo
prolungato sono autorizzate nei limiti della dotazione organica assegnata a
ciascuna provincia e tenendo conto delle esigenze formative globalmente
accertate. L’orario settimanale è definito in 36 ore, eccezionalmente
elevabili fino a 40, previa autorizzazione dell’Ufficio scolastico
regionale, comprensive delle ore destinate agli insegnamenti, alle attività e
al tempo dedicato alla mensa. Il decreto dispone che qualora non siano
disponibili servizi e strutture per lo svolgimento obbligatorio di attività in
fasce orarie pomeridiane per almeno due pomeriggi e né sia previsto il
funzionamento di un corso intero a tempo prolungato, le classi funzionanti a
tempo prolungato sono ricondotte all’orario nomale.
Il quadro orario settimanale delle attività e delle discipline delle classi a
tempo prolungato della scuola secondaria di I grado, definito tenendo conto
dei nuovi piani di studio è così determinato:
Discipline o gruppi di discipline I classe II classe III classe
Italiano, Storia, Geografia 15 15 15
Matematica e Scienze 9 9 9
Tecnologia 2 2 2
Inglese 3 3 3
Seconda lingua comunitaria 2 2 2
Arte e immagine 2 2 2
Scienze motoria e sportive 2 2 2
Musica 2 2 2
Religione cattolica 1 1 1
Approfondimento di discipline a scelta delle 1/2 1/2 1/2
scuole
Totale orario settimanale 39/40 39/40 39/40
Tenendo conto del quadro orario settimanale delle discipline come sopra
definito, la composizione delle cattedre delle classi a tempo prolungato della
scuola secondaria di I grado è così stabilita:
MATERIE O GRUPPI DI CONDIZIONI PER L’ISTITUZIONE DELLA CATTEDRA.
MATERIE
1) Italiano, storia e geografia Quindici ore settimanali per classe. Cinque cattedre ogni due corsi. (due
cattedre 15+3 – 2 cattedre 12+6 – 1 cattedra 9+9). In fase residuale, per il
completamento delle cattedre possono essere utilizzate le ore di
approfondimento in materie letterarie, a scelta delle scuole del tempo
prolungato, spezzoni orario del tempo normale (18 ore settimanali), anche di
altre scuole.
2) Matematica e scienze Nove ore settimanali per classe – Una cattedra per ogni due classi del corso
(18 ore settimanali).
3) Tecnologia Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
4) Lingua straniera inglese Tre ore settimanali per classe – Una cattedra ogni due corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
5) Seconda lingua comunitaria Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
6) Arte e immagine Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
7) Musica Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
8) Scienze motorie e sportive Due ore settimanali per classe – Una cattedra ogni tre corsi, ovvero ogni
nove classi (18 ore settimanali).
9) Religione cattolica Un’ora settimanale di lezione per classe – una cattedra ogni 18 classi.
10) Approfondimenti Una o due ore settimanali di approfondimento su discipline scelte dalle scuole
- non costituisce cattedra - Contribuiscono alla costituzione di cattedre interne
e/o esterne all’istituzione scolastica, già in organico di diritto.
Come disposto per le classi a tempo normale, anche per quelle a tempo
prolungato, le istituzioni scolastiche, nell’esercizio dell’autonomia
didattica e organizzativa, organizzano le attività educative e didattiche e
decidono, ogni anno, sulla base delle apposite analisi dei bisogni formativi, lâ
€™integrazione, la distribuzione e i tempi delle discipline e delle attività . Il
monte ore è comprensivo delle ore destinate alle attività previste dal PTOF
della scuola, nonché delle ore destinate alla mensa.
Al decreto sono annessi due allegati:
> l’allegato 1 presenta l’elenco delle classi di abilitazione nella scuola
secondaria di I grado (con Musica 32/A);
> l’allegato 2 indica la corrispondenza tra il pregresso e il vigente
ordinamento. In quest’ultimo allegato si riporta la dicitura Musica e non
più Educazione musicale. Musica conserva la medesima classe di
abilitazione.

5.2.12 Le Indicazioni nazionali del 2012 nella


secondaria di I grado
La disamina che segue delle Indicazioni nazionali del 2012, la cui evoluzione
è più dettagliatamente argomentata nel paragrafo dedicato alla musica
nella scuola primaria, permette di comprendere la declinazione didattico-
programmatica della materia musica nel panorama scolastico italiano.
Le nuove Indicazioni nazionali del 2012 furono emanate con Decreto 16
novembre 2012, n. 254186. Il decreto abrogava, sostituendole, le Indicazioni
nazionali per i piani di studio personalizzati di cui agli allegati A, B, C e D
del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e le successive Indicazioni per
il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione
di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 31 luglio 2007. Dava
disposizione alle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione
affinchè procedessero, a partire dall’anno scolastico 2012-2013, allâ
€™elaborazione dell’offerta formativa avendo a riferimento le nuove
Indicazioni nazionali. Stabiliva inoltre che l’editoria scolastica adeguasse
i contenuti dei libri di testo destinati alle scuole del primo ciclo alle nuove
Indicazioni nazionali, a partire dalle adozioni per l’anno scolastico 2014-
2015. Argomentando della scuola nel nuovo scenario, le Indicazioni, nel
rappresentare una attenuazione della capacità adulta di presidio delle regole
e del senso del limite, prospettano una scuola investita da una domanda che
comprende, insieme, l’apprendimento e «il saper stare al mondo». E
per potere assolvere al meglio alle sue funzioni istituzionali, la scuola è da
tempo chiamata a occuparsi anche di altre delicate dimensioni dellâ
€™educazione. L’intesa tra adulti non eÌ€ più scontata e implica la
faticosa costruzione di un’interazione tra le famiglie e la scuola, cui
tocca, ciascuna con il proprio ruolo, esplicitare e condividere i comuni intenti
educativi. Come sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, la piena
attuazione del riconoscimento e della garanzia della libertà e dellâ
€™uguaglianza richiede oggi l’impegno dei docenti e di tutti gli operatori
della scuola, con particolare attenzione alle disabilità e ad ogni fragilità . A
tal fine è altresì richiesta la collaborazione delle formazioni sociali in una
nuova dimensione di integrazione fra scuola e territorio, per far sì che
ognuno possa «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e
spirituale della società » (articolo 4 della Costituzione).
La struttura di presentazione delle Indicazioni è articolata in “Cultura
Scuola Personaâ€, “Finalità generali†e “Organizzazione del
Curricolo†come parte comune generale; poi si va nello specifico della â
€œScuola dell’infanzia†e “Scuola del primo cicloâ€.
CULTURA SCUOLA PERSONA
La scuola nel nuovo scenario
Centralità della persona
Per una nuova cittadinanza
Per un nuovo umanesimo
FINALITA’ GENERALI
Scuola, Costituzione, Europa
Profilo dello studente
L’ORGANIZZAZIONE DEL CURRICOLO
Dalle Indicazioni al curricolo
Aree disciplinari e discipline
Continuità ed unitarietà del curricolo
Traguardi per lo sviluppo delle competenze
Obiettivi di apprendimento
Valutazione
Certificazione delle competenze
Una scuola di tutti e di ciascuno
Comunità educativa, comunità professionale, cittadinanza
LA SCUOLA DELL’INFANZIA
I bambini, le famiglie, i docenti, l’ambiente di apprendimento
I campi di esperienza
Il sé e l’altro
Il corpo e il movimento
Immagini, suoni, colori
I discorsi e le parole
La conoscenza del mondo
Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria
LA SCUOLA DEL PRIMO CICLO
Il senso dell’esperienza educativa
L’alfabetizzazione culturale di base
Cittadinanza e Costituzione
L’ambiente di apprendimento
Italiano
Lingua inglese e seconda lingua comunitaria
Storia
Geografia
Matematica
Scienze
Musica
Arte e immagine
Educazione fisica
Tecnologia
CULTURA SCUOLA PERSONA
La scuola nel nuovo scenario
L’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo
sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare
saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa
affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari
sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni standardizzate e
normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per
individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata
a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni
personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari
della personalità di ognuno. La scuola realizza appieno la propria funzione
pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di
tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme
di diversità , di disabilità o di svantaggio.
Centralità della persona
Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti:
cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In
questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti
educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui
e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di
orizzonti di significato. Particolare cura è necessario dedicare alla
formazione della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi
fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti in- dotti dalla
socializzazione. La scuola si deve costruire come luogo accogliente,
coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi. Sono, infatti, importanti le
condizioni che favoriscono lo star bene a scuola, al fine di ottenere la
partecipazione più ampia dei bambini e degli adolescenti a un progetto
educativo condiviso.
Per una nuova cittadinanza
Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito
oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei
quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il
loro ruolo educativo. L’obiettivo non è di accompagnare passo dopo
passo lo studente nella quotidianità di tutte le sue esperienze, bensì di
proporre un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde,
quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori
che orientano la società in cui vive. La scuola perseguirà costantemente lâ
€™obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i genitori. Non si
tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti
che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle
comuni finalità educative. La scuola si apre alle famiglie e al territorio
circostante facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia
scolastica, che prima di essere un insieme di norme è un modo di concepire
il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali.
L’acquisizione dell’autonomia rappresenta un momento decisivo per
le istituzioni scolastiche. In quanto comunità educante, la scuola genera una
diffusa convivialità relazionale intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi e
affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello «dellâ
€™insegnare a essere». L’obiettivo eÌ€ quello di valorizzare lâ
€™unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La
promozione e lo sviluppo di ogni persona stimolano in maniera vicendevole
la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella
relazione con gli altri.
Per un nuovo umanesimo
La sezione relativa al “nuovo umanesimo†sottolinea come tutto ciò che
accade nel mondo influenza la vita di ogni persona; di converso, ogni persona
tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti
del futuro dell’umanità . La scuola può e deve educare a questa
consapevolezza e a questa responsabilità i bambini e gli adolescenti, in tutte
le fasi della loro formazione. A questo scopo il bisogno di conoscenze degli
studenti non si soddisfa con il semplice accumulo di tante informazioni in
vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari e,
contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici
connessioni. EÌ€ quindi decisiva una nuova alleanza fra scienza, storia,
discipline umanistiche, arti e tecnologia. In tale prospettiva, la scuola potrÃ
perseguire alcuni obiettivi, oggi prioritari:

insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza – lâ


€™universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità , la società , il
corpo, la mente, la storia – in una prospettiva complessa, volta cioè
a superare la frammentazione delle discipline e a integrarle in nuovi
quadri d’insieme;
promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo: la capacità di
cogliere gli aspetti essenziali dei problemi; la capacità di
comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli inediti
sviluppi delle scienze e delle tecnologie; la capacità di valutare i
limiti e le possibilità delle conoscenze; la capacità di vivere e di
agire in un mondo in continuo cambiamento;
diffondere la consapevolezza che i grandi problemi dell’attuale
condizione umana (il degrado ambientale, il caos climatico, le crisi
energetiche, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e la
malattia, l’incontro e il confronto di culture e di religioni, i dilemmi
bioetici, la ricerca di una nuova qualità della vita) possono essere
affrontati e risolti attraverso una stretta collaborazione non solo fra le
nazioni, ma anche fra le discipline e fra le culture.

Finalità generali
Le Indicazioni nazionali proseguono con le “Finalità generali e con lâ
€™Organizzazione del curricolo†delle quali si offre qui una visione dâ
€™insieme.
La finalità generale della scuola è lo sviluppo armonico e integrale della
persona, all’interno dei principi della Costituzione italiana e della
tradizione culturale europea. La scuola italiana, statale e paritaria, svolge lâ
€™insostituibile funzione pubblica assegnatale dalla Costituzione della
Repubblica, per la formazione di ogni persona e la crescita civile e sociale del
Paese. Assicura a tutti i cittadini l’istruzione obbligatoria di almeno otto
anni (articolo 34), elevati ora a dieci. Contribuisce a rimuovere «gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertaÌ€ e lâ
€™eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori allâ
€™organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (articolo 3). Lâ
€™ordinamento scolastico tutela la libertaÌ€ di insegnamento (articolo 33) ed
è centrato sull’autonomia funzionale delle scuole (articolo 117). Le
scuole sono chiamate a elaborare il proprio curricolo esercitando così una
parte decisiva dell’autonomia che la Repubblica attribuisce loro. Con le
Indicazioni nazionali s’intendono fissare gli obiettivi generali, gli
obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle
competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di
esperienza. Per l’insegnamento della Religione Cattolica, disciplinata
dagli accordi concordatari, i traguardi di sviluppo delle competenze e gli
obiettivi di apprendimento sono definiti d’intesa con l’autoritÃ
ecclesiastica (decreto del Presidente della Repubblica dell’11 febbraio
2010). Il sistema scolastico italiano assume come orizzonte di riferimento
verso cui tendere il quadro delle competenze-chiave per l’apprendimento
permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione
europea (Raccomandazione del 18 dicembre 2006) che sono: 1)
comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3)
competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4)
competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche;
7) spirito di iniziativa e imprenditorialità ; 8) consapevolezza ed espressione
culturale187. Queste sono il punto di arrivo odierno di un vasto confronto
scientifico e culturale sulle competenze utili per la vita al quale l’Italia ha
attivamente partecipato. La scuola italiana ha imparato a riconoscere e a
valorizzare apprendimenti diffusi che avvengono fuori dalle sue mura, nei
molteplici ambienti di vita in cui i bambini e i ragazzi crescono e attraverso
nuovi media, in costante evoluzione, ai quali essi pure partecipano in modi
diversificati e creativi. La generalizzazione degli istituti comprensivi, che
riuniscono scuola d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, crea
le condizioni perché si affermi una scuola unitaria di base che prenda in
carico i bambini dall’età di tre anni e li guidi fino al termine del primo
ciclo di istruzione e che sia capace di riportare i molti apprendimenti che il
mondo oggi offre entro un unico percorso strutturante.
Il profilo che segue descrive, in forma essenziale, le competenze riferite alle
discipline di insegnamento e al pieno esercizio della cittadinanza che un
ragazzo deve mostrare di possedere al termine del primo ciclo di istruzione. Il
conseguimento delle competenze delineate nel profilo costituisce lâ
€™obiettivo generale del sistema educativo e formativo italiano.
Profilo delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione
Lo studente al termine del primo ciclo, attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le
esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità , è in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con
responsabilità le situazioni di vita tipiche della propria età , riflettendo ed esprimendo la propria personalità in
tutte le sue dimensioni. Ha consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, utilizza gli strumenti di
conoscenza per comprendere sé stesso e gli altri, per riconoscere ed apprezzare le diverse identità , le tradizioni
culturali e religiose, in un’ottica di dialogo e di rispetto reciproco. Interpreta i sistemi simbolici e culturali della
società , orienta le proprie scelte in modo consapevole, rispetta le regole condivise, collabora con gli altri per la
costruzione del bene comune esprimendo le proprie personali opinioni e sensibilità . Si impegna per portare a
compimento il lavoro iniziato da solo o insieme ad altri. Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da
consentirgli di comprendere enunciati e testi di una certa complessità , di esprimere le proprie idee, di adottare un
registro linguistico appropriato alle diverse situazioni. Nell’incontro con persone di diverse nazionalità è in
grado di esprimersi a livello elementare in lingua inglese e di affrontare una comunicazione essenziale, in semplici
situazioni di vita quotidiana, in una seconda lingua europea. Utilizza la lingua inglese nell’uso delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Le sue conoscenze matematiche e scientifico-tecnologiche gli
consentono di analizzare dati e fatti della realtà e di verificare l’attendibilità delle analisi quantitative e
statistiche proposte da altri. Il possesso di un pensiero razionale gli consente di affrontare problemi e situazioni sulla
base di elementi certi e di avere consapevolezza dei
limiti delle affermazioni che riguardano questioni complesse che non si prestano a spiegazioni univoche. Si orienta
nello spazio e nel tempo dando espressione a curiosità e ricerca di senso; osserva ed interpreta ambienti, fatti,
fenomeni e produzioni artistiche. Ha buone competenze digitali, usa con consapevolezza le tecnologie della
comunicazione per ricercare e analizzare dati ed informazioni, per distinguere informazioni attendibili da quelle che
necessitano di approfondimento, di controllo e di verifica e per interagire con soggetti diversi nel mondo. Possiede un
patrimonio di conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di procurarsi velocemente
nuove informazioni ed impegnarsi in nuovi apprendimenti anche in modo di un sano e corretto stile di vita. Assimila
il senso e la necessità del rispetto della convivenza civile. Ha attenzione per le funzioni pubbliche alle quali
partecipa nelle diverse forme in cui questo può avvenire: momenti educativi informali e non formali, esposizione
pubblica del proprio lavoro, occasioni rituali nelle comunità che frequenta, azioni di solidarietà , manifestazioni
sportive non agonistiche, volontariato, ecc. Dimostra originalità e spirito di iniziativa. Si assume le proprie
responsabilità e chiede aiuto quando si trova in difficoltà e sa fornire aiuto a chi lo chiede. In relazione alle proprie
potenzialità e al proprio talento si impegna in campi espressivi, motori ed artistici che gli sono congeniali. È
disposto ad analizzare sé stesso e a misurarsi con le novità e gli imprevisti.
Per ciò che attiene all’organizzazione del curricolo, le Indicazioni
costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata
alle scuole. Il curricolo di istituto è espressione della libertà dâ
€™insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita
le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto. La
costruzione del curricolo è il processo attraverso il quale si sviluppano e
organizzano la ricerca e l’innovazione educativa. Fin dalla scuola dellâ
€™infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado lâ
€™attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di
ciascun alunno e non ad una sequenza lineare, e necessariamente incompleta,
di contenuti disciplinari. Storicamente le discipline sono state separate lâ
€™una dall’altra da confini convenzionali che non hanno alcun riscontro
con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento. A tal proposito,
nelle Indicazioni le discipline non sono aggregate in aree precostituite per
non favorire un’affinità più intensa tra alcune rispetto ad altre. Sul
piano organizzativo e didattico la definizione di aree o di asse funzionali allâ
€™ottimale utilizzazione delle risorse è comunque rimessa allâ
€™autonoma valutazione di ogni scuola. Al termine della scuola dellâ
€™infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado,
vengono fissati i traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi ai campi
di esperienza ed alle discipline. Essi rappresentano dei riferimenti ineludibili
per gli insegnanti, indicano piste culturali e didattiche da percorrere e aiutano
a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’allievo.
Nella scuola del primo ciclo i traguardi costituiscono criteri per la valutazione
delle competenze attese e, nella loro scansione temporale, sono prescrittivi,
impegnando così le istituzioni scolastiche affinchè ogni alunno possa
conseguirli, a garanzia dell’unità del sistema nazionale e della qualitÃ
del servizio. Gli obiettivi di apprendimento individuano campi del sapere,
conoscenze e abilità ritenuti indispensabili al fine di raggiungere i traguardi
per lo sviluppo delle competenze. Agli insegnanti competono la
responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la
scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi
collegiali.
Le Indicazioni entrano poi nello specifico della scuola dell’infanzia e
della scuola del primo ciclo. La prima si rivolge a tutte le bambine e i
bambini dai tre ai sei anni di età ed è la risposta al loro diritto allâ
€™educazione e alla cura; la scuola del primo ciclo d’istruzione
comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado. La
finalità del primo ciclo è l’acquisizione delle conoscenze e delle
abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella
prospettiva del pieno sviluppo della persona. Per realizzare tale finalità la
scuola concorre con altre istituzioni alla rimozione di ogni ostacolo alla
frequenza; cura l’accesso facilitato per gli alunni con disabilità ; previene
l’evasione dell’obbligo scolastico e contrasta la dispersione; valorizza
il talento e le inclinazioni di ciascuno, persegue con ogni mezzo il
miglioramento della qualità del sistema di istruzione. La musica, quale
componente fondamentale e universale dell’esperienza umana, offre uno
spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di
cooperazione e socializzazione e all’acquisizione di strumenti di
conoscenza. Le Indicazioni individuano nel canto, nella pratica degli
strumenti musicali e nell’ascolto il veicolo per la promozione dellâ
€™integrazione delle componenti percettivo-motorie, cognitive e affettivo-
sociali della personalità . Mediante la funzione cognitivo-culturale gli alunni
esercitano la capacità di rappresentazione simbolica della realtà ,
sviluppano un pensiero flessibile, intuitivo, creativo e partecipano al
patrimonio di diverse culture musicali. L’apprendimento della musica
consta di pratiche e di conoscenze, e nella scuola si articola su due
dimensioni:
a) produzione, mediante l’azione diretta (esplorativa, compositiva,
esecutiva) con e sui materiali sonori, in particolare attraverso l’attivitÃ
corale e di musica d’insieme;
b) fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di
significati personali, sociali e culturali, relativamente a fatti, eventi, opere
del presente e del passato.
In quanto mezzo di espressione e di comunicazione, la musica interagisce
costantemente con le altre arti ed è aperta agli scambi e alle interazioni con i
vari ambiti del sapere.
Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado (*)
L’alunno partecipa in modo attivo alla realizzazione di esperienze musicali attraverso l’esecuzione e lâ
€™interpretazione di brani musicali e vocali appartenenti a generi e culture differenti.
Usa diversi sistemi di notazione funzionali alla lettura, all’analisi e alla produzione di brani musicali.
È in grado di ideare e realizzare, anche attraverso l’improvvisazione o partecipando a processi di elaborazione
collettiva, messaggi musicali e multimediali, nel confronto critico con modelli appartenenti al patrimonio musicale,
utilizzando anche sistemi informatici.
Comprende e valuta eventi, materiali, opere musicali riconoscendone i significati, anche in relazione alla prima
esperienza musicale e ai diversi contesti storico-culturali.
Integra con altri saperi e altre pratiche artistiche le proprie esperienze musicali, servendosi anche di appropriati codici
e sistemi di codifica.
(*) per il quadro delle competenze specifiche connesse allo studio dello strumento musicale, si rinvia
alle specifiche norme di settore.
Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado

Eseguire in modo espressivo, collettivamente e individualmente, brani vocali e strumentali di diversi generi
e stili, anche avvalendosi di strumentazioni elettroniche.
Improvvisare, rielaborare, comporre brani musicali vocali e strumentali, utilizzando sia strutture aperte, sia
semplici schemi ritmico-melodici.
Riconoscere e classificare anche stilisticamente i più importanti elementi costitutivi del linguaggio
musicale.
Conoscere, descrivere e interpretare in modo critico opere d’arte musicali e progettare/realizzare eventi
sonori che integrino altre forme artistiche, quali danza, teatro, arti visive e multimediali.
Decodificare e utilizzare la notazione tradizionale e altri sistemi di scrittura.
Orientare la costruzione della propria identità musicale, ampliarne l’orizzonte valorizzando le proprie
esperienze, il percorso svolto e le opportunità offerte dal contesto.
Accedere alle risorse musicali presenti in rete e utilizzare software specifici per elaborazioni sonore e
musicali.

Dopo cinque anni dall’emanazione delle Indicazioni Nazionali per il


curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione,
formalizzate con D.M. n. 254 del 13 novembre 2012, si è sentita lâ
€™esigenza di rilanciare il testo dando maggiore centralità al tema della
cittadinanza, punto di riferimento di tutte le discipline che concorrono a
definire il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione in una prospettiva verticale.
Il testo programmatico del 2012, che mantiene intatto il suo valore culturale,
pedagogico e giuridico, richiedeva ulteriori attenzioni e approfondimenti
affidati alla ricerca e alla elaborazione curricolare delle scuole e degli
insegnanti. Era necessario dare una ancor più concreta risposta allâ
€™istanza, già presente nelle Indicazioni nazionali, quando affermano che
è “decisiva una nuova alleanza fra scienze, storia, discipline
umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un
nuovo umanesimoâ€.
Il Consiglio d’Europa, in particolare con il documento pubblicato nel
2016 “Competences for democratic culture. Living together as equals in
culturally diverse democratic societies†indica le competenze, abilità e
conoscenze che le persone dovrebbero sviluppare nel corso della formazione
di base per consentire una corretta convivenza democratica. Sono indicazioni
del tutto coerenti con la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del
Consiglio dell’UE del 18.12.2006, che presenta le otto competenze
chiave per l’apprendimento permanente, assunte nelle Indicazioni
Nazionali come “orizzonte di riferimento†e finalità generale del
processo di istruzione:
“Nell’ambito del costante processo di elaborazione e verifica dei
propri obiettivi e nell’attento confronto con gli altri sistemi scolastici
europei, le Indicazioni nazionali intendono promuovere e consolidare le
competenze culturali basilari e irrinunciabili tese a sviluppare
progressivamente, nel corso della vita, le competenze-chiave europeeâ€.
Da quest’opera di revisione è scaturito il documento “Indicazioni
nazionali e nuovi scenariâ€, del febbraio 2018. Le nuove Indicazioni 2018
collocano la musica al capitolo delle “Arti per la cittadinanza†nel quale
è esplicitato che le discipline artistiche sono fondamentali per lo sviluppo
armonioso della personalità e per la formazione di una persona e di un
cittadino capace di esprimersi con modalità diverse, di fruire in modo
consapevole dei beni artistici, ambientali e culturali. Già il testo delle
Indicazioni 2012, ad esempio, richiamava il valore della musica e delle arti
per lo sviluppo integrale della persona e per la consapevolezza ed espressione
culturale.
(...) “La musica, componente fondamentale e universale dellâ
€™esperienza umana, offre uno spazio simbolico e relazionale propizio allâ
€™attivazione di processi di cooperazione e socializzazione, allâ
€™acquisizione di strumenti di conoscenza, alla valorizzazione della
creatività e della partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza a
una comunità , nonché all’interazione fra culture diverseâ€(...).
(...) “La familiarità con immagini di qualità ed opere d’arte
sensibilizza e potenzia nell’alunno le capacità creative, estetiche ed
espressive, rafforza la preparazione culturale e contribuisce ad educarlo a
una cittadinanza attiva e responsabile. In questo modo l’alunno si educa
alla salvaguardia e alla conservazione del patrimonio artistico e ambientale
a partire dal territorio di appartenenza. La familiarità con i linguaggi
artistici, di tutte le arti, che sono universali, permette di sviluppare relazioni
interculturali basate sulla comunicazione, la conoscenza e il confronto tra
culture diverseâ€.
Nel merito della produzione normativa di valorizzazione del patrimonio
musicale, una particolare attenzione merita la legge 107/2015, che, con lâ
€™art. 1, c. 180, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi
al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione
delle disposizioni legislative in materia di istruzione, anche in coordinamento
con le disposizioni della stessa legge. Il comma 181, elenca i princìpi
generali per l’esercizio della delega. Alla lettera g), il comma 181 tratta
della promozione e diffusione della cultura umanistica, valorizzazione del
patrimonio e della produzione culturali, musicali, teatrali, coreutici e
cinematografici e sostegno della creatività connessa alla sfera estetica. Tale
promozione è realizzata attraverso l’accesso alla formazione artistica
mediante:
1.1) il potenziamento della formazione nel settore delle arti nel curricolo
delle scuole di ogni ordine e grado, compresa la prima infanzia, nonchè la
realizzazione di un sistema formativo della professionalità degli educatori e
dei docenti in possesso di specifiche abilitazioni e di specifiche competenze
artistico-musicali e didattico- metodologiche;
1.2) l’attivazione, da parte di scuole o reti di scuole di ogni ordine e
grado, di accordi e collaborazioni anche con soggetti terzi, accreditati dal
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dal
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ovvero dalle regioni
o dalle province autonome di Trento e di Bolzano anche mediante accordi
quadro tra le istituzioni interessate;
1.3) il potenziamento e il coordinamento dell’offerta formativa
extrascolastica e integrata negli ambiti artistico, musicale, coreutico e
teatrale anche in funzione dell’educazione permanente.
Ulteriori criteri sanciti alla lettera g), comma 181, riguardano il riequilibrio
territoriale e il potenziamento delle scuole secondarie di primo grado a
indirizzo musicale; norme di rafforzamento delle arti nell’offerta
formativa delle scuole secondarie di secondo grado e il potenziamento dei
licei musicali; l’armonizzazione dei percorsi formativi di tutta la filiera
del settore artistico-musicale; l’incentivazione delle sinergie tra i
linguaggi artistici e le nuove tecnologie. In ultimo vengono fornite
indicazioni su promozione degli scambi e collaborazioni artistico-musicali tra
le diverse istituzioni formative finalizzati alla valorizzazione di giovani
talenti.
In applicazione della delega disposta dall’art. 1, commi 180 e 181, lettera
g), della legge n. 107/2015, veniva approvato il decreto legislativo n. 60 del
13 aprile 2017 188, che detta norme sulla promozione della cultura
umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali,
musicali, teatrali, coreutici e cinematografici e sostegno della creativitÃ
connessa alla sfera estetica. Il decreto stabilisce che la cultura umanistica e il
sapere artistico sono garantiti alle alunne e agli alunni, alle studentesse e
agli studenti al fine di riconoscere la centralità dell’uomo. A tal fine, le
istituzioni scolastiche, nell’ambito della propria autonomia prevedono,
nel Piano triennale dell’offerta formativa, attività teoriche e pratiche di
studio, approfondimento, produzione, fruizione e scambio, in ambito
artistico, musicale, teatrale, cinematografico, coreutico, architettonico,
paesaggistico, linguistico, filosofico, storico, archeologico, storico-artistico,
demoetno-antropologico, artigianale, a livello nazionale e internazionale. Il
decreto sancisce inoltre che la progettazione delle istituzioni scolastiche si
realizza nell’ambito delle componenti del curricolo, anche verticale,
denominate «temi della creatività », che riguardano le seguenti aree:
a) musicale-coreutico, tramite la conoscenza storico-critica della musica, la
pratica musicale, nella più ampia accezione della pratica dello strumento e
del canto, la danza e tramite la fruizione consapevole delle suddette arti;
b) teatrale-performativo, tramite la conoscenza storico-critica e la pratica
dell’arte teatrale o cinematografica o di altre forme di spettacolo
artistico-performativo e tra- mite la fruizione consapevole delle suddette
arti;
c) artistico-visivo, tramite la conoscenza della storia dell’arte e la pratica
della pittura, della scultura, della grafica, delle arti decorative, del design o
di altre forme espressive, anche connesse con l’artigianato artistico e
con le produzioni creative italiane di qualità e tramite la fruizione
consapevole delle espressioni artistiche e visive;
d) linguistico-creativo, tramite il rafforzamento delle competenze logico-
linguistiche e argomentative e la conoscenza e la pratica della scrittura
creativa, della poesia e di altre forme simili di espressione, della lingua
italiana, delle sue radici classiche, delle lingue e dei dialetti parlati in Italia.
L’art. 10 è dedicato alla “Promozione della pratica artistica e
musicale nella scuola secondaria di primo gradoâ€. Allo sviluppo di tale
promozione artistica sono destinati sia i docenti facenti parte dellâ
€™organico dell’autonomia, sia il cinque per cento del contingente dei
posti per il potenziamento dell’offerta formativa nell’ambito della
dotazione organica di cui all’articolo 1, comma 68, della legge n. 107 del
2015 (ovvero organico di diritto e i posti per il potenziamento). L’articolo
dispone che nella scuola secondaria di primo grado le attività connesse ai
temi della creatività si realizzano in continuità con i percorsi di
apprendimento della scuola primaria, attraverso pratiche laboratoriali, anche
trasversali alle discipline. Dispone inoltre che l’apprendimento della
musica e delle arti si consolida attraverso il potenziamento della pratica
artistica e musicale, mediante esperienze concrete, integrate con visite del
patrimonio culturale svolte in collaborazione con i soggetti di cui allâ
€™articolo 4189.
Con l’art. 12 viene sancito che ogni istituzione scolastica secondaria di
primo grado può attivare, nell’ambito delle ordinarie sezioni, percorsi a
indirizzo musicale, prioritariamente per gruppi di studentesse e studenti, in
coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa, utilizzando le
risorse del contingente dei posti attualmente già destinati ai corsi a indirizzo
musicale e l’organico del potenziamento. Il comma 3 dell’art. 12
prevede che, con apposito decreto, vengano definiti:
a) le indicazioni nazionali per l’inserimento dell’insegnamento dello
strumento musicale, in coerenza con le indicazioni relative allâ
€™insegnamento della disciplina della musica, tenuto anche conto delle
competenze richieste per l’accesso ai licei musicali;
b) gli orari;
c) i criteri per il monitoraggio dei percorsi a indirizzo musicale.
A tal riguardo, nell’attesa che tale decreto venga pubblicato, si rileva che
l’inerzia del legislatore ha generato un limite all’attuazione pratica di
quanto da esso previsto astrattamente, che si traduce nella sottrazione di un
diritto che rende difficoltosa la promozione della pratica musicale nel
contesto didattico-programmatico della scuola secondaria di primo grado.

5.2.13 Modalità di costituzione delle classi ad


indirizzo musicale della scuola secondaria di I grado
Per quanto attiene alle modalità di costituzione delle classi a indirizzo
musicale della scuola secondaria di I grado, l’Ufficio Scolastico
Regionale per il Piemonte, con nota 697/c.17a del 30/01/2015, poneva un
quesito al Direttore Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione
del sistema nazionale d’istruzione del Miur. La richiesta, avente ad
oggetto un quesito relativo alla costituzione dei corsi delle Scuole secondarie
di I grado ad indirizzo musicale di cui al D.M. 6/8/1999, n. 201 (ex
SMIM)190, entrava nel merito della difformità di interpretazione della
disciplina legislativa vigente in ordine alla costituzione/prosecuzione di corsi
di Scuole secondarie di I grado ad indirizzo musicale.
Il Dirigente segnalava che la normativa che ha ricondotto a ordinamento i
corsi sperimentali ad indirizzo musicale lascia ben pochi margini di
autonomia su questo aspetto: il D.M. 201/1999 parla sempre di “corsi†ad
indirizzo musicale. In alcune SMIM, infatti, vengono spesso sparpagliati su
più corsi quegli alunni che invece, nella gran parte delle sedi SMIM
funzionanti nella regione Piemonte, vengono inseriti insieme nella stessa
classe. Tale difformità di procedura viene descritta anche a pagina 4 della
C.M. n. 101 del 30/12/2010 la quale non si limita a prenderne atto, ma
sembra riconoscerne la piena legittimità , come manifestazione dellâ
€™autonomia riconosciuta alle Istituzioni scolastiche191. La stessa modalitÃ
è ripresa nella C.M. n. 4/2010 (sulle iscrizioni) nella quale viene fatto
riferimento a corsi i cui allievi sono suddivisi ed assegnati a più classi. Pare
utile anche sottolineare che la prassi sopra descritta rende molto difficile in
concreto organizzare la pratica della musica d’insieme, che invece il
D.M. 201/1999 indica come lo “strumento metodologico privilegiatoâ€
dell’insegnamento di strumento (paragrafo 6 dell’allegato A). È
chiaro che solo su una classe completa di musicisti diventa possibile
coordinare tutta una serie di operazioni organizzative di gestione delle
attività previste e ottimizzare tempi e risorse, tutelando così risultati
qualitativamente migliori e lo svolgimento ottimale dei corsi. In
considerazione del fatto che da confronti svolti con altri USR la problematica
riferita sopra risulta ampiamente diffusa, si richiede di fornire indicazioni
utili ad una corretta interpretazione del dettato del D.M. 201/1999, al fine di
ispirare prassi più congrue ed omogenee da parte delle SMIM relativamente
all’inserimento degli alunni di strumento musicale nella “classe
musicale†a seguito del superamento delle prove orientativo-attitudinali
previste192.
In risposta al quesito dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, la
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema
nazionale di istruzione rispondeva con nota 0001391 del 18/02/2015 avente
ad Oggetto: quesito relativo alla costituzione dei corsi delle Scuole
secondarie di I grado ad indirizzo musicale di cui al D.M. 6/8/1999, n. 201
(ex SMIM)193.
La Direzione Generale concorda nell’evidenziare che la prassi di
costituire sezioni ad indirizzo musicale della scuola secondaria di primo
grado sparpagliando gli iscritti su più corsi, risulta difforme dalla normativa
vigente in materia. A riguardo si ricorda che, ai sensi del D.P.R. n.
89/2009194, i corsi ad indirizzo musicale sono regolati dal D.M. 6 agosto
1999, n. 201, e in particolare, tale decreto all’art. 2 prevede che le classi
in cui viene impartito l’insegnamento di strumento musicale sono
formate secondo i criteri generali dettati per la formazione delle classi,
previa apposita prova orientativo attitudinale predisposta dalla scuola per
gli alunni che all’atto dell’iscrizione abbiano manifestato la volontÃ
di frequentare i corsi di cui all’art. 1. Gli alunni di ciascuna classe
vengono ripartiti in quattro gruppi per l’insegnamento di quattro e
diversi strumenti musicali. La normativa fa, dunque, costante riferimento a
classi ad indirizzo musicale che possiedono una propria specificità sotto
diversi profili. La nota 0001391, nel prosieguo, fa riferimento al D.M. n.
37/2009 nel quale vengono indicate le condizioni per l’istituzione della
cattedra di strumento musicale (nella scuola secondaria di primo grado –
classe di concorso 77/A): “sei ore settimanali per classe o gruppo di
alunni per ognuno dei quattro strumenti. Un posto per ogni corso (18 ore
settimanali) per ciascuno dei quattro strumenti. Con l’obbligo dâ
€™insegnamento nelle classi di un corso completoâ€. È evidente che
distribuire gli alunni che hanno superato l’apposita prova orientativo
attitudinale in sezioni ordinarie, oltre a snaturare l’identità delle classi
ad indirizzo musicale, rende difficoltosa l’organizzazione concreta delle
attività (in particolare la pratica strumentale d’insieme) comportando
una dispersione delle risorse professionali. In chiusa di nota si fa espressa
raccomandazione che la C.M. n. 4/2010 (iscrizioni per l’a.s. 2010/11) e la
C.M. n. 101/2010 (iscrizioni per l’a.s. 2011/12), prevedendo la
possibilità di organizzare i corsi di strumento musicale sia su classi di una
stessa sezione, sia con gruppi di alunni provenienti da classi diverse, sono da
intendersi superate dalle successive circolari ministeriali annuali sulle
iscrizioni. Il rimando è dunque alla C.M. n. 51/2014 (per le iscrizioni allâ
€™a.s. 2015/16) dove tale possibilità non viene contemplata.
Il 19 febbraio 2015, con prot. n. 1242, l’Ufficio Scolastico Regionale per
il Piemonte – Direzione Generale – richiedeva, ai DD.SS. delle Scuole
secondarie di I grado ad indirizzo musicale del Piemonte, un monitoraggio
ovvero un’indagine sul funzionamento e l’organizzazione didattica
dei corsi ad indirizzo musicale della regione al fine di analizzare il
funzionamento delle sezioni ad indirizzo musicale per avviare successive
misure di sostegno e diffusione delle buone prassi, nonché promuovere
una gestione il più possibile unitaria a livello regionale in questo settore
educativo, pur nel rispetto delle competenze delle singole autonomie
scolastiche.
Gli esiti del sondaggio, la cui disamina, in questa sede, risulterebbe poco
funzionale al prosieguo della trattazione, saranno successivamente resi noti in
una conferenza di servizio per le Scuole secondarie di I grado a indirizzo
musicale del Piemonte organizzata dallo stesso ufficio scolastico regionale
per il Piemonte, a Torino, il 13 ottobre 2015. Scopo della conferenza di
servizio era anche la presentazione di progetti e iniziative in un’ottica di
verticalizzazione del curriculo musicale e di aprire una riflessione sui dati
scaturiti dal monitoraggio e sulla loro triangolazione per avviare successive
misure di sostegno e diffusione delle buone prassi, nonché promuovere una
gestione il più possibile unitaria a livello regionale in un settore educativo
fortemente valorizzato nel contesto della legge n. 107/2015, pur nel rispetto
delle competenze delle singole autonomie scolastiche. Altro dato su cui aprire
una riflessione era dato dall’importanza del dialogo con il territorio
inclusi gli Enti Locali, le Agenzie formative, i Conservatori di Musica, le
Scuole civiche, le Associazioni di settore e ovviamente le Scuole primarie e
dell’infanzia nonché i Licei musicali. Per quanto sancito nella legge n.
107/2015, già ampiamente trattata in altro capitolo al quale si rimanda, ci
sembra utile ricordare come la stessa legge abbia previsto che le istituzioni
scolastiche possono inserire nel PTOF alcuni degli obiettivi formativi
prioritari, elencati nell’art. 1, c. 7, dove, alla lettera c), leggiamo:
potenziamento delle competenze nella pratica e nella cultura musicali, nellâ
€™arte e nella storia dell’arte, nel cinema, nelle tecniche e nei media di
produzione e di diffusione delle immagini e dei suoni, anche mediante il
coinvolgimento dei musei e degli altri istituti pubblici e privati operanti in
tali settori.

5.2.14 Musica nella scuola secondaria di secondo


grado: gli istituti professionali
L’insegnamento della musica nella scuola secondaria di II grado non ha
goduto di una attività normativa favorevole al suo incremento. Ferma
restando l’offerta formativa dei Licei musicali dei quali si dirà più
avanti, diamo una panoramica d’insieme dell’articolato quadro
politico-programmatico che ha portato all’oblio dell’ultimo ritaglio di
musica previsto inizialmente negli istituti professionali.
Il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112195, conosciuto come decreto
Brunetta, benché dettasse disposizioni urgenti per lo sviluppo economico
della finanza pubblica e la perequazione tributaria, con l’art. 64 forniva
disposizioni in materia di organizzazione scolastica suscitando vivo clamore
nell’opinione pubblica a causa di provvedimenti capestro a danno di
scuole e università . Il decreto disponeva infatti tagli cospicui al fondo di
finanziamento ordinario delle università e blocco del turn-over (art. 66, c.
13); la possibilità che le Università possano deliberare la propria
trasformazione in fondazioni di diritto privato con delibera di trasformazione
adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta […] approvata con
decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (art. 16, c. 1). Il
decreto, inoltre, non risparmiava una scure all’istruzione scolastica
disponendo una riduzione drastica degli indirizzi delle scuole superiori; la
ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso
la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con
particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali; la revisione dei
criteri vigenti in materia di formazione delle classi; la revisione dei criteri e
dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva
degli organici del personale docente ed ATA, finalizzata ad una
razionalizzazione degli stessi. Il decreto Brunetta, emanato durante il governo
Berlusconi IV e convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133196, insieme con
altre disposizioni era solo uno dei tanti tasselli con cui si perseguiva il
processo di revisione del sistema scolastico italiano197.
A tale riguardo, una delle norme più significative che hanno maggiormente
inciso sulla rivisitazione del sistema scolastico è la legge 30 ottobre 2008,
n. 169198, di conversione del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137,
cosiddetto decreto Gelmini, che recava disposizioni urgenti in materia di
istruzione e università . Tra le tante disposizioni, la legge 169/2008
introduceva l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione†nella
scuola dell’infanzia, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione;
prevedeva che le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscono
classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di
ventiquattro ore settimanali; interveniva sulla valutazione del
comportamento effettuata mediante l’attribuzione di un voto numerico
espresso in decimi e sull’adozione dei libri di testo. Per quanto attiene
alla riforma della scuola secondaria di secondo grado, i provvedimenti della
riforma Gelmini sono stati tutti adottati ai sensi del citato articolo 64, comma
4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ovvero:
> D.P.R. 15 marzo 2010, n. 87, “Regolamento recante norme per il
riordino degli istituti professionaliâ€;
> D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88, “Regolamento recante norme per il
riordino degli istituti tecniciâ€;
> D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89, “Regolamento recante revisione dellâ
€™assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei liceiâ€.
Per completezza ricordiamo il:
> D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89, “Revisione dell’assetto ordinamentale,
organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzioneâ€.
Il D.P.R. n. 87/2010 di riordino degli istituti professionali aveva previsto lâ
€™insegnamento della musica nel percorso quinquennale di istruzione
professionale del settore “Serviziâ€, indirizzo “Servizi socio-sanitariâ€,
articolato in quattro indirizzi:
a) servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale;
b) servizi socio-sanitari;
c) servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera;
d) servizi commerciali.
Il decreto dettava le norme generali relative al riordino degli istituti
professionali al fine di una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle
risorse umane e strumentali disponibili, tali da conferire efficacia ed
efficienza al sistema scolastico. In allegato al D.P.R. n. 87/2010, le “linee
guida per il passaggio al nuovo ordinamento199†esplicitavano gli obiettivi
prioritari da perseguire al fine dell’acquisizione delle competenze di base
attese a conclusione dell’obbligo di istruzione. L’allegato A, alla voce
“Educazione musicaleâ€, dettava attività ed insegnamenti obbligatori
di indirizzo:
Il docente di “Educazione musicale†concorre a far conseguire allo studente, al termine del percorso
quinquennale di istruzione professionale del settore “Serviziâ€, indirizzo “Servizi socio-sanitariâ€, risultati di
apprendimento che lo mettono in grado di: utilizzare metodologie e strumenti operativi per collaborare a rilevare i
bisogni socio-sanitari del territorio e concorrere a predisporre ed attuare progetti individuali, di gruppo e di
comunità ; collaborare nella gestione di progetti e attività dell’impresa sociale ed utilizzare strumenti idonei per
promuovere reti territoriali formali ed informali; utilizzare le principali tecniche di animazione sociale, ludica e
culturale; facilitare la comunicazione tra persone e gruppi, anche di culture e contesti diversi, attraverso linguaggi e
sistemi di relazione adeguati
Primo biennio
Ai fini del raggiungimento dei risultati di apprendimento sopra riportati in esito al percorso quinquennale, nel primo
biennio il docente persegue, nella propria azione didattica ed educativa, l’obiettivo prioritario di far acquisire allo
studente le competenze di base attese a conclusione dell’obbligo di istruzione, di seguito richiamate:
• utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario
• utilizzare e produrre testi multimediali
L’articolazione dell’insegnamento di “Educazione musicale†in conoscenze e abilità è di seguito
indicata quale orientamento per la progettazione didattica del docente in relazione alle scelte compiute nellâ
€™ambito della programmazione collegiale del Consiglio di classe.
Il docente concentra gran parte delle attività su percorsi laboratoriali, consolida le competenze acquisite dagli
studenti al termine del primo ciclo di istruzione valorizzandone l’esperienza musicale e i momenti di ascolto. A
tale scopo, nel rispetto della peculiare modalità espressiva della disciplina, l’insegnamento è sviluppato anche
con essenziali ed opportuni collegamenti sia con altri codici comunicativi verbali e non verbali (letterari grafico-
pittorici, mimico-gestuali, multimediali), sia con gli specifici saperi dell’asse scientifico-tecnologico.
Lo studente, al termine del percorso di apprendimento, acquisisce tecniche espressive musicali utili allâ
€™animazione. La loro applicazione in situazione effettuata nelle ore di compresenza con “Metodologie
operative†consente allo studente di capitalizzare una competenza spendibile nella futura attività professionale.
Conoscenze
Musica e comunicazione.
Elementi di storia della musica.
Principali rapporti tra forme musicali e produzioni artistico letterarie.
Le differenti espressioni musicali anche di diversa provenienza culturale ed etnica.
I generi musicali e le loro caratteristiche.
La musica elettronica.
Gli oggetti sonori e la musica nel gioco.
Tecniche di ascolto.
Il canto individuale e di insieme.
Principali tecniche di musicoterapia.
AbilitÃ
Riconoscere le principali relazioni tra musica ed altri linguaggi. Cogliere le differenze tra generi musicali.
Riconoscere le principali strutture e forme musicali attraverso tecniche di ascolto. Accompagnare immagini e azioni
con appropriati supporti musicali.
Utilizzare diversi strumenti per organizzare, semplici attività di animazione.
Associare le sequenze sonore all’espressività corporea.
Animare attività musicali con l’utilizzo di generi e di stili diversi. Animare il canto individuale e di insieme.
Con l’emanazione della legge 13 luglio 2015, n. 107200, venivano dettati i
princìpi per la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, in
raccordo con i percorsi di istruzione e formazione professionale di
competenza regionale, attraverso:
la ridefinizione degli indirizzi, delle articolazioni e delle opzioni
conseguenti al riordino varato con il D.P.R.10 marzo 2010, n. 87;
il potenziamento delle attività laboratoriali anche attraverso una
rimodulazione, a parità di tempo scolastico, dei quadri orari degli
indirizzi, con particolare riferimento al primo biennio.

La legge delega propone un sostanziale ripensamento dell’assetto


ordinamentale degli istituti professionali per superare le criticità emerse
nella prima fase di attuazione del D.P.R. 87/2010, che si possono sintetizzare
nei seguenti punti:

eccessiva uniformità formativa dei curricoli, soprattutto nel primo


biennio, con quelli dell’istruzione tecnica;
difficoltà di raccordo tra gli indirizzi di studio;
modelli organizzativi complessi e non sempre efficaci per conciliare i
percorsi di studi quinquennali dell’istruzione professionale con lâ
€™offerta di istruzione e formazione professionale (IeFP) regionale;
scarsa attenzione alla personalizzazione della didattica, determinante
per rispondere alle esigenze di studenti che, per vocazione, per
interesse o per stili cognitivi, hanno bisogno di apprendere in situazioni
operative in tutti gli ambiti disciplinari201.

Come disposto dall’art. 13 del decreto legislativo n. 61/2017202, di


attuazione della legge n. 107/2015, a decorrere dall’anno scolastico
2022/2023 il D.P.R. n. 87/2010, e successive modificazioni, è abrogato. Il
decreto n. 61/2017 dispone inoltre, all’art. 3, comma 3, che con apposito
decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca,
vengono determinati i profili di uscita dei nuovi indirizzi di studio203 e le
indicazioni per il passaggio al nuovo ordinamento. Ai sensi dell’art. 3, c.
3, è adottato il Decreto interministeriale 24 maggio 2018, n. 92, contenente
il “Regolamento recante la disciplina dei profili di uscita degli indirizzi di
studio dei percorsi di istruzione professionaleâ€. In relazione ai percorsi di
istruzione professionale, il Regolamento determina:
a) i risultati di apprendimento dell’area di istruzione generale declinati in
termini di competenze, abilità e conoscenze;
b) i profili di uscita degli undici indirizzi di studio dei percorsi di istruzione
professionale e i relativi risultati di apprendimento, declinati in termini di
competenze, abilità e conoscenze;
c) l’articolazione dei quadri orari degli indirizzi di cui all’Allegato B)
del decreto legislativo n. 61 del 2017;
d) la correlazione di ciascuno degli indirizzi dei percorsi quinquennali dellâ
€™istruzione professionale con le qualifiche e i diplomi professionali
conseguiti nell’ambito dei percorsi di istruzione e formazione
professionale (IeFP).
Al fine di favorire e sostenere il nuovo assetto didattico e organizzativo del
biennio e del triennio dei percorsi di istruzione professionale, l’art. 4. c.
4, del decreto n. 92/2018 dispone l’adozione di Linee guida, adottate con
decreto 766 del 23 agosto 2019, con le quali vengono forniti orientamenti
interpretativi e operativi funzionali all’implementazione dei nuovi
percorsi. Le Linee guida sono strutturate in due parti:

la prima, fornisce un quadro di riferimento interpretativo e


metodologico;
la seconda, riporta i traguardi intermedi di apprendimento da utilizzare
sia per i passaggi e i raccordi, sia per la declinazione dei percorsi di IP.

La riforma dell’Istruzione professionale comporta dunque un cambio di


paradigma identitario motivato dalla necessità di affrontare e ricomporre la
crescente tensione che si è andata determinando tra il profilo socio-
culturale dell’utenza (i nuovi giovani studenti) e l’evoluzione della
domanda del mercato del lavoro. Con il D.Lgs. 61/2017, gli istituti
professionali diventano scuole territoriali dell’innovazione, aperte e
concepite come laboratori di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica.
Con la riforma, qui esposta, scompare l’insegnamento della Musica che
comunque potrà continuare ad essere inserita nei percorsi disciplinari su
base progettuale204.

5.2.15 Musica nella scuola secondaria di secondo


grado: il Liceo musicale e coreutico
Il D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89205, contiene il Regolamento recante revisione
dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei. Esso
traccia l’identità dei licei che costituiscono parte del sistema dellâ
€™istruzione secondaria superiore quale articolazione del secondo ciclo del
sistema di istruzione e formazione206. La nuova identità dei licei fornisce
allo studente gli strumenti culturali e metodologici per comprendere in modo
approfondito la realtà ’ e per acquisire conoscenze, abilità e competenze
[…] adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore e allâ
€™inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro207. I percorsi liceali
hanno durata quinquennale e si sviluppano in due periodi biennali e in un
quinto anno che completa il percorso disciplinare. Il sistema dei licei
comprende i licei artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico,
scientifico e delle scienze umane. L’iscrizione al percorso del liceo
musicale e coreutico è subordinata al superamento di una prova preordinata
alla verifica del possesso di specifiche competenze musicali o coreutiche. Lâ
€™orario annuale delle attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli
studenti è di 594 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto
anno, corrispondenti a 18 ore medie settimanali. Al predetto orario si
aggiungono, per ciascuna delle sezioni musicale e coreutica, 462 ore nel
primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 14 ore
medie settimanali. Secondo le vigenti disposizioni sugli esami conclusivi
dell’istruzione secondaria superiore, i percorsi dei licei si concludono con
un esame di Stato. Al superamento dell’esame di Stato conclusivo dei
percorsi liceali è rilasciato il titolo di diploma liceale indicante la tipologia
di liceo e l’eventuale indirizzo, opzione o sezione seguita dallo studente.
Il diploma consente l’accesso all’università ed agli istituti di alta
formazione artistica, musicale e coreutica, agli istituti tecnici superiori e ai
percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore. Il diploma è integrato
dalla certificazione delle competenze acquisite dallo studente al termine del
percorso liceale.
Il decreto n. 89/2010 consta di dieci allegati. L’allegato A definisce il â
€œprofilo culturale, educativo e professionale dei Licei†nel quale vengono
definiti i risultati di apprendimento dei distinti percorsi liceali.
Allegato A
Liceo musicale e coreutico
“Il percorso del liceo musicale e coreutico, articolato nelle rispettive sezioni, è indirizzato all’apprendimento
tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura. Guida lo studente ad
approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie per acquisire, anche
attraverso specifiche attività funzionali, la padronanza dei linguaggi musicali e coreutici sotto gli aspetti della
composizione, interpretazione, esecuzione e rappresentazione, maturando la necessaria prospettiva culturale, storica,
estetica, teorica e tecnica. Assicura altresì la continuità dei percorsi formativi per gli studenti provenienti dai corsi
ad indirizzo musicale di cui all’articolo 11, comma 9, della legge 3 maggio 1999, n. 124, fatto salvo quanto
previsto dal comma 2†(art. 7 comma 1).
Gli studenti, a conclusione del percorso di studio, oltre a raggiungere i risultati di apprendimento comuni, dovranno:
per la sezione musicale:
- eseguire ed interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello studio e capacità di
autovalutazione;
- partecipare ad insiemi vocali e strumentali, con adeguata capacità di interazione con il gruppo;
- utilizzare, a integrazione dello strumento principale e monodico ovvero polifonico, un secondo strumento,
polifonico ovvero monodico;
- conoscere i fondamenti della corretta emissione vocale
- usare le principali tecnologie elettroacustiche e informatiche relative alla musica;
- conoscere e utilizzare i principali codici della scrittura musicale;
- conoscere lo sviluppo storico della musica d’arte nelle sue linee essenziali, nonché le principali categorie
sistematiche applicate alla descrizione delle musiche di tradizione sia scritta sia orale;
- individuare le tradizioni e i contesti relativi ad opere, generi, autori, artisti, movimenti, riferiti alla musica e alla
danza, anche in relazione agli sviluppi storici, culturali e sociali;
- cogliere i valori estetici in opere musicali di vario genere ed epoca;
- conoscere e analizzare opere significative del repertorio musicale;
- conoscere l’evoluzione morfologica e tecnologica degli strumenti musicali.

per la sezione coreutica:


- eseguire ed interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello studio e capacità di
autovalutazione;
- analizzare il movimento e le forme coreutiche nei loro principi costitutivi e padroneggiare la rispettiva terminologia;
- utilizzare a integrazione della tecnica principale, classica ovvero contemporanea, una seconda tecnica,
contemporanea ovvero classica;
- saper interagire in modo costruttivo nell’ambito di esecuzioni collettive;
- focalizzare gli elementi costitutivi di linguaggi e stili differenti e saperne approntare un’analisi strutturale;
- conoscere il profilo storico della danza d’arte, anche nelle sue interazioni con la musica, e utilizzare categorie
pertinenti nell’analisi delle differenti espressioni in campo coreutico;
- individuare le tradizioni e i contesti relativi ad opere, generi, autori, artisti, movimenti, riferiti alla danza, anche in
relazione agli sviluppi storici, culturali e sociali;
- cogliere i valori estetici in opere coreutiche di vario genere ed epoca;
- conoscere e analizzare opere significative del repertorio coreutico.
Il decreto sancisce che le istituzioni scolastiche, a partire dal secondo
biennio, stabiliscano specifiche modalità per l’approfondimento delle
conoscenze, delle abilità e delle competenze richieste per l’accesso ai
relativi corsi di studio e per l’inserimento nel mondo del lavoro. Tali
modalità avvengono anche d’intesa rispettivamente con le università ,
con le istituzioni AFAM e con quelle ove si realizzano i percorsi di istruzione
e formazione tecnica superiore ed i percorsi degli istituti tecnici superiori208.
Il piano degli studi del liceo musicale e coreutico e delle relative sezioni è
definito dall’allegato E del decreto.
Il Piano degli studi del Liceo musicale e coreutico prevede:
Il D.P.R. n. 89/2010 sembra cristallizzare una serie di incongruenze che
svuotano di significato pedagogico una quota essenziale dei risultati di
apprendimento i quali, se il legislatore li ha sanciti come comuni a tutti i
percorsi liceali, risulta incomprensibile come i discenti possano saper fruire
delle espressioni creative delle arti e dei mezzi espressivi, compresi lo
spettacolo, la musica, le arti visive209, in considerazione del fatto che lâ
۪insegnamento della musica non ̬ presente negli altri licei.
Con decreto interministeriale 7 ottobre 2010, n. 211, veniva
successivamente fornito lo schema di regolamento contenente le Indicazioni
nazionali riguardanti gli obiettivi di apprendimento dei percorsi liceali210.
Il provvedimento è entrato in vigore il 29/12/2010 ovvero dall’anno
scolastico 2010/2011 a partire dalle classi prime e, gradatamente, di anno in
anno alle classi successive fino al completamento del ciclo. L’allegato E
del decreto contiene le Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici
di apprendimento in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi
nel piano degli studi previsto per il liceo musicale e coreutico.
Ne forniamo di seguito una visione d’insieme:
ESECUZIONE E INTERPRETAZIONE
LINEE GENERALI E COMPETENZE Il profilo d’entrata, tramite l’accertamento previsto,
individua nello studente il possesso di un adeguato livello di
competenze in ingresso in ordine alla formazione del suono,
alle tecniche di base che consentono di affrontare brani di
media difficoltà , nonché al possesso di un basilare
repertorio di brani d’autore.
Al termine del percorso liceale, lo studente avrà acquisito
capacità esecutive e interpretative attraverso lo sviluppo di un
proprio adeguato metodo di studio e di autonoma capacità di
autovalutazione; l’acquisizione di un ricca specifica
letteratura strumentale (autori, metodi e composizioni),
solistica e d’insieme, rappresentativa dei diversi momenti
e contesti della storia della musica; la maturazione progressiva
di tecniche improvvisative (solistiche e d’insieme) e di
lettura/esecuzione estemporanea.
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO
PRIMO BIENNIO Lo studente acquisisce anzitutto un significativo rapporto tra gestualità e
produzione del suono, affiancato da una buona dimestichezza nell’uso dei
sistemi di notazione e una graduale familiarità con le principali formule
idiomatiche specifiche dello strumento con riferimento a fondamentali nozioni
musicali di tipo morfologico (dinamica, timbrica, ritmica, metrica, agogica,
melodia, polifonia, armonia, fraseggio ecc.). Apprende essenziali metodi di studio e
memorizzazione e la basilare conoscenza della storia e tecnologia degli strumenti
utilizzati. Al termine del primo biennio, in particolare, lo studente deve aver
sviluppato: per il primo strumento, adeguate e consapevoli capacità esecutive di
composizioni di epoche, generi, stili e tradizioni diverse, supportate da semplici
procedimenti analitici pertinenti ai repertori studiati; per il secondo strumento, gli
essenziali elementi di tecnica strumentale.
SECONDO BIENNIO Lo studente sviluppa le capacità di mantenere un adeguato equilibrio psicofisico
(respirazione, percezione corporea, rilassamento, postura, coordinazione) in diverse
situazioni di performance, utilizzando anche tecniche funzionali alla lettura a prima
vista, alla memorizzazione e all’esecuzione estemporanea. Lo studente sa
altresì dare prova di saper adattare metodologie di studio alla soluzione di
problemi esecutivi (anche in rapporto alle proprie caratteristiche), di maturare
autonomia di studio e di saper ascoltare e valutare sé stesso e gli altri nelle
esecuzioni solistiche e di gruppo. Più in particolare, al termine del secondo
biennio lo studente avrà acquisito la capacità di eseguire con scioltezza, anche in
pubblico, brani di adeguato livello di difficoltà tratti dai repertori studiati per il
primo strumento. Per il secondo strumento dovrà invece dare prova di saper
eseguire semplici brani ed aver conseguito competenze adeguate e funzionali alla
specifica pratica strumentale.

QUINTO ANNO Oltre al consolidamento delle competenze già acquisite (in particolare nello
sviluppo dell’autonomia di studio anche in un tempo dato), per il primo
strumento lo studente conosce e sa interpretare i capisaldi (autori, metodi e
composizioni) della letteratura solistica e d’insieme, rappresentativi dei diversi
momenti e contesti della storia della musica, fino all’età contemporanea. Daâ
€™ prova di saper mantenere un adeguato equilibrio psicofisico nellâ
€™esecuzione anche mnemonica di opere complesse e di saper motivare le proprie
scelte espressive. Sa altresì adottare e applicare in adeguati contesti esecutivi,
strategie finalizzate alla lettura a prima vista, al trasporto, alla memorizzazione e
all’improvvisazione, nonché all’apprendimento di un brano in un tempo
dato. Sa utilizzare tecniche adeguate all’esecuzione di composizioni
significative di epoche, generi, stili e tradizioni musicali diverse, dando prova di
possedere le necessarie conoscenze storiche e stilistiche, nonché di aver
compreso le poetiche dei diversi autori presentati.
La sezione “Teoria, analisi e competenze†traccia le linee generali e le
competenze nel corso del quinquennio durante il quale lo studente acquisisce
familiarità con le strutture, i codici e le modalità organizzative ed
espressive del linguaggio musicale. Al termine del percorso liceale lo
studente padroneggia i codici di notazione dimostrando di saperli utilizzare
autonomamente e consapevolmente sia sul piano della lettura sia su quello
della scrittura. Sul piano compositivo lo studente padroneggia i diversi
procedimenti armonici rintracciandoli in brani significativi attraverso
appropriate tecniche di analisi.
La sezione elenca gli obiettivi specifici di apprendimento scanditi in primo
biennio, secondo biennio e quinto anno, durante i quali lo studente consolida
le competenze relative allo sviluppo dell’orecchio, alla padronanza dei
codici di notazione, all’acquisizione dei principali concetti del linguaggio
musicale. Nel corso del secondo biennio, egli approfondisce i concetti e i
temi affrontati in precedenza assumendo una prospettiva storico-culturale che
evidenzi continuità e discontinuità nell’evoluzione dei sistemi di regole
e delle modalità di trasmissione della musica, sia sul piano della notazione
sia su quello della composizione. Al quinto anno, lo studente affina
ulteriormente sia le capacità di lettura e trascrizione all’ascolto di brani
con diversi organici strumentali e vocali, sia gli strumenti analitici, che
saranno prevalentemente esercitati su brani del XX secolo appartenenti a
differenti generi e stili, ivi comprese le tradizioni musicali extraeuropee.
Approfondisce la conoscenza dell’armonia tardo-ottocentesca e
novecentesca, in modo di servirsene all’interno di improvvisazioni,
arrangiamenti e composizioni. Consolida le tecniche compositive funzionali
alla realizzazione di prodotti multimediali e di brani elettroacustici ed
elettronici.
La sezione “Storia della musica†traccia le linee generali e le competenze
le quali prospettano, al termine del percorso, che lo studente abbia acquisito
familiarità con la musica d’arte di tradizione occidentale. Egli sa
riconoscere e collocare nei quadri storico-culturali e nei contesti sociali e
produttivi pertinenti i principali fenomeni artistici, i generi musicali primari e
gli autori preminenti, dal canto gregoriano ai giorni nostri. Lo studente coglie
le differenze che delimitano il campo della storia della musica rispetto al
dominio di due territori contigui, ad essa peraltro collegati da importanti
connessioni: da un lato, lo studio delle musiche di tradizione orale (con unâ
€™attenzione particolare per la musica popolare italiana, da nord a sud);
dall’altro, la prospettiva sistematica nella descrizione e analisi dei
fenomeni musicali (estetica musicale; psicologia della musica; sociologia
della musica; ecc.). Negli “Obiettivi specifici di apprendimento†si fa
esplicito riferimento a opere ben definite di cui si raccomanda, nell’arco
del biennio, l’ascolto integrale in quanto costitutive per l’identitÃ
occidentale moderna e radicate nell’immaginario collettivo (una
Passione di Bach, Don Giovanni o Il flauto magico di Mozart, la Nona
Sinfonia di Beethoven, Rigoletto o Otello o la Messa da Requiem di Verdi,
qualche ampio estratto dai drammi musicali di Wagner, un balletto di
Ciajkovskij, il Sacre du printemps di Stravinskij, e simili).
Nel secondo biennio, viene tracciata una elencazione di autori rappresentativi
della musica europea di tradizione scritta dal canto gregoriano e dalle origini
della polifonia fino al secolo XIX, ovvero Machaut, Dufay, Josquin,
Palestrina, Monteverdi, Vivaldi, Rameau, Bach, Händel, Haydn, Mozart,
Beethoven, Rossini, Schubert, Berlioz, Schumann, Chopin ecc.
Nel quinto anno, lo studente conosce il profilo storico dal secolo XIX ai
giorni nostri e analizza autori come Liszt, Verdi, Wagner, Brahms, Puccini,
Debussy, Mahler, Stravinskij, Schönberg, Bartok, Webern, Šostakovic,
Britten, Berio, Stockhausen ecc., nonché a margine fenomeni come il jazz,
la “musica leggera†e la cosiddetta popular music.
LABORATORIO DI MUSICA D’INSIEME
LINEE GENERALI E COMPETENZE Nel corso del quinquennio lo studente si esercita nellâ
€™esecuzione/interpretazione di composizioni vocali e
strumentali di musica d’insieme, diverse per epoche,
generi, stili e tradizione musicale, e acquisire elevata
padronanza: sia in contesti esclusivamente musicali, sia in
forma scenica (ovvero in rapporto ad altre forme
espressive artistiche performative quali la danza, il teatro
ecc.). In particolare, al termine del percorso liceale, lo
studente avrà maturato elevate capacità sincroniche e
sintoniche (nella condivisione espressiva degli aspetti
morfologici: ritmici, metrici, agogici, melodici, timbrici,
dinamici, armonici, di fraseggio), nonché elevate
capacità di ascolto, di valutazione e autovalutazione,
nelle esecuzioni di gruppo.
Lo studente dovrà infine possedere appropriati strumenti
di lettura e di interpretazione critica (anche filologica)
delle partiture studiate, nonché adeguate capacitÃ
improvvisative nella musica d’insieme. Una maggiore
e più pertinente specificazione degli Obiettivi Specifici
di Apprendimento del Laboratorio di Musica dâ
€™insieme non può prescindere dalla definizione delle
quattro sottosezioni che tale materia necessariamente
presuppone:
1. Canto ed esercitazioni corali
2. Musica d’insieme per strumenti a fiato
3. Musica d’insieme per strumenti ad arco
4. Musica da camera
Dette sottosezioni saranno specificate, nell’ambito del
Piano dell’offerta formativa e della collaborazione
con le Istituzioni di Alta formazione musicale, tenendo
conto della composizione delle classi e della maturazione
delle competenze strumentali degli studenti.

OBIETIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO


PRIMO BIENNIO Lo studente acquisisce principi e processi di emissione vocale nellâ
€™attività corale, nonché le conoscenze dei sistemi notazionali,
in partitura, di adeguati brani di musica vocale e strumentale dâ
€™insieme, utilizzando tecniche funzionali alla lettura a prima vista
e all’esecuzione estemporanea e applicando semplici
procedimenti analitici pertinenti ai repertori studiati. Al termine del
primo biennio lo studente esegue e interpreta semplici brani di
musica d’insieme, vocale e strumentale, seguendo in modo
appropriato le indicazioni verbali e gestuali del direttore.
SECONDO BIENNIO Lo studente sviluppa le conoscenze e abilità già acquisite con
particolare riferimento, nelle esecuzioni e interpretazioni di gruppo,
all’appropriata padronanza tecnica, all’adeguatezza stilistica
e all’applicazione di procedimenti analitici pertinenti ai repertori
studiati (anche al fine di sviluppare la consapevolezza esecutiva
degli elementi che connotano generi e stili diversi). Mediante
strategie di miglioramento, sviluppa le capacità di ascolto e
valutazione (di sé e degli altri) anche in rapporto ad abilitÃ
esecutive estemporanee ed improvvisative.
QUINTO ANNO Lo studente sviluppa strategie atte alla conduzione di ensemble nella
preparazione di un brano. Nell’affinare le proprie capacità di
ascolto e di autovalutazione, e sulla base della comprensione degli
elementi che connotano generi e stili diversi nonché della
contestualizzazione storico-stilistica dei repertori studiati, lo studente
acquisisce un elevato grado di autonomia nello studio (individuale e
in gruppo) e nella concertazione di composizioni cameristiche o
comunque scritte per organici ridotti.
Per quanto attiene alle “Tecnologie musicaliâ€, nel percorso liceale le
Indicazioni prevedono anche l’acquisizione delle diverse tecnologie
informatiche e multimediali. Lo studente impara a utilizzare software di
editing del suono e della notazione musicale con particolare riferimento agli
strumenti studiati. È in grado di configurare/organizzare uno studio di home
recording per la produzione musicale in rapporto a diversi contesti operativi.
Al termine del percorso liceale, lo studente sa acquisire, elaborare e
organizzare segnali provenienti da diverse sorgenti sonore utilizzandoli
coerentemente nello sviluppo di progetti compositivi.
OBIETIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO
PRIMO BIENNIO Lo studente acquisisce le conoscenze di base dell’acustica e
psicoacustica musicale, delle apparecchiature per la ripresa, la
registrazione e l’elaborazione audio e dell’utilizzo dei
principali software per l’editing musicale (notazione, hard
disk recording, sequencing, ecc.), le loro funzioni e campi dâ
€™impiego/interfacciamento (protocollo MIDI); gli elementi
costitutivi della rappresentazione multimediale di contenuti
appartenenti ai diversi linguaggi e codici espressivi.
SECONDO BIENNIO Lo studente apprende i fondamenti dei sistemi di sintesi sonora
e delle tecniche di campionamento, estendendo la conoscenza
dei software a quelli funzionali alla multimedialita’, allo
studio e alla sperimentazione performativa del rapporto tra
suono, gesto, testo e immagine, e pone altresì le basi
progettuali anche per quanto attiene alla produzione, diffusione
e condivisione della musica in rete. Lo studente acquisisce i
principali strumenti critici (analitici, storico-sociali ed estetici)
della musica elettroacustica, elettronica e informatico-digitale.
QUINTO ANNO Lo studente sperimenta e acquisisce le tecniche di produzione
audio e video e quelle compositive nell’ambito della
musica elettroacustica, elettronica e informatico-digitale
unitamente alla programmazione informatica. Tali aspetti
saranno essere affiancati da un costante aggiornamento nellâ
€™uso di nuove tecnologie per l’audio e la musica, nei
media, nella comunicazione e nella rete e da un
approfondimento delle tecniche di programmazione. Lo
studente analizza tali aspetti nell’ambito dellâ
€™evoluzione storico-estetica della musica concreta,
elettronica e informatico-digitale.
Con l’introduzione della Storia della danza nel curricolo degli studi a
partire dal secondo biennio e fino al termine del percorso liceale, lo studente
si avvale di un insegnamento che costituisce il necessario complemento per
strutturare sul piano teorico quanto appreso nelle materie artistiche nelle
classi di tecnica, nei laboratori e con la pratica scenica. Le Indicazioni
trattano infine della sezione coreutica alla cui lettura si rimanda.
5.2.16 Regolamento per il riordino delle classi di
concorso
Con D.P.R. 14 febbraio 2016, n. 19211, veniva revisionato l’assetto
ordinamentale delle classi di concorso per la scuola secondaria di primo e di
secondo grado. Il Decreto sarà in seguito integrato dal D.M. 9 maggio
2017, n. 259, con il quale il Ministero dell’Istruzione, dellâ
€™Università e della Ricerca disponeva la revisione e l’aggiornamento
della tipologia delle classi di concorso per l’accesso ai ruoli del personale
docente della scuola secondaria di primo e secondo grado previste dal DPR n.
19/2016:
Codice: A53 – Denominazione: Storia della Musica - Educazione musicale
negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado.
Codice: A55 – Denominazione: Strumento musicale negli istituti di
istruzione secondaria di II grado.
Codice: A59 – Denominazione: Tecniche di accompagnamento alla danza
e teoria e pratica musicale per la danza.
Codice: A63 – Denominazione: Tecnologie musicali.
Codice: A64 – Denominazione: Teoria, analisi e composizione.

128
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del
primo ciclo di istruzione. Annali della pubblica Istruzione, numero speciale
2012, pag. 22.
129
Di fatto, il D.P.R. n. 503/1955 forniva i primi programmi didattici per la
scuola primaria della Repubblica italiana. Con esso venivano abrogati i
programmi didattici e le relative istruzioni per le scuole elementari, pubbliche
e private, stabiliti con il decreto luogotenenziale 24 maggio 1945, n. 459, e i
programmi per l’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole
elementari approvati con il decreto del Capo provvisorio dello Stato 8
novembre 1946, n. 383. La scuola elementare del 1955 era strutturata in due
cicli così ripartiti: 1° ciclo: I e II classe; 2° ciclo: III, IV e V classe.
130
O.M. 11 novembre 1923, in esito al R.D. 1° ottobre 1923, n. 2185.
131
Vedi nota 10.
132
“Approvazione dei nuovi programmi didattici per la scuola primariaâ€,
(in G.U. Serie generale n. 76 del 29-03-1985 – Suppl. Ordinario)
133
Vedi: D’Amico N., Storia e storie della scuola italiana, dalle origini
ai giorni nostri, Bologna, Zanichelli, 2010, pag. 588.
134
Legge 5 giugno 1990, n. 148, “Riforma dell’ordinamento della
scuola elementareâ€.
135
Art. 34 della legge 27 dicembre 1947.
136
D’Amico N., Storia e storie della scuola italiana, cit., pag. 641.
137
D’Amico N., Storia e storie della scuola italiana, cit., ivi.
138
Per una disamina approfondita dell’argomento, si veda: D’Amico
N., Storia e storie della scuola italiana, cit., passim.
139
“Delega al Governo per la definizione delle norme generali sullâ
€™istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione
e formazione professionaleâ€.
140
D.Lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, “Definizione delle norme generali
relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a
norma dell’articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53â€.
141
Sebbene non sia questa la sede per un approfondimento ulteriore della
riforma Moratti, appare utile ricordare che la legge n. 53/2003 conferiva al
Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi per la definizione
delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.
In esito alla legge, riportiamo qui i cinque decreti che entrarono in vigore
prima della fine della legislatura:
1) Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, “Definizione delle norme
generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dellâ
€™istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n.
53â€;
2) Decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, “Istituzione del Servizio
nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di
formazione, nonché riordino dell’omonimo istituto, a norma degli
articoli 1 e 3 della legge 28 marzo 2003, n. 53â€;
3) Decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, “Definizione delle norme
generali relative all’alternanza scuola-lavoro, a norma dellâ
€™articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53â€;
4) Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, “Norme generali e livelli
essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo
di istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge 28
marzo 2003, n. 53â€;
5) Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 227, “Definizione delle norme
generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso
all’insegnamento, a norma dell’articolo 5 della legge 28 marzo
2003, n. 53â€.
142
Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, â
€œRevisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dellâ
€™articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. (Testo in
vigore dal 16 luglio 2009).
143
Art. 4.
144
Art. 8.
145
Vedi artt. 6 e 7.
146
Linee guida al D.M. 8/2011 – Indicazioni operative - Ministero dellâ
€™Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Prot. n. 0000151 –
17/01/2014.
147
Decreto 16 novembre 2012, n. 254, rubricato “Regolamento recante
indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del
primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del
decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89â€.
148
Parte delle considerazioni qui esposte sono rinvenibili nella nota
introduttiva del ministro Francesco Profumo alle Indicazioni nazionali.
149
Art. 1, c. 20.
150
Nota 2852 del 5 settembre 2016.
151
Le informazioni di ordine storico fin qui riportate sono rinvenibili in:
Prima e dopo Cavour: la musica tra Stato Sabaudo e Italia unita (1848-
1870), Napoli, 11-12 novembre 2011, Atti del Convegno Internazionale,
Napoli, ClioPress, 2015.
152
Filosofo e grecista.
153
L’argomento è compiutamente approfondito in: D’Amico N.,
Storia e storie della scuola italiana, cit., passim.
154
Prima e dopo Cavour: la musica tra Stato Sabaudo e Italia unita, cit.
passim.
155
Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, n. 167, del 16 luglio 1896.
156
Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, “Istituzione e ordinamento della
scuola media stataleâ€.
157
D’Amico N., Storia e storie della scuola italiana, cit., pag. 490.
158
D’Amico N., Storia e storie della scuola italiana, cit., ivi.
159
Il riferimento è all’insegnamento del latino: come materia autonoma,
l’insegnamento del latino ha inizio in terza classe; tale materia è
facoltativa. (Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, art. 2, c. 4).
160
“Orari e programmi d’insegnamento della scuola media stataleâ€,
in SO n. 1 alla GU 11 maggio 1963, n. 124.
161
Legge 16 giugno 1977, n. 348, “Modifiche di alcune norme della Legge
31 dicembre 1962, n. 1859, sulla istituzione e l’ordinamento della scuola
media stataleâ€.
162
Dalla Premessa generale del decreto ministeriale 9 febbraio 1979, art. 2, c. 5.
163
“Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola media statale†(in S.O. alla
GU 20 febbraio 1979, n. 50).
164
Nella Premessa generale del decreto viene ribadito come la legge 4 agosto
1977, n. 517, che detta “Norme sulla valutazione degli alunni e sullâ
۪abolizione degli esami di riparazione nonch̩ altre norme di modifica
dell’ordinamento scolasticoâ€, che in questa trattazione non avendo
apportato nuove disposizioni sulla musica non prenderemo in esame, ha
rafforzato la capacità democratica delle strutture della scuola media
ponendo al centro dei suoi interventi la programmazione educativa e didattica
dalla quale discendono nuovi criteri di organizzazione del lavoro scolastico,
nuovi strumenti valutativi e corrispondenti iniziative di integrazioni e di
sostegno. Per completezza di informazioni si rilevano comunque le modifiche
più rilevanti introdotte: 1) vengono aboliti gli esami di riparazione della
scuola elementare e media: Gli alunni che, per assenze determinate da
malattia, da trasferimento della famiglia o da altri gravi impedimenti di
natura oggettiva, non abbiano potuto essere valutati al termine delle lezioni,
sono ammessi a sostenere, prima dell’inizio dell’anno scolastico
successivo, prove suppletive che si concludono con il giudizio complessivo di
ammissione o di non ammissione alla classe successiva; 2) abolite le classi
differenziali e di aggiornamento; 3) adottate forme di integrazione a favore
degli alunni portatori di handicaps (sic!) con la prestazione di insegnanti
specializzati.
165

http://wwcat.saggiatoremusicale.it/saggem/ricerca/bibliografia/emer_insegnamento_dello_
166
“Corsi sperimentali ad orientamento musicaleâ€.
167
D. M. 3 agosto 1979, art. 1, c. 2.
168
Art. 1, commi 6 e 7.
169
La valutazione dei requisiti artistico-didattico-professionali dei docenti
aspiranti all’insegnamento delle materie musicali nei corsi di cui trattasi
viene effettuata dalla commissione di valutazione del provveditorato agli
studi di competenza, così composta: provveditore agli studi o un suo
delegato che la presiede; un funzionario preposto al settore delle nomine; un
impiegato della carriera di concetto o esecutiva anche con funzioni di
segretario; quattro esperti designati dal direttore del conservatorio di musica
di competenza; uno per gli strumenti a tastiera (pianoforte); uno per gli
strumenti ad arco (violino o violoncello) anche per la chitarra classica; uno
per gli strumenti a fiato (oboe o clarinetto o flauto); uno per gli strumenti a
fiato (corno o tromba).
170
Art. 5.
171
Art. 6.
172
Art. 8.
173
“Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola
media stataleâ€, cit.
174
“Nuova disciplina della sperimentazione musicale, nelle scuole medie
statali ad indirizzo musicaleâ€.
175
Art. 1, c. 2.
176
Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico.
177
L’art. 16 del Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 60, dispone che, a
decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, l’articolo 11,
comma 9, terzo periodo, della legge 3 maggio 1999, n. 124, è abrogato.
178
“Riconduzione ad ordinamento dei corsi sperimentali ad indirizzo
musicale nella scuola media ai sensi della legge 3 maggio 1999, n. 124, art.
11, comma 9†(in G.U. 6 ottobre 1999, n. 235).
179
Ovvero: Flauto, Oboe, Clarinetto, Saxofono, Fagotto, Corno, Tromba,
Chitarra, Arpa, Pianoforte, Percussioni (tamburo, timpani, xilofono,
vibrafono), Violino, Violoncello, Fisarmonica.
180
Art. 3.
181
Oggi A56 (D.P.R. n. 19/2016 come integrato dal D.M. n. 259/2017).
182
Per una maggiore comprensione di quanto enunciato, forniamo il
contenuto del comma 2, art. 16 e del comma 3, art. 12 del D.Lgs. n. 60/2017.
c. 2, art. 16: A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui allâ
€™art. 12 il decreto ministeriale 6 agosto 1999, n. 201, cessa di produrre
effetti.
c.3, art. 12: Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’universitÃ
e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
adottato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, sono definiti:
a) le indicazioni nazionali per l’inserimento dell’insegnamento dello
strumento musicale, in coerenza con le indicazioni relative allâ
€™insegnamento della disciplina della musica, tenuto anche conto delle
competenze richieste per l’accesso ai licei musicali;
b) gli orari;
c) i criteri per il monitoraggio dei percorsi a indirizzo musicale.
183
Decreto Ministeriale 6 agosto 1999, n. 201, cit.
184
Testo coordinato delle disposizioni impartite in materia di ordinamento
delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento tecnico-pratico e
di arte applicata nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica (n.
39).
185
Art. 2, c. 1, del Decreto Ministeriale 37 del 26 marzo 2009.
186
“Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dellâ
€™articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20
marzo 2009, n. 89â€.
187
L’argomento è più diffusamente trattato all’inizio del capitolo.
188
“Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione
del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività , a
norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera g), della legge 13 luglio
2015, n. 107â€.
189
Ovvero: Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in collaborazione
con l’Istituto nazionale documentazione, innovazione e ricerca educativa
(INDIRE); Istituzioni scolastiche; Istituzioni dell’alta formazione
artistica, musicale e coreutica (Afam); Università ; Istituti tecnici superiori;
Istituti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; Istituti
italiani di cultura.
190
Scuola media a indirizzo musicale.
191
La circolare ministeriale n. 101, alla pag. 4, così dispone: Le istituzioni
scolastiche, nell’ambito della propria autonomia, organizzano i corsi di
strumento musicale sia in classi di una stessa sezione, sia con gruppi di alunni
provenienti da classi diverse, sulla base dell’assetto ordinamentale e dei
criteri generali previsti dal D.M. 6 agosto 1999, n. 201 e, comunque, nel
rispetto dei criteri generali per la formazione delle classi e dei limiti dellâ
€™organico assegnato.
192
La nota prosegue con il richiamo ai principali riferimenti normativi utili
che noi elenchiamo per opportuna conoscenza: D.P.R. 81/2009, art. 13. c. 1;
Legge 124/99, art. 11, c. 9; D.M. 201/1999, art. 1, art. 2, art. 3 - 3° cpv;
C.M. 51/ 2014 (18/12/2014); C.M. 28/2014 (10/01/2014); C.M. 101/2010
(30/12/2010); C.M. 4/2010 (15/01/2010).
193
La nota era chiaramente volta a fornire chiarificazioni in merito alla prassi
di costituire sezioni ad indirizzo musicale della scuola secondaria di primo
grado “sparpagliando su più corsi quegli alunni che invece, nella gran
parte delle sedi SMIM funzionanti nella regione Piemonte, vengono inseriti
insieme nella stessa classeâ€.
194
Art. 5, c. 7.
195
“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività , la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
Tributariaâ€, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2008 â
€“ Suppl. Ordinario n. 152/L.
196
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività , la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributariaâ€.
197
L’art. 64, c. 4, della legge 6 agosto 2008, n. 133, aveva previsto che [al
fine della realizzazione del piano programmatico di interventi volti ad una
maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali
disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema
scolastico] con uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore del presente decreto ed in modo da assicurare
comunque la puntuale attuazione del piano di cui al comma 3, in relazione
agli interventi annuali ivi previsti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dellâ
€™istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui al
citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, anche modificando le
disposizioni legislative vigenti, si provvede ad una revisione dell’attuale
assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico,
attenendosi ai seguenti criteri:
a) razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una
maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti;
b) ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche
attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari,
con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;
c) revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi;
d) rimodulazione dell’attuale organizzazione didattica della scuola
primaria ivi compresa la formazione professionale per il personale docente
interessato ai processi di innovazione ordinamentale senza oneri aggiuntivi a
carico della finanza pubblica;
e) revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della
consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA,
finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi;
f) ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione
per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa;
f-bis) definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e lâ
€™articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica
prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, lâ
€™attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta
formativa;
f-ter) nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede
nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere
specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti.
198
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1°
settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e
università â€.
199
“Declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze e abilità
per il primo biennioâ€, redatto con riferimento alle indicazioni nazionali per
l’adempimento dell’obbligo di istruzione di cui al regolamento
emanato con decreto del Ministro della Pubblica istruzione n. 139/2007 e ai
risultati di apprendimento - allegati B) e C) del regolamento D.P.R. n.
87/2010.
200
“Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per
il riordino delle disposizioni legislative vigentiâ€.
201
La riduzione delle compresenze nei quadri orari allegati al D.P.R. 87/2010,
ad esempio, ha ostacolato la possibilità di lavorare con classi aperte, per
gruppi di livello, in affiancamento agli studenti più deboli. Anche per
questo, la dispersione scolastica registrata nel primo biennio degli istituti
professionali non ha trovato misure di contrasto efficaci.
202
“Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nel rispetto
dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi
dell’istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1,
commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107†(G.U. n.
112 del 16-5-2017 - Suppl. Ordinario n. 23).
203
Ovvero: Agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del
territorio e gestione delle risorse forestali e montane; Pesca commerciale e
produzioni ittiche; Industria e artigianato per il Made in Italy; Manutenzione
e assistenza tecnica; Gestione delle acque e risanamento ambientale; Servizi
commerciali; Enogastronomia e ospitalità alberghiera; Servizi culturali e
dello spettacolo; Servizi per la sanità e l’assistenza sociale; Arti
ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico; Arti ausiliarie delle
professioni sanitarie: ottico.
204
Per ulteriori approfondimenti si rimanda alle norme ivi citate dalle quali
è desunto l’iter di riforma in parola.
205
“Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale,
organizzativo e didattico dei licei a norma dell’articolo 64, comma 4, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133â€, (G.U. 15-6-2010, n. 137, s.o. 128).
206
Art. 2, c. 1.
207
Art. 2, c. 2.
208
Art. 2, c. 7.
209
Allegato A, Area storico-umanistica.
210
Schema di regolamento recante «Indicazioni nazionali riguardanti gli
obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli
insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di
cui all’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della repubblica
15 marzo 2010, n. 89, in relazione all’articolo 2, commi 1 e 3, del
medesimo regolamento».

5.3 L’Alta Formazione Artistica, Musicale e


Coreutica (Afam)
Afam è l’acronimo di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica,
ovvero quel sistema costituito dai Conservatori statali, dalle Accademie di
Belle Arti (statali e non statali), dagli Istituti musicali ex pareggiati promossi
dagli enti locali, dalle Accademie statali di Danza e di Arte Drammatica,
dagli Istituti Statali Superiori per le Industrie Artistiche, nonché da
ulteriori istituzioni private autorizzate dal Ministero al rilascio di titoli aventi
valore legale212. Sul numero delle istituzioni del sistema Afam, il Ministero
dell’istruzione fornisce i seguenti dati (aggiornati al 12/12/2018): 145
istituzioni, di cui 82 statali e 63 non statali e, precisamente, da:
> 20 Accademie di belle arti statali;
> un’Accademia nazionale d’arte drammatica;
> un’Accademia nazionale di danza;
> 55 Conservatori di musica statali;
> 18 ex Istituti musicali pareggiati;
> 5 Istituti superiori per le Industrie Artistiche;
> 18 Accademie di belle arti legalmente riconosciute, tra cui le 5 storiche di
Genova, Verona, Perugia, Bergamo, Ravenna;
> 27 altri Istituti autorizzati a rilasciare titoli con valore legale.
I titoli di alta formazione artistica e musicale hanno valore legale equiparato
ai titoli universitari. Presso i conservatori di musica statali, gli Istituti
musicali non statali e l’Accademia di danza sono attivi anche corsi di
studio di livello pre-accademico. Le istituzioni dell’Alta formazione
artistica e musicale rilasciano titoli equipollenti alle lauree universitarie.
Appartengono, quindi, al sistema della Formazione superiore e seguono unâ
۪articolazione degli studi in tre cicli (il modello ̬ previsto dalla
Dichiarazione di Bologna)213.
Primo ciclo: I corsi di diploma accademico di primo livello hanno l’obiettivo di
assicurare agli studenti un’adeguata padronanza di metodi e tecniche
artistiche e l’acquisizione di specifiche competenze disciplinari e
professionali.
Requisito per l’accesso: • Diploma finale di scuola secondaria superiore (quinquennale) o un
titolo estero comparabile;
• Superamento di eventuali prove di accesso finalizzate alla verifica di
un’adeguata preparazione iniziale, secondo le modalità previste nei
regolamenti didattici.
Durata: Tre anni.
Per conseguire il Diploma accademico di primo livello lo studente deve
aver acquisito 180 crediti. Il Diploma dà accesso ai concorsi per il
pubblico impiego, al mondo del lavoro artistico e ai corsi del 2° ciclo.
Secondo ciclo: Corsi di diploma accademico di secondo livello214. Ha l’obiettivo di
assicurare allo studente una formazione di livello avanzato per la piena
padronanza di metodi e tecniche artistiche e per l’acquisizione di
competenze professionali elevate.
Requisito per l’accesso: Aver conseguito un Diploma accademico di primo livello o una Laurea
universitaria o un titolo estero idoneo;
Possedere requisiti specifici definiti in base alle norme previste dai singoli
regolamenti didattici.
Durata: Due anni.
Per conseguire il Diploma accademico di secondo livello lo studente deve
aver acquisito 120 crediti.
Terzo ciclo: I corsi di Formazione alla ricerca corrispondono ai Dottorati di ricerca
dell’Università . I corsi di formazione alla ricerca garantiscono lâ
€™acquisizione di competenze di natura superiore a quelle relative al
secondo ciclo. Non è previsto il rilascio di crediti formativi per i corsi di
Formazione alla ricerca, che saranno basati su progetti di ricerca redatti
con criteri scientifici specifici a seconda delle materie trattate in ambito
artistico e musicale.
Requisito per l’accesso: Vi si accede dopo un Diploma accademico di II livello (2° ciclo) o
Laurea magistrale rilasciata dall’Università o titoli esteri
equipollenti.
Durata: Minimo tre anni.
Altri corsi di specializzazione o di perfezionamento, di durata per lo più
annuale, forniscono competenze professionali o rispondono a esigenze di
approfondimento e aggiornamento.
• Corsi di specializzazione, che forniscono competenze professionali
elevate in ambiti specifici;
• Corsi di perfezionamento o Master, che rispondono a esigenze culturali
di approfondimento in determinati settori di studio o a esigenze di
aggiornamento o di riqualificazione professionale e di educazione
permanente.
Hanno di solito durata annuale e prevedono l’acquisizione di almeno 60
crediti per conseguire il Diploma. I regolamenti didattici definiscono i titoli di
ammissione.
5.3.1 Accademie di Belle Arti
Del sistema Afam fanno parte le Accademie di Belle Arti, statali o
legalmente riconosciute, le quali attivano corsi di durata quinquennale a ciclo
unico per formare esperti capaci di garantire interventi di sempre maggior
qualità nella conservazione e tutela del patrimonio culturale artistico del
nostro paese.

5.3.2 Equipollenza di titoli esteri


Con il termine equipollenza si intende l’equiparazione di un titolo di
studio estero, artistico o musicale, a un corrispondente titolo italiano. Possono
presentare domanda per il Decreto di equipollenza coloro che posseggono la
cittadinanza italiana e i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea.
L’analisi comparata del titolo tiene conto della natura accademica, dellâ
€™istituzione straniera che ha rilasciato il titolo, della durata degli studi
compiuti, dei contenuti disciplinari analitici. Tale valutazione del titolo ha lo
scopo di verificare se esso corrisponde in modo dettagliato per livello e
contenuti a un analogo titolo italiano tanto da poterlo definire equivalente e
dandogli lo stesso “peso†giuridico definendolo “equipollenteâ€.
Sentito il parere delle competenti autorità accademiche e del Consiglio
Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale, Legge 12/12/1951,
n. 1563, si emetterà il relativo Decreto di equipollenza, o l’eventuale
diniego. Possono presentare domanda coloro che posseggono la cittadinanza
italiana, e con la Legge comunitaria del 25/01/2006, n. 29, art. 13, anche i
cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea215.

5.3.3 Riconoscimento di titoli esteri Afam


Il riconoscimento è un’attestazione formale con cui l’autoritÃ
competente compie una valutazione sintetica del titolo straniero, stabilisce
una corrispondenza di livello e dichiara di riconoscerlo per determinati fini
(prosecuzione degli studi o accesso ai pubblici concorsi). Gli effetti giuridici
del riconoscimento sono diversi rispetto all’equipollenza in quanto riferiti
ai soli fini della richiesta. Per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti
negli istituti di istruzione superiore stranieri ai fini dell’accesso ai
pubblici concorsi, si applicano le procedure previste dall’art. 38, comma
3, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165216.

5.3.4 Legge 21 dicembre 1999, n. 508


Con la legge 21 dicembre 1999, n. 508217, il legislatore interveniva
riordinando il settore artistico-musicale in armonia con l’art. 33 della
Costituzione secondo il quale le istituzioni di alta cultura, università ed
accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti
dalle leggi dello Stato. Come disposto dall’art. 1, la finalità della legge
è la riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di
danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti
superiori per le industrie artistiche (ISIA), dei Conservatori di musica e degli
Istituti musicali pareggiati. La legge dispone che i Conservatori di musica, lâ
€™Accademia nazionale di danza e gli Istituti musicali pareggiati sono
trasformati in Istituti superiori di studi musicali e coreutici. Tali istituzioni
sono sedi primarie di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel
settore artistico e musicale, sono dotate di personalità giuridica e godono di
autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e
contabile, anche in deroga alle norme dell’ordinamento contabile dello
Stato e degli enti pubblici. Ai corsi di formazione, perfezionamento e di
specializzazione, attivati presso le istituzioni di cui all’art. 1, si accede
con il possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado. Come
già esposto, le predette istituzioni rilasciano specifici diplomi accademici di
primo e secondo livello, nonché di perfezionamento, di specializzazione e
di formazione alla ricerca in campo artistico e musicale. Per quanto attiene ai
diplomi conseguiti presso tali istituzioni anteriormente alla data di entrata in
vigore della legge n. 508/1999, la legge medesima, all’art. 4, dispone che
essi mantengono la loro validità ai fini dell’accesso allâ
€™insegnamento, ai corsi di specializzazione e alle scuole di
specializzazione218. Per quanto ai diplomi conseguiti al termine di corsi di
didattica della musica, compresi quelli rilasciati prima della data di entrata
in vigore della presente legge, hanno valore abilitante per lâ
€™insegnamento dell’educazione musicale nella scuola e costituiscono
titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle
scuole secondarie, purchè il titolare sia in possesso del diploma di scuola
secondaria superiore e del diploma di conservatorio219. Viene inoltre data
facoltà , ai diplomati presso le istituzioni di cui all’art. 1, di accedere ad
appositi corsi integrativi della durata minima di un anno al fine del
conseguimento dei diplomi accademici purché ne facciano richiesta entro
il termine di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 508 e
purché in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado.
Come previsto dall’art. 3 della legge 508/1999, è istituito il CNAM220,
ovvero il “Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e
musicaleâ€, organo elettivo di rappresentanza del sistema dell’alta
formazione e specializzazione artistica e musicale. Con sede presso il
Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, esso
esprime pareri e formula proposte:
a) sugli schemi di regolamento di cui al comma 7 dell’articolo 2,
nonché sugli schemi di decreto di cui al comma 5 dello stesso articolo;
b) sui regolamenti didattici degli istituti;
c) sul reclutamento del personale docente;
d) sulla programmazione dell’offerta formativa nei settori artistico,
musicale e coreutico. Come meglio esplicitato in nota, il CNAM è rimasto
in carica fino al febbraio 2013.

5.3.5 D.P.R. 28 febbraio 2003, n. 132 - Regolamento


recante criteri per l’autonomia statutaria,
regolamentare e organizzativa delle istituzioni
artistiche e musicali, a norma della legge 21 dicembre
1999, n. 508
Con il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132221,
venivano determinati i criteri generali per l’adozione degli statuti di
autonomia, nonchè per l’esercizio dell’autonomia regolamentare,
da parte delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di arte
drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, nonchè da
parte dei Conservatori di musica, degli Istituti musicali pareggiati e dellâ
€™Accademia nazionale di danza. Tali istituzioni, attraverso i propri statuti
di autonomia, disciplinano:
a) l’istituzione, l’organizzazione, il funzionamento delle strutture
amministrative, didattiche, di ricerca e di servizio e dei relativi organi;
b) lo svolgimento dell’attività didattica e di ricerca;
c) modalità e criteri di valutazione dei risultati didattici e scientifici,
nonché dell’attività complessiva dell’istituzione;
d) la realizzazione degli interventi di propria competenza per il diritto allo
studio;
e) modalità e procedure per le intese programmatiche e le convenzioni
finalizzate ad incentivare sinergie con altri enti ed organismi pubblici e
privati, anche stranieri;
f) la rappresentanza degli studenti negli organi di governo;
g) l’organo competente per i procedimenti disciplinari in conformità alla
normativa vigente;
h) per l’Accademia nazionale di arte drammatica, la possibilità di una
sua articolazione sul territorio;
i) per l’Accademia nazionale di danza, la possibilità di una sua
articolazione sul territorio, anche mediante la stipula di apposite
convenzioni con enti pubblici e privati.
Il decreto, conferendo autonomia regolamentare alle suddette istituzioni,
sancisce che le stesse dettano disposizioni di carattere organizzativo e
funzionale ed in particolare il regolamento didattico disciplina lâ
€™ordinamento dei corsi di formazione e i relativi obiettivi; i regolamenti di
amministrazione, finanza e contabilità disciplinano le modalità di esercizio
dell’autonomia amministrativa, finanziaria e contabile.
Al capo II, art. 4, il decreto esplicita gli organi necessari delle istituzioni:
a) il presidente;
b) il direttore;
c) il consiglio di amministrazione;
d) il consiglio accademico;
e) il collegio dei revisori;
f) il nucleo di valutazione;
g) il collegio dei professori;
h) la consulta degli studenti.
Tali organi, fatta eccezione per il collegio dei professori, durano in carica tre
anni e possono essere confermati consecutivamente una sola volta. Gli
articoli dal 5 al 12, ai quali si rimanda, esplicitano ambiti di interesse e
funzioni in capo agli organi necessari di cui all’art. 4, c. 1. Pur non
entrando nel merito di ciascuno di essi, appare utile soffermarsi sugli artt. 5 e
6 che trattano rispettivamente del Presidente e del Direttore.
Il presidente è rappresentante legale dell’istituzione […] convoca e
presiede il consiglio di amministrazione e fissa l’ordine del giorno. È
nominato dal Ministro sulla base di una designazione effettuata dal consiglio
accademico entro una terna di soggetti di alta qualificazione manageriale e
professionale proposta dallo stesso Ministro. A tal fine, il consiglio
accademico ne effettua la designazione […] entro il termine di trenta giorni,
decorso il quale il Ministro procede direttamente alla nomina prescindendo
dalla designazione222.
Il direttore è responsabile dell’andamento didattico, scientifico ed
artistico dell’istituzione e ne ha la rappresentanza. Convoca e presiede il
consiglio accademico ed è eletto dai docenti dell’istituzione, nonchè
dagli assistenti, dagli accompagnatori al pianoforte e dai pianisti
accompagnatori, tra i docenti, anche di altre istituzioni, in possesso di
particolari requisiti di comprovata professionalità .
Il decreto, dopo la disamina degli organi necessari, disciplina le norme che
attengono alla organizzazione amministrativa e contabile dell’istituzione
e l’organizzazione degli uffici da attuarsi con apposito regolamento.
Dispone inoltre la figura del direttore amministrativo al quale è conferita la
gestione amministrativa, organizzativa, finanziaria, patrimoniale e contabile
dell’istituzione. L’incarico di direttore amministrativo, come
disciplinato dall’art. 13, è attribuito, su proposta del Direttore e con
delibera del Consiglio di amministrazione, ad un dipendente dellâ
€™istituzione, ovvero di altre pubbliche amministrazioni in posizione di
comando, in possesso di laurea e già appartenente all’area direttiva.

5.3.6 Decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio


2005, n. 212
Con successivo decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n.
212223, emanato a norma dell’articolo 2 della legge 21 dicembre 1999, n.
508, vengono stabiliti i criteri generali per l’ordinamento degli studi e la
tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle istituzioni. A tal fine, il decreto
elenca i titoli rilasciati dalle istituzioni, ovvero:
a) diploma accademico di primo livello, conseguito al termine del corso di
diploma accademico di primo livello il cui obiettivo è di assicurare unâ
€™adeguata padronanza di metodi e tecniche artistiche, nonché lâ
€™acquisizione di specifiche competenze disciplinari e professionali;
b) diploma accademico di secondo livello, conseguito al termine del corso di
diploma accademico di secondo livello il cui obiettivo è di fornire allo
studente una formazione di livello avanzato per la piena padronanza di
metodi e tecniche e per l’acquisizione di competenze professionali
elevate;
c) diploma accademico di specializzazione, conseguito al termine del corso di
specializzazione il cui obiettivo è di fornire allo studente competenze
professionali elevate in ambiti specifici;
d) diploma accademico di formazione alla ricerca conseguito al termine del
corso di formazione alla ricerca nel campo corrispondente il cui obiettivo
è di fornire le competenze necessarie per la programmazione e la
realizzazione di attività di ricerca di alta qualificazione. Il titolo finale è
equiparato al dottorato di ricerca universitario;
e) diploma di perfezionamento o master, conseguito al termine del corso di
perfezionamento il quale risponde ad esigenze culturali di approfondimento
in determinati settori di studio o ad esigenze di aggiornamento o di
riqualificazione professionale e di educazione permanente.
Le istituzioni svolgono attività di produzione e di ricerca in campo artistico,
in particolare delle belle arti, musicale, coreutico, drammatico e del design, e
possono attivare attività formative finalizzate alla formazione permanente e
ricorrente, alla educazione degli adulti, nonché attività formative esterne
attraverso contratti e convenzioni. L’attività didattica è coordinata dai
dipartimenti, responsabili dell’offerta formativa complessiva. Come
disposto dall’art. 5, c. 4, i corsi di secondo livello, di specializzazione e di
formazione alla ricerca, sono attivati esclusivamente in via sperimentale, su
proposta delle istituzioni, con decreto del Ministro che verifica gli obiettivi
formativi e l’adeguatezza delle risorse umane, finanziarie e strumentali,
sentito il CNAM. I corsi sperimentali di specializzazione sono attivati con
riferimento agli ambiti professionali creativo- interpretativo, didattico-
pedagogico, metodologico-progettuale, delle nuove tecnologie e linguaggi,
della valorizzazione e conservazione del patrimonio artistico. Il decreto, allâ
€™art. 7, disciplina i requisiti di ammissione ai corsi di diploma per i quali,
in alternativa al requisito formale dato dal possesso di apposito titolo di
accesso ai diversi corsi dispensati dalle istituzioni, viene prospettata la
possibilità che i Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati e lâ
€™Accademia nazionale di danza ammettano altresì ai corsi di diploma
accademico di primo livello studenti con spiccate capacità e attitudini,
ancorchè privi del diploma di istruzione secondaria superiore, comunque
necessario per il conseguimento del diploma accademico. È disposto inoltre
che le singole istituzioni programmino il numero massimo degli studenti
ammessi ai corsi in relazione al rapporto tra studenti e docenti, nonchè alla
dotazione di strutture ed infrastrutture adeguate alle specifiche attivitÃ
formative, nel rispetto dei requisiti definiti in sede di programmazione e
valutazione del sistema. Inoltre, è disposto che:

per conseguire il diploma accademico di primo livello, lo studente deve


avere acquisito almeno 180 crediti; almeno 120 per il diploma
accademico di secondo livello. Tale misura, come disposto dall’art.
8, c. 2, può essere modificata, nel rispetto, per ogni corso, delle
disposizioni dello stesso decreto e dei conseguenti decreti del Ministro.
Tale eventuale modifica è decisa in relazione alle esigenze specifiche
di alcune materie artistiche o musicali, anche con riferimento alla
necessità di allineamento ai parametri di riconoscimento
internazionale dei titoli;
per conseguire il diploma di perfezionamento o master, lo studente
deve aver acquisito almeno 60 crediti;
per ogni corso è definita una durata in anni, tenendo conto che la
quantità media di impegno di apprendimento, svolto in un anno da
uno studente a tempo pieno, è convenzionalmente fissata in 60
crediti. I crediti corrispondenti a ciascuna attività formativa sono
acquisiti dallo studente con il superamento dell’esame o di altra
forma di verifica del profitto prevista dal regolamento didattico. Il
riconoscimento totale o parziale dei crediti acquisiti da uno studente, ai
fini della prosecuzione degli studi in altro corso della stessa istituzione
o in altre istituzioni dell’alta formazione artistica e musicale o
università o della formazione tecnica superiore224, compete alla
istituzione che accoglie lo studente, con procedure e criteri
predeterminati stabiliti nel rispettivo regolamento didattico.

I regolamenti didattici e le relative modifiche sono adottati con decreto del


Direttore dell’istituzione e resi pubblici anche per via telematica. Le
disposizioni che afferiscono ai regolamenti didattici sono contenute nellâ
€™art. 10 del decreto (al quale si rimanda) che fa una elencazione di ciò che
ogni regolamento didattico deve contenere. I regolamenti didattici, inoltre,
nel rispetto degli statuti, disciplinano gli aspetti di organizzazione dellâ
€™attività didattica comuni ai corsi di studio.
In ultimo, è da rilevare che l’art. 5, c. 1 del predetto regolamento
prevede che l’offerta formativa delle Istituzioni è articolata nei corsi di
vario livello afferenti alle scuole individuate nella tabella A allegata allo
stesso regolamento.
Tabella A
(prevista dall’art. 5, comma 1)
5.3.7 Decreti ministeriali 482 e 483 del 22 gennaio
2008
Ritenuto di dover procedere alla definizione dei nuovi ordinamenti didattici e
tenuto conto delle esperienze sperimentali già consolidate, il 22 gennaio
2008 venivano approvati due Decreti ministeriali, ovvero il 482225 e il 483226.
Quest’ultimo contiene l’allegato A la cui tabella esplicita lâ
€™ordinamento didattico dei corsi di studio per il conseguimento del
diploma accademico di I livello nei Conservatori. Per ogni “scuolaâ€
sono indicati obiettivi formativi e prospettive occupazionali. Le aree
disciplinari, i settori artistico-disciplinari nonché le corrispondenze fra le
classi di concorso in vigore e i nuovi codici sono individuati nella allegata
tabella B. Le tabelle A e B costituiscono parte integrante del decreto.
L’art. 2 del decreto dispone che i Conservatori di Musica provvederanno
a disciplinare i propri ordinamenti didattici con appositi regolamenti redatti
nel rispetto di quanto previsto nello stesso D.M. n. 483/2008 e in conformitÃ
a quanto disposto, per ogni corso, dalle disposizioni dell’articolo 10 del
D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212 e dei conseguenti decreti del ministro, approvati
dal Ministero.

5.3.8 Decreto ministeriale 9 gennaio 2018, n. 14


Considerata la necessità di concludere la fase sperimentale dei corsi
accademici di secondo livello riconducendoli ad ordinamento, il legislatore,
con il decreto ministeriale 9 gennaio 2018, n. 14227, definiva gli ordinamenti
didattici dei corsi di studio per il conseguimento del diploma accademico di
secondo livello nelle Istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale
e coreutica, pubbliche e private, e le relative modalità di accreditamento dei
corsi stessi. Disponeva che successivamente all’accreditamento dei corsi
di secondo livello ai sensi del presente decreto, i corsi di diploma
accademico di secondo livello attivati in via sperimentale sono soppressi,
garantendo comunque agli studenti iscritti di portare a compimento il
percorso di studi secondo il previgente ordinamento.
I corsi di diploma accademico di secondo livello vengono proposti dalle
Istituzioni come riferimento al proseguimento degli studi di un triennio o
come nuova attivazione con indirizzi specifici. Relativamente al
trasferimento degli studenti da un corso di diploma accademico di secondo
livello a un altro, è disposto che i regolamenti didattici assicurano il
riconoscimento del maggior numero possibile dei crediti già maturati dallo
studente, secondo criteri e modalità previsti dal regolamento didattico del
corso di diploma accademico di secondo livello di destinazione. Nel caso in
cui il trasferimento dello studente sia effettuato tra corsi di diploma
accademico di secondo livello appartenenti alla medesima Scuola, la quota
di crediti direttamente riconosciuti allo studente non può essere inferiore al
50% di quelli già maturati. Il decreto dispone inoltre che possano essere
riconosciute conoscenze e abilità professionali certificate individualmente
come pure altre conoscenze e abilità maturate in attività formative alla cui
progettazione e realizzazione l’Istituzione abbia concorso. Il numero
massimo di crediti formativi accademici riconoscibili è fissato per ogni
corso di diploma accademico di secondo livello nel proprio ordinamento
didattico e non può comunque essere superiore a 12. I crediti formativi giÃ
acquisiti nell’ambito di corsi di diploma accademico di primo livello non
possono essere nuovamente riconosciuti come crediti formativi nellâ
€™ambito di corsi di diploma accademico di secondo livello.
I singoli corsi di secondo livello sono approvati con decreti ministeriali
secondo modalità , tempistiche e procedure che saranno definite con
successivi provvedimenti direttoriali. L’accreditamento dei corsi decorre
dall’anno accademico 2018-2019.
In ultimo, rileviamo che il Ministero contribuisce annualmente al sostegno
finanziario delle Istituzioni AFAM, attraverso il contributo per il
funzionamento e per le attività didattiche, il fondo per il miglioramento
dell’offerta formativa, le risorse per le supplenze e per le collaborazioni
didattiche, le risorse per l’acquisto di attrezzature e investimenti in conto
capitale per l’edilizia. Le risorse assegnate dal Ministero ai Conservatori,
alle Accademie Statali, agli ISIA, alle cinque Accademie di belle arti non
statali e ai 18 Istituti musicali pareggiati sono prevalentemente destinate al
funzionamento. Esse confluiscono, a seconda dei vari vincoli di destinazione,
nei bilanci delle singole Istituzioni. Annualmente, il Ministro assegna con
proprio Decreto le risorse a ciascuna Istituzione228.
211
“Regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed
accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, a
norma dell’articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133â€.
212
Fonte: Ministero dell’Istruzione – Ministero dell’Università e
della Ricerca – Argomenti e Servizi (online) – Il sistema Afam.
213
Space for higher education Bologna June 18-19, 1999 - Lo spazio europeo
dell’istruzione superiore – Trattasi della Dichiarazione congiunta dei
Ministri Europei dell’Istruzione Superiore intervenuti al Convegno di
Bologna il 19 Giugno 1999 che ha sortito l’impegno degli stessi a
coordinare le loro politiche per conseguire in tempi brevi, e comunque entro
il primo decennio del 2000, i seguenti obiettivi di primaria importanza per lâ
€™affermazione dello spazio europeo dell’istruzione superiore e per la
promozione internazionale del sistema europeo dell’istruzione superiore:
adozione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità ,
anche tramite l’implementazione del Diploma Supplement, al fine di
favorire l’employability dei cittadini europei; adozione di un sistema
essenzialmente fondato su due cicli principali, rispettivamente di primo e di
secondo livello; consolidamento di un sistema di crediti didattici- sul modello
dell’ECTS – acquisibili anche in contesti diversi, compresi quelli di
formazione continua e permanente; promozione della mobilità mediante la
rimozione degli ostacoli al pieno esercizio della libera circolazione;
promozione della cooperazione europea nella valutazione della qualità al
fine di definire criteri e metodologie comparabili; promozione della
necessaria dimensione europea dell’istruzione superiore, con particolare
riguardo allo sviluppo dei curricula, alla cooperazione fra istituzioni, agli
schemi di mobilità e ai programmi integrati di studio, formazione e ricerca.
Per l’Italia, era presente Ortensio ZECCHINO, Minister of University
and Scientific and Technological Research. (Fonte: Ministero dellâ
€™Università e della Ricerca, Cooperazione internazionale, Accordi e
politiche internazionali, Documentazione).
214
Con il Decreto Ministeriale 16 gennaio 2018, n. 18, rubricato: â
€œRidefinizione dei bienni di Didattica della Musica e dello Strumento
Musicaleâ€, a decorrere dall’anno accademico 2017 – 2018 gli Istituti
Superiori di Studi musicali - Conservatori di musica e gli Istituti musicali
pareggiati - sedi di Dipartimenti di didattica della musica, sono autorizzati ad
attivare corsi di diploma accademico di secondo livello ordinamentali di
didattica della musica e dello strumento ridefiniti come corsi di diploma
accademico di secondo livello non abilitanti e ad accesso libero (art. 1); gli
ordinamenti didattici, gli obiettivi formativi e gli sbocchi professionali dei
corsi di studio per il conseguimento del diploma accademico di secondo
livello in didattica della musica e didattica dello strumento dei Conservatori
di musica e degli Istituti musicali pareggiati sono riordinati secondo le
allegate tabelle A e B che fanno parte integrante dello stesso decreto (art. 2).
215
Gli interessati devono inviare la domanda di equipollenza al Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca –Dipartimento per
la formazione superiore e per la ricerca – Direzione Generale per lo
studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione
superiore – Uff. IV - Via Michele Carcani, n. 61 – 00153 Roma -
allegando quanto segue: 1) Fotocopia autenticata e traduzione giurata del
titolo di studio; 2) Fotocopia della documentazione relativa ai programmi di
corso e di esame finale tradotti e legalizzati; 3) Dichiarazione di valore in
loco; 4) Autocertificazione della cittadinanza italiana o della UE; 5)
Fotocopia del documento d’identità ; 6) Fotocopia del codice fiscale; 7)
Fotocopia del diploma di scuola secondaria superiore; 8) Fotocopia di tutta la
documentazione presentata; 9) Domanda di equipollenza.
216
Gli interessati devono inviare la domanda al Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca –Direzione Generale per lo studente, lo
sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore – Uff.
IV – via telematica - allegando quanto segue: 1) fotocopia autentica del
titolo di studio estero; 2) fotocopia autentica del titolo di studio estero,
tradotto e legalizzato; 3) certificato analitico degli esami sostenuti, rilasciato
dall’istituto ove è stato conseguito il titolo di studio e tradotto; 4)
dichiarazione di valore in loco; 5) autocertificazione della cittadinanza degli
Stati membri dell’Unione europea; 6) fotocopia del documento di
identità ; 7) fotocopia del diploma di scuola secondaria superiore; 8)
fotocopia del bando di concorso cui si intende partecipare. Gli interessati
dovranno, altresì, inviare la domanda alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri – Dipartimento della funzione pubblica – Corso Vittorio
Emanuele II, 116 – 00186 corredata dei seguenti documenti: 1) fotocopia
del documento di identità ; 2) fotocopia del bando di concorso cui si intende
partecipare. Per quanto alle informazioni fin qui prodotte (desunte dal sito
ufficiale del Ministero dell’Istruzione – Il sistema Afam) comprensive
dei cicli di studio e di tutte le disposizioni trattate, per una visione esaustiva si
rimanda al D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212, Regolamento recante disciplina per
la definizione degli ordinamenti didattici delle Istituzioni di alta formazione
artistica, musicale e coreutica, a norma dell’articolo 2 della legge 21
dicembre 1999, n. 508, del quale si parlerà più nel dettaglio nel prosieguo
del capitolo.
217
“Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale
di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti
superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli
Istituti musicali pareggiatiâ€.
218
Legge 21 dicembre 1999, n. 508, come modificata dal decreto-legge 25
settembre 2002, n. 212, art. 6, c. 1, lettera a), convertito, con modificazioni,
nella legge 22 novembre 2002, n. 268, art. 6, c. 1, lettera a).
219
Legge 21 dicembre 1999, n. 508, come modificata dal decreto-legge 25
settembre 2002, n. 212, art. 6, c. 1, lettera a), convertito, con modificazioni,
nella legge 22 novembre 2002, n. 268, art. 6, c. 2.
220
Il Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale
(Cnam), previsto dall’articolo 3 della legge 508 del 21 dicembre 1999, è
organo elettivo di rappresentanza del sistema dell’alta formazione e
specializzazione artistica e musicale. Concorre all’attività di
programmazione, di indirizzo e di coordinamento del sistema artistico,
coreutico e musicale, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni. Tale
organismo, rinnovato per l’ultima volta con Decreto del Ministro dellâ
€™Università e della Ricerca del 16 febbraio 2007, è rimasto in carica
fino al febbraio 2013 (Fonte: https://www.miur.gov.it/cnam).
221
“Regolamento recante criteri per l’autonomia statutaria,
regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche e musicali, a norma
della legge 21 dicembre 1999, n. 508â€.
222
Il suddetto art. 5 sarà in seguito novellato dal D.P.R. 31 ottobre 2006, n.
295, “Regolamento recante disposizioni correttive e integrative al decreto
del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, in materia di
modalità di nomina dei presidenti delle istituzioni artistiche e musicaliâ€.
Strutturato in 2 articoli, il decreto dispone:
Art. 1. Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio
2003, n. 132:
1. All’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio
2003, n. 132, i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:
2. Il presidente è nominato dal Ministro entro una terna di soggetti,
designata dal consiglio accademico, in possesso di alta qualificazione
professionale e manageriale, nonché di comprovata esperienza maturata
nell’ambito di organi di gestione di istituzioni culturali ovvero avente
riconosciuta competenza nell’ambito artistico e culturale.
3. Il consiglio accademico effettua la designazione di cui al comma 2 entro il
termine di sessanta giorni antecedenti la scadenza dell’incarico del
presidente uscente. Il Ministro provvede alla nomina entro il termine di
trenta giorni dalla data di ricezione delle predette designazioni.
Art. 2. Norma transitoria:
1. I presidenti in carica alla data di entrata in vigore del presente
regolamento continuano ad esercitare le proprie funzioni fino allâ
€™insediamento dei nuovi presidenti nominati con le modalità di cui allâ
€™articolo 1. A tale fine, il consiglio accademico effettua la designazione
della terna entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente
regolamento.
223
“Regolamento recante disciplina per la definizione degli ordinamenti
didattici delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreuticaâ€.
224
Di cui all’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
225
Decreto Ministeriale 22 gennaio 2008, n. 482, “Definizione dei nuovi
ordinamenti didattici delle Accademie di Belle Artiâ€, prot. n.
GAB/482/2008.
226
Decreto Ministeriale 22 gennaio 2008, n. 483, “Definizione dei nuovi
ordinamenti didattici dei Conservatori di musicaâ€, prot. n. GAB/483/2008.
227
“Istituzione di Corsi accademici di secondo livello (DASL)
ordinamentaliâ€.
228
Fonte: https://www.miur.gov.it/web/guest/finanziamenti2
Capitolo 6
La governance delle istituzioni
scolastiche
di Alessandro Signorino Gelo

6.1 Gli organi collegiali


Per governance delle istituzioni scolastiche si intende l’insieme di tutti
quegli atti e di quelle azioni che il dirigente scolastico intraprende per
assicurare i princìpi di efficacia e di efficienza di una organizzazione
complessa come quella della Scuola. Nel concreto, le azioni legate alla
governance attengono a tutte quelle linee di indirizzo che il dirigente
scolastico fornisce ai vari organi di governo della scuola stessa. Il dirigente
scolastico persegue l’obiettivo della creazione di valore all’interno
del suo istituto agendo secondo criteri di promozione delle risorse umane. Le
linee di indirizzo del dirigente scolastico vengono declinate nelle funzioni
degli organi collegiali di governo delle istituzioni scolastiche i quali
concorrono alla gestione unitaria dell’istituzione di cui il dirigente è
garante e di cui ha la legale rappresentanza. È da dire che i suoi autonomi
poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane
devono sempre essere esercitati nel rispetto delle competenze degli organi
collegiali scolastici, nell’ambito dei quali è chiamato a promuovere gli
interventi per assicurare la qualità dei processi formativi. Parimenti, gli
organi collegiali sono investiti del compito di garantire l’efficacia dellâ
€™autonomia delle istituzioni scolastiche, come indicato dal Regolamento
dell’autonomia scolastica229. Nel solco di un dialogo costruttivo e nel
rispetto delle competenze degli organi collegiali, il dirigente presenta
periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata
relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa,
organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia
informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze
degli organi della istituzione scolastica230.
Nel Testo unico sul Pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001) è rinvenibile un
chiaro e dettagliato decalogo di azioni attinenti a forme condivise di
governance, come sancito nei decreti delegati del 1974. A tal uopo, nel
D.P.R. 416/1974, gli organi collegiali venivano costituiti al fine di realizzare
la partecipazione della gestione della scuola dando ad essa il carattere di una
comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica. Tali
disposizioni sono poi confluite nel Testo Unico della scuola231, al Titolo I,
Capo I, Sezione I, artt. 5-15. In questa sede, nell’ordine, prenderemo in
esame:

Consiglio di intersezione, di interclasse e di classe;


Collegio dei docenti;
Consiglio di circolo o di istituto e giunta esecutiva;
Comitato per la valutazione dei docenti;
Assemblee degli studenti e dei genitori.

6.1.1 Funzionamento degli organi collegiali


L’art. 40 del Testo Unico della scuola prescrive che in caso di inerzia
della scuola ovvero nel caso in cui essa non si sia dotata di un regolamento di
funzionamento degli organi collegiali, va applicato il “Regolamento tipoâ€
che il Ministero ha fornito con la circolare ministeriale 16 aprile 1975, n.
105232. La competenza spetta al Consiglio di istituto: esso, infatti, su proposta
della giunta, ha potere deliberante per quanto concerne l’organizzazione e
la programmazione della vita e dell’attività della scuola, e adotta il
regolamento interno del circolo o dell’istituto233.

6.1.2 Organi collegiali - elezioni


Non tutti gli organi collegiali sono interessati dalle elezioni. Quelli che, nel
loro seno, hanno componenti soggetti a elezione, sono:

Consiglio di intersezione, di interclasse e di classe, per la componente


genitori;
Consiglio di circolo o di istituto, per tutte le componenti;
Comitato per la valutazione dei docenti, sulla scorta della nuova
disciplina introdotta dalla legge detta della Buona scuola.

La disciplina delle elezioni degli organi collegiali a livello di circolo-istituto


è normata dall’Ordinanza ministeriale 15 luglio 1991 n. 215, più volte
novellata234. Le elezioni per la costituzione dei consigli di circolo o di istituto,
dei consigli di interclasse, di classe e di intersezione sono indette dal direttore
didattico o preside (oggi dirigente scolastico), in data indicata dall’U.S.R.
del territorio.

6.1.3 Consiglio di intersezione, di interclasse e di


classe - composizione
Il consiglio di intersezione nella scuola dell’infanzia, il consiglio di
interclasse nella scuola primaria e il consiglio di classe negli istituti di
istruzione secondaria sono rispettivamente composti dai docenti delle sezioni
dello stesso plesso nella scuola dell’infanzia, dai docenti dei gruppi di
classi parallele o dello stesso ciclo o dello stesso plesso nella scuola primaria
e dai docenti di ogni singola classe nella scuola secondaria. Fanno parte del
consiglio di intersezione, di interclasse e del consiglio di classe anche i
docenti di sostegno, contitolari delle classi interessate. Nella scuola
secondaria si integrano genitori e alunni (nel secondo grado) in particolari
momenti.

6.1.4 Elezioni dei rappresentanti dei genitori e degli


studenti nei consigli di intersezione, di interclasse e di
classe
Entro il 31 ottobre di ogni anno, il dirigente scolastico convoca per ciascuna
classe - o per ciascuna sezione (scuola dell’infanzia) - l’assemblea dei
genitori e nelle scuole secondarie di secondo grado e artistiche,
separatamente quella degli studenti. A tali assemblee debbono partecipare,
possibilmente, tutti i docenti della classe, al fine di illustrare le problematiche
connesse con la partecipazione alla gestione democratica della scuola ed
informare sulle modalità di espressione del voto. L’assemblea, dopo un
breve confronto anche con il docente a ciò delegato, che la presiede,
procede alla elezione dei rappresentanti di interclasse, di classe e di
intersezione rispettivamente della componente genitori e, nelle scuole
secondarie di secondo grado e artistiche, di quella studentesca. In occasione
delle assemblee per eleggere i rappresentanti degli studenti nel consiglio di
classe, la componente studentesca elegge anche i propri rappresentanti nel
consiglio di istituto delle scuole secondarie di secondo grado e artistiche. Le
liste predette sono presentate dal 20° al 15° giorno antecedente le
votazioni235.
Fanno parte, altresì, del consiglio di intersezione, di interclasse o di classe:
a) nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, per ciascuna delle
sezioni o delle classi interessate, un rappresentante eletto dai genitori degli
alunni iscritti;
b) nella scuola secondaria di primo grado, quattro rappresentanti eletti dai
genitori degli alunni iscritti alla classe;
c) nella scuola secondaria di secondo grado, due rappresentanti eletti dai
genitori degli studenti iscritti alla classe, nonché due rappresentanti eletti
dagli studenti della classe236.

6.1.5 Riunione dei consigli di intersezione, di


interclasse e di classe
I consigli si riuniscono o con la sola componente docenti o con la presenza di
docenti e genitori rappresentanti di classe eletti (e degli studenti nella scuola
secondaria di secondo grado). Il dirigente scolastico, esercitando autonomi
poteri di direzione, ovvero organizzando l’attività scolastica secondo
criteri di efficienza e di efficacia formative237, può convocare il consiglio di
interclasse della scuola primaria a livello delle classi parallele, o a livello di
tutte le classi del plesso o per biennio o triennio.

6.1.6 Funzioni dei consigli con i soli docenti (a) e con


la componente genitori e studenti (b)
a) Consigli con i soli docenti
Le competenze relative alla realizzazione del coordinamento didattico e dei
rapporti interdisciplinari spettano al consiglio di intersezione, di interclasse
e di classe con la sola presenza dei docenti. Parimenti, negli istituti e scuole
di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione
periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola
presenza dei docenti. I consigli di intersezione, di interclasse e di classe sono
presieduti rispettivamente dal direttore didattico e dal preside (oggi dirigente
scolastico) oppure da un docente, membro del consiglio, all’uopo
delegato; si riuniscono in ore non coincidenti con l’orario delle lezioni,
col compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine allâ
€™azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e con
quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed
alunni238. I docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutte le alunne
e gli alunni della classe; nel caso in cui a più docenti di sostegno sia
affidato, nel corso dell’anno scolastico, la stessa alunna o lo stesso alunno
con disabilità , la valutazione è espressa congiuntamente239. Fanno parte del
consiglio sia i docenti di IRC sia quelli delle attività alternative allâ
€™insegnamento della religione cattolica. Gli esperti esterni rivestono solo
un ruolo consultivo e dunque non vi prendono parte.
b) Consigli con la componente genitori e studenti
Per quanto concerne i consigli con la componente genitori e studenti, lâ
€™organo così costituito promuove forme di interazione e di ascolto in
quanto genitori e studenti partecipano al processo di attuazione e sviluppo
dell’autonomia assumendo le rispettive responsabilità nel solco del
miglioramento educativo e formativo degli studenti. I genitori approvano le
proposte delle visite di istruzione ed esprimono parere sulla adozione dei libri
di testo. Vengono informati dell’andamento dell’attività didattica
svolta e programmata e formulano proposte in merito alla stessa, previo
consulto con gli altri genitori della classe. In merito, si fanno portavoce di
eventuali problematiche loro segnalate e coadiuvano i docenti promuovendo
soluzioni.

6.1.7 Collegio dei docenti: funzionamento


L’art. 7 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 definisce il collegio dei docenti
come l’organo composto dal personale docente di ruolo e non di ruolo in
servizio nell’istituto, ed è presieduto dal direttore didattico o dal preside
(dirigente scolastico).
Il collegio dei docenti, essendo organo annuale, decade il 31 di agosto di
ciascun anno e si rinnova nell’anno scolastico successivo, composto dai
docenti del nuovo anno. Si insedia all’inizio di ciascun anno scolastico e
si riunisce ogni qualvolta il dirigente scolastico ne ravvisi la necessitÃ
oppure quando almeno un terzo dei suoi componenti ne faccia richiesta;
comunque, almeno una volta per ogni trimestre o quadrimestre240. Il collegio
dei docenti è presieduto dal direttore didattico o dal preside (dirigente
scolastico)241. In caso di assenza o impedimento del dirigente, un membro del
suo staff lo sostituirà assumendone la presidenza242.
Il collegio dei docenti è convocato dal dirigente scolastico. In mancanza di
disposizioni del Consiglio di Istituto che disciplinino il funzionamento degli
organi collegiali, ovvero nelle more dell’adozione del regolamento
interno, si applica il “regolamento tipo†contenuto nella circolare
ministeriale n. 105/1975 che, all’art. 1, dispone che la convocazione del
collegio docenti avviene di norma con un congruo preavviso, di massima non
inferiore ai 5 giorni, rispetto alla data delle riunioni. La convocazione deve
essere effettuata con lettera diretta ai singoli membri dell’organo
collegiale e mediante affissione all’albo di apposito avviso; in ogni caso,
l’affissione all’albo dell’avviso è adempimento sufficiente per
la regolare convocazione dell’organo collegiale243. Oggi, tale disposto
trova coniugazione pratica nell’invio di email istituzionale a tutti i
membri del collegio nella quale sono indicati gli argomenti da trattare nella
seduta dell’organo collegiale244 (cosiddetto OdG, ordine del giorno). È
da dire che la mancata convocazione di uno o più componenti rende
illegittima l’adunanza e conseguentemente, le deliberazioni nella stessa
prese, a nulla rilevando la presenza del numero legale, che non sana il vizio
della convocazione (T.A.R. Veneto, decisione del 25/07/1974, n. 21). Vale
anche ricordare che il Consiglio di Stato, con decisione n. 998 del
19/02/2002, ha sancito che l’omessa convocazione della totalità dei
componenti del collegio determina l’illegittimità delle sedute e delle
deliberazioni adottate, che può essere fatta valere dal soggetto avente titolo
a partecipare alle sedute, indipendentemente da ogni prova di resistenza
sull’esito delle votazioni, in quanto l’omessa convocazione (con
conseguente mancata conoscenza dell’ordine del giorno), costituente
impedimento alla partecipazione del componente non convocato alla
riunione, lede la sfera degli interessi del singolo con riferimento allâ
€™esercizio dell’ufficio di cui è contitolare e del potere decisionale di
intervenire o meno alla riunione, e di concorrere, dunque, o meno, al
risultato della seduta (dec. n. 909 del 16 novembre 1987).
Per quanto riguarda l’OdG, esso indica quali argomenti saranno
affrontati dall’organo collegiale e in che sequenza saranno discussi. Negli
anni, copiosa è stata la giurisprudenza sull’argomento; ne forniamo qui
una breve panoramica.
Con decisione del 7/7/1979, n. 175, il T.A.R. Puglia – Lecce precisa che
affinché la convocazione di un organo collegiale sia valida, è necessario
che l’ordine del giorno individui gli argomenti da trattare in modo tale
che i membri del Collegio abbiano la possibilità di valutare lâ
€™importanza della seduta e il contenuto dei problemi da risolvere. La
decisone del Consiglio di Stato del 5/6/1979, n. 427, sancisce che nellâ
€™ordine del giorno della seduta di un organo collegiale deve essere
menzionato l’oggetto della deliberazione con espressioni idonee a
consentire la precisa indicazione degli argomenti da trattare, in modo che i
singoli membri del collegio abbiano la possibilità di valutare lâ
€™importanza della seduta ed il contenuto dei problemi da risolvere.
Accade sovente che nelle riunioni collegiali ci si ritrovi a disquisire su
argomenti non ricompresi nell’OdG. Nel caso di specie, il Consiglio di
Stato è intervenuto statuendo che è legittima la deliberazione di un organo
collegiale in ordine ad una materia non specificatamente indicata allâ
۪ordine del giorno, allorch̩ risulti per certo che tutti i componenti del
collegio erano preparati per discutere l’argomento e lo hanno discusso,
deliberando all’unanimità (decisione 14/07/1970, n. 679). Nel dicembre
1981 il Consiglio di Stato statuiva che la funzione dell’avviso di
convocazione delle sedute di un organo collegiale è quella di informare
preventivamente i singoli membri degli argomenti in discussione, affinché
ciascuno possa intervenire adeguatamente preparato ed al limite possa
scientemente decidere la propria partecipazione o meno alle singole sedute;
pertanto è illegittima una delibera assunta su di un argomento che non
abbia formato oggetto dell’ordine del giorno» (Consiglio di Stato, sez.
IV, 11 dicembre 1981, n. 1063).
Di simile avviso il T.A.R. Puglia – Bari che, con decisione del 5/2/2003, n.
550, afferma che è consolidata la giurisprudenza nel ritenere illegittima la
deliberazione assunta da un organo collegiale, relativamente ad un oggetto
non previamente indicato nell’ordine del giorno della seduta, non
essendone consentita la trattazione fra le voci “varie ed eventualiâ€,
almeno qualora l’argomento abbia un’oggettiva rilevanza ed
implichi un articolato procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 27/8/1997, n.
1218). L’ordine del giorno rappresenta invero non solo lo strumento
mediante il quale avviene la convocazione dell’organo collegiale
(configurandosi dunque come atto di iniziativa del subprocedimento inteso
alla regolare costituzione del collegio), ma indica altresì la
predeterminazione delle materie oggetto di trattazione, ed adempie dunque
alla chiara finalità di consentire ai membri del collegio di valutare lâ
€™importanza della seduta ed il contenuto degli argomenti iscritti.
In sede di Collegio dei docenti, il dirigente scolastico è primus inter pares,
dunque non pone in essere la sua sovraordinazione gerarchica nei confronti
del collegio, bensì vi esprime funzioni di valorizzazione delle risorse
umane promuovendo gli interventi per assicurare la qualità dei processi
formativi per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli
alunni; si adopera per rispettare (e far rispettare) i principi di buon
andamento, imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa; vi
assicura il rispetto della legge e stabilisce un rapporto di fiducia e di
collaborazione nei rapporti istituzionali con gli utenti (e con il corpo docente)
mantenendo una condotta uniformata a princìpi di correttezza e
astenendosi da comportamenti lesivi della dignità della persona245.
Le riunioni del collegio dei docenti sono momenti di analisi dell’azione
formativa posta in essere dall’istituto. Le decisioni assunte vengono poi
formalizzate dal dirigente scolastico il quale è chiamato a curare lâ
€™esecuzione delle deliberazioni prese dai predetti organi collegiali246. Le
riunioni del collegio hanno luogo durante l’orario di servizio in ore non
coincidenti con l’orario di lezione247. Alle adunanze del collegio docenti
non è consentita la partecipazione di estranei la cui presenza renderebbe
illegittime le deliberazioni adottate. Deve, pertanto, ribadirsi, alla stregua di
un rigoroso orientamento giurisprudenziale in materia (Cons. Stato, Sez. VI,
21 agosto 1993, n. 585; Sez. V, 19 dicembre 1980, n. 989; Sez. IV, 8 marzo
1967, n. 74), secondo cui la presenza di soggetti non legittimati in un organo
collegiale vizia gli atti adottati tutte le volte che detta presenza superi la
stretta necessaria esigenza del compimento di attività serventi al
funzionamento dell’organo stesso, in quanto i soggetti non legittimati
possono aver influenzato la formazione del convincimento dei componenti il
collegio. È il caso di aggiungere che la questione riguardante la
partecipazione, alle sedute di un collegio, di soggetti non legittimati non
attiene al problema del quorum necessario per la legittima adozione dei
provvedimenti collegiali, ma il diverso problema della possibilità che i
soggetti estranei, attraverso la discussione, siano in grado di influenzare la
volontà del collegio, possibilità questa che è direttamente correlata alla
partecipazione di soggetti estranei ai collegi, sia che si tratti di collegi
perfetti, che di collegi imperfetti. Sotto diverso profilo, ne consegue che la
questione della illegittima partecipazione di soggetti estranei al collegio non
può essere superata con la prova di resistenza, poiché l’illegittimitÃ
delle deliberazioni adottate discende dal semplice fatto della partecipazione
alla seduta di soggetti non legittimati che possono, appunto, influenzare le
stesse deliberazioni (Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 2258
del 12 aprile 2001).
Per la validità dell’adunanza del collegio dei docenti, è richiesta la
presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica. Le
deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti validamente
espressi, salvo che disposizioni speciali prescrivano diversamente. In caso di
parità prevale il voto del presidente. La votazione è segreta solo quando si
faccia questione di persone248. Il voto è espressione di libertà e autonomia
e avviene secondo i doveri di diligenza, lealtà , imparzialità e buona
condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare249. Secondo una
consolidata giurisprudenza, è prevista l’astensione in tutti i casi in cui
non ci si trovi in posizioni di assoluta serenità rispetto alle decisioni da
adottare di natura discrezionale. Tale assunto è di fondamentale importanza
in quanto le decisioni di ciascuno hanno ripercussioni di natura giuridica. A
tal proposito, in autotutela e ai fini di una maggiore trasparenza delle
decisioni assunte durante le riunioni del collegio docenti, nel processo
verbale è buona prassi riportare le indicazioni dei contrari, degli astenuti e
di chi è a favore: Quando la violazione del diritto sia derivata da atti od
operazioni di collegi amministrativi deliberanti, sono responsabili, in solido,
il presidente ed i membri del collegio che hanno partecipato all’atto od
all’operazione. La responsabilità è esclusa per coloro che abbiano
fatto constare nel verbale il proprio dissenso250.
Alla redazione del processo verbale, steso su apposito registro a pagine
numerate, provvederà un docente collaboratore eletto dal dirigente
scolastico251. Il docente verbalizzatore riveste la qualifica di pubblico
ufficiale ex art. 2700 del codice civile: L’atto pubblico fa piena prova,
fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli
altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti. Il verbale, in quanto atto pubblico, non deve contenere lacune,
aggiunte, abbreviazioni, correzioni, alterazioni o abrasioni. Sono ammesse
abbreviazioni, acronimi, ed espressioni in lingua straniera di uso comune.
Qualora risulti necessario apportare variazioni al testo, si provvede in modo
che la precedente stesura resti leggibile252. La verbalizzazione avviene
contestualmente allo svolgimento dei lavori collegiali ed il verbale redatto è
approvato in ultimo allo scioglimento dell’adunanza. Nella prassi, lâ
€™approvazione del verbale è prevista come primo punto all’OdG del
collegio docenti seguente. Il verbale riporterà le firme del presidente e del
segretario. Ciò rileva anche dal punto di vista giurisprudenziale secondo cui
non essendo il verbale un atto collegiale comporta, come conseguenza, che la
sottoscrizione di tutti i componenti del collegio, della cui attività in esso
venga dato atto, non può considerarsi elemento essenziale per la sua
esistenza ed intrinseca validità , che possono essere incise solo dalla
mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che svolge la funzione di
redattore del verbale, ovvero dalla mancata indicazione delle persone
intervenute (Consiglio di Stato, 25/01/2003, n. 344). Come già esposto, il
verbale, in quanto atto pubblico, fa piena prova fino a querela di falso253.
L’accesso ai verbali dei Collegi dei docenti rientra nei casi in cui
(Consiglio di Stato, Sezione Sesta, del 6 maggio 2013, n. 2423) lâ
۪interesse ̬ in re ipsa, inerendo alla funzione di componente del collegio
dei docenti, che giustifica l’esigenza di conservare e poter disporre della
documentazione dell’attività svolta. Il componente di un organo
collegiale dell’amministrazione ha un interesse concreto e diretto, oltre
che qualificato, a disporre di copia degli atti e dei verbali inerenti allâ
€™attività del collegio stesso, per verifica, approfondimento, memoria dellâ
€™iter di formazione della volontà collegiale (cfr. Cons. Stato, VI, 9 giugno
2005, n. 3042); disponibilità che non può essere circoscritta solo allâ
€™occasione delle riunioni cui egli partecipa o della apposizione della firma
ai verbali ad esse relativi. Proprio alla qualità di componente di organo
collegiale dell’istituzione scolastica si riconnette l’interesse, cui la
disponibilità della documentazione può essere funzionale, ad ogni utile
iniziativa sul piano propositivo e deliberativo per il miglior perseguimento
degli interessi di rilievo pubblico che fanno capo all’istituzione stessa.

6.1.8 Funzioni del collegio dei docenti


Il collegio dei docenti ha potere deliberante in materia di funzionamento
didattico dell’istituto ovvero cura la programmazione generale dellâ
€™azione educativa adeguando i programmi di insegnamento alle specifiche
esigenze ambientali e favorendo il coordinamento interdisciplinare. Tale
potere è esercitato nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a
ciascun docente. Valuta periodicamente l’andamento complessivo dellâ
€™azione didattica proponendo, ove necessario, opportune misure per il
miglioramento dell’attività scolastica; delibera la suddivisione dellâ
€™anno scolastico in due o tre periodi; provvede all’adozione dei libri di
testo; adotta o promuove nell’ambito delle proprie competenze iniziative
di sperimentazione; promuove iniziative di aggiornamento dei docenti. Il
collegio esercita anche funzioni propositive nell’ambito della
formazione, composizione delle classi e assegnazione ad esse dei docenti, per
la formulazione dell’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre
attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di
istituto. Il collegio, a differenza di quanto stabilito dall’art. 7, c. 2, lett. h)
del T.U., non elegge più i docenti incaricati di collaborare con il dirigente
scolastico. Il D.Lgs. 165/2001, art. 25, c. 5, ha di fatto cancellato tale
prerogativa, attribuendo allo stesso dirigente la facoltà di avvalersi di
docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti.
Da ultimo, la legge c.d. della Buona scuola ha ulteriormente rivisitato tale
istituto conferendo al dirigente scolastico la facoltà di individuare, nellâ
€™ambito dell’organico dell’autonomia, fino al 10 per cento di
docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico
dell’istituzione scolastica254.
Tra le funzioni proprie del collegio docenti, una tra le più rilevanti è la
elaborazione del Piano triennale dell’offerta formativa (seppur sulla
base degli indirizzi definiti dal dirigente scolastico), già prevista dallâ
€™articolo 3 del Regolamento di cui al D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275,
novellato dall’art. 1, comma 14 della l. 107/2015. Come noto, il PTOF
dev’essere poi approvato dal consiglio di istituto.
Le prerogative del collegio di eleggere nel suo seno i docenti che fanno parte
del comitato per la valutazione del servizio del personale docente255, sono
anch’esse state novellate dalla legge 107/2015, comma 129; lâ
۪argomento ̬ ampiamente analizzato nel prosieguo della trattazione.
Nell’ambito della designazione dei docenti responsabili delle funzioni
strumentali, essa rimane prerogativa del collegio dei docenti secondo la
normativa dettata dall’art. 33, CCNL scuola 2006/2009 che al comma 2
dispone: tali funzioni strumentali sono identificate con delibera del collegio
dei docenti in coerenza con il piano dell’offerta formativa che,
contestualmente, ne definisce criteri di attribuzione, numero e destinatari. Le
stesse non possono comportare esoneri totali dall’insegnamento e i
relativi compensi sono definiti dalla contrattazione d’istituto.
Nell’adottare le proprie deliberazioni, il collegio dei docenti tiene conto
delle eventuali proposte e pareri dei consigli di intersezione, di interclasse o
di classe e si pronuncia su ogni altro argomento attribuito dal testo unico,
dalle leggi e dai regolamenti, alla sua competenza. In generale, il collegio ha
funzioni decisionali sotto il profilo della didattica, a differenza del consiglio
di istituto che rimane organo di governo politico amministrativo delle
istituzioni scolastiche.

229
Decreto del Presidente della Repubblica n. 275/1999, art. 16, c.1.
230
Testo unico sul Pubblico impiego, D.Lgs. 165/2001, art. 25, c. 6.
231
“Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado†Decreto Legislativo
16 aprile 1994, n. 297.
232
“Applicazione del regolamento tipo nelle more dell’adozione del
regolamento internoâ€.
233
D.Lgs. 297/1994, art. 10, c. 3, l. a).
234
Ordinanza Ministeriale 15 luglio 1991, n. 215, come modificata dallâ
€™Ordinanza Ministeriale 24 giugno 1996, n. 293 e dall’Ordinanza
Ministeriale 17 giugno 1998, n. 277.
235
Ordinanza ministeriale 15 luglio 1991 n. 215, art. 21, commi 1, 2 e 3.
236
“Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado†Decreto Legislativo
16 aprile 1994, n. 297, art. 5, comma 2.
237
Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 25, comma 2.
238
Testo Unico, art. 5, commi 6, 7 e 8.
239
D.Lgs. n. 62/2017, art. 2, c. 6.
240
Testo Unico, art. 7, comma 4.
241
Testo Unico, art. 7, comma 1.
242
Testo Unico, art. 7, comma 2, lettera h).
243
C.M. 16 aprile 1975, n. 105, art. 1.
244
C.M. n. 105/1975, cit.
245
CCNL relativo al personale dell’Area V della Dirigenza per il
quadriennio normativo 2006-2009 ed il primo biennio economico 2006-2007,
art. 14.
246
Testo Unico, art. 396, comma 2, lettera c).
247
Testo Unico, art. 7, comma 5.
248
Testo Unico, art. 37, commi 2, 3 e 4.
249
D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, art. 1, “Regolamento recante codice di
comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165â€.
250
“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati
civili dello Statoâ€, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 24.
251
Regio Decreto 30 aprile 1924, n. 965, art. 35, “Il processo verbale dâ
۪ogni adunanze ̬ trascritto in un libro da conservarsi in archivio, a
pagine numerate e firmate dal preside. Esso è sottoscritto dal presidente e
dal segretario ed è approvato dal collegio nella stessa adunanza o allâ
€™aprirsi di quella immediatamente successivaâ€. Ancora, Circolare
Ministeriale 16 aprile 1975, n. 105, art. 1, c. 4, “Di ogni seduta dellâ
€™organo collegiale viene redatto processo verbale, firmato dal presidente e
dal segretario, stesso su apposito registro a pagine numerateâ€.
252
D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, “Disposizioni legislative in materia
di documentazione amministrativaâ€, art. 7, c. 2.
253
Art. 2700 del codice civile, cit.

6.2. Consiglio di circolo o di istituto e giunta


esecutiva
6.2.1 Composizione
A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 111/2011, art. 19, c. 4, “a
decorrere dall’anno scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia, la
scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in
istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni
scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole
secondarie di I gradoâ€. In conseguenza di ciò, non essendovi più direzioni
didattiche, cessa la denominazione di consiglio di circolo.
Il consiglio di istituto elegge nel suo seno una giunta esecutiva, come
disciplinato dal T.U., art. 8, commi 7 e 8.
I consigli di istituto e la giunta esecutiva durano in carica per tre anni
scolastici. Coloro che nel corso del triennio perdono i requisiti per essere
eletti in consiglio vengono sostituiti dai primi dei non eletti nelle rispettive
liste. La rappresentanza studentesca viene rinnovata annualmente. Le
funzioni di segretario del consiglio di istituto sono affidate dal presidente ad
un membro del consiglio stesso256.
Il consiglio di istituto è composto come da tabella che segue257:
Scuole con popolazione scolastica Scuole con popolazione scolastica Istituti di istruzione secondaria
fino a 500 alunni superiore a 500 alunni superiore
14 componenti: 6 genitori, 6 docenti, 19 componenti: 8 genitori, 8 docenti, I rappresentanti dei genitori degli
1 non docente, dirigente scolastico. 2 non docenti, dirigente scolastico. alunni sono ridotti, in relazione alla
popolazione scolastica, a tre e a
quattro; in tal caso sono chiamati a far
parte del consiglio altrettanti
rappresentanti eletti dagli studenti.

6.2.2 Elezione
La prima convocazione del consiglio è di pertinenza del dirigente
scolastico. Ad avvenuta elezione del presidente, questi ne assume la
presidenza.
“L’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui
non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Per la
validità dell’adunanza del consiglio di istituto, nonché della rispettiva
giunta, é richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti
in carica. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti
validamente espressi, salvo che disposizioni speciali prescrivano
diversamente. In caso di parità , prevale il voto del presidente. La votazione
è segreta solo quando si faccia questione di personeâ€258. Per quanto attiene
alla validità della costituzione del consiglio di istituto anche nel caso in cui
non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza, occorre
procedere ad elezioni suppletive nel caso in cui manchi la rappresentanza dei
genitori in quanto la presidenza dell’organo è sempre attribuita a tale
componente.
“I membri eletti e quelli designati, i quali non intervengono, senza
giustificati motivi, a tre sedute consecutive dell’organo di cui fanno parte,
decadono dalla carica e vengono surrogati con le modalità previste dallâ
€™articolo 35259†che così dispone: “per la sostituzione dei membri
elettivi degli organi collegiali a durata pluriennale, di cui al presente titolo,
venuti a cessare per qualsiasi causa, o che abbiano perso i requisiti di
eleggibilità , si procede alla nomina di coloro che, in possesso dei detti
requisiti, risultino i primi fra i non eletti delle rispettive liste. In caso di
esaurimento delle liste si procede ad elezioni suppletive. In ogni caso i
membri subentrati cessano anch’essi dalla carica allo scadere del periodo
di durata dell’organo260â€. La ratio della decadenza dalla carica dopo tre
assenze consecutive dei membri eletti e designati trova giustificazione nella
volontà del legislatore di far sì che determinati organi non si svuotino nel
corso del tempo, assicurando alle istituzioni scolastiche la continuitÃ
necessaria per il loro corretto funzionamento.
“Il presidente è eletto a maggioranza assoluta dei componenti. Qualora
non si raggiunga detta maggioranza nella prima votazione, il presidente è
eletto a maggioranza relativa dei votanti. Può essere eletto anche un vice
presidente261â€.

6.2.3 Funzioni
Il consiglio di istituto assolve funzioni di indirizzo politico-
amministrativo262 e ad esso sono devolute competenze di primaria
importanza nell’organizzazione della scuola. L’art. 10 del T.U. gli
attribuisce la elaborazione e adozione degli indirizzi generali e la
determinazione delle forme di autofinanziamento. Il CdI delibera inoltre il
bilancio preventivo e il conto consuntivo e dispone in ordine all’impiego
dei mezzi finanziari per quanto concerne il funzionamento amministrativo e
didattico del circolo o dell’istituto. Fatte salve le competenze del collegio
dei docenti e dei consigli di intersezione, di interclasse, e di classe, il
consiglio di circolo o di istituto ha potere deliberante, su proposta della
giunta, per quanto concerne l’organizzazione e la programmazione della
vita e dell’attività della scuola, nei limiti delle disponibilità di bilancio,
nelle seguenti materie:
a) adozione del regolamento interno del circolo o dell’istituto che deve,
fra l’altro, stabilire le modalità per il funzionamento della biblioteca e
per l’uso delle attrezzature culturali, didattiche e sportive, per la
vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola
nonché durante l’uscita dalla medesima, per la partecipazione del
pubblico alle sedute del consiglio ai sensi dell’articolo 42;
b) acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature tecnico-scientifiche e
dei sussidi didattici, compresi quelli audio-televisivi e le dotazioni librarie,
e acquisto dei materiali di consumo occorrenti per le esercitazioni;
c) adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali;
d) criteri generali per la programmazione educativa;
e) criteri per la programmazione e l’attuazione delle attivitÃ
parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche, con particolare riguardo
ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle
visite guidate e ai viaggi di istruzione;
f) promozione di contatti con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi
di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali iniziative di
collaborazione;
g) partecipazione del circolo o dell’istituto ad attività culturali, sportive
e ricreative di particolare interesse educativo;
h) forme e modalità per lo svolgimento di iniziative assistenziali che
possono essere assunte dal circolo o dall’istituto.
Il consiglio di circolo o di istituto indica, altresì, i criteri generali relativi
alla formazione delle classi, all’assegnazione ad esse dei singoli docenti,
all’adattamento dell’orario delle lezioni e delle altre attivitÃ
scolastiche alle condizioni ambientali e al coordinamento organizzativo dei
consigli di intersezione, di interclasse o di classe; esprime parere sull’
andamento generale, didattico ed amministrativo, del circolo o dellâ
€™istituto, e stabilisce i criteri per l’espletamento dei servizi
amministrativi263.
Esercita sia le funzioni in materia di sperimentazione ed aggiornamento, sia
le competenze in materia di uso delle attrezzature e degli edifici scolastici ai
sensi dell’articolo 94.
Delibera, sentito per gli aspetti didattici il collegio dei docenti, le iniziative
dirette alla educazione della salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze
e si pronuncia su ogni altro argomento attribuito dal testo unico, dalle leggi e
dai regolamenti, alla sua competenza.
Il consiglio di istituto, sulle materie devolute alla sua competenza, invia
annualmente una relazione al provveditore agli studi e al consiglio scolastico
provinciale.
Per quanto attiene alla elaborazione del PTOF, già previsto dall’articolo
3 del Regolamento di cui al D.P.R. n. 275/1999, la legge 107/2015 ne ha
novellato l’iter attribuendo al consiglio di istituto la sua approvazione.

6.2.4 Sanzioni disciplinari studenti. Competenze del


consiglio di istituto
Il D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235264, che modifica e integra lo statuto delle
studentesse e degli studenti della scuola secondaria, D.P.R. 24 giugno 1998,
n. 249265, attribuisce al consiglio di istituto l’adozione di sanzioni gravi,
come in illo tempore previste dal R.D. n. 653/1925266, sancendo che “le
sanzioni e i provvedimenti che comportano allontanamento dalla comunitÃ
scolastica sono adottati dal consiglio di classe. Le sanzioni che comportano lâ
€™allontanamento superiore a quindici giorni e quelle che implicano lâ
€™esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di
Stato conclusivo del corso di studi sono adottate dal consiglio di istituto267â€.

6.2.5 Composizione e funzioni della giunta esecutiva


La giunta è composta di un docente, di un impiegato amministrativo o
tecnico o ausiliario e di due genitori; nella scuola di secondo grado di un
genitore e di uno studente. Della giunta fanno parte di diritto il dirigente
scolastico che la presiede ed ha la rappresentanza dell’istituto, ed il capo
dei servizi di segreteria che svolge anche funzioni di segretario della giunta
stessa.
“La giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto
consuntivo; prepara i lavori del consiglio di circolo o di istituto, fermo
restando il diritto di iniziativa del consiglio stesso, e cura l’esecuzione
delle relative delibere268â€.

6.2.6 Pubblicità degli atti e delle sedute


In accordo agli obblighi di pubblicità , trasparenza e diffusione di
informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. 14 marzo
2013, n. 33, art. 13), “gli atti del consiglio di circolo o di istituto sono
pubblicati in apposito albo della scuola. Non sono soggetti a pubblicazione
all’albo gli atti concernenti singole persone, salvo contraria richiesta dellâ
€™interessato269â€.
“Alle sedute del consiglio di circolo e di istituto possono assistere gli
elettori delle componenti rappresentate nel consiglio270â€.

254
Legge 107/2015, art. 1, c. 83.
255
T.U. art. 7, c. 2, lett. l).
256
T.U. art. 8, commi 10 e 11.
257
T.U. art. 8, commi 1 e 2.
258
T.U. art. 37.
259
T.U. art. 38.
260
T.U. art. 35, commi 1 e 3.
261
T.U. art. 8, comma 6.
262
Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 4, c. 1.
263
L’attribuzione dei docenti alle classi è sovente motivo di
contenzioso. Una luce ci è offerta dalla sentenza n. 2778 emessa dal
tribunale di Agrigento in data 03 dicembre 2003 con la quale si fa chiarezza
sulla successione temporale e logica a cui è tenuto il dirigente scolastico in
ordine alla formazione delle classi ed all’assegnazione ad esse dei
singoli docenti. Il disposto dell’art. 396, c. 2, lettera d), del D. Lgs
297/1994, richiamato in sentenza, chiaramente sancisce che il personale
direttivo procede, tra l’altro, all’assegnazione dei docenti alle classi
sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di circolo o d’istituto,
ai sensi dell’art. 10, c. 4, del D. Lgs. citato, e delle proposte del collegio
dei docenti, formulate ai sensi dell’art. 7, c.2, lett. b), del D. Lgs. Ritiene
infatti il giudice che una diversa procedura costituirebbe un modus procedenti
in violazione del disposto del citato art. 396.
264
“Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del
Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto
delle studentesse e degli studenti della scuola secondariaâ€.
265
“Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della
scuola secondariaâ€.
266
Regio Decreto 4 maggio 1925, n. 653, “Regolamento sugli alunni, gli
esami e le tasse negli istituti medi di istruzioneâ€, integrato e modificato dal
Regio Decreto 21 novembre 1929, n. 2049, “Modificazioni al regolamento
sugli esami per gli istituti medi di istruzione, circa la suddivisione dellâ
€™anno scolasticoâ€. Per comprendere l’iter di abrogazione e la
successiva sottrazione all’effetto abrogativo dei Regi decreti citati, v.
Nota prot. 2532/R.U./U del 01-04-2010.

6.3 Comitato per la valutazione dei docenti


Il comitato per la valutazione dei docenti, disciplinato dall’art. 11 del
T.U. della scuola, è stato oggetto di riscrittura ad opera della legge
107/2015.
Testo unico (D.Lgs. n. 297/1994, art. 11) Legge 107/2015 (art. 1, c. 129)
I membri del comitato sono eletti dal collegio dei docenti Il comitato è costituito dai seguenti componenti:
nel suo seno. a) tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due
Il comitato è formato, oltre che dal direttore didattico o scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di
dal preside, che ne è il presidente, da 2 o 4 docenti quali istituto;
membri effettivi e da 1 o 2 docenti quali membri b) due rappresentanti dei genitori, per la scuola dellâ
supplenti, a seconda che la scuola o istituto abbia sino a €™infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un
50 oppure più di 50 docenti. rappresentante degli studenti e un rappresentante dei
genitori, per il secondo ciclo di istruzione, scelti dal
consiglio di istituto;
c) un componente esterno individuato dall’ufficio
scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e
dirigenti tecnici.
Presieduto dal dirigente scolastico Presieduto dal dirigente scolastico
Il comitato dura in carica un anno scolastico Il comitato ha durata di tre anni scolastici
Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base:
a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento
dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico
degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al
potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione
didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca
didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche
didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e
nella formazione del personale.
Il comitato esprime altresì il proprio parere sul superamento del periodo
di formazione e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine
il comitato è composto271:

dal dirigente scolastico, che lo presiede;


da tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal
collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto;
e dal docente tutor272.

Con la legge 107/2015 era stata normata una diversa e più incisiva
configurazione del periodo di prova e di formazione. Al comma 118, la legge
aveva previsto l’emanazione di un decreto del Ministro dellâ
€™istruzione, dell’università e della ricerca, con il quale sono
individuati gli obiettivi, le modalità di valutazione del grado di
raggiungimento degli stessi, le attività formative e i criteri per la
valutazione del personale docente ed educativo in periodo di formazione e di
prova. Tale disposto ha trovato modalità operative nel Decreto ministeriale
n. 850/2015273 che esplicita attività formative, modalità di verifica e criteri
per valutare il suddetto personale. In tale periodo di formazione e di prova è
verificata la padronanza degli standard professionali da parte dei docenti neo-
assunti con riferimento al corretto possesso ed esercizio delle competenze
culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche; al corretto possesso ed
esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali; allâ
€™osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e
inerenti la funzione docente e alla partecipazione alle attività formative e
raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti274.
A tal fine, il 5 novembre 2015 il MIUR, con nota protocollare 36167, forniva
i primi orientamenti operativi utili all’espletamento del periodo di
formazione e di prova per i docenti neo-assunti, da realizzare presso la sede
in cui viene validamente prestato il servizio. In coerenza con i contenuti del
decreto n. 850/2015, con la nota 36167 si fornivano alcune indicazioni utili a
programmare un ordinato avvio delle attività e una opportuna informazione
ai dirigenti scolastici e ai docenti coinvolti nelle operazioni. Tali orientamenti
sono in larga parte desunti dall’esito positivo delle innovazioni in materia
di anno di formazione, introdotte sperimentalmente già dall’anno
scolastico 2014-15. Come previsto dall’art. 2 del citato D.M., sono tenuti
al periodo di formazione e di prova:
a) i docenti che si trovano al primo anno di servizio con incarico a tempo
indeterminato, a qualunque titolo conferito, e che aspirino alla conferma nel
ruolo;
b) i docenti per i quali sia stata richiesta la proroga del periodo di formazione
e prova o che non abbiano potuto completarlo negli anni precedenti. In ogni
caso la ripetizione del periodo comporta la partecipazione alle connesse
attività di formazione, che sono da considerarsi parte integrante del
servizio in anno di prova;
c) i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo.
La legge 107/2015, al comma 120, dispone che in tema di valutazione del
periodo di formazione e di prova continuano ad applicarsi, in quanto
compatibili con i commi da 115 a 119 dello stesso articolo di legge, gli
articoli da 437 a 440 del T.U.

6.3.1 Istituto della valutazione del servizio a domanda


del docente
L’istituto della valutazione del servizio a domanda del docente, contenuto
nell’art. 448 del T.U. della scuola, prevede che il personale docente possa
chiedere la valutazione del servizio prestato per un periodo non superiore allâ
۪ultimo triennio. Il servizio ̬ valutato dal comitato sulla base di apposita
relazione del dirigente scolastico. La valutazione è motivata tenendo conto
delle qualità intellettuali, della preparazione culturale e professionale, anche
con riferimento a eventuali pubblicazioni, della diligenza, del comportamento
nella scuola, dell’efficacia dell’azione educativa e didattica, delle
eventuali sanzioni disciplinari, dell’attività di aggiornamento, della
partecipazione ad attività di sperimentazione, della collaborazione con altri
docenti e con gli organi della scuola, dei rapporti con le famiglie degli alunni,
nonché di attività speciali nell’ambito scolastico e di ogni altro
elemento che valga a delineare le caratteristiche e le attitudini personali, in
relazione alla funzione docente. La valutazione non si conclude con giudizio
complessivo, né analitico, né sintetico e non è traducibile in punteggio.
Avverso la valutazione del servizio è ammesso ricorso al provveditore agli
studi che decide in via definitiva. Nel caso di valutazione del servizio di un
docente componente del comitato, ai lavori non partecipa l’interessato e il
consiglio di istituto provvede all’individuazione di un sostituto.

6.3.2 Riabilitazione del personale docente


Il comitato per la valutazione dei docenti esercita altresì le competenze per
la riabilitazione del personale docente, di cui all’articolo 501 del T.U.
della scuola. Trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la
sanzione disciplinare, il dipendente che, a giudizio del comitato per la
valutazione del servizio abbia mantenuto condotta meritevole, può chiedere
che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva.
“Il termine dei due anni è fissato in cinque anni nel caso in cui, al
personale predetto, sia stata inflitta la sospensione dall’insegnamento o
dall’ufficio per un periodo di sei mesi e l’utilizzazione, trascorso il
tempo di sospensione, per lo svolgimento di compiti diversi da quelli inerenti
alla funzione docente o direttiva275â€.

267
D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235, cit, art. 1, c. 6.
268
T.U. art. 10, c. 10.
269
T.U. art. 43.
270
T.U. art. 42.
271
T.U. art. 11, c. 4, come modificato dalla legge 107/2015, c. 129.
272
Legge n. 107/2015, art. 1, c. 117: “Il personale docente ed educativo in
periodo di formazione e di prova è sottoposto a valutazione da parte del
dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione istituito ai sensi
dell’articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297, come sostituito dal comma 129 del presente articolo, sulla base
dell’istruttoria di un docente al quale sono affidate dal dirigente
scolastico le funzioni di tutorâ€.
273
“Obiettivi, modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli
stessi, attività formative e criteri per la valutazione del personale docente ed
educativo in periodo di formazione e di prova, ai sensi dell’articolo 1,
comma 118, della legge 13 luglio 2015, n. 107â€.
274
D.M. 27/10/2015, n. 850, art. 4, c. 1.

6.4 Assemblee degli studenti e dei genitori


6.4.1 Assemblee degli studenti
La partecipazione degli studenti e dei genitori alla vita della scuola è sempre
stata accolta con favore dal legislatore il quale, già nei decreti delegati del
1974, aveva previsto la possibilità di una loro riunione in assemblee come
momento di partecipazione collaborativa. Le assemblee studentesche nella
scuola secondaria superiore e artistica costituiscono occasione di
partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della
scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli
studenti. Le assemblee studentesche possono essere di classe o di istituto, e in
relazione al numero degli alunni ed alla disponibilità dei locali lâ
€™assemblea di istituto può articolarsi in assemblea di classi parallele. Lâ
۪assemblea di istituto e di classe ̬ consentita nella misura di una al mese,
la prima nel limite delle ore di lezione di una giornata, e la seconda di due
ore. L’assemblea di classe non può essere tenuta sempre lo stesso giorno
della settimana durante l’anno scolastico. È consentito svolgere unâ
€™altra assemblea mensile fuori dell’orario delle lezioni,
subordinatamente alla disponibilità dei locali. Alle assemblee di istituto
svolte durante l’orario delle lezioni, ed in un numero non superiore a
quattro, può essere richiesta la partecipazione di esperti di problemi sociali,
culturali, artistici e scientifici, indicati dagli studenti unitamente agli
argomenti da inserire nell’ordine del giorno. Detta partecipazione deve
essere autorizzata dal consiglio d’istituto.
A richiesta degli studenti, le ore destinate alle assemblee possono essere
utilizzate per lo svolgimento di attività di ricerca, di seminario e per lavori
di gruppo.
Non possono aver luogo assemblee nel mese conclusivo delle lezioni. Allâ
€™assemblea di classe o di istituto possono assistere, oltre al preside od un
suo delegato, gli insegnanti che lo desiderino276.
L’assemblea di istituto deve darsi un regolamento per il proprio
funzionamento che viene inviato in visione al consiglio di istituto. Lâ
۪assemblea di istituto ̩ convocata su richiesta della maggioranza del
comitato studentesco di istituto o su richiesta del 10% degli studenti. La data
di convocazione e l’ordine del giorno dell’assemblea devono essere
preventivamente presentati al dirigente scolastico. Il comitato studentesco,
ove costituito, ovvero il presidente eletto dall’assemblea, garantisce lâ
€™esercizio democratico dei diritti dei partecipanti. Il dirigente scolastico ha
potere di intervento nel caso di violazione del regolamento o in caso di
constatata impossibilità di ordinato svolgimento dell’assemblea277. I
rappresentanti degli studenti nei consigli di classe possono esprimere un
comitato studentesco di istituto278.
Il legislatore ha ulteriormente riconosciuto le iniziative complementari e
integrative dell’iter formativo degli studenti attribuendo alle istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado, nell’ambito della propria autonomia, la
possibilità di promuovere occasioni e spazi di incontro da riservare loro,
favorendo l’apertura della scuola in relazione alle domande di tipo
educativo e culturale provenienti dal territorio, in coerenza con le finalitÃ
formative istituzionali. Tutte le iniziative organizzate dalle istituzioni
scolastiche sulla base di progetti educativi, sono proprie della scuola. In
particolare, sono da considerare attività scolastiche a tutti gli effetti tirocini,
corsi post-diploma, attività extra curricolari culturali, di sport per tutti,
agonistiche e preagonistiche. Negli istituti e scuole di istruzione secondaria
superiore il Comitato studentesco, integrato con i rappresentanti degli
studenti nel Consiglio di istituto, formula proposte ed esprime pareri per tutte
le attività complementari e integrative nelle istituzioni scolastiche. A tal
fine, il Comitato adotta un regolamento interno di organizzazione dei propri
lavori, ed esprime un gruppo di gestione, coordinato da uno studente
maggiorenne, che può assumere la responsabilità della realizzazione e del
regolare svolgimento di talune iniziative279.

6.4.2 Assemblee dei genitori


Il D.P.R. 416/1974, all’art. 45, disciplina le assemblee dei genitori le
quali possono essere di classe o di istituto. Il decreto prevede anche che i
rappresentanti dei genitori nei consigli di interclasse o di classe possano
esprimere un comitato dei genitori del circolo o dell’istituto. Alle
assemblee possono partecipare con diritto di parola il direttore didattico o il
preside e gli insegnanti rispettivamente della classe o dell’istituto. Lâ
€™art. 45 nulla dice circa le finalità delle assemblee dei genitori, né il
T.U. all’art. 15 che ne recepisce la norma. Riteniamo che il legislatore
abbia previsto tale istituto nel quadro complessivo delle occasioni di
partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della
scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli
studenti, come si legge nell’art. 13, c. 1, del Testo Unico della scuola
riguardante le assemblee studentesche.
In anni più recenti il Regolamento dell’autonomia ha inteso continuare a
dar valore all’apporto democratico della società civile nel mondo della
scuola affermando che l’autonomia delle istituzioni scolastiche si
sostanzia nella progettazione di interventi di educazione, formazione e
istruzione mirati allo sviluppo della persona umana adeguati anche alla
domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti,
al fine di garantire loro il successo formativo280. Lo stesso Regolamento, che
definisce il Piano dell’offerta formativa documento fondamentale
costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni
scolastiche, stabilisce che esso debba tener conto delle proposte e dei pareri
formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e,
per le scuole secondarie superiori, degli studenti281. Queste ultime â
€œassociazioni di fatto†sono rintracciabili in tutti quegli organismi di
aggregazione di famiglie che propugnano forme collaborative con la scuola
esprimendo proposte e pareri nell’ambito delle scelte generali di gestione
e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto. Rileviamo
da ultimo che lo stesso comma 14282 della Legge 107/2015, disciplina che â
€œai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico […] tiene
conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle
associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli
studentiâ€283.

275
T.U. art. 501, c. 2, e art. 492, c. 2, l. d).
276
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, art. 43, novellato nel T.U. art. 13.
277
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, art. 44, novellato nel T.U. art. 14.
278
D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, art. 43 novellato nell’art. 13, comma 4
del decreto legislativo 16 febbraio 1994, n. 297.
279
D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 567, “Disciplina delle attivitÃ
complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolasticheâ€,
modificato e integrato dal D.P.R. 9 aprile 1999, n. 156.
280
D.P.R. n. 275/1999, art. 1, c. 2.
281
D.P.R. n. 275/1999, art. 3, commi 1 e 3.
282
Che novella l’articolo 3 del Regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.
283
Legge 107/2015, art. 1, c. 14.
Capitolo 7
L’inclusione scolastica
di Elisa Camera

L’inclusione costituisce un tratto essenziale e cruciale del sistema


educativo, strettamente legato al carattere complesso e multiforme della
società odierna, che impone alle istituzioni scolastiche un approccio alle
problematiche della diversità basato su flessibilità ed efficacia, attraverso
strategie adatte ai bisogni formativi di ogni singolo alunno.

7.1 Storia dell’inclusione scolastica


7.1.1 L’istituzione della scuola di Stato: lâ
€™esclusione
La storia dell’inclusione scolastica corre, in sostanza, parallela a quella
degli ordinamenti scolastici, attraversando, nel tempo, un’evoluzione
talvolta non lineare e univoca.
Ai tempi dell’istituzione della scuola di Stato, con la Legge Casati, Regio
Decreto n. 3725 del 13 novembre 1859, gli alunni affetti da disabilità non
erano presi in considerazione, infatti il testo non allude minimamente a questa
materia.

7.1.2 Il periodo della segregazione


Grazie all’impegno delle prime istanze di attivismo284, lo Stato italiano
recepì l’urgenza di normare e riconoscere l’istruzione per alcune
categorie di individui affetti da disabilità .
La Riforma Gentile, per la prima volta, sanciva infatti l’obbligo
scolastico fino al compimento del quattordicesimo anno di età , per tutti i
fanciulli, compresi i ciechi e i sordomuti, ai quali erano riservate scuole
differenziate e speciali istituite proprio dall’art. 1 del Regio Decreto n.
2841 del 30 dicembre 1923285. Il funzionamento di queste scuole è definito
dall’art. 176 del Testo Unico delle leggi della Pubblica Istruzione, Regio
Decreto n. 877 del 5 febbraio 1928286, a cui si richiama il Titolo V, â
€œObbligo Scolastico – Alunni – Libri di testo†del successivo Regio
Decreto n. 1297 del 26 aprile 1928, artt. 405-407287, e, ancor più nello
specifico, il Titolo VI, “Disposizioni relative agli istituti per i fanciulli
ciechi e sordomutiâ€. Inoltre, l’art. 230 del Testo Unico prevedeva lâ
€™inserimento dei fanciulli affetti da “anormalità di sviluppo†in
speciali classi differenziali288. L’art. 415 del R.D. 1297/1928 ribadiva,
sulla stessa linea, che, qualora un maestro ravvisasse atti di indisciplina
derivate da anormalità psichiche, potesse chiedere l’allontanamento
dell’alunno interessato e il suo inserimento nelle medesime classi
differenziali289.
Il diritto all’istruzione per tutti i fanciulli, contenuto nella Riforma
Gentile, ma attuato mediante il ricorso alla separazione e alla
differenziazione, è ribadito dalla Costituzione, che sancisce lâ
€™uguaglianza dei cittadini in termini densi di significato: l’art. 3
definisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge, senza
distinzioni. Afferma, inoltre, che “è compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona†290. Ma è lâ
€™art. 34 a essere incentrato specificamente sulla scuola, definita
obbligatoria e gratuita per ciò che concerne l’istruzione inferiore e,
soprattutto, accessibile a tutti291. Ancora, il c. 3 dell’art. 38 prevede il
diritto all’educazione e all’avviamento professionale per gli inabili ed
i minorati.
Con la Legge n. 1463 del 26 ottobre 1952, si ebbe la statizzazione delle
scuole elementari per ciechi, 13 in tutta Italia, con un numero massimo di
quindici alunni per classe.
Inoltre, la Circolare Ministeriale n. 1771/12 dell’11 marzo 1953, contiene
una definizione puntuale di classi speciali per minorati, classi di
differenziazione didattica, classi differenziali:
“Le classi speciali per minorati e quelle di differenziazione didattica sono
istituti scolastici nei quali viene impartito l’insegnamento elementare ai
fanciulli aventi determinate minorazioni fisiche o psichiche ed istituti nei
quali vengono adottati speciali metodi didattici per l’insegnamento ai
ragazzi anormali, es. scuole Montessori. Le classi differenziali, invece, non
sono istituti scolastici a sé stanti, ma funzionano presso le comuni scuole
elementari ed accolgono gli alunni nervosi, tardivi, instabili, i quali rivelano
l’inadattabilità alla disciplina comune e ai normali metodi e ritmi dâ
€™insegnamento e possono raggiungere un livello migliore solo se lâ
€™insegnamento viene ad essi impartito con modi e forme particolariâ€.
Come si evince dai testi citati, la disabilità , seppur riconosciuta dal
legislatore, continuava a essere sottoposta, in ambito formativo, al principio
della separazione, il cui superamento si sarebbe reso possibile soltanto
decenni dopo.
La Legge n. 1073 del 24 luglio 1962, “Provvedimenti per lo sviluppo della
scuola nel triennio dal 1962 al 1965â€, all’art. 32 fa riferimento agli
stanziamenti stabiliti, in tale arco temporale, ancora per le scuole speciali e
per le classi differenziali292.
Anche la legge istitutiva della scuola media, Legge n. 1859 del 31 dicembre
1962, dedica l’art. 12 alle classi differenziali, destinate ad accogliere gli
alunni “disadatti†scolastici, secondo il parere espresso da una
commissione composta da due medici, uno competente in neuropsichiatria o
psicologia o materie affini, l’altro esperto in pedagogia293. L’art. 11294
è invece incentrato sulle classi di aggiornamento, istituite per le classi
prima e terza della scuola media, rispettivamente dedicate “agli alunni
bisognosi di particolari cure†affinché potessero intraprendere con
profitto il percorso formativo della media unificata e agli alunni respinti
perché potessero frequentare la terza media. Sia le classi differenziali sia
quelle di aggiornamento potevano ospitare un numero massimo di quindici
alunni.
Il medesimo criterio separatorio è applicato anche prima della scuola dellâ
۪obbligo, poich̩ la Legge n. 444 del 18 marzo 1968, istitutiva della
scuola materna statale, all’art. 3 cc. 3-4295 prevedeva la nascita di
sezioni o scuole materne speciali, le cui classi non potevano contenere più
di dodici alunni.
La Legge n. 942 del 31 ottobre 1966, “Finanziamento del piano di
sviluppo della scuola nel quinquennio dal 1966 al 1970â€, prevedeva, allâ
€™art. 3, contributi alle scuole elementari parificate funzionanti presso
scuole speciali ed orfanotrofi, e, all’art. 7, sussidi e contributi per le spese
di funzionamento degli istituti per minorati sensoriali e, ancora all’art. 8,
finanziamenti per le scuole speciali e per le classi differenziali.
Queste ultime vengono prese in considerazione anche dal Decreto del
Presidente della Repubblica n. 1518 del 22 dicembre 1967, Titolo IV, â
€œAssistenza medico-scolastica nelle scuole speciali, classi differenziali,
istituti medico-psico-pedagogici, educativi e assistenzialiâ€.

7.1.3 L’integrazione
Con gli anni Settanta, in seguito alle contestazioni studentesche, viene messa
per la prima volta in discussione la presenza di corsi separati per gli alunni
affetti da disabilità e, con la Legge n. 118 del 30 marzo 1971, che
convertì in legge il Decreto Legislativo n. 5 del 30 gennaio 1971, si
assistette, per la prima volta, a un’apertura del sistema scolastico nella
direzione dell’inclusività e dell’accoglienza. Vi si ribadiva, infatti,
l’inserimento degli alunni affetti da forme lievi di disabilità allâ
€™interno delle classi comuni296. Inoltre, ai mutilati e invalidi civili non
autosufficienti frequentanti la scuola dell’obbligo o i corsi di
addestramento professionale finanziati dallo Stato veniva assicurato
gratuitamente il trasporto dall’abitazione, a carico dei patronati scolastici
o degli enti gestori dei corsi, e l’eliminazione delle barriere
architettoniche. I mutilati e gli invalidi civili con una disagiata condizione
economica, coloro che avessero subìto una diminuzione superiore ai due
terzi della propria capacità lavorativa e i figli di titolari di pensione di
invalidità erano poi esonerati dal pagamento delle tasse scolastiche e
universitarie.
Un’ulteriore svolta si verificò con la Circolare Ministeriale n. 277 dellâ
€™8 agosto 1975, contenente la Relazione della Commissione ministeriale
presieduta dalla Senatrice Franca Falcucci, per questo nota anche come â
€œdocumento Falcucciâ€. Quest’ultimo conteneva principi
fondamentali sulla strada dell’inclusione scolastica: la presenza a scuola
degli alunni con disabilità non comprometteva il raggiungimento di obiettivi
minimi comuni e anche il processo di valutazione, si ribadiva, doveva
svincolarsi dal voto, per fare riferimento al grado di maturazione raggiunto
dagli alunni.
La Legge n. 517 del 4 agosto 1977 rese possibile il compimento di un
ulteriore passo in avanti sulla strada dell’inclusione: per le scuole
elementari, infatti, l’art. 2 promuoveva, al fine di assicurare il pieno
sviluppo della personalità di ciascun alunno, attività scolastiche integrative
organizzate per gruppi della medesima classe oppure di classi diverse, anche
allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze
dei singoli alunni. Al c. 2 è specificato che tali attività sono altresì
mirate a favorire forme di integrazione a favore degli alunni portatori di
handicap, con la prestazione di insegnanti specializzati297. Questa legge
sottolinea il diritto alla piena integrazione dei disabili, affermando, al c. 3,
che devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il
servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le
rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti. Nell’art. 7 si
ribadisce l’importanza di tali attività integrative a favore degli alunni
portatori di handicap anche per la scuola media, con la precisazione che lâ
€™insegnante specializzato potesse essere utilizzato entro il limite di una
unità per ciascuna classe che accogliesse alunni portatori di handicap e nel
numero massimo di sei ore settimanali (c. 2). La Legge n. 449 del 27
dicembre 1997, “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica†ha
previsto, in questo senso, all’art. 40 c. 1 la possibilità di assumere con
contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto
docenti-alunni indicato dal c. 3 (un docente ogni gruppo di 138 alunni
complessivamente frequentanti le scuole statali della provincia) in presenza
di handicap particolarmente gravi.
Inoltre, il c. 3 specifica che le classi che accolgono alunni portatori di
handicap sono costituite con un massimo di 20 alunni, mentre il c. 5 fornisce
ulteriori indicazioni sulle attività a sostegno della disabilità , da attuarsi
periodicamente in sostituzione delle normali attività didattiche, fino ad un
massimo di 160 ore nel corso dell’anno scolastico con particolare
riguardo al tempo iniziale e finale del periodo delle lezioni. Una vera e
propria rivoluzione è attuata dal c. 10, ultimo del sopracitato art. 7, che
abolisce le classi differenziali e di aggiornamento previste, come si è detto,
dalla L. 1859/1962. Alla L. 517/1977 fa riferimento una serie di circolari che
ne interpreta e ne applica i contenuti298.
Con la Legge n. 270 del 20 maggio 1982, l’insegnante di sostegno è
previsto anche nella scuola materna, dove ogni sezione che ospita bambini
disabili deve essere costituita con un numero massimo di 20 alunni e un
minimo di 10.
Negli anni successivi, si assistette a diversi interventi che andarono a definire
ulteriormente le caratteristiche del percorso formativo dei disabili. Per
esempio, la Circolare Ministeriale n.1 del 4 gennaio 1988, “ContinuitÃ
educativa nel processo di integrazione degli alunni portatori di handicapâ€,
ribadisce l’importanza della formulazione e costruzione di un progetto
educativo-formativo personalizzato che rispetti il percorso evolutivo di
crescita degli alunni disabili e che si sviluppi in parallelo con il passaggio ai
vari ordini e gradi di scuola.
Questo concetto fu ribadito dall’art. 10 del Decreto Ministeriale n. 331
del 24 luglio 1998, “Disposizioni concernenti la riorganizzazione della
rete scolastica, la formazione delle classi e la determinazione degli organici
del personale della scuolaâ€:
“Per garantire la massima possibile efficacia nel processo di integrazione
scolastica le classi che accolgono alunni in situazione di handicap (comprese
le sezioni di scuola materna) possono essere costituite con meno di 25
iscritti, tenuto conto sia dell’organizzazione complessiva della scuola,
con riguardo alle attività formative previste e alle risorse di personale, sia
della natura dell’handicap e delle condizioni soggettive dei singolo
alunno, nonché degli obiettivi e della metodologia prevista dal piano
educativo individualizzato.
Le classi che accolgono alunni portatori di handicap in situazione di disagio
e difficoltà di apprendimento particolarmente gravi possono essere
costituite con meno di 20 iscritti, ove tale esigenza sia adeguatamente
motivata nei piani educativi individualizzati, con riguardo anche alle
condizioni organizzativi delle singole scuole e alle risorse professionali
disponibiliâ€.
La Circolare Ministeriale n. 153 del 15 giugno 1988, “Illegittimità dellâ
€™uscita di classe degli alunni con handicapâ€, sottolinea l’importanza,
ai fini della piena realizzazione dell’inclusione, della presenza degli
alunni portatori di handicap all’interno della classe, nonché dellâ
€™interazione con i compagni, salvo i casi in cui l’intervento didattico
esterno all’aula si renda necessario e sia supportato da motivazioni
contenute nel piano educativo individualizzato e concordato tra lâ
€™insegnante specializzato e i docenti di classe.
La Circolare Ministeriale n. 291 del 14 ottobre 1992, “Visite guidate e
viaggi d’istruzione o connessi ad attività sportive†definisce le
modalità di partecipazione degli alunni con disabilità alle visite, ai viaggi e
alle attività sportive organizzate dalla scuola: deve essere garantito un
membro del personale scolastico quale accompagnatore, oltre alle misure atte
a garantirne la sicurezza connaturate alla gravità della situazione.
Fondamentale è la normazione del diritto alla privacy delle persone disabili
dettata dalla Legge n. 135 dell’11 maggio 1999, che all’art. 3 c. 5
afferma che “I dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale
sono conservati separatamente da ogni altro dato personale trattato per
finalità che non richiedano il loro utilizzo. Al trattamento di tali dati si
procede con le modalità di cui al comma 4299 anche quando detti dati non
sono contenuti in elenchi, registri o banche dati o non sono tenuti con lâ
€™ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzatiâ€.
Con il passare del tempo, l’intervento del sistema sanitario a supporto
della disabilità si fa sempre più sistematico; a livello normativo, infatti, a
partire dalla Legge n. 833 del 23 dicembre 1978, “Istituzione del servizio
sanitario nazionaleâ€, sono previste misure obbligatorie dedicate a persone
affette da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, per esempio le
prestazioni di riabilitazione, delle quali all’art. 26300. L’importanza
dell’interazione sinergica fra più attori è stata poi ribadita anche dalla
Circolare Ministeriale n. 258 del 22 settembre 1983, “Indicazioni di linee
di intesa tra scuola, Enti locali e UU.SS.LL. in materia di integrazione
scolastica degli alunni portatori di handicapâ€, in cui sono specificati i
compiti di ciascuna parte per favorire la realizzazione del diritto allo studio
degli alunni con handicap.
Il Decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1994, “Atto
di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in
materia di alunni portatori di handicap†ha individuato il ruolo fondamentale
delle allora USL nel periodo di scolarizzazione degli alunni disabili.
Fondamentale fu l’istituzione degli accordi di programma, previsti dallâ
€™art. 27 della Legge n. 142 dell’8 giugno 1990, “Ordinamento delle
autonomie localiâ€; è promossa l’azione integrata e coordinata di
comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti
pubblici per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di
programmi di intervento. È sottintesa l’inclusione, fra questi, di
interventi a favore della disabilità : indicazioni per la stipula di accordi di
programma specificamente destinati alla disabilità sono contenute nel
Decreto Ministeriale del 9 luglio 1992.
Ma è stato soprattutto il consolidamento dell’autonomia nellâ
€™amministrazione a garantire un ruolo sempre più importante agli enti
locali in materia di disabilità : il Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo
1998, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n.
59†prevedeva che i Comuni, per i gradi inferiori di scuola, e le Province,
per l’istruzione secondaria superiore, fornissero i servizi di supporto
organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in
situazione di svantaggio301. Tra questi servizi, rientrava quello, essenziale, del
trasporto.
Fino a questo momento, come si è visto, si era realizzato l’inserimento e
l’integrazione degli alunni disabili nelle classi comuni della scuola,
apertasi al processo inclusivo, soprattutto per quel che concerneva la scuola
materna, elementare e media, quindi il periodo dell’obbligo.
Non così per la scuola superiore, siccome l’art. 28, c. 3, della L.
118/1971 prevedeva che la frequenza della scuola media superiore e dellâ
€™università fosse “facilitata†anziché “assicurataâ€. Per questo
motivo, la Sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3 giugno 1987
dichiarò illegittimo il sopra citato articolo, ribadendo questo ulteriore e
pieno diritto delle persone disabili. La sentenza venne attuata e concretizzata
con la Circolare Ministeriale n. 262 del 22 settembre 1988, “Attuazione
della sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3.6.1987 - Iscrizione e
frequenza della scuola secondaria di II gradoâ€.
Un altro tema cruciale, in fatto di inclusione, riguarda l’abbattimento
delle barriere architettoniche. Questo tema era contenuto già nella L.
118/1971, per poi essere ripreso dal Decreto del Presidente della Repubblica
n. 384 del 27 aprile 1978, “Regolamento concernente norme di attuazione
dell’art. 27 della L. 30 marzo 1971, n. 118, in favore degli invalidi civili
in materia di barriere architettoniche e di trasporti pubbliciâ€. Tale
regolamento, successivamente abrogato dall’art. 32 del Decreto del
Presidente della Repubblica n. 503 del 24 luglio 1996, è ancora richiamato
dall’art. 32 c. 20-21 della Legge n. 41 del 28 febbraio 1986, â
€œDisposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Statoâ€. Nei cc. di cui sopra, si forniscono direttive precise sulle
caratteristiche che gli edifici di nuova costruzione devono obbligatoriamente
possedere302. Ulteriori norme puntuali e specifiche per ogni elemento
architettonico facente parte degli edifici, di nuova costruzione e non, sono
contenute nel Decreto Ministeriale n. 236 del 14 giugno 1989, â
€œPrescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità , lâ
€™adattabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale
pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dellâ
€™eliminazione delle barriere architettonicheâ€.

7.1.4 La Legge 104 del 1992


La Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, “Legge-quadro per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate†rappresenta
sicuramente il punto di riferimento normativo cardine dell’inclusione e
della disabilità . Essa riguarda la disabilità intesa in senso generale, con una
definizione di handicap riportata all’art. 3 che ancora oggi costituisce
materia di riferimento autorevole303.
Alla scuola e alla formazione delle persone handicappate sono dedicati gli
artt. 12-17, secondo la seguente scansione:

art. 12 Diritto all’educazione e all’istruzione. È ribadito il


diritto degli alunni affetti da disabilità a frequentare le scuole di ogni
ordine e grado e a fruire di un percorso adatto alle loro esigenze, che ne
assicuri il successo formativo. Sono introdotte direttive per lâ
€™individuazione dell’alunno come persona handicappata per
quanto riguarda la documentazione che accompagna il suo percorso
formativo, con particolare attenzione per la diagnosi funzionale e per il
profilo dinamico-funzionale. Sono altresì normate l’educazione
domiciliare e ospedaliera;
art. 13 Integrazione Scolastica. È ribadita, a questo proposito, la
fondamentale importanza della sinergia tra enti locali, organi scolastici
e unità sanitarie locali nella realizzazione progetti educativi,
riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché di forme di
integrazione tra attività scolastiche e attività integrative
extrascolastiche, tramite la stipula di accordi di programma. Importante
è la dotazione nelle scuole di attrezzature tecniche, sussidi didattici e
ausili finalizzati alla garanzia del diritto allo studio, così come la
presenza di interpreti per non udenti nelle università . Si auspica, per
le scuole dell’Infanzia, l’adeguamento del loro funzionamento
e della loro organizzazione, con apposite risorse a sostegno della
disabilità , come la presenza dei docenti, operatori e assistenti
specializzati. Gli Enti locali forniscono alle scuole un supporto costante
mediante risorse finalizzate all’assistenza all’autonomia e alla
comunicazione personale. I docenti specializzati operano in ogni ordine
e grado di scuola e assumono la contitolarità delle sezioni in cui sono
presenti e partecipano alla programmazione e alla verifica delle
attività didattiche;
art. 14 Modalità di attuazione dell’integrazione. Si afferma che
il Ministro della Pubblica Istruzione avrebbe garantito una serie di
misure e di azioni per garantire e agevolare il diritto all’istruzione
delle persone handicappate. Un elemento fondamentale, a questo
proposito, è costituito dalla formazione e dall’aggiornamento del
personale docente, con particolare attenzione per i titoli necessari allâ
€™accesso ai ruoli e per il percorso formativo nelle scuole di
specializzazione. Sono altresì auspicate iniziative di orientamento
dedicate specificamente ai disabili, a partire almeno dalla classe prima
della scuola secondaria di I grado, nonché l’organizzazione dellâ
€™attività educativa e didattica secondo il criterio della flessibilitÃ
nell’articolazione delle sezioni e delle classi, anche aperte, in
relazione alla programmazione scolastica individualizzata. Un aspetto
altrettanto importante è la garanzia della continuità educativa fra i
diversi gradi di scuola;
art. 15 Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica. La L.
104/1992 introduce per la prima volta, a livello centrale e periferico, i
gruppi di lavoro per l’inclusione. Nelle istituzioni scolastiche, il
gruppo di lavoro ha il compito di collaborare alle iniziative educative e
di integrazione predisposte dal piano educativo individualizzato. Lâ
€™argomento sarà trattato in maniera approfondita più avanti;
art. 16 Valutazione del rendimento e delle prove d’esame. Si
ribadisce l’importanza di tenere conto, nella valutazione degli
alunni handicappati, dei criteri enunciati nel piano educativo. Per lâ
€™esame conclusivo della scuola secondaria di I grado erano ammesse
prove differenziate, mentre per l’esame nella scuola secondaria di
II grado prove equipollenti da sostenere con l’eventuale ausilio di
assistenti all’autonomia o per la comunicazione e di maggior tempo
per le prove scritte o grafiche. Nel corso del tempo, si sono susseguiti
aggiornamenti e modifiche sulla valutazione dei disabili, ma
attualmente l’art. 11 del Decreto Legislativo n. 62 del 13 aprile
2017 conferma che la valutazione deve essere coerente con quanto
stabilito nel PEI. Per quel che concerne l’esame conclusivo del I
ciclo, gli alunni con disabilità sostengono le prove standardizzate con
adattamenti specifici oppure ne possono essere esonerati. Anche le
altre prove sono sostenute con le attrezzature e gli ausili adottati
durante l’anno e previsti dal PEI e la loro eventuale
differenziazione le rende equipollenti a quelle ordinarie, di
conseguenza risultano utili ai fini del conseguimento del diploma. Agli
alunni con disabilità che non si presentano agli esami viene rilasciato
un attestato di credito formativo. Tale attestato è comunque titolo per
l’iscrizione e la frequenza della scuola secondaria di secondo grado
o dei corsi di istruzione e di formazione professionale, ai soli fini del
riconoscimento di ulteriori crediti formativi da valere anche per
percorsi integrati di istruzione e formazione. L’art. 20 del
medesimo decreto afferma, per l’esame di stato conclusivo del II
ciclo di istruzione, che, per gli studenti con disabilità , possono essere
predisposte prove differenziate equipollenti a quelle ordinarie per il
conseguimento del diploma. Se tali prove non risultano equipollenti a
quelle ordinarie sulla base del piano educativo individualizzato o se tali
alunni non partecipano agli esami o non sostengono una o più prove,
viene loro rilasciato un attestato di credito formativo recante gli
elementi informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di
studi seguito, alle discipline comprese nel piano di studi, con lâ
€™indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna
delle valutazioni, anche parziali, ottenute in sede di esame;
art. 17 Formazione professionale. Le regioni garantiscono lâ
€™inserimento delle persone handicappate nei corsi di formazione
professionale dei centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi
handicappati non in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento
ordinari l’acquisizione di una qualifica anche mediante attivitÃ
specifiche, tenendo conto dell’orientamento emerso dai piani
educativi individualizzati realizzati durante l’iter scolastico. A tal
fine forniscono ai centri i sussidi e le attrezzature necessarie.
Ovviamente questi corsi devono tener conto delle esigenze e delle
caratteristiche dei disabili, che potranno essere inseriti in classi comuni,
corsi specifici e corsi prelavorativi, con la possibilità di organizzare
corsi anche nei centri di riabilitazione, ove necessario. Agli studenti è
rilasciato almeno un attestato di frequenza e a essi saranno riservate
opportunità formativo-lavorative come tirocini o avviamento al lavoro
per lo più finanziate con il fondo comune istituito presso le Regioni
dall’art. 8 della Legge n. 281 del 16 maggio 1970, â
€œProvvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto
ordinarioâ€.

284
A questo proposito occorre citare, anzitutto, Aurelio Nicolodi, fondatore
dell’Unione Italiana Ciechi, e Augusto Romagnoli, insegnante promotore
dell’istruzione obbligatoria per ciechi, entrambi non vedenti.
285
“Con decreto reale, promosso dal ministro dell’interno, di concerto con quello dellâ
€™istruzione, possono essere dichiarati istituti scolastici e posti alla dipendenza del ministero dellâ
€™istruzione quegli istituti a favore dei ciechi, nei quali gli scopi dell’educazione e dellâ
€™istruzione, in base alle tavole di fondazione e agli statuti, siano esclusivi o abbiano una prevalenza
notevole sui fini di assistenza, i quali saranno tuttavia conservatiâ€.
286
“Con decreti reali di concerto tra il ministro della pubblica istruzione e
il ministro dell’interno sarà determinato quali degli istituti che
provvedono all’educazione dei ciechi e dei sordomuti debbano
accogliere gli scolari obbligati in virtù dell’articolo precedente, la
misura dei contributi che lo stato pagherà agli istituti privati che assumono
tale cura, le trasformazioni da apportarsi agli statuti dei singoli istituti ed
all’ordinamento didattico di essi, perché possano rispondere ai nuovi
compiti loro assegnati dalla legge. Agli istituti di cui al comma precedente
possono essere annessi speciali giardini d’infanziaâ€.
287
Questo il testo degli artt. 406 e 407: “art. 406 - L’obbligo dellâ
€™istruzione elementare dei ciechi si assolve, per i fanciulli che non
ricevano l’istruzione in scuole private o paterne, fino alla III classe
elementare negli istituti dei ciechi all’uopo designati e presso le
pubbliche scuole elementari specializzate. Dalla quarta classe elementare in
poi gli alunni debbono frequentare le pubbliche scuole elementari comuni.
art. 407 - L’obbligo dell’istruzione dei sordomuti si assolve, per i
fanciulli che non ricevono istruzione paterna, presso i Regi istituti dei
sordomuti di Roma, Milano e Palermo, presso gli istituti dei sordomuti a ciò
designati e presso le pubbliche scuole o classi elementari esclusivamente
riservate ai sordomutiâ€.
288
“Ad una delle facoltà mediche del regno è affidato con decreto reale
il compito di promuovere gli studi relativi alla morfologia, fisiologia e
psicologia delle varie costituzioni umane in rapporto alle anomalie della
crescenza infantile.
L’incarico suddetto ha la durata di tre anni ed è confermabile.
La facoltà di cui al 1/a comma propone al ministero dell’istruzione le
norme per l’assistenza ai fanciulli anormali e la organizzazione delle
classi differenziali; dà parere sulle domande di sussidio; controlla, mediante
tecnici di sua scelta, le scuole differenziali per anormali.
Resta in facoltà del ministero della pubblica istruzione di concedere sussidi
ad istituzioni esistenti al 14 ottobre 1925, che prestino opera per lâ
€™educazione e l’istruzione degli anormali.
Per le spese di assistenza educativa agli anormali nello stato di previsione
della spesa del ministero della pubblica istruzione è stanziata annualmente
la somma di l. 500,000.
I comuni versano allo stesso fine, ai patronati scolastici, una somma annua
di l. 100 per ogni alunno che presenti, a giudizio tecnico, anormalità di
sviluppo, suscettibile di correzione e miglioramento mediante speciale
assistenza educativa.
Tale somma può essere aumentata in rapporto a speciali inderogabili
convenzioni da stipulare fra patronato e comuneâ€.
289
“Quando gli atti di permanente indisciplina siano tali da lasciare il
dubbio che possano derivare da anormalità psichiche, il maestro può, su
parere conforme dell’ufficiale sanitario, proporre l’allontanamento
definitivo dell’alunno al direttore didattico governativo o comunale, il
quale curerà l’assegnazione dello scolaro alle classi differenziali che
siano istituite nel Comune o, secondo i casi, d’accordo con la famiglia,
inizierà pratiche opportune per il ricovero in istituti per l’educazione
dei corrigendiâ€.
290
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori allâ
€™organizzazione politica, economica e sociale del Paeseâ€.
291
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per
almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se
privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La
Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorsoâ€.
292
“Per l’istituzione di scuole speciali per minorati psicofisici e per la
rieducazione sociale, di classi differenziali nella scuola di completamento
dell’obbligo, per l’incremento delle classi differenziali nelle scuole
elementari, per l’assistenza igienico-sanitaria, didattica e per lâ
€™attrezzatura necessaria al funzionamento delle scuole e classi predette,
per il razionale reperimento degli alunni e per l’organizzazione di corsi
di specializzazione per gli insegnanti, è stanziata, nello stato di previsione
della spesa del Ministero della pubblica istruzione, la somma di lire 1.200
milioni per l’esercizio finanziario 1962-63 con un progressivo aumento
di lire 300 milioni per ciascuno degli esercizi successivi fino a raggiungere,
con l’esercizio finanziario 1964-65, la somma di lire 1.800 milioniâ€.
293
“Possono essere istituite classi differenziali per alunni disadatti
scolastici. Con apposite norme regolamentari, saranno disciplinate anche la
scelta degli alunni da assegnare a tali classi, le forme adeguate di assistenza,
l’istituzione di corsi di aggiornamento per gli insegnanti relativi, ed ogni
altra iniziativa utile al funzionamento delle classi stesse. Della Commissione,
che dovrà procedere al giudizio per il passaggio degli alunni a tali classi,
faranno parte due medici, di cui almeno uno competente in neuropsichiatria,
in psicologia o materie affini, e un esperto in pedagogia. Le classi
differenziali non possono avere più di 15 alunni. Con decreto del Ministro
per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio superiore, sono stabiliti per le
classi differenziali, che possono avere un calendario speciale, appositi
programmi e orari d’insegnamentoâ€.
294
“Nella scuola media è data facoltà di istituire classi di
aggiornamento che si affiancano alla prima e alla terza. Alla prima classe di
aggiornamento possono accedere gli alunni bisognosi di particolari cure per
frequentare con profitto la prima classe di scuola media. Alla terza classe di
aggiornamento possono accedere gli alunni che non abbiano conseguito la
licenza di scuola media perché respinti. Le classi di aggiornamento non
possono avere più di 15 alunni ciascuna: ad esse vengono destinati
insegnanti particolarmente qualificatiâ€.
295
“Per i bambini dai tre ai sei anni affetti da disturbi dell’intelligenza
o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato
istituisce sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più
gravi, scuole materne speciali. Ad ogni sezione non possono essere iscritti
più di dodici bambini.
Per il reperimento dei casi da ammettere alle sezioni speciali e alle scuole
materne speciali, e per l’assistenza sanitaria specifica, il servizio medico
scolastico si avvale di gruppi di espertiâ€.
296
Art. 28, comma 2: “l’istruzione dell’obbligo deve avvenire
nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano
affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale
gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o lâ
€™inserimento nelle predette classi normaliâ€.
297
La Circolare Ministeriale n. 184 del 3 luglio 1991 ne avrebbe definito la
figura professionale.
298
Circolare Ministeriale n. 167 del 10 luglio 1978, sul servizio psico-
pedagogico nella scuola dell’obbligo; Circolare Ministeriale n. 169 del 21
luglio 1978, per l’attuazione dell’art. 2 della L. 517/1977; Circolare
Ministeriale n.178 del 31 luglio 1978, per l’attuazione dell’art. 7;
Decreto del Presidente della Repubblica n. 50 del 6 febbraio 1979 e il
Decreto Ministeriale del 9 febbraio 1979, nei quali sono illustrati i nuovi
programmi per la scuola media, con riferimento anche ai disabili; Circolare
Ministeriale n. 159 del 28 giugno 1979, relativa alla collaborazione tra la
scuola e servizi specialistici sul territorio; Circolare Ministeriale n. 199 del 28
luglio 1979, che, sulla base degli art. 2 e 7 della L. n. 517/1977, dove si
danno indicazioni sulla formazione delle classi in cui sono presenti alunni
disabili. In esse non deve essere inserito più di un allievo disabile per classe,
con l’assegnazione un insegnante di sostegno ogni quattro, anziché sei
alunni.
299
Questo il comma 4 citato: “I dati contenuti in elenchi, registri o banche
di dati, tenuti con l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati,
sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di codici
identificativi o di altri sistemi che, considerato il numero e la natura dei dati
trattati, permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessità â€.
300
“Le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei
soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da
qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i
propri servizi. L’unità sanitaria locale, quando non sia in grado di
fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti
esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni,
aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema
tipo approvato dal Ministro della sanità , sentito il Consiglio sanitario
nazionaleâ€.
301
Art. 139 c. 1.
302
“20. Non possono essere approvati progetti di costruzione o
ristrutturazione di opere pubbliche che non siano conformi alle disposizioni
del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, in
materia di superamento delle barriere architettoniche. Non possono altresì
essere erogati dallo Stato o da altri enti pubblici contributi o agevolazioni
per la realizzazione di progetti in contrasto con le norme di cui al medesimo
decreto. 21. Per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle
prescrizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978,
numero 384, dovranno essere adottati da parte delle Amministrazioni
competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche entro un anno
dalla entrata in vigore della presente leggeâ€.
303
“1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di
difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale
da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore
in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacitÃ
complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia
personale, correlata all’età , in modo da rendere necessario un
intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera
individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di
gravità . Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei
programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti,
domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative
prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla
vigente legislazione o da accordi internazionaliâ€.

7.2 Alcune precisazioni terminologiche


Come si è visto, fin qui sono stati usati termini chiave nell’ambito dellâ
€™inclusione che necessitano tuttavia di ulteriori approfondimenti.
L’atteggiamento che il sistema scolastico italiano ha adottato nei
confronti della disabilità nel tempo, attraverso un percorso che si è evoluto
fino ai giorni nostri, è passato attraverso diverse fasi: dall’esclusione
alla segregazione, dall’inserimento/integrazione all’inclusione.
Come si è visto, la Legge Casati non contemplava minimamente la
formazione per individui affetti da disabilità , che non trovava dunque posto
nella normativa: in questo caso si parla di esclusione dei disabili dal percorso
formativo scolastico.
Nel periodo compreso fra la Riforma Gentile e gli anni precedenti alle
riforme che seguirono la contestazione studentesca, come si è visto, si
assistette a un’apertura in favore della disabilità . Questo periodo è
contraddistinto da una sostanziale segregazione in materia di disabili,
poiché, se la normativa recepì gradualmente la necessità di prevedere
un percorso formativo per disabili, a questi ultimi (come si è visto, con la
Riforma Gentile era stata presa in considerazione solo una specifica categoria
di disabilità , quella dei ciechi e dei sordomuti) erano riservate scuole e classi
separate rispetto a quelle “comuniâ€, frequentate da individui normodotati.
Con gli anni Settanta, si verificò invece un graduale e rivoluzionario
cambiamento che, con la L. 118/1971, portò all’inserimento degli
alunni affetti dalle forme più lievi di handicap nelle classi comuni, per
giungere a una piena integrazione solo con le disposizioni normative
successive, all’interno delle quali uno spartiacque fondamentale fu senza
dubbio costituito dal Documento Falcucci del 1975 e dalla L. 517/1977. La
differenza fra i concetti di “inserimento†e di “integrazione†è
quindi evidente: per inserimento si intende semplicemente l’introduzione
fisica di un individuo all’interno di un gruppo o della società , con la
finalità principale di garantire il diritto a farne parte, ma senza riferimento
alla qualità di tale presenza conseguente all’inserimento. Lâ
€™integrazione, invece, è focalizzata proprio sul momento successivo allâ
۪inserimento ed ̬ volta a garantire condizioni di presenza e di
permanenza adeguate e declinate sulla base delle esigenze delle persone
disabili e delle loro caratteristiche: i disabili sono dunque inseriti e integrati
sulla base di strategie didattiche a loro dedicate, ma per giungere al vero e
proprio concetto di “inclusione†è necessario compiere un ulteriore
passo in avanti.
Inclusione è infatti un termine di più ampio respiro, che non si riferisce
semplicemente ed esclusivamente, come quelli precedenti, ai portatori di
disabilità (inseriti e integrati ma ancora “diversi†e “differenziatiâ€
rispetto al resto del gruppo classe), ma a tutti gli individui, quindi, nel caso
del contesto scuola, a tutti gli alunni, senza eccezioni di ogni sorta. Lâ
€™inclusione, appunto, implica l’individuazione di strategie e di azioni
perché ognuno, nessuno escluso, sia messo in condizione di poter
affrontare il percorso formativo più adeguato alle sue peculiarità , percorso
che dovrà caratterizzarsi e declinarsi sulla base delle caratteristiche
irripetibili e uniche di ciascun alunno. Questo concetto si basa sulla
consapevolezza che ognuno è diverso dagli altri, con specificità proprie;
per questo motivo ha diritto a interventi e azioni didattiche individualizzate e
personalizzate.
Quando ci si riferisce dunque alla didattica individualizzata e personalizzata,
è necessario distinguere queste due espressioni. Il Decreto Ministeriale n.
5669 del 12 luglio 2011, “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni
e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento†ne fornisce la
definizione:
[...] “l’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per
tutti i componenti del gruppo-classe, ma è concepita adattando le
metodologie in funzione delle caratteristiche individuali dei discenti, con lâ
€™obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze
fondamentali del curricolo, comportando quindi attenzione alle differenze
individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni.
L’azione formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a
ciascun alunno l’opportunità di sviluppare al meglio le proprie
potenzialità e, quindi, può porsi obiettivi diversi per ciascun discente,
essendo strettamente legata a quella specifica ed unica persona dello
studente a cui ci rivolgiamoâ€.
Come si evince dal testo delle Linee Guida sui DSA, la didattica
individualizzata è genericamente rivolta a tutti gli alunni, che devono essere
messi in grado di raggiungere obiettivi comuni irrinunciabili, con interventi
individuali o di gruppo, mentre la didattica personalizzata è improntata alle
caratteristiche individuali di un particolare discente e fornisce a questi la
possibilità di sviluppare le proprie potenzialità personali: gli obiettivi non
sono più comuni, ma differenziati e adattabili a ciascun alunno preso in
considerazione.
Altri termini chiave per i quali è necessario far riferimento a una
definizione sono i seguenti304:

menomazione/deficit: riguarda un organo o un apparato funzionale, si


riferisce ad ogni perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o
psichica;
disabilità : si manifesta a livello di persona, si riferisce a qualsiasi
limitazione o perdita (conseguente ad una menomazione) della
capacità di compiere un’attività secondo i parametri considerati
normali per un essere umano;
handicap: si manifesta in seguito all’interazione con lâ
€™ambiente di una persona affetta da una minorazione o da una
disabilità , rappresenta uno svantaggio che limita o impedisce il
raggiungimento di una condizione sociale normale (in relazione allâ
€™età , al sesso e ai fattori sociali e culturali).

Questi termini hanno conosciuto un ampio uso nei testi normativi. Come si
può notare, ognuno è contenuto nel termine successivo, di significato più
ampio. In particolare, nella legislazione italiana si ha il sentore che il termine
“handicap†e l’aggettivo “handicappato†siano ormai superati,
nonostante essi compaiano già nella L. 517/1977 e soprattutto nella L.
104/1992, oltre che in gran parte della legislazione degli anni Novanta.
Desunto dal lessico sportivo anglosassone, “handicap†è stato
progressivamente sostituito dal termine “disabilità â€, fissato
ufficialmente dall’Unicef nella “Convenzione Internazionale sui diritti
delle persone con disabilità del 2006â€305, ratificata dal Parlamento italiano
con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009. Questo stesso termine è richiamato
altresì dall’Atto Europeo sull’Accessibilità 306, che, in unâ
€™ottica inclusiva, accanto alla disabilità menziona anche le limitazioni
funzionali, di durata determinata:
“L’accessibilità previene o elimina le barriere all’uso di prodotti
e servizi generici. Essa consente la percezione, l’utilizzo e la
comprensione di tali prodotti e servizi da parte di persone con limitazioni
funzionali, comprese le persone con disabilità , su una base di uguaglianza
con gli altriâ€.

304
Le definizioni qui riportate sono tratte dall’International Classification
of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH) del 1980.
305
La Convenzione è stata adottata il 13 dicembre 2006 durante la
sessantunesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
con la risoluzione A/RES/61/106.
306
“Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sul
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
degli Stati membri relative ai requisiti di accessibilità dei prodotti e dei
servizi, Bruxelles, 2 dicembre 2015â€.

7.3 L’inclusione scolastica degli alunni con


disabilitÃ
7.3.1 I documenti fondanti
Come si è visto, si è pervenuti al concetto di inclusione in ambito
scolastico gradualmente nel corso del tempo, ma oggi esso è un elemento
basilare ed essenziale.
I testi normativi che fondano l’inclusione nella scuola sono, senza
dubbio, i seguenti:
• Decreto del Presidente della Repubblica n. 79 del 24 febbraio 1994, â
€œAtto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unitÃ
sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicapâ€, strumento di
attuazione della L. 104/1992 e soppresso, a decorrere dal 1° settembre
2019, dall’art. 19, comma 2 del D. Lgs. n. 66 del 13 aprile 2017;
• Nota MIUR prot. n. 4274 del 4 agosto 2009, “Linee guida per lâ
€™integrazione scolastica degli alunni con disabilità â€;
• Decreto Legislativo n. 66 del 13 aprile 2017, “Norme per la
promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità â€;
• Decreto Legislativo n. 96 del 7 agosto 2019, “Disposizioni
integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017â€.
Le “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con
disabilità †(Nota MIUR prot. n. 4274 del 4 agosto 2009)
Nella Nota MIUR prot. n. 4274 del 4 agosto 2009, recante “Linee guida
per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità â€, sono
fondamentali i principi enunciati nell’introduzione e che, ancora una
volta, si rifanno all’evoluzione, nel tempo, dell’atteggiamento della
scuola nei confronti della disabilità e alle definizioni sopra indicate:
“L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo
irreversibile, e proprio per questo non può adagiarsi su pratiche
disimpegnate che svuotano il senso pedagogico, culturale e sociale dellâ
€™integrazione trasformandola da un processo di crescita per gli alunni con
disabilità e per i loro compagni a una procedura solamente attenta alla
correttezza formale degli adempimenti burocratici. Dietro alla â
€œcoraggiosa†scelta della scuola italiana di aprire le classi normali
affinché diventassero effettivamente e per tutti “comuniâ€, c’è una
concezione alta tanto dell’istruzione quanto della persona umana, che
trova nell’educazione il momento prioritario del proprio sviluppo e della
propria maturazione. Crescere è tuttavia un avvenimento individuale che
affonda le sue radici nei rapporti con gli altri e non si può parlare di
sviluppo del potenziale umano o di centralità della persona considerandola
avulsa da un sistema di relazioni la cui qualità e la cui ricchezza è il
patrimonio fondamentale della crescita di ognuno. La scuola è una
comunità educante, che accoglie ogni alunno nello sforzo quotidiano di
costruire condizioni relazionali e situazioni pedagogiche tali da consentirne
il massimo sviluppo. Una scuola non solo per sapere dunque ma anche per
crescere, attraverso l’acquisizione di conoscenze, competenze, abilità ,
autonomia, nei margini delle capacità individuali, mediante interventi
specifici da attuare sullo sfondo costante e imprescindibile dellâ
€™istruzione e della socializzazione. In questo senso si configura la norma
costituzionale del diritto allo studio, interpretata alla luce della legge
59/1997 e del DPR 275/1999, da intendersi quindi come tutela soggettiva
affinché le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia funzionale e
flessibilità organizzativa, predispongano le condizioni e realizzino le
attività utili al raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunniâ€.
Si tratta di un documento perfettamente in linea e conseguente alla
Convenzione per i diritti delle persone con disabilità e all’ICF. La prima
parte ripercorre la normativa fondamentale relativa al diritto all’istruzione
delle persone affette da disabilità , a partire dalla Costituzione; la seconda
parte, invece, ribadisce l’importanza del raccordo fra gli attori che
partecipano sul territorio allo sviluppo dell’inclusione. Sono infatti
specificati i compiti spettanti agli Uffici Scolastici Regionali, che sono tenuti
a promuovere la stipula di accordi di programma per l’ottimizzazione e lâ
۪uso delle risorse, nonch̩ la formazione del personale della scuola e a
favorire la costituzione di reti di scuole e di centri competenti territoriali. Le
Istituzioni scolastiche, nell’esercizio dell’autonomia, applicano il
potere discrezionale come ogni Pubblica Amministrazione: questo, tuttavia,
non deve degenerare nella disparità di trattamento, e per garantire ciò è
necessaria la partecipazione di tutte le componenti scolastiche al processo di
integrazione dell’alunno, per lo sviluppo delle competenze negli
apprendimenti, nella comunicazione e nella relazione. È sottolineata lâ
€™importanza, in questo senso, della figura del dirigente scolastico, che
detiene un essenziale ruolo di coordinamento, esercitando una leadership
gestionale e relazionale efficace, di concerto con gli organi collegiali, con i
gruppi di lavoro307, con i docenti di sostegno, che sono assegnati alle classi ai
sensi del Testo Unico L. 297/1994, con il personale ATA e con le famiglie.
La programmazione, fondamentale in questo contesto e legata a forme di
flessibilità organizzativa e didattica, viene a configurarsi come
progettazione educativa che scaturisce dal principio del diritto allo studio e
allo sviluppo, anche nella logica della costruzione di un progetto di vita che
consente all’alunno di “avere un futuroâ€.
Decreto Legislativo n.66 del 13 aprile 2017, “Norme per la promozione
dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità â€.
È uno degli otto decreti legislativi attuativi della L. 107/2015. Dopo unâ
۪apertura sulle competenze dello Stato e degli Enti locali, ̬
particolarmente significativo l’art. 4, che si riferisce alla valutazione della
qualità dell’inclusione scolastica, parte integrante del procedimento di
valutazione delle istituzioni scolastiche. Gli indicatori riportati dal decreto
sono formulati dall’INVALSI, sentito l’Osservatorio permanente per
l’inclusione scolastica308:
“a) livello di inclusività del Piano triennale dell’offerta formativa
come concretizzato nel Piano per l’inclusione scolastica;
b) realizzazione di percorsi per la personalizzazione, individualizzazione e
differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione, definiti
ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche delle
bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli
studenti;
c) livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell’elaborazione del
Piano per l’inclusione e nell’attuazione dei processi di inclusione;
d) realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze
professionali del personale della scuola incluse le specifiche attivitÃ
formative;
e) utilizzo di strumenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di
apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti,
anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di
comunicazione;
f) grado di accessibilità e di fruibilità delle risorse, attrezzature, strutture e
spazi e, in particolare, dei libri di testo adottati e dei programmi gestionali
utilizzati dalla scuolaâ€.
Decreto Legislativo n. 96 del 7 agosto 2019, “Disposizioni integrative e
correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017â€.
Questo decreto modifica parte del D.Lgs. 66/2017, ma il suo contenuto, con
le principali correzioni introdotte, sarà trattato in maniera approfondita al
par. 7.11.
Si illustreranno a questo punto le modalità con le quali si concretizza il
processo di inclusione degli alunni con disabilità nella scuola.

7.3.2 Il piano per l’inclusione


L’art. 8 del D.Lgs. 66/2017, successivamente novellato dal D.Lgs.
96/2019, introduce il piano per l’inclusione, un documento redatto da
ogni istituzione scolastica, nel quale sono contenute le modalità per lâ
€™utilizzo coordinato delle risorse, compreso l’utilizzo complessivo
delle misure di sostegno sulla base dei singoli PEI e, nel rispetto del principio
di accomodamento ragionevole, per il superamento delle barriere e lâ
۪individuazione dei facilitatori del contesto di riferimento, nonch̩ per
progettare e programmare gli interventi di miglioramento della qualità dellâ
€™inclusione scolastica. Si ribadisce che il piano per l’inclusione, come
documento di programmazione interno alle istituzioni scolastiche, è attuato
nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili. Il piano di
inclusione è parte integrante del PTOF.

7.3.3 Il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI)


Il Piano Annuale per l’Inclusività è stato introdotto dalla Circolare
Ministeriale n. 8/561 del 6 marzo 2013, è riferito a tutti gli alunni con BES
e deve essere redatto da ogni istituzione scolastica al termine di ogni anno
scolastico, entro il mese di giugno. Esso viene realizzato dal Gruppo di
lavoro per l’inclusione, che è tenuto, in questa sede, a formulare unâ
€™ipotesi globale di utilizzo funzionale delle risorse per incrementare il
livello di inclusività generale della scuola nell’anno successivo. Il Piano
viene discusso e deliberato dal Collegio dei Docenti, per essere poi inviato
all’Ufficio Scolastico Regionale, ai Gruppi di lavoro provinciale e
regionale, per la richiesta dell’organico di sostegno, e alle altre istituzioni
territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di competenza,
considerando anche gli Accordi di Programma in vigore o altre specifiche
intese sull’integrazione scolastica sottoscritte con gli Enti Locali. A
seguito di ciò, gli Uffici Scolastici Regionali assegnano alle singole scuole
globalmente le risorse di sostegno secondo quanto stabilito dall’ art. 19 c.
11 della Legge n. 111 del 15 luglio 2011. Nel mese di settembre, in relazione
alle risorse effettivamente assegnate alla scuola (ovvero, secondo la
previsione dell’art. 50 della Legge n. 35 del 4 aprile 2012, alle reti di
scuole), il Gruppo di lavoro per l’inclusione provvede ad un adattamento
del Piano, sulla base del quale il dirigente scolastico procede allâ
€™assegnazione definitiva delle risorse in termini funzionali.

7.3.4 La certificazione della disabilitÃ


La famiglia dell’alunno che richiede la certificazione della disabilitÃ
deve, in seguito al rilascio di un certificato del proprio medico, presentare
domanda all’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, come ribadito
dall’art. 5 del D.Lgs. 66/2017. L’INPS deve fornire un riscontro entro
30 giorni dalla presentazione della stessa.
L’alunno viene quindi sottoposto a visita alla presenza di una
commissione medica così costituita:
- un medico legale, che assume le funzioni di presidente;
- due medici specialisti, scelti fra quelli in pediatria, in neuropsichiatria
infantile o nella specializzazione inerente alla condizione di salute del
soggetto;
- un assistente specialistico o un operatore sociale, individuati dall’ente
locale;
- un medico INPS.
Successivamente all’accertamento della condizione di disabilità dellâ
€™alunno, i genitori trasmettono la certificazione rilasciata dalla
commissione all’unità di valutazione multidisciplinare, all’ente
locale competente e all’istituzione scolastica. L’unità di valutazione
multidisciplinare309 redige il profilo di funzionamento, documento
introdotto proprio dal D.Lgs. 66/2017, che acquisisce i precedenti atti della
diagnosi funzionale (introdotta dall’art. 3 del D.P.R. del 1994) e del
profilo dinamico-funzionale (introdotto dall’art. 4 del medesimo D.P.R.).
L’art. 5 c. 4 del D.Lgs. 66/2017 definisce il profilo di funzionamento in
questi termini:
“a) è il documento propedeutico e necessario alla predisposizione del
Progetto Individuale e del PEI;
b) definisce anche le competenze professionali e la tipologia delle misure di
sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione
scolastica;
c) è redatto con la collaborazione dei genitori della bambina o del bambino,
dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente con
disabilità , nonché con la partecipazione di un rappresentante dellâ
€™amministrazione scolastica, individuato preferibilmente tra i docenti
della scuola frequentata;
d) è aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione, a partire dalla
scuola dell’infanzia, nonché in presenza di nuove e sopravvenute
condizioni di funzionamento della personaâ€.
Il profilo di funzionamento, che recepisce quindi la diagnosi funzionale e il
profilo dinamico funzionale, contiene una parte anagrafica, informazioni
relative al nucleo familiare, una parte diagnostico-medica con anamnesi
fisiologica prossima e remota, una parte didattica che individua la situazione
di partenza e gli obiettivi a medio e lungo termine.
Questo documento è redatto secondo i parametri dell’International
Cassification of Functioning, Disability and Health (ICF), un sistema di
classificazione della disabilità sviluppato dall’Organizzazione mondiale
della sanità (OMS). È stato approvato nel corso della 54a World Health
Assembly (WHA) il 22 Maggio 2001, andando a sostituire l’International
Classification of of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH)
risalente al 1980. L’ICF è una classificazione condivisa a livello
internazionale approvata dall’ONU, finalizzata a descrivere lo stato di
salute delle persone nel contesto sociale, familiare, lavorativo, per
evidenziare le condizioni che possono causare, a seconda dell’ambito
preso in considerazione, eventuali difficoltà .
L’Ente locale, sulla base della certificazione di disabilità e del profilo di
funzionamento, d’intesa con la competente Azienda sanitaria locale
redige il progetto individuale, su richiesta e con la collaborazione dei
genitori o di chi ne esercita la responsabilità . Il progetto individuale,
previsto per la prima volta dall’art. 14 c. 2 della Legge n. 328 dell’8
novembre 2000, riporta la valutazione diagnostico-funzionale dellâ
€™alunno, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio
sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma
diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e allâ
۪integrazione sociale, nonch̩ le misure economiche necessarie per il
superamento di condizioni di povertà , emarginazione ed esclusione sociale.
Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni
per il nucleo familiare. Le prestazioni, i servizi e le misure di cui al Progetto
individuale sono definite anche in collaborazione con le istituzioni
scolastiche.
Queste ultime, sulla base della certificazione di disabilità e del profilo di
funzionamento, elaborano il piano educativo individualizzato (PEI),
introdotto dalla L. 104 all’art. 12 c. 5, in seguito novellato dall’art. 7
del D.Lgs. 66/2017. Esso è elaborato e approvato dal Gruppo di lavoro
operativo per l’inclusione, composto dal team dei docenti contitolari o dal
consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori o dei soggetti che ne
esercitano la responsabilità , delle figure professionali specifiche interne ed
esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con lâ
€™alunno e con il supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare;
il PEI costituisce il documento essenziale del percorso educativo-formativo
dello studente, poiché individua strumenti, strategie e modalità per
realizzare un ambiente di apprendimento nelle dimensioni della relazione,
della socializzazione, della comunicazione, dell’interazione, dellâ
€™orientamento e delle autonomie; esso esplicita le modalità didattiche e di
valutazione in relazione alla programmazione individualizzata; definisce gli
strumenti per l’effettivo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro,
assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione;
indica le modalità di coordinamento degli interventi ivi previsti e la loro
interazione con il Progetto individuale.
Il PEI è redatto all’inizio di ogni anno scolastico di riferimento, a partire
dalla scuola dell’infanzia, ed è aggiornato in presenza di nuove e
sopravvenute condizioni di funzionamento della persona. A questo proposito,
è soggetto a verifiche periodiche nel corso dell’anno scolastico, al fine
di accertare il raggiungimento degli obiettivi e apportare eventuali modifiche
ed integrazioni.
Nel passaggio tra i gradi di istruzione, compresi i casi di trasferimento fra
scuole, è assicurata l’interlocuzione tra i docenti della scuola di
provenienza e quelli della scuola di destinazione, all’insegna della
continuità del progetto educativo e didattico auspicata nell’art. 14 del
medesimo decreto.

7.3.5 Gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica


La normativa ha previsto la costituzione di gruppi di lavoro che, a diversi
livelli, operano per favorire l’inclusione scolastica. Già la L. 104, allâ
€™art. 15, li aveva introdotti, denominandoli “gruppi di lavoro per lâ
€™integrazioneâ€. In particolare, era istituito un gruppo di lavoro operante
presso gli uffici scolastici provinciali e gruppi di lavoro e di studio presso le
istituzioni scolastiche, questi ultimi denominati Gruppi di studio e di lavoro
per l’integrazione scolastica d’istituto (GLHI). I primi, con il Decreto
Ministeriale del 26 giugno 1992, hanno assunto la denominazione di Gruppi
di lavoro interistituzionali degli uffici scolastici provinciali.
A livello di Ufficio Scolastico Regionale, è presente il Gruppo di Lavoro
interistituzionale regionale (GLIR), presieduto da un dirigente dellâ
€™USR o da un suo delegato, e composto dai rappresentanti delle Regioni,
degli Enti locali e delle associazioni delle persone con disabilitÃ
maggiormente rappresentative a livello regionale nel campo dellâ
€™inclusione scolastica. I compiti principali del GLIR sono i seguenti:
consulenza e proposta all’USR per la definizione, l’attuazione e la
verifica degli accordi di programma, integrati con le finalità di cui alla
Legge n. 107 del 13 luglio 2015, con particolare riferimento alla continuitÃ
delle azioni sul territorio, all’orientamento e ai percorsi integrati scuola-
territorio-lavoro; supporto ai Gruppi per l’inclusione territoriale (GIT);
supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di
formazione in servizio del personale della scuola.
A livello degli ambiti territoriali, è costituito il Gruppo di lavoro per lâ
۪inclusione territoriale (GIT). Il GIT ̬ nominato con decreto del
direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale ed è coordinato da
un dirigente tecnico o da un dirigente scolastico che lo presiede, tre dirigenti
scolastici dell’ambito territoriale, due docenti per la scuola dellâ
€™infanzia e il primo ciclo di istruzione e uno per il secondo ciclo di
istruzione, nominati con decreto dell’USR310.
Il GIT riceve dai dirigenti scolastici le proposte di quantificazione delle
risorse di sostegno didattico, le verifica e formula la relativa proposta allâ
€™USR. Il GIT, che agisce in coordinamento con l’ufficio scolastico
regionale, supporta le istituzioni scolastiche nella definizione dei PEI secondo
la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF, nellâ
€™uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per lâ
€™Inclusione della singola istituzione scolastica, nel potenziamento della
corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva.
Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione
delle attività , nonché per il coordinamento degli interventi di competenza
dei diversi livelli istituzionali sul territorio, il GIT è integrato dalle
associazioni rappresentative delle persone con disabilità nel campo dellâ
€™inclusione scolastica e dagli Enti locali e dalle Aziende sanitarie locali.
Presso ciascuna istituzione scolastica è istituito il Gruppo di lavoro per lâ
۪inclusione (GLI). Il GLI ̬ composto da docenti curricolari, docenti di
sostegno e, eventualmente da personale ATA, nonché da specialisti della
Azienda Sanitaria Locale del territorio di riferimento dell’istituzione
scolastica. Il gruppo è nominato e presieduto dal dirigente scolastico e ha il
compito di supportare, da un lato, il collegio dei docenti nella definizione e
realizzazione del Piano per l’inclusione, dall’altro i docenti contitolari
e i consigli di classe nell’attuazione dei PEI.
In sede di definizione e attuazione del Piano di inclusione, il GLI si avvale
della consulenza e del supporto degli studenti, dei genitori e delle
associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative del
territorio nel campo dell’inclusione scolastica. Al fine di realizzare il
Piano di inclusione e il PEI, il GLI collabora altresì con le istituzioni
pubbliche e private presenti sul territorio. Alle riunioni GLI partecipa un
rappresentante dell’ente territoriale competente.
I gruppi di lavoro per l’inclusione rivestono un ruolo fondamentale e
cooperano in sinergia per le richieste e l’assegnazione delle risorse per il
sostegno didattico (di cui all’art. 10 del medesimo decreto). Il dirigente
scolastico, infatti, sentito il GLI e sulla base dei singoli PEI, propone al GIT
la quantificazione dell’organico relativo ai posti di sostegno, diviso per
ciascun grado di istruzione, inclusa la scuola dell’infanzia.
Il GIT, sulla base del Piano per l’inclusione, dei Profili di funzionamento,
dei Piani educativi individualizzati, dei Progetti individuali, trasmessi dai
singoli dirigenti scolastici, dopo averli sentiti in relazione ad ogni singola
situazione, verifica la quantificazione delle risorse di sostegno didattico
effettuata da ciascuna scuola e formula una proposta all’USR. Questâ
€™ultimo assegna dunque le risorse nell’ambito di quelle dellâ
€™organico dell’autonomia per i posti di sostegno311.
A questi si aggiunge il GLO, ossia il Gruppo di lavoro operativo per lâ
€™inclusione dei singoli alunni. Esso assume i compiti del GLHI, giÃ
previsto dalla L. 104 e riconfermato dalla Circolare Ministeriale n. 8 del 6
marzo 2013, che ne ha esteso le competenze, riferendole a ogni alunno con
disturbi specifici di apprendimento. Il GLO è stato istituito dall’art. 8
del D.Lgs. 96/2019, che ha modificato l’art. 9 del D.Lgs. 66/2017,
relativo appunto ai gruppi di lavoro per l’inclusione.
Ogni Gruppo di lavoro operativo, costituito all’interno dellâ
۪istituzione scolastica, ̬ composto dal team dei docenti contitolari o dal
consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori del bambino o studente
con disabilità , o di chi esercita la responsabilità genitoriale, delle figure
professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che
interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché con il
necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare. Ai
componenti del Gruppo di lavoro operativo non spetta alcun compenso,
indennità , gettone di presenza, rimborso spese e qualsivoglia altro
emolumento. Dall’attivazione dei Gruppi di lavoro operativo non devono
derivare, anche in via indiretta, maggiori oneri di personale. All’interno
del Gruppo di lavoro operativo è assicurata la partecipazione attiva degli
studenti con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dellâ
€™inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione.

7.3.6 I Centri territoriali di supporto


Il medesimo art. 8 del citato decreto 96/2019 approfondisce inoltre il ruolo
dei Centri territoriali di supporto (CTS), introdotti dalla Direttiva
Ministeriale del 27 dicembre 2012, “Strumenti d’intervento per alunni
con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per lâ
€™inclusione scolasticaâ€. I CTS sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici
Regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto “Nuove
Tecnologie e Disabilità â€. I Centri sono collocati presso scuole polo, di
solito una per ambito territoriale o per area metropolitana, e la loro sede
coincide con quella dell’istituzione scolastica che li accoglie. Pertanto il
dirigente della scuola ha la responsabilità amministrativa per quanto
concerne la gestione e l’organizzazione del Centro. In alcune regioni ai
CTS, di livello provinciale, sono stati affiancati i CTI-Centri Territoriali per
l’Inclusione, di livello distrettuale.
I CTS operano in sinergia con Enti Locali, Servizi Sanitari, Associazioni e
Centri di ricerca, di formazione e di documentazione, oltre che con il GLIR, i
GIT e i GLI delle singole scuole. Queste ultime traggono vantaggio dalla rete
venutasi così a creare al fine di assicurare la massima ricaduta possibile
delle azioni di consulenza, formazione, monitoraggio e raccolta di buone
pratiche, nonché di adottare una politica (nel senso di “policyâ€) interna
delle scuole per l’inclusione, che assuma una reale trasversalità e
centralità rispetto al complesso dell’offerta formativa. In concreto, i
CTS sono dunque istituzioni scolastiche di riferimento per la consulenza,
formazione, collegamento e monitoraggio a supporto dei processi di
inclusione, per lo sviluppo, la diffusione e il miglior utilizzo di ausili, sussidi
didattici e di nuove tecnologie per la disabilità .
In particolare, i CTS informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro
genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali. È
infatti loro specifico compito coadiuvare le istituzioni scolastiche nellâ
€™ottenimento degli ausili didattici in comodato d’uso per gli alunni con
difficoltà e accompagnarli nella scelta, presentandoli e inserendoli nel
progetto educativo più adeguato al singolo caso, a partire dall’Azione 6
del progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità â€.
Per ogni anno scolastico, i CTS, autonomamente o in rete, definiscono il
piano annuale di intervento relativo ad acquisti e iniziative di formazione. Nel
piano, quindi, sono indicati gli acquisti degli ausili necessari, nei limiti delle
risorse disponibili e a ciò destinate, su richiesta della scuola, e assegnati
tramite comodato d’uso.
È opportuno che l’ausilio da acquistare sia individuato da un esperto
operatore del CTS, con l’eventuale supporto – se necessario – di
esperti esterni indipendenti. Periodicamente, assieme ai docenti dellâ
€™alunno, è verificata l’efficacia dell’ausilio medesimo. Ogni CTS,
inoltre, si dota di un proprio regolamento interno.
In ogni CTS dovrebbero essere presenti tre operatori, di cui almeno uno
specializzato sui Disturbi Specifici di Apprendimento. È opportuno
individuare gli operatori fra i docenti curricolari e di sostegno, che possono
garantire continuità di servizio, almeno per tre anni consecutivi.
Gli operatori possono essere in servizio nelle scuole sede di CTS o in altre
scuole, tuttavia anche in questo secondo caso deve essere assicurato il
regolare funzionamento della struttura. Gli operatori sono tenuti a partecipare
a momenti formativi in presenza (tale formazione viene riconosciuta a tutti
gli effetti come servizio) in occasione di eventi organizzati dagli stessi CTS o
di iniziative a carattere regionale e nazionale rilevanti in tema di inclusione,
ma anche on line attraverso il portale nazionale appositamente istituito.
Quest’ultimo, infatti, è stato predisposto come ambiente di
apprendimento–insegnamento e scambio di informazioni e consulenza.
All’interno del portale sono ricompresi i siti Handytecno ed
Essediquadro, rispettivamente dedicati agli ausili ed al servizio di
documentazione dei software didattici.
I CTS possono dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico, a cui spetta il
compito di redigere il piano annuale di cui sopra, al fine di definire le linee
generali di intervento – nel rispetto delle eventuali priorità assegnate a
livello di Ministero e di Ufficio Scolastico Regionale – e le iniziative da
realizzare sul territorio a breve e medio termine.
Fanno parte del Comitato Tecnico Scientifico il dirigente scolastico, un
rappresentante degli operatori del CTS, un rappresentante designato dallâ
€™USR, e, ove possibile, un rappresentante dei Servizi Sanitari. È
auspicabile che partecipino alle riunioni o facciano parte del Comitato anche i
referenti CTI, i rappresentanti degli Enti Locali, delle Associazioni delle
persone con disabilità e dei loro familiari, nonché esperti in specifiche
tematiche connesse con le tecnologie per l’integrazione.
Presso la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la
Partecipazione e la Comunicazione del Ministero è costituito il
Coordinamento nazionale dei CTS.
Lo scopo di tale organismo è garantire il migliore funzionamento della rete
nazionale dei CTS. Esso ha compiti di consulenza, programmazione e
monitoraggio, nel rispetto delle prerogative dell’Amministrazione
centrale e degli Uffici Scolastici Regionali, comunque rappresentati nel
Coordinamento stesso.
Fanno parte del Coordinamento nazionale:

un rappresentante del Ministero dell’Istruzione;


i referenti per la Disabilità /DSA degli Uffici Scolastici Regionali;
i referenti regionali CTS;
un rappresentante del Ministero della Salute;
un rappresentante del Ministero delle politiche sociali e del lavoro;
eventuali rappresentanti della FISH e della FAND;
docenti universitari o esperti nelle tecnologie per l’integrazione.

Il Coordinamento nazionale si rinnova ogni due anni.


Il Comitato tecnico è costituito dal rappresentante del Ministero dellâ
€™Istruzione, che lo presiede, e da una rappresentanza di quattro referenti
CTS e quattro referenti per la disabilità /DSA degli Uffici Scolastici
Regionali.

307
Dei quali si parlerà in maniera approfondita al par. 7.3.2.
308
L’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica viene
istituito proprio da questo decreto, all’art. 15:
“1. È istituito presso il Ministero dell’istruzione, dell’universitÃ
e della ricerca l’Osservatorio permanente per l’inclusione
scolastica, che si raccorda con l’Osservatorio nazionale sulla condizione
delle persone con disabilità .
2. L’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica svolge i
seguenti compiti: a) analisi e studio delle tematiche relative allâ
€™inclusione delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle
studentesse e degli studenti con disabilità certificata a livello nazionale e
internazionale; b) monitoraggio delle azioni per l’inclusione scolastica;
c) proposte di accordi inter-istituzionali per la realizzazione del progetto
individuale di inclusione; d) proposte di sperimentazione in materia di
innovazione metodologico-didattica e disciplinare; e) pareri e proposte sugli
atti normativi inerenti l’inclusione scolastica.
3. L’Osservatorio di cui al comma 2 è presieduto dal Ministro dellâ
€™istruzione, dell’università e della ricerca o da un suo delegato, ed è
composto dai rappresentanti delle Associazioni delle persone con disabilitÃ
maggiormente rappresentative sul territorio nazionale nel campo dellâ
۪inclusione scolastica, da studenti nonch̩ da altri soggetti pubblici e
privati, comprese le istituzioni scolastiche, nominati dal Ministro dellâ
€™istruzione, dell’università e della ricerca.
4. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, sono determinate le modalità di funzionamento, incluse le
modalità di espressione dei pareri facoltativi di cui al comma 2, lettera e),
nonché la durata dell’Osservatorio di cui al comma 2.
5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblicaâ€.
309
L’unità di valutazione multidisciplinare, istituita con l’Atto di
indirizzo del 1994, è composta da un medico specialista o un esperto della
condizione di salute della persona, da uno specialista in neuropsichiatria
infantile, da un terapista della riabilitazione, da un assistente sociale o da un
rappresentante dell’Ente locale di competenza che ha in carico il
soggetto. La composizione dell’unità di valutazione multidisciplinare è
stata in seguito modificata dal D.Lgs. 96/2019. Essa è stata notevolmente
ridimensionata, con un numero di elementi che oscilla da 3 a un massimo di 4
professionisti (Neuropsichiatra infantile o esperto nella patologia più
almeno due tra terapista della riabilitazione, psicologo e assistente sociale o
rappresentante dell’Ente Locale).
310
Il D.Lgs. 96/2019 ne ha variato la composizione, ribadendo: “Il GIT è
composto da personale docente esperto nell’ambito dell’inclusione,
anche con riferimento alla prospettiva bio-psico-sociale, e nelle metodologie
didattiche inclusive e innovativeâ€. A ora, il ruolo e il compito del GIT non
è tuttavia stato messo a punto in modo concreto.
311
L’art. 9 del D.Lgs. 96/2019, che ha novellato e integrato l’art. 10
del D.Lgs. 66/2017, prevede il seguente iter per la richiesta delle risorse per il
sostegno didattico: “1. […] il Dirigente Scolastico, sulla base del PEI di
ciascun alunno, raccolte le osservazioni e i pareri del GLI, sentito il GIT,
tenendo conto delle risorse didattiche, strumentali, strutturali presenti nella
scuola, nonché della presenza di altre misure di sostegno, al fine di
realizzare un ambiente di apprendimento favorevole allo sviluppo dellâ
€™autonomia delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle
studentesse e degli studenti con accertata condizione di disabilità in etÃ
evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, invia all’ufficio scolastico
regionale la richiesta complessiva dei posti di sostegno.
2. L’ufficio scolastico regionale assegna le risorse nell’ambito di
quelle dell’organico dell’autonomia per i posti di sostegno. Il
Dirigente Scolastico, in tempo utile per l’ordinario avvio dell’anno
scolastico, trasmette, sulla base dei PEI, di cui all’articolo 7, comma 2,
la richiesta complessiva delle misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle
didattiche agli enti preposti, i quali, relativamente all’assegnazione di
dette misure, attribuiscono le risorse complessive secondo le modalitÃ
attuative e gli standard qualitativi previsti nell’accordo di cui allâ
€™articolo 3, comma 5-bisâ€.
7.4 I Disturbi Specifici dell’Apprendimento
7.4.1 Definizione
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) costituiscono un insieme
di disturbi di natura eterogena che si manifesta in presenza di capacitÃ
cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit
sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune
attività della vita quotidiana. Si tratta di disturbi dovuti presumibilmente a
disfunzioni del sistema nervoso centrale. I disturbi specifici dellâ
€™apprendimento hanno trovato una normazione con la Legge n. 170 dellâ
€™8 ottobre 2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolasticoâ€, mentre le modalità operative di
intervento per favorire l’inclusione degli alunni con DSA sono definite
nelle “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con
disturbi specifici di apprendimento†allegate al Decreto Ministeriale n. 5669
del 12 luglio 2011. I principali disturbi dell’apprendimento sono i
seguenti:

dislessia, un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltÃ


nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni
linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura. Si
manifesta attraverso una minore correttezza e rapidità della lettura a
voce alta rispetto a quanto atteso per età anagrafica, classe
frequentata, istruzione ricevuta. Risultano più o meno deficitarie – a
seconda del profilo del disturbo in base all’età – la lettura di
lettere, di parole e non-parole, di brani. In generale, l’aspetto
evolutivo della dislessia può farlo somigliare a un semplice
rallentamento del regolare processo di sviluppo. Tale considerazione
è utile per l’individuazione di eventuali segnali anticipatori, fin
dalla scuola dell’infanzia;
disgrafia, un disturbo specifico di scrittura che si manifesta con
difficoltà nella realizzazione grafica. Fa riferimento al controllo degli
aspetti grafici, formali, della scrittura manuale, ed è collegata al
momento motorio-esecutivo della prestazione; si manifesta in una
minore fluenza e qualità dell’aspetto grafico della scrittura, in
rapporto all’età anagrafica dell’alunno;
disortografia, un disturbo specifico di scrittura che si manifesta con
difficoltà nei processi linguistici di transcodifica. Viene fatto risalire
ad un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo
di scrittura, responsabili della transcodifica del linguaggio orale nel
linguaggio scritto. Riguarda l’utilizzo, in fase di scrittura, del
codice linguistico in quanto tale ed è all’origine di una minore
correttezza del testo scritto, in rapporto all’età anagrafica dellâ
€™alunno;
discalculia, un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltÃ
negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri.
Riguarda l’abilità di calcolo, sia nella componente dellâ
€™organizzazione della cognizione numerica (intelligenza numerica
basale), sia in quella delle procedure esecutive e del calcolo. Nel primo
ambito, la discalculia interviene sugli elementi basali dell’abilitÃ
numerica: il subitizing (o riconoscimento immediato di piccole
quantità ), i meccanismi di quantificazione, la seriazione, la
comparazione, le strategie di composizione e scomposizione di
quantità , le strategie di calcolo a mente. Nell’ambito procedurale,
invece, la discalculia rende difficoltose le procedure esecutive per lo
più implicate nel calcolo scritto: la lettura e scrittura dei numeri, lâ
€™incolonnamento, il recupero dei fatti numerici e gli algoritmi del
calcolo scritto vero e proprio.

La dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia possono sussistere


separatamente o insieme. In quest’ultimo caso si parla di â
€œcomorbilità â€.
La finalità enunciata dalla legge 170/2010 è garantire il diritto allo studio e
il successo formativo degli alunni che presentano tali disturbi, in modo da
ridurre i disagi e gli ostacoli che possono presentarsi sul loro percorso
scolastico.
Ai fini di un riconoscimento precoce dei disturbi specifici dellâ
€™apprendimento per la predisposizione di un’azione didattica efficace
è quanto mai fondamentale il ruolo dell’osservazione in classe da parte
dei docenti, in particolare nei primi segmenti dell’istruzione, ma anche
lungo tutto il percorso formativo dell’alunno.
A questo proposito, per effettuare un’osservazione efficace, non
occorrono particolari mezzi, è sufficiente riscontrare eventuali prestazioni
atipiche nei tre ambiti interessati: lettura, scrittura, calcolo. Per esempio, nella
scrittura, è possibile osservare la presenza di errori ricorrenti, oppure la
difficoltà a controllare l’ortografia o la punteggiatura. Nella lettura,
possono essere indicativi il permanere di una lettura sillabica ben oltre la
metà della prima classe primaria, la tendenza a leggere la stessa parola in
modi diversi nel medesimo brano, il perdere frequentemente il segno o la
riga. Se, predisposte idonee attività di recupero e di potenziamento, tali
difficoltà permangono, è necessario darne comunicazione alla famiglia
consigliandola di ricorrere ad uno specialista per accertare la presenza o
meno di un disturbo specifico di apprendimento.

7.4.2 La certificazione dei disturbi specifici dellâ


€™apprendimento
Per quel che concerne la certificazione dei disturbi specifici dellâ
€™apprendimento, occorre che la famiglia si rivolga al Servizio Sanitario
Nazionale oppure a studi privati che effettuano diagnosi neuropsicologiche.
Sulle modalità di svolgimento di tale iter le Regioni hanno fornito
regolamentazioni assai diverse. La L. 170/2010, all’art. 3 afferma: “1.
La diagnosi dei DSA è effettuata nell’ambito dei trattamenti
specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione
vigente ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello
studente. Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi
nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario
nazionale possono prevedere, nei limiti delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente, che la medesima diagnosi sia
effettuata da specialisti o strutture accreditate.
2. Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico
mirato, presentano persistenti difficoltà , la scuola trasmette apposita
comunicazione alla famiglia.
3. È compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dellâ
€™infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie
interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA
degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7,
comma 1. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi
di DSAâ€.
La diagnosi di DSA, come riporta il p. 4 delle Linee Guida, può essere
formulata con certezza alla fine della seconda classe della scuola primaria,
quando già il bambino ha superato il periodo di insegnamento della letto-
scrittura e dei primi elementi del calcolo. È necessario, pertanto, effettuare
azioni mirate di osservazione sui bambini fin dalla scuola dell’infanzia,
per avviare un’indagine preventiva adeguata, senza tuttavia voler
precorrere le tappe dell’insegnamento della letto-scrittura.

7.4.3 La didattica per DSA


Si è già parlato di didattica individualizzata e personalizzata312, la cui
sinergia costituisce il presupposto fondamentale per l’acquisizione degli
obiettivi di apprendimento. La legislazione in materia di DSA, in primis lâ
€™art. 5 della L. 170/2010, fa riferimento a due strumenti essenziali per
garantire il successo formativo degli alunni che ne sono affetti: gli strumenti
compensativi e le misure dispensative.
Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che
sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria.
Fra i più noti, le Linee Guida indicano i seguenti:

la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di


ascolto;
il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non
scrivere gli appunti della lezione;
i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che
permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza lâ
€™affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli
errori;
la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari,
mappe concettuali, etc.
Tali strumenti sollevano l’alunno o lo studente con DSA da una
prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito
dal punto di vista cognitivo. L’utilizzo di tali strumenti non è immediato
e i docenti devono facilitarne l’uso da parte di alunni e studenti con DSA.
Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno
o allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo,
risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano lâ
۪apprendimento. Per esempio, non ̬ utile far leggere a un alunno con
dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non
migliora la sua prestazione nella lettura. D’altra parte, consentire allâ
€™alunno o allo studente con DSA di usufruire di maggior tempo per lo
svolgimento di una prova, o di poter svolgere la stessa su un contenuto
comunque disciplinarmente significativo ma ridotto, trova la sua ragion dâ
€™essere nel fatto che il disturbo li impegna per più tempo dei propri
compagni nella fase di decodifica degli items della prova. A questo riguardo,
gli studi disponibili in materia consigliano di stimare, tenendo conto degli
indici di prestazione dell’allievo, in che misura la specifica difficoltà lo
penalizzi di fronte ai compagni e di calibrare di conseguenza un tempo
aggiuntivo o la riduzione del materiale di lavoro. In assenza di indici più
precisi, una quota del 30% in più appare un ragionevole tempo aggiuntivo.
L’adozione delle misure dispensative, al fine di non creare percorsi
immotivatamente facilitati, che non mirano al successo formativo degli alunni
e degli studenti con DSA, dovrà essere sempre valutata sulla base dellâ
€™effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale,
comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di
apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.

7.4.4 Il Piano Didattico Personalizzato


Il percorso formativo dell’alunno con DSA è gestito e monitorato
attraverso un documento, il Piano Didattico Personalizzato (PDP).
La scuola lo predispone nelle forme ritenute idonee e in tempi che non
superino il primo trimestre scolastico; dovrà contenere le seguenti voci,
articolato per le discipline coinvolte dal disturbo:

dati anagrafici dell’alunno;


tipologia di disturbo;
attività didattiche individualizzate;
attività didattiche personalizzate;
strumenti compensativi utilizzati;
misure dispensative adottate;
forme di verifica e valutazione personalizzate.

Nella sua predisposizione è fondamentale il raccordo con la famiglia, che


può comunicare alla scuola eventuali osservazioni su esperienze sviluppate
dallo studente anche autonomamente o attraverso percorsi extrascolastici.
Sulla base di tale documentazione, nei limiti della normativa vigente,
vengono predisposte le modalità delle prove e delle verifiche in corso dâ
€™anno o a fine ciclo.

7.4.5 Il referente d’istituto


Il paragrafo 6.3 delle Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli
studenti con disturbi specifici di apprendimento individua una figura cardine
all’interno dell’istituzione scolastica in ambito dell’inclusione, il
docente referente all’inclusione. Questa figura ha il compito di
approfondire e vagliare le tematiche di interesse e di supportare i colleghi
nell’attività didattica inclusiva.
Le Linee Guida specificano altresì che il referente necessita di adeguata
formazione, acquisibile a seguito di corsi formalizzati o in base a percorsi di
formazione personali e alla propria pratica esperienziale/didattica. Egli
diventa, quindi, un vero e proprio punto di riferimento all’interno della
scuola e, in particolare, assume, nei confronti del Collegio dei docenti, le
seguenti funzioni:

fornisce informazioni circa le disposizioni normative vigenti;


fornisce indicazioni di base su strumenti compensativi e misure
dispensative al fine di realizzare un intervento didattico il più
possibile adeguato e personalizzato;
collabora, ove richiesto, alla elaborazione di strategie volte al
superamento dei problemi nella classe con alunni con DSA;
offre supporto ai colleghi riguardo a specifici materiali didattici e di
valutazione;
cura la dotazione bibliografica e di sussidi all’interno dellâ
€™Istituto;
diffonde e pubblicizza le iniziative di formazione specifica o di
aggiornamento;
fornisce informazioni riguardo alle
Associazioni/Enti/Istituzioni/Università ai quali poter fare riferimento
per le tematiche in oggetto;
fornisce informazioni riguardo a siti o piattaforme on line per la
condivisione di buone pratiche in tema di DSA;
funge da mediatore tra colleghi, famiglie, studenti (se maggiorenni),
operatori dei servizi sanitari, Enti Locali e agenzie formative
accreditate nel territorio;
informa eventuali supplenti in servizio nelle classi con alunni con
DSA.

Il referente d’istituto avrà , in ogni caso, cura di promuovere lo sviluppo


delle competenze dei colleghi docenti, operando per sostenere la “presa in
carico†dell’alunno e dello studente con DSA da parte dellâ
€™insegnante di classe.
La nomina del referente di istituto per la problematica connessa ai Disturbi
Specifici di Apprendimento non costituisce un formale obbligo istituzionale,
ma è demandata alla autonomia progettuale delle singole scuole, che
provvederanno alla sua nomina seguendo la stessa prassi delle altre figure di
sistema (funzioni strumentali) di supporto alla progettualità scolastica. Esse
operano scelte mirate anche in ragione dei bisogni emergenti nel proprio
concreto contesto operativo, nella prospettiva di garantire a ciascun alunno le
migliori condizioni possibili, in termini didattici ed organizzativi, per il pieno
successo formativo.
I docenti dovranno cooperare per la piena realizzazione dell’inclusione
all’interno dell’istituzione scolastica in sinergia con il referente, con i
colleghi, con le famiglie.

7.4.6 La valutazione degli alunni con DSA


La L. 170/2010, all’art. 5 c. 4 afferma “Agli studenti con DSA sono
garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e
universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto
concerne gli esami di Stato e di ammissione all’università nonché gli
esami universitariâ€.
L’art. 6 c. 3 del D.M. 6559/2011 aggiunge: “Le Commissioni degli
esami di Stato, al termine del primo e del secondo ciclo di istruzione, tengono
in debita considerazione le specifiche situazioni soggettive, le modalitÃ
didattiche e le forme di valutazione individuate nell’ambito dei percorsi
didattici individualizzati e personalizzati. Sulla base del disturbo specifico,
anche in sede di esami di Stato, possono riservare ai candidati tempi più
lunghi di quelli ordinari. Le medesime Commissioni assicurano, altresì, lâ
€™utilizzazione di idonei strumenti compensativi e adottano criteri valutativi
attenti soprattutto ai contenuti piuttosto che alla forma, sia nelle prove
scritte, anche con riferimento alle prove nazionali INVALSI previste per gli
esami di Stato, sia in fase di colloquioâ€.
Per quel che concerne la valutazione relativa all’esame conclusivo del I
ciclo, inoltre, l’art. 11 commi 9-l5 del Decreto Legislativo n. 62 del 13
aprile 2017, “Norme in materia di valutazione e certificazione delle
competenze nel primo ciclo ed esami di Statoâ€, a tal proposito afferma: â
€œ9. Per le alunne e gli alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA)
certificati ai sensi della legge 8 ottobre 2010, n. 170, la valutazione degli
apprendimenti, incluse l’ammissione e la partecipazione all’esame
finale del primo ciclo di istruzione, sono coerenti con il piano didattico
personalizzato predisposto nella scuola primaria dai docenti contitolari della
classe e nella scuola secondaria di primo grado dal consiglio di classe.
10. Per la valutazione delle alunne e degli alunni con DSA certificati le
istituzioni scolastiche adottano modalità che consentono all’alunno di
dimostrare effettivamente il livello di apprendimento conseguito, mediante lâ
€™applicazione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi di
cui alla legge 8 ottobre 2010, n. 170, indicati nel piano didattico
personalizzato.
11. Per l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione la
commissione può riservare alle alunne e agli alunni con DSA, di cui al
comma 9, tempi più lunghi di quelli ordinari. Per tali alunne e alunni può
essere consentita l’utilizzazione di apparecchiature e strumenti
informatici solo nel caso in cui siano già stati impiegati per le verifiche in
corso d’anno o comunque siano ritenuti funzionali allo svolgimento dellâ
€™esame, senza che venga pregiudicata la validità delle prove scritte.
12. Per l’alunna o l’alunno la cui certificazione di disturbo specifico
di apprendimento prevede la dispensa dalla prova scritta di lingua straniera,
in sede di esame di Stato, la sottocommissione stabilisce modalità e
contenuti della prova orale sostitutiva della prova scritta di lingua straniera
13. In casi di particolare gravità del disturbo di apprendimento, anche in
comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato
diagnostico, l’alunna o l’alunno, su richiesta della famiglia e
conseguente approvazione del consiglio di classe, è esonerato dallâ
€™insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico
personalizzato. In sede di esame di Stato sostiene prove differenziate,
coerenti con il percorso svolto, con valore equivalente ai fini del
superamento dell’esame e del conseguimento del diploma. L’esito
dell’esame viene determinato sulla base dei criteri previsti dallâ
€™articolo 8.
14. Le alunne e gli alunni con DSA partecipano alle prove standardizzate di
cui all’articolo 4 e 7. Per lo svolgimento delle suddette prove il consiglio
di classe può disporre adeguati strumenti compensativi coerenti con il piano
didattico personalizzato. Le alunne e gli alunni con DSA dispensati dalla
prova scritta di lingua straniera o esonerati dall’insegnamento della
lingua straniera non sostengono la prova nazionale di lingua inglese di cui
all’articolo 7.
15. Nel diploma finale rilasciato al termine degli esami del primo ciclo e
nelle tabelle affisse all’albo di istituto non viene fatta menzione delle
modalità di svolgimento e della differenziazione delle proveâ€.
È interessante notare una profonda differenza rispetto a quanto stabilito dallâ
€™art. 6 c. 6 del D.M. 5669/2011. Esso prevedeva, infatti, che solo in casi di
particolari gravità del disturbo di apprendimento, anche in comorbilità con
altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico, gli studenti
potessero essere esonerati dallo studio delle lingue straniere e avere,
conseguentemente, la possibilità di non svolgere le relative prove in sede dâ
€™esame; in questo caso, avrebbero conseguito soltanto un’attestazione
non coincidente con il diploma e contenente la certificazione delle
competenze. Si tratta di una differenza che testimonia l’accresciuta
importanza attribuita allo studio delle lingue nel sistema scolastico italiano, in
linea con la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18
dicembre 2006. La seconda delle otto competenze chiave ivi individuate
riguarda, infatti, la comunicazione nelle lingue straniere. Anche il Decreto del
Presidente della Repubblica n. 254 del 16 novembre 2012, “Regolamento
recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e
del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del
decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89†riserva
grande importanza allo studio della lingua inglese, prevedendola fin dalla
scuola primaria, e affiancandola a una seconda lingua comunitaria nella
scuola secondaria di I grado.
Per quel che concerne l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di
istruzione, le disposizioni per gli alunni con disabilità e con disturbi
specifici dell’apprendimento sono equivalenti: per questi ultimi, è
necessario tenere conto degli strumenti compensativi e delle misure
dispensative previsti dal PDP.
Diversa, invece, la posizione riguardo gli esoneri dallo svolgimento delle
prove di lingue. L’art. 20 c. 5 del D.Lgs. 62/2017 afferma quanto segue: â
€œAlle studentesse e agli studenti con disabilità , per i quali sono state
predisposte dalla commissione prove non equipollenti a quelle ordinarie
sulla base del piano educativo individualizzato o che non partecipano agli
esami o che non sostengono una o più prove, viene rilasciato un attestato di
credito formativo recante gli elementi informativi relativi all’indirizzo e
alla durata del corso di studi seguito, alle discipline comprese nel piano di
studi, con l’indicazione della durata oraria complessiva destinata a
ciascuna delle valutazioni, anche parziali, ottenute in sede di esameâ€.
Gli alunni esonerati da una più prove, dunque, non conseguono il diploma,
ma soltanto un attestato di credito formativo.

312
Cfr. par. 7.2

7.5 I Bisogni Educativi Speciali


La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, “Strumenti dâ
€™intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione
territoriale per l’inclusione scolastica†ha introdotto il concetto di
bisogni educativi speciali (BES), recependo la terminologia anglosassone
dell’ICF, che ha introdotto gli Special Education Needs.
Nell’ampia categoria dei bisogni educativi speciali rientrano le seguenti
condizioni:

disabilità ;
disturbi specifici di apprendimento e disturbi evolutivi specifici;
svantaggio socio-economico, linguistico, culturale, disagio
comportamentale/relazionale.

Per disturbi evolutivi specifici si intendono, oltre i disturbi specifici dellâ


€™apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali,
della coordinazione motoria, ricomprendendo (per la comune origine nellâ
€™età evolutiva) anche quelli dell’attenzione e dell’iperattività ,
mentre nel funzionamento intellettivo rientrano i casi di confine fra la
disabilità e il disturbo specifico. La Direttiva sopra citata fornisce unâ
€™ampia descrizione di ogni problematica legata ai disturbi evolutivi
specifici. Per esempio, nell’area del linguaggio, si fa riferimento a
disturbi specifici o, più in generale, alla presenza di bassa intelligenza
verbale associata ad alta intelligenza non verbale. Nelle aree non verbali si fa
riferimento al disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, al
disturbo non-verbale o a bassa intelligenza non verbale associata ad alta
intelligenza verbale, quando queste condizioni compromettono
sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell’alunno. Vi sono
altre problematiche severe che possono compromettere il percorso scolastico,
per esempio il disturbo dello spettro autistico lieve, qualora non rientri nelle
casistiche previste dalla legge 104.
Un discorso particolare si deve fare a proposito di alunni e studenti con
problemi di controllo attentivo e/o dell’attività , spesso definiti con lâ
€™acronimo ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder),
corrispondente all’acronimo che si usava per l’Italiano di D.D.A.I.
(Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività ).
L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre
problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di
pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Si è
stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso
scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica, cioè
quasi 80.000 alunni (fonte ISS); con notevole frequenza l’ADHD è in
comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo
oppositivo provocatorio, disturbo della condotta in adolescenza, disturbi
specifici dell’apprendimento, disturbi d’ansia, disturbi dellâ
€™umore.
Il percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo con ADHD si
attua senz’altro quando è presente una sinergia fra famiglia, scuola e
clinica. Le informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte importante
per il completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un
anello fondamentale nel processo riabilitativo.
In alcuni casi il quadro clinico particolarmente grave (anche per la
comorbilità con altre patologie) richiede l’assegnazione dellâ
€™insegnante di sostegno, come previsto dalla legge 104/1992. Tuttavia, vi
sono moltissimi ragazzi con ADHD che, in ragione della minor gravità del
disturbo, non ottengono la certificazione di disabilità , ma hanno pari diritto
a veder tutelato il loro successo formativo.
Vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con bisogni educativi
speciali le misure previste dalla Legge 170 per alunni e studenti con disturbi
specifici di apprendimento.
Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti
generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo (intellettivo)
limite (o borderline), ma anche con altre espressioni (per es. disturbo
evolutivo specifico misto, codice F83) e specifiche differenziazioni –
qualora non rientrino nelle previsioni delle leggi 104 o 170 – richiedono
particolare considerazione.
Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI globale (quoziente intellettivo)
risponde a una misura che va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di
specificità . Per alcuni di loro il ritardo è legato a fattori neurobiologici ed
è frequentemente in comorbilità con altri disturbi. Per altri, si tratta
soltanto di una forma lieve di difficoltà tale per cui, se adeguatamente
sostenuti e indirizzati verso i percorsi scolastici più consoni alle loro
caratteristiche, gli interessati potranno avere una vita normale.
Dalle considerazioni sopra esposte si evidenzia, in particolare, la necessitÃ
di elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e
studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la redazione di un
Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini
della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in
itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le
strategie di intervento programmate.
Per quel che concerne lo svantaggio di carattere socio-economico, esso
riguarda bambini inseriti in contesti familiari o sociali problematici, talvolta
segnalati dai servizi sociali, oppure rilevati dagli insegnanti.
Lo svantaggio linguistico e culturale è invece insito negli alunni stranieri,
arrivati da poco in Italia, che non possiedono alcuna padronanza della lingua
e, talvolta, della cultura per poter affrontare con serenità il proprio percorso
formativo.
Il disagio comportamentale/relazionale può derivare dagli altri tipi di
svantaggio precedentemente illustrati.
Nel caso della disabilità , dei disturbi specifici di apprendimento e dei
disturbi evolutivi specifici, la diagnosi è formulata tramite una
certificazione sanitaria, mentre la terza categoria, quella dello svantaggio
socio-economico, linguistico e culturale, non è basato su alcuna
certificazione, quindi la loro individuazione spetta ai team dei docenti e ai
consigli di classe, eventualmente dopo segnalazioni da parte dei servizi
sociali, oppure sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche. In tal
senso, i docenti costruiranno percorsi di apprendimento personalizzati nella
forma più adeguata a ciascun caso.
I docenti possono, in questo senso, decidere di applicare, temporaneamente o
meno, strumenti compensativi e misure dispensative agli alunni BES privi di
certificazione o diagnosi di cui sopra. È bene ricordare, tuttavia, che tali
alunni non avranno diritto, in sede di esami di Stato, esami universitari,
concorsi a sostenere prove differenziate, né a poter usufruire di tali
strumenti e misure.

7.6 Gli alunni adottati


La Nota Ministeriale prot. n. 7443 del 18 dicembre 2014, “Linee di
indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati†ha
affrontato la questione (quantitativamente sempre più rilevante) dellâ
€™accoglienza a scuola degli alunni adottati, in modo da rendere il loro
inserimento il più possibile positivo, anche alla luce delle esperienze
traumatiche eventualmente vissute. In molti casi, infatti, soprattutto per i
bambini adottati con procedura internazionale, il tema del confronto con il
mondo della scuola si pone in maniera urgente perché molti di loro
vengono adottati in età scolare o comunque prossima ai sei anni. Tutti
hanno, infatti, vissuto la dolorosa realtà della separazione dai genitori di
nascita e, a volte, anche dai fratelli e, oltre questi difficili eventi, molti di loro
hanno sperimentato condizioni di solitudine, lunghi periodi di
istituzionalizzazione, esperienze di maltrattamento fisico e/o psicologico.
Taluni bambini vengono adottati dopo affidi o precedenti esperienze di
adozione non riuscite.
I bambini giunti per adozione internazionale, inoltre, vivono un’ulteriore
complessità poiché hanno dovuto confrontarsi con numerosi cambiamenti
(linguistici, climatici, alimentari, ecc.) e sono stati inseriti in contesti per loro
completamente nuovi e sconosciuti. Si tratta di un cambiamento esistenziale
drastico che viene affrontato, molto spesso, lasciandosi alle spalle pezzi di
storia difficili di cui si sa poco (le informazioni sulla loro salute e vita
pregressa sono frequentemente esigue e frammentate).
Occorre considerare che alla condizione adottiva non corrisponde unâ
€™uniformità di situazioni, e quindi di bisogni, e che i bambini adottati
possono essere portatori di condizioni molto differenti che possono andare da
un estremo di alta problematicità ad un altro di pieno e positivo
adattamento. In questo senso è necessario che la scuola sia preparata allâ
€™accoglienza dei minori adottati in Italia e all’estero e costruisca
strumenti utili, non solo per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, ma
anche didattico e relazionale, a beneficio dei bambini, dei ragazzi e delle loro
famiglie. Naturalmente prassi e strumenti adeguati dovranno essere garantiti
anche nelle fasi successive all’inserimento, con particolare attenzione ai
passaggi da un ordine di scuola all’altro.

7.6.1 Maggiori criticità legate agli alunni adottati


Le maggiori criticità , che vengono illustrate nella Nota, riguardano varie
aree. Anzitutto le difficoltà nell’apprendimento, causate non soltanto
da disturbi specifici, ma anche dal vissuto pregresso, che può portare a
deficit nella concentrazione, nell’attenzione, nella memorizzazione, nella
produzione verbale e scritta, in alcune funzioni logiche. Allo stesso modo, si
possono manifestare difficoltà psico-emotive relative alla non sempre
adeguata capacità di controllare ed esprimere le proprie emozioni.
Talvolta gli alunni sono segnalati con bisogni speciali o particolari (special
needs adoption)313, nello specifico nei seguenti casi:

adozione di due o più minori;


bambini adottati di sette o più anni di età ;
bambini con significative problematiche di salute o di disabilità ;
bambini reduci da esperienze particolarmente difficili e/o traumatiche.

Va tuttavia segnalato il fatto che, spesso, nelle cartelle cliniche appaiono i


sintomi, piuttosto che le diagnosi e che i diversi Paesi hanno standard
valutativi differenti. Infine, in alcuni casi, i dossier medici sono carenti o
insufficienti e alcune situazioni possono essere verificate o accertate solo
dopo l’arrivo in Italia. A questo proposito, per gli alunni provenienti dallâ
€™estero, si pone il problema della scolarizzazione. In alcuni Paesi, infatti,
il tasso di analfabetismo e/o di abbandono scolastico precoce è rilevante. I
bambini che provengono da tali situazioni potrebbero aver ricevuto unâ
€™esigua scolarizzazione, non averla ricevuta affatto, o averla ricevuta con
modalità piuttosto differenti da quelle attualmente adottate in Italia. Senza
contare il fatto che i sistemi scolastici stranieri potrebbero non avere unâ
€™esatta corrispondenza con le fasce di età previste da quello italiano: per
esempio, in molti Paesi, la scolarizzazione comincia a sette anni.
Inoltre, in diversi Paesi di provenienza i bambini non vengono iscritti allâ
€™anagrafe al momento della nascita, nonostante tale atto rappresenti un
diritto sancito dall’art. 7 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo del
1989. Di conseguenza, può capitare che a molti bambini che saranno poi
adottati venga attribuita una data di nascita e, quindi un’età , presunte, ai
soli fini della registrazione anagrafica e solo al momento dell’ingresso in
istituto o quando viene formalizzato l’abbinamento con la famiglia
adottiva. Non è raro rilevare discrepanze di oltre un anno fra l’età reale
dei bambini e quella loro attribuita, anche perché i bambini possono essere,
nel periodo immediatamente precedente l’adozione, in uno stato di
denutrizione e di ritardo psico-motorio tali da rendere difficile lâ
€™individuazione dell’età reale.
Un’altra problematica da non sottovalutare riguarda la criticità della
fase adolescenziale e pre-adolescenziale, particolarmente delicata per alunni
adottati. Un numero significativo di bambini e ragazzi arriva in Italia dopo i
10 anni, in un’età complessa di per sé, in cui la strutturazione dei
legami affettivi e famigliari si scontra con la naturale necessità di crescita e
di indipendenza. Per i ragazzi adottati internazionalmente, tutto questo
implica un vissuto più lungo e più complesso e richiede, pertanto, ulteriori
forme di flessibilità nelle fasi di inserimento e di accompagnamento
scolastico. Anche per coloro che sono stati adottati nell’infanzia, inoltre,
il sopraggiungere della preadolescenza e dell’adolescenza può
comportare l’insorgere di significative problematiche connesse alla
definizione della propria identità , ai cambiamenti del corpo, alle relazioni
con i coetanei e, più in generale, con il contesto sociale, che possono
interferire con le capacità di apprendimento.
L’esperienza indica come, generalmente, i bambini adottati
internazionalmente apprendano velocemente il vocabolario di base dellâ
€™italiano e le espressioni quotidiane utilizzate nelle conversazioni comuni
(le cosiddette basic interpersonal communicative skills). Il linguaggio più
astratto, necessario per l’apprendimento scolastico avanzato (le cosiddette
cognitive/academic linguistic abilities, costituite da conoscenze grammaticali
e sintattiche complesse e da un vocabolario ampio), viene invece appreso
molto più lentamente. Secondo l’esperienza e gli studi in materia, i
bambini adottati internazionalmente spesso presentano difficoltà non tanto
nell’imparare a “leggereâ€, quanto nel comprendere il testo letto o
nell’esporre i contenuti appresi, mentre più avanti negli studi possono
incontrare serie difficoltà nel comprendere e usare i linguaggi specifici delle
discipline e nell’intendere concetti sempre più astratti. Va anche
ricordato che le strutture linguistiche dei Paesi di provenienza sono spesso
molto diverse, presentando fonemi inesistenti nella lingua italiana e
viceversa. Inoltre la modalità di apprendimento della lingua non è â
€œadditiva†(la nuova lingua si aggiunge alla precedente), come nel caso
degli immigrati, bensì “sottrattiva†(la nuova lingua sostituisce la
precedente), e implica pertanto maggiori difficoltà che in alcuni momenti
possono portare a sentirsi “privi di vocaboli per esprimersiâ€, provocando
rabbia ed una gamma di emozioni negative che possono diventare di disturbo
all’apprendimento scolastico.
Un altro aspetto rilevante che caratterizza la condizione di molti bambini
adottati, sia in Italia sia all’estero, è quello di essere nati da persone di
diversa etnia e, in molti casi, di avere tratti somatici tipici e riconoscibili. Per
questi bambini si pone il compito di integrare l’originaria appartenenza
etnico-culturale con quella della famiglia adottiva e del nuovo contesto di
vita. Si tratta di un compito impegnativo che può assorbire molte energie
cognitive ed emotive.
Il bambino adottato è, dal momento dell’adozione, cittadino italiano a
tutti gli effetti e totale legittimazione gli è dovuta dall’ambiente che lo
accoglie, senza, per altro, imporgli alcuna rimozione delle sue radici e della
sua storia. Nel nostro Paese, tuttavia, ancora oggi, spesso scatta automatico il
criterio di considerare straniero chi è somaticamente differente: la scuola è
quindi chiamata a svolgere un ruolo importante nel far crescere la
consapevolezza che ci sono molti italiani con caratteristiche somatiche
tipiche di altre aree geografiche. In questo senso, la presenza in classe di
alunni adottati è un valore aggiunto nel processo di inclusione e di
accettazione delle diversità .
È necessario evitare l’errore di equiparare l’alunno adottato allâ
€™alunno straniero immigrato. In realtà il bambino adottato, anche se
proveniente da un altro Paese, non è un bambino immigrato. È bensì un
bambino che (pur differenziandosi nei tratti somatici dalla sua nuova
famiglia) ha genitori italiani e vive in un ambiente culturale italiano. A
differenza dei minori immigrati con la famiglia, che mantengono un rapporto
vitale con la cultura e la lingua d’origine, i bambini adottati perdono
velocemente la prima lingua e possono manifestare un’accentuata
ambivalenza verso la cultura di provenienza, con alternanza di momenti di
nostalgia/orgoglio a momenti di rimozione/rifiuto.

7.6.2 Accoglienza a scuola


Anche al fine di facilitare e supportare la costruzione dei legami affettivi con
le nuove figure genitoriali, sarà possibile, in casi particolari attentamente
valutati, procrastinare l’inizio del percorso scolastico di alcuni mesi. È
fondamentale, da parte dell’insegnante, la cura dell’aspetto affettivo-
emotivo per arginare stati d’ansia e d’insicurezza che possono
comparire proprio in tale fase; nella scelta della classe e della sezione si
suggerisce di prediligere, nel limite del possibile, un team di insegnanti stabili
che possano garantire una continuità di relazione interpersonale e un clima
rassicurante.
Per alcuni bambini, che si trovano per lo più nella fascia d’etÃ
compresa fra i tre e i dieci anni, vanno rispettate e comprese, nelle fasi iniziali
di inserimento, meccanismi e reazioni di adattamento e/o di superamento del
cambiamento di contesto conseguente all’adozione, oltre che dei traumi
passati.
Per la Scuola dell’Infanzia, è auspicabile inserire nel gruppo classe un
alunno adottato internazionalmente non prima di dodici settimane dal suo
arrivo in Italia. L’inizio della frequenza richiede altrettanta attenzione ai
tempi. Occorre infatti definire un progetto che sia rispettoso dei tempi di
adattamento dei bambini; ad esempio, per le prime otto settimane sarebbe
auspicabile aumentare con progressività (compatibilmente con i permessi
lavorativi della famiglia) la frequenza scolastica: nelle prime quattro
settimane attivare una frequentazione di circa due ore, possibilmente in
momenti di gioco e in piccolo gruppo e ponendo attenzione affinché ci sia
continuità con gli stessi spazi e riti.
Nelle successive quattro settimane si può cominciare ad alternare la
frequentazione: un giorno due ore al mattino e un giorno due ore al
pomeriggio. Il tempo mensa può essere introdotto in modo alterno anchâ
۪esso. Il tempo pieno con fase riposo, se il minore ̬ nel gruppo dei
piccoli, può essere così introdotto a partire dalla dodicesima settimana di
frequentazione.
Per la Scuola Primaria, è auspicabile inserire nel gruppo classe un alunno
adottato non prima di dodici settimane dal suo arrivo in Italia. Nella prima
accoglienza in classe di un alunno adottato, specialmente se arrivato in corso
d’anno, al fine di creare rapporti di collaborazione da parte dei compagni,
potrebbe risultare efficace, per esempio, realizzare una visita collettiva nella
scuola per conoscerla con la presenza del neo-alunno, dei genitori, della
insegnante prevalente e di un compagno/a, presentare all’alunno la sua
futura classe, le principali figure professionali (il collaboratore scolastico, gli
insegnanti delle classi vicine, ecc.).
Tutti gli alunni adottati al primo ingresso, in particolare se arrivati in corso dâ
€™anno, dovrebbero avere la possibilità di poter usufruire – solo per un
limitato periodo iniziale – di un orario flessibile, secondo un percorso
specifico di avvicinamento, sia alla classe che alle attività , frequentando, per
esempio, le ore in cui ci sono laboratori/lezioni di musica/attività espressive
e grafiche, di motoria, laboratori interculturali, in modo da favorire lâ
€™inserimento, valutando l’incremento di frequenza caso per caso;
così come sembra possa essere favorente prevedere, rispetto alla classe di
inserimento, la possibilità per l’alunno di partecipare ad attivitÃ
includenti e di alfabetizzazione esperienziale in classi inferiori. Soprattutto
dopo qualche mese dall’inserimento in classe, i minori potrebbero
manifestare stati di sofferenza emotiva, che hanno necessità di essere
accolti. Potrebbero risultare utili, se applicabili, le seguenti misure: una
riduzione dell’orario di frequenza (esonero nei pomeriggi di rientro o in
altri momenti per permettere la frequentazione di altre esperienze di cura –
logopedia, psicomotricità ecc., che, se esperite dopo la frequenza dellâ
€™intero orario scolastico, potrebbero non portare ai risultati attesi),
didattica a classi aperte, didattica in compresenza, utilizzo dei modelli di
apprendimento cooperativo e di tutoring.
Le proposte di attività o studio devono essere adeguate in termini di
quantità e qualità , per lo meno nella fase iniziale, al fine di promuovere
condizioni di sviluppo resiliente, promuovere la relazione all’interno
della classe di appartenenza, favorire lo scambio ed il confronto delle
esperienze anche in ambito extrascolastico, sostenere e gratificare lâ
€™alunno al momento del raggiungimento dei successi scolastici, permettere
all’alunno di dedicarsi con serenità a tutte le altre richieste relative al
processo di integrazione anche familiare e che sicuramente assorbono tanta
della sua energia.
Le misure sopra elencate, attuate nella fase di accoglienza in classe/a scuola,
debbono essere formalizzate in sede di Consiglio di Classe all’interno di
un Piano Didattico Personalizzato, che risponda agli effettivi bisogni specifici
dell’alunno.
Per la Scuola Secondaria, è auspicabile inserire nel gruppo classe un
alunno adottato non prima di quattro/sei settimane dal suo arrivo in Italia.
Sono da evidenziare alcune possibili criticità . Gli anni passati prima dellâ
€™adozione e i ricordi legati alla differente vita di prima fanno sì che
questi alunni possano dover confrontarsi con l’alterità ancor più di
quanto non debbano fare gli alunni adottati con età inferiore. Inoltre, ragazzi
di questa fascia di età vogliono generalmente essere come gli altri,
mimetizzarsi con loro, alla ricerca di quell’identità di gruppo condivisa
che permette il passaggio e l’evoluzione verso il riconoscimento del sé
personale. Pertanto è indispensabile che i docenti posseggano le opportune
informazioni sulla storia pregressa all’adozione, al fine di disporre di
notizie relative alle abitudini ed eventuali relazioni passate. Inizialmente,
quindi, proprio per agevolare la conoscenza, i momenti di permanenza in aula
possono dover essere più finalizzati ad agevolare la socializzazione e la
partecipazione degli alunni adottati alla vita di classe, da alternare, se
possibile, con momenti di lavoro individuale o in piccoli gruppi dedicati allâ
€™alfabetizzazione e all’apprendimento del nuovo codice linguistico
senza tuttavia trascurare del tutto la riflessione metalinguistica. A tal riguardo
l’alunno potrebbe essere inserito provvisoriamente nella classe di
competenza per età , o nella classe inferiore rispetto a quella che gli
spetterebbe in base all’età anagrafica, in attesa di raccogliere gli
elementi utili a valutare le sue capacità relazionali, la sua velocità di
apprendimento della lingua italiana, le competenze specifiche e disciplinari.
L’esperienza indica come, generalmente, solo dopo sei/otto settimane
dall’inserimento, i docenti siano in grado di raccogliere le informazioni
necessarie per l’assegnazione dell’alunno alla classe definitiva. Nel
caso della presenza nella scuola di più sezioni di una stessa classe, è
auspicabile che la scelta ricada su quella meno numerosa. È auspicabile
anche che la programmazione didattica della classe definitiva di accoglienza
dell’alunno adottato venga rivisitata, nelle prime settimane, per favorire
un inserimento adeguato, privilegiando momenti di maggiore aggregazione
fra alunni quali quelli del gioco e dell’esercizio fisico attraverso i quali
veicolare i concetti di accettazione e rispetto della diversità e quelli,
eventualmente con modalità di gruppo e di laboratorio, della musica, dellâ
€™arte, e della tecnica.
Nella prima fase di frequentazione a scuola, i docenti potranno avere bisogno
di impegnarsi nell’individuare la migliore e più idonea modalità di
approccio con l’alunno, prima ancora di verificarne le competenze e gli
apprendimenti pregressi, elementi da cui non si può certamente prescindere
ai fini di una opportuna programmazione didattica da esprimere, se
necessario, in un PDP aderente agli effettivi bisogni dell’alunno.
313
Come riportato nella Nota Ministeriale, secondo il rapporto della
Commissione Adozioni Internazionali, “special needs†(bisogni speciali)
segnala la presenza di patologie gravi e irreversibili. Mentre la dicitura â
€œbisogni particolari†indica la reversibilità nel tempo delle situazioni
indicate.

7.7 Gli alunni stranieri


La presenza di alunni stranieri in Italia è aumentata negli ultimi anni, a
causa dei numerosi processi migratori che hanno interessato il nostro Paese.
La Costituzione prende in considerazione questo tema all’art. 10:
“[…] La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in
conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto
d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite
dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politiciâ€.
L’Italia, come ribadito nell’allegato alla Nota Ministeriale n. 4233 del
19 febbraio 2014, “Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione
degli alunni stranieriâ€, ha recepito la Dichiarazione Universale sui diritti
umani del 1948 che, all’art. 2, afferma: “Ad ogni individuo spettano
tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza
distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
opinione politica, o di altro genere, di origine nazionale e sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizioneâ€. Questo principio è stato poi
confermato dalla Convenzione sui diritti dell’Infanzia del 1989, ratificata
dall’Italia nel 1991.
In particolare, i minori stranieri, indipendentemente dalla loro posizione in
merito al permesso di soggiorno che riguarda loro e le famiglie, hanno diritto
all’istruzione, pertanto devono essere inseriti a scuola. Vi fanno
riferimento la Legge n. 40 del 6 marzo 1998, il Decreto Legislativo n. 286 del
25 luglio 1998 e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 31
agosto 1999, “Regolamento recante norme di attuazione del testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286â€. La Legge n. 189 del 30 luglio
2002 ha confermato le procedure di accoglienza degli alunni stranieri a
scuola. Anche il documento La vita italiana per la scuola interculturale e lâ
€™integrazione degli alunni stranieri dell’ottobre 2007, redatto dallâ
€™Osservatorio nazionale istituito dal Ministero della Pubblica Istruzione
nel dicembre 2006, definisce i principi su cui dovrebbe basarsi un possibile â
€œmodello italianoâ€.
Anche la Circolare Ministeriale n. 24 dell’1 marzo 2006, contenente le â
€œLinee Guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieriâ€, ha fornito indicazioni in materia.
Essi sono soggetti all’obbligo scolastico secondo le disposizioni vigenti
in materia. L’iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni
ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori
italiani e può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico.
Se i minori stranieri risultano privi di documentazione anagrafica o in
possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva.
Tuttavia, l’iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei
titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado. In
mancanza di accertamenti negativi sull’identità dichiarata dellâ
€™alunno, il titolo viene rilasciato all’interessato con i dati identificativi
acquisiti al momento dell’iscrizione.
Tra i documenti richiesti all’atto dell’iscrizione, risulta il permesso di
soggiorno, che viene rilasciato direttamente all’alunno straniero che abbia
compiuto il quattordicesimo anno d’età , in caso contrario ad uno dei due
genitori. Nell’attesa del rilascio del permesso di soggiorno, si accetta la
ricevuta della Questura attestante la richiesta.
Per i documenti anagrafici (carta di identità , codice fiscale, certificato di
nascita, atto di cittadinanza) è possibile per i cittadini stranieri, regolarmente
soggiornanti, il diritto all’autocertificazione (ai sensi delle Leggi n. 15 del
4 gennaio 1968 e n. 127 del 15 maggio 1997 e del Decreto del Presidente
della Repubblica n. 403 del 20 ottobre 1998), fermo restando il dovere di
esibire il documento di riferimento, se richiesto e se reperibile agli atti di
uffici italiani.
In caso di eventuale discrepanza tra le informazioni contenute nellâ
€™autocertificazione e nei documenti di riferimento, oppure tra i dati di due
documentazioni distinte di per sé valide (ad es. per quanto concerne i dati
anagrafici), potranno essere ritenuti validi i dati del permesso di soggiorno.
Qualora la scuola riscontri il caso di minori stranieri “non
accompagnati†(ossia che risultino abbandonati o privi di genitori o di altri
adulti legalmente responsabili della loro tutela) deve darne subito
segnalazione all’autorità pubblica competente per le procedure di
accoglienza e affido, o di rimpatrio assistito.
Il documento attestante le vaccinazioni obbligatorie effettuate deve essere
tradotto in italiano. Se il minore ne è privo, la famiglia può rivolgersi ai
servizi sanitari perché rilevino la situazione vaccinale ed eseguano lâ
€™intervento sanitario eventualmente necessario.
In ogni caso, la mancanza di vaccinazioni non può precludere l’ingresso
a scuola, né la regolare frequenza della scuola dell’obbligo. Se il
minore non è vaccinato e la famiglia dichiara di non volerlo vaccinare, il
dirigente scolastico comunica la circostanza alla ASL di competenza
(Circolare Ministero della Sanità e della Pubblica Istruzione del 23
settembre 1998).
È richiesto il certificato attestante gli studi compiuti nel paese d´origine,
o la dichiarazione del genitore dell’alunno o di chi ha la responsabilitÃ
del minore, attestante la classe e il tipo d’istituto frequentato. Il dirigente
scolastico può prendere contatto con l´autorità diplomatica o consolare
italiana, che rilascia una dichiarazione sul carattere legale della scuola estera
di provenienza dell’alunno.
Il documento scolastico (qualora redatto in una lingua non facilmente
comprensibile nel nostro Paese) può essere tradotto da traduttori ufficiali
accreditati presso il tribunale.
È opportuno fissare un incontro successivo all’iscrizione. Risulta utile
a tal proposito che la scuola, attraverso la commissione accoglienza o
intercultura, si doti di una traccia tipo per lo svolgimento di questo colloquio
che sia utile a comunicare informazioni sull’organizzazione della scuola,
sulle modalità di rapporto scuola-famiglia che faciliti la raccolta di
informazioni sulla situazione familiare e sulla storia personale e scolastica
dell’alunno, nonché sulle aspirazioni educative della famiglia.
I minori stranieri soggetti all’obbligo scolastico vengono iscritti alla
classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti
deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto:
dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dellâ
€™alunno, che può determinare l’iscrizione ad una classe
immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente
all’età anagrafica;
dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione
dell’alunno;
del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno nel Paese di
provenienza;
del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno.

In quest’ultimo caso, è prevista l’assegnazione alla classe


immediatamente superiore o inferiore rispetto a quella anagrafica.
Rimane però fondamentale il criterio generale di inserire l’alunno
secondo l’età anagrafica. Slittamenti di un anno su classe inferiore
vanno ponderati con molta attenzione in relazione ai benefici che potrebbero
apportare dopo aver sentito la famiglia. Scelte diverse andranno valutate caso
per caso dalle istituzioni scolastiche.
Occorre inserire gli alunni preferibilmente in classi in cui non risulti
predominante la presenza di stranieri. In particolare, la Circolare
Ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010, “Indicazioni e raccomandazioni
per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana†prevede che
il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna
classe non possa superare di norma il 30% del totale degli iscritti,
prevedendo anche un’equa distribuzione a livello territoriale tramite
accordi di rete fra istituzioni scolastiche e intese con gli Enti Locali e le
Associazioni, Scuole Polo, task force appositamente costituite.
Sarà altresì necessario accertarsi delle loro competenze in entrata e
adattando quindi a queste, se necessario, lo svolgimento della
programmazione. Nel caso in cui si rilevino lacune nella conoscenza della
lingua italiana, si rende necessario attivare interventi individualizzati o per
gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana,
utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola, oppure
specifici progetti e attività didattiche per l’arricchimento dell’offerta
formativa. Risulta, poi, di assoluta importanza l’attivazione delle più
idonee modalità di comunicazione con le famiglie, anche attraverso intese
con l’ente locale e avvalendosi dell’opera di mediatori culturali
qualificati. Utile a tal proposito potrebbe essere un foglio informativo,
tradotto nelle diverse lingue, che spieghi l’organizzazione della scuola e
le diverse opzioni educative e che riporti il calendario degli incontri scuola-
famiglia ed una breve sintesi delle modalità di valutazione delle
competenze.
Per quel che concerne il secondo ciclo di istruzione, al quale si accede in
seguito al superamento dell’esame conclusivo del primo ciclo, è
necessario attivare ogni azione possibile per favorire il conseguimento di tale
titolo di studio. A questo proposito, un ruolo fondamentale, per gli stranieri
giunti in Italia in età adulta, è svolto dai CPIA. È altresì auspicabile
mettere in campo azioni mirate contro la dispersione e l’abbandono
scolastico, anche tramite idonei percorsi orientativi continui.
Anche il processo di valutazione dovrà tener conto del percorso formativo
compiuto dall’alunno straniero, dei risultati raggiunti in riferimento alla
scolarizzazione precedente e al suo trascorso.
Per quel che concerne i percorsi di alfabetizzazione degli stranieri e lâ
€™insegnamento della lingua italiana come L2, essa attraversa tre fasi:

fase iniziale – L2 per comunicare: corrisponde ai livelli A1 e A2 del


quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Si pone come
obiettivi lo sviluppo delle capacità di ascolto e comprensione dei
messaggi orali; l’acquisizione del lessico fondamentale della lingua
italiana; la riflessione sulle strutture grammaticali di base; il
consolidamento delle capacità tecniche di scrittura in L2;
fase “ponte†di accesso all’italiano dello studio: si tratta di una
fase delicata e complessa, i cui obiettivi riguardano il rafforzamento
della L2 come lingua di contatto e l’acquisizione di competenze
cognitive e metacognitive adeguate per poter partecipare allâ
€™apprendimento comune. Si impara l’italiano per studiare e
studiando;
fase degli apprendimenti comuni: le modalità di mediazione didattica
e di facilitazione messe in atto per tutta la classe risultano efficaci
anche per gli alunni stranieri, che sono portatori di un diverso punto di
vista geografico, etnico, storico economico e che per questo
introducono uno sguardo interculturale.
Un ulteriore tassello all’inclusione degli alunni stranieri è rappresentato
dal documento trasmesso tramite la Nota ministeriale n. 5535 del 9 settembre
2015, “Diversi da chi? Un vademecum per l’integrazioneâ€, in cui
sono presenti alcune raccomandazioni per garantire un inserimento positivo
degli alunni stranieri:

l’inserimento immediato degli alunni nella scuola di arrivo,


evitando liste di attesa;
l’importanza della scuola dell’infanzia, caratterizzata spesso da
una mancata partecipazione;
il contrasto del ritardo scolastico, attraverso un inserimento dellâ
€™alunno nella classe corrispondente all’età anagrafica. Non
costituisce motivo sufficiente di deroga alla normativa la non
conoscenza dell’italiano dell’alunno neo-inserito per il quale
occorre, anzi, prevedere piani didattici personalizzati finalizzati al
riallineamento con i comuni obiettivi di apprendimento;
adattamento del programma e della valutazione;
organizzazione di un orientamento efficace alla prosecuzione degli
studi;
efficace apprendimento dell’Italiano come L2;
valorizzazione della diversità linguistica;
prevenzione della segregazione scolastica, con conseguente
concentrazione di alunni stranieri in alcune scuole, attraverso un
dialogo e un’organizzazione territoriale condivisa;
coinvolgimento delle famiglie nel progetto educativo per i loro figli;
promozione dell’educazione interculturale nelle scuole.

Il Decreto Ministeriale n. 643 del 31 agosto 2017 ha istituito un nuovo


Osservatorio nazionale, e il suo ruolo è stato altresì definito dal Decreto
Ministeriale n. 685 del 20 settembre 2017. Si è quindi giunti allâ
€™istituzione dei gruppi di lavoro “Scuola nelle periferie urbane
multiculturali†e “Revisione dei curricoli in prospettiva interculturaleâ€,
oltre ai gruppi di lavoro preesistenti “Insegnamento dell’italiano come
lingua seconda (L2) e plurilinguismoâ€, “Formazione del personale
scolastico e istruzione degli adultiâ€, “Cittadinanza e nuove generazioni
italianeâ€.
Primo frutto del lavoro dell’Osservatorio è il documento â
€œOrientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di
alunne e alunni provenienti da contesti migratoriâ€, presentato nel marzo
2022. Il documento aggiorna e attualizza le precedenti Linee guida per lâ
€™integrazione degli alunni stranieri del 2014 e si propone di offrire
modalità organizzative e indicazioni operative per favorire l’inclusione
e una dimensione interculturale in ogni istituto. Sono anche sviluppati focus
sul sistema integrato di educazione e istruzione da 0 a 6 anni, sullâ
€™insegnamento trasversale dell’Educazione civica, sulla cittadinanza e
le nuove generazioni, sull’insegnamento della Lingua italiana e la
valorizzazione del plurilinguismo.

7.8 Le eccellenze e gli alunni plus-dotati


A partire dalle Legge n. 1 dell’11 gennaio 2007, è stato introdotto nella
legislazione scolastica il concetto di valorizzazione delle eccellenze. Il
Decreto Legislativo n. 262 del 29 dicembre 2007 identifica le eccellenze con
gli alunni che frequentano corsi di istruzione superiore delle scuole statali e
paritarie e che ottengono ottimi risultati in contesto prettamente scolastico.
L’individuazione delle eccellenze avviene, come esplicitato nell’art. 3
c.1 del medesimo decreto, mediante procedure di confronto e di competizione
nazionali e internazionali, nonché olimpiadi e certamina, organizzati di
norma per successive fasi, dal livello della singola istituzione scolastica a
quello provinciale e regionale, fino al livello nazionale. Di conseguenza, per
selezionare le eccellenze, è necessario bandire delle gare, sempre connesse
al contesto scolastico, dove solo pochi studenti, i migliori, rientrano nella
categoria delle “eccellenzeâ€. Nell’art. 4 si afferma che “il
riconoscimento dei risultati elevati raggiunti avviene tramite certificazione
delle eccellenze, garantisce l’acquisizione di credito formativo e può
dare origine a varie forme di incentivoâ€.
Diverso è il discorso che riguarda la plus-dotazione degli alunni, i
cosiddetti gifted-students, che, secondo la maggior parte della letteratura
pedagogica italiana, sembrano essere ignorati dal nostro sistema scolastico,
come se il talento fosse una caratteristica data per “scontataâ€, non
necessitante di personalizzazione degli apprendimenti e, di conseguenza,
frequentemente ignorata. Quindi, si rende necessaria, a maggior ragione, lâ
€™attivazione di percorsi specifici e personalizzati per garantire a questi
alunni una formazione efficace e in linea con le loro peculiarità naturali. A
questo proposito, potrebbe essere auspicabile la redazione di un PDP,
poiché le necessità di questi alunni potrebbero rientrare a tutti gli effetti
tra i BES. Infatti, se trascurati, potrebbero subire un appiattimento dellâ
€™intelligenza verso la “normalità â€, quindi una discriminazione di
fondo tale da causare problematiche relazionali e anomalie con ripercussioni
negative sul processo d’apprendimento. Spesso, infatti, questi alunni
disattendono le aspettative degli insegnanti.
Gli studenti con plus-dotazione, dunque, non coincidono, come le eccellenze,
con studenti delle scuole secondarie di II grado, ma sono alunni appartenenti
alle scuole di ogni ordine e grado.
È necessaria forse una maggiore sensibilità verso questa tematica, forse a
oggi un poco trascurata dalla normativa.

7.9 L’istruzione domiciliare e ospedaliera


L’art. 12 c. 9 della L. 104/1992 garantisce il diritto all’istruzione ai
minori disabili in età di obbligo scolastico temporaneamente impediti per
motivi di salute a frequentare la scuola. A tal proposito, sono istituite delle
classi ospedaliere quali sezioni staccate della scuola statale.
A tali classi possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di
degenza, che non versino in situazioni di handicap e per i quali sia accertata
l’impossibilità della frequenza della scuola dell’obbligo per un
periodo non inferiore a trenta giorni di lezione. La frequenza di tali classi,
attestata dall’autorità scolastica mediante una relazione sulle attivitÃ
svolte dai docenti in servizio presso il centro di degenza, è equiparata ad
ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti; ciò è
ribadito dalla Nota Ministeriale n. 7736 del 27 ottobre 2010, “Chiarimenti
sulla validità dell’anno scolastico, ai sensi dell’art. 14, comma 7
D.P.R. n. 122/2009†e dal D.Lgs. 62/2017, che specifica come la frequenza
per la validità dell’anno scolastico corrisponda ai tre quarti dellâ
€™orario annuale personalizzato.
Quest’ultimo ribadisce che i docenti che impartiscono i relativi
insegnamenti trasmettono alla scuola di appartenenza elementi di conoscenza
in ordine al percorso formativo individualizzato attuato, ai fini della
valutazione periodica e finale.
È necessario redigere un protocollo terapeutico con la documentazione
delle attività formative svolte dall’alunno ricoverato nonché delle sue
condizioni fisico-psicologiche al fine di attuare gli interventi clinici e didattici
più adeguati alla situazione in atto.
Nel caso in cui la frequenza dei corsi negli ospedali o nei luoghi di cura abbia
una durata prevalente rispetto a quella nella classe di appartenenza, i docenti
che hanno impartito gli insegnamenti nei corsi stessi effettuano lo scrutinio
previa intesa con la scuola di riferimento, la quale fornisce gli elementi di
valutazione eventualmente elaborati dai docenti della classe. Analogamente si
procede quando gli alunni ricoverati nel periodo di svolgimento degli esami
conclusivi devono sostenere in ospedale tutte le prove o alcune di esse.
Un caso particolare è rappresentato dagli studenti ricoverati in ospedale o
in centri di degenza frequentanti la scuola secondaria di II grado, in
relazione a discipline di indirizzo o ad attività laboratoriali che
necessitano di specifica abilitazione non presente ordinariamente nelle
sezioni staccate. La Circolare Ministeriale n. 24 del 25 marzo 2011 afferma
che “In attesa che vengano istituiti organici di docenti di scuola secondaria
di II grado negli ospedali con sezione scolastica e in altre strutture, ove ne sia
stato rilevato il bisogno, si suggerisce che, ferma restando l’esigenza di
assicurare preliminarmente le discipline base per questa fascia di studenti, lâ
€™erogazione delle discipline di indirizzo siano prerogativa, quando
possibile, dei docenti della scuola di appartenenza degli stessi alunni, anche
attraverso l’utilizzo integrato delle tecnologieâ€.
Le Linee di indirizzo nazionali sulla scuola in ospedale (SIO) e sullâ
€™istruzione domiciliare (ID) allegate al Decreto Ministeriale n. 461 del 6
giugno 2019 introducono il portfolio: “i progressi negli apprendimenti e
la relativa documentazione costituiscono il portfolio di competenze
individuali, che accompagna l’allievo al suo rientro a scuola e durante
tutto il percorso scolastico.
Il portfolio è compilato e aggiornato a cura, rispettivamente, del docente o
dei docenti domiciliari e dei docenti della classe di appartenenza, anche
sulla base della relazione degli insegnanti ospedalieri e/o di istruzione
domiciliare. Il portfolio dello studente è parte integrante del progetto
formativo e contribuisce ai processi di comunicazione scuola-famiglia-
azienda sanitaria e supporta i processi di progettazione, verifica e
valutazione dei percorsi.
Qualora non tutte le materie possano essere oggetto di istruzione
domiciliare, è opportuno che la scuola che ha preso in carico l’alunno
preveda anche attività di insegnamento a distanzaâ€.
Il servizio di istruzione domiciliare può essere erogato nei confronti di
alunni, iscritti a scuole di ogni ordine e grado, anche paritarie, a seguito di
formale richiesta della famiglia e di idonea e dettagliata certificazione
sanitaria, in cui è indicata l’impossibilità a frequentare la scuola per un
periodo non inferiore ai 30 giorni (anche non continuativi), rilasciata dal
medico ospedaliero (C.M. n. 149 del 10/10/2001) o comunque dai servizi
sanitari nazionali e non da aziende o medici curanti privati.
Rispetto alle procedure di attivazione, il consiglio di classe dell’alunno
elabora un progetto formativo, indicando il numero dei docenti coinvolti, gli
ambiti disciplinari cui dare la priorità , le ore di lezione previste. Tale
progetto dovrà essere approvato dal collegio dei docenti e dal consiglio dâ
€™Istituto e inserito nel Piano triennale dell’offerta formativa.
La richiesta, corredata dalla documentazione necessaria, sarà presentata al
competente Comitato tecnico regionale, che procederà alla valutazione della
documentazione presentata, ai fini della successiva assegnazione delle
risorse. Poiché potrebbero essere avanzate più richieste e non tutte allâ
€™inizio dell’anno scolastico, i comitati tecnici regionali valuteranno i
progetti da finanziare in base all’elenco di priorità degli interventi.
In generale, il monte ore di lezioni è indicativamente di 4/5 ore settimanali
per la scuola primaria; 6/7 ore settimanali per la secondaria di primo e
secondo grado. Quanto detto è indicativo e deve essere stabilito in base ai
bisogni formativi, d’istruzione, di cura e di riabilitazione del malato. A tal
fine, è auspicabile contemplare l’utilizzo delle tecnologie e, qualora
possibile, un’efficace didattica a distanza.
L’attivazione di progetti di istruzione domiciliare non necessariamente
dovrà essere successiva a una precedente ospedalizzazione. Per unâ
€™allieva e un allievo temporaneamente malato e curato a casa, con
prestazioni domiciliari, la scuola potrà richiedere al Comitato tecnico
regionale il finanziamento di un progetto di istruzione domiciliare realizzato
dagli insegnanti della scuola stessa. L’alunna e l’alunno potranno
continuare a essere seguiti dai docenti ospedalieri, nel caso di precedenti
ricoveri, nei giorni di day hospital.
Per gli alunni con disabilità certificata ex lege 104/1992, impossibilitati a
frequentare la scuola, l’istruzione domiciliare potrà essere garantita
dall’insegnante di sostegno, assegnato in coerenza con il progetto
individuale e il piano educativo individualizzato (PEI). In generale, lâ
۪istruzione domiciliare ̬ svolta, dagli insegnanti della classe di
appartenenza, in orario aggiuntivo (ore eccedenti il normale servizio). In
mancanza di questi, può essere affidata ad altri docenti della stessa scuola,
che si rendano disponibili oppure a docenti di scuole viciniori; non è da
escludere il coinvolgimento dei docenti ospedalieri nei termini sopra riportati.
Nel caso in cui la scuola di appartenenza non abbia ricevuto, da parte del
personale docente interno, la disponibilità alle prestazioni aggiuntive
suddette, il dirigente scolastico reperisce personale esterno, anche attraverso
l’ausilio delle scuole con sezioni ospedaliere, del relativo ambito
territoriale, provinciale e regionale. Può anche accadere che l’alunno, al
termine della cura ospedaliera, non rientri nella sede di residenza, ma effettui
cicli di cura domiciliare nella città in cui ha sede l’ospedale. In tal caso,
il servizio di istruzione domiciliare potrà essere erogato, in ore aggiuntive,
da docenti (qualora presenti, a seconda dell’area disciplinare e dellâ
€™ordine di scuola) della sezione ospedaliera, funzionante presso la struttura
sanitaria dove l’alunno è stato degente oppure da docenti disponibili di
altre scuole.
Nei casi in cui le alunne, gli alunni, le studentesse e gli studenti necessitino di
attivazione di percorsi di istruzione domiciliare lontano dal luogo di
residenza, ad esempio fuori dalla propria Regione, per periodi di terapia in
domicili temporanei, sarà la scuola polo della Regione, in cui sono in cura, a
predisporre il percorso di istruzione domiciliare, con docenti delle scuole
viciniori che si rendano disponibili. Non è da escludere il coinvolgimento
dei docenti ospedalieri. In tale evenienza, è garantito il supporto e la
consulenza degli Uffici scolastici regionali coinvolti.

7.10 Formazione per l’inclusione e assunzione


docenti di sostegno
Per diventare docente di sostegno nella scuola dell’infanzia e nella
scuola primaria occorre accedere al corso di specializzazione in pedagogia e
didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l’inclusione
scolastica (art. 12 D.Lgs. 66/2017). Tale corso di specializzazione è annuale
e prevede l’acquisizione di 60 crediti formativi universitari, comprensivi
di almeno 300 ore di tirocinio, pari a 12 crediti formativi universitari. Il corso
è attivato presso le università autorizzate dal Ministero dell’Istruzione
nelle quali sono attivi i corsi di laurea a ciclo unico in Scienze della
Formazione Primaria. L’accesso è subordinato al superamento di una
prova e possono accedere al corso esclusivamente gli aspiranti in possesso
della laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria
che abbiano conseguito ulteriori 60 crediti formativi universitari relativi alle
didattiche dell’inclusione oltre a quelli già previsti nel corso di laurea.
Ai fini del conseguimento dei predetti 60 CFU, possono essere riconosciuti i
crediti formativi universitari eventualmente conseguiti in relazione ad
insegnamenti nonché a crediti formativi universitari ottenuti in sede di
svolgimento del tirocinio e di discussione di tesi attinenti al sostegno e allâ
€™inclusione. Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca,
di concerto con il Ministro dell’istruzione, sono definiti, a decorrere dallâ
€™anno accademico 2025/2026, i piani di studio e le modalità attuative e
organizzative del corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale
per le attività di sostegno didattico e l’inclusione scolastica (così dopo
le modifiche al c. 5 dell’art. 12 D.Lgs. 66/2017 ad opera dell’art. 4,
comma 2, del D.L. 130/2021, convertito, con modificazioni, dalla L.
171/2021).
Per diventare docenti di sostegno nella scuola secondaria, secondo quanto
previsto dal Decreto Legislativo n. 59 del 13 aprile 2017, occorre superare un
concorso pubblico nazionale, indetto su base regionale o interregionale, per
poi svolgere con esito positivo un successivo percorso triennale di
formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (percorso
FIT).
Costituisce requisito di accesso al concorso il possesso di una laurea
magistrale o a ciclo unico, oppure un diploma AFAM, coerente con la classe
di concorso per la quale si concorre e 24 CFU nelle discipline antropo-psico-
pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche (è necessario
conseguire almeno 6 crediti in ciascuno dei quattro seguenti ambiti:
pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia;
antropologia; metodologie e tecnologie didattiche).
Con l’entrata in vigore della L. 145/2018, è stata abolita la triennalitÃ
del percorso formativo e si è tornati ad un percorso annuale di formazione
iniziale e prova.

7.11 Le principali innovazioni introdotte dal D.Lgs.


96/2017
Tra le principali modifiche al D.Lgs. 66/2017 apportate dal decreto 96/2019
si annoverano:

la diversa composizione della commissione medica che deve redigere il


profilo di funzionamento314 (art. 4);
estensione dell’adozione dei criteri dell’ICF anche allâ
€™accertamento della condizione di disabilità (art. 4);
diverse misure relative alla stesura del PEI, che va redatto in via
provvisoria entro giugno e in via definitiva, di norma, non oltre il mese
di ottobre; deve contenere la quantificazione delle ore e delle risorse
necessarie per gli interventi di sostegno attribuite al singolo alunno (art.
6, c. 1, punto 6); il PEI costituisce inoltre parte integrante del progetto
individuale, che costituisce a sua volta summa comprensiva degli
interventi inclusivi attuati sull’alunno;
maggiore insistenza sul principio di accomodamento ragionevole come
principio guida per l’utilizzo delle risorse per il sostegno dei singoli
PEI (art. 7);
maggiore rilievo all’inter-istituzionalità del progetto inclusivo. La
maggior parte dei documenti per l’inclusione prevede la
collaborazione, a diverso titolo, dei rappresentanti di almeno due delle
diverse realtà territoriali (Sanità , Scuola, Ente Locale).
coinvolgimento diretto dello studente con disabilità nel progetto di
inclusione in virtù del suo diritto all’autodeterminazione (art. 8);
introduzione, a livello di singola istituzione scolastica, del Gruppo di
Lavoro Operativo per la progettazione per l’inclusione dei singoli
alunni con accertata condizione di disabilità ai fini dell’inclusione
scolastica (art. 8);
definizione più precisa dei ruoli del GIT (art. 8).

314
Cfr. nota 26, par. 7.3.4.
Capitolo 8
Il Sistema Nazionale di Valutazione.
Organi tecnici di supporto
di Elisa Camera

8.1 Istituzione del Sistema Nazionale di Valutazione


e sue prerogative
L’autonomia scolastica ha conferito alle istituzioni scolastiche
prerogative che sono espressione di libertà progettuale e organizzativa, a
sostegno dei processi innovativi di miglioramento dell’offerta formativa.
In particolare, le funzioni autonome del dirigente scolastico sono riportate
dall’art. 25 del Decreto Legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, e si
concretizzano nella gestione unitaria dell’istituzione scolastica, nella sua
legale rappresentanza, nella responsabilità della gestione delle risorse
finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio, negli autonomi poteri di
direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane, nellâ
€™organizzazione dell’attività scolastica secondo criteri di efficienza e
di efficacia formative.
L’autonomia così acquisita, tuttavia, necessita di un sistema di verifica
e di controllo dei risultati raggiunti, nonché di rendicontazione allâ
€™utenza interna ed esterna degli stessi. Il sistema scolastico italiano, a tal
fine, è stato dotato del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) tramite il
Decreto Legislativo n. 286 del 19 novembre 2004, “Istituzione del Servizio
nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione,
nonché riordino dell’omonimo istituto, a norma degli articoli 1 e 3
della legge 28 marzo 2003, n. 53â€.
Le sue prerogative sono state ribadite, fissate e regolamentate con il Decreto
del Presidente della Repubblica n. 80 del 28 marzo 2013, â
€œRegolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione
e formazioneâ€, che rappresenta, a oggi, il principale documento normativo
in questo ambito. L’art. 1 di tale decreto afferma che il Sistema Nazionale
di Valutazione è costituito dai seguenti soggetti:

INVALSI, Istituto nazionale per la valutazione del sistema di


istruzione e formazione;
INDIRE, Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca
educativa;
contingente ispettivo: contingente di dirigenti di seconda fascia con
funzione tecnico-ispettiva, appartenenti alla dotazione organica
dirigenziale del Ministero.

Concorrono, altresì, all’attività di valutazione:

la conferenza per il coordinamento funzionale del Sistema Nazionale di


Valutazione;
i nuclei di valutazione esterna: nuclei costituiti da un dirigente tecnico
del contingente ispettivo e da due esperti scelti da un elenco
appositamente costituito.

L’obiettivo prioritario dell’istituzione del SNV è costituito dalla


valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema educativo di
istruzione e formazione, per la promozione del miglioramento della qualitÃ
dell’offerta formativa e degli apprendimenti, in coerenza con quanto
previsto dall’articolo 1 del Decreto Legislativo n. 286 del 19 novembre
2004315.
L’art. 2 del D.Lgs. 80/2013 concerne gli obiettivi e l’organizzazione
del SNV. Esso fornisce i risultati della valutazione ai direttori generali degli
uffici scolastici regionali per la valutazione dei dirigenti scolastici ai sensi
dell’articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni.
Sulla base dell’articolo 2 c. 3 del D.Lgs. 286/2004, il Ministro, con
periodicità almeno triennale, individua le priorità strategiche della
valutazione del sistema educativo di istruzione, che costituiscono il
riferimento per le funzioni di coordinamento svolte dall’INVALSI,
nonché i criteri generali per assicurare l’autonomia del contingente
ispettivo e per la valorizzazione del ruolo delle scuole nel processo di
autovalutazione. La definizione delle modalità tecnico-scientifiche della
valutazione rimane in capo all’INVALSI, sulla base degli standard
vigenti in ambito europeo e internazionale.
Presso l’INVALSI, inoltre, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza
pubblica, è istituita la conferenza per il coordinamento funzionale del SNV,
composta dal presidente dell’Istituto, che la presiede, dal presidente dellâ
€™INDIRE e da un dirigente tecnico designato dal direttore generale per gli
ordinamenti scolastici e l’autonomia scolastica del Ministero in
rappresentanza del contingente ispettivo, il cui incarico è rinnovabile solo
una volta.
La conferenza adotta, su proposta dell’INVALSI, i protocolli di
valutazione, nonché il programma delle visite.

315
“Art. 1. Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema
educativo di istruzione e di formazione 1. Ai fini del progressivo
miglioramento e dell’armonizzazione della qualità del sistema educativo
definito a norma della legge 28 marzo 2003, n. 53, è istituito il Servizio
nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione
con l’obiettivo di valutarne l’efficienza e l’efficacia,
inquadrando la valutazione nel contesto internazionale. Per l’istruzione
e la formazione professionale tale valutazione concerne esclusivamente i
livelli essenziali di prestazione ed è effettuata tenuto conto degli altri
soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della
valutazione delle politiche nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse
umane.
2. Al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 concorrono lâ
€™Istituto nazionale di valutazione di cui all’articolo 2 e le istituzioni
scolastiche e formative, nonché le regioni, le province ed i comuni in
relazione ai rispettivi ambiti di competenza. L’Istituto nazionale di
valutazione di cui all’articolo 2, le istituzioni scolastiche e formative, le
regioni, le province ed i comuni provvedono al coordinamento delle
rispettive attività e servizi in materia di valutazione dell’offerta
formativa attraverso accordi e intese volti alla condivisione dei dati e delle
conoscenze.
3. Ai fini di cui al comma 2 l’Istituto nazionale di valutazione di cui allâ
€™articolo 2, le istituzioni scolastiche e formative, le regioni, le province ed
i comuni attivano le opportune procedure atte a favorire lâ
€™interoperabilità tra i loro sistemi informativi, in modo da poter
scambiare con continuità dati ed informazioni riguardanti i sistemi di
istruzione e di istruzione e formazione professionale, riducendo al tempo
stesso duplicazioni e disallineamenti fra i dati stessi, ai sensi del decreto
legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, e successive modificazioni. 4. Ferma
restando l’autonomia dell’Istituto nazionale di valutazione di cui allâ
۪articolo 2 e dei servizi di valutazione di competenza regionale, ̬
istituito, presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, un Comitato tecnico permanente, cui partecipano i rappresentanti
delle amministrazioni interessate, con il compito di assicurare lâ
€™interoperabilità fra le attività e i servizi di valutazioneâ€.

8.2 L’INVALSI
L’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione (INVALSI)
nasce dal riordino del Centro europeo dell’educazione. Tale centro,
istituito con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 419 del 31 maggio
1974, “Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e
professionale ed istituzione dei relativi istitutiâ€, è stato riconvertito nellâ
€™INVALSI per mezzo del Decreto Legislativo 20 luglio 1999, n. 258, â
€œRiordino del Centro europeo dell’educazione, della biblioteca di
documentazione pedagogica e trasformazione in Fondazione del museo
nazionale della scienza e della tecnicaâ€.
L’art. 1 di quest’ultimo decreto individua le finalità generali dellâ
€™INVALSI: “[…] L’Istituto valuta l’efficienza e l’efficacia
del sistema di istruzione nel suo complesso ed analiticamente, ove opportuno
anche per singola istituzione scolastica, inquadrando la valutazione
nazionale nel contesto internazionale; studia le cause dell’insuccesso e
della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle
tipologie dell’offerta formativa; conduce attività di valutazione sulla
soddisfazione dell’utenza; fornisce supporto e assistenza tecnica allâ
€™amministrazione per la realizzazione di autonome iniziative di
valutazione e supporto alle singole istituzioni scolastiche anche mediante la
predisposizione di archivi informatici liberamente consultabili; valuta gli
effetti degli esiti applicativi delle iniziative legislative che riguardano la
scuola; valuta gli esiti dei progetti e delle iniziative di innovazione promossi
in ambito nazionale; assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca
internazionale in campo valutativo e nei settori connessi dell’innovazione
organizzativa e didattica. […] Ai fini della realizzazione di iniziative che
comportino attività di valutazione e di promozione della cultura dellâ
€™autovalutazione da parte delle scuole l’Istituto si avvale, sulla base
della direttiva di cui al comma 1, anche dei servizi dell’amministrazione
della pubblica istruzione istituiti sul territorio provinciale e delle specifiche
professionalità degli ispettori tecnici dipendenti dal Ministero della
pubblica istruzioneâ€.
In particolare, come riportato dall’art. 3 del D.Lgs. 286/2004, lâ
€™INVALSI si occupa anche della valutazione dell’offerta formativa
delle istituzioni di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto
dell’apprendimento permanente. A questo proposito, verifica conoscenze
e abilità degli studenti, svolge attività di ricerca, nell’ambito delle sue
finalità istituzionali studia le cause dell’insuccesso e della dispersione
scolastica con riferimento al contesto sociale e alle tipologie dell’offerta
formativa.
Assume inoltre iniziative volte ad assicurare la partecipazione italiana a
progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo, svolge
attività di supporto e assistenza tecnica all’amministrazione scolastica,
alle regioni, agli enti territoriali, e alle singole istituzioni scolastiche e
formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio,
valutazione e autovalutazione, svolge attività di formazione del personale
docente e dirigente della scuola sui processi di valutazione e di
autovalutazione delle istituzioni scolastiche.
Gli esiti delle attività svolte dall’INVALSI sono oggetto di apposite
relazioni al Ministro, che ne dà comunicazione alla Conferenza unificata
Stato-Città ed autonomie locali di cui all’articolo 8 del Decreto
Legislativo n. 281 del 28 agosto 1997. Le relazioni riferiscono sui risultati e
possono segnalare indicatori ritenuti utili al miglioramento della qualitÃ
complessiva del Sistema. Relativamente al sistema della formazione
professionale, tali indicatori sono definiti previa intesa con il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali e sentita la Conferenza unificata di cui sopra. Il
Ministro relaziona quindi al Parlamento, con cadenza triennale, sugli esiti
della valutazione, mentre l’INVALSI pubblica ogni anno un rapporto
sull’attività svolta.
Nell’ambito del SNV, l’INVALSI, secondo quanto stabilito dallâ
€™art. 3 del D.P.R. 80/2013, riveste i seguenti compiti:

assicura il coordinamento funzionale del SNV;


propone i protocolli di valutazione e il programma delle visite alle
istituzioni scolastiche da parte dei nuclei di valutazione esterna;
definisce gli indicatori di efficienza e di efficacia in base ai quali il
SNV individua le istituzioni scolastiche che necessitano di supporto e
da sottoporre prioritariamente a valutazione esterna;
mette a disposizione delle singole istituzioni scolastiche strumenti
relativi al procedimento di valutazione per la realizzazione delle azioni
di miglioramento;
definisce gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici, in
coerenza con le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 150
del 27 ottobre 2009;
cura la selezione, la formazione e l’inserimento in un apposito
elenco degli esperti dei nuclei per la valutazione esterna nellâ
€™ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a
legislazione vigente. A tale fine, sulla base dei criteri generali definiti
con direttiva del Ministro, l’INVALSI con propria deliberazione
stabilisce, entro sessanta giorni dall’emanazione della direttiva
stessa, le modalità di costituzione e gestione di detto elenco; esso
cura, altresì, la formazione degli ispettori che partecipano ai citati
nuclei;
redige le relazioni al Ministro e i rapporti sul sistema scolastico e
formativo, di cui all’articolo 3 del Decreto Legislativo n. 286 del
19 novembre 2004, in modo tale da consentire anche una comparazione
su base internazionale;
partecipa alle indagini internazionali e alle altre iniziative in materia di
valutazione, in rappresentanza dell’Italia.

8.2.1 La struttura interna


La composizione dell’INVALSI è individuata dall’art. 4 del D.Lgs.
286/2004. L’organizzazione dell’Istituto è basata sul principio di
separazione tra compiti e responsabilità di indirizzo e programmazione e
compiti e responsabilità di gestione, con un’area dei servizi
amministrativi ed informatici e un’area tecnica della valutazione che, in
attuazione del programma di attività approvato dal Comitato direttivo dellâ
€™Istituto e secondo i criteri metodologici definiti, svolge le verifiche
periodiche e ne comunica gli esiti al comitato stesso. I suoi organi sono il
Presidente, il Comitato direttivo, il Collegio dei revisori dei conti.
Il Presidente (art. 5), scelto tra persone di alta qualificazione scientifica e con
adeguate conoscenze dei sistemi di istruzione e formazione e dei sistemi di
valutazione in Italia e all’estero, è nominato con decreto del Presidente
della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile, con le
stesse modalità , per un ulteriore triennio.
Il Presidente ha la rappresentanza legale dell’Istituto e le sue mansioni
sono le seguenti:

convoca e presiede le riunioni del Comitato direttivo, stabilendone lâ


€™ordine del giorno;
formula, nel rispetto delle priorità strategiche sulla base delle quali
regola la propria azione, le proposte al Comitato direttivo ai fini dellâ
€™approvazione del programma annuale dell’Istituto e della
determinazione degli indirizzi generali della gestione;
sovrintende alle attività dell’Istituto;
formula al Comitato direttivo la proposta per il conferimento dellâ
€™incarico di direttore generale dell’Istituto e adotta il
conseguente provvedimento;
presenta al Ministro le relazioni sul sistema scolastico e formativo;
in caso di urgenza adotta provvedimenti di competenza del Comitato
direttivo, da sottoporre a ratifica nella prima riunione successiva del
Comitato stesso.

Il Comitato direttivo (art. 6) è composto dal Presidente e da sei membri,


scelti tra esperti nei settori di competenza dell’Istituto, e nominati dal
Ministro, di cui uno designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali
e due dal Presidente della Conferenza unificata Stato-Regioni. Il Comitato
direttivo, su proposta del Presidente approva il programma annuale delle
attività dell’Istituto, fissando altresì linee prioritarie e criteri
metodologici, modulabili anche nel tempo, per lo svolgimento delle verifiche
sull’istruzione e sulla formazione professionale.
Esamina i risultati delle verifiche periodiche e sistematiche svolte dallâ
€™area tecnica per la valutazione, nonché le relazioni annuali sullâ
€™attività svolta; determina poi gli indirizzi della gestione, delibera il
bilancio di previsione e le relative eventuali variazioni, ed il conto
consuntivo, oltre all’affidamento dell’incarico di direttore generale
dell’Istituto e al relativo trattamento economico.
Valuta i risultati dell’attività del direttore generale e la conformitÃ
della stessa rispetto agli indirizzi, adottando le relative determinazioni,
delibera i regolamenti dell’Istituto e in ordine a ogni altra materia
attribuitagli dai regolamenti dell’Istituto.
Il Comitato stabilisce altresì le modalità operative del controllo strategico
e, in base a tale controllo, individua le cause dell’eventuale mancata
rispondenza dei risultati agli obiettivi e delibera i necessari interventi
correttivi. Dura in carica tre anni e può essere confermato per un altro
triennio. In caso di dimissione o comunque di cessazione dalla carica di uno
dei componenti del Comitato, il componente subentrante resta in carica fino
alla scadenza della durata in carica del predetto organo.
Il Collegio dei revisori dei conti (art. 7) effettua le verifiche di regolaritÃ
amministrativa e contabile a norma del Decreto Legislativo n. 286 del 30
luglio 1999. Il Collegio svolge altresì i compiti previsti per il collegio
sindacale dagli articoli 2403 e seguenti del codice civile.
Il Collegio si compone di tre membri effettivi e tre supplenti, nominati con
decreto del Ministro, di cui uno effettivo e uno supplente designati dal
Ministero dell’economia e delle finanze. I componenti effettivi designano
al loro interno, nella prima riunione del Collegio, il Presidente. Il Collegio
dura in carica quattro anni e può essere confermato per un altro quadriennio.
Il direttore generale (art. 8), nel rispetto degli indirizzi della gestione
determinati dal Comitato direttivo, è responsabile del funzionamento dellâ
€™Istituto, dell’attuazione del programma, dell’esecuzione delle
deliberazioni del Comitato direttivo, dell’attuazione dei provvedimenti
del presidente e della gestione del personale. A tale fine adotta gli atti di
gestione, compresi quelli che impegnano l’Istituto verso l’esterno.
Egli partecipa alle riunioni del Comitato direttivo, senza diritto di voto; tale
partecipazione è esclusa quando il Comitato ne valuta l’attività .
Il direttore generale, tra l’altro, nell’esercizio dei suoi compiti,
effettua le seguenti azioni:

predispone, in attuazione del programma dell’Istituto, il bilancio di


previsione e le relative eventuali variazioni, nonché il conto
consuntivo;
assicura le condizioni per il più efficace svolgimento delle attività e
per la realizzazione dei progetti previsti nel programma;
adotta gli atti di organizzazione degli uffici e delle articolazioni
strutturali dell’Istituto previste dal regolamento di organizzazione e
funzionamento, assegnando il relativo personale;
stipula i contratti di prestazione d’opera e di ricerca necessari per la
realizzazione dei progetti previsti dal programma annuale.

Il direttore generale è scelto tra persone di qualificata e comprovata


professionalità ed esperienza amministrativa e gestionale. Il suo rapporto di
lavoro è regolato con contratto di diritto privato. Il relativo incarico è
conferito dal Presidente, previa delibera del comitato direttivo, è di durata
non superiore a un triennio, è rinnovabile ed in ogni caso cessa, se non
rinnovato, decorsi novanta giorni dalla scadenza dell’incarico del
Presidente.
L’INVALSI si dota del regolamento di organizzazione e funzionamento e
del regolamento di amministrazione, contabilità e finanza.
Il primo definisce l’organizzazione dell’Istituto sulla base del
principio di separazione tra compiti e responsabilità di indirizzo e
programmazione e compiti e responsabilità di gestione, prevedendo unâ
€™area dei servizi amministrativi ed informatici ed un’area tecnica della
valutazione che, in attuazione del programma di attività approvato dal
Comitato direttivo dell’Istituto e secondo i criteri metodologici definiti,
svolge le verifiche periodiche e ne comunica gli esiti al comitato stesso; lo
stesso regolamento provvede in particolare alla ripartizione dei posti della
dotazione organica del personale, tra le aree, i livelli ed i profili professionali,
a disciplinare il reclutamento del medesimo personale attraverso procedure
concorsuali pubbliche, nel rispetto delle norme in materia di reclutamento del
personale delle pubbliche amministrazioni, nonché a definire la disciplina
relativa alle selezioni per i comandi.
Il successivo regolamento disciplina i criteri della gestione, le relative
procedure amministrativo-contabili e finanziarie e le connesse
responsabilità , in modo da assicurare la rapidità e l’efficienza nellâ
€™erogazione della spesa ed il rispetto dell’equilibrio finanziario del
bilancio. Il regolamento disciplina altresì le procedure contrattuali, le
forme di controllo interno sull’efficienza e sui risultati di gestione
complessiva dell’Istituto e l’amministrazione del patrimonio, nel
rispetto delle vigenti disposizioni in materia di contabilità generale dello
Stato.
Per lo svolgimento dei compiti attribuiti all’area tecnica della
valutazione, l’INVALSI si avvale anche delle specifiche accertate
professionalità del personale ispettivo tecnico dipendente dal Ministero,
assegnato all’Istituto medesimo su richiesta dello stesso e con il
trattamento economico a carico del Ministero, in numero non superiore a
venti unità .
I regolamenti sono trasmessi, entro quindici giorni dalla loro adozione, al
Ministro per l’approvazione, nei successivi sessanta giorni, previo parere
favorevole del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per
la funzione pubblica.
L’Istituto può avvalersi, con oneri a proprio carico, nei limiti consentiti
dalle proprie disponibilità di bilancio, e in numero comunque non superiore
a dieci unità , di personale amministrativo, tecnico e di ricerca, in posizione
di comando, proveniente dall’amministrazione dell’istruzione, dellâ
€™università e della ricerca, dalle istituzioni scolastiche o da altre
amministrazioni dello Stato, dalle università , da enti pubblici compresi nel
comparto della ricerca, dalle regioni e dagli enti locali.
I comandi del personale proveniente dalle istituzioni scolastiche non possono
protrarsi per più di un quinquennio e non sono rinnovabili prima che sia
decorso un intervallo di almeno tre anni. Essi decorrono dall’inizio dellâ
€™anno scolastico.
I comandi sono disposti attraverso apposite selezioni degli aspiranti e il
servizio prestato in posizione di comando è valido a tutti gli effetti come
servizio di istituto.
Nell’esercizio delle ordinarie attività istituzionali, l’INVALSI può
altresì avvalersi, nei limiti consentiti dalle disponibilità di bilancio, e in
relazione a particolari e motivate esigenze cui non può far fronte con il
personale in servizio, e in numero comunque non superiore a dieci unità ,
dell’apporto di esperti di alta qualificazione, previo conferimento di
appositi incarichi. L’Istituto assicura adeguate forme di pubblicizzazione
dei contratti che intende stipulare, nonché congrui termini per la
presentazione delle domande.

8.2.2 Le prove nazionali


Secondo l’art. 3 c.1 del D.Lgs. 286/2004, l’INVALSI predispone,
nell’ambito delle prove previste per l’esame di Stato conclusivo dei
cicli di istruzione, per la loro scelta da parte del Ministro, le prove a carattere
nazionale, sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento del corso ed in
relazione alle discipline di insegnamento dell’ultimo anno di ciascun
ciclo, e provvede alla gestione delle prove stesse. La Direttiva Ministeriale n.
74 del 15 settembre 2008316 afferma che “Le attività dell’INVALSI
assumono valore strategico in quanto concorrono al raggiungimento degli
obiettivi fissati dall’Unione Europea in materia di istruzione e
formazione, correlati al ‘e attivi di Lisbona’, avviato nel 2000, e con
più specifico riguardo alla qualità dei livelli di apprendimento. Esse si
inseriscono nel più ampio contesto internazionale, sia in tema di indagini
internazionali comparative sulla qualità dei sistemi nazionali di istruzione e
sui livelli di apprendimento degli studenti, con riferimento alle metodiche
adottate ed ai risultati conseguiti, sia in tema di promozione della cultura
della valutazioneâ€.
Nel corso del tempo, la tipologia e i destinatari delle somministrazioni sono
mutati.
La rilevazione, secondo quanto contenuto nella circolare sopra citata, è stata
messa a regime nel corso di tre anni secondo la seguente scansione:

anno 2008-2009 le scuole primarie, con rilevazioni riguardanti gli


alunni delle classi seconde e quinte;
anno 2009-2010 le scuole secondarie di primo grado, con rilevazioni
riguardanti gli alunni delle classi prime e terze. In particolare, gli
alunni delle classi terze sono stati sottoposti ad una valutazione degli
apprendimenti in occasione della prova nazionale dell’esame di
Stato al termine del primo ciclo;
anno 2010-2011 le scuole secondarie di secondo grado, con rilevazioni
riguardanti gli studenti delle classi seconde e quinte.

All’epoca erano state considerate, in via prioritaria, quali aree disciplinari


oggetto di valutazione nei tre anni di riferimento, l’italiano, la matematica
e, in seconda istanza, le scienze.
Per quel che concerne le classi terze della scuola secondaria di I grado, lâ
€™art. 7 del Decreto Legislativo n. 122 del 22 giugno 2009 aveva
predisposto, tra le prove dell’Esame di Stato conclusivo del I ciclo di
istruzione, due prove INVALSI scritte di italiano e di matematica. La
valutazione delle stesse era espressa in decimi e concorreva a determinare il
voto finale.
La Direttiva n. 85 del 12 ottobre 2012, “Priorità strategiche dellâ
€™INVALSI per gli anni scolastici 2012/2013, 2013/2014 e 2014/2015†ha
soppresso le rilevazioni nazionali per le classi prime della scuola secondaria
di I grado, con l’obiettivo di infondere maggiore continuità e unitarietÃ
al percorso formativo del I ciclo di istruzione, con la prospettiva di
uniformarle alle rilevazioni delle classi quinte della scuola primaria. Tale
rilevazione sulle classi prime della scuola secondaria di I grado fu effettuata
nel 2013, ma non nel 2014. Inoltre si ribadì che l’INVALSI, nel corso
del triennio scolastico 2012/13 – 2014/15 avrebbe garantito la
partecipazione dell’Italia alle indagini internazionali OCSE-PISA, IEA-
TIMSS, IEAPIRLS e TALIS.
Anche il D.P.R. 80/2013 ribadisce che le istituzioni scolastiche sono
soggette a periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti e sulle
competenze degli studenti, predisposte e organizzate dall’INVALSI
anche in raccordo alle analoghe iniziative internazionali. Tali rilevazioni sono
effettuate su base censuaria nelle classi seconda e quinta della scuola
primaria, prima e terza della scuola secondaria di primo grado, seconda e
ultima della scuola secondaria di secondo grado.
La Direttiva Ministeriale n. 11 del 18 settembre 2014, “PrioritÃ
strategiche del Sistema Nazionale di Valutazione per gli anni scolastici
2014/15,2015/16 e 2016/17†ha fornito indicazioni per l’entrata in
vigore del Regolamento sulla valutazione e per l’applicazione del
procedimento di valutazione del sistema nazionale di istruzione.
In particolare, vi si ribadisce che la valutazione è finalizzata al
miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti
essendo particolarmente indirizzata alle seguenti priorità :

riduzione della dispersione scolastica e dell’insuccesso scolastico;


riduzione delle differenze tra scuole e aree geografiche nei livelli di
apprendimento degli studenti;
rafforzamento delle competenze di base degli studenti rispetto alla
situazione di partenza;
valorizzazione degli esiti a distanza degli studenti con attenzione allâ
€™università e al lavoro.

La medesima Direttiva ribadiva altresì la scansione prevista per il


procedimento di valutazione: autovalutazione delle istituzioni scolastiche a
partire dall’anno scolastico 2014-2015; valutazione esterna delle scuole,
per la quale, era richiesto alla Conferenza di coordinamento di adottare, entro
marzo 2015, su proposta dell’INVALSI, i protocolli di valutazione delle
scuole e gli indicatori di efficienza e di efficacia per individuare le scuole da
sottoporre a verifica esterna; valutazione della dirigenza scolastica, per la
quale l’INVALSI è stato chiamato a definire, entro dicembre 2014, i
relativi indicatori.
L’art. 4 del D.Lgs. 62/2017 e gli artt. 6, 7 e 19 del D.P.R. 80/2013
forniscono indicazioni sulla attuale somministrazione delle prove a
carattere nazionale. In particolare, si specifica che, per la Scuola Primaria,
l’INVALSI effettua rilevazioni nazionali sugli apprendimenti delle
alunne e degli alunni in italiano, matematica e inglese in coerenza con le
Indicazioni Nazionali per il curricolo. Tali rilevazioni sono svolte nelle classi
seconda e quinta, ad eccezione della rilevazione di inglese, effettuata
esclusivamente nella classe quinta.
Per la Scuola Secondaria di I grado, l’INVALSI effettua rilevazioni
nazionali attraverso prove standardizzate, computer based, volte ad accertare
i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti in italiano,
matematica e inglese anche in questo caso in coerenza con le Indicazioni
Nazionali per il curricolo.
Tali rilevazioni sono effettuate nella classe terza e si svolgono entro il mese
di aprile.
Per la Scuola Secondaria di II grado, le studentesse e gli studenti iscritti al
secondo e all’ultimo anno di scuola sostengono prove a carattere
nazionale, computer based, predisposte dall’INVALSI, volte a verificare
i livelli di apprendimento conseguiti in italiano, matematica e inglese.
È specificato che le rilevazioni degli apprendimenti contribuiscono al
processo di autovalutazione delle istituzioni scolastiche e forniscono
strumenti utili al progressivo miglioramento dell’efficacia della azione
didattica e che le azioni relative allo svolgimento delle rilevazioni nazionali
costituiscono per le istituzioni scolastiche attività ordinarie d’istituto.
Per la rilevazione di inglese, l’INVALSI predispone prove di
posizionamento sulle abilità di comprensione e uso della lingua, coerenti
con il Quadro comune di riferimento Europeo per le lingue.
Nella Scuola Secondaria di I e II grado, la partecipazione alle rilevazioni
nazionali rappresenta requisito di ammissione all’esame di Stato
conclusivo; per le alunne e gli alunni risultati assenti per gravi motivi
documentati, valutati dal consiglio di classe, è prevista una sessione
suppletiva per l’espletamento delle prove.

316
Una delle direttive derivanti dalla Legge n. 176 del 25 ottobre 2007, â
€œConversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 settembre
2007, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio
dell’anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori
universitariâ€.

8.3 L’INDIRE
L’Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca
educativa (INDIRE) nasce dal riordino della Biblioteca di documentazione
pedagogica. Quest’ultima, istituita dal D.P.R. 419/1974, con sede a
Firenze, è stata trasformata nell’INDIRE dall’art. 2 dal D.Lgs.
258/1999; i cc. 4 e 5 illustrano le sue prerogative: “L’Istituto, in
collegamento con gli istituti regionali di ricerca, sperimentazione e
aggiornamento educativi (IRRSAE), cura lo sviluppo di un sistema di
documentazione finalizzato alle esperienze di ricerca e innovazione didattica
e pedagogica in ambito nazionale e internazionale oltre che alla creazione di
servizi e materiali a sostegno dell’attività didattica e del processo di
autonomia; rileva i bisogni formativi con riferimento ai risultati della
ricerca; sostiene le strategie di ricerca e formazione riferite allo sviluppo dei
sistemi tecnologici e documentari ed elabora e realizza coerenti progetti
nazionali di ricerca coordinandosi con le università e con gli organismi
formativi nazionali e internazionali, curando la diffusione dei relativi
risultati; collabora con il Ministero della pubblica istruzione per la gestione
dei programmi e dei progetti della Unione europea.
L’Istituto cura lo sviluppo delle attività di raccolta, elaborazione,
valorizzazione e diffusione dell’informazione e di produzione della
documentazione a sostegno dell’innovazione didattica e dellâ
€™autonomia; sostiene lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie dellâ
€™informazione, della documentazione e della comunicazione nelle scuole;
cura la valorizzazione del patrimonio bibliografico e documentario giÃ
appartenente alla biblioteca pedagogica nazionale e lo sviluppo di un settore
bibliotecario interno funzionale alla creazione di banche datiâ€.
L’art. 1 cc. 610-611 della Legge n. 296 del 27 dicembre 1996 sopprime lâ
€™INDIRE, trasformandolo nell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dellâ
€™autonomia scolastica (ANSAS) avente sede a Firenze, articolata, anche a
livello periferico, in nuclei allocati presso gli uffici scolastici regionali ed in
raccordo con questi ultimi, con le seguenti funzioni:

ricerca educativa e consulenza pedagogico-didattica;


formazione e aggiornamento del personale della scuola;
attivazione di servizi di documentazione pedagogica, didattica e di
ricerca e sperimentazione;
partecipazione alle iniziative internazionali nelle materie di
competenza;
collaborazione alla realizzazione delle misure di sistema nazionali in
materia di istruzione per gli adulti e di istruzione e formazione tecnica
superiore;
collaborazione con le regioni e gli enti locali.
Successivamente, l’art. 19 c. 1 della Legge n. 111 del 15 luglio 2011 ha
ripristinato l’INDIRE sopprimendo l’ANSAS, andando quindi ad
abrogare i cc. 610-611 della L. 296/2006 precedentemente citata.
L’art. 10 c. 1 del Decreto Ministeriale n. 250 del 27 ottobre 2015
coinvolge l’INDIRE nel percorso di formazione on line dei docenti neo-
assunti. In particolare, tramite la struttura tecnica dell’INDIRE, vengono
coordinate le attività per la realizzazione e l’aggiornamento della
piattaforma digitale che supporta i docenti neoassunti durante tutto il periodo
di formazione. La piattaforma è predisposta all’inizio dell’anno
scolastico. Come è noto, la formazione online del docente neoassunto ha
una durata complessiva di 20 ore, e consiste nello svolgimento delle seguenti
attività :

analisi e riflessioni sul proprio percorso formativo;


elaborazione di un proprio portfolio professionale che documenta la
progettazione, realizzazione e valutazione delle attività didattiche;
compilazione di questionari per il monitoraggio delle diverse fasi del
percorso formativo;
libera ricerca di materiali di studio, risorse didattiche, siti dedicati,
messi a disposizione durante il percorso formativo.

L’INDIRE, all’interno del SNV, secondo l’art. 4 del D.P.R.


80/2013, concorre a realizzare gli obiettivi del SNV attraverso il supporto alle
istituzioni scolastiche nella definizione e attuazione dei piani di
miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli
apprendimenti degli studenti, autonomamente adottati dalle stesse. A tale
fine, cura il sostegno ai processi di innovazione centrati sulla diffusione e
sull’utilizzo delle nuove tecnologie, attivando coerenti progetti di ricerca
tesi al miglioramento della didattica, nonché interventi di consulenza e di
formazione in servizio del personale docente, amministrativo, tecnico e
ausiliario e dei dirigenti scolastici, anche sulla base di richieste specifiche
delle istituzioni scolastiche.

8.4 Il corpo ispettivo


I compiti degli ispettori scolastici, già presenti a partire dall’istituzione
della scuola statale, sono stati ridefiniti dall’art. 4, “Funzione
ispettivaâ€, del Decreto Legislativo n. 417 del 31 maggio 1974, ripreso
successivamente dall’art. 397 del Decreto Legislativo n. 297 del 16 aprile
1994: “1. La funzione ispettiva concorre, secondo le direttive del Ministro
della pubblica istruzione e nel quadro delle norme generali sullâ
€™istruzione, alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione,
affidate alle istituzioni scolastiche ed educative.
2. Essa è esercitata da ispettori tecnici che operano in campo nazionale, in
campo regionale e provinciale.
3. Gli ispettori tecnici contribuiscono a promuovere e coordinare le attivitÃ
di aggiornamento del personale direttivo e docente delle scuole di ogni
ordine e grado; formulano proposte e pareri in merito ai programmi di
insegnamento e di esame e al loro adeguamento, all’impiego dei sussidi
didattici e delle tecnologie di apprendimento, nonché alle iniziative di
sperimentazione di cui curano il coordinamento; possono essere sentiti dai
consigli scolastici provinciali in relazione alla loro funzione; svolgono
attività di assistenza tecnico-didattica a favore delle istituzioni scolastiche
ed attendono alle ispezioni disposte dal Ministero della pubblica istruzione,
dal sovrintendente scolastico regionale o dal provveditore agli studi;
prestano la propria assistenza e collaborazione nelle attività di
aggiornamento del personale direttivo e docente nell’ambito del circolo
didattico, dell’istituto, del distretto, regionale e nazionale.
4. Gli ispettori tecnici svolgono altresì attività di studio, di ricerca e di
consulenza tecnica per il Ministro, i direttori generali, i capi dei servizi
centrali, i sovrintendenti scolastici e i provveditori agli studi.
5. Al termine di ogni anno scolastico, il corpo ispettivo redige una relazione
sull’andamento generale dell’attività scolastica e dei serviziâ€.
Anche l’art. 2 c. 5 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 260 del
21 dicembre 2007, che ha riformato il Ministero in seguito alla separazione
tra Ministero dell’Istruzione e del Ministero dell’Università e della
Ricerca, ha ridefinito nello specifico il ruolo del corpo ispettivo: “Il corpo
ispettivo, composto dai dirigenti investiti dell’esercizio della funzione
ispettiva tecnica, è collocato, a livello di amministrazione centrale, in
posizione di dipendenza funzionale dal Capo del Dipartimento per lâ
€™istruzione, e, a livello periferico, in posizione di dipendenza funzionale
dai dirigenti preposti agli uffici scolastici regionali, per lo svolgimento dei
compiti che la legge attribuisce a tale funzione anche con riferimento ai
fenomeni del bullismo, delle devianze giovanili, dell’assiduità della
frequenza e della continuità delle prestazioni da parte dei docenti. Le
modalità di esercizio della funzione ispettiva tecnica sono determinate con
apposito atto di indirizzo del Ministroâ€.
Anche la Legge n. 135 del 7 agosto 2012 e il successivo Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri n. 98 dell’11 febbraio 2014 novella
tale precisazione: “Il corpo ispettivo, composto dai dirigenti che svolgono
la funzione ispettiva tecnica, è collocato, a livello di amministrazione
centrale, in posizione di dipendenza funzionale dal capo del Dipartimento
per il sistema educativo di istruzione e di formazione, e, a livello periferico,
in posizione di dipendenza funzionale dai dirigenti preposti agli uffici
scolastici regionali. Le modalità di esercizio della funzione ispettiva tecnica
sono determinate con apposito atto di indirizzo del Ministroâ€.
Il D.P.R. 80/2013, all’art. 5, individua le funzioni del corpo ispettivo
nell’ambito del SNV: “1. Il contingente ispettivo concorre a realizzare
gli obiettivi dell’S.N.V. partecipando ai nuclei di valutazione di cui allâ
۪articolo 6, comma 2. Il numero di dirigenti che ne fanno parte ̬
individuato, tenuto conto delle altre funzioni assolte da tale categoria di
personale, con decreto del Ministro nell’ambito della dotazione organica
dei dirigenti di seconda fascia con funzione tecnico-ispettiva ed è ripartito
tra amministrazione centrale e periferica. I relativi incarichi di funzione
dirigenziale non generale sono conferiti dal direttore generale per gli
ordinamenti scolastici e l’autonomia scolastica del Ministero e dai
direttori generali degli Uffici scolastici regionali, ai sensi dell’articolo
19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. I direttori generali di cui al comma 1 rendono conoscibili, anche mediante
pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale del Ministero, il
numero e la tipologia dei posti disponibili, acquisiscono le candidature dei
dirigenti interessati e le valutano secondo criteri che valorizzino anche la
pregressa esperienza nelle attività oggetto degli incarichi. Per la durata dei
medesimi incarichi tali dirigenti sono utilizzati in via esclusiva nelle attivitÃ
di valutazione.
3. Il dirigente che partecipa alla conferenza di cui all’articolo 2, comma
5, in rappresentanza del contingente ispettivo è designato dal direttore
generale per gli ordinamenti scolastici e l’autonomia scolastica del
Ministero. Il relativo incarico è rinnovabile una sola voltaâ€.

8.5 Il procedimento di valutazione


Il procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche si sviluppa, in
modo da valorizzare il ruolo delle scuole nel processo di autovalutazione,
sulla base dei protocolli di valutazione e delle scadenze temporali stabilite
dalla conferenza di coordinamento funzionale dell’INVALSI317, ed è
assicurato nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali
disponibili a decorrere dall’anno 2013.
Il procedimento di valutazione si articola nelle seguenti fasi:
a) autovalutazione delle istituzioni scolastiche;
b) valutazione esterna;
c) azioni di miglioramento;
d) rendicontazione sociale.

8.5.1 Autovalutazione delle istituzioni scolastiche


L’autovalutazione delle scuole, si articola, a sua volta, in due fasi. Ogni
istituzione scolastica procede anzitutto con l’analisi e la verifica del
proprio servizio sulla base dei dati resi disponibili dal sistema informativo
del Ministero, delle rilevazioni sugli apprendimenti e delle elaborazioni sul
valore aggiunto restituite dall’INVALSI, oltre a ulteriori elementi
significativi integrati dalla stessa scuola; successivamente, procede allâ
€™elaborazione di un rapporto di autovalutazione in formato elettronico,
secondo un quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI, e alla
formulazione di un piano di miglioramento.
A partire dall’a.s. 2014/2015, è stato avviato il processo di
autovalutazione delle scuole: tramite un’apposita piattaforma ministeriale
è stato possibile redigere il Rapporto di autovalutazione (RAV). Il RAV
è articolato nelle seguenti sezioni:
- Contesto e risorse
- Esiti degli studenti
- Processi e pratiche educative e didattiche
- Processo di autovalutazione
- Individuazione delle prioritÃ
Le prime tre sezioni sono articolate, a loro volta, nelle seguenti aree:

Nel format del RAV, sono indicati:

i dati informativi e statistici sugli aspetti fondamentali del


funzionamento (livelli di apprendimento, organizzazione didattica, esiti
scolastici, utilizzo delle risorse umane e finanziarie) messi a
disposizione dal Ministero su “Scuola in chiaroâ€, dallâ
€™INVALSI e da altri soggetti istituzionali (Istat, Ministero del
Lavoro);
una sezione per le ulteriori informazioni di competenza diretta delle
scuole.

Per ciascuna di queste prime tre aree (Contesto, Esiti e Processi) il RAV
fornisce una definizione dell’area al fine di esplicitarne più
compiutamente il contenuto, individua un certo numero di indicatori idonei a
rappresentare le caratteristiche di qualità dell’area. La mappa sintetica
degli indicatori è arricchita anche da descrittori che ne facilitano ancor più
la comprensione e ne specificano il contenuto. Sono presenti domande guida,
con lo scopo di stimolare la riflessione sui dati; per l’area Contesto sono
individuati opportunità e vincoli, per Esiti e Processi sono definiti i punti di
forza e punti di debolezza. Per le sezioni Esiti e Processi è richiesta la
formulazione di un giudizio autovalutativo mediante una scala di possibili
situazioni che va da 1 a 7. Gli Esiti, in particolare, rappresentano la prima
sezione di carattere valutativo del RAV in relazione alla quale ciascuna
scuola è chiamata a individuare i punti di forza e di debolezza. Essi
attengono a fattori endogeni, parte integrante dello specifico sistema
scolastico e sui quali è possibile agire direttamente. Alla fine di ciascuna
area, la scuola è tenuta a formulare un giudizio, che richiede di portare a
sintesi una varietà di informazioni riferite alla pluralità di indicatori
proposti dal sistema e/o inseriti da ciascuna istituzione scolastica.
La quarta sezione orienta la riflessione critica sul percorso di autovalutazione
svolto.
La quinta sezione (individuazione delle priorità e dei traguardi di
miglioramento e degli obiettivi di processo) è la logica conclusione del
processo di autovalutazione in quanto chiede alle scuole di fare delle scelte
individuando priorità e traguardi da raggiungere attraverso il successivo
Piano di Miglioramento.
Nel successivo a.s. 2015/2016, le istituzioni scolastiche sono state tenute alla
redazione del Piano di miglioramento (PdM), strettamente connesso al
RAV. Figure centrali nel processo di miglioramento sono il dirigente
scolastico e il nucleo interno di valutazione (NIV)318. Quest’ultimo,
composto dal dirigente scolastico e da alcuni docenti individuati dal Collegio
Docenti, secondo quanto riportato nella Nota Ministeriale n. 1738 del 2
marzo 2015, “Orientamenti per l’elaborazione del Rapporto di
Autovalutazione†e nella Nota Ministeriale n. 7904 del 1 settembre 2015, â
€œPubblicazione del RAV e primi orientamenti per il PdM†ha il compito di
supportare il dirigente scolastico per il conseguimento dei seguenti obiettivi:

favorire e sostenere il coinvolgimento diretto di tutta la comunitÃ


scolastica, anche promuovendo momenti di incontro e di condivisione
degli obiettivi e delle modalità operative dell’intero processo di
autovalutazione;
valorizzare le risorse interne, assicurandone, da un lato, una piena
legittimazione all’interno di questo processo innovativo e, dallâ
€™altro, favorendo un più significativo collegamento del processo di
valutazione nel sistema scuola, successivamente individuando e
responsabilizzando le competenze professionali più utili in relazione
ai contenuti delle azioni previste nel piano;
incoraggiare la riflessione dell’intera comunità scolastica
attraverso una riprogettazione delle azioni mediante il ricorso a nuovi
approcci, basati sulla condivisione di percorsi di innovazione, anche
facendo eventualmente tesoro di proposte operative collegate ad
esperienze precedenti in tale ambito;
alimentare costantemente il processo di autovalutazione, promuovere la
conoscenza e la comunicazione anche pubblica del processo di
miglioramento, superando un approccio di chiusura autoreferenziale.

Il nucleo interno di valutazione rappresenta un elemento di interazione


continua tra la leadership più direttamente legata alle scelte del dirigente
scolastico e l’insieme della comunità scolastica. Uno dei fattori di
successo del PdM sta proprio nella partecipazione di tutta la scuola alle azioni
di miglioramento, nella condivisione a tutti i livelli della direzione strategica
che la scuola adotta, nella consapevolezza diffusa del percorso intrapreso e
dei risultati che esso produce. La documentazione di questi aspetti può
fornire elementi utili per una lettura di ampio respiro dell’efficacia del
PdM, tenendo conto anche degli effetti a lungo termine.
Nel RAV ogni scuola ha considerato molteplici punti di forza/debolezza,
corrispondenti all’articolazione delle quattro aree legate agli esiti e alle
sette aree di processo. La scuola ha portato a sintesi questo quadro
individuando, di norma, una o al massimo due priorità su una o due aree per
il miglioramento e ha specificato i relativi traguardi da raggiungere. Sono
stati infine definiti gli obiettivi di processo funzionali al raggiungimento dei
traguardi, che “articolano in forma osservabile e/o misurabile i contenuti
delle priorità e rappresentano le mete verso cui la scuola tende nella sua
azione di miglioramentoâ€. È stato dunque necessario analizzare in dettaglio
i nessi esistenti tra i processi e i traguardi, valutando con attenzione lâ
€™impatto e la fattibilità di ogni processo, in modo da finalizzare al meglio
le risorse umane e finanziarie da mettere in campo nel processo di
miglioramento.
Nella predisposizione del PdM, una volta stabiliti in via definitiva gli
obiettivi di processo del primo anno, la scuola è stata invitata a pianificare
con precisione le azioni da mettere in atto per raggiungerli. La pianificazione
è stata facilitata dall’adozione di un quadro di riferimento per definire le
risorse umane e finanziarie che verranno impegnate per ciascun obiettivo, con
i dettagli delle azioni previste e i tempi di realizzazione di ciascuna. Per ogni
obiettivo sono stati anche chiaramente indicati i risultati attesi e gli indicatori
sulla base dei quali la scuola può periodicamente compiere delle valutazioni
sullo stato di avanzamento e sul raggiungimento dei risultati previsti.
Il nucleo interno di valutazione può programmare delle verifiche periodiche
dello stato di avanzamento del PdM, confrontando la situazione di partenza
con il traguardo indicato nel RAV e rilevando l’entità dei risultati
conseguiti. Lo stesso nucleo, sulla base dei dati rilevati, considera se la
direzione intrapresa è quella giusta o se occorre riconsiderare l’efficacia
delle azioni di miglioramento intraprese dalla scuola. Nel caso di situazioni
particolari, come previsto dalla Direttiva ministeriale n. 11 del 18/9/2014, le
scuole possono aggiornare periodicamente il loro RAV.
Il PdM e il RAV mantengono uno stretto legame con il Piano Triennale
dell’Offerta Formativa (PTOF). Quest’ultimo, infatti, contiene
sezioni dedicate proprio alle priorità desunte dal RAV, ai traguardi di lungo
periodo e agli obiettivi formativi prioritari, nonché una sezione costituita
proprio dal piano di miglioramento.

8.5.2 Valutazione esterna


In questo secondo momento del procedimento di valutazione, l’INVALSI
individua le situazioni da sottoporre a verifica, sulla base di indicatori di
efficienza ed efficacia previamente definiti; le istituzioni scolastiche così
individuate, sono sottoposte alle visite dei nuclei di valutazione esterna
(NEV), secondo il programma e i protocolli di valutazione adottati dalla
conferenza di coordinamento dell’INVALSI. L’operato dei nuclei di
valutazione esterna è iniziato a partire dall’a.s. 2015-2016. Essi sono
costituiti da un dirigente tecnico del contingente ispettivo e da due esperti
scelti da un elenco appositamente costituito. Sulla base degli esiti dellâ
€™analisi effettuata dai nuclei, le istituzioni scolastiche procedono alla
ridefinizione da parte delle istituzioni scolastiche dei piani di miglioramento.

8.5.3 Azioni di miglioramento


Nella terza fase, le istituzioni scolastiche definiscono e attuano gli interventi
migliorativi anche con il supporto dell’INDIRE o attraverso la
collaborazione con Università , enti di ricerca, associazioni professionali e
culturali. Tale collaborazione avviene nei limiti delle risorse umane e
finanziarie disponibili e senza determinare nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica.

8.5.4 Rendicontazione sociale delle istituzioni


scolastiche
Le istituzioni scolastiche hanno presentato per la prima volta, entro dicembre
2019, la rendicontazione sociale. Essa consiste nella pubblicazione e
diffusione dei risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili, sia
in una dimensione di trasparenza sia in una dimensione di condivisione e
promozione al miglioramento del servizio con la comunità di appartenenza.
A questo proposito, è stata messa a disposizione delle istituzioni scolastiche
un’apposita sezione sul portale ministeriale del SNV con un format dal
quale si evince una stretta correlazione e una naturale derivazione della
rendicontazione dal RAV e dal PdM.
I piani di miglioramento, con i risultati conseguiti dalle singole istituzioni
scolastiche, sono comunicati al direttore generale del competente Ufficio
scolastico regionale, che ne tiene conto ai fini della individuazione degli
obiettivi da assegnare al dirigente scolastico in sede di conferimento del
successivo incarico e della valutazione.

317
Di cui all’art. 2 c. 5 del D.P.R. 80/2013. Tale conferenza è composta
dal presidente dell’Istituto, che la presiede, dal presidente dell’Indire
e da un dirigente tecnico (di cui all’articolo 5, comma 3 del medesimo
decreto) in rappresentanza del contingente ispettivo designato dal direttore
generale per gli ordinamenti scolastici e l’autonomia scolastica del
Ministero, con incarico rinnovabile una sola volta.
318
Il riferimento al nucleo interno di valutazione compare per la prima volta,
con la denominazione di “unità di autovalutazioneâ€, nella Circolare
Ministeriale n. 47 del 21 ottobre 2014, “Priorità strategiche della
valutazione del Sistema educativo di istruzione e formazione. Trasmissione
della Direttiva n. 11 del 18 settembre 2014â€, relativa alla predisposizione
del rapporto di autovalutazione da parte delle istituzioni scolastiche. La
medesima Circolare afferma che essa è “costituita preferibilmente dal
dirigente scolastico, dal docente referente della valutazione e da uno o più
docenti con adeguata professionalità individuati dal Collegio dei docentiâ€,
mentre la Nota Ministeriale 1738 del 2 marzo 2015 afferma che “La
composizione interna di ogni unità può essere comunque variamente
articolata a seconda del contesto di riferimento, della realtà scolastica e
delle modalità di analisi che si intendono intraprendereâ€. La Nota
Ministeriale n. 7904 del 1 settembre 2015, “Pubblicazione del RAV e
primi orientamenti per il PdM†contiene invece la denominazione â
€œnucleo interno di valutazioneâ€.

8.6 Il comitato di valutazione e la valutazione dei


docenti
Il comitato di valutazione, istituito dall’art. 11 del Decreto Legislativo n.
297 del 16 aprile 1994, “Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti
in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e gradoâ€, è
presieduto dal dirigente scolastico ed era costituito inizialmente da quattro
docenti effettivi e da due docenti supplenti nelle scuole con più di cinquanta
docenti.
A seguito dell’art. 1 c. 129 della Legge n. 107 del 13 luglio 2015, che ne
ha rinnovato composizione e funzioni, è ora costituito da tre docenti, due
eletti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto, da due
rappresentanti dei genitori per il primo ciclo di istruzione, da un
rappresentante dei genitori e uno degli studenti per il secondo ciclo, scelti dal
consiglio di istituto, da un componente esterno individuato dall’USR tra
docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. Il comitato di valutazione
così costituito dura in carica un triennio.

8.6.1 La valorizzazione dei docenti


Il medesimo comma 129 della L. 107/2015 illustra le prerogative del
comitato per la valutazione. In particolare esso individua i criteri per la
valorizzazione dei docenti sulla base:

della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento


dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e
scolastico degli studenti;
dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al
potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione
didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca
didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche
didattiche;
delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e
didattico e nella formazione del personale.

L’art. 1 cc. 127-128 della L. 107/2015 prevede che il dirigente scolastico,


sulla base dei criteri individuati dal comitato per la valutazione dei docenti,
assegna annualmente al personale docente una somma del Fondo per la
valorizzazione del merito del personale docente, di cui al c.126, sulla base di
motivata valutazione.
Tale somma di cui al comma 127, definita bonus, è destinata a valorizzare il
merito del personale docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni
ordine e grado e ha natura di retribuzione accessoria.
Nella L. 107 non si fa menzione della contrattazione, elemento dal quale si
può dedurre che la scelta dei docenti da valorizzare, fino all’a.s. 2018-
2019, fosse di esclusiva competenza del dirigente scolastico, sulla base dei
criteri individuati dal Comitato per la valutazione, senza unâ
€™interlocuzione con le organizzazioni sindacali.
Il CCNL scuola 2018 ha apportato alcune modifiche: in base all’art. 40
del contratto, le risorse sono confluite nel Fondo per il miglioramento dellâ
€™offerta formativa “ferma rimanendo la relativa finalizzazione a favore
della valorizzazione del personale docente sulla base dei criteri indicati del
medesimo CCNLâ€319. Inoltre, si esplicita che il bonus merito debba essere
discusso nella contrattazione integrativa.
Tuttavia, si è creato un problema di applicazione dei criteri generali per
assegnare il bonus merito: non si comprende fino a che punto i criteri devono
essere stabiliti dalla contrattazione integrativa e dove invece si debba seguire
la legge 107/2015.
A tal proposito, l’Aran ha espresso l’Orientamento applicativo
CIR16 del 4 aprile 2019 precisando quanto segue: “Al riguardo occorre
far presente che le risorse di cui al comma 126 della citata legge 107/2015
sono confluite nel Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di
cui all’art. 40 del CCNL 19 aprile 2018, “ferma rimanendo la relativa
finalizzazione a favore della valorizzazione del personale docente sulla base
dei criteri indicati all’art. 22, comma 4, lett. c), punto c4)†del
medesimo CCNL.
In merito la Corte dei Conti, nel rapporto di certificazione del CCNL in
esame, ha precisato che “nell’ambito delle materie oggetto di
contrattazione integrativa a livello di istituzione scolastica ed educativa …
si rinvengono, accanto ai criteri per la ripartizione del Fondo d’Istituto
(FIS) e dei compensi accessori ai sensi dell’art. 45, comma 1 del D.Lgs.
n. 165 del 2001, anche i criteri generali per la determinazione dei compensi
finalizzati alla valorizzazione del personale ivi compresi quelli riconosciuti al
personale docente ai sensi dell’art. 1, commi 126-128 della legge n. 107
del 2015 (art. 22, comma 4, lettera c4).
Anche in tal caso i criteri demandati alla contrattazione integrativa si
contrappongono alla specifica disciplina dettata dalla legge n. 107 del 2015
che, all’art. 1, comma 127, demanda l’individuazione dei criteri di
determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del merito del
personale docente al Comitato per la valutazione dei docenti, istituito dallâ
€™art. 11 del D.Lgs. n. 297 del 1994, come sostituito dall’art. 1, comma
129 della legge n. 107 del 2015; detti criteri devono tenere conto: a) della
qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dellâ
۪istituzione scolastica, nonch̩ del successo formativo e scolastico degli
studenti; b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo dei docenti in
relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dellâ
€™innovazione didattica e metodologica; c) delle responsabilità assunte nel
coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.
Al riguardo la Corte prende atto che la possibilità di contrattualizzare la
disciplina dettata dall’art. 1, comma 126 e seguenti della legge n. 107
del 2015, come precisato nel successivo paragrafo 7 del rapporto, conferma
sia pure parzialmente gli ambiti della contrattazione integrativa definiti nella
presente ipotesi contrattuale.
Se tuttavia i criteri di ripartizione del fondo per il miglioramento dellâ
€™offerta formativa – demandati, in linea con i precedenti contratti di
comparto, alla contrattazione integrativa a livello nazionale – assorbono
quelli previsti per il Fondo per il merito di cui alla legge n. 107 del 2015,
appare necessario precisare i confini della contrattazione integrativa a
livello di istituzione scolastica. In tale ambito – come, peraltro, indicato
nell’atto di indirizzo integrativo – il relativo spazio di competenza va
limitato ai soli riflessi sulla distribuzione della retribuzione accessoria
derivanti dall’attuazione dei sistemi di valutazione del personale
docente, incluso quello di cui all’art. 1, commi 127-128 della legge n.
107 del 2015, con la possibilità , quindi, di dettare i criteri generali per la
determinazione dei compensi (ad esempio il valore massimo del bonus, la
differenziazione minima tra le somme distribuite, la percentuale dei
beneficiari) confermando, tuttavia, le procedure e i criteri di assegnazione
del bonus ai beneficiari previsti dalla legge (resta ferma, pertanto la
competenza del dirigente scolastico in merito all’individuazione dei
docenti meritevoli sulla base di criteri, non soggetti a contrattazione,
formulati dallo specifico comitato per la valutazione)â€.
Il personale docente può chiedere la valutazione del servizio prestato per un
periodo non superiore all’ultimo triennio320, previa relazione del dirigente
scolastico, e il comitato si occupa della valutazione; nel caso di valutazione
del servizio di un docente componente del comitato, ai lavori non partecipa lâ
€™interessato e il consiglio di istituto provvede all’individuazione di un
sostituto. Il comitato esercita altresì le competenze per la riabilitazione del
personale docente321.
8.6.2 Il periodo di formazione e di prova dei docenti
neo-assunti
Il comitato esprime altresì il proprio parere sul superamento del periodo di
formazione e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine il
comitato è composto dal dirigente scolastico, che lo presiede, dai docenti ed
è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor.
Un docente tutor segue al massimo tre docenti neo-assunti. Nella scuola
secondaria di primo e secondo grado, appartiene alla medesima classe di
concorso dei docenti neo-assunti a lui affidati, ovvero è in possesso della
relativa abilitazione. In caso di motivata impossibilità , si procede alla
designazione per classe affine ovvero per area disciplinare. Il docente tutor
accoglie il neo-assunto nella comunità professionale, favorisce la sua
partecipazione ai diversi momenti della vita collegiale della scuola ed esercita
ogni utile forma di ascolto, consulenza e collaborazione per migliorare la
qualità e l’efficacia dell’insegnamento.
La regolamentazione dell’anno di prova dei docenti neo-assunti è
presente nell’art. 1 cc. 117-119, che novella l’art. 440 del già citato
Testo Unico (D.Lgs. 297/1994). In particolare, poi, il Decreto Ministeriale
n. 850 del 27 ottobre 2015, “Obiettivi, modalità di valutazione del grado
di raggiungimento degli stessi, attività formative e criteri per la valutazione
del personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova, ai
sensi dell’articolo 1, comma 118, della legge 13 luglio 2015, n. 107†ha
novellato le modalità di svolgimento di questo stesso anno rispetto a quanto
già contenuto nella Legge n. 270 del 20 maggio 1982.
Il succitato decreto afferma che sono tenuti ad effettuare il periodo di
formazione e di prova i seguenti soggetti:

i docenti che si trovano al primo anno di servizio con incarico a tempo


indeterminato, a qualunque titolo conferito, e che aspirino alla
conferma nel ruolo;
i docenti per i quali sia stata richiesta la proroga del periodo di
formazione e prova o che non abbiano potuto completarlo negli anni
precedenti. In ogni caso la ripetizione del periodo comporta la
partecipazione alle connesse attività di formazione, che sono da
considerarsi parte integrante del servizio in anno di prova;
i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo.

Il periodo di formazione e di prova è finalizzato specificamente a verificare


la padronanza degli standard professionali da parte dei docenti neo-assunti
con riferimento ai seguenti criteri:

corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari,


didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei
saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento
previsti dagli ordinamenti vigenti;
corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali,
organizzative e gestionali;
osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e
inerenti alla funzione docente;
partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi
dalle stesse previsti.

Ai fini della personalizzazione delle attività di formazione, anche alla luce


delle prime attività didattiche svolte, il docente neo-assunto traccia un primo
bilancio di competenze, in forma di autovalutazione strutturata, con la
collaborazione del docente tutor. Il bilancio di competenze, predisposto entro
il secondo mese dalla presa di servizio, consente di compiere una analisi
critica delle competenze possedute, di delineare i punti da potenziare e di
elaborare un progetto di formazione in servizio coerente con la diagnosi
compiuta.
Il dirigente scolastico e il docente neo-assunto, sulla base del bilancio delle
competenze, sentito il docente tutor e tenuto conto dei bisogni della scuola,
stabiliscono, con un apposito patto per lo sviluppo professionale, gli
obiettivi di sviluppo delle competenze di natura culturale, disciplinare,
didattico-metodologica e relazionale. Al termine del periodo di formazione e
prova, il docente neo-assunto, con la supervisione del docente tutor, traccia
un nuovo bilancio di competenze per registrare i progressi di
professionalità , l’impatto delle azioni formative realizzate, gli sviluppi
ulteriori da ipotizzare.
Le attività formative previste per il periodo di prova sono organizzate in 4
fasi per una durata complessiva di 50 ore, come di seguito riportate, fermo
restando la partecipazione del docente alle attività formative previste dallâ
€™istituzione scolastica: incontri propedeutici e di restituzione finale;
laboratori formativi; “peer to peer†e osservazione in classe; formazione
online.
L’amministrazione scolastica territoriale organizza almeno un incontro
formativo propedeutico, con i docenti neo-assunti, a livello di ambito
territoriale, finalizzato a illustrare le modalità generali del percorso di
formazione generale, il profilo professionale atteso, le innovazioni in atto
nella scuola e un incontro conclusivo, finalizzato a compiere una valutazione
complessiva dell’azione formativa realizzata. Agli incontri plenari inziali
e conclusivi è dedicato un monte ore di norma non superiore a 6 ore
complessive.
Le attività di formazione per i docenti in periodo di prova sono progettate a
livello territoriale tenendo conto del bilancio di competenze sulla base della
conseguente rilevazione dei bisogni formativi. Le iniziative si caratterizzano
per l’adozione di metodologie laboratoriali (di scambio professionale,
ricerca-azione, rielaborazione e produzione di sequenze didattiche) e per i
contenuti strettamente attinenti all’insegnamento. Ogni docente neo-
assunto, in conseguenza del patto per lo sviluppo professionale, segue
obbligatoriamente laboratori formativi per complessive 12 ore di attività ,
con la possibilità di optare tra le diverse proposte formative offerte a livello
territoriale. Le attività laboratoriali si articolano, di norma, in 4 incontri in
presenza della durata di 3 ore. Queste possono essere in parte o del tutto
sostituite con esperienza di visiting da parte del docente neo-assunto, presso
istituzioni scolastiche contraddistinte da buone pratiche e metodologie
virtuose.
È prevista l’elaborazione di documentazione e attività di ricerca,
validata dal docente coordinatore del laboratorio. Tale documentazione è
inserita dal docente neo-assunto nel portfolio professionale. Ai fini della
strutturazione dei laboratori formativi sono state individuate le seguenti aree
trasversali:

nuove risorse digitali e loro impatto sulla didattica;


gestione della classe e problematiche relazionali;
valutazione didattica e valutazione di sistema (autovalutazione e
miglioramento);
bisogni educativi speciali; e. contrasto alla dispersione scolastica;
inclusione sociale e dinamiche interculturali;
orientamento e alternanza scuola-lavoro;
buone pratiche di didattiche disciplinari.

Per la conduzione dei laboratori formativi sono designati, prioritariamente,


formatori provenienti dal mondo della scuola e comunque con competenze di
tipo operativo e professionalizzante.
L’attività di osservazione in classe, svolta dal docente neo-assunto e dal
tutor, è finalizzata al miglioramento delle pratiche didattiche, alla riflessione
condivisa sugli aspetti salienti dell’azione di insegnamento. Lâ
€™osservazione è focalizzata sulle modalità di conduzione delle attivitÃ
e delle lezioni, sul sostegno alle motivazioni degli allievi, sulla costruzione di
climi positivi e motivanti, sulle modalità di verifica formativa degli
apprendimenti. Le sequenze di osservazione sono oggetto di progettazione
preventiva e di successivo confronto e rielaborazione con il docente tutor e
sono oggetto di specifica relazione del docente neo-assunto. Alle attività di
osservazione sono dedicate almeno 12 ore. In relazione al patto di sviluppo
professionale, possono essere programmati, a cura del dirigente scolastico,
ulteriori momenti di osservazione in classe con altri docenti.
La Direzione generale per il personale scolastico, avvalendosi della struttura
tecnica dell’INDIRE, coordina le attività per la realizzazione ed
aggiornamento della piattaforma digitale che supporta i docenti neoassunti
durante tutto il periodo di formazione. La piattaforma è predisposta allâ
€™inizio dell’anno scolastico. La formazione on-line del docente
neoassunto ha la durata complessiva di 20 ore, e consiste nello svolgimento
delle seguenti attività : analisi e riflessioni sul proprio percorso formativo;
elaborazione di un proprio portfolio professionale che documenta la
progettazione, realizzazione e valutazione delle attività didattiche;
compilazione di questionari per il monitoraggio delle diverse fasi del
percorso formativo; libera ricerca di materiali di studio, risorse didattiche, siti
dedicati, messi a disposizione durante il percorso formativo.
Nel corso del periodo di formazione il docente neo-assunto cura la
predisposizione di un proprio portfolio professionale, in formato digitale, che
dovrà contenere:

uno spazio per la descrizione del proprio curriculum professionale;


l’elaborazione di un bilancio di competenze, all’inizio del
percorso formativo;
la documentazione di fasi significative della progettazione didattica,
delle attività didattiche svolte, delle azioni di verifica intraprese;
la realizzazione di un bilancio conclusivo e la previsione di un piano di
sviluppo professionale.

Il portfolio professionale assume un preminente significato formativo per la


crescita professionale permanente di ogni insegnante.
Al termine dell’anno di formazione e prova, nel periodo intercorrente tra
il termine delle attività didattiche (compresi gli esami di qualifica e di Stato)
e la conclusione dell’anno scolastico, il Comitato è convocato dal
dirigente scolastico per procedere all’espressione del parere sul
superamento del periodo di formazione e di prova. Il docente sostiene innanzi
al Comitato un colloquio, che prende avvio dalla presentazione delle attivitÃ
di insegnamento e formazione e della relativa documentazione contenuta nel
portfolio professionale, consegnato preliminarmente al dirigente scolastico
che lo trasmette al Comitato almeno cinque giorni prima della data fissata per
il colloquio. L’assenza al colloquio, ove non motivata da impedimenti
inderogabili, non preclude l’espressione del parere. Il rinvio del colloquio
per impedimenti non derogabili è consentito una sola volta. All’esito del
colloquio, il Comitato si riunisce per l’espressione del parere. Il docente
tutor presenta le risultanze emergenti dall’istruttoria compiuta in merito
alle attività formative predisposte ed alle esperienze di insegnamento e
partecipazione alla vita della scuola del docente neo-assunto. Il dirigente
scolastico presenta una relazione per ogni docente comprensiva della
documentazione delle attività di formazione, delle forme di tutoring, e di
ogni altro elemento informativo o evidenza utile all’espressione del
parere. Il parere del Comitato è obbligatorio, ma non vincolante per il
dirigente scolastico, che può discostarsene con atto motivato.
Il dirigente scolastico procede alla valutazione del personale docente in
periodo di formazione e di prova sulla base dell’istruttoria compiuta e al
parere del comitato per la valutazione. La documentazione è parte
integrante del fascicolo personale del docente.
In caso di giudizio favorevole sul periodo di formazione e di prova, il
dirigente scolastico emette provvedimento motivato di conferma in ruolo per
il docente neo-assunto.
In caso di giudizio sfavorevole, il dirigente scolastico emette provvedimento
motivato di ripetizione del periodo di formazione e di prova. Il
provvedimento indicherà altresì gli elementi di criticità emersi ed
individuerà le forme di supporto formativo e di verifica del conseguimento
degli standard richiesti per la conferma in ruolo.
La ripetizione dell’anno di prova può essere motivata da due ragioni
principali:

le assenze, che non hanno permesso il raggiungimento dei 180 giorni di


servizio di cui almeno 120 per le attività didattiche, come previsto
dall’art. 1 c. 116 della L. 107/2015;
la necessità di acquisire nuovi elementi di valutazione, nel caso in cui
siano emerse criticità a livello delle competenze metodologico-
didattiche del docente o problematiche che concernono la
partecipazione alle attività degli organi collegiali e, in generale allâ
€™organizzazione della vita scolastica.

In tal caso, si può ritenere utile la ripetizione dell’anno di prova per


consentire al docente di fruire di ulteriore in tempo per rafforzare, sempre
sotto la guida del proprio tutor, le competenze che appaiono ancora non
sufficientemente consolidate. Nel corso di questo secondo anno di prova è
predisposta una verifica affidata a un dirigente tecnico, che può effettuare
una visita ispettiva, in modo da acquisire ulteriori elementi di valutazione
utili a stabilire l’idoneità del docente all’esercizio della professione.
L’anno di prova può essere ripetuto per una sola volta: se la ripetizione
non ha esito favorevole, il docente è dispensato dal servizio o restituito al
ruolo di provenienza.

319
Art. 22, c. 4, lett. c), punto c4) del CCNL 2016-2018 del 19 aprile 2018.
320
Come da art. 448 del D.Lgs. 297/1994.
321
Come da art. 501 del D.Lgs. 297/1994.
8.7 La valutazione della Dirigenza Scolastica
Il procedimento di valutazione dei dirigenti scolastici (con riferimento allâ
۪art. 1, c. 93 della L. 107/2015) ̬ finalizzato alla valorizzazione e al
miglioramento professionale dei dirigenti stessi nella prospettiva del
progressivo incremento della qualità del servizio scolastico ed è
disciplinato dalla Direttiva Ministeriale n. 36 del 18 agosto 2016.
Ai sensi dell’art. 10 della citata direttiva, la valutazione dei dirigenti
scolastici è effettuata sulla base del Piano regionale di valutazione, adottato
annualmente da parte del Direttore dell’USR, su proposta del
Coordinatore regionale del servizio ispettivo, che contiene:

gli eventuali obiettivi regionali definiti dal Direttore dell’USR con


riferimento al contesto territoriale;
la relazione sullo stato del sistema di valutazione a livello regionale e
di attuazione degli obiettivi previsti dal Piano precedente;
il numero e la composizione dei Nuclei di valutazione della dirigenza
scolastica.

Gli indicatori generali per la valutazione dei dirigenti scolastici sono definiti
dall’INVALSI. Il modello di valutazione della dirigenza scolastica presta
attenzione agli obiettivi di miglioramento della scuola individuati attraverso il
rapporto di autovalutazione e alle aree di miglioramento organizzativo e
gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili allâ
€™operato del dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della
sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall’articolo 25 del
Decreto Legislativo n. 165 del 30 marzo 200l e dal contratto collettivo
nazionale di lavoro dell’ area della dirigenza scolastica.
Un altro documento fondamentale nel processo di valutazione è il Portfolio
dei Dirigenti Scolastici: si tratta di uno strumento di orientamento, analisi e
riflessione sui compiti e sulle competenze richieste per l’esercizio della
specificità delle proprie funzioni, nonché uno strumento di supporto per
lo sviluppo professionale e per la raccolta di documenti significativi, con
particolare attenzione all’autovalutazione e alla valutazione. Il dirigente
scolastico può utilizzare questo strumento come parte integrante di un
processo di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni
scolastiche nelle aree direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini
della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale.
Per i dirigenti scolastici con incarichi presso l’Amministrazione centrale
e periferica del MIUR, altra amministrazione dello Stato, enti pubblici o
privati, con retribuzione a carico dell’Amministrazione scolastica, è
predisposta una versione specifica del Portfolio.
La Direttiva 36/2016, sulla valutazione dei dirigenti scolastici, prevede, allâ
€™art. 12, l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla
valutazione della dirigenza scolastica, che dura in carica tre anni, svolge i
seguenti compiti:

effettuare la ricognizione delle problematiche rilevabili in sede di


prima applicazione della Direttiva 36/2016;
effettuare il monitoraggio delle fasi, delle modalità e degli strumenti
di valutazione per un miglioramento complessivo del sistema;
effettuare l’analisi dei fattori di miglioramento del sistema nel suo
complesso;
verificare l’impatto del sistema di valutazione sul lavoro e sullo
sviluppo professionale dei dirigenti;
proporre iniziative di informazione e formazione dei dirigenti scolastici
e dei componenti dei Nuclei di valutazione;
presentare alla Direzione Generale per gli Ordinamenti scolastici e la
valutazione del sistema nazionale di istruzione e alla Direzione
Generale per il personale scolastico una sintetica illustrazione dello
stato di attuazione nazionale della Direttiva 36/2016 alla fine di ciascun
anno;
presentare una relazione finale al Ministro, alla fine dell’anno
conclusivo del primo triennio di applicazione.

La struttura del portfolio è la seguente:


Circa i Nuclei di valutazione, ciascuno di essi è composto da tre
componenti: un coordinatore e due altri membri. Il coordinatore del Nucleo
di Valutazione ha il compito di presiedere l’attività valutativa e va
individuato tra le seguenti figure in ordine di priorità : Dirigenti Tecnici
(anche dell’Amministrazione centrale che abbiano dato la loro
disponibilità ), Dirigenti Amministrativi, dirigenti tecnici o scolastici in
quiescenza (da non oltre tre anni), dirigenti scolastici utilizzati ai sensi della
Legge n. 448 del 23 dicembre 1998 nell’USR di appartenenza o presso lâ
€™Amministrazione centrale, Dirigenti Scolastici.
Capitolo 9
La regolamentazione della vita
scolastica
di Elisa Camera

Il rispetto delle regole nell’ambito scolastico è alla base di un corretto e


funzionale raggiungimento degli obiettivi da parte di tutti gli attori che
cooperano per la formazione delle giovani generazioni.

9.1 La responsabilità disciplinare del personale


scolastico
Il personale che lavora all’interno delle istituzioni scolastiche si configura
come pubblico dipendente. Si evince, quindi, che la responsabilitÃ
disciplinare è quella forma di responsabilità , aggiuntiva rispetto a quella
penale, civile, amministrativo-contabile e dirigenziale, in cui incorre il
lavoratore che non osserva obblighi contrattualmente assunti, fissati nella
contrattazione collettiva e recepiti nel contratto individuale, dalla legge o dal
codice di comportamento. Tale responsabilità comporta l’applicazione
da parte del datore di lavoro di sanzioni conservative (richiamo, multa,
sospensione dal servizio e dalla retribuzione) o espulsive (licenziamento con
o senza preavviso)322.
La responsabilità disciplinare discende direttamente dal contratto collettivo
nazionale di lavoro323, e si delinea quando il lavoratore non ottempera a uno o
più obblighi contrattuali.
Il procedimento disciplinare si configura, dunque, come una conseguenza che
scaturisce da inadempimenti contrattuali.
Il D.Lgs. n. 150/2009 è intervenuto in materia di sanzioni disciplinari e di
responsabilità dei dipendenti pubblici al fine di potenziare l’efficienza
degli uffici pubblici e contrastare i fenomeni di scarsa produttività .
Con il Decreto Legislativo 150 del 2009 l’attivazione dell’azione
disciplinare diventa obbligatoria, a differenza della discrezionalitÃ
dirigenziale insita nel Decreto Legislativo 165 del 2001, e risponde ai principi
costituzionali del buon andamento (art. 97 della C.).
La responsabilità disciplinare si inquadra, quindi, nell’ambito della
cosiddetta responsabilità contrattuale di cui all’art. 1218 del Codice
Civile, come ribadito anche dall’art. 2 comma 2 del D.Lgs.165/2001
quando dispone che i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti siano
disciplinati dai contratti collettivi e dagli artt. 2018-2134 del Codice Civile.
Questo comporta che, ai sensi dell’art. 2016 del Codice Civile, lâ
€™inosservanza degli obblighi di diligenza e di fedeltà del prestatore di
lavoro possono dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari che
devono essere irrogate nel rispetto dei limiti procedurali e sostanziali
individuati nelle fonti che disciplinano specificamente detta materia nellâ
€™ambito del pubblico impiego contrattualizzato.
La materia della responsabilità disciplinare e delle conseguenti ed eventuali
sanzioni disciplinari ha avuto una sua specificazione nelle modalità e nei
tempi prima con il Decreto Legislativo 150 del 2009 e successivamente con il
Decreto Legislativo 75/2017, i quali hanno apportato significative modifiche
agli articoli da 55 a 55-octies del Decreto Legislativo 165 del 2001, articoli
che definiscono i principi generali del procedimento disciplinare:
• le disposizioni contenute nei suddetti articoli costituiscono norme
imperative ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419, comma 2 del
Codice Civile;
• la violazione dolosa o colposa delle suddette disposizioni, a sua volta,
costituisce illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro
applicazione (dirigenti scolastici);
• la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è regolamentata
dalla disciplina pattizia, pur nella cornice delineata dal Testo Unico sul
pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001).
La contrattazione collettiva per i vari comparti prevede il richiamo ai doveri
generali del pubblico dipendente, il quale deve conformare la sua condotta al
dovere costituzionale di servire la Repubblica con impegno e responsabilità ,
rispettare i principi di buon andamento ed imparzialità dell’attivitÃ
amministrativa, nonché adeguare il proprio comportamento ai principi
riguardanti il rapporto di lavoro, contenuti nel codice di condotta generale.
Il Testo Unico sul pubblico impiego, all’art. 54, disciplina il codice di
comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di
assicurare:
• la qualità dei servizi;
• la prevenzione dei fenomeni di corruzione;
• il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà , imparzialità e
servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico.
Per il comparto Scuola, il MIUR ha adottato il “Codice di
comportamento†ai sensi dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001 e secondo le
Linee guida del D.P.R. n. 62/2013 dal quale si ricavano i principi che il
personale scolastico deve perseguire nell’esercizio della propria funzione.
Le violazioni, da parte dei lavoratori, degli obblighi previsti danno luogo,
secondo la gravità dell’infrazione, all’applicazione, previo
procedimento disciplinare, di diverse sanzioni:
Le fonti normative di riferimento per la responsabilità disciplinare dei
dipendenti pubblici sono le seguenti:
• D.Lgs. 297/1994 “Capo IV Disciplina Sez.1 Sanzioni disciplinariâ€;
• D.Lgs. 165/2001, art. 55-bis, come modificato e integrato dal D.Lgs.
75/2017;
• D.P.R. 62/2013 “Codice di comportamento dei dipendenti pubbliciâ€;
• CCNL comparto scuola del 29/11/2007 “Capo IX Norme disciplinariâ
€;
• CCNL 2016-2018 – Titolo III Art. 13 Codice disciplinare personale
ATA;
• CCNL 2016-2018 – Titolo III Art. 29 Responsabilità disciplinare per
il personale docente;
• Giurisprudenza Cassazione Lavoro e Giurisprudenza amministrativa;
• Legge 241/1990;
• D.P.R. sull’inidoneità psico-fisica n. 171 del 27/7/2011.

9.1.1 Il personale ATA


Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 2016-2018 del Comparto
Istruzione e Ricerca, al Titolo III “Responsabilità disciplinareâ€, allâ
€™art. 11 enuncia gli obblighi del personale ausiliario tecnico e
amministrativo delle istituzioni scolastiche ed educative, del personale degli
Enti ed Istituzioni di ricerca, delle Università , nonché del personale
amministrativo e tecnico dell’AFAM: “1. Il dipendente conforma la
sua condotta al dovere costituzionale di servire la Repubblica con impegno e
responsabilità e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialitÃ
dell’attività amministrativa, anteponendo il rispetto della legge e lâ
€™interesse pubblico agli interessi privati propri e altrui. Il dipendente
adegua altresì il proprio comportamento ai principi riguardanti il
rapporto di lavoro, contenuti nel codice di comportamento di cui all’art.
54 del D.Lgs. n. 165/2001 e nel codice di comportamento adottato da
ciascuna amministrazione.
2. Il dipendente si comporta in modo tale da favorire l’instaurazione di
rapporti di fiducia e collaborazione tra l’amministrazione e i cittadini.
3. In tale specifico contesto, tenuto conto dell’esigenza di garantire la
migliore qualità del servizio, il dipendente deve in particolare: a)
collaborare con diligenza, osservando le norme del contratto collettivo
nazionale, le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro
impartite dall’amministrazione anche in relazione alle norme vigenti in
materia di sicurezza e di ambiente di lavoro; b) rispettare il segreto dâ
€™ufficio nei casi e nei modi previsti dalle norme dell’ordinamento ai
sensi dell’art. 24 della legge n. 241/1990; c) non utilizzare a fini privati
le informazioni di cui disponga per ragioni d’ufficio; d) nei rapporti con
il cittadino, fornire tutte le informazioni cui lo stesso abbia titolo, nel rispetto
delle disposizioni in materia di trasparenza e di accesso all’attività 17
amministrativa previste dalla legge n. 241/1990, dai regolamenti attuativi
della stessa vigenti nell’amministrazione e dal D.Lgs. n. 33/2013 in
materia di accesso civico, nonché osservare le disposizioni della stessa
amministrazione in ordine al D.P.R. n. 445/2000 in tema di
autocertificazione; e) rispettare l’orario di lavoro e adempiere alle
formalità previste per la rilevazione delle presenze; non assentarsi dal luogo
di lavoro senza l’autorizzazione del dirigente o del responsabile; presso
le Istituzioni scolastiche ed educative, quest’ultimo si identifica con il
DSGA; f) durante l’orario di lavoro, mantenere nei rapporti
interpersonali e con gli utenti, condotta adeguata ai principi di correttezza
ed astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona; g) non
attendere ad occupazioni estranee al servizio e ad attività che ritardino il
recupero psico-fisico nel periodo di malattia od infortunio; h) eseguire le
disposizioni inerenti all’espletamento delle proprie funzioni o mansioni
che gli siano impartite dai superiori; se ritiene che l’ordine sia
palesemente illegittimo, il dipendente deve farne rimostranza a chi lo ha
impartito, dichiarandone le ragioni; se l’ordine è rinnovato per iscritto
ha il dovere di darvi esecuzione; il dipendente non deve, comunque, eseguire
l’ordine quando l’atto sia vietato dalla legge penale o costituisca
illecito amministrativo; i) vigilare sul corretto espletamento dell’attivitÃ
del personale sottordinato ove tale compito rientri nelle proprie
responsabilità ; j) avere cura dei locali, mobili, oggetti, macchinari, attrezzi,
strumenti ed automezzi a lui affidati; k) non valersi di quanto è di proprietÃ
dell’amministrazione per ragioni che non siano di servizio; l) non
chiedere né accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in
connessione con la prestazione lavorativa, salvo i casi di cui all’art. 4,
comma 2, del D.P.R. n. 62/2013; m) osservare scrupolosamente le
disposizioni che regolano l’accesso ai locali dell’amministrazione da
parte del personale e non introdurre, salvo che non siano debitamente
autorizzate, persone estranee all’ amministrazione stessa in locali non
aperti al pubblico; n) comunicare all’ amministrazione la propria
residenza e, ove non coincidente, la dimora temporanea, nonché ogni
successivo mutamento delle stesse; o) in caso di malattia, dare tempestivo
avviso all’ufficio di appartenenza, salvo comprovato impedimento; 18 p)
astenersi dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che
possano coinvolgere direttamente o indirettamente interessi finanziari o non
finanziari propri, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il
secondo grado; q) comunicare all’amministrazione la sussistenza di
provvedimenti di rinvio a giudizio in procedimenti penali.
4. Oltre agli obblighi indicati nel comma 3, il personale ATA delle istituzioni
scolastiche ed educative e quello amministrativo e tecnico dell’AFAM, è
tenuto a: a) cooperare al buon andamento dell’istituzione, osservando le
norme del presente contratto, le disposizioni per l’esecuzione e la
disciplina del lavoro impartite dall’amministrazione scolastica o
accademica, le norme in materia di sicurezza e di ambiente di lavoro; b)
favorire ogni forma di informazione e di collaborazione con le famiglie e con
gli allievi, le studentesse e gli studenti; c) durante l’orario di lavoro,
mantenere nei rapporti interpersonali e con gli utenti una condotta
uniformata non solo a principi generali di correttezza ma, altresì, allâ
€™esigenza di coerenza con le specifiche finalità educative dell’intera
comunità scolastica o accademica, astenendosi da comportamenti lesivi
della dignità degli altri dipendenti, degli utenti e degli allievi, delle
studentesse e degli studenti; d) mantenere una condotta coerente con le
finalità educative della comunità scolastica o accademica nei rapporti con
le famiglie e con gli studenti e con le studentesse anche nell’uso dei
canali sociali informatici; e) rispettare i doveri di vigilanza nei confronti
degli allievi, delle studentesse e degli studenti, ferme restando le disposizioni
impartite; f) nell’ambito dei compiti di vigilanza, assolvere ai doveri di
segnalazione, ove a conoscenza, di casi e situazioni di bullismo e
cyberbullismo; g) tenere i registri e le altre forme di documentazione previste
da specifiche disposizioni vigenti per ciascun profilo professionaleâ€.
La violazione delle disposizioni sopra citate comporta l’irrogazione delle
seguenti sanzioni disciplinari, in ordine crescente di gravità (art. 12 CCNL
Istruzione 2018):
a) rimprovero verbale;
b) rimprovero scritto (censura);
c) multa di importo variabile fino ad un massimo di quattro ore di
retribuzione;
d) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci
giorni;
e) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino
ad un massimo di sei mesi;
f) licenziamento con preavviso;
g) licenziamento senza preavviso.
Nel caso di alcune sanzioni, come previsto dall’art. 55-bis del D.Lgs.
165/2001, l’autorità disciplinare si identifica con l’ufficio per i
procedimenti disciplinari dell’USR:
a) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un
massimo di quindici giorni, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 7, del
D.Lgs. n. 165/2001;
b) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di
tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, ai sensi dell’art. 55-sexies,
comma 1;
c) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un
massimo di tre mesi, ai sensi dell’art. 55-sexies, comma 3, del D.Lgs. n.
165/2001.
L’irrogazione della sanzione deve risultare nel fascicolo personale. Non
si può tener conto, ad alcun effetto, delle sanzioni disciplinari decorsi due
anni dalla loro irrogazione324.
Nel rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in
relazione alla gravità della mancanza, il tipo e l’entità di ciascuna delle
sanzioni sono determinati in relazione ai seguenti criteri generali:

intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o


imperizia

dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento;

rilevanza degli obblighi violati;


responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal
dipendente;
grado di danno o di pericolo causato all’amministrazione, agli
utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi;
sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare
riguardo al comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari
nell’ambito del biennio previsto dalla legge, al comportamento
verso gli utenti;
concorso nella violazione di più lavoratori in accordo tra di loro;
nel caso di personale delle istituzioni scolastiche educative ed AFAM,
coinvolgimento di minori, qualora affidati alla vigilanza del
dipendente.

Al dipendente responsabile di più mancanze compiute con unica azione od


omissione o con più azioni od omissioni tra loro collegate ed accertate con
un unico procedimento, è applicabile la sanzione prevista per la mancanza
più grave se le suddette infrazioni sono punite con sanzioni di diversa
gravità .
La sanzione disciplinare dal minimo del rimprovero verbale o scritto al
massimo
della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione si applica per:

inosservanza delle disposizioni di servizio o delle deliberazioni degli


organi collegiali, anche in tema di assenze per malattia, nonché dellâ
€™orario di lavoro, ove non ricorrano le fattispecie considerate nellâ
€™art. 55-quater, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001;
condotta non conforme a principi di correttezza verso superiori o altri
dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi;
per il personale ATA delle istituzioni scolastiche educative e per quello
amministrativo e tecnico dell’AFAM, condotte negligenti e non
conformi alle responsabilità , ai doveri e alla correttezza inerenti alla
funzione;
negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati, nella cura dei
locali e dei beni mobili o degli strumenti a lui affidati o sui quali, in
relazione alle sue responsabilità , debba espletare attività di custodia
o vigilanza;
inosservanza degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni e
di sicurezza sul lavoro ove non ne sia derivato danno o pregiudizio al
servizio o agli interessi dell’amministrazione o di terzi;
rifiuto di assoggettarsi a visite personali disposte a tutela del
patrimonio dell’amministrazione, nel rispetto di quanto previsto
dall’ art. 6 della legge. n. 300/1970;
insufficiente rendimento nell’assolvimento dei compiti assegnati,
ove non ricorrano le fattispecie considerate nell’art. 55-quater del
D.Lgs. n. 165/2001;
violazione dell’obbligo previsto dall’art. 55-novies, del D.Lgs.
n. 165/2001;
violazione di doveri ed obblighi di comportamento non ricompresi
specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio
ovvero danno o pericolo all’amministrazione, agli utenti o ai terzi.

L’importo delle ritenute per multa sarà introitato dal bilancio dellâ
€™amministrazione e destinato ad attività sociali a favore dei dipendenti.
La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione fino a un massimo di 10 giorni si applica, graduando lâ
€™entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:

recidiva nelle mancanze previste al comma 3;


particolare gravità delle mancanze previste al comma 3;
ove non ricorra la fattispecie prevista dall’articolo 55-quater,
comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 165/2001, assenza ingiustificata dal
servizio o arbitrario abbandono dello stesso; in tali ipotesi, l’entitÃ
della sanzione è determinata in relazione alla durata dell’assenza
o dell’abbandono del servizio, al disservizio determinatosi, alla
gravità della violazione dei doveri del dipendente, agli eventuali danni
causati all’amministrazione, agli utenti o ai terzi;
ingiustificato mancato trasferimento sin dal primo giorno, da parte del
personale ATA delle istituzioni scolastiche ed educative e del
personale tecnico e amministrativo dell’AFAM, con esclusione dei
supplenti brevi cui si applica la specifica disciplina regolamentare,
nella sede assegnata a seguito dell’espletamento di una procedura
di mobilità territoriale o professionale;
svolgimento di attività che, durante lo stato di malattia o di infortunio,
ritardino il recupero psico-fisico;
manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’amministrazione, salvo
che siano espressione della libertà di pensiero, ai sensi dell’art. 1
della legge n. 300/1970;
ove non sussista la gravità e la reiterazione delle fattispecie
considerate nell’art. 55-quater, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n.
165/2001, atti o comportamenti aggressivi, ostili e denigratori che
assumano forme di violenza morale nei confronti di un altro
dipendente, comportamenti minacciosi, ingiuriosi, calunniosi o
diffamatori nei confronti di altri dipendenti o degli utenti o di terzi;
violazione degli obblighi di vigilanza da parte del personale delle
istituzioni scolastiche educative e dell’AFAM nei confronti degli
allievi e degli studenti allo stesso affidati;
violazione del segreto di ufficio inerente ad atti o attività non soggetti
a pubblicità ;
violazione di doveri ed obblighi di comportamento non ricompresi
specificatamente nelle lettere precedenti da cui sia, comunque, derivato
grave danno all’amministrazione, agli utenti o a terzi.

La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un


massimo
di quindici giorni si applica nel caso previsto dall’art. 55-bis, comma 7,
del D.Lgs. n. 165 del 2001.
La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un
massimo
di tre mesi si applica nei casi previsti dall’art. 55-sexies, comma 3, del
D.Lgs. n. 165/2001.
La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un
minimo di tre
giorni fino ad un massimo di tre mesi si applica nel caso previsto dallâ
€™art. 55-sexies, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi, si applica,
graduando l’entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma
1, per:

recidiva nel biennio delle mancanze previste nel comma 4;


occultamento, da parte del responsabile della custodia, del controllo o
della vigilanza, di fatti e circostanze relativi ad illecito uso,
manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza
dell’ente o ad esso affidati;
atti, comportamenti lesivi della dignità della persona o molestie a
carattere sessuale, anche ove non sussista la gravità e la reiterazione
oppure che non riguardino allievi e studenti;
alterchi con vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con gli utenti;
fino a due assenze ingiustificate dal servizio in continuità con le
giornate festive e di riposo settimanale;
ingiustificate assenze collettive nei periodi, individuati dallâ
€™amministrazione, in cui è necessario assicurare la continuitÃ
nell’erogazione di servizi all’utenza;
violazione degli obblighi di vigilanza nei confronti di allievi e studenti
minorenni determinata dall’assenza dal servizio o dallâ
€™arbitrario abbandono dello stesso;
per il personale ATA delle istituzioni scolastiche ed educative e del
personale tecnico e amministrativo dell’AFAM, compimento di atti
in violazione dei propri doveri che pregiudichino il regolare
funzionamento dell’istituzione e per concorso negli stessi atti.

Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato


motivo, la sanzione disciplinare del licenziamento si applica con preavviso o
senza preavviso.Si applica la sanzione disciplinare del licenziamento con
preavviso per:

le ipotesi considerate dall’art. 55-quater, comma 1, lett. b) c) e da


f) bis a f) quinquies del D.Lgs. n. 165/ 2001;
recidiva nelle violazioni indicate nei commi 5, 6, 7 e 8;
recidiva nel biennio di atti, anche nei riguardi di persona diversa,
comportamenti o molestie a carattere sessuale oppure quando lâ
€™atto, il comportamento o la molestia rivestano carattere di
particolare gravità o anche quando sono compiuti nei confronti di
allievi, studenti e studentesse affidati alla vigilanza del personale delle
istituzioni scolastiche ed educative e dell’AFAM;
dichiarazioni false e mendaci, rese dal personale delle istituzioni
scolastiche, educative e AFAM, al fine di ottenere un vantaggio nellâ
€™ambito delle procedure di mobilità territoriale o professionale;
condanna passata in giudicato, per un delitto che, commesso fuori del
servizio e non attinente in via diretta al rapporto di lavoro, non ne
consenta la prosecuzione per la sua specifica gravità ;
violazione degli obblighi di comportamento di cui all’art 16,
comma 2, secondo e terzo periodo del D.P.R. n. 62/2013;
violazioni dei doveri e degli obblighi di comportamento non ricompresi
specificatamente nelle lettere precedenti di gravità tale, secondo i
criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione del
rapporto di lavoro;
mancata ripresa del servizio, salvo casi di comprovato impedimento,
dopo periodi di interruzione dell’attività previsti dalle disposizioni
legislative e contrattuali vigenti, alla conclusione del periodo di
sospensione o alla scadenza del termine fissato dallâ
€™amministrazione.

Si applica la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per:

le ipotesi considerate nell’art. 55-quater, comma 1, lett. a), d), e) ed


f) del D.Lgs. n. 165/2001;
commissione di gravi fatti illeciti di rilevanza penale, ivi compresi
quelli che possono dare luogo alla sospensione cautelare, secondo la
disciplina dell’art. 15, fatto salvo quanto previsto dall’art. 16;
condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o
fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di
lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per
la sua specifica gravità ;
commissione in genere (anche nei confronti di terzi) di fatti o atti
dolosi, che, pur non costituendo illeciti di rilevanza penale, sono di
gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del
rapporto di lavoro;
condanna, anche non passata in giudicato:
– per i delitti già indicati nell’art. 7, comma 1, e nell’art. 8, comma 1, lett. A del
D.Lgs. n. 235 del 2012;
– quando alla condanna consegua comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
– per i delitti previsti dall’art. 3, comma 1 della legge 27 marzo 2001 n. 97;
– per gravi delitti commessi in servizio;
– violazioni intenzionali degli obblighi, non ricomprese specificatamente nelle lettere
precedenti, anche nei confronti di terzi, di gravità tale, in relazione ai criteri di cui al
comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Le mancanze non espressamente previste nei commi precedenti sono


comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi
riferimento, quanto all’individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi
dei lavoratori di cui all’art. 11 e riferendosi, quanto al tipo e alla misura
delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti.
Come previsto dall’art. 93 del capo IX “Norme disciplinari†del
Contratto Collettivo di Lavoro Nazionale 2006-2009, l’Amministrazione,
salvo il caso del rimprovero verbale, non può adottare alcun provvedimento
disciplinare nei confronti del dipendente senza previa contestazione scritta
dell’addebito – da effettuarsi entro 20 giorni da quando il soggetto
competente per la contestazione è venuto a conoscenza del fatto – e senza
averlo sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore
oppure di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato.
Il dipendente al quale sono stati contestati i fatti è convocato con lettera per
la difesa non prima che siano trascorsi cinque giorni lavorativi dallâ
€™accadimento del fatto che vi ha dato causa. Trascorsi inutilmente 15
giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione è
applicata nei successivi 15 giorni. Al dipendente o, su espressa delega al suo
difensore, è consentito l’accesso a tutti gli atti istruttori riguardanti il
procedimento a suo carico. Il procedimento disciplinare deve concludersi
entro 120 giorni dalla data di contestazione di addebito. Qualora non sia stato
portato a termine entro tale data, il procedimento si estingue.
Il rimprovero verbale, il rimprovero scritto, la multa e la sospensione dal
lavoro e dalla retribuzione fino a un massimo di 10 giorni sono inflitti dal
dirigente scolastico. La sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un
periodo superiore a 10 giorni, il licenziamento con preavviso e il
licenziamento senza preavviso sono inflitti dal Direttore Generale Regionale.
Nel caso in cui la sanzione da comminare non sia di sua competenza, il
dirigente scolastico segnala entro 10 giorni all’ufficio competente i fatti
da contestare al dipendente per l’istruzione del procedimento, dandone
contestuale comunicazione all’interessato.
L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari sulla base degli
accertamenti effettuati e delle giustificazioni addotte dal dipendente, irroga la
sanzione applicabile. Quando il medesimo ufficio ritenga che non vi sia
luogo a procedere disciplinarmente dispone la chiusura del procedimento,
dandone comunicazione all’interessato.

9.1.2 Il personale docente


Il Testo unico della scuola D.Lgs. 297/1994, nella Parte III (Personale), al
Capo IV (Disciplina), e precisamente all’art. 492 (Sanzioni) come
modificato dal D.L. n. 361 del 28 agosto 1995 convertito con modificazioni
dalla Legge n. 437 del 27 ottobre 1995, prevede, per il personale docente e
direttivo, le seguenti sanzioni disciplinari:
la censura;
la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese;
la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un
mese a sei mesi;
la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo
di sei mesi e l’utilizzazione, trascorso il tempo di sospensione, per
lo svolgimento di compiti diversi da quelli inerenti alla funzione
docente o direttiva;
la destituzione.

Per il personale docente il primo grado di sanzione disciplinare è costituito


dall’avvertimento scritto, consistente nel richiamo all’osservanza
dei propri doveri.
La censura consiste in una dichiarazione di biasimo scritta e motivata, che
viene inflitta per mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla
funzione docente o i doveri di ufficio.
La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio consiste nel divieto
di esercitare la funzione docente o direttiva, con la perdita del trattamento
economico ordinario.
La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese
viene inflitta:

per atti non conformi alle responsabilità , ai doveri e alla correttezza


inerenti alla funzione o per gravi negligenze in servizio;
per violazione del segreto d’ufficio inerente ad atti o attività non
soggetti a pubblicità ;
per avere omesso di compiere gli atti dovuti in relazione ai doveri di
vigilanza.

La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese


a sei mesi è inflitta:

negli stessi casi previsti per la sospensione fino a un mese, qualora le


infrazioni abbiano carattere di particolare gravità ;
per uso dell’impiego ai fini di interesse personale;
per atti in violazione dei propri doveri che pregiudichino il regolare
funzionamento della scuola e per concorso negli stessi atti;
per abuso di autorità .

La sanzione della sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per


un periodo di sei mesi e l’utilizzazione, dopo che sia trascorso il tempo
di sospensione, nello svolgimento di compiti diversi da quelli inerenti alla
funzione docente o a quella direttiva connessa al rapporto educativo, è
inflitta per il compimento di uno o più atti di particolare gravità integranti
reati puniti con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni, per i
quali sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ovvero sentenza
di condanna nel giudizio di primo grado confermata in grado di appello, e in
ogni altro caso in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione
temporanea dai pubblici uffici o della sospensione dall’esercizio della
potestà dei genitori. In ogni caso, gli atti per i quali è inflitta la sanzione
devono essere non conformi ai doveri specifici inerenti alla funzione e
denotare l’incompatibilità del soggetto a svolgere i compiti del proprio
ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo.
La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio comporta il ritardo
di un anno nell’attribuzione dell’aumento periodico dello stipendio.
Nel caso in cui non sia superiore a tre mesi, comporta il ritardo di due anni
nell’aumento periodico dello stipendio; tale ritardo è elevato a tre anni
se la sospensione è superiore a tre mesi.
Per un biennio dalla data in cui è irrogata la sospensione da uno a tre mesi o
per un triennio, se la sospensione è superiore a tre mesi, il personale
direttivo e docente non può ottenere il passaggio anticipato a classi superiori
di stipendio; non può altresì partecipare a concorsi per l’accesso a
carriera superiore, ai quali va ammesso con riserva se è pendente ricorso
avverso il provvedimento che ha inflitto la sanzione. Il tempo di sospensione
dall’insegnamento o dall’ufficio è detratto dal computo dellâ
€™anzianità di carriera. Il servizio prestato nell’anno non viene valutato
ai fini della progressione economica e dell’anzianità richiesta per lâ
€™ammissione ai concorsi direttivo e ispettivo nei confronti del personale
che abbia riportato in quell’anno una sanzione disciplinare superiore alla
censura, salvo i maggiori effetti della sanzione irrogata.
La destituzione, che consiste nella cessazione dal rapporto d’impiego, è
inflitta:

per atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione;
per attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, alla
pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie;
per illecito uso o distrazione dei beni della scuola o di somme
amministrate o tenute in deposito, o per concorso negli stessi fatti o per
tolleranza di tali atti commessi da altri operatori della medesima scuola
o ufficio, sui quali, in relazione alla funzione, si abbiano compiti di
vigilanza;
per gravi atti di inottemperanza a disposizioni legittime commessi
pubblicamente nell’esercizio delle funzioni, o per concorso negli
stessi;
per richieste o accettazione di compensi o benefici in relazione ad
affari trattati per ragioni di servizio;
per gravi abusi di autorità .

La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio e la destituzione


sono irrogate:

dall’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD);


dal dirigente dell’Ambito Territoriale, se trattasi di personale
appartenente ai ruoli provinciali;
dal competente direttore generale o capo del servizio centrale se si
tratta di personale appartenente ai ruoli nazionali;
in ogni caso il Ministro della pubblica istruzione.

La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio e la destituzione


sono irrogate dall’Ufficio Procedimenti Disciplinari.
In caso di recidiva in una infrazione disciplinare della stessa specie di quella
per cui sia stata inflitta la sanzione dell’avvertimento o della censura, va
inflitta rispettivamente la sanzione immediatamente più grave di quella
prevista per l’infrazione commessa. In caso di recidiva in una infrazione
della stessa specie di quella per la quale sia state inflitte le altre sanzioni, va
inflitta, rispettivamente, la sanzione prevista per la infrazione commessa nella
misura massima; nel caso in cui tale misura massima sia stata già irrogata, la
sanzione prevista per l’infrazione commessa può essere aumentata sino
a un terzo.
Nel periodo di sospensione dall’ufficio è concesso un assegno
alimentare in misura pari alla metà dello stipendio, oltre agli assegni per
carichi di famiglia. La concessione dell’assegno alimentare va disposta
dalla stessa autorità competente ad infliggere la sanzione.
Trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui è stata inflitta la sanzione
disciplinare, il dipendente che, a giudizio del comitato per la valutazione del
servizio, abbia mantenuto condotta meritevole, può chiedere che siano resi
nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva. Il termine è
fissato in cinque anni per il personale che ha riportato la sanzione della
sospensione di sei mesi.
L’art. 508 del D.Lgs. 297/1994 riporta i casi di condizioni di
incompatibilità che possono verificarsi rispetto al ruolo docente:

al personale docente non è consentito impartire lezioni private ad


alunni del proprio istituto. Se questi assume lezioni private, è tenuto
ad informare il dirigente scolastico, al quale deve altresì comunicare
il nome degli alunni e la loro provenienza. In caso di particolari
circostanze, il dirigente ha la facoltà di vietare l’assunzione di
lezioni private o interdirne la continuazione, sentito il consiglio di
circolo o di istituto.

Nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto
lezioni private; sono considerati pertanto nulli gli scrutini o le prove di esame
svoltisi in contravvenzione a tale divieto.
Al personale ispettivo e direttivo è fatto divieto di impartire lezioni private.
L’ufficio di docente, di dirigente scolastico, di ispettore tecnico non è
cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico. L’assunzione del
nuovo impiego comporta infatti la cessazione di diritto dall’impiego
precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza eventualmente
spettante ai sensi delle disposizioni in vigore.
Il personale di cui sopra, inoltre, non può esercitare attività commerciale,
industriale e professionale, né può assumere o mantenere impieghi alle
dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro,
tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è
riservata allo Stato e sia intervenuta l’autorizzazione del Ministero della
pubblica istruzione. Questo divieto non si applica nei casi si societÃ
cooperative.
Il personale che contravvenga a questi divieti viene diffidato dal dirigente
scolastico a cessare dalla situazione di incompatibilità . L’ottemperanza
alla diffida non preclude l’azione disciplinare. Decorsi quindici giorni
dalla diffida senza che l’incompatibilità sia cessata, viene disposta la
decadenza.
Al personale docente è consentito, previa autorizzazione del dirigente
scolastico, l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio
all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano
compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio.
Per quanto riguarda il ruolo dei docenti, inoltre, l’art. 29 del contratto
collettivo nazionale 2016-2018 introduce due nuove ipotesi di
licenziamento con preavviso nelle seguenti ipotesi:

atti, comportamenti o molestie a carattere sessuale, riguardanti


studentesse o studenti affidati alla vigilanza del personale, anche ove
non sussista la gravità o la reiterazione, dei comportamenti;
dichiarazioni false e mendaci, che abbiano l’effetto di far
conseguire un vantaggio nelle procedure di mobilità territoriale o
professionale;

Lo stesso articolo chiede inoltre di prevedere una specifica sanzione nel caso
di condotte e comportamenti non coerenti, anche nell’uso dei canali
sociali informatici, con le finalità della comunità educante, nei rapporti con
gli studenti e le studentesse.

9.1.3 Il procedimento disciplinare


L’art. 13 del D.Lgs. 75/2017 ha in parte riformato il procedimento
disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici, andando a modificare lâ
€™art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001.
Per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni
superiori al rimprovero verbale, il dirigente scolastico segnala
immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all’ufficio competente
per i procedimenti disciplinari (UPD) dell’Ufficio Scolastico Regionale i
fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. Il
dirigente scolastico, in seguito – oppure l’Ufficio competente per i
procedimenti disciplinari, per infrazioni che prevedono la sanzione della
sospensione dal servizio, con immediatezza e comunque non oltre trenta
giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal
momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di
rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e
convoca l’interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per lâ
€™audizione in contraddittorio a sua difesa. Il dipendente può farsi assistere
da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione
sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In caso di grave ed oggettivo
impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il
dipendente può richiedere che l’audizione a sua difesa sia differita, per
una sola volta, con proroga del temine per la conclusione del procedimento in
misura corrispondente. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori
del procedimento.
L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il
procedimento con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione
entro centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito. Gli atti di avvio
e conclusione del procedimento disciplinare, nonché l’eventuale
provvedimento di sospensione cautelare del dipendente, sono comunicati
dall’ufficio competente di ogni amministrazione, per via telematica, allâ
€™Ispettorato per la funzione pubblica, entro venti giorni dalla loro
adozione. Al fine di tutelare la riservatezza del dipendente, il nominativo
dello stesso è sostituito da un codice identificativo e la comunicazione di
contestazione dell’addebito al dipendente, nell’ambito del
procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata,
nel caso in cui il dipendente disponga di idonea casella di posta, altrimenti
essa è consegnata a mano. In alternativa all’uso della posta elettronica
certificata o della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite
raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Per le comunicazioni successive
alla contestazione dell’addebito, è consentita la comunicazione tra lâ
€™amministrazione ed i propri dipendenti tramite posta elettronica o altri
strumenti informatici di comunicazione, oppure al numero di fax o altro
indirizzo di posta elettronica, previamente comunicati al dipendente o dal suo
procuratore.
In caso di trasferimento del dipendente in pendenza di procedimento
disciplinare, l’ufficio per i procedimenti disciplinari che abbia in carico
gli atti provvede alla loro tempestiva trasmissione al competente ufficio
disciplinare dell’amministrazione presso cui il dipendente è trasferito.
In tali casi il procedimento disciplinare è interrotto e dalla data di ricezione
degli atti da parte dell’ufficio disciplinare dell’amministrazione
presso cui il dipendente è trasferito decorrono nuovi termini per la
contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento. Nel
caso in cui l’amministrazione di provenienza venga a conoscenza dellâ
€™illecito disciplinare successivamente al trasferimento del dipendente, la
stessa Amministrazione provvede a segnalare immediatamente e comunque
entro venti giorni i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare all’ufficio per i
procedimenti disciplinari dell’amministrazione presso cui il dipendente
è stato trasferito e dalla data di ricezione della predetta segnalazione
decorrono i termini per la contestazione dell’addebito e per la
conclusione del procedimento. Gli esiti del procedimento disciplinare
vengono in ogni caso comunicati anche all’amministrazione di
provenienza del dipendente.
La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare
salvo che per l’infrazione commessa sia prevista la sanzione del
licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal
servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli
effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di
lavoro.
La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare,
fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia
imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né lâ
€™invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti
irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le
modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della
natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque
compatibili con il principio di tempestività . Sono da considerarsi perentori il
termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione
del procedimento. Gli artt. 492 e 494 del D.Lgs. 297/1994 e l’art. 69 del
D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 prevedono che per il personale docente,
educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni
scolastiche ed educative statali, il procedimento disciplinare per le infrazioni
per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal
servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni è di competenza
del responsabile della struttura in possesso di qualifica dirigenziale e si
svolge secondo le disposizioni del presente articolo. Quando il responsabile
della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni
punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il
procedimento disciplinare si svolge dinanzi all’ufficio competente per i
procedimenti disciplinari.
La Circolare Ministeriale n. 88 del 8 novembre 2010, che fornisce indicazioni
per l’applicazione al personale della scuola delle norme introdotte dal
D.Lgs. 150/2009, prevede quanto segue: “Con riferimento alla
sospensione dall’insegnamento fino a un massimo di dieci giorni, la
valutazione circa l’entità della sanzione da applicare in rapporto alla
gravità dell’infrazione commessa deve essere compiuta dal dirigente
scolastico ex ante. Qualora vi sia incertezza circa l’inquadramento della
fattispecie concreta come comportamento sanzionabile con la predetta
tipologia di sospensione, gli atti devono essere trasmessi all’ufficio per i
procedimenti disciplinari nei tempi e con le modalità illustrati nel punto 2
del presente paragrafoâ€.
La circolare, dunque, affida al dirigente la valutazione della sanzione da
applicare in base alla gravità dell’infrazione.
Sulla questione della possibilità di comminare la sospensione dal servizio
con la privazione della retribuzione da parte del dirigente scolastico, negli
anni si è verificato un acceso dibattito: soprattutto le organizzazioni
sindacali hanno messo in luce la presunta illegittimità della norma, poiché
il dirigente scolastico è il soggetto che avvia il procedimento disciplinare,
ma, in questo caso, svolgerebbe contemporaneamente le funzioni di
istruttore, accusatore e giudice. La sua posizione di terzietà sarebbe quindi
alquanto dubbia.
Attraverso l’ordinanza n. 28111 del 31 ottobre 2019, la Corte di
Cassazione si è pronunciata in merito al potere di sospendere i docenti da
parte dei dirigenti scolastici. La sentenza ha chiarito che il potere di
sospensione dei docenti spetta unicamente all’Ufficio per i Procedimenti
Disciplinari (U.P.D.) dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Nel caso di commissione in servizio di gravi fatti illeciti, commessi in
servizio, di rilevanza penale l’amministrazione inizia il procedimento
disciplinare ed inoltra la denuncia penale. Il procedimento disciplinare rimane
tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. Analoga sospensione è
disposta anche nel caso in cui l’obbligo della denuncia penale emerga nel
corso del procedimento disciplinare già avviato. Al di fuori dei casi previsti
nel comma precedente, quando l’amministrazione venga a conoscenza
dell’esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente per i
medesimi fatti oggetto di procedimento disciplinare, questo è sospeso fino
alla sentenza definitiva. Il procedimento disciplinare sospeso ai sensi del
presente articolo è riattivato entro 180 giorni da quando lâ
€™amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva e si conclude
entro 120 giorni dalla sua riattivazione.
Il dipendente licenziato e successivamente assolto a seguito di revisione del
processo, ha diritto, dalla data della sentenza di assoluzione, alla
riammissione in servizio nella medesima sede o in altra su sua richiesta,
anche in soprannumero, nella medesima qualifica e con decorrenza dellâ
€™anzianità posseduta all’atto del licenziamento.

322
Cfr. V. Tenore.
323
Si caratterizza, a questo proposito, come responsabilità contrattuale come
da art. 1218 del Codice Civile: “Il debitore che non esegue esattamente la
prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che lâ
€™inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabileâ€.
324
Fatto salvo quanto previsto dall’art. 101, comma 8, ultimo capoverso,
della Sezione Afam del CCNL 2016-2018.

9.2 Gli alunni


Le fonti che disciplinano il comportamento degli alunni sono le seguenti:

Decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 24 giugno 1998


(aggiornato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 21
novembre 2007), “Statuto delle studentesse e degli studentiâ€;
Legge n. 71 del 29 maggio 2017, “Disposizioni a tutela dei minori
per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismoâ€;
Legge n. 92 del 20 agosto 2019, “Introduzione dellâ
€™insegnamento scolastico della Educazione Civicaâ€.

L’art. 7 (“Scuola e famigliaâ€) di quest’ultima Legge, in


particolare, prevede la necessità di rafforzare la collaborazione tra scuola e
famiglia, anche integrando il patto educativo di corresponsabilità , introdotto
dall’articolo 5-bis del D.P.R. 249/1998, estendendolo alla scuola
primaria.
Il patto educativo di corresponsabilità assume la forma di un contratto
sottoscritto da genitori e da alunni al momento dell’iscrizione per definire
i diritti e i doveri reciproci che queste due parti e la scuola si impegnano a
rispettare per conseguire un obiettivo comune: il successo formativo nel
percorso scolastico degli alunni. Il patto presuppone una sostanziale paritÃ
fra le tre parti, che assumono impegni vicendevoli: la scuola si impegna a
garantire la qualità dell’offerta formativa, a relazionarsi con gli alunni e
le famiglie in maniera trasparente e corretta, a dare comunicazione e
informazione dell’organizzazione scolastica e didattica e dei fatti salienti
del percorso formativo degli alunni. La famiglia si impegna a mantenere un
atteggiamento di rispetto e di collaborazione nei confronti della scuola e del
suo personale, a far rispettare agli alunni il Regolamento di Istituto e di
disciplina, garantendo puntualità e frequenza, supportare gli alunni nella
cura personale e del materiale. Gli alunni si impegnano a rispettare il
personale scolastico e i compagni, seguendo la regolamentazione della
scuola, rispettando gli orari e la disciplina, curando il materiale didattico e
applicandosi allo studio.
Il tema della disciplina a scuola è strettamente legato a quello dellâ
€™autonomia. Il D.P.R. 275/1999 fa, infatti, riferimento a “interventi di
educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona
umana325â€. In un tale contesto, il regolamento di disciplina fino ad allora in
vigore e istituito dal Regio Decreto n. 653 del 4 maggio 1925 risultava del
tutto inadeguato e anacronistico326: venne allora emanato lo “Statuto delle
studentesse e degli studenti della scuola secondaria†con il D.P.R.
249/1998 e ispirato alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre
1989, recepita dall’Italia con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991. Esso
contiene l’enunciazione dei diritti e dei doveri degli studenti nella scuola
dell’autonomia. In generale, lo Statuto propende per valutazioni e per
sanzioni327 non punitive ma costruttive, secondo la convinzione che la scuola
è contesto educativo e non sanzionatorio, evitando di divenire ancor più
discriminatoria nei confronti di soggetti, come la maggior parte degli alunni
che solitamente commettono infrazioni, provenienti da contesti problematici.
Con il D.P.R. 235/2007 lo Statuto delle studentesse e degli studenti è stato
modificato e sono state reintrodotte sanzioni, già abrogate dallo stesso,
come la sospensione per un periodo superiore a quindici giorni o lâ
€™esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame
conclusivo del corso di studi. Le sanzioni sopra menzionate rientrano tra le
competenze del Consiglio di Istituto.
La separazione fra la valutazione del comportamento e quella didattica
introdotta dal D.P.R. 249/1998 viene superata dal Decreto Legge n. 137 del 1
settembre 2008 poi convertito dalla Legge n. 169 del 30 ottobre 2008. Per la
scuola secondaria esso prevedeva, in caso di voto di comportamento inferiore
a sei decimi, la non ammissione alla classe successiva e all’esame di fine
ciclo. Con il Decreto Legislativo n. 62 del 13 aprile 2017 si stabilisce che la
valutazione del comportamento, per la scuola secondaria di I grado, è
espresso attraverso un giudizio sintetico riportato nel documento di
valutazione. Ne consegue, dunque, che le disposizioni della precedente legge
hanno valore soltanto per la scuola secondaria di II grado.

9.2.1 Il Regolamento di Istituto


Il Regolamento di Istituto è stato introdotto dal Decreto del Presidente della
Repubblica n. 416 del 31 maggio 1974, ripreso poi dal D.Lgs. 297/1994 allâ
€™art. 10. Tra le prerogative del Consiglio di Istituto, infatti, vi è lâ
€™adozione del Regolamento. I punti essenziali di quest’ultimo devono
delineare l’organizzazione interna dell’Istituto, con particolare
riferimento alle modalità di vigilanza sugli alunni. Viste le gravi
responsabilità in capo al personale della scuola in materia di vigilanza,
queste dovranno essere dettagliate in riferimento alle caratteristiche e agli
spazi dell’edificio, nonché sulla base dell’utilizzo di questi ultimi
ai fini della didattica. Una sezione del Regolamento dovrà riguardare le
modalità di fruizione di spazi come palestre e biblioteche e attrezzature di
vario tipo.
Altre parti del Regolamento dovranno contenere informazioni che riguardano
i seguenti aspetti:

organizzazione dell’ampliamento dell’offerta formativa, come


visite e viaggi di istruzione;
criteri per la formazione delle classi, l’assegnazione dei docenti;
formulazione dell’orario delle lezioni;
il calendario scolastico;
regolamento degli organi collegiali;
modalità di accesso agli atti;
controllo delle autocertificazioni;
regolamentazione delle iniziative assistenziali (prestito, comodato dâ
€™uso, borse di studio).

Una sezione degna di nota del Regolamento di Istituto è, senza dubbio, il
Regolamento di disciplina. Sulla base delle sanzioni sopra citate e valide tuttâ
€™oggi, tale Regolamento dovrà contenere, non solo per la scuola
secondaria, ma anche per la scuola primaria, un esauriente punto di
riferimento per docenti, famiglie e alunni in ambito disciplinare e
sanzionatorio.
In particolare, nel rispetto di ciò che è previsto dalle fonti normative, ogni
istituto potrà prevedere sanzioni specifiche per infrazioni o comportamenti
scorretti ordinati secondo un principio di gradualità .

9.2.2 Il cyberbullismo
Nell’epoca della rivoluzione digitale e tecnologica, caratterizzata da un
susseguirsi repentino di cambiamenti, si fanno strada atteggiamenti e
comportamenti non consoni a un uso consapevole e corretto dei dispositivi
elettronici nonché lesivi della dignità personale delle vittime.
Per questo motivo sono state emanate, nell’aprile 2015, le “Linee di
orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al
cyberbullismoâ€, dove emerge il ruolo chiave della scuola, in collaborazione
con le famiglie, per prevenire e monitorare ogni forma di violenza e di
prevaricazione connessa a questi fenomeni negativi.
Ha fatto seguito alle Linee di orientamento la Legge n. 71 del 29 maggio
2017, “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto
del fenomeno del cyberbullismoâ€, che contiene, all’art. 1, una sua
definizione stringente: “[...] Per «cyberbullismo» si intende qualunque
forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione,
diffamazione, furto d’identità , alterazione, acquisizione illecita,
manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni,
realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line
aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il
cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un
gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la
loro messa in ridicoloâ€.
La Legge prevede che ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun
genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito
taluno degli atti sopra riportati, possa inoltrare al titolare del trattamento o al
gestore del sito internet o del social media un’istanza per lâ
€™oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del
minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali.
Il Ministero dell’Istruzione ha, inoltre, istituito un Tavolo tecnico, con il
compito di elaborare un piano di azione integrato per il contrasto e la
prevenzione del cyberbullismo, nonché di realizzare un sistema di raccolta
dati finalizzato al monitoraggio dell’evoluzione dei fenomeni,
avvalendosi anche della collaborazione della Polizia postale e delle
comunicazioni e di altre Forze di polizia.

9.2.3 La regolamentazione dell’uso dei dispositivi


elettronici
Anche la diffusione su larga scala dei dispositivi elettronici (in primis, i
telefoni cellulari o gli smartphone, ormai entrati nell’uso comune e
quotidiano) ha provocato il verificarsi di illeciti anche in ambito scolastico
che la normativa ha tentato di arginare e di contrastare.
Secondo la Direttiva Ministeriale n. 30 del 15 marzo 2007, l’uso del
cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di
distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave
mancanza di rispetto per il docente configurando, pertanto, un’infrazione
disciplinare sanzionabile attraverso provvedimenti orientati non solo a
prevenire e scoraggiare tali comportamenti ma anche, secondo una logica
educativa propria dell’istituzione scolastica, a stimolare nello studente la
consapevolezza del disvalore dei medesimi.
La successiva Direttiva Ministeriale n. 104 del 30 novembre 2007 pone lâ
€™attenzione sulla violazione della privacy conseguente l’uso improprio
dei dispositivi mobili in ambito scolastico: “Le immagini, i suoni e i
filmati acquisiti nelle comunità scolastiche mediante telefoni cellulari o altri
dispositivi elettronici e successivamente trasmessi tramite Mms o comunque
divulgati in altre forme, ivi compresa la pubblicazione su siti internet,
possono contenere informazioni di carattere personale relative ad uno o più
interessati identificati o identificabili e in particolare a persone fisiche. Ne
consegue che la raccolta, conservazione, utilizzazione e divulgazione a terzi
dei predetti dati configura, ai sensi della normativa vigente, un â
€œtrattamento†di dati personali. Tali dati, peraltro, possono anche
riguardare la sfera della salute, della vita sessuale o altre informazioni
sensibili per cui sono previste particolari garanzie a tutela degli interessatiâ
€.
In particolare, la direttiva rimanda all’art. 10 del Codice Civile, â
€œAbuso dell’immagine altruiâ€: “Qualora l’immagine di una
persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata
fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge
consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona
stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dellâ
€™interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo risarcimento dei
danniâ€.
Di conseguenza, il trattamento di dati personali di altre persone deve essere
sottoposto ai dettami del D.Lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, “Codice in
materia di protezione dei dati personaliâ€.
La Legge n. 107 del 13 luglio 2015 ha previsto, come da art. 1 c. 56 sgg., il
Piano Nazionale della Scuola Digitale (PNSD), un documento di indirizzo
adottato dal MIUR il 6 novembre 2015. Il PNSD prevede l’utilizzo per
fini didattici dei dispositivi elettronici a scuola durante le ore di lezione, se
opportunamente inquadrate nell’offerta formativa e regolamentate. In
particolare, l’Azione #6, riferita al BYOD (Bring your own device),
promuove lo sviluppo di pratiche che prevedano l’utilizzo di dispositivi
elettronici personali durante le attività didattiche.

9.2.4 Il procedimento disciplinare


Come si è detto, il procedimento disciplinare scaturisce e acquisisce valore
dall’approvazione e dall’adozione, da parte del Consiglio di Istituto,
del Regolamento di Istituto, che deve contenere una enunciazione delle
infrazioni, graduate a seconda della gravità , e le corrispondenti sanzioni, gli
organi competenti a irrogarle, le modalità del procedimento disciplinare, la
composizione e il funzionamento dell’organo interno di garanzia.
È essenziale l’accertamento della responsabilità , tramite la verifica
della presenza di elementi concreti che portino in quella direzione.
In particolare, come per i procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti
pubblici, è necessario avviare anche quello per gli studenti partendo da una
contestazione scritta, a cui segue l’audizione e l’eventuale
acquisizione di una memoria scritta dello studente responsabile, emanazione
della sanzione. Il Consiglio di Classe, durate il procedimento disciplinare,
deve operare al completo, compresa la componente dei genitori e degli
studenti nella scuola secondaria di II grado, eccetto il caso in cui lo studente
incolpato o un suo genitore faccia parte del consiglio.
Come si è detto, l’organo competente a erogare la sanzione della
sospensione fino a quindici giorni è il Consiglio di Classe, mentre per
sospensioni per un periodo superiore ai quindici giorni la competenza è del
Consiglio di Istituto.
La delibera dell’organo collegiale viene contenuta in un decreto emanato
dal dirigente scolastico, che può archiviare il procedimento disciplinare
oppure comminare la sanzione. Esso deve contenere l’esposizione dellâ
€™istruttoria, gli elementi analizzati, le motivazioni della delibera. È
necessario, inoltre, indicare i termini per l’impugnazione, da indirizzarsi
all’organo di garanzia interno. Il decreto è indirizzato all’interessato
o, se questi è minorenne, ai genitori.
Il ricorso può essere presentato, entro 15 giorni dalla notifica della sanzione,
per la scuola secondaria di I grado, dai genitori, per la scuola secondaria di II
grado, dagli studenti stessi all’organo interno di garanzia, attivato dal
Consiglio di Istituto. Esso è composto da un docente scelto dal Consiglio di
Istituto, nella scuola secondaria di I grado da due rappresentanti eletti dai
genitori, nella scuola secondaria di II grado da un rappresentante eletto dagli
studenti e uno eletto dai genitori, dal dirigente scolastico che lo presiede. Lâ
€™organo interno di garanzia delibera entro 10 giorni dal ricevimento del
ricorso.
È possibile presentare ricorso anche al Direttore Generale dell’Ufficio
Scolastico Regionale, che delibera in via definitiva, dopo che un organo
regionale di garanzia ha espresso il proprio parere vincolante. Tale ricorso
prende le mosse da denunce di violazioni dello Statuto delle studentesse e
degli studenti da parte dei Regolamenti di Istituto.

325
Art. 1.
326
Le sanzioni previste dal R.D. 653/1925 sono riportate dal D.Lgs.
297/1994, al Capo VI, “Disciplina degli alunniâ€, art. 328. Di esse
rimangono in vigore soltanto le seguenti:
> la sanzione disciplinare della sospensione fino a 15 giorni, che rientra nella competenza del
consiglio di classe;
> le sanzioni disciplinari che comportano la sospensione per un periodo superiore ai 15 giorni, che
rientrano nella competenza della giunta esecutiva del consiglio di istituto. Le deliberazioni sono
adottate su proposta del rispettivo consiglio di classe.
327
Prevedendo, tra l’altro, una netta separazione fra la valutazione del
comportamento e quella del profitto, che non influiscono l’una sullâ
€™altra.
Capitolo 10
La sicurezza a scuola
di Alessandro Signorino Gelo

10.1 Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81


In materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, la
principale norma di riferimento è il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.
81328, come modificato e integrato, in particolare dal Decreto Legislativo 3
agosto 2009, n. 106329, che, ad oggi, costituisce il Testo unico sulla salute e
sicurezza sul lavoro (da ora in avanti, T.U.).
Le disposizioni ivi contenute sono volte al riassetto e alla riforma delle norme
vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei
luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in
un unico testo normativo. Attesa la loro importanza e l’incidenza con cui
le stesse trovano applicazione nella gestione delle istituzioni scolastiche e in
generale in tutti i luoghi di lavoro, ci sembra opportuno sottolineare che al
testo oggi in vigore si è pervenuti a seguito di un iter elaborativo molto
complesso330.
Il T.U. non parla espressamente della Scuola; essa è evocata al Titolo I,
Capo I, Articolo 3 “Campo di applicazione331â€, di cui citiamo un estratto:
“Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei Vigili
del Fuoco […] delle università , degli istituti di istruzione universitaria,
delle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di
istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli uffici all’estero di
cui all’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio
1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del
presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive
particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiaritÃ
organizzative [...]â€332.
Il T.U., dunque, è un testo applicabile “a tutti i settori di attività , privati
e pubblici, e a tutte le tipologie di rischioâ€. A tal proposito, esso individua e
definisce un numero considerevole di soggetti che, a vario titolo, concorrono
alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

328
Emanato in attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.
123.
329
Il D.Lgs. 81/2008 è stato più volte oggetto di interventi modificativi, lâ
€™ultima ad opera del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in L. 17
dicembre 2021, n. 215.
330
Già nel 1994, infatti, l’emanazione del Decreto Legislativo 19
settembre 1994, n. 626, rubricato “Attuazione delle direttive 89/391/CEE,
89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE,
90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e
della salute dei lavoratori sul luogo di lavoroâ€, segnava una precisa
attenzione del legislatore a un settore strategico e complesso. Ma ancor prima
del D.Lgs. 626/1994 vi era stato un altro intervento normativo a tutela della
sicurezza dei lavoratori. Con la “Delega al Potere esecutivo ad emanare
norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene
del lavoroâ€, L. 12 febbraio 1955, n. 51, il Governo era autorizzato ad
emanare norme generali e speciali per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro e per l’igiene del lavoro, ovvero tutte le cautele atte a prevenire gli
infortuni e le malattie professionali, particolarmente per quanto riguardava le
condizioni di lavoro e l’uso di macchine. A seguito di tale delega furono
emanati: il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, “Norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoroâ€; il D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, “Norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni†e il D.P.R. 19
marzo 1956, n. 303, “Norme generali per l’igiene del lavoroâ€. Tali
decreti, che segnaliamo per completezza di informazione, furono abrogati
dall’art. 304 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, emanato in attuazione dellâ
€™articolo 1 della L. 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro, fatta eccezione per l’articolo 64 del
D.P.R. n. 303/1956. Ancora, il 29 settembre 1998 veniva emanato il Decreto
n. 382, “Regolamento recante norme per l’individuazione delle
particolari esigenze negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e
grado, ai fini delle norme contenute nel decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, e successive modifiche ed integrazioniâ€. Utile rilevare che
negli allegati del T.U. sono confluite alcune norme dell’abrogato Decreto
Legislativo 19 settembre 1994, n. 626.

10.2 Le definizioni nel Testo unico in materia di


salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
L’art. 2, c. 1, fa una elencazione delle figure di sistema e dei termini
utilizzati nel decreto legislativo ai fini e agli effetti delle disposizioni in esso
contenuti333:
a) «lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia
contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dellâ
€™organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza
retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari;
b) «datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il
lavoratore o, comunque, il soggetto che ha la responsabilità dellâ
€™organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i
poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni334, per datore
di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero
il funzionario non avente qualifica dirigenziale, individuato dall’organo
di vertice delle singole amministrazioni;
c) «azienda»: il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro
pubblico o privato;
d) «dirigente»: persona che attua le direttive del datore di lavoro
organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa;
e) «preposto»: persona che sovrintende alla attività lavorativa e
garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la
corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale
potere di iniziativa;
f) «responsabile del servizio di prevenzione e protezione»: persona in
possesso di capacità e requisiti professionali designata dal datore di
lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e
protezione dai rischi. Tali capacità e requisiti sono esposti nell’art. 32
del T.U. secondo cui, per lo svolgimento delle funzioni da parte dei
responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o
esterni, è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore
al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di
frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di
formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e
relativi alle attività lavorative; per lo svolgimento della funzione di
responsabile del servizio prevenzione e protezione, è inoltre necessario
possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a
specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei
rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, di
organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di
tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali;
g) «addetto al servizio di prevenzione e protezione»: persona in
possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo
32 suesposto, facente parte del servizio di prevenzione e protezione dai
rischi;
h) «medico competente»: medico in possesso di uno dei titoli e dei
requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora
con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato
dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri
compiti di cui al decreto 81/2008;
i) «rappresentante dei lavoratori per la sicurezza»: persona eletta o
designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della
salute e della sicurezza durante il lavoro;
l) «servizio di prevenzione e protezione dai rischi»: insieme delle
persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati allâ
€™attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i
lavoratori;
m) «sorveglianza sanitaria»: insieme degli atti medici, finalizzati alla
tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori;
[...]
q) «valutazione dei rischi»: valutazione globale e documentata di tutti i
rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dellâ
€™organizzazione in cui essi prestano la propria attività , finalizzata ad
individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad
elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel
tempo dei livelli di salute e sicurezza;
r) «pericolo»: proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore
avente il potenziale di causare danni;
s) «rischio»: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di
danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato
fattore o agente oppure alla loro combinazione. Secondo la norma UNI
11230 – Gestione del rischio, il danno può essere definito come
qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi dell’evento.

331
Art. 3, c. 2.
332
In corsivo, per tutto il capitolo, sono evidenziate le modifiche e le
integrazioni apportate dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106.
333
Si riportano in questo paragrafo solo le figure di sistema delle quali si
tratterà di seguito. Per una elencazione esaustiva si rimanda all’art. 2,
Titolo I, Capo I del T.U.
334
Articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

10.3 Lavoratore
In premessa occorre evidenziare che, per quanto attiene alla scuola, il
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Direzione regionale del lavoro
per la Lombardia) e la D.G. Sanità della Regione Lombardia, nel parere in
merito all’obbligo di visita medica per studenti interessati da percorsi
formativi in alternanza scuola-lavoro ed in tirocini formativi di
orientamento335, riportando una nota del Ministero del Lavoro336, chiarivano
in modo inequivoco che in nessun caso lo studente minorenne acquista la
qualifica giuridica di “lavoratore minore337â€: infatti, la legge338 considera
esclusivamente “i minori di diciotto anni, che hanno un contratto o un
rapporto di lavoro, anche speciale, disciplinato dalle norme vigenti,
contemplandosi quindi tutti i rapporti di lavoro, anche di natura autonoma,
inclusi quelli speciali tra cui l’apprendistato, i contratti di formazione e
lavoro, il lavoro a domicilio, ecc., ma non i rapporti didattici che
coinvolgono gli studenti quand’anche partecipanti a corsi formativi che
richiedono l’applicazione lavorativa presso imprese terze rispetto allâ
€™Istituto scolastico339â€. Nel caso in cui gli studenti partecipino ai corsi di
istruzione scolastica che prevedono un periodo lavorativo presso unâ
€™impresa “ospitanteâ€, sono equiparati ai lavoratori ai sensi e per gli
effetti di cui agli articoli 4 e 21 del D.Lgs. 626/1994. In ordine alla ricorrenza
degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 626/1994 si ritiene che la normativa attuale
di riferimento, il D.Lgs. n. 81/2008 (nella sua ultima versione con le
modifiche di cui al D.Lgs. n. 106/2009), nulla abbia innovato intervenendo a
regolare la materia della sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, l’art. 2
prescrive che, ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al decreto
medesimo, si debba intendere per lavoratore: â€persona che […] svolge unâ
€™attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore
di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione anche al solo fine di
apprendere un mestiere, un’arte o una professione, […] â€; ma anche â
€œ[...] il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di
orientamento340 […] †ed ancora “l’allievo degli istituti di istruzione
ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionali nei quali
si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici,
fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali
limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alle
strumentazioni o alle apparecchiature in questioneâ€.
Il parere citato prosegue, in ordine all’obbligo di sorveglianza sanitaria,
distinguendo due casi:

scuola in cui si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in


genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le
apparecchiature fornite di videoterminali (es. scuole per operatori
alimentari, alberghieri e della ristorazione; per le cure estetiche; edile e
del territorio; …): lo studente è equiparato ad un lavoratore sin dal
suo ingresso nella scuola;
scuola al cui interno si eroga unicamente didattica frontale ovvero in
cui non si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, etc.,
ma il cui percorso di studi preveda però un periodo di tirocinio dello
studente presso un’azienda (es. scuola per infermieri): lo studente
è equiparato a lavoratore unicamente nel momento in cui â
€œentra in aziendaâ€, vale a dire quando diventa beneficiario delle
iniziative di tirocinio formativo e di orientamento presso l’impresa
“ospitanteâ€.
Per completezza aggiungiamo che, nell’ambito delle istituzioni
scolastiche, a norma dell’art. 4 del T.U., ai fini della determinazione del
numero di lavoratori dal quale il decreto legislativo fa discendere particolari
obblighi non sono computati:

gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e i partecipanti ai


corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori,
attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi
comprese le attrezzature munite di videoterminali;
i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato341, in
sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla
conservazione del posto di lavoro;
i lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo accessorio;
i lavoratori utilizzati nei lavori socialmente utili.

Da una attenta disamina dell’art. 2 del T.U. si rileva che esiste un


lavoratore se esiste un datore di lavoro, pubblico o privato, nella cui
organizzazione il lavoratore svolge un’attività lavorativa, con o senza
retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Gli obblighi dei lavoratori sono normati dall’art. 20 del T.U. il cui
comma 1 sancisce che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria
salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro,
su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla
sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. La
violazione di tali disposizioni comporta le sanzioni previste dall’art. 59
del D.Lgs. 81/2008342.

335
Direzione regionale del Lavoro per la Lombardia – Regione Lombardia
D.G. Sanità - Prot. n. 87 DRL/D - Prot.n. H1.2010.0008366/San – del 2
marzo 2010.
336
Vedi: Ministero del Lavoro – Direzione Generale Affari Generali e
Risorse Umane – Div. VII - Coord. Isp. lavoro, su impulso della Direzione
Regionale del Lavoro della Lombardia, si è espressa con nota n. 1650 del
04/11/2002.
337
Ai sensi e per gli effetti di cui alla legge n. 977/1967 e succ. modifiche.
338
Legge n. 977/1967, così come modificata dai Decreti Legislativi n.
345/1999 e n. 262/2000.
339
Ne deriva, pertanto, che non debbano trovare applicazione le disposizioni
contenute nell’art. 8 della L. 977/1967, come modificata dal D.Lgs. n.
345/1999 e dal D.Lgs. n. 262/2000.
340
Di cui all’art. 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e di cui a
specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare
momenti di alternanza tra studio e lavoro.

10.4 Datore di lavoro. Suoi obblighi


Nell’istituto di sua titolarità il dirigente scolastico riveste la qualifica di
“datore di lavoro†ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 del D.M. 21
giugno 1996, n. 292343, e dell’art. 1 del Decreto 29 settembre 1998, n.
382344.
Nell’espletamento dei suoi compiti, il datore di lavoro può delegare
alcune delle sue funzioni, mentre altre sono di sua esclusiva pertinenza,
ovvero non delegabili.
La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente
esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza
richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e
controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo
svolgimento delle funzioni delegate;
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto345.
La delega, alla quale deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità , non
esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al
corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. Tale
obbligo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del
modello di verifica e controllo previsto dall’art. 30, comma 4, ovvero di
quel modello organizzativo che prevede un idoneo sistema di controllo sullâ
€™attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle
condizioni di idoneità delle misure adottate.
Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro
delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle
medesime condizioni fin qui espresse. La delega di funzioni non esclude lâ
€™obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto
espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la
delega non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.
Gli obblighi del datore di lavoro non delegabili sono elencati all’art.
17, ovvero:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del
documento previsto dall’articolo 28346, cosiddetto DVR.
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
dai rischi347, cosiddetto RSPP.
SANZIONI PER IL DATORE DI LAVORO (art. 55, D.Lgs. 81/2008)
VIOLAZIONI SANZIONI
Violazione dell’obbligo di valutazione ed Arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da
elaborazione del DVR (da parte del datore di lavoro) 3.071,27 a 7.862,44 euro.
VIOLAZIONI SANZIONI

Il datore di lavoro non provvede alla nomina del Arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai 3.071,27 a 7.862,44 euro.
rischi e violazione dell’obbligo di frequenza dei corsi
di formazione nel caso in cui il datore di lavoro intenda
svolgere direttamente i compiti propri del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi.

Violazione dell’obbligo di valutazione ed Arresto da quattro a otto mesi.


elaborazione del DVR (da parte del datore di lavoro)
nelle aziende di cui all’art. 31, c. 6, lettere a), b), c),
d), f) e g).
Violazione dell’obbligo di valutazione ed Arresto da quattro a otto mesi.
elaborazione del DVR (da parte del datore di lavoro)
nelle aziende in cui si svolgono attività che espongono i
lavoratori a rischi biologici del gruppo 3 e 4, da
atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attivitÃ
di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di
amianto.
Adozione, da parte del datore di lavoro, del DVR in Ammenda da 2.457,02 a 4.914,03 euro.
assenza:

dell’indicazione delle misure di


prevenzione e di protezione attuate e dei
dispositivi di protezione individuali adottati, a
seguito della valutazione di tutti i rischi;
del programma delle misure ritenute opportune
per garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di sicurezza;
dell’individuazione delle procedure per lâ
€™attuazione delle misure da realizzare,
nonché dei ruoli dell’organizzazione
aziendale che vi debbono provvedere, a cui
devono essere assegnati unicamente soggetti in
possesso di adeguate competenze e poteri;
di previa consultazione del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza;
di rielaborazione della valutazione dei rischi in
occasione di modifiche del processo produttivo
o della organizzazione del lavoro significative
ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o
in relazione al grado di evoluzione della
tecnica, della prevenzione o della protezione o
a seguito di infortuni significativi o quando i
risultati della sorveglianza sanitaria ne
evidenzino la necessità. A seguito di tale
rielaborazione, le misure di prevenzione
debbono essere aggiornate.

VIOLAZIONI SANZIONI
Adozione, da parte del datore di lavoro, del DVR in Ammenda da 1.228,50 a 2.457,02 euro.
assenza:

di una relazione sulla valutazione di tutti i


rischi per la sicurezza e la salute durante lâ
€™attività lavorativa, nella quale siano
specificati i criteri adottati per la valutazione
stessa;
dell’individuazione delle mansioni che
eventualmente espongono i lavoratori a rischi
specifici che richiedono una riconosciuta
capacità professionale, specifica esperienza,
adeguata formazione e addestramento.

Dal comma 5, l’art. 55 passa a disciplinare le sanzioni per il datore di


lavoro e il dirigente.
È da dire inoltre che la Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio
2019) ha aumentato gli importi delle sanzioni in materia di lavoro e
legislazione sociale348.

10.4.1 Documento di valutazione dei rischi - DVR


Il documento di valutazione dei rischi (o DVR) è quel documento
obbligatorio, introdotto per la prima volta nella legislazione italiana dal
decreto legislativo 626/1994, che tutte le aziende con almeno un lavoratore,
anche socio, devono redigere ai fini della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il documento, previsto dall’art. 28 del T.U., redatto a conclusione della
valutazione, può essere tenuto […] su supporto informatico e deve essere
munito […] di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento
medesimo da parte del datore di lavoro.
Il documento deve contenere:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute
durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri
adottati per la valutazione stessa;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei
dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di
tuti i rischi;
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il
miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da
realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi
debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in
possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla
valutazione del rischio;
f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i
lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacitÃ
professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e
349
addestramento .

10.4.2 Designazione del responsabile del servizio di


prevenzione e protezione dai rischi (RSPP)
Ai sensi dell’art. 33, c. 1, del T.U., il servizio di prevenzione e protezione
dai rischi professionali provvede:
a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e allâ
€™individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli
ambienti di lavoro;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive, protettive350
e i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza
sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35
(ovvero annuale nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più
di 15 lavoratori o in occasione di eventuali significative variazioni delle
condizioni di esposizione al rischio. In quest’ultima ipotesi, nelle unitÃ
produttive che occupano fino a 15 lavoratori è facoltà del rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza chiedere la convocazione di un’apposita
riunione);
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36 (ovvero sui
rischi per la salute e sicurezza sul lavoro; sulle procedure che riguardano il
primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;
sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di primo
soccorso e di prevenzione incendi; sui nominativi del responsabile e degli
addetti del servizio di prevenzione e protezione, e del medico competente
(per una visione esaustiva delle informazioni ai lavoratori si rimanda allâ
€™art. 36 del T.U.).
I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto
in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio
delle funzioni di cui allo stesso decreto legislativo n. 81/2008. Il servizio di
prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro351.
Il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione
prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o
incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei
datori di lavoro o gli organismi paritetici352. Il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi (RSPP) deve possedere requisiti
professionali adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e
relativi alle attività lavorative, ed essere in possesso di un titolo di studio
non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un
attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi
di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e
relativi alle attività lavorative353. Salvo quanto previsto dall’art. 34, il
datore di lavoro deve organizzare il servizio di prevenzione e protezione
prioritariamente all’interno della azienda. Tale priorità è stata
introdotta dal decreto legislativo 106/2009 e l’eventuale designazione del
personale interno non può essere imposta dal datore di lavoro e dunque il
dipendente può liberamente rinunciare all’incarico (art. 31, comma 1,
T.U.). Qualora il datore di lavoro incarichi un soggetto che non abbia le
capacità professionali richieste né i requisiti professionali normati, si
configura per esso la cosiddetta responsabilità per culpa in eligendo354.
Ai sensi dell’art. 34, c. 1, il dirigente scolastico può svolgere
direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai
rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione,
nelle ipotesi previste nell’Allegato II, ovvero nel caso di aziende fino a
200 lavoratori; dal numero complessivo sono esclusi gli allievi (art. 4, c. 1,
lett. c) del T.U.). In questo caso, il dirigente scolastico deve frequentare corsi
di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla
natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attivitÃ
lavorative355 (art. 34, c. 2).
Come disposto dall’art. 32, c. 8, del T.U., negli istituti di istruzione, di
formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta
formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo
svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e
protezione dai rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, individuandolo tra:
a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui
all’art. 32 del T.U. che si dichiari a tal fine disponibile;
b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui
all’art. 32 del T.U. che si dichiari disponibile ad operare in una
pluralità di istituti.
In assenza di tali figure356, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera
comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita
convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici
scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di
salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero
professionista357.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di
consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue
elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dellâ
€™amministrazione dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di
lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle
eventuali negligenze del consulente è chiamato comunque a rispondere
(Fonte: Olympus - Osservatorio per il Monitoraggio permanente della
legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro).
In materia di prevenzione e protezione, appare chiaro che la posizione di
garanzia grava sul datore di lavoro ovvero, nel caso di specie, sul dirigente
scolastico: in forza di quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008, l’obbligo
giuridico di impedire l’evento dannoso grava sul datore di lavoro.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per la cui condotta
non è prevista sanzione nel T.U., mantiene, al più, una corresponsabilitÃ
al verificarsi di un infortunio laddove, in presenza di una situazione
pericolosa (della quale ha obbligo di conoscenza e di segnalazione), si astiene
dal segnalarla al soggetto titolare della posizione di garanzia (datore di
lavoro).
Resta fermo il concetto secondo cui ad attivarsi dev’essere il datore di
lavoro per porre in essere le azioni opportune alla rimozione della situazione
di pericolo previa segnalazione da parte del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione.
In caso di eventuale procedimento penale, il giudice è fornito degli
strumenti che gli consentono di graduare la colpa, proprio in virtù del grado
di responsabilità dei soggetti coinvolti e delle posizioni/qualifiche che
rivestono358.

10.4.3 Obblighi del datore di lavoro e del dirigente


Ai sensi dell’art. 18 del T.U., il datore di lavoro e i dirigenti devono359:
a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza
sanitaria nei casi previsti dallo stesso decreto legislativo n. 81/2008;
b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle
misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi
di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo
soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;
d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione
individuale;
e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno
ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone
che li espongono ad un rischio grave e specifico;
i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un
pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o
da prendere in materia di protezione;
m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della
salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attivitÃ
in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;
r) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché
per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei
luoghi di lavoro di cui all’articolo 8 (ovvero al SINP), entro 48 ore dalla
ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le
informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza
dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini
assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino unâ
€™assenza al lavoro superiore a tre giorni.
Il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e
protezione dai rischi, nelle aziende e nelle unità produttive che occupano
più di 15 lavoratori, indice almeno una volta all’anno una riunione cui
partecipano:
a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
c) il medico competente, ove nominato;
d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza360.
Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei
partecipanti:
a) il documento di valutazione dei rischi;
b) l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della
sorveglianza sanitaria;
c) i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l’efficacia dei dispositivi
di protezione individuale;
d) i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei
lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute361.
Da notare che ora (dopo la L. 215/2021 di conversione del D.L. 146/2021)
sono specificamente dedicati ai dirigenti scolastici i commi 3.1 e 3.2 del
T.U. Sicurezza. Come noto, gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di
manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici
assegnati in uso a pubbliche amministrazioni, ivi comprese le istituzioni
scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta alla
loro fornitura e manutenzione (Comuni per le scuole del primo ciclo e
Province le scuole del secondo ciclo). Dopo la L. 215/2021, i dirigenti
scolastici:
– sono esentati da qualsiasi responsabilità civile, amministrativa e penale
qualora abbiano tempestivamente richiesto gli interventi strutturali e di
manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici
assegnati, adottando le misure di carattere gestionale di propria competenza
nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente;
– qualora, sulla base della valutazione svolta con la diligenza del buon
padre di famiglia, rilevino la sussistenza di un pericolo grave e immediato,
possono interdire parzialmente o totalmente l’utilizzo dei locali e degli
edifici assegnati, nonché ordinarne l’evacuazione, dandone
tempestiva comunicazione all’amministrazione proprietaria.

341
Ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.
368.
342
Art. 59 – Sanzioni per i lavoratori. Comma 1: I lavoratori sono puniti:
a): con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 245,70 a 737,10
euro per la violazione degli articoli 20, comma 2, lettere b), c), d), e), f), g),
h) e i), e 43, comma 3, primo periodo. b): con la sanzione amministrativa
pecuniaria da 61,42 a 368,56 euro per la violazione dell’articolo 20
comma 3.
343
Rubricato: “Individuazione del datore di lavoro negli uffici e nelle
istituzioni dipendenti dal Ministero della Pubblica Istruzione, ai sensi dei
decreti legislativi n. 626/94 e n. 242/96â€.
344
Rubricato: “Regolamento recante norme per l’individuazione delle
particolari esigenze negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e
grado, ai fini delle norme contenute nel decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, e successive modifiche ed integrazioniâ€.
345
T.U. art. 16, c. 1.
346
Disposizione sanzionata con la pena della sola ammenda.
347
Disposizione sanzionata con la pena alternativa dell’arresto o dellâ
€™ammenda.
348
Legge n. 145/2018, art. 1, c. 445, lettera d) n. 2): del 10 per cento per
quanto riguarda gli importi dovuti per la violazione delle disposizioni di cui
al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sanzionate in via amministrativa o
penale; n. 3): del 20 per cento per quanto riguarda gli importi dovuti per la
violazione delle altre disposizioni in materia di lavoro e legislazione sociale,
individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
349
Lettere a, b, c, d, f, disposizioni sanzionate con la pena della sola
ammenda.
350
Di cui all’articolo 28, comma 2.
351
Art. 33, commi 2, 3.
352
Art. 31, T.U.
353
Art. 32, commi 1, 2 T.U.
354
Cass. pen., sez. IV, 24 maggio 2011, n. 20576 – Culpa in eligendo -
Olympus.
355
Disposizione sanzionata con la pena alternativa dell’arresto o dellâ
€™ammenda.
356
Ovvero di personale di cui alle lettere a) e b) del comma 8.
357
Art. 32, c. 9.
358
Cass., pen., sez. IV, 15 gennaio 2010, n. 1834, in Olympus –
Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e
giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro.
359
Lettere a, d, e, disposizioni sanzionate con la pena alternativa dellâ
€™arresto o dell’ammenda. Lettera r, disposizione punita con sanzione
pecuniaria amministrativa. Lettere b, i, m, disposizioni sanzionate
amministrativamente. Per tutti gli altri “Obblighi del datore di lavoro e del
dirigente†qui omessi, si rimanda all’art. 18 del T.U.

10.5 Dirigente
Occorre evidenziare che nelle istituzioni scolastiche la figura del dirigente
non va confusa con il dirigente scolastico, che è datore di lavoro. L’art.
2, c. 1, lett. d) del T.U., sancisce che il dirigente è la persona che attua le
direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e
vigilando su di essa. La definizione è di dubbia interpretazione e lascia
ampio margine di discrezionalità . Rileviamo che secondo ipotesi alquanto
accreditate, nelle scuole non vi è la figura del dirigente; secondo altre, il
dirigente corrisponde al collaboratore vicario del dirigente scolastico. In
posizione di subordinazione gerarchica rispetto al datore di lavoro, ad esso
sono attributi gli obblighi derivanti dall’art. 18 del T.U. ovvero lâ
€™organizzazione e l’attuazione delle disposizioni in esso contenute.

360
Art. 35, c. 1, del T.U.
361
Art. 35, c. 2. Lettere a, b, c, d, del comma 2: disposizioni punite con
sanzione pecuniaria amministrativa.

10.6 Preposto
Il preposto è la persona che sovrintende alla attività lavorativa e garantisce
l’attuazione delle direttive ricevute. In ragione di ciò, il preposto è
chiamato a:
a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei
loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di
salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di
persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate
istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e
specifico;
c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di
rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in
caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di
lavoro o la zona pericolosa;
d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un
pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o
da prendere in materia di protezione;
e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori
di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un
pericolo grave ed immediato;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le
deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di
protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi
durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della
formazione ricevuta;
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dallâ
€™articolo 37362.
In sede di conversione del D.L. 146/2021 (con L. 215/2021) il Legislatore è
intervenuto poi, in particolar modo, sulla figura del preposto e più nel
dettaglio sugli artt. 18 e 19 del D.Lgs. n. 81/2008 per meglio specificare le
funzioni attribuite allo stesso, che assume ora, nel contesto di gestione
aziendale della sicurezza sul lavoro un ruolo di primaria delicatezza e di
assoluta centralità affianco a datore di lavoro e dirigente. I preposti, secondo
le loro attribuzioni e competenze, devono sovrintendere e vigilare sullâ
€™osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge,
nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul
lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di
protezione individuale messi a loro disposizione; in caso di rilevazione di
comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal
datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale,
devono intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo
le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle
disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, devono
interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti.
Inoltre, ai sensi del nuovo art. 19, co. 1, lett. f-bis) del T.U. Sicurezza, il
preposto è tenuto “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle
attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante lâ
€™attività di vigilanza, se necessario, ad interrompere temporaneamente lâ
€™attività e, comunque, a segnalare tempestivamente al datore di lavoro e
al dirigente le non conformità rilevateâ€.
Per la violazione di tali specifiche funzioni obbligatorie del preposto, il T.U.
Sicurezza, dopo la L. 215/2021, prevede ora l’applicazione della pena
dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da 491,40 a 1.474,21
euro (Fonte: Labor et Lex).
L’art. 299 del T.U. istituisce il preposto di fatto, ovvero quel soggetto
(insegnante, collaboratore scolastico, assistente tecnico) che pur in assenza di
regolare investitura da parte del datore di lavoro, è tenuto, in particolari
momenti della vita lavorativa, ad attuare le misure di sicurezza e a disporre ed
esigere che esse siano rispettate. Così, l’insegnante che conduce i suoi
allievi in laboratorio chimico e li espone a rischio, assume, per il tempo di
permanenza nel laboratorio, la funzione di preposto di fatto. L’art. 299
(Esercizio di fatto di poteri direttivi) recita: “Le posizioni di garanzia
relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e),
gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura,
eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi
definitiâ€. A tal proposito, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito (sez.
IV, 14 gennaio 1970, n. 48) che nella concreta attribuzione di tale qualifica
deve farsi riferimento al criterio della effettività , atteso che “La qualifica
e le responsabilità del preposto non competono soltanto ai soggetti forniti di
titoli professionali o di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una
posizione di supremazia sia pure embrionale, tale cioè da porlo in
condizione di dirigere l’attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi
ordini†(Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2010, n. 1502). In tal senso, vi è
un consolidato orientamento della Suprema Corte363.
In ultimo, segnaliamo che i preposti ricevono, a cura del datore di lavoro, unâ
€™adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in
relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro364. I
contenuti della formazione comprendono:
a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
b) definizione e individuazione dei fattori di rischio;
c) valutazione dei rischi;
d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di
prevenzione e protezione365.
SANZIONI PER IL PREPOSTO (art. 56, D.Lgs. 81/2008)
VIOLAZIONI – Con riferimento a tutte le disposizioni SANZIONI
del D.Lgs. 81/2008, i preposti, nei limiti delle proprie
attribuzioni e competenze, sono puniti per la violazione
dei seguenti obblighi:
Arresto fino a due mesi o con l’ammenda da 491,40 a
1.474,21 euro.
sovrintendere e vigilare sulla osservanza da
parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di
legge, nonché delle disposizioni aziendali in
materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso
dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuale messi a
loro disposizione e, in caso di persistenza della
inosservanza, informare i loro superiori diretti;
richiedere l’osservanza delle misure per il
controllo delle situazioni di rischio in caso di
emergenza e dare istruzioni affinché i
lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato
e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o
la zona pericolosa;
astenersi, salvo eccezioni debitamente
motivate, dal richiedere ai lavoratori di
riprendere la loro attività in una situazione di
lavoro in cui persiste un pericolo grave ed
immediato;
segnalare tempestivamente al datore di lavoro
o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di
protezione individuale, sia ogni altra
condizione di pericolo che si verifichi durante
il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla
base della formazione ricevuta;
in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e
delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione
di pericolo rilevata durante la vigilanza, se
necessario, interrompere temporaneamente lâ
€™attività e, comunque, segnalare
tempestivamente al datore di lavoro e al
dirigente le non conformità rilevate.

Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 245,70 a


982,81 euro.
verificare affinché soltanto i lavoratori che
hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano
alle zone che li espongono ad un rischio grave
e specifico;
informare il più presto possibile i lavoratori
esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato circa il rischio stesso e le
disposizioni prese o da prendere in materia di
protezione;
frequentare appositi corsi di formazione
secondo quanto previsto dall’art. 37,
ovvero “Formazione dei lavoratori e dei
loro rappresentantiâ€.

Per l’aumento degli importi delle sanzioni di cui alla Legge n. 145/2018,
v. nota 21.

362
Tutte disposizioni sanzionate con la pena alternativa dell’arresto o
dell’ammenda.
363
Cass. pen., sez. IV, 10 aprile 2017, n. 18090; Cass. pen., sez. IV, 20
gennaio 1998, n. 2277; Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2005, n. 14017; Cass.
pen., sez. IV, 29 maggio 2014, n. 22246.
364
Art. 37, c. 7, del T.U.
365
Diposizioni sanzionate con la pena alternativa dell’arresto o dellâ
€™ammenda.
10.7 Addetto al servizio di prevenzione e protezione
(A.S.P.P)
La figura di addetto al servizio di prevenzione e protezione fa parte del più
ampio “servizio di prevenzione e protezione dai rischi366â€, ovvero di
quell’insieme di persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda
finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali
per i lavoratori. Nei casi di cui al comma 8 dell’art. 32 del T.U., ovvero
quando il datore di lavoro non opta per lo svolgimento diretto dei compiti
propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi e dunque si avvale
di un esperto esterno, deve comunque organizzare un servizio di prevenzione
e protezione con un adeguato numero di addetti.
Per quanto attiene alla formazione dell’A.S.P.P., in base all’accordo
Stato Regioni del 7 luglio 2016367, secondo il disposto dell’art. 32, c. 4, il
percorso formativo per responsabili ed addetti dei servizi di prevenzione e
protezione è strutturato in tre distinti moduli: A, B e C.
Il Modulo A costituisce il corso base per lo svolgimento della funzione di
RSPP e di ASPP. La durata complessiva è di 28 ore, escluse le verifiche di
apprendimento finali. Il modulo A è propedeutico per l’accesso agli altri
moduli. Il suo superamento consente l’accesso a tutti i percorsi formativi.
Il modulo A deve consentire ai responsabili e agli addetti dei servizi di
prevenzione e protezione di essere in grado di conoscere:

la normativa generale e specifica in tema di salute e sicurezza e gli


strumenti per garantire un adeguato approfondimento a aggiornamento
in funzione della continua evoluzione della stessa;
i principali rischi trattati dal D.Lgs. 81/2008 e individuare le misure di
prevenzione e protezione nonché le modalità per la gestione delle
emergenze;
i concetti di pericolo, rischio, danno, prevenzione e protezione.

Il modulo B è il corso correlato alla natura dei rischi presenti sul luogo di
lavoro e relativi alle attività lavorative. Come il modulo A, anche il modulo
B è necessario per lo svolgimento delle funzioni di RSPP e ASPP. Lâ
€™articolazione degli argomenti formativi e delle aree tematiche del modulo
B è strutturata prevedendo un Modulo comune a tutti i settori produttivi
della durata di 48 ore. Il modulo B comune è propedeutico per l’accesso
ai moduli di specializzazione. La durata dei corsi non comprende le verifiche
di apprendimento finali. Il Modulo B deve essere orientato alla risoluzione
dei problemi, all’analisi e alla valutazione dei rischi, alla pianificazione di
idonei interventi di prevenzione delle attività dei rispettivi livelli di rischio,
ponendo attenzione all’approfondimento in ragione dei differenti livelli di
rischio ed evitando la ripetizione di argomenti. Il Modulo B deve consentire
ai responsabili e agli addetti dei servizi di prevenzione e protezione di
acquisire le conoscenze/abilità per:

individuare i pericoli e valutare i rischi presenti negli ambienti di


lavoro del comparto compresi i rischi ergonomici e stress lavoro-
correlato;
individuare le misure di prevenzione e protezione presenti negli
specifici comparti, compresi i DPI, in riferimento alla specifica natura
del rischio e dell’attività lavorativa.

Il Modulo C è il corso di specializzazione per le sole funzioni di RSPP. La


durata complessiva è di 24 ore escluse le verifiche di apprendimento finali.
Il Modulo C deve consentire ai responsabili dei servizi di prevenzione e
protezione di acquisire le conoscenze/abilità relazionali e gestionali per:

progettare e gestire processi formativi in riferimento al contesto


lavorativo e alla valutazione dei rischi, anche per la diffusione della
cultura alla salute e sicurezza e del benessere organizzativo;
pianificare, gestire e controllare le misure tecniche, organizzative e
procedurali di sicurezza aziendali attraverso sistemi di gestione della
sicurezza.

L’obbligo dell’aggiornamento per RSPP e ASPP si inquadra a


pieno titolo nella dimensione della life long learning, cioè della formazione
continua nell’arco della vita lavorativa. Le ore minime complessive dellâ
€™aggiornamento sono fissate in base al ruolo svolto e sono rispettivamente:

ASPP: 20 ore nel quinquennio;


RSPP: 40 ore nel quinquennio.

È preferibile che il monte ore complessivo di aggiornamento sia distribuito


nell’arco temporale del quinquennio. Per i corsi di aggiornamento sono
richiesti:
a) un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35;
b) la tenuta del registro di presenza dei partecipanti da parte del soggetto che
realizza il corso.

366
Art. 2, c. 1, lettera l) del T.U.
367
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano. Accordo finalizzato alla individuazione della
durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli
addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32
del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

10.8 Medico competente


Il medico competente deve possedere uno dei seguenti titoli o requisiti368:

specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei


lavoratori e psicotecnica;
docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori
e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in
fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.

Come previsto dall’articolo 29, comma 1 del T.U., il medico competente


collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è
nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli
altri compiti di cui al decreto legislativo 81/2008. A tal riguardo, la Direzione
Generale dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia369 ha fornito ai
dirigenti scolastici delle istituzioni scolastiche e ai Dirigenti Responsabili
degli A.T. della Lombardia alcuni chiarimenti circa la figura del medico
competente e la sua nomina, che rappresenta ad oggi uno dei punti
controversi della normativa in esame: “Ad una attenta lettura, parrebbe
che il D.Lgs. 81/2008370 e s.m.i. abbia affidato al medico competente una
duplice funzione: una di natura preventiva e collaborativa, con il datore di
lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione, consistente nello
svolgimento dei compiti-obblighi di cui all’art. 25 (fra i quali quello di
partecipare alla valutazione dei rischi), e l’altra finalizzata alla gestione
dell’eventuale sorveglianza sanitaria dei lavoratori, il cui obbligo
emerga appunto a seguito della valutazione dei rischi (art. 18). Giova
rammentare, al riguardo, che l’art. 28, comma 2, alla lett. e), richiede
esplicitamente al datore di lavoro di indicare nel documento di valutazione
dei rischi il nominativo del medico competente che ha partecipato alla
valutazione stessa. Sostenere dunque che“la maggioranza delle scuole non
presenta lavoratori esposti a rischi tali da rendere necessaria la sorveglianza
sanitaria†come si legge da più parti, sembra a chi scrive unâ
€™affermazione formulata al fine di giustificare a priori la decisione di non
aver bisogno del medico competente. Tale affermazione risulta però priva di
senso ove si consideri che la presenza ed il parere del medico competente
servono proprio a determinare se la scuola che si considera sia o meno
compresa tra gli ambienti di lavoro ove la sorveglianza sanitaria è
necessaria. Da una lettura coordinata delle norme su elencate, sembra
emergere con chiarezza un elemento: la procedura di norma seguita dai
datori di lavoro nella scuola (dirigenti) per quanto riguarda l’eventuale
nomina del medico competente è cronologicamente scorretta. Risulta in
effetti a chi scrive che prima il dirigente provvede ad effettuare, di norma
autonomamente, una valutazione dei rischi presenti nel suo ambiente di
lavoro di riferimento, per decidere poi, sempre autonomamente, se nominare
o meno il medico competente. Dal dettato normativo, invece, discende che è
senz’altro opportuno interessare comunque preventivamente un medico
competente, in possesso dei requisiti formativi e professionali di cui allâ
۪art. 38, affinch̩ visiti i luoghi di lavoro (art. 25, comma 1, lett. l) e
collabori con il datore e con l’eventuale RSPP nella effettuazione della
valutazione dei rischi presenti nell’istituzione scolastica. Dopo di ciò,
sarà lo stesso medico ad esprimere un parere qualificato circa la necessitÃ
o meno, così come espressamente indicato nell’art. 25 comma 1 lettera
a), di nomina di un medico competente al quale affidare la sorveglianza
sanitaria obbligatoria, che tra l’altro può essere anche affidata ad altro
e diverso medico. Si rammenta anche che l’attività di insegnamento, ai
sensi del documento rilasciato in argomento dalla Conferenza Stato Regioni
del 2006, rientra a pieno titolo tra le 14 attività lavorative per le quali, data
la loro rischiosità , è fatto espresso divieto di assunzione e di
somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Considerata poi la
severità delle sanzioni previste per la mancata nomina del medico
competente ove ciò sia necessario – sia penali che amministrative – non
può che ritenersi superficiale l’affermazione che la maggioranza delle
scuole non presenta lavoratori esposti a livelli di rischio di natura tale da
rendere necessaria la sorveglianza sanitaria e quindi la nomina del medico
competente. Si invitano dunque le SS.LL. ad una attenta valutazione della
problematica, considerando la possibilità di costituire reti di scuole – o di
usare a tal fine quelle già esistenti – per l’individuazione di medici
competenti che collaborino con i dirigenti scolastici in primo luogo nella
valutazione dei rischi e nella conseguente stesura del DVR371â€.
Gli obblighi del medico competente sono descritti nell’art. 25: collabora
con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla
valutazione dei rischi; programma ed effettua la sorveglianza sanitaria;
istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità , una cartella
sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria;
consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell’incarico, la
documentazione sanitaria in suo possesso; consegna al lavoratore, alla
cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e
gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della
medesima; visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a
cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi.

368
Ai sensi dell’art. 38, c. 1, del T.U.
369
Ufficio VIII – Servizio legale, nota Prot. n. MIUR AOODRLO R.U.
14822 del 9 ottobre 2013.
370
In particolare agli artt. 2, 18, 25, 28 e 29.

10.9 Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza


(RLS)
L’art. 2 del T.U. definisce il RLS come la persona eletta o designata per
rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della
sicurezza durante il lavoro. Dalla lettura dell’art. 47 si evince che in tutte
le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza; nelle aziende o unità produttive che occupano
fino a 15 lavoratori, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di
norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno e nelle aziende o
unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle
rappresentanze sindacali in azienda (ovvero nell’ambito della RSU). In
assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della
azienda al loro interno.
In ogni caso, il numero minimo dei rappresentanti è il seguente (art. 47,
c. 7, T.U.):
a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200
lavoratori;
b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000
lavoratori;
c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000
lavoratori.
Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli
strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di
contrattazione collettiva372. L’elezione del RLS non è obbligatoria; vi è
invece l’obbligo da parte del dirigente scolastico di comunicare in via
telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al
sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui
all’articolo 8 (ovvero al SINP), in caso di nuova elezione o designazione,
i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima
applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi
dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati (art. 18, c. 1, lett. aa373)
T.U.).
Come sancito nell’art. 50, il Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, fatto salvo quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva:
a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla
valutazione dei rischi;
c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio
di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla
evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui allâ
€™articolo 37374;
e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla
valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative;
h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle
misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei
lavoratori;
m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della
sua attività ;
o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di
prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai
dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la
sicurezza e la salute durante il lavoro375.
L’esercizio delle funzioni di Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza è incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al
servizio di prevenzione e protezione (art. 50, c. 7).
Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza partecipa alla riunione
periodica indetta dal datore di lavoro almeno una volta all’anno
(direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi nelle
aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori) durante
la quale gli viene sottoposto il documento per la valutazione dei rischi al fine
di individuare codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi
di infortuni e di malattie professionali e obiettivi di miglioramento della
sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione
della salute e sicurezza sul lavoro (art. 35, T.U.).
Il datore di lavoro assicura al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i
rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza,
tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo
e prevenzione dei rischi stessi.
Le modalità , la durata e i contenuti specifici della formazione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di
contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi:
a) principi giuridici comunitari e nazionali;
b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
d) definizione e individuazione dei fattori di rischio;
e) valutazione dei rischi;
f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di
prevenzione e protezione;
g) aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;
h) nozioni di tecnica della comunicazione.
La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici
presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione
adottate, con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale
disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui
durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano
dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50
lavoratori. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve
avvenire […] durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri
economici a carico dei lavoratori. Il contenuto della formazione deve essere
facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire
le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul
lavoro. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere
periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o allâ
€™insorgenza di nuovi rischi (art. 37 T.U.).

371
La nota riporta in ultimo i fattori di rischio che più comunemente
possono rilevarsi in ambito scolastico (chimico, biologico, movimentazione
carichi, videoterminali, rumore, stress lavoro-correlato, per le lavoratrici in
stato di gravidanza) con evidenza dei lavoratori coinvolti.
372
Art. 47, c. 5, T.U.
373
Disposizione punita con sanzione pecuniaria amministrativa.
374
Ovvero in materia di salute e sicurezza con particolare riferimento a: a)
concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della
prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di
vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili
danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione
caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.
375
Per una elencazione completa delle attribuzioni del RLS si rimanda allâ
€™art. 50 del T.U.

10.10 Servizio di prevenzione e protezione dai


rischi
Come già esposto, il servizio di prevenzione e protezione dai rischi è lâ
€™insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda
finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali
per i lavoratori, ovvero medico, dirigenti preposti, R.S.P.P., R.L.S., A.S.P.P.,
lavoratori, addetti primo soccorso, addetti antincendio. Trattasi dunque di
tutti quei soggetti che, a vario titolo, concorrono alla individuazione e
valutazione del rischio, alla elaborazione di tutte le misure di prevenzione e
protezione al fine di tutelare l’incolumità , la salute dei lavoratori e la
salubrità degli ambienti di lavoro, alla elaborazione, per quanto di
competenza, delle misure preventive e protettive del DVR e i sistemi di
controllo di tali misure. I componenti del servizio di prevenzione e protezione
sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a
conoscenza nell’esercizio delle funzioni loro assegnate. Il servizio di
prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro376.

10.11 Sorveglianza sanitaria


L’art. 2 del T.U. definisce la sorveglianza sanitaria come l’insieme
degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei
lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio
professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Essa è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa
vigente e qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal
medico competente correlata ai rischi lavorativi.
La sorveglianza sanitaria comprende (art. 41, c. 2 T.U):
a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di
controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare
la sua idoneità alla mansione specifica;
b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed
esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicitÃ
di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene
stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere
cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della
valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento
motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria
differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute,
suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al
fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare lâ
€™idoneità alla mansione specifica;
e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla
normativa vigente;
e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva;
e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per
motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di
verificare l’idoneità alla mansione.
Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su
scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di
prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è
incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3377.
Le visite mediche suesposte, a cura e spese del datore di lavoro, che
comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al
rischio ritenuti necessari dal medico competente, non possono essere
effettuate per accertare stati di gravidanza e negli altri casi vietati dalla
normativa vigente378.
Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite
summenzionate alle lettere a), b), d), e-bis) e e-ter) sono altresì finalizzate
alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di
sostanze psicotrope e stupefacenti379. Il medico competente, sulla base delle
risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla
mansione specifica:
a) idoneità ;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o
limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente380.
Il giudizio espresso è formulato per iscritto dando copia del giudizio
medesimo al lavoratore e al datore di lavoro.
In merito all’applicazione della sorveglianza sanitaria per gli allievi delle
scuole ove sono previsti tirocini formativi professionali e di orientamento,
nonché utilizzo di laboratori, attrezzature di lavoro, esposizione ad agenti
chimici-fisici-biologici, apparecchiature fornite di videoterminali e
limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alle
strumentazioni o alle apparecchiature in questione, gli allievi devono essere
equiparati ai lavoratori, con conseguente dettaglio di valutazione dei rischi
specifici e residui a cui risultano esposti e attuazione della relativa
sorveglianza sanitaria, (vedi par. 10.3). Parimenti, per quanto alla
individuazione dell’alunno in situazione di handicap fisico, psichico o
sensoriale e dell’idoneità alla frequenza di istituti d’istruzione
secondaria superiore, nei quali sono previste attività di laboratorio
(idoneità richiesta soltanto in relazione all’incolumità dell’alunno)
viene effettuata sulla base di certificato rilasciato da uno psicologo o medico
specialista in servizio presso l’U.S.L., o in regime di convenzione con la
medesima, ai sensi del D.P.R. 24/2/1994, come disposto dalla C.M. 23
dicembre 1994, n. 363, mai abrogata.

376
Art. 33, T.U.

10.12 Valutazione dei rischi


La valutazione dei rischi è la valutazione globale e documentata di tutti i
rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dellâ
€™organizzazione in cui essi prestano la propria attività , finalizzata ad
individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare
il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di salute e sicurezza.

377
Ovvero: Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che
svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna
parte del territorio nazionale, attività di medico competente.
378
Disposizioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa.
379
Art. 41, c. 4.
380
Art. 41, c. 6.

10.13 Pericolo
L’art. 2 del T.U. definisce il pericolo come la proprietà o qualitÃ
intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni. Le
Linee guida UE sulla valutazione dei rischi sul lavoro definiscono il pericolo
come la proprietà o qualità intrinseca di una determinata entità (p.es.
materiali o attrezzature di lavoro, metodi e pratiche di lavoro) avente il
potenziale di causare danni.

10.14 Rischio
Il rischio indica la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di
danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore
o agente oppure alla loro combinazione381. A titolo esplicativo, in una scuola,
uno scaffale non fissato comporta decisamente un pericolo. Il rischio che lo
stesso scaffale possa arrecare danni a terzi è dato dal luogo in cui esso è
posto. Più è fruibile dai lavoratori, più alto è il rischio; di converso, uno
scaffale al quale non si ha accesso, comporta un rischio basso.
La valutazione globale e documentata di tutti i rischi è ciò che le Linee
guida UE hanno sintetizzato nella definizione di “valutazione dei rischiâ€
specificando che trattasi di un esame sistematico di tutti gli aspetti del lavoro
intrapreso per definire quali siano le cause probabili di lesioni o di danni e
deve riguardare i rischi derivanti dall’attività lavorativa e che risultano
ragionevolmente prevedibili. Quelli derivanti invece dalla vita di tutti i giorni,
in generale, e che non fanno oggetto di particolari preoccupazioni (p.es. il
fatto che un impiegato d’ufficio si ferisca mentre taglia un pezzo di carta)
non richiederanno di norma un’attenzione così minuziosa, a meno che
l’attività o l’organizzazione del lavoro aggravi questi rischi.
La valutazione di tutti i rischi deve ricomprendere anche la scelta delle
attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegate,
nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro382.
A tal proposito, è il datore di lavoro che effettua la valutazione dei rischi in
collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e
il medico competente, come sancito dall’ art. 29, c. 1, T.U. e dal decreto
29 settembre 1998, n. 382383, art. 3, c. 1.
La collaborazione tra Direzione Sanità della Regione Piemonte, Ufficio
Scolastico Regionale del Piemonte e Direzione Regionale INAIL Piemonte
ha consentito, in attuazione del D.lgs. 81/2008, di realizzare una serie di
interventi significativi a favore delle scuole nel campo della sicurezza. Tra le
diverse attività realizzate, hanno assunto un certo rilievo i corsi di
formazione e aggiornamento degli R/ASPP e RLS della scuola, la
costituzione di Reti di scuole per la promozione della sicurezza e la
realizzazione di attività didattiche in tema di sicurezza. Dall’intesa tra i
tre enti, è stato redatto il “Documento di indirizzo per la sicurezza negli
istituti scolastici del Piemonteâ€384 che nell’ambito delle attività di
promozione della sicurezza nelle scuole, costituisce la sintesi dellâ
€™iniziativa di formare un gruppo di lavoro composto da rappresentanti
delle Istituzioni Scolastiche, dell’INAIL Piemonte e da personale di
alcune ASL appartenente ai Servizi di prevenzione e sicurezza ambienti di
lavoro (SPRESAL) e ai Servizi di igiene e sanità pubblica (SISP) e
coordinato dalla Direzione Sanità della Regione Piemonte al fine di
redigere una linea guida per l’applicazione delle norme di igiene e
sicurezza del lavoro nelle scuole piemontesi. Lo scopo del Documento è
quello di fornire ai Dirigenti e alle figure preposte alla sicurezza di tutte le
scuole del Piemonte una sintesi della normativa in tema di salute e sicurezza
e di indicare delle modalità di attuazione dei diversi adempimenti previsti
dalla norma, suggerendo il corretto approccio, dal punto di vista giuridico e
operativo, nella gestione delle problematiche relative alla salute e sicurezza
negli Istituti scolastici.
Preliminarmente il Documento fornisce chiarimenti in merito alla valutazione
dei rischi come sono stati forniti dal Ministero del Lavoro con circolare n.
102/95. In tale documento sono ribadite le definizioni dei termini: â
€œrischio†e “valutazione del rischioâ€, cosiÌ€ come accettati a livello
comunitario:

rischio: probabilità che sia raggiunto il limite potenziale di danno


nelle condizioni di impiego, ovvero di esposizione di un determinato
fattore;
valutazione del rischio: procedimento di valutazione della possibile
entità del danno, quale conseguenza del rischio per la salute e la
sicurezza dei lavoratori nell’espletamento delle loro mansioni,
derivante dal verificarsi di un pericolo sul luogo di lavoro.

Nel prosieguo, il Documento elenca i rischi in ambito scolastico che


classifica come di seguito:

rischio rumore: il datore di lavoro deve eseguire la valutazione del


rumore durante il lavoro secondo quanto previsto dal D.lgs. 81/2008
(se necessario, eseguire verifica fonometrica strumentale). Ciò che
viene detto a ragionevole distanza con voce normale deve essere
comprensibile. Il lavoro e lo studio necessitano di silenzio negli
ambienti a ciò dedicati;
rischio da esposizione ad agenti chimici: relativamente al rischio
chimico per le sostanze in uso, deve essere effettuata apposita
valutazione di rischio di cui al Titolo IX del D.lgs. 81/2008 (Titolo IX
– Sostanze pericolose). È logico che negli ambienti scolastici
difficilmente si avrà un livello di rischio chimico alto, in quanto lâ
€™intento dovrà essere quello di mantenere al minimo il rischio
adottando le adeguate misure preventive e le norme di igiene compresi
i dovuti divieti (es. non assumere cibi …). Pertanto si avranno obblighi
generali informativi, formativi, di sicurezza, ma si presume di non
effettuazione di sorveglianza sanitaria. Tra le categorie del personale,
oggetto di valutazione rischio chimico, non bisogna dimenticare gli
addetti alle pulizie e qualora vi sia un contratto di appalto a ditta
esterna (art. 26, comma 3) alle eventuali interferenze che possono
derivare dall’utilizzo di alcuni preparati o sostanze nocive, tossiche
ecc.;
rischio da esposizione ad agenti cancerogeni: Verificare eventuali
attività che comprendano l’esposizione dei lavoratori ad agenti
cancerogeni, quali ad esempio quelle svolte nei laboratori di chimica;
rischio da esposizione ad agenti biologici: Verificare eventuali
attività che comprendano l’esposizione dei lavoratori ad agenti
biologici, quali ad esempio quelle di pulizia dei servizi igienici, oppure
attività didattiche con uso di attrezzature (Rischio tetano);
rischio da esposizione a radiazioni non ionizzanti: Verificare se
particolari attività comportino l’esposizione e radiazioni non
ionizzanti (Esempio: campi elettromagnetici prodotti da impianti od
attrezzature elettriche). Verificare, altresì, eventuali esposizioni
indebite come quelle attribuibili a reti elettrificate esterne alla scuola.
Queste devono essere contenute, a carico dei relativi gestori e entro i
limiti vigenti per la tutela della popolazione previsti dal D.P.C.M. 8
luglio 2003;
rischio da esposizione a radiazioni ionizzanti: il gas radon. Il D.Lgs.
230/1995 e s. m. ha introdotto, per i datori di lavoro, l’obbligo della
valutazione del rischio radon per le attività di lavoro in locali
seminterrati o interrati. Il decreto introduce anche un limite di legge per
la concentrazione del radon nei luoghi di lavoro, pari a 500 Bq/m3
(media annuale), superato il quale si è tenuti ad effettuare una serie di
interventi (azioni di rimedio o di bonifica) volti a ridurre le
concentrazioni al di sotto del limite di legge;
rischio amianto: Si premette che la verifica della presenza di amianto
negli edifici dovrebbe già essere stata effettuata dall’Ente
proprietario della Scuola/Istituto e quindi essere disponibile la
documentazione che ne riporti il risultato. Si dovrà comunque
compiere una ricognizione visiva nell’edificio al fine di rilevare lâ
€™eventuale presenza di materiali potenzialmente contenenti amianto;
rischio connesso allo stress lavoro-correlato: Il D.Lgs. 81/2008 in
tema di obblighi attinenti alla valutazione dei rischi ha posto particolare
rilievo sulla valutazione dello stress lavoro correlato che va fatta,
secondo le disposizioni del decreto, nel rispetto dei contenuti dellâ
€™accordo europeo del 2004 (comma 1 art. 28) e sulla base delle
specifiche indicazioni della Commissione Consultiva permanente per la
sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 6, comma 8, lettera m-quater D.Lgs.
81/2008) emanate con Circolare del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali del 18 novembre 2010.

Il Documento invita inoltre a valutare la possibilità di predisporre lâ


€™utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nel posto o
mansione di lavoro quando i rischi presenti non possono essere
sufficientemente ridotti con altri mezzi preventivi. Tale precauzione vale
anche per gli studenti quando svolgono attività di laboratorio od altra che
preveda la presenza di fattori di rischio.
In ultimo, proponiamo un criterio per la quantificazione del rischio R ovvero
per la stima dell’entità dell’esposizione e della gravità degli effetti
dato dal prodotto della Probabilità (P) di accadimento per la gravità del
Danno (D) atteso: R = P x D385.

381
Art. 2 del T.U.
382
Come disposto dall’art. 28 del T.U.
383
Regolamento recante norme per l’individuazione delle particolari
esigenze negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, ai
fini delle norme contenute nel decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modifiche ed integrazioni.
384
Documento di indirizzo per la sicurezza negli istituti scolastici del
Piemonte, INAIL Piemonte, Ufficio Scolastico regionale per il Piemonte,
Regione Piemonte, Assessorato alla Tutela della salute e Sanità , Documento
approvato con Determinazione Dirigenziale n. 411 del 18/06/2012 e
pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte n. 27 del
5/07/2012, pag. 20.
385
Documento di indirizzo per la sicurezza negli istituti scolastici del
Piemonte, cit. pag. 26.
Capitolo 11
La privacy e la trasparenza
amministrativa a scuola
di Alessandro Signorino Gelo

11.1 Il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e


il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016
I regolamenti comunitari sono atti normativi di portata generale direttamente
applicabili all’interno degli Stati membri; costituiscono dunque diritto
vigente nell’ordinamento statale. Superando una certa resistenza iniziale,
connessa all’idea dell’esclusivismo statale, i regolamenti sono ormai
riconosciuti come norme giuridiche che non dipendono dalla ratifica degli
Stati membri e che non sono neppure modificabili da parte della legge statale.
Nel contrasto tra questa ultima e il regolamento è quindi il regolamento a
prevalere386. È importante chiarire che la coesistenza tra le norme
comunitarie e quelle nazionali non è sempre pacifica. Sul punto è più
volte intervenuta la Corte Costituzionale, la quale ha affermato la prevalenza
delle disposizioni di diritto comunitario su quelle incompatibili di diritto
nazionale, e la necessaria disapplicazione da parte del giudice della fonte
interna contrastante.
Oggi in Italia il trattamento dei dati personali è tutelato dal Regolamento
generale per la protezione dei dati personali (UE) 2016/679 (General Data
Protection Regulation o GDPR) del Parlamento europeo e del Consiglio, del
27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e
che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei
dati).
Il trattamento dei dati personali è tutelato inoltre dal decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196387, adeguato alle disposizioni del Regolamento (UE)
2016/679 tramite il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101388.

11.1.1 Definizioni
Ai fini del Regolamento UE, l’art. 4 dello stesso Regolamento fornisce le
definizioni che qui sintetizziamo:

dato personale: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica


identificata o identificabile. Si considera identificabile la persona fisica
che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con
particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di
identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online
o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica,
fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;
trattamento: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute
con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati
personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione,
l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, lâ
€™adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, lâ
€™uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi
altra forma di messa a disposizione, il raffronto o lâ
€™interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione;
titolare del trattamento: la persona fisica o giuridica, l’autoritÃ
pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad
altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali;
consenso dell’interessato: qualsiasi manifestazione di volontÃ
libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la
quale lo stesso manifesta il proprio assenso, che i dati personali che lo
riguardano siano oggetto di trattamento;
dati sensibili: secondo il Considerando n. 51, meritano una specifica
protezione i dati personali che, per loro natura, sono particolarmente
sensibili sotto il profilo dei diritti e delle libertà fondamentali, dal
momento che il contesto del loro trattamento potrebbe creare rischi
significativi per i diritti e le libertà fondamentali. Tra tali dati
personali dovrebbero essere compresi anche i dati personali che
rivelano l’origine razziale o etnica.

11.1.2 Il trattamento dei dati personali


I principi applicabili al trattamento di dati personali, definiti nell’art. 5
del Regolamento UE, rispondono ai criteri che elenchiamo di seguito e che
costituiscono norme inderogabili a cui il dirigente scolastico deve attenersi.
I dati personali sono:

trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dellâ


€™interessato («liceità , correttezza e trasparenza»);
raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e
successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali
finalità ;
adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalitÃ
per le quali sono trattati («minimizzazione dei dati»);
esatti e, se necessario, aggiornati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione degli
interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle
finalità per le quali sono trattati;
trattati in maniera da garantire un’adeguata sicurezza dei dati
personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e
organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla
perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali («integrità e
riservatezza»)389.

11.1.3 Il trattamento dei dati personali nelle istituzioni


scolastiche
Nella scuola, il responsabile del trattamento è il dirigente scolastico.
Qualora un trattamento debba essere effettuato per conto del titolare del
trattamento, quest’ultimo può nominare un responsabile del trattamento
ricorrendo unicamente a soggetti che presentino garanzie sufficienti per
mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il
trattamento soddisfi i requisiti del Regolamento UE e garantisca la tutela dei
diritti dell’interessato390.
Il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto nel 2011
deliberando l’adozione di “Linee guida in materia di trattamento di
dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi effettuato
da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul webâ€,
aggiornate, poi, nel 2014.
Le Linee guida del Garante mirano a fornire indicazioni di carattere
generale in relazione al trattamento di dati personali in vari ambiti, al fine di
garantire la corretta applicazione dei princìpi stabiliti dal Codice. Esse
hanno, pertanto, lo scopo di definire un quadro unitario di misure e
accorgimenti volti a individuare opportune cautele che i soggetti pubblici, e
gli altri soggetti parimenti destinatari delle norme vigenti, sono tenuti ad
applicare nei casi in cui effettuano attività di diffusione di dati personali sui
propri siti web istituzionali per finalità di trasparenza o per altre finalità di
pubblicità dell’azione amministrativa.
A tal proposito, nel 2016 il Garante ha pubblicato l’opuscolo “La
scuola a prova di privacyâ€, con l’obiettivo di offrire elementi di
riflessione e di approfondimento per i tanti quesiti che vengono posti dalle
famiglie e dalle istituzioni: da come trattare correttamente i dati personali
degli studenti (in particolare quelli sensibili, come condizioni di salute o
convinzioni religiose) a quali regole seguire per pubblicare dati sul sito della
scuola o per comunicarli alle famiglie
La guida offre un’accurata casistica con l’intento di affiancare le
istituzioni scolastiche, le famiglie, gli studenti, gli insegnanti in una continua
sfida formativa e informativa. Se ne raccomanda una lettura approfondita,
nella consapevolezza che è stata realizzata prima dell’applicazione del
Regolamento UE 679/2016, avvenuta in data 25 maggio 2018, circostanza di
cui occorre tener conto nella consultazione.
Ne offriamo uno stralcio.
Trattamento dei dati nelle istituzioni scolastiche pubbliche.
Le istituzioni scolastiche pubbliche possono trattare solamente i dati
personali necessari al perseguimento di specifiche finalità istituzionali
oppure quelli espressamente previsti dalla normativa di settore. Per tali
trattamenti, non sono tenute a chiedere il consenso degli studenti. Alcune
categorie di dati personali degli studenti e delle famiglie – come quelli
sensibili e giudiziari – devono essere trattate con estrema cautela, nel
rispetto di specifiche norme di legge, verificando prima non solo la
pertinenza e completezza dei dati, ma anche la loro indispensabilità rispetto
alle “finalità di rilevante interesse pubblico†che si intendono
perseguire.
Trattamento dei dati nelle istituzioni scolastiche private
Nelle istituzioni private, anche paritarie, la base legale per il trattamento dei
dati personali è in genere il consenso dell’interessato o di chi esercita la
tutela, se gli studenti sono minorenni. Non è tuttavia necessario ottenere il
consenso per trattare i dati richiesti ai fini dell’iscrizione o di altre
attività scolastiche. Il Codice della privacy, infatti, non richiede che i
soggetti privati acquisiscano il consenso quando, ad esempio, il trattamento
dei dati è previsto da un obbligo di legge, o, come nel caso dellâ
€™iscrizione a scuola, quando i dati sono necessari per rispondere a una
richiesta dell’interessato, oppure per adempiere a un contratto. Nei casi in
cui è invece necessario acquisire il consenso (ad esempio per le attivitÃ
non strettamente connesse a quelle didattiche o non previste già dallâ
€™ordinamento scolastico), esso deve essere specifico e liberamente
espresso dalle persone interessate. Per poter trattare dati giudiziari e sensibili,
gli istituti privati sono inoltre tenuti a rispettare anche le prescrizioni
contenute nelle autorizzazioni generali del Garante, le quali esplicitano i
trattamenti consentiti.
Dati sensibili: alcuni esempi concreti

Origini razziali ed etniche: i dati sulle origini razziali ed etniche


possono essere trattati dalla scuola per favorire l’integrazione degli
alunni stranieri.
Convinzioni religiose: gli istituti scolastici possono utilizzare i dati
sulle convinzioni religiose al fine di garantire la libertà di culto e per
la fruizione dell’insegnamento della religione cattolica o delle
attività alternative a tale insegnamento.
Stato di salute: i dati idonei a rivelare lo stato di salute possono essere
trattati per l’adozione di specifiche misure di sostegno per gli
alunni disabili o con disturbi di apprendimento; per la gestione delle
assenze per malattia; per l’insegnamento domiciliare e ospedaliero
a favore degli alunni affetti da gravi patologie; per la partecipazione
alle attività sportive, alle visite guidate e ai viaggi di istruzione.
Convinzioni politiche: le opinioni politiche possono essere trattate
dalla scuola esclusivamente per garantire la costituzione e il
funzionamento degli organismi di rappresentanza: ad esempio, le
consulte e le associazioni degli studenti e dei genitori.
Dati di carattere giudiziario: i dati di carattere giudiziario possono
essere trattati per assicurare il diritto allo studio anche a soggetti
sottoposti a regime di detenzione o di protezione, come i testimoni di
giustizia.
Eventuali contenziosi: il trattamento di dati sensibili e giudiziari è
previsto anche per tutte le attività connesse ai contenziosi con gli
alunni e con le famiglie (reclami, ricorsi, esposti, provvedimenti di tipo
disciplinare, ispezioni, citazioni, denunce all’autorità giudiziaria,
ecc.), e per tutte le attività relative alla difesa in giudizio delle
istituzioni scolastiche.

Diritto di accesso ai dati personali


Anche in ambito scolastico, ogni persona ha diritto di conoscere se sono
conservate informazioni che la riguardano, di apprenderne il contenuto, di
farle rettificare se erronee, incomplete o non aggiornate. Per esercitare questi
diritti è possibile rivolgersi direttamente al “titolare del trattamento†(in
genere l’istituto scolastico di riferimento) anche tramite suoi incaricati o
responsabili del trattamento dei dati. Se non si ottiene risposta, o se il
riscontro non risulta adeguato, è possibile rivolgersi al Garante o alla
magistratura ordinaria. Diverso è il caso dell’accesso agli atti
amministrativi che, infatti, non è regolato dal Codice della privacy, né
vigilato dal Garante per la protezione dei dati personali. Come indicato nella
legge n. 241 del 1990 (e successive modifiche), spetta alla singola
amministrazione (ad esempio alla scuola) valutare se esistono i presupposti
normativi che permettono di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi ai soggetti con un “interesse diretto, concreto e attualeâ€
alla conoscibilità degli atti. Inoltre il diritto di accesso ai dati e ai documenti
detenuti dalla pubblica amministrazione (cosiddetto accesso civico), è
consentito nelle forme e nei limiti di cui al D.Lgs. n. 33 del 2013391, come
modificato dal D.Lgs. n. 97 del 2016392.
Violazione della privacy
In caso di violazione della privacy - come ad esempio la diffusione sul sito
internet della scuola dei dati personali in assenza di una idonea base
normativa, oppure il trattamento dei dati senza aver ricevuto una adeguata
informativa o senza aver espresso uno specifico e libero consenso, qualora
previsto - la persona interessata (studente, professore, ecc.) può presentare al
Garante un’apposita “segnalazione†gratuita o un “reclamoâ€
(più circostanziato rispetto alla semplice segnalazione e con pagamento di
diritti di segreteria). Il “ricorsoâ€, invece, è riservato al caso in cui il
titolare del trattamento non abbia dato adeguato riscontro alla richiesta dellâ
€™interessato di esercitare i propri diritti (accesso ai dati personali,
aggiornamento, rettifica, opposizione) assicurati dal Codice della privacy. In
alternativa al ricorso presentato al Garante, la persona interessata può
rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria.
Il capitolo relativo alla “Vita dello studente†raccoglie i casi affrontati dal
Garante con maggiore frequenza nella vita quotidiana della scuola. La guida,
è bene ribadirlo, non sostituisce la normativa o i singoli provvedimenti, ma
offre un’agile mappa per non smarrire il rispetto della riservatezza nella
vita scolastica di ogni giorno.
Iscrizione a scuole e asili
Tutti gli istituti di ogni ordine e grado - sia quelli che aderiscono al sistema di
iscrizioni on line predisposto dal Ministero sia quelli che utilizzano moduli
cartacei – ma anche gli enti locali eventualmente competenti devono
prestare particolare attenzione alle informazioni che richiedono per consentire
l’iscrizione scolastica. I moduli base, ad esempio, possono essere adattati
per fornire agli alunni ulteriori servizi secondo il proprio piano dellâ
€™offerta formativa (PTOF), ma non possono includere la richiesta di
informazioni personali eccedenti e non rilevanti (ad esempio lo stato di salute
dei nonni o la professione dei genitori) per il perseguimento di tale finalità .
Temi in classe
Non lede la privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni lo
svolgimento di temi in classe riguardanti il loro mondo personale o familiare.
Nel momento in cui gli elaborati vengono letti in classe - specialmente se
riguardano argomenti delicati - è affidata alla sensibilità di ciascun
insegnante la capacità di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze didattiche
e la tutela dei dati personali. Restano comunque validi gli obblighi di
riservatezza già previsti per il corpo docente riguardo al segreto dâ
۪ufficio e professionale, nonch̩ quelli relativi alla conservazione dei
dati personali eventualmente contenuti nei temi degli alunni.
Voti ed esami
Gli esiti degli scrutini o degli esami di Stato sono pubblici. Le informazioni
sul rendimento scolastico sono soggette ad un regime di conoscibilitÃ
stabilito dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della
Ricerca. È necessario però che, nel pubblicare i voti degli scrutini e degli
esami nei tabelloni, l’istituto scolastico eviti di fornire, anche
indirettamente, informazioni sulle condizioni di salute degli studenti, o altri
dati personali non pertinenti. Il riferimento alle “prove differenziateâ€
sostenute dagli studenti portatori di handicap o con disturbi specifici di
apprendimento (DSA), ad esempio, non va inserito nei tabelloni, ma deve
essere indicato solamente nell’attestazione da rilasciare allo studente.
Comunicazioni scolastiche
Il diritto-dovere di informare le famiglie sull’attività e sugli avvenimenti
della vita scolastica deve essere sempre bilanciato con l’esigenza di
tutelare la personalità dei minori. È quindi necessario evitare di inserire,
nelle circolari e nelle comunicazioni scolastiche non rivolte a specifici
destinatari, dati personali che rendano identificabili, ad esempio, gli alunni
coinvolti in casi di bullismo o in altre vicende particolarmente delicate.
Disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento
Le istituzioni scolastiche devono prestare particolare attenzione a non
diffondere, anche per mero errore materiale, dati idonei a rivelare lo stato di
salute degli studenti, così da non incorrere in sanzioni amministrative o
penali. Non è consentito, ad esempio, pubblicare on line una circolare
contenente i nomi degli studenti portatori di handicap. Occorre fare
attenzione anche a chi ha accesso ai nominativi degli allievi con disturbi
specifici dell’apprendimento (DSA), limitandone la conoscenza ai soli
soggetti legittimati previsti dalla normativa, ad esempio i professori che
devono predisporre il piano didattico personalizzato.

386
Bianca, C.M., Istituzioni di diritto privato, Milano, Giuffrè Editore 2018,
pag. 15-16.
387
Codice in materia di protezione dei dati personali.
388
“Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche
con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera
circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento
generale sulla protezione dei dati)â€.
389
Tali disposizioni erano previste dall’abrogato art. 11 Decreto
Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, integrato con le modifiche introdotte dal
Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101. Le disposizioni sono oggi
novellate nel Regolamento (UE) 2016/679, art. 5, c. 1.
390
Regolamento (UE) 2016/679, art. 28, c. 1.
391
Per quanto attiene alla scuola, si veda la Delibera ANAC n. 430 del 13
aprile 2016, ovvero “Linee guida sull’applicazione alle istituzioni
scolastiche delle disposizioni di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190 e al
decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33â€.
392
Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97, “Revisione e
semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione,
pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della
legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubblicheâ€.

11.2 La trasparenza amministrativa


Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è normato dalla legge 7
agosto 1990, n. 241393 e succ. mod. che ha rappresentato un momento
significativo nel percorso verso la trasparenza della Pubblica amministrazione
e dunque anche dell’amministrazione scolastica.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi […] costituisce principio
generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza394.
Tuttavia le esigenze di trasparenza non sempre prevalgono su quelle della
segretezza e, in determinati casi espressamente elencati nell’art 24395 della
legge n. 241/1990, regrediscono. Si legge, infatti, al predetto art. 24, che il
diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, o
quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone
fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare
riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale396. La citata
legge n. 241 trova applicazione anche nelle istituzioni scolastiche
disciplinando l’accesso ai documenti amministrativi affinché il
cittadino possa, mediante la visione degli atti amministrativi ostensibili
(ovvero quelli non esclusi dal citato art. 24), verificare la correttezza e
imparzialità dell’attività amministrativa a difesa dei propri diritti.
In materia di accesso, l’art. 22397 fa una elencazione delle definizioni e
princìpi che qui forniamo ai fini di una maggiore comprensione dei
soggetti che intervengono nel processo di accesso agli atti.
Ai fini del Capo V si intende:
a) per “diritto di accessoâ€, il diritto degli interessati di prendere visione
e di estrarre copia di documenti amministrativi;
b) per “interessatiâ€, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata
al documento al quale è chiesto l’accesso;
c) per “controinteressatiâ€, tutti i soggetti, individuati o facilmente
individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dallâ
€™esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza;
d) per “documento amministrativoâ€, ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico
procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti
attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina sostanziale;
e) per “pubblica amministrazioneâ€, tutti i soggetti di diritto pubblico e i
soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico
interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
Il diritto di accesso risponde altresì al dettato costituzionale consacrato
nell’art. 24 della Carta a mente del quale è garantito a tutti di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
Per l’esercizio della tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantita, il
diritto di accesso diventa lo strumento fondamentale che ne assicura la
praticabilità attraverso la visione di documenti dell’amministrazione.
Affinché, però, il diritto di accesso possa essere legittimamente
esercitato, la legge n. 241/1990 impone la sussistenza di un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata
e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso398.
Il diritto di accesso è esercitato mediante esame ed estrazione di copia dei
documenti amministrativi (la legge stabilisce che l’esame dei documenti
è gratuito, mentre il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del
costo di riproduzione). La richiesta di accesso ai documenti deve essere
motivata e rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che
lo detiene stabilmente. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dellâ
€™accesso debbono essere motivati (l’esclusione dal diritto di accesso
è normata dall’art. 24).
Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta.
In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, il richiedente può
presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale o chiedere, al
difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia
riesaminata la suddetta determinazione, nello stesso termine e nei confronti
degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali399.
Nella scuola, il dirigente scolastico che ha ricevuto istanza di accesso agli
atti, entro il termine di trenta giorni, potrà optare tra quattro scelte:
a) accogliere l’istanza: ovvero consentire l’accesso agli atti;
b) rigettare l’istanza: il documento non esiste; vi è difetto di procura,
ecc.;
c) mantenere il silenzio che in subiecta materia equivale a rigetto; si legge
infatti nella norma che scaduti inutilmente trenta giorni dalla richiesta,
questa si intende respinta (art. 25, c. 4, l. n. 241/1990).
d) differire l’accesso: l’accesso ai documenti amministrativi non può
essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento, ex
art. 24, c. 4, L. 241/1990 (Fonte: Tenore, V.).

11.2.1 Accesso informale e accesso formale


Il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184400 disciplina
le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in
conformità a quanto stabilito nel capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Il decreto, agli artt. 5 e 6, opera la distinzione tra accesso informale e accesso
formale:

l’accesso informale può essere esercitato qualora non risulti lâ


€™esistenza di controinteressati. In questo caso il diritto di accesso
può essere esercitato mediante richiesta anche verbale;
qualora non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta
in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del
richiedente, sulla sua identità , sui suoi poteri rappresentativi, sulla
sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle
documentazioni fornite, sull’accessibilità del documento o sullâ
€™esistenza di controinteressati, l’amministrazione invita lâ
€™interessato a presentare richiesta d’accesso formale, di cui lâ
€™ufficio rilascia ricevuta.

In entrambi i casi, il D.P.R. n. 184/2006 dispone che il richiedente debba:

indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli
elementi che ne consentano l’individuazione specificando (ovvero
comprovando) l’interesse connesso all’oggetto della richiesta;
dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di
rappresentanza del soggetto interessato.

Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni


(ai sensi dell’art. 25, c. 4, legge n. 241/1990) decorrenti dalla
presentazione della richiesta all’ufficio competente. Ove la richiesta sia
irregolare o incompleta, l’amministrazione, entro dieci giorni, ne dÃ
comunicazione al richiedente con raccomandata con avviso di ricevimento
ovvero con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione. In tale caso, il
termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della
richiesta corretta. Responsabile del procedimento di accesso é il dirigente,
il funzionario preposto all’unità organizzativa o altro dipendente addetto
all’unità competente a formare il documento o a detenerlo
401
stabilmente .
È evidente come la legge n. 241/1990 abbia apportato “importanti
modifiche nei rapporti tra le pubbliche amministrazioni e i diritti dei
cittadini. Infatti non solo è previsto il diritto di prendere visione degli atti di
un procedimento, ma anche che l’attività amministrativa deve ispirarsi
al principio di trasparenza, inteso come accessibilità alla documentazione
dell’amministrazione o ai riferimenti da quest’ultima utilizzati nellâ
€™assumere una determinata posizioneâ€402. Più volte modificata403, la
legge ha consentito “ai cittadini di veder garantiti i propri diritti nei
confronti dell’amministrazione pubblica: hanno diritto ad una
informazione qualificata, ad accedere ai documenti amministrativi e
conoscere, nei limiti precisati dalla legge, lo stato dei procedimenti
amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui lâ
€™attività amministrativa si articolaâ€404.

11.2.2 Accesso civico


I criteri di trasparenza e di pubblicità dell’attività amministrativa
sanciti dalla legge 241/1990 hanno avuto nel tempo ulteriori e profondi
sviluppi.
La legge 18 giugno 2009, n. 69405 (art. 32, c. 1) ha sancito che a far data dal
1º gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con
la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e
degli enti pubblici obbligati ovvero al fine della eliminazione degli sprechi
relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea le amministrazioni e
gli enti pubblici provvedono alla pubblicazione di tali documenti sui propri
siti informatici con effetto di pubblicità legale.
Un ulteriore rafforzamento del principio della trasparenza è stato introdotto
con il decreto legislativo n. 150/2009406 (cd. riforma Brunetta della P.A.) che
all’art. 11 (successivamente abrogato dal D.Lgs. 33/2013) aveva definito
la trasparenza come “accessibilità totale, anche attraverso lo strumento
della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche,
delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli
indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per
il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di
misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di
favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento
e imparzialità . Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate
dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzioneâ€.
Il Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33407, ha riordinato in un unico
testo la disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità , trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. In
particolare, l’art. 5, novellato dall’art. 6 del Decreto Legislativo n.
97/2016408, estende a chiunque il diritto di richiedere documenti, informazioni
o dati delle pubbliche amministrazioni, nei casi in cui sia stata omessa la loro
pubblicazione. L’esercizio di tale diritto, c.d. accesso civico a dati e
documenti, non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla
legittimazione soggettiva del richiedente; il rilascio di dati o documenti in
formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo
effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la
riproduzione su supporti materiali.
L’istanza di accesso civico va presentata alternativamente ad uno dei
seguenti uffici:
a) all’ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;
b) all’ufficio relazioni con il pubblico;
c) ad altro ufficio indicato dall’amministrazione nella sezione â
€œAmministrazione trasparente†del sito istituzionale;
d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove
l’istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di
pubblicazione obbligatoria, come disposto dal novellato decreto n. 33/2013.
L’istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i
documenti richiesti e non richiede motivazione.
L’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua
soggetti controinteressati, è tenuta a dare comunicazione agli stessi
mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per
via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di
comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i
controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via
telematica, alla richiesta di accesso.
Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento
espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dellâ
€™istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali
controinteressati. In caso di accoglimento, l’amministrazione provvede a
trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti. Nel
caso in cui l’istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi dello stesso decreto, lâ
€™amministrazione provvede a pubblicare sul sito i dati, le informazioni o i
documenti richiesti e a comunicare al richiedente l’avvenuta
pubblicazione dello stesso, indicandogli il relativo collegamento ipertestuale.
In caso di accoglimento della richiesta di accesso civico nonostante lâ
€™opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata
indifferibilità , l’amministrazione ne dà comunicazione al
controinteressato e provvede a trasmettere al richiedente i dati o i documenti
richiesti non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa
comunicazione da parte del controinteressato.
L’accesso civico è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un
pregiudizio concreto a tutela della sicurezza pubblica e ordine pubblico,
sicurezza nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali,
politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato, conduzione di
indagini sui reati e il loro perseguimento, o il regolare svolgimento di
attività ispettive409.
Con il citato decreto legislativo. n. 97/2016, correttivo del decreto n.
33/2013, il legislatore ha introdotto il cosiddetto accesso civico
generalizzato in attuazione dei principi sanciti dalla legge Madia (legge n.
124/2015), così adeguando la normativa italiana al modello FOIA
(Freedom of Information Act410).
Con tale intervento normativo l’ordinamento italiano, di fatto, ha elevato
la facoltà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche
amministrazioni come un diritto fondamentale.
In altri termini, il diritto all’informazione è diventata la regola generale
mentre la riservatezza e il segreto sono le eccezioni.
In estrema sintesi si tratta di un diritto di accesso non condizionato dalla
titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i
dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni,
ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione.
La ratio della riforma, come precisato dall’ANAC (Autorità Nazionale
Anticorruzione), risiede nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione del cittadino al
dibattito pubblico (art. 5, comma 2 del decreto trasparenza, D.Lgs. 33/2013).
Ciò in attuazione del principio di trasparenza che il novellato articolo 1,
comma 1, del decreto 33/2013 ridefinisce come accessibilità totale dei dati e
dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni; dunque, non più
solo finalizzata a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ma
soprattutto, e con una modifica assai significativa, come strumento di tutela
dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati
all’attività amministrativa.
L’intervento normativo, di fatto, valorizza e concretizza quanto giÃ
previsto nel c. 2 dell’art. 1 del D.Lgs. 33/2013 secondo cui la trasparenza
è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché
dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona
amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione
aperta, al servizio del cittadino.
La trasparenza diviene, quindi, principio cardine e fondamentale dellâ
€™organizzazione delle pubbliche amministrazioni e dei loro rapporti con i
cittadini.
In coerenza con il quadro normativo, il diritto di accesso civico generalizzato
si configura - come il diritto di accesso civico disciplinato dall’art. 5,
comma 1 - come diritto a titolarità diffusa, potendo essere attivato “da
chiunque†e non essendo sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla
legittimazione soggettiva del richiedente (comma 3).
A ciò si aggiunge un ulteriore elemento, ossia che l’istanza “non
richiede motivazioneâ€. In altri termini, tale nuova tipologia di accesso civico
risponde all’interesse dell’ordinamento di assicurare ai cittadini (a â
€œchiunqueâ€), indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridiche
soggettive, un accesso a dati, documenti e informazioni detenute da
pubbliche amministrazioni e dai soggetti indicati nell’art. 2-bis del D.Lgs.
33/2013 come modificato dal D.Lgs. 97/2016.
Si estende dunque l’istituto dell’accesso civico semplice a forme di
accesso civico generalizzato.
Accesso civico semplice (D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Accesso civico generalizzato (D.Lgs. 14 marzo 2013, n.
art. 5, c. 1) 33, art. 5, c. 2)
L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul
alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, perseguimento delle funzioni istituzionali e sullâ
informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di €™utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la
richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di
loro pubblicazione. accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche
amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di
pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto
dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente
rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis.
Per l’accesso civico generalizzato occorre fare riferimento alle Linee
guida ANAC 411, di cui alla Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, in cui
sono date specifiche indicazioni ed esplicitano la distinzione fra accesso
generalizzato e accesso civico che qui riportiamo.
Distinzione fra accesso generalizzato e accesso civico
L’accesso generalizzato non sostituisce l’accesso civico â
€œsemplice†(d’ora in poi “accesso civicoâ€) previsto dall’art. 5,
comma 1 del decreto trasparenza, e disciplinato nel citato decreto già prima
delle modifiche ad opera del D.Lgs. 97/2016. L’accesso civico rimane
circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di
pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi
di pubblicazione imposti dalla legge, sovrapponendo al dovere di
pubblicazione, il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e
informazioni interessati dall’inadempienza.
I due diritti di accesso, pur accomunati dal diffuso riconoscimento in capo a â
€œchiunqueâ€, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica
soggettiva connessa, sono quindi destinati a muoversi su binari differenti,
come si ricava anche dall’inciso inserito all’inizio del comma 5 dellâ
€™art. 5, “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoriaâ€, nel quale
viene disposta l’attivazione del contraddittorio in presenza di
controinteressati per l’accesso generalizzato.
L’accesso generalizzato si delinea come affatto autonomo ed
indipendente da presupposti obblighi di pubblicazione e come espressione,
invece, di una libertà che incontra, quali unici limiti, da una parte, il
rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5
bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono
specifiche esclusioni (art. 5 bis, comma 3).
Distinzione fra accesso generalizzato e accesso agli atti ex l. 241/1990
Come esposto nelle citate Linee guida, l’accesso generalizzato deve
essere anche tenuto distinto dalla disciplina dell’accesso ai documenti
amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n.
241 (d’ora in poi “accesso documentaleâ€).
La finalità dell’accesso documentale ex L. 241/1990 (diversamente da
quella sottesa all’accesso generalizzato) è quella di porre i soggetti
interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà (partecipative e/o
oppositive e difensive) che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle
posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari.
Più precisamente, dal punto di vista soggettivo, ai fini dell’istanza di
accesso ex lege 241 il richiedente deve dimostrare di essere titolare di un â
€œinteresse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale eÌ€ chiesto lâ
€™accessoâ€.
Per di più, mentre la legge 241/1990 esclude, inoltre, perentoriamente lâ
€™utilizzo del diritto di accesso ivi disciplinato al fine di sottoporre lâ
€™amministrazione a un controllo generalizzato, il diritto di accesso
generalizzato, oltre che quello “sempliceâ€, eÌ€ riconosciuto proprio â
€œallo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di
promuovere la partecipazione al dibattito pubblicoâ€.
Dunque, l’accesso agli atti di cui alla l. 241/1990 continua certamente a
sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non),
operando sulla base di norme e presupposti diversi.
Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi
interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per
caso tra tali interessi.
In sostanza, essendo l’ordinamento ormai decisamente improntato ad una
netta preferenza per la trasparenza dell’attività amministrativa, la
conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola, sebbene tale regola
sia temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi -pubblici
e privati- che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe
informazioni.
Vi saranno dunque ipotesi residuali in cui sarà possibile, ove titolari di una
situazione giuridica qualificata, accedere ad atti e documenti per i quali è
invece negato l’accesso generalizzato.
Si consideri, d’altra parte, che i dinieghi di accesso agli atti e documenti
di cui alla legge 241/1990, se motivati con esigenze di “riservatezzaâ€
pubblica o privata devono essere considerati attentamente anche ai fini dellâ
€™accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia
identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dellâ
€™accesso ex L. 241/1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha
proposta. Si intende dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con
riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto
di accesso ex L. 241/1990, motivandolo con la necessità di tutelare un
interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di
una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di
coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente
riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di
tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di
una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti.
Tali esigenze dovranno essere comunque motivate in termini di pregiudizio
concreto all’interesse in gioco. Per ragioni di coerenza sistematica,
quando è stato concesso un accesso generalizzato non può essere negato,
per i medesimi documenti e dati, un accesso documentale.

393
“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativiâ€.
394
Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 22, come sostituito dall’art. 15, co.
1, L. 11 febbraio 2005, n. 15, c. 2, comma così sostituito dall’art. 10,
co. 1, lett. a), L. 18 giugno 2009, n. 69.
395
Come modificato dall’art. 22, comma 1, lett. b), L. 13 febbraio 2001,
n. 45, poi così sostituito dall’art. 16, comma 1, L. 11 febbraio 2005, n.
15.
396
Si veda l’art. 24 per l’elencazione di altri casi.
397
Articolo così sostituito dall’art. 15, co. 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15.
398
Legge 241/1990, art. 22, comma 1, lett. b).
Inoltre, per quanto riguarda l’interesse ad accedere, questo è stato
sempre considerato coincidente con un’esigenza di tutela di una
situazione giuridicamente rilevante (Con. di Stato, sez. VI, sen. 22 marzo
1992, n. 193; Con. di Stato, sez. V, sen. 14 ottobre 1998, n. 1478). In base a
quanto afferma l’art. 2 del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, emanato in
attuazione dell’art. 24 comma II della L. n. 241, l’interesse a ricorrere
deve essere personale e concreto e non avere uno scopo emulativo (Con. di
Stato, sez. IV, sen. 11 gennaio 1994, n. 8) o riconducibile a mera curiositÃ
(Con. di Stato, sez. IV, sen. 2 febbraio 1996, n. 98, in Con. di Stato, 1996, I,
p.45). La Pubblica Amministrazione deve accertare l’esistenza dellâ
€™interesse riferendosi alle finalità che l’istante dichiara di perseguire
(Con. di Stato, sez. IV, sen. 27 agosto 1998, n. 1131); tale valutazione deve
essere compiuta in astratto, senza che possa essere operata alcuna valutazione
in ordine alla fondatezza di una successiva domanda giurisdizionale (Con. di
Stato, sez. IV, sen. 26 novembre 1993, n. 1036; Con. di Stato, sez. IV, sen. 8
settembre 1995, n. 688). Fonte: diritto.it
399
Legge n. 241/1990, art. 25, Rubrica aggiunta dall’art. 21, comma 1,
lett. ee), L. 11 febbraio 2005, n. 15.
400
“Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti
amministrativiâ€.
401
D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, art. 6, commi 4, 5, 6.
402
Fonte: qualitapa.gov.it
403
Le ultime rilevanti modifiche sono state apportate dal D.L. 31 maggio
2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108.
404
Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione
pubblica.
405
Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile.
406
Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni.
407
Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, “Riordino della disciplina
riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità ,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni†(titolo così sostituito dall’art. 1, c. 1, D.Lgs. n. 97
del 2016), approvato ai sensi dell’art. 1, commi 35 e 36 della legge
anticorruzione 6 novembre 2012, n. 190. La Corte Costituzionale, nella
sentenza 20/2019, ha evidenziato come con la legge 6 novembre 2012, n.
190, la trasparenza amministrativa viene elevata anche al rango di principio-
argine alla diffusione di fenomeni di corruzione.
408
Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione
della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre
2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dellâ
€™articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
409
Art. 5-bis, D.Lgs. n. 33/2013: articolo introdotto dall’art. 6, comma 2,
Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97.
410
La normativa cosiddetta FOIA (Freedom of Information Act), introdotta
con decreto legislativo n. 97 del 2016, è parte integrante del processo di
riforma della pubblica amministrazione, definito dalla legge 7 agosto 2015, n.
124. L’accesso civico generalizzato garantisce a chiunque il diritto di
accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni, se
non c’è il pericolo di compromettere altri interessi pubblici o privati
rilevanti, indicati dalla legge. Con la normativa FOIA, l’ordinamento
italiano riconosce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle
pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale. Il principio che guida
l’intera normativa è la tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo
di tutti i soggetti della società civile: in assenza di ostacoli riconducibili ai
limiti previsti dalla legge, le amministrazioni devono dare prevalenza al
diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute
dalla pubblica amministrazione. L’accesso civico generalizzato, istituito
dalla normativa FOIA, differisce dalle altre due principali tipologie di
accesso già previste dalla legislazione. A differenza del diritto di accesso
procedimentale o documentale (regolato dalla legge n. 241/1990), garantisce
al cittadino la possibilità di richiedere dati e documenti alle pubbliche
amministrazioni, senza dover dimostrare di possedere un interesse
qualificato. A differenza del diritto di accesso civico “sempliceâ€
(regolato dal D.Lgs. n. 33/2013), che consente di accedere esclusivamente
alle informazioni che rientrano negli obblighi di pubblicazione previsti dalla
legge (in particolare, dal decreto legislativo n. 33 del 2013), l’accesso
civico generalizzato si estende a tutti i dati e i documenti in possesso delle
pubbliche amministrazioni, all’unica condizione che siano tutelati gli
interessi pubblici e privati espressamente indicati dalla legge (Fonte:
http://www.funzionepubblica.gov.it/foia-7)
411
“Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle
esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, co. 2 del
D.Lgs. 33/2013â€.
11.3 Disposizioni in materia di prevenzione della
corruzione. Ruolo dell’ANAC (AutoritÃ
nazionale anticorruzione)412
Preliminarmente occorre ribadire che gli istituti, le scuole di ogni ordine e
grado, le istituzioni educative, espressamente ricomprese tra le
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, sono destinatarie delle disposizioni in materia di
prevenzione della corruzione e trasparenza previste dalla legge n. 190/2012,
dai decreti attuativi, dal PNA (Piano Nazionale Anticorruzione) 2019/2021
approvato dall’Autorità con delibera n. 1064 del 13 novembre 2019 e
dai suoi successivi aggiornamenti.
Alla luce di tali disposizioni, l’Autorità nazionale anticorruzione
(ANAC) fornisce, nel rispetto della particolarità delle istituzioni scolastiche,
alcune indicazioni volte a orientare dette istituzioni nell’applicazione
della normativa anticorruzione e della disciplina in materia di trasparenza e
definisce alcune misure organizzative per consentire una piena attuazione,
non formalistica, del disposto normativo. Le Linee guida fornite con la
Delibera n. 430 del 13 aprile 2016 sono rivolte alle istituzioni scolastiche
statali cui è stata riconosciuta autonomia didattica, organizzativa e
gestionale ai sensi del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275.
Anche per le istituzioni scolastiche statali debbono essere individuati il
Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC) e il Responsabile
della trasparenza (RT).
Il Responsabile della prevenzione della corruzione
Nella Delibera n. 430/2016 è rappresentato in via preliminare come alla luce
del ruolo ricoperto e delle funzioni svolte dal dirigente scolastico cui compete
l’adozione di tutti i provvedimenti e atti di gestione delle risorse umane,
finanziarie e strumentali nell’ambito dell’istituzione scolastica di cui
è responsabile, l’Autorità non ritiene opportuno che lo stesso possa
assumere anche il ruolo di Responsabile della prevenzione della corruzione
(RPC). In quanto unica figura dirigenziale presente nelle istituzioni
scolastiche, l’attribuzione dell’incarico di RPC al dirigente scolastico
potrebbe, dunque, comportare uno svolgimento non efficiente delle funzioni e
dei compiti che la normativa prevede in capo allo stesso RPC, ciò in quanto
al dirigente competono attribuzioni e responsabilità di attività a rischio di
fenomeni corruttivi.
Stante il particolare assetto delle strutture preposte all’istruzione, lâ
€™Autorità ritiene necessario indirizzare la scelta del RPC verso altre
figure di livello dirigenziale che, seppure non organicamente inserite nelle
singole istituzioni scolastiche, siano idonee a svolgere tale incarico. In
considerazione del disposto normativo dell’art. 43 del decreto legislativo
n. 33/2013 secondo il quale all’interno di ogni amministrazione il
responsabile per la prevenzione della corruzione […] svolge, di norma, le
funzioni di Responsabile per la trasparenza, la delibera ANAC 430/2016
dispone che tenuto conto dell’articolazione periferica del sistema
scolastico e dei rapporti che intercorrono tra le istituzioni scolastiche e lâ
€™Amministrazione ministeriale, si ritiene di individuare il RPC nel
Direttore dell’Ufficio scolastico regionale413 le cui funzioni sono
rinvenibili nel coordinamento e monitoraggio delle attività di prevenzione
della corruzione assumendo le correlate responsabilità attribuite dalla
normativa per l’ambito territoriale di competenza.
Considerato l’ambito territoriale particolarmente esteso, al fine di
agevolare il RPC, i dirigenti di ambito territoriale operano quali referenti del
RPC […] mentre i dirigenti delle singole istituzioni scolastiche sono i
soggetti cui compete l’attuazione delle misure individuate nel Piano. A
tal fine è da rilevare che le misure, essendo di natura organizzativa e di
gestione delle ordinarie attività amministrative da attuare laddove il rischio
corruttivo è più elevato, rientrano integralmente tra le attività di
pertinenza dei dirigenti scolastici.
Il Responsabile della trasparenza
L’art. 43 del D.Lgs. n. 33/2013, nel delineare i compiti del RT, specifica
che il RPC di cui all’art. 1, co. 7, della legge n. 190/2012 svolge, di
norma, anche le funzioni di Responsabile della trasparenza. Considerata,
tuttavia, la numerosità delle istituzioni scolastiche che insistono su alcuni
ambiti territoriali e l’esigenza di garantire la qualità delle informazioni
da pubblicare, la correlazione con i bisogni informativi propri di ogni
istituzione scolastica, il loro costante aggiornamento, la completezza, la
tempestività dei dati, l’Autorità ritiene di individuare il dirigente
scolastico quale Responsabile della trasparenza di ogni istituzione scolastica.
Questo consente di acquisire e gestire i dati direttamente alla fonte, assicurare
una costante verifica sull’adempimento degli obblighi di pubblicazione
previsti dalla normativa vigente e garantire la qualità dei dati pubblicati,
come disposto dall’art. 6 del D.Lgs. n. 33/2013. Il Responsabile della
trasparenza, ai sensi dell’art. 5, co. 2, del D.Lgs. n. 33/2013, si pronuncia
in ordine alla richiesta di accesso civico e ne controlla e assicura la regolare
attuazione. Nel caso in cui il RT non ottemperi alla richiesta, il titolare del
potere sostitutivo di cui all’art. 5, co. 4, è individuato nel dirigente dellâ
€™ambito territoriale414.
Piano triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza
Prima della novella apportata dall’art. 10 del D.Lgs. 97/2016, il comma 1
dell’art. 10 del D.Lgs. n. 33/2013 prevedeva l’adozione da parte di
ogni amministrazione di un Programma triennale per la trasparenza e lâ
€™integrità , da aggiornare annualmente. Nella nuova formulazione del
D.Lgs. 33/13, tale obbligo viene abrogato.
In ragione di ciò, è stata prevista la piena integrazione del Programma
triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI) nel Piano triennale di
prevenzione della corruzione, che ha assunto la nuova denominazione di
Piano triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza
(PTPCT), di cui alla delibera n. 831/2016 dell’Autorità sul PNA 2016.
Il Piano Triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza
(PTPCT), secondo il disposto dell’articolo 1, c. 5, della Legge 6
novembre 2012, n. 190, costituisce la modalità principale attraverso la quale
le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono al
Dipartimento della funzione pubblica un piano di prevenzione della
corruzione che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione
degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a
prevenire il medesimo rischio.
Il PTPCT rappresenta dunque lo strumento attraverso il quale il Ministero
descrive il “processo†finalizzato ad implementare una strategia di
prevenzione del fenomeno corruttivo ovvero all’individuazione e allâ
€™attivazione di azioni, ponderate e coerenti tra loro, capaci di ridurre
significativamente il rischio di comportamenti corrotti. Esso, quindi, è
frutto di un processo di analisi del fenomeno stesso e di successiva
identificazione, attuazione e monitoraggio di un sistema di prevenzione della
corruzione.
Ai fini della piena accessibilità delle informazioni pubblicate, il D.Lgs.
33/2013 prescrive che nella home page dei siti istituzionali è collocata unâ
€™apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente», al cui
interno sono contenuti i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi
della normativa vigente.
Nella stessa sezione ogni amministrazione ha l’obbligo di pubblicare
il Piano triennale per la prevenzione della corruzione. Ogni istituzione
scolastica provvede ad inserire nella sezione “Amministrazione
trasparente†un link con un rinvio al Piano pubblicato dall’USR.
Dispone infatti l’art. 1, c. 15, della legge n. 190/2012 che ai sensi dellâ
€™art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, la trasparenza
dell’attività amministrativa […] costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti sociali e civili (come già sancito dal D.Lgs.
150/2009) ed è assicurata mediante lo strumento della pubblicazione sui siti
istituzionali delle amministrazioni pubbliche delle informazioni concernenti
ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli strumenti
gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni
istituzionali […] allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto
dei principi di buon andamento e imparzialità .
Il Piano, la cui adozione è comunicata via mail a ciascun dirigente
scolastico ed a ciascuna istituzione scolastica, è precipuamente rivolto a
tutto il personale dipendente ed in servizio presso le istituzioni scolastiche del
territorio regionale, ivi compreso quello con qualifica dirigenziale, con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato, a tempo pieno e a
tempo parziale, nonché il personale comandato. Ciascun dipendente è
tenuto al rispetto delle misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nellâ
€™amministrazione.
A tal proposito è da dire che il pubblico dipendente che, nell’interesse
dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile
della prevenzione della corruzione e della trasparenza […] ovvero allâ
€™Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autoritÃ
giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a
conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere
sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura
organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di
lavoro determinata dalla segnalazione415.
Sempre in tema di trasparenza, al fine di operare una valutazione comparativa
dei Piani triennali dell’offerta formativa (PTOF), tale opportunità è
stata maggiormente incentivata dall’istituzione del “Portale unico dei
dati della scuola†(Legge 107/2015, art. 1, c. 136 sgg.) con il quale si
garantisce stabilmente l’accesso e la riutilizzabilità dei dati pubblici del
sistema nazionale di istruzione e formazione, pubblicando in formato aperto:

i dati relativi ai bilanci delle scuole;


i dati pubblici afferenti al Sistema nazionale di valutazione;
l’Anagrafe dell’edilizia scolastica;
i dati in forma aggregata dell’Anagrafe degli studenti;
i provvedimenti di incarico di docenza;
i piani dell’offerta formativa, compresi quelli delle scuole paritarie
del sistema nazionale di istruzione;
i dati dell’Osservatorio tecnologico;
i materiali didattici e le opere autoprodotti dagli istituti scolastici e
rilasciati in formato aperto;
i dati, i documenti e le informazioni utili a valutare l’avanzamento
didattico, tecnologico e d’innovazione del sistema scolastico.

Come disposto dall’art. 1, c. 8, della legge n. 190/2012, l’organo di


indirizzo adotta il Piano triennale per la prevenzione della corruzione su
proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della
trasparenza entro il 31 gennaio di ogni anno e ne cura la trasmissione allâ
€™Autorità nazionale anticorruzione.
Il Piano, dunque, è adottato annualmente dall’Organo di indirizzo
politico con una valenza triennale.
Il ruolo dei dirigenti scolastici
La circolare n. 1/2013 del Dipartimento della funzione pubblica sottolinea
come l’esame del quadro normativo rende chiaro che lo sviluppo e lâ
€™applicazione delle misure di prevenzione della corruzione sono il risultato
di un’azione sinergica e combinata dei singoli dirigenti scolastici e del
responsabile della prevenzione, secondo un processo bottom-up in sede di
formulazione delle proposte e top-down per la successiva fase di verifica ed
applicazione.
Tutti i dirigenti scolastici, con riferimento alla singola istituzione scolastica,
anche attraverso la partecipazione alle conferenze di servizio appositamente
convocate dal RPCT, partecipano al processo di gestione del rischio;
verificano che siano rispettate dai propri preposti le misure necessarie alla
prevenzione degli illeciti nell’amministrazione; rispettano e fanno
rispettare le prescrizioni contenute nel PTPCT; osservano le misure contenute
nel PTPCT segnalando, tempestivamente, qualsiasi anomalia accertata
adottando, laddove possibile, le azioni necessarie per eliminarle oppure
proponendole al Responsabile della prevenzione della corruzione o al
Referente, ove non rientrino nella competenza dirigenziale.

412
La trattazione che segue ha per oggetto di indagine procedimenti normativi
che a un lettore privo di una conoscenza preliminare dell’argomento
possono risultare alquanto ostici. Parte dell’esposizione normativa che
qui illustriamo è desunta dal “Piano triennale di prevenzione della
corruzione 2020 – 2022 del Ministero dell’istruzione†e dal “Piano
triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza per le
istituzioni scolastiche dell’Emilia-Romagna, 2020-2022â€, dove ne viene
magistralmente tracciata una cronologia che qui rappresentiamo in larga
misura rielaborata. Per una disamina esaustiva, si rimanda ai Piani in parola.
413
Sebbene la norma, prevedendo la nomina di un Responsabile della
prevenzione e della corruzione, abbia inteso concentrare in un unico soggetto
le iniziative e le responsabilità della complessa azione di prevenzione, non
si può escludere che possano essere individuati “referenti†che siano di
supporto all’attività svolta dal RPCT nell’assolvimento dei compiti
assegnategli. In particolare, al fine di consentire l’effettiva attuazione del
Piano triennale di prevenzione della corruzione e dalla trasparenza del
Ministero dell’Istruzione, in ragione della complessa struttura
organizzativa che caratterizza l’apparato ministeriale, vengono
individuati nei Capi dipartimento e nei Direttori generali delle strutture
centrali e periferiche i Referenti del Responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza. Negli uffici scolastici regionali che a seguito
della riorganizzazione ministeriale di cui al D.P.C.M. 21 ottobre 2019, n.
140, in relazione alla popolazione studentesca della relativa Regione sono di
livello dirigenziale non generale, il referente della prevenzione della
corruzione eÌ€ individuato nel dirigente di seconda fascia preposto allâ
€™USR stesso.
414
Autorità Nazionale Anticorruzione, Delibera n. 430 del 13 aprile 2016.
415
Testo unico sul Pubblico impiego, D.Lgs. n. 165/2001, art. 54 bis, inserito
dall’art. 1, comma 51, L. 6 novembre 2012, n. 190 e modificato dall’
art. 31, comma 1, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni,
dalla L. 11 agosto 2014, n. 114. Successivamente, il presente articolo è stato
così sostituito dall’ art. 1, comma 1, L. 30 novembre 2017, n. 179.

Potrebbero piacerti anche