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ffitu
Una precisazione preliminare
o
filosofiche come epressione di un tentativo di chiarire
a se stessi e agli altri la propria concezionedel mondo
e dell'esistenzaumana.
Questo tentativo, se inquadrato in un contesto di
realt autentica, che poi il fluire continuo della vita,
fa sorgere il problema filologico di ci che il testo
realmente significava quando, secoli o millenrri fa,
venne scritto dal filosofo: il problema di tutti i
traduttori che si trovano a trasferire da una cultura ad
un'altra, il senso di simboli convenzionali che, come il
linguaggio, mutano continuamente nel divenire storico
il loro spessoresemantico.
Non solo,ma oltre a queste difficolt, c' il problema
del definire fino a che punto il frlosofo riuscito ad
esaurire, nel costrutto linguistico da lui scelto nel
momento in cui ha scritto,le intuizioni che si proiettano,
al limite, in una dimensione aspaziale, atemporale, ir.-
quella dimensione metafisica in cui, per definizione,
nessuna descrizione analitico concettuale potr mai
esaurire la profondit dell'intuizione.
Sorge, allora, il problema intorno a ci che il filosofo
che si sta esaminando pu aver voluto dire al di l del
sensoe delle interpretazioni che la lettera morta di uno
scritto pu avere originato nei secoli successivi.
Nel momento in cui si accetta la tesi che il pensiero
umano, quando tenta di esprimere iI mistero della vita
con gli strumenti logico-concettuali e linguistici, non
mai in grado di rendere compiutamente le pi riposte
e profonde sfumature di una intuizione, si arriva ne-
cessariamentealla conclusionecheI'arroccarsiin difesa
di una interpretazione tramandataci come definitiva
rischia di uccidere l'originalit di un pensiero di cui,
pure, nelle intenzioni si vuole rispettare I'autenticit.
Qui si scelto di.andare al di l delle parole scritte,
sapendo che ci potr dare origine ad una serie infinita
di discussioni sulla cowettezza delle tesi sostenute ma,
questa scelta, motivata dalla intenzione di far riemer-
gere in noi, in una dimensione pi ricca e pi ampia,
quelle radici della nostra cultura che i filosofi che ci
hanno preceduto rappresentano.
Consapevoli di questo rischio si preferito tentare
la strada che privilegia la realt del presente, vedendo
nella crescita di coscienzadi chi oggi si chiede il perch
della propria esistenza, l'occasione perch i grandi del
passato non siano ridotti a reperti fossili da tenere
chiusi, ben riparati, nella bacheca di un museo.
8
Nota
- 1 1-
saldamente abbarbicati a quelle strutture e istituzioni
che vedono nella filosofia un parente povero ma le cui
nobili origini ne legittimano Ia presenza a livelli acca-
demici.
Qui invece si vuole riproporre la filosofia come il
momento pi alto di conoscenzaa cui l'uomo possa
tendere, anche se in questo senso non pu godere di
molto favore da parbe delle istituzioni che detengono il
potere.
A questo punto occolTe ridefinire il significato del
termine conoscenza:se con essointendiamo la capacit
di trasformarsi in risultati concreti sul piano materiale,
la filosofia non in grado di sostituirsi alla scienza.Pur
convinti che la filosofia sia il momento pi qualificante
I'essereumano comerealt coscientedi s,non abbiamo
nessuna pretesa di operare questa sostituzione: inevi-
tabilmente si deve ricorrere alla scienzaper le soluzioni
dei problemi esistenziali nella loro dura immediatezza
ma, al di l di questo ordine di problemi e, anzi,
paradossalmente,nella misura in cui questi problemi
vengono progressivamente risolti grazie alla scienza
applicata, riemerge insopprimibile e contemporanea-
mente inappagato il bisogno di dare un senso al nostro
essercie al nostro esserenel mondo.
In tal modo la fiIosofia diventa un momento di ricerca
e di riflessione che va oltre la scienza e si sowappone
alla religione nella misura in cui vuole esseremomento
di consapevolezzaconquistata in modo personalee non
recuperata come verit gi definita che altri ci possono
oftire.
In realt poi il discorso diventa via via pi dialettico
e sfumato, per cui lo scienziato che si chiede il perch
-72-
e I'origine della materia sta facendoun discorsofiloso-
fico, proprio in quanto le sue ipotesi non si traducono
e per chiss quanto tempo non potranno tradursi in
ipotesi falsificabili sul piano oggettivo sperimentale.
Cos,d'altra parte, iI credenteche,non pago di una fede
che gli impone di rinunciare alla critica razionale nei
confronti di asserzionidefinite comedogmi e misteri da
crederenella loro irrazionalit, tenta Ia strada intuitiva
per andare al di l di ci che nel testo sacro diventato
unaformula chelevarie istituzioni religiosepretendono
di avere decodificato una volta per tutte, si ritrova
alch'egli su un piano che filosofico. Quel piano, ci,
che si qualifica come il tentativo di giustifrcare e
comprenderese stessi giungendo a conquistare la pace
e la serenit interiore e, quindi, a riconciliarsi con la
vita, ma con la sensazione di gestire personalmente
questa ricerca.
Non per nulla sia questotipo di scienziatoche questo
tipo di credente sonononnalmente considerati scomodi
all'interno delle istituzioni: in campo religioso, specie
nell'area cristiano islamica, la difesa di verit definiti-
vamente acquisite dura e intransigente; nell'area
scientifica questa chiusura meno rigida e gli spazi per
una possibile rimessa in discussionedi verit cristal-
lizzate sono pi ampi. Ma, anche in campo scientifico,
la vischiosit di un sapereancorato a certezzeacquisite
ha sempre reso dura la vita a chi proponevaipotesi di
spiegazionedella realt comportanti la revisione critica
di quelle certezze con le quali, per esempio, si sono
giustificati frnanziamenti e creazionedi grossestruttu-
re di ricerca e di potere.
Alla luce di questeconsiderazionipossiamoaffermare
-13-
che qualunque essere umano che voglia affenrrare la
propria libe di ricerca poatore di una esigenza
fiIosofica, intendendo con ci una concezionedella vita
all'interno della quale I'individuo trova la giustificazio-
ne delle proprie scelte e delle proprie posizioni.
Non quindi possibile individuare sul piano storico-
geografico il momento della nascita della filosofia.
Se accettiamo come riflessione filosofica il porsi
dell'uomo in termini di presa di coscienza del mistero
dell'essere non si pu negare che la filosofia non ha
patria n atto cronologico di nascita.
L'afferrnazione che la nascita della filosofia indivi-
duabile nella Grecia agli inizi del VI secoloavanti Cristo
, semplicemente, la scoperta che in quel determinato
contesto storico, nell'area mediterranea che sar desti-
nata nei secoli successivi a produrre quella che oggi
chiamiamo civilt occidentale, capace di costringere il
mondo intero a confrontarsi anche brutalmente con
essa,esistono spiegazioni del mondo che si pongonoin
termini critici nei confronti di istituzioni politico-reli-
giose che gi si erano cistallizzate in leggi e dottrine
che proponevano agli uomini concetti preconfezionati
di verit e di errore, di bene e di male.
Da un altro punto di vista, I'affermazione che la
filosofia nasce proprio nella Grecia antica rivelatrice
di quella inconscia siqtrezza che ci giustifica come eredi
di questa civilt, legittimati nell,a nostra pretesa di
insegnare al mondo quello che il modo pi giusto di
vivere e di pensare.
Se invece riusciamo a spogliarci di questa pretesa,
potremo, senza con ci negare il valore storico di un
pensiero filosofi.cocorriequello greco antico, con-siervare
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la capacit di cogliere I'emergere in esso di intuizioni
che, lungi dal costituire diritto di primogenitura e di
superiorit della civilt europea, ci permettono di per-
cepire una dimensione filosofica che ha radici'ben pi
antiche e di cui, al limite, la civilt greca stata
strumento di diffusione.
La tesi secondocui i saggi della Grecia antica abbiano
tratto ispirazione e insegnamenti dall'oriente non
fondata sulla certezza e abbondanzadi documenti che
la storia come scienza si augurerebbe, ma sembra
veramente assurdo negare che, per i greci, secolari
rapporti economico-politicicon la Persia e I'Egitto siano
stati occasioneper la conoscenzaindiretta della cultura
dell'Asia meridionale, area geografica con la quale sia
la Persia che I'Egitto avevanorapporti sicuri e costanti.
Le testimonianze, secondocui non pochi filosofi della
antica Grecia awebbero visitato l'Egitto e sarebbero
stati iniziati al sapere esoterico che veniva insegnato
nei suoi templi pi famosi, sono spessocos vaghe da
poter parlare di leggende ma, contemporaneamente,
non sono definibili cot: certezza come false e lasciano
quindi spazio per una concezionedel divenire della
civilt umana intesa come il crescere e il progressivo
articolarsi in tempi e luoghi diversi di un pensiero che
ha una sua unit e organicit: la constatazionedell'im-
possibilit di coglierne sia il tempo che il luogo di origine
potrebbe rendere pi agevole una maggiore flessibilit
mentale, con la conseguentedisponibilit a confrontarsi
senza complessi di superiorit verso culture e popoli
che oggi, nel divenire dialettico della storia, ci possono
apparire pi come soggetti passivi che attivi.
- lD -
La scuola ionica
-t7-
attraverso il quale si manifesta la vita, anzi, sono la
vita, contengonoin s la vita e, proprio per ci, racchiu-
dono il segreto, I'essenzadegli esseri viventi e, quindi,
dell'uomo.
Entrambi gli elementi, l'acqua e l'aria,devonoessere
considerati, in quanto principi primi della realt, non
nella loro dimensione fenomenica e quindi per noi gi
visibile e palpabile.
Devono esserericondotti ad un piano di pura intui-
zione e, per certi versi, rappresentano qualcosa di
analogo all'etere, ipotizzato dalla fisica fino alle soglie
del XX secolo,con il quale si spiegava la possibilit di
fenomeni percepibili quali la propagazionedella luce e
la manifestazione delle forze gravitazionali: assoluta-
mente impalpabile, trasparente. elastico, doveva riem-
pire gli spazi interstellari; era lo spazio assoluto di
Newbon e, in questo senso, era ci da cui e in cui
emergeva la realt.
E chiaro a questo punto che il problema della morte
non si pone pi nei termini a cui la nostra cultura ci
ha abituati.
Entrambi i filosofi anticipano, in un cetto senso,
I'affermazione di Lavoisier che nulla si crea e nulla si
distrugge ma tutto il risultato di una trasformazione,
per cogliere la quale occorre acquisire una dimensione
cosmico-geologica del tempo.
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ai piedi di un'alta montagna dove, chiudendo gli occhi,
non si sente altro che il lontano scrosciaredell'acqua e
il sibilo dell'aria lungo i franchi del rilievo montuoso.
In quella immensa solitudine ie uniche forze agenti
percepitecomepossibili causee modellatrici dellarealt
sono proprio i principi di Talete e di Anassimene e la
nostra individualit si perde. Se in quel momento ci
poniamo iI problema del significato di tutto ci non
abbiamo colto a fondo il messaggiodei due filosofi: noi,
e quel noi non il nostro corpo ma la nostra sensibilit
nella sua pr.rradimensionedi consapevolezza,no siamo
I'acqua o l'aria cosciente di se stessa. N Talete n
Anassimene spingono Ie riflessioni a questo livello, se
stiamo ai frammenti pervenutici delle loro opere,ma la
provocatoriet e la profondit del loro discorso ha
proprio questa valenza. Nel loro pensiero,il mio essere
storicamente individuato con il suo corredodi oroblemi
esistenziali diventa assolutamente insignificante, di-
venta anzi una trappola nella quale si rischia di non
riuscire pi a percepire che la realt non perde nulla
di se stessa nelle mie sconfitte e delusioni, nel mio
morire.
Il discorsodi questi fiIosofi acquista quindi il valore
di un invito ad acquisire il sensodelia unicit-inelutta-
bilit dell'essere,a cui la morte intesa come annulla-
mento assolutamente estranea. Se proprio vogliamo
parlare di moe dobbiamovederla all'interno dell'esse-
re ma, allora, meglio ttiltzzare un altro termine, privo
di quel valore nullificante che la nostra cultura ad essa
connette. Quella che chiamiamo morte semplice tra-
sformazione,in un divenire che, in ultima analisi, non
affatto divenire: l'acqua di Talete, I'aria di Anassimene
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permangono sostanzialmente sempre identiche in se
stesse.
L'etere cosmico, cor'e mezzo elastico, imponderabile,
trasparente, potzzato fino alf inizio del ventesimo
secolo dalla fisica come supporto per la propagazione
delle onde lrrminose, per la trasmissione a distanza di
energia oforze gravitazionali e identificato conlo spazio
assoluto di Newton aveva, sul piano filosofico, una
valenza di questo genere. "Riempiendo" lo spazio inter-
stellare eliminava il problema del vuoto e del suo potere
nullificante: lo spazio vuoto, come puro nulla, "uccide"
l'essere e, coesistendo con esso, diventa sul piano razio-
nale una contraddizione insostenibile.
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logos che, mentre determina iI terremoto che distrugge
la mia casa, contemporaneamente, dirige le cellule che
ristabiliscono l'integrit del mio corpo ferito in tale
evento.
Ebbene, I'apeiron di Anassimandro esclude tutto
questo, I'affermazione che la consapevolezza del-
l'uomo, che oggi diciamo emersa da un processo di
evoluzione di milioni di anni, assolutamente priva di
senso e che, anzi, gi un errore parlare di evoluzione
di milioni di anni.
Nell'infinito-indefinibile, tutto annega in una dimen-
sione di casualit: il divenire, il nascere, il morire sono
puro nulla. Questa affermazione sar anche di Parme-
nide, ma nel suo pensiero essa avr un valore positivo:
l'affermazione parmenidea della non importanza della
vita sul piano spaziotemporale sar, in fondo, I'affer-
mazione del mistico che tende a farci trascendere la
dimensione puramente soggettiva per ritrovarci come
realt divina che tutto sostiene. Anassimandro, invece,
non d e non pu dare alcun appiglio che possa in
qualche modo recuperare, come momento razionale
dell'essere, la mia individualit. E, se anche egli parla
della morte degli esseri del mondo come di un debito
che va pagato perch ogni realt individuata, in quanto
tale, ha determinato una ingiustizia, una rottura all'in-
terno dell'apeiron come infinito-indefinito, iI recupero
di questa giustizia non pu essere intesa come un
momento di razionalit che il filosofo pu, almeno
intuitivamente, fare propria.
C' in Anassimandro quella sensazione di infinita
vertigine e smarrimento di cui lo zen cerca di renderci
consapevoli. Pu essere utile a questo punto ricordare
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un aneddoto zen che ci prospetta proprio questa dimen-
sione di pensiero.
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Eraclito
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contrapporre come filosofia del divenire e filosofia
dell'immutabilit dell'essere.
Entrambi i filosofi, non a caso definiti dai loro
contemporanei come oscuri, contradditori, incompren-
sibili, in realt gi sono portatori di un momento di
consapevolezzaclnesupera la visione analitico-concet-
tuale che considera come improponibile e assurda la
"presenza' del divenire nell'essereche, divenendo,resta
eternamente se stesso.
Nella cultura orientale si era giunti molto prima a
questo livello di intuizione, ma, dal momento che stiamo
eaminando la storia delta filosofia occidentale,dobbia-
mo evidenziare che con questi due filosofi per Ia prima
volta nell'area mediterranea emerge questo pensiero
razionalmente provocatorio.
Eraclito e Parmenide appaiono in questa ottica come
due momenti non antitetici ma complementari, richia-
mantesi vicendevolmente e distinguibili solo nella mi-
sura in cui le nostre attuali radici culturali ci portano
ancora inconsciamente ad una radicalizzazione analiti-
ca, ad una visione scientifico riduzionista piuttosto che
intuitivo olistica.
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- Il mutamento universale -
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sulla citazione 76 per fare emergere con maggiore
consapevolezzalaconcezione del mondo del filosofo,che
ci riporta ad una dottrina degli elementi che per molto
tempo sar considerata valida e che abbiamo buoni
motivi di credere preesistente ad Eraclito e, nella
cultura orientale, afferrnata diversi secoli prima.
Il fuoco vive la morte della terra, nel senso che se
vero che la terra esprime la propria potenzialit dando
origine alla vita e, nel caso specifico, ai vegetali, la
distruzione di questi ultimi costituisce I'essenza del
processo chimico-fisico di combustione che d origine
alla realt del fuoco come nuovo momento della realt.
A sua volta il fuoco si trasfoma, morendo, scqmpa-
rendo come materia allo stato di plasma, in motore
dell'aria, creando cio quelle differenze di temperatura
che sono alla radice dei movimenti di masse d'aria con
temperature diverse: il vento, labtezza, sono la vita
dell'aria e tutto ci si spiega in ultima analisi come
risultato e manifestazione del calore.
Noi oggi spieghiamo tutto ci rifacendoci alf influenza
del sole, inserendo cio questi fenomeni in un contesto
di consapevolezzaastronorrica ed astrofisica del nostro
sistema planetario che I'antica Grecia non poteva pos-
sedere ni termini attuali' Occorre per ricordare che,
-31 -
veniva subendonei pressi della vetta fosse stato mag-
giore di intensit o pi duraturo nel tempo, quella nube
si sarebbe risolta in pioggia o neve mentre, in quella
particolare situazione, rimaneva come un batuffolo di
ovatta che iI vento continuamente trasformava come
forma e dimensione ma che rimaneva abbarbicata aIIa
parte sommitale della montagna, sulla verticale della
cresta di Furggen, in quanto era proprio la massa
montuosa I'origine e la causa del fenomeno di conden-
sazione.
Ora, nel linguaggio eracliteo, la "morte dell'aria"
l'aria che, raffreddandosi, perde o vede diminuire la
capacit di movimento degli atomi di cui costituita e
la pioggia che scende dal cielo la conseguenzaproprio
di tale fenomeno. Noi preferiamo, ow'iamente, cogliere
l'origine della pioggia come momento all'interno della
complessainterazione tra energia solare e superficie
del pianeta, ma questa precisazione rischia di farci
perdere la dimensione pi profonda di questo pensiero
hlosofico che vuole invece sottolineare la circolarit di
tutti i fenomeni della natura e, con la circolarit, il loro
reciproco eterno trasformarsi dell'uno nell'altro.
L'acqua, come pioggia, cadendo sulla terra e finendo
assorbita da questa, muore, nel sensoche spariscealla
percezione dei nostri sensi e questa sua morte si
trasformer nel processovitale che la terra grazie a ci
sar in grado di esprimere,chiudendocosil cerchiodei
fenomeni naturali.
Appare qui evidente, ancora una volta, la diversa
reali espressa da Eraclito con il termine "moe".
Mentre per noi essaha di solito la dimensione del nulla
che ci pu portare all'angoscia, in Eraclito 1o stesso
I
fenomenoviene inteso nella sua valenza di trasforma-
zione: morire sparire come fenomeno identificato e
descrivibile per rimanifestarsi sotto altre spoglie. per
la cultura occidentalela morte legata alla concezione
cristiana che tende a vederla comemomento conclusivo
e irripetibile da parte di uno stessoindividuo. In ouesta
filosofia, invece, la morte una semplice svolta
terno di un processo eterno nel quale nulla "tt,irr-viene
perduto.
Ecco allora, nella citazione 88, la conclusione di
questo discorso in affermazioni che sono provocatorie
alla luce del buon senso. Quest'ultimo, infatti, non
disposto a sottoscrivere, accettandonele conseguerze
sul piano esistenziale,l'afferrnazioneche ,,lastessacosa
sonoil vivente e il morto" ma nella concezioneeraclitea
questa la conclusionelogicamente ineccepibile delle
premesse.La nostra incapacit di accettarla effetto e
segnale della nostra difficolt ad uscire da quella
dimensioneche da Aristotele in poi la civilt occidentale
far propria, per cui la realt fatta di individui, di
cosedefinite e definibili una volta per tutte.
Questo per un discorsosul quale si dovr tornare
pi a fondo. Infatti la dottrina aristotelica in realt
molto pi sfumata e, se vogliamo, contradditoria: da un
lato afferma che il singolo individuo il mattone
fondamentale della realt e dall'altro afferma che ogni
individuo costituito a sua volta di materia e forma
che sono, in s, concetti limite, "realt" neppure pen-
sabili e, quindi, tali da sfuggire a qualsiasi descrizione
concettualmente e scientificamente quantificabile.
Definire come aristotelico il nostro modo di concepire
il mondo , a questopunto, una affermazionediscutibile.
La circolarit delle trasformazioni dell'essere, cos
come appare dal frammento 88, sembra per negata dal
fra-m.tto 91 secondocui non si pu scenderedue volte
nello stessofiume.
Potremmo esprimere con un linguaggio pi attuale
I'intuizione affermando che, per il calcolo delle
"ta"lite.
probabilit, praticamente impossibile che si possa
ierificare il ripetersi di una immersione nello stesso
identico contesto di molecole di acqua dalle quali in un
determinato momento possotrovarmi circondato' Se poi
aggiungiamo Ia odierna consapevolezzac}reogni mole-
a.qoa , a livello atomico e subatomico, ben
"It
lontana dall'essere una realt definita una volta per
-.5+-
lora, non esiste pi perch siamo nell'infinito.
Non si
parla di molecoleo di atomi di un elemento,
di quantit
indefinibili ma pur sempre finite: per Eraclit"
f,."q""
del fiume non affatto un sistem".hirr.o. Oggi poh;_
mo dire che il pianeta Terra continuamente perde
e
acquista nel suo muover_sinegli spazi siderali q'"."t
incalcolabili di atomi e il filosofo greco intende proprio
costringerci a riconoscere che siamo immersi n[,infi_
nito_che, per definizione, non ammette ,r'ut -oao
firi
i,.::lyt" jJ rggunero del passato: , sotto quesro punto
dr vrsta, I'anticipazione del pensiero hegeliano.
-35-
situazione pu esserefermata nella sua positivit che
vorremmo godere senza interruzione, I'intuizione di
Eraclito ci permette di non essere travolti dalla inelut-
tabilit del divenire, avendone intuito la legge fonda-
mentale. Il divenire continua trasformazione di ogni
cosa nel suo opposto e il segreto della felicit non
consiste nel riuscire a fermare il bello, il buono, il
piacevole,perch ci impossibile e ci vedrebbeneces-
sariamente sconfitti.
La cultura occidentalenon ancora riuscita a supe-
rare questa illusione: facciamo di tutto per fermare la
gjovnezza,Iabellezza,la salute, e in realt ci riduciamo
.a fare una continua opera di restauro sempre pi
difficile e impegnativa e destinata comunque allo scacco
finale. Ci facciamo fotografare per poterci ricontemplare
giovani e felici ma un tentativo patetico perch prima
o poi saremo costretti, esibendo la fotografia, a cogliere
la incolmabile distanza che ci separa da quel particolare
momento di felicit. un tentativo che viene fatto a
tutti i livelli, a partire dal nostro co{po.
Passiamo Ia vita a riverniciare, ripristinare, conser-
vare: Ia stessa usanza di chiudere il cadavere in una
cassa, a sua volta racchiusa in un loculo di cemento
risponde proprio a questa folle pretesa di fermare il
divenire di cui noi siamo un momento. Ci sono persone
che lasciano, per testamento, i loro beni a strutture che
si impegnano a conservare , non appena il medico avr
stilato iI referto di morte, il cadavere in un cilindro al
cui inte.rno vengono create e conservate condizioni di
bassa temperatura capace di conseware le cellule in
stato di ibernazione, con la sperarza che Ia medicina
possa in futuro avere le conoscenze e la tecnologia
suffrcienti per tentare, con interventi oggi inimmagina-
bili, di richiamare in vita chi dovuto morire in
conseguenzadi una malattia oggi incurabile.
E vero che se spingiamo al limite questo discorso
potremmo giungere ad afferrnazioni inaccettabili nella
loro radicalit per cui, ad esempio,apparirebbe insen-
sato qualunque intervento consewativo e, solo per
restare su un piano artistico-architettonico,si potrebbe
negare la razionalit di ogni spesa e impegno volto a
conservarei monumenti e le opere d'arte che la storia
ci ha lasciato. Tuttavia, su un piano teorico e a tempi
lunghi, Eraclito ha perfettamente ragione.
A tutti i livelli ci troviamo prima o poi costretti e"
rivedere e progressivamente ridr.rrre la conservazione
di ci che ricorda il nostro passato e, al limite, se non
abbiamo il coraggio di operare questo taglio, ciascuno
di noi si troverebbe costretto, a partire da una certa
et, a impegnare tutta quanta la sua esistenzasucces-
siva per tenere in piedi le testimonianze del proprio
passato.
La soluzionepossibile consistein una vera e propria
rivoluzione culturale attraverso la quale abbandonare
la nostra identificazione in una realt materialmente
individuabile e quantificabile: io non sono il mio corpo
ma la coscienzadi esso,non sonola sensazionepiacevole
o spiacevole ma la coscienza di entrambe. Al tempo
stesso, senza un corpo nel quale "radicarsi" la mia
coscienzanon esisterebbe.Dal punto di vista logico
una contraddizione in termini, superabile solo a livello
intuitivo: i frammenti di Eraclito non ci permettono di
andare oltre; sar con Platone che potremo tentare di
scavare all'interno di questo problema.
- 3 7-
Realizzata questa rivoluzione, possoprovare a trova-
re un nuovo senso dell'io che si coglie e si afferma come
capacit di giocare nel divenire un equilibrio dinamico
da recuperare continuamente in modo dialettico. Con
questa nuova consapevolezza,ruece di addormentar-
mi, come direbbe Eraclito, di cristallizzarmi sulla mo-
mentanea sensazione di piacere identificandomi con
essa, acquisto Ia capacit e la forza, sapendo che il
piacere non pu durare all'infinito, di impormi una
privazione graze alla quale e solo gtazie alla quale,
potr successivamenteprovare la stessa sensazionedi
piacere.
Se, dopo avere gustato un gelato, pretendessi di
continuare ininterrottamente ad assaporare le stesse
sensazioni mi troverei presto in uno stato di nausea
quando non di malesserefisico ben pi grave a livello
organico.Un fegato in disordine perun eccessodi gelati
significa un lungo periodo di salute compromessa, che
finirebbe per farmi amaramente rimpiangere la inca-
pacit di fermare il piacere entro certi limiti. Se sono
invece capace di dire di no al secondogelato, potr il
giorno successivoriprovare lo stessolivello di sensazioni
piacevoli senza dovere prima o poi pagare t;,lrrptezzo
troppo alto. La differenza tra un tossicodipendentee
un malato di fegato solo di tipo quantitativo non
qualitativo: entrambi sonoincapaci di trovare la propria
identificazione nel momento di consapevolezzache "
in grado di assaporare" sia il piacere che il dolore.
Entrambi sono la dimostrazione della validit del detto
orientale per cui iI malato ul ignorante o un colpevole:
efEcace sintesi delle intuizioni di Eraclito.
I genitori incapaci di imporre ad un figlio un minimo
-38-
Llntuizione di Eraclito si pu utilizzare a tutti i
livelli.
sottolineato.
Quando si costretti a sognare per mesi e, magari
faticosamentecon i risparmi di tante piccolerinun, a
costruire lentamente la realt di una bicicletta o di un
motorino nuovi, si prover una gioia molto pi intensa
nel momento in cui si potr god.erne.Il egreto del
rimpianto che le persone anziane hanno di efoerienze
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piacevoli, da cui la loro giovinezza stata contrasse-
gnata, e che i giovani di oggi, che pure si trovano in
una situazione di maggiore benessereeconomico,non
riesconopi a provare, aveva proprio questeradici: una
vita reiativamente pi povera in termini di benessere
materiale e di beni di consumo si trasformava in
occasionidi gioia intensa nei momenti in cui , finalmen-
te, veniva appagato un sogno accarezzato per lungo
tempo. Sono queste le cose che riempiono una vita e
danno un senso diverso ad una esistenza che potr
invece risultare banale e priva di spessorenella abbon-
danza di beni materiali.
- Il fuoco -
30 -Quest'ordineuniuersale,che lo stessoper
tutti, non lo fece alcuna tra gli d.eio tra gli
uomini ma sempre era, e sar; fuoco
serLpre uiuente, che si accend,ee si spegrrc
second.o giusta misura.
67 -Dio giorno e notte, inuernn estate,gu.el.ra
pace, saziet fame e muta come iI fuoco
quand,o si mescola ai profumi e prende iI
nome da ognuno di essi.
Alcuni hanno sostenuto che Eraclito afferma che
all'origine del mondo sta il fuoco.
E una affermazione discutibile perch se vero che,
nel fuoco, egli coglie un momento particolarmente si-
gnificativo della realt, un momento che, nella sua
mutevolezza e inafferrabilit spinta all'estremo, meglio
permette di intuire la radice dell'essere,il fuoco come
realt ancora sensibile e percepibile su un piano mate-
riale non pu costituire I'essenzadell'essere.
Si potrebbe accettare questa affermazione, ma pre-
cisandoche si tratta del Fuoco,con la lettera maiuscola:
a sua volta il fuoco, come noi lo percepiamo,ne una
rcalizzazione sul piano concreto,cometutte le altre cose
costituenti il mondo, anche se, per le sue particolari
caratteristiche, quello che meglio pu costituire stimolo
a riflettere per intuire la dimensione da cui tutto
emerge.
La radice dell'essere eterna e increata e lo stesso
suo pulsare in ci che noi chiamiamo nascita e morte
gi quella realt concretache, nel suo esprimersi nella
opposizione-complementariet,nasconde I'essere ulti-
mo. Essere ultimo che, nascendoe morendo eternamen-
te, jn realt sempre .
E la dimensione di Parmenide, vista dalla angolazio-
ne spazio-tempo, per cui il divenire, Ia successione
nascita-morte sono I'eterna legge dell'essere.
Non possibile stabilire chi e dove per la prima volta
abbia formulato questo tipo di spiegazionedel mondo:
essa compare in culture diverse e fin da epoche cos
antiche da rendere discutibile quah.rnquetentativo di
datazionestorica precisa.
Nell'induismo, per esempio, e in epoca certamente
anteriore ad Eraclito, la realt del mondoviene spiegata
comedovuta al risveglio di Brahma ed prevista la fine
del mondo nel momento in cui Brahma stesso, al
termine del "giorno", si addormenta e la realt spazio-
temporale si richiude su se stessa per poi riemergere,
indefinitamente, con il ridestarsi de principio divino.
Anche qui, ii pulsare giorno-nottedel principio divino,
in quanto realt vivente, implica, pur in questo ciclico
riemergere del mondo, il divenire che non amniette che
riemerga un mondo "gi visto".
Ebbene, nell'induismo questo tipo di spiegazionedel
mondo chiaramente definito come livello essoterico,
come discorso, cio, che ben lontano dall'essereuna
spiegazionedefinitiva e che ha
i suoi limiti proprio nel
suo ricorrere ad immagirri .or""lir
inteilettivamente
definiti. "
La vera radice del mondo, detto
con chiarezza,
Brahman, l'Infinito, e, cometale,
indefinibile sul piano
.concettuale.
Ecco, Brahman pu essereil Fuoco
di Eraclito, cos
comepu esserel,intuizione che
sta alla radice del Tao
di Lao-Tzu o a cui.si plrviene;;,;;".enza
---- ^ ""P
del satori nel pensiero Shinto. mistica
ono tentativi diversi di esprimere
,intuizione
dell'assolutoma, evide_ntemente,
c^isi trova sbalzati su
unprano piano chefacevadufi"ir;;;;;;
"rotg.ri:o,guel
e rncomprensibile il pensierodi Eraclito: se si fa q,ru.to
passo si entra nello spazio del
misticismo, della meta_
fisica, dello spirito comepotenza creatriceche
sfuggendo
all'indagine concreta e alla
pu avere
dignit di conoscen,za, almeno".rif*u-.ron
questo termine implica. ""f "g"in"r "d;;;
Ed proprio il livello mistico che
carattenzza il
pensiero di Parmenide: si p,ro
che si
lrattg di due pensieri che, rion si-"il;.f"dono
"o.i-ff"rmare
vicen_
devolmente,ma piuttosto si richi;;.rrol""orrtirrrramente
sottolineando ciascuno una opposta
angolazione
flessione sulla realt, nraclito-pa*u*ln,".u_e di ri_
della
i
realt esistenziale e giunge u.ogiilr"
lunit_comple_ I
mentariet dei fenomeni e, in irlti_"-r.rulisi,
carattere illusorio se si pretende di ifii I
abbarbi....i rri
comerealt definitiva ma, questasua "arrienJ
conclusiorru,
recuperata totalmente nella eternit_immutabilita
dell'essere p arm enideo.f q,rr,Jti-o, chepre_
ferisce aw.iare la riflession""""igro,
fi;;i;;;Jrt"rrao non gi
dal concreto quanto da una dimensione di pura intui-
zione filosofica.
Il frammento 67 ribadisce i concetti gi espressi
permettendoci ulteriori considerazioni.
Dio, e non certo il Dio cristiano centro di consape-
volezzae volont individuata, Dio iI Logos, iI dio dei
filosofr della Grecia antica. Ebbene, Dio I'unit degli
opposti e, come tale, inaccessibile al nostro pensiero:
quest'ultimo, come spiegher Platone e come pure dir
Leibniz, funziona in termini di contrapposizione bina-
ria, dialettica. L'afferrnazione che Dio la dimensione
unitaria da cui emergela contrapposizionedegli opposti
freddo-caldo, giorno-notte, guerra-pace , ancora una
volta, l'anticipazione del pensierodi Hegel, cheper molti
versi possiamo definire grande filosofo proprio in quanto
riuscir ad elaborareun discorsosull'essereche si porr
come sintesi originale, e ancora oggi stimolante, di
quegli spazi di riflessione che Ie due angolazioni di
Eraclito e Parmenide avevano da oltre venti secoli
delineato.
Questo frammento appare per un cristiano come una
terribile bestemmia perch si afferma, in Dio, I'identit
di bene e male: Satana l'altra faccia di Dio.
Se Lucifero non si fosse rivelato per quello che in
realt era, non potremmo neppure concepireil mondo
perch ci saremmo trovati nella incoscienza che carat-
ienzza gli animali, I'incoscienza di Adamo ed Eva nel
paradiso terrestre prima di gustare il frutto dell'albero
della conoscenza.II bene in s, comeassoluto, impen-
sabile: nasce come momento di consapevolezzasolo
nella e dalla contrapposizionecon iI male.
Naturalmente Satana, Lucifero ribelle, non pu nep-
-46-
pure essere recuperato come momento per noi miste_
rioso di una scelta divina che esprime un, se pure
imperscrutabile, disegno prowidenziale. La realt di
Satana ci che rende reale il Dio cristiano nel senso
ch_e,contrapponendoglisi,lo legittima e lo rende pensa-
bile.
Il Dio eracliteo non crea qualcosache in un momento
successivosi trasforma in male: inscindibilmente ed
eternamente bene e male.
Sar il discorso schellinghiano o, come prima di lui
avevaintuito Fichte, la contrapposizionetra Io e non-Io,
tra spirito e materia, tra bene e male che non pu essere
intesa in senso cronologicoma puramente logico, nel
senso che tutte le difficolt che ci impediscono di
accettareI'affermazioneeraclitea sonoconseguenzedel-
la nostra incapacit di intuire I'esserenella sua asso-
lutezza, nella sua essenzavera.
Pensare I'essere implica automaticamente gi per-
derlo nella sua dimensione pi vera, accessibilesolo in
un lampo di intuizione che, cometale, non trasforma-
bile in un discorso e comunicabile come invece pu
esserlouna formula esprimente una legge scientifica.
Sono riflessioni che tutti i grandi filosofr ci costrin-
geranno a riaffrontare.
Tornando al frammento 67, nella realt a noi acces-
sibile il fuoco viene immediatamente identificato, nel
senso che siamo in grado di distinguere ci da cui il
fuocoemerge:il fuocodelle sterpaglie bruciate nei campi
alla fine delllnverno, il fuoco di un vecchiopneumatico
in una discarica di rifiuti, il fuoco di rami di un certo
albero nel caminetto, il fuoco di una candela sono
immediatamente percepiti comedistinti perch"il fuoco
muta quando si mescola ai profumi e prende nome da
ognuno di essi".
Se invece con il termine fuocointendiamo il processo
di combustione che si realizza secondo cerie leggi
chimico-fisiche,dobbiamoriconoscereche questo sem-
pre il medesimo: ecco,quando Eraclito utjlizza il fuoco
come espressionedell'esserevero, intende proprio fare
intuire che I'essenzadell'esserenon muta nel momento
in cui si esprime nella infinita molteplicit della realt
del mondo.
Questo , esattamente, il discorsodi Parmenide.
- Il Logos -
- L'anima -
-51
L'essere della nostra anima intuibile attraverso
l'antico simbolo cinese chiamato T'ai-Chi T'u o "Dia-
gramma della Realt LJltima".
I I
Questa figura, da "vedere" in movimento rotatorio,
pu aiutare a capire il messaggio fi.losoficodi Eraclito.
L'oscuro yin segue il luminoso yang ma ciascuno di
essi, nel momento della massima affermazione delle
proprie caratteristiche, gi rivela e pone in essere il
seme opposto, fonte dell'eterno ciclico capovolgimento
di prospettiva. Nella sua simmetria rotazionale il T'ai-
chi ricompone I'unit dell'esserecome realt che, sem-
pre recuperando se stessa,diviene.
L'anima, cos come proposta da Eraclito, come mo-
mento di eterna e sempre nuova consapevolezzadi s,
che non ha confini e continuamente accrescese stessa
pu, per certi versi, proporsi come anticipazione del
pensiero di Leibniz che individuer nell'anima intesa
comemonade,centro di coscienza,il mattone fondamen-
tale dell'essere.E, proprio comenel pensieroleibniziano
il tentativo di salvare la realt dell'individuo nell'affer-
mata unit dell'esseresi presenter come contraddito-
dell'anima come centro infinito di consapevolezzache
"vede" il mondo cogliendolocomemomento ai se stessa.
E come Leibniz era stimato come matematico ma
consideratoenigmatico comefilosofocosEraclito venne
definito "l'oscuro",incomprensibile.Ancora oggi la gran-
de maggioranza degli uomini incapace di acceltare
una simile visione del mondo e quei pochi che pu_resono
affascinati da questa proposta trovano enormidifEcolt
nel tradurla in una condotta di vita coerente.
La stessa sorte toccata al filosofo greco.
Non sappiamo con certezza come egli sia morto.
Forse, sbranato da cani randagi mentre si trovava
immerso, con la sola testa emergente,in un mucchio di
letame.
Questa versione leggendaria, tutta da verificare.
spiega anche il motivo per cui il vecchio filosofo si
sarebbetrovato in quella situazione incredibile.
Malato di idropisia, avrebbe deciso di sottoporsi ad
una sauna ante litteram: il calore sviluppato dal letame
in fermentazione sarebbe stato a suo parere in grad.o
di farlo sudare in modo da espellerequelle tossin che
i filtri corporei normalmente in funzione non avrebbero
lasciato accumulare.
Tutto sommato,posta in questi termini, la situazione
si presenterebbe meno assurda, ma il filosofo non
awebbe previsto n la presenza di cani randagi affamati
n che l'odore cos intenso del letame avrebbe tolto la
soglia di rispetto per I'uomo che anche un cane insel-
vatichito conserva:immerso nel letame l'odore umano
sarebbe stato sopraffatto e questo imprevisto non cal-
colato si sarebbe rivelato fatale.
Ora, per, non ci interessa appurare se questo rac-
conto corrisponda a realt.
Ci che senza dubbio meno improbabile che il
vecchio Eraclito fosse affetto da disfunzioni organiche,
per cui nel suo corpo si fossero ormai accumulate tossine
al punto da farlo softire non poco.
Il ricorso al letame in fermentazione come sauna per
costringere iI corpo ad una abbondante sudorazione pu
essere, all'interno del pensiero eracliteo, una scelta
logica: un intervento curativo tendente a ristabilire
un equilibrio, un intenrento che si basa sull'uso com-
plementare dei contrari nei quali si esprime la realt
e, quindi, anche iI corpo dell'uomo. Come scelta, per,
tardiva, un curare una malattia che non si sarebbe
potuta instaurare se si fossero applicate, prima, le
intuizioni della dottrina eraclitea.
Se il corpo si ammala conseguenzadi uno squilibrio
che si determinato in conseguenzadi scelte sbagliate,
per ignoranza o per colpa.
Il nostro corpo il risultato di ci che mangiamo,
beviamo, respiriamo e pensiamo. E, se vero che la
nostra anima quel punto-momento singolare nel quale
si giunge alla consapevolezzadell'eterno gioco dei con-
trari, proprio in questo livello di consapevolezzala
vera origine di tutti gli squilibri: essi nascono nel
momento in cui scelgo il dolce piuttosto che l'amaro, il
riposo piuttosto che la fatica, la pigrizia mentale piut-
tosto che il vigile impegno, i sapori intensi e stimolanti
come eterno divenire della dialettica degli opposti si era
tradotta in una dietetica ben definit, . il saggio
seguiva avendocompresola leggefondamentale dells_
sere. L'intervento curativo era visto come necessario
- D -
rapporti commerciali con l'area indiana e cinese.Di qui
si spiegherebbeun discorsocome quello eracliteo, rece-
pito sul piano intellettuale ma incapace di tradursi in
azione concreta nel vivere quotidiano: la distanza cul-
turale tra Ia Cina e la Grecia antiche avrebbe reso
impossibile l'utilizzo nella realt esistenziale di un
messaggionato in un contesto culturale cos diverso.
Ma, forse, potremmo tentare una terza ipotesi. Indi-
pendentemente dal fatto che Eraclito sia giunto in modo
originale alle sue conclusioni o ci sia invece stato
condottoda precisi stimoli esterni, in realt egli awebbe
incontrato grossi problemi nel momento in cui bisogna
trovare la forza per rimanere in perfetto equilibrio tra
il bene e il male, tra il piacere e la sofferenza:in questo
caso I'oscuro e impenetrabile Eraclito potrebbe appa-
rire molto pi simpatico, molto pi vicino a noi che, a
distanza di oltre duemila anni, ci ritroviamo a dover
constatare con quanta poca coerenzaviviamo quotidia-
namente i principi in cui diciamo di credere.
Parmenide
e.
-59-
nasconde una trappola. E la trappola della personalit
di Dio, per cui siamo in presenza di ci che Hegel
chiamer il "cattivo infinito": un Dio che ancora un
"io", un "colui che". Di fronte all"'essere ", e sono parole
testuali di Parmenide, "...se.re.nnotutte soltanto parole,
quanto i mortali hanno stabilito, conuinti ch.efosse uero:
rlascere e perire, essere e non essere, cambia,mento di
Iuogo e mutazione del brillante colore." (Diers,22B,8,42).
- o J -
cui la realt spazio-temponon pu pi riemergere.
L'intuizione dell'assoluto pu essereil traguardo di
un lungo percorsofilosoficodi ricerca ma non pu, come
intuizione di partenza, preludere ad un discorsofiloso-
fico che,per definizione, ricerca. L"'essere" possesso
delia verit e, come tale, non ha pi bisogno di ricerca
alcuna: contemporaneamente inizio e termine del
filosofare. Parmenide pu concludereun pensiero come
quello eracliteo mentre sarebbeassurdo pretendere da
lui uno sviluppo. La ricerca, con Parmenide, diventa
semmai percorso interiore: il soggetto che si sente
nell'esseree che, quindi, non si proponepi comepunto
di riferimento privilegiato attorno a cui costruire una
spiegazionedel mondo: l'io individuale, postosi nell'ot-
tica dell'unit dell'essere, intuisce il senso profondo
dell'affermazione parmenidea delia illusoriet dela
dimensione spaziale e temporale.
Chi entra in profondit nella intuizione di Parmenide
escedalla ricerca filosofica: quando si intuisce'l'Essere
j'si dei mistici e non pi dei filosofi e la dimensione
culturale acquista dei connotati tali da porre iI mistico
ai margini della civilt occidentale.
Nei secoliscorsil'Europa ha prodotto un certo numero
di mistici ma questi, quando gi non si autoemargina-
vano dal contesto.sociale, vennero sistematicamente
strumentalizzati: preziosi punti di riferimento e di
prestigio in un monastero, dove il carisma del mistico
si poneva come nucleo attorno a cui sedimentare e
decantare la pericolosatensione religiosa dei radicali,
sempre scomodi sia per la chiesa che per lo stato se
fuori dalla solitudine e dal silenzio di un monastero.
Per il resto il mistico europeo si sempre trovato in
-64
difificolt nel produrre modelli culturali utilizzabili per
cambiare la vita e il mondo di coloro che vivevano ai di
fuori del monastero.
Non stupisce quindi che, non appena il peso politico
della chiesa comincer a ridursi, la cultura occidentale
si definisca progressivamentecome rifiuto della meta-
fisica.
Pu stupire, invece, che la scienza del ventesimo
secolo, e proprio la fisica che in modo inequivocabile
aveva ridotto la realt scientificamente significativa al
divenire e aI molteplice, stiano riscoprendola realt del
pensiero che pu spiegare iI mondo e, all,occorrenza,
cambiarlo. Coloro che sonogiunti a questa svolta hanno
intuito che la retta, nella quale con orientamenti diver-
si, possiamovedere da una parte il passato e dall,altra
il futuro, l'intuizione dell'infinito che diventa in
qualche modo accessibilealla coscienzaumana nel suo
contradditorio scindersi nel transfinito delle semirette
opposte aventi lo stesso punto di origine: punto di
origine che non ha dimensioni spaziali e, pertanti versi,
il corrispettivo di quel momento-punto pingolare che
gli
_asJroethanno definito Big bang. a,\fr" ( si.
Quando Cusano affermer che una retta cincidecon
una circonferenza di raggio infinito recupera, anche egli,
I'intuizione parmenidea per cui nell'esserecome realt
assoluta le realt individuate diventano illusorie.
Nell'infinito, I'esseresi ripropone come uno, che, come
dir Platone, non l'unit dei bottegai e dei geometri
ma I'Uno del matematico-filosofoche ha ritrovato se
stessoin Dio.
La retta un concetto limite, una pura intuizione
intraducibile in concetti definiti esaustivamente sul
- b -
piano intellettuale; se la si definisce come l'insieme di
due semirette adiacenti, si afferma che la retta la
"somma" di due cose che sono logicamente assurde: la
semiretta un infrnito che ha una origine.
A questo punto la "realt" della retta che fonda la
semiretta e non viceversa. Ecco, la dimensione impe-
gnativa della frlosofia di Parmenide sta proprio in
questo suo paire dall'intuizione dell'assoluto.
In realt lo stessoParmenide, quando cercadi "usci-
re" dalla assiomaticaintuizione dell'esserenel tentativo
di provare a delineare su un piano concettualeI'intui-
zione fondamentale, rivela llmpossibilit di trovare
immagini ben definite e non contradditorie:
-69-
mondo sarebbe frutto del puro caso. E, comunque, se
un eterno pulsare tra Big bang e Big crash ci riporta
al pensiero eracliteo la afferrnazione che iI mondo nato
per caso potrebbe essere vista come la versione laica
della teologia negativa, per cui nessun discorso razio-
nale pu esserefatto su Dio: in ultima analisi, se vero
che il caso si prospetterebbe come il nulla che toglie
qualunque possibile significato all'esserci del mondo,
fino a qual punto non coinciderebbe con il Caso, un Dio
imperscrutabile e inaccessibilealla mente umana?
Ma questo Parmenide, nel sensoche la sua stessa
intuizione vista da una angolazionenegativa. Se voglia-
mo fare filosofia questa I'unica scelta possibile: o il
caso iI Caso oppure meglio riimmergerci nelf inno-
cerLzaanimale. Non si vede infatti che cosa di buono ci
possa derivare da una ricerca che si conclude nella
heideggeriana lucida follia per cui I'unica certezza la
realt della morte, intesa come nullificazione totale e
definitiva.
Ecco allora il pensiero di Eraclito e di Parmenide
porsi come momento nel.quale il pensiero occidentale
ha individuato il campo e i confini di ci che significa
fare filosofra: nessuno riuscir a dilatare ulteriormente
questi confini.
I grandi filosofi saranno quelli che, in un contesto
storico e culturale diverso, scaverannopi a fondo lo
stesso terreno, saranno cio capaci di riesprimere le
intuizioni dei due filosofi rendendoleaccessibilia strati
sempre pi ampi di umanit, a rendere pi facilmente
assimilabili profondit di riflessione che, nei frammenti
pervenutici delle opere dei due filosofi greci, sono
diffi cilmente accessibili.
zioni. Questi filosofi cercheranno di farci intuire che il
divenire dell'essere nasce dal nostro modo di essere
coscienti; il tempo non esiste fuori di noi ma la
condizione senza la quale non sapremmo di esserci:
l'ortzzonte di ricerca filosofica, cheln un primo tempo
sembra estendersi su una dimensione di opposizione
lineare con le due estremit dell,eterno dienire e
dell'eternoinfinito presente,si richiude e si unifica nella
scopertadel logos che si esprime nel divenire e che. nel
suo significato filosofico pi profondo, coincide con il
vertiginoso abisso dell'identit di Dio che, comeassolu_
to, non pu che riproporre eternamente se stesso.
Zenone
74
rare la ripida e faticosa salita che dal buio della caverna
porta alla luce.
-75-
ancora la nuova distanza "d1" che lo separa dalla
tartamga. Sar certamente: dr < d ma, comunque,
concludereche i valori degli spazi d2, dg, d4, ... via via
coperti dalla tartaruga, pur riducendosi progressiva-
mente, non saranno mai uguali a zeto e, quindi, Achille
non potr mai raggiungere la tartaruga.
- I t -
Sar il postulato di partenza su cui Democrito fon-
der la possibilit di una visione analitico-scientifica
del mondo.
In altre parole, Zenoneaccettal'esistenzadell'attimo,
inteso come atomo temporale, come realt ultima di
una infinita suddivisione di quella che noi chiamiamo
realt del tempo. Ebbene, in ciascun attimo, in cui si
suddivide il tempo necessarioalla freccia per giungere
al bersaglio, la freccia occupa,nello spazio, uno spazio
esattamente uguale a se stessa. In questo attimo la
freccia immobile, dal momento che occupa nel seg-
mento del percorso queila parte che corrisponde alla
propria htnghezza. Ora, come si fa ad accettare logica-
mente la realt del movimento quando, sempre su un
piano logico, essorisulta la somma di infiniti attimi di
immobilit? Una somma, per quanto infrnita, di zeri
dar sempre e soltanto come risultato lo zero.
Un altro esempio.
Due cavalli stanno galoppando con uguale velocit
da direzioni oppostesulla stessastrada. I due cavalieri
si incrociano,senzarallentare la loro andatura, davanti
ad un obelisco.Ebbene: qual la loro velocit? Quella
rilevata da una persona che si trova seduta alla base
dell'obeliscoo quella che ciascun cavaliere percepisce
in rapporto a colui che sta procedendosulla stessavia
in sensoopposto?
Il problema cheZenoneci prospetta , a questopunto,
l'intuizione di quella che molti secoli dopo la fisica
chiamer relativit: dati due cavalieri "a" e "b" e un
osservatorefisso "c", nell'esempio proposto la velocit
di ogni cavaliere sar x o 2xa secondache ci si posizioni
-78-
come osservatori ai piedi dell'obeliscoo sulla sella di
uno dei due cavalli. A questo punto Zenone ci fa
osseware che un assurdo logico riconoscere che lo
stesso fenomeno contemporaneamentese stesso e il
doppiodi se stesso.
Ancora.
Se accettiamo come vera la realt che i nostri sensi
percepiscono,affermiamo che il mondo costituito di
innumerevoli oggetti definiti, ben distinti l,uno dall'al-
tro, per cui questo albero non quell'altro. Se chiamia-
mo i due alberi "a" e "b", diremo che a * b. Ci implica
che tra "a" e "b" non vi siano punti in comune. euesto,
in altre parole, significa che "a" e "b" sono tra loro
separati da un altro "oggetto", per esempio I'aria, che
chiameremo "c". Per cui, se a # b perch esiste rut ,,c',
che li separa. Ma, a sua volta, "c" non pu avere alcun
punto in comunen con "a" n con "b" perch altrimenti,
almeno in quei punti coincidenti non si distinguerebbe
da"a" o da "b", per cui si concludeche a + c ;i b. Questo
ragionamento pu, anche qui, procedereall'infinito, per
cui tra "a" e "c" deve esistere qualcosa che li separa e
questoqualcosasi chiamer "d"....
-80-
realt inconciliabili, con la conseguenzadi concludere
necessariamentealla affermazione della inspiegabilit
del nostro esserenel mondo.
Uno dei motivi del fascino che ancora oggi esercitano
i paradossi di Zenone nell'anticipare la caduta della
possibilit stessa di certezze che carattertzza da sem-
pre, nella storia della filosofia, i periodi in cui si afferma
Ia debolezzadel pensiero: accettando la scoperta che
quella che chiamiamo realt non aggredibile con lo
strrrmento logico, automaticamente escluso di poter
spiegare il mondo con un approccio scientifico e la
constatazione che il piano logico non lo strumento
giusto per capire il mondo escludela possibilit stessa
sia della scienza che della filosofia.
Certamente, se ci si lascia vivere, queste discussioni
sulla legittimit o meno di distinguere tra un insieme
continuo divisibile all'infrnito e un insieme discreto
compostodi elementi ultimi non ulteriormente divisibili
possonoapparire una pura ginnastica mentale da la-
sciare ai matematici; ma se solo proviamo a chiederci
iI senso del nostro esserci, la consapevolezzache quei
principi logici su cui si fonda il nostro pensiero non
possonoessereusati per spiegareil mondo resta, ancora
oggr, un problema irrisolto e riapre come soluzione la
prospettiva parmenidea, proprio nel sensosuggerito da
Zenone.
-83-
cono ad una illusione, esattamente come nel .,l'essere
".
Resta da vedere fino a che punto Zenone nel suo
denunciare la irrazionalit del finito voglia veramente
negare Ia realt dello spazio-tempo o non, piuttosto,
rifondarla su una dimensioneontologicamentepivera.
SeZenonee Parmenide si limitassero a dire chela realt
umana illusione e pretendessero di vivere e farci
vivere nella continua consap ev olezza dell,Infi nito-Uno
sarebbero degli schizolenici e tali sarebberoi mistici
e tutti coloro che non hanno ritenuto di potersi accon-
tentare della dimensione di realt dataci dai nostri
sensi.
Qualunque essereumano nella sua vita, prima o poi,
si posto il problema del proprio esserci e Kant arrivr
a dire che la tensione verso la metafisica una miste-
riosa tendenza catatteristica della specie umana; su
questo terreno, da sempre, ha potuto radicarsi la pro-
posta religiosa comerisposta, se pure ingenua, a questo
bisogno.
Colui che ha una sensibilit filosofica pi accentuata
si sempre trovato a disagio di fronte alle risposte della
religione, che risolvono con il mistero da accettare
fideisticamente iI senso di insoddisfazionedi una vita
vissuta negli angusti limiti della temporalit; disagio
che viene ulteriormente acuito dalla constatazioneche
le religioni si sono storicamente affermate per mezzo
di istituzioni che, come centri di potere, hanno finito
per contraddire con Ia loro scarsa coerertzai principi
che pure affermavano di perseguire.
Parmenide,Zenorte, Platone e, prima e dopo di loro,
tutti coloro che sono stati affascinati dalla possibilit
-84-
che l'uomo e il mondo siano espressionedi una realt
che le nostre attuali capacit di coosaperrolezzasono
ben lungi dall'avere esaurito sono tutt'aitro che schizo_
frenici. Hanno proposto una risposta, ad.un problema
chetutti ci poniamo,in una direzionee con una intensit
provocatoria che non sintomo di squilibrio mentale.
La loro proposta rappresenta l,alternativa ad una
concezionepuramente materialistica che esaurisce il
sensodella vita nel qui e ora.
-85-
contrapposizione essere/non-esseresono, entrambe,
modi inadeguati di procederenella ricerca del signifi-
cato della nostra vita.
Nel logos eracliteo e nell'essereparmenideo la con-
trapposizione vita./morte,bene/male,essere/non-ess ere
si ricompone nella dimensione dell'assoluto che, in
quanto tale, sfuggir sempre alla indagine analitica.
Ma che sfugga ad un certo tipo di approccionon significa
affatto che sia trascendente I'uomo. Proprio perch
espressionedel logos il finito lo stessoinfinito sotto
un altro punto di vista: eccoil senso dei paradossi di
Zenone.Il mondo assolutamenteinspiegabile con quel
tipo di logica che pretende di definire le misure, i limiti
dell'essere: assurdo misurare llnfinito e, quello che
noi chiamiamo finito, in realt non tale. Non sar
necessarioattendere troppi secoli per sentirci proporre
llpotesi che il nostro percepire il mondo un attimo di
autoconsapevolezza divina.
-86-
stesso spessore ontologico della dimensione materiale,
deve constatare la contraddizione ineliminabile deter-
: minata dalla impossibilit di servirsi del pensiero per
descrivere il mondo.
Pamenide si pone al di l di ogni possibile discus-
sione sulla primogenitura della dimensione spirituale
o materiale: nel "l'essere " la ricerca conclusa e il
finito ha ritrovato il suo vero essere nell'infinito che,
essostessorivela.
r
I
t
t
T
Pitagora
-89-
La scuola pitagorica rappresenta, pi di quanto non
far la scuola platonica, un momento di unione tra
filosofia e religioni misteriche: in questa scuola, che
pure era aperta a tutti senza distinzioni sociali, si
veniva progressivamente istruiti dosando con molta
cautela il nuovo messaggio filosofico. La verit era
teoricamente accessibilea chiunque ne fosse degno:gli
elementi in base ai quali si determinava il diritto di
accedereai livelli superiori di insegnamento erano la
coerentepratica dei principi etici chela scuolaimponeva
e Io sforzo di uno studio assiduo, che permettesse la
comprensione su un piano intellettuale dei principi
filosofico matematici che costituivano il messaggioori-
ginale della scuola.
I principi che iI pitagorico coerente doveva praticare
spaziavano dal campo dietetico, caratterizzato da un
vegetarianesimo che doveva gradualmente diventare
pi rigido fino ad escluderetotalmente la uccisione di
animali, aI rifiuto della schiavit, in considerazione
dell'affermata uguaglianza degli esseri umani.
La donna non veniva considerata inferiore all'uomo
e, cosa eccezionaleper quei tempi, poteva entrare a
pieno diritto nella comunit pitagorica.
Queste scelte, inconsuete quando non addirittura
provocatorie,-si inserivano nella dottrina della scuola
come logica conseguenzadelia affermazione della uni-
cit dell'essere, per cui i diversi livelli dei viventi erano
visti non in scala gerarchica, con il diritto per l'uomo
di servirsi a suo piacere degli animali, ma come mo-
menti diversi di un processo evolutivo che vedeva
esprimersi in tutti gli esseri viventi lo stessoprincipio
vitale.
Gli animali, in altre parole, erano considerati come
i fratelli minori dell'essereumano, espressionedi quella
stessaspinta evolutiva che nell'uomo,raggiunta a livelli
superiori I'autoconsap evolezza, pu ulteriormente cre-
scere affermandosi su un piano divino.
II vegetarianesimo, la pratica della non violenza, lo
studio della matematica come strumento per accedere
a verit inaccessibili a chi non poteva b non voleva
impegnarsi in questo sforzo di ricerca, erano le chiavi
di volta di una concezionedella vita come esperienza
da utilizzare in positivo per la liberazione del principio
divino che si esprime in tutta la natura.
I pitagorici quindi credono nella reincarnazione o,
meglio, nella metempsicosi,in quanto ammettevanoche
llndividuo che avessedemeritato in modo particolare
nel corso della sua ultima esistenza sarebbe dovuto
riemergere alla vita anchesotto le spogliedi un animale.
C' un filo logico che collega le successiveesistenzee,
con ci, si afferma I'esistenza di una inesorabile legge
di causa-effetto: lo stesso principio che gli orientali
chiamano karma.
Su questo piano difficile distinguere nettamente la
scuola pitagorica da altri indtnzz come le religioni dei
misteri o il movimento della gnosi. nel discorso
matematico e filosofico che meglio si caratterizza la
scuola.
fn essa,se pure si afferma che l'uomo si ritrova nella
realt terrestre in conseguenzadi una colpa,questatesi
non ha I'intensit che caratterizza adesempiol'orfismo.
D'altra parte la stessa affermazione che la realt
costituita dalla contrapposizionedi due principi opposti
e complementari non sfocianella visione sostanzialmen-
te pessimistica che caratteizza il movimento gnostico.
E tuttavia, sempre nella scuola pitagorica, non si
grunge a riconoscere nella realt naturale la manifesta-
zione di una evidente spinta evolutiva che potr poi, in
altre filosofie, poare ad escludere che I'uomo possa
ritornare a riemergere nel mondo come animale: queste
filosofie parleranno, pi propriamente, di reincarnazio-
ne, nel senso che, pur fatta salva la legge di causa ed
effetto comespiegazionedella successionedelle esisten-
ze terene, si escludeche si possatornare indietro. Chi
parla di reincarnazione sottintende I'esistenza di una
spinta evolutiva che, comunque sia, ci spinge in avanti:
la corrente di vita, nella quale chi apre gli occhi alla
verit pu accelerarela propria evoluzione, la versione
esoterica del concetto cristiano di prowidenza divina e,
proprio per ci, non ammissibile il regresso; si pu
rallentare, non fermare il processo.
Resta da vedere, per, fino a che punto nel momento
in cui nella scuola pitagorica si parla di rnetempsicosi
ci non possaessereuna speciedi degenerazioneinterna
alla scuola, rispetto ad un messaggio iniziale che si
sarebbe potuto perdere nella sua prrezza,in conseguen-
za sia della nascita di comunit diverse che arrivarono
anche a contrapporsi tra loro sia al fatto che, al loro
interno, prevedevano diversi livelli di conoscenza.
Nel delineare le'caratteristiche della scuola pitago-
rica si tende spessoa sottolineare aspetti che possono
apparire curiose strantezzecome, per esempio, il divieto
di mangiare fave oppure contraddicenti il principio di
uguale dignit degli esseri umani, come il calare
dall'alto Ie verit che, in quanto attribuite a Pitagora,
diventavano indiscutibili: "Lo ha detto Lui" erano le
-92 -
Tuttavia la stranezza di certi divieti sul piano diete-
tico pu essere riveduta sotto altri punti di vista: d.aun
lato, come testimonianza della possibile intuizione da
parte dei pitagorici del fatto che le fave potevano in
qualche modo essere collegate con quella forma di
anemia emolitica acuta che in seguito verr, appunto,
denominata con il termine di favismo e, dall-,altro,
considerati i problemi di assimilazione che caratteiz-
zano le leguminose, come un tentativo di garantire un
minimo di livello di spiritualit, nel contesto di una
comunit in cui le persone afFrontanoriunioni di studio
e di meditazione collettiva.
Con ben altra attenzione va invece considerata,sul
piano ideologico,la tendenza a trasmettere la dottrina
tramandata come una verit che si deve accettare
acriticamente, considerato che in questa scuola il ra-
gionamento e la intuizione matematica dowebbero
essere gli elementi carattertzzanti I'insegnamento. A
questo riguardo occorreosseryareche la scuolapitago-
rica una comunit. orgarizzata come una vera e
propria teocrazia, che ha come profeta il semidio pita-
gora la cui parola non si discute, e Ia dimensione
democratica,per cui gli insegnamenti morali sono pro-
posti a uomini e donne di tutte le condizioni sociali, in
realt controbilanciata dalla struttr.rra gerarchica
dell'intera scuola, gerar chizzazione giustifi cata dal fat-
to che i pitagorici si ritengono una vera e propria
-93-
aristocrazia intellettuale, detentrice di un saperecui si
accedegradualmente: infatti solo a chi in grado di
afferrare intellettualmente il discorsomatematico viene
poi dato,pocoper volta, I'insegnamentofilosoficoessen-
ziale. In questo sensola scuolapitagorica applica regole
tipiche delle religioni dei misteri e che saranno fino ai
nostri tempi elementi propri di tutte le strutture ini-
ziatiche pi o meno occulte.
Secondola testimonianza di Diogene Laerzio, Pita-
gora:
-94-
Sempre Diogene Laerzio afferma che i neofiti dove-
vano, all'interno della scuola,mantenere il silenzio per
cinque anni: per tutto questotempo dovevanoascoltre
il messaggiodi verit dei maestri e reprimere quah:n-
que moto di perplessit o di dissenso.Se corrispondea
verit, era una ben dura prova di iniziazione, che pu
esseregiudicata in termini ambivalenti.
Da un lato, per chi si sente in sintonia con questo
tipo di esperienze, un mezzoper sviluppare l,au[ocon-
trollo, la consapevolezzadis,la componentepi sottile
del nostro essere; considerato che secondoi pitagorici
l'uomo divide con gli altri esseriviventi l,inteiletto e la
passione mentre si caratterizza come specie per la
mente, quella che Platone definir anima razionale. la
prova del silenzio diventava l'occasioneper accrescere
il dominio della consapevolezzasulla emtivit e sulle
capacit percettive. Sviluppare la capacit di vivere in
silenzio,la capacitdi convivereunicamente coni propri
pensieri , da sempre, un importante esercizio racco-
mandato da tutte le scuole tendenti a sviluppare la
interiorit; gli esercizi spirituali, introdotti da Ignazio
di Loyola come pratica annuale, facendo diventre un
dovere di ogni gesuita, se pure per pochi giorni, ci che
fino ad allora nel mondo cristiano era una scelta
eccezionaleriservata ai monaci e agli anacoreti, avran-
no lo stesso scopo della pratica pitagorica. Oggi, uno
dei motivi della notevoie diffusione delle pratiche yoga
nel mondo occidentale , anche, dovuto alla attuale
incapacit della chiesa cristiana di propone in modo
sisternatico,al fedele, pratiche di questo genere.
Da un altro punto di vista l'imposizione del silenzio
pu essere valutata, all'opposto, in termini assoluta-
mente negativi. Quello che viene gabellato come eser-
cizio di autocontrollo , in realt, esercizioall'ubbidien-
za, alla passiva ed acritica accettazione di interpreta-
zioni della realt senza poter ribattere per difendre le
proprie convinzioni e, se questa imposizione accettata
per alcuni anni di seguito, impossibile non risultare
profondamente condizionati al punto da scoprirsi poi in
perfetta sintonia con i maestri. In questa ottica
spiegatoperchnelle istituzioni religiosecristiane e non
cristiane, nelle quali si affermata unarigidagerarchia,
prima o poi viene cambiato il nome al neofita: quella
che viene chiamata rinascita spirituale in realt un
raffinato strumento di demolizione della personalit
originaria.
E difficile stabilire quale delle due valutazioni sia
corretta, anche perch sempre pericoloso radicalizzate
i giudizi.
Se, in nome della necessitdi esprimere liberamente
il proprio essere,si afferma il diritto di non avere regole
e imposizioni di alcun-genere si giunge a negare la
possibilit stessa di una convivenzasocialee si rischia
di privilegiare Ia componente puramente istintuale
dell'essere umano. Quella che chiamiamo civilt ha
potuto affermarsi grazie al sorgere di regole di compor-
tamento che necessariamente implicano I'autocontrollo
e la capacit di perseguire scopi che, in nome del
benesserecollettivo, trascendono gli interessi puramen-
te individuali. il problema se sia possibile stabilire
una soglia di legittimit nel chiedere al singolo di tenere
sotto controllo le tendenze egotistiche.
iI grosso problema su ui indagano pedagogia e
psicologia: affermare la libert dell'uomo pu essere
sua possibilit di trovare in se stesso,nella sua capacit
di essere raziocinante, gli strumenti per hblrarsi
dall'ignoranza.
Nel recepire una tradizione chesottolinea le curiosit
dietetiche, le espressioni simbolico-metaforichecon le
quali gli iniziati comunicavano tra loro all,interno della
comunit in modo da rispettare la rigida consegnadel
silenzio nei confronti dei neofiti, la stiuttura aristocra_
tico-gerarchica che impone a chi non ha la capacit
intellettuale di capire i ragionamenti filosofico_-mate_
matici di credere sulla base del carisma del fondatore.
si rischia di perdere di vista che questa scuola ha
-97-
mente pi genuino del pensiero pitagorico.
La matematica si pone come il massimo livello di
consapevolezzaa cui possa giungere l'uomo. Per Pita-
gora I'intuizione matematica il corrispettivo, su un
piano laico, di ci che sar la certezzafondamentale di
Galileo. Quest'ultimo affermer che con la conoscenza
matematica I'uomo diventa consapevoledei principi in
base ai quali Dio ha creato il mondo e la possibilit
stessa della conoscezamatematica ci che prova la
superiorit dell'uomo sulla natura perch,pur soggetto
anch'egli alle leggi che reggono la realt, ne pu diven-
tare consapevole e la differenza tra I'uomo e Dio sar
soltanto pi un salto quantitativo: l'uomo che cosciente
della verit di 2+2=4 realzza un livello di consapevo-
Lezzac},enon pu esserepi alto, neppure in Dio.
Pitagora non parla di Dio, almeno nel significato
proprio del cristianesimo: divino I'uomo nel momento
in cui realizza Ia consapeyolezzamatematica perchcon
ci egli grunge a vedere i principi stessi della realt; la
dimensione matematica il senso del mondo e, come
nella matematica non sono pensabili le eccezioni,cos
nel mondo tutto accadeperch deve accadere.Ci che
sfugge aIIa spiegazionedi un certo livello non elemento
irrazionale o arbitrario ma espressione,a livello supe-
riore, della stessa inesorabile necessitlogica.
E importante cogliere a fondo lo spessorefilosofico
del pensiero pitagorico.
Nei secoli successivisorgerannofiiosofie che vedran-
no la matematica come una sofisticata invenzione
dell'uomo, un raffinato gioco intellettuale, al cui interno
le regole poste garantisconoIa coerenzadell'insieme.
La differenza tra queste filosofie e il pensiero pita-
gorico consisteproprio in questo: per le prime la mate-
matica solo e resta un gioco e, come tale, funziona
perfettamente mentre, applicata al mondo, ha soltanto
un valore probabilistico; il secondo,invece, considerail
mondo come un unico grande gioco le cui regole sono,
appunto, quelle matematico geometricheper cui nella
natura tutto pu esserespiegato:sulla grande scacchie-
ra del mondo vittorie e sconfitte si possono sempre
spiegare come eventi razionali. Nel mondo non ci sono
premi o castighi o, comunque, eventi casuali ma solo
cause ed effetti, rivelatori di una dimensione logica
inesorabile,nella quale non hanno posto n Ie eccezioni
n i miracoli: quella dimensione che la matematica e la
geometria esprimono in modo perfetto.
Le filosofie che non accetterannoil postulato pitago-
rico potranno invece spiegare la impossibilit di domi-
nare totalmente gli eventi naturali con 1o strumento
matematico: il mondo non stato inventato dall'uomo,
una variabile indipendente e, propr-ioperch realt
oggettiva ed esterna all'uomo, di fronte ad essa la
matematica, come creazioneastratta della mente uma-
na, rivela i propri, limiti di non realt. Ecco perch nel
mondomatematic'futto razionale,logicoe conseguen-
te mentre nella realt vera qualche cosasfuggesempre
alle nostre previsioni e la realt del male, della disgra-
zia, della malattia e della morte rendono evanescente
la speranza di poter dominare la sostanzialeimpreve-
dibilit degli eventi conlo strumento logicomatematico.
Per Pitagora un discorso simiie sarebbe soltanto
rivelatore di una presuntuos a ignoranza. L'affermazio-
ne cheil mondo reale resta sfuggenteper l'uomo,perch
la matematica un fantasma creato dalla mente uma-
V (,* 4 ^^ ,,,.{-q
s,5f,^-ee_
na, se pu spiegare la sorpresa dell'imprevisto o dello
scaccodi un'impresa, non riesce per a spiegare come
e perch la matematica funziona, nella misura in cui
funziona.
Se Pitagora fossevivente oggi potrebbe fare osservare
che solousandola matematica cheI'uomo si costruito
la possibilit di giungere sulla luna. Fino a pochi
decennifa si poteva definire la persona che pretendeva
coseimpossibili come"uno che voleva la luna": oggi, nei
pi importanti laboratori del mondo, sono oggetto di
studi e di esperimenti le pietre lunari che le missioni
spaziali ci hanno riportato sulla terra.
La tesi materialistica, secondo cui la matematica
funziona perch stata inventata dall'uomo partendo
dalla esperienzaconcreta e, quindi, non pu non avere
qualche aggancio con una realt che resta in ultima
analisi sfuggente, solo apparentemente negazione
della dimensione di pensiero pitagorica.
Pu sembrare a primo awiso fondamentalela diver-
gelazatra chi, come i pitagorici, afferma la dimensione
matematica come fondamento ontologico del mondo e
chi, come i materialisti, afferma che essa un affasci-
nante gioco intellettuale creato dalla mente umana che,
proprio perch puramente mentale, non pu dominare
completamentela realt vera che materiale.
Tuttavia si pu tentare una ricomposizionetra le due
tesi.
Ci che nella tesi materialistica si defrnisce come
imprevedibilit del mondo rende assurda la scienza,
come ricerca delle leggi che regolano il mondo stesso.
Se, infatti, si accetta la considerazioneche la scienza
non pu partire dalla presuppostacertezzacheil mondo
abbia delle leggi e, proprio per ci, il suo ambito
Iegittimo rimanga solo quello della constatazione,mai
definitiva, di una costanza di relazioni tra fenomeni,
essarimane una ricerca utile sul piano pratico esisten-
ziale, nel sensoche aiuta a meglio risolvere, con nuove
tecnologie,i problemi concreti posti dalla vita, ma nega
proprio quella dimensione fiIosofica che la molla
autentica . la radice stessa del ricercare.
il problema sottolineato da Zenone: se si afferma
la non realt del pensiero, diventa assurda non solo la
scienzacomericerca pura, ma quella stessadimensione
logico razionale che carattertzza I'uomo come essere
vivente che si distingue dal e nel mondo. L'esistenza
della scienza,della filosofia, della stessareligione sono
testimonianza dell'insopprimibile bisogno dell'uomo di
credere nella razionalit del mondo. Questa afferma-
zione che, se pure formulata non esattamente in questi
termini, sar una constatazionedella filosofia kantiana,
un enunciato sostenibile sul piano logico e porta, di
fatto, ad una convergenzacon il pensiero pitagorico.
E allora vediamo da un lato la scienza che con il suo
stessoesistere testimonia il bisogno di trovare il senso
del mondo e che, partendo dallo studio del mondo
concreto arriver progressivamentenel ventesimo se-
colo a non poter escludereche il mondo possaessereun
grande pensiero e, dall'altra, la dottrina pitagorica che
segueil percorsoinverso: parbedalla certezzametafisica
che il mondo razionale, ha un senso e, proprio per
questo, Ia sua dimensione razionale deve esseretesti-
moniata puntualmente dalla dimensione concreta spa-
zio temporale.
Ecco allora prospettarsi un possibile rapporto tra la
-101-
scienzamoderna e la dottrina pitagorica. La ricerca sul
concreto,tipica della prima, e che per molti secoli ha
costituito una sorta di vaccinazione preventiva nei
confronti della metafisica, ha comenecessariapremessa
il pensiero dell'uomo e, proprio nella sua ricerca sul
concretosar ancora,nel ventesimo secolo.costretta ad
accettarecomenon assurda la tesi secondocui il mondo
I'espressionedi un disegno logico, di un progetto.
La secondaha da sempreaffermato questo,pur senza
giungere, affermando il logos sottesoal mondo, ad una
prowidenza divina personale e antropomorfa come
invece far la dottrina cristiana.
La strada pitagorica e quella scientifica sono scelte
non antitetiche ma complementari. Sono due diversi
percorsi di ricerca chesembranoinizialmente escludersi
vicendevolmente e che, invece, rivelano una reciproca
interdipendenza. Si ripropone per tanti versi il rapporto
dialettico gi evidenziato nel pensiero di Eraclito e di
Parmenide e che si potr ritrovare tra Ia dottrina di
Platone e di Aristotele.
Per Pitagora, dunque, il mondo esprime I'IJno, I'es-
sere parmenideo che, nella molteplicit degli esseri
finiti, esprime la propria essenzache logica matema-
tica. Il passaggiodall'Uno al molteplice sembracontrad-
dire la coerenzalogica, per cui se I'essere uno neces-
sariamente illusorio il molteplice.
Problema gi affrontato da Eraclito, che recupera
nell'unit del logos la contrapposizionedegli opposti,
quella contrapposizione che Ia radice ultima del
mondo. Cos facendo Eraclito richiede in realt un
superamento della logica normale nella quale vale il
principio di non contraddizione per cui uno + molti.
- Questo superamento della logica comune, che richie_
de una intuizione intraducibile sul piano concettuale,
potrebbe essere stato suggerito ad Erclito proprio dalla
dottrina pitagorica.
Aristotele (Metafisica,
libro I, cap.5,986a)ci riferisce:
-103-
che i principi sono dieci e Ii espongono in questa
disposizione:
Iimitato e illimitato
dispari e part
uno e molti
d.estrq. e sinistra
rnaschio e femmina
fenno e naosso
retto e curuo
luce e tenebra
buono e cattiuo
quadrato e rettangolo
- 104
posizionedegli opposti finito-infinito, unit-molteplici-
t, pari-dispari, luce-tenebra,...
Proprio perci I'IJno , contemporaneamente,il due
e, quindi, in quanto uno e due, il tre. Dall,Uno che
Tre nasconotutte le cose.
La matematica con la quale la scuola pitagorica
spiega il mondo ha alla sua radice una antimatematica
o, per altri versi, una metamatematica.
Per esprimere questo concettoPlatone parler di una
matematica dei filosofi, quella di Pitagora, irriducibile
alla matematica "dei geometri e dei bottegai,', che si
insegna a scuola e che, fino alle soglie del )O( secolo,
carattenzzer la scienza e la tecnologia occidentali.
Per Pitagora l'uno I'Uno parmenideo e la diade si
costituisce all'interno di esso.
Diogene giustamente nella citazione parla di ,,diad.e
indeterminata come rnateria sottopostaall'unit come
causa" e riesce ad esprimere I'intuizione pitagorica
molto meglio di quanto non faccia Aristotele. Quest'ul-
timo parla infatti di "due principi" che, pur ricompo-
nendosi nell'unit, non riesconopi a riproporre con la
stessaintensit l'intuizione dell'uno che parimpari e,
nella sua dimensione di sdoppiamento ancora assolu-
tamente indeterminato come materia e non quindi
realt finita.
Siamo ancora alf interno della Trinit divina e il
mondo non c' ancora.
Assoluto
, / \
/ \
Io + non-Io
106
Da queste considerazioni deriva la definizione
di
"pari" come concetto assurdo, come manifestazione
di
un errore di fondo.
Infatti scrivendo:
limitato illimitato
pari dispari
uno molti
t07 -
era considerato espressione dela perfezione: l'essere
parmenideo era considerato come finito, nel senso di
compiuto, concluso.
L"'essere " non pu che essere"concluso".
Ci troviamo qui di fronte a due diverse intuizioni
dell'assoluto.
L'uno parmenideo che eternamente afferma se stesso
nella sua realt pienamente in atto: ed l'intuizione di
tipo spinoziano; contrapposta a questa, l'intuizione
dell'assoluto comedivenire, eternamente "incompiuto":
ed I'intuizione di tipo eracliteo, hegeliano. In quanto
intuizioni (attenzione: intuizioni, non defrnizioni)
dell'assoluto, sfuggono a qualunque richiesta di un
esame tendente a stabilire quale delle due sia la
migliore per esprimere Ia realt dell'essere.
Con l'affermazone che il pari, in quanto illimitato,
non concluso,esprime l'imperfezione mentre il dispari,
in quanto limitato, concluso,esprime la perfezione,la
dottrina pitagorica si qualifica come parmenidea, nel
senso che ritiene pi adeguata l'intuizione dell'essere
come realt in atto.
Ecco perch Aristotele non riesce a sintonizzarsi con
questo tipo di pensiero: egli introduce nell'essere la
dimensionepotenziale, attribuisce realt al divenire, al
tempo, al "non concluso";che, poi, i'eredit platonica e,
quindi, pitagorica gli abbiano comunque lasciato un
segno profondo evidente neLla sua affermazione che
la realt si costituisce all"'interno" della contrapposi-
zione di due concetti limite: la materia come pura
potenza e Dio come pr-rroatto. Ma su questo problema
torneremo.
Oggi tendiamo invece a vedere in modo antitetico la
questione: pr noi I'Assoluto non deve avere limiti.
I'infinito e, in ci, siamo culturalmente eredi del pen-
siero aristotelico, comeconseguenzadelfatto che l,na-
lisi aristotelica parte dall'individuo comemomento pri-
vilegiato, come momento da cui sorge la ricerca filso-
fica. E, questo, un discorsoche non pu essereconcluso
in questi termini e dow essere aftontato in modo pi
dettagliato esaminando il pensiero aristotelico. pei il
momento, ci basti citare questi problemi per cogliere la
distanza che separa le intuizioni di fondo del pensiero
pitagorico rispetto a quello di Aristotele, la cui dottrina
finir poi per avere una grossa influenza su quella che
sar chiamata cultura dell'occidente.
Cogliendoin modo corretto il pensiero di Pitagora, si
intuiscono meglio le provocazioni di Eraclito e ci si
awicina ad un pensiero alternativo, presente nella
cultura occidentalema sempre su posizioni di emargi-
nazione, al limite dell'eresia.
Tornando alla definizione pitagorica del pari come
imperfezione e del dispari come perfezione, impossi-
bile cogliere la inadegutezza del due come momento
nel quale si perso iI senso vero dell'essere,mentre
dividiamo in due parti uguali una mela: siamo sul piano
del concreto, della matematica come strumento di ri-
cerca scientifica: abbiamo identificato le due met che
ci servivano per risolvere un problema esistenziale.Se
andiamo sul piano filosofi.co,non solo si riconosceche
la distinzione in due parti irriducibili mi fa perdere il
sensodel mondo ma ci si rende conto che il concettodi
pari , di per s, impensabile: nel momento in cui viene
pensato il concetto di pari, in realt si gi fuori di
esso,lo si gi superato.
-109-
Le due met di una mela esistono per me, esistono
perch io le ho pensate e le ho poste in esseree quindi,
semmai, esistono le due met della mela ed esisto io,
coscientedella ioro realt; ma ci significa che la realt
costituita di tre principi, non di due.
Ogni volta che si individua o si pensa una realt
distinguibile in due parti, ci possibile perch esiste
quella realt, non compresanei due insiemi equipotenti,
che stabilisce il rapporto di uguaglianza-distinzione.
Utilizzando I'esempiodei punti, comeproposto dalla
scuola pitagorica:
a
b
-110-
sere comemomento di consapevolezzadellacontrappo-
sizione.
come dire che Dio non saprebbedi essercise al suo
interno la scissionevita-mort, bene_malenon si rico_
p,ong:sein me, grazie alla coscienza di esse, nell,unit
che li trascende.
-111-
tiche suggerite, quello stato di equilibrio che divina-
mente si esprime nella perfetta, eterna coerenzadella
logica matematico geometrica.
Qui si realizza la distanza che separa il pensiero di
questa scuela dal messaggio gnostico che sottolinea
invece come originaria la contrapposizione dei due
principi opposti che reggonola realt.
Lo gnosticismoprende atto della ineliminabile realt
dell'enore, della malattia e della morte spiegandoli
come manifestazione della eterna lotta da cui emerge
il mondo.
Una filosofia come quella platonica, che sottolineer
la dimensione parmenidea dell'essere e, con l'idea di
bene che esprime I'essenzadel mondo, la possibilit di
nn riscatto e di una salvezza per l'uomo divenuto
consapevole,non nasconderla propria simpatia per la
dottrina pitagorica. E il Bene che per Platone caratte-
rizza l'essenza ultima dell'esserenon iI bene distin-
to-complementare del male ma l'Essere nella sua
parmenidea e spinoziana dimensionedi eterna compiu-
tezza.
Aristotele invece, che preferir puntare la propria
attenzione sulla realt degli individui, delle coseche il
mondo ci rivela, non riuscir pi a recuperare il senso
dell'unit dell'essere e, nel sinolo di materia e forma
che ogni individuo esprime, ricomparir una dimensio-
ne diadica non pi ricomposta:I'affermazionepitagorica
del due come momento di imperfezione pu spiegarci
comein Aristotele la dottrina pitagorica venga sempre
criticata come inadeguata.
In realt per il pensiero aristotelico,la cui comples-
sit e ricchezza di arbicolazioni richiede uno studio
-ttz-
accurato, riveler nei confronti del pensiero pitagorico
un amore-odio che lo costringer a confrontrsi onti_
nuamente con essoche,pure criticato, costituir sempre
un punto di riferimento obbligato
1 1 3-
I numeri ricorrenti in tali rapporti sono 1,2,3,4 e la
loro somma d 10, il numero pitagorico perfetto, che
sul piano geometrico era rappresentato da:
2 .r2 .2 0
l K _
I U - - -
L2+20
4+6
o
I ,,gnomoni,,,
. numeri dispari erano chiamati anche
data la possibilit di disporli a squadra:
-115-
In questo modo la serie dei numeri naturali presenta
una affascinante successionedi richiami reciproci, per
cui
116 -
nito "elegante", sar quindi un numero che esprimer
arrnonia, bellezza, pace e spiegher tutta una serie di
fenomeni, non solo fisici. Ecco allora Ia possibilit, per
chi ha Ie conoscenze adeguate, di ridurre a rapporti
numerici le caratteristiche di due persone e, dal risul-
tato matematico di questa operazione,avere la possibi-
lit di affermare se l'unione di quella coppia destinata
all'armonia o se invece si riveler inconsistente.
Questo discorso, che porta alla numerologia come
scienzaesoterica,non ci interessa in questa sedema fa
parte anch'esso di quella dottrina che i pitagorici rive-
lavano per gradi ed era uno dei fattori determinanti la
caratterizzazione della scuola come gruppo iniziatico.
La scuola pitagorica stata un momento di grande
rilievo alllnterno della cultura occidentaleche, ancora
oggi, rivela precisi legami con questo modo di spiegare
la realt, magari nel conservaretradizioni Ie cui radici
pitagoriche rimangono, ai pi, oscure.
Il numero corretto di confetti che accompagnanouna
partecipazione nuziale di cinque e, guarda caso,
scopriamo che presso i pitagorici cinque era il numero
che indicava il matrimonio, in quanto formato dall'unio-
ne del primo numero pari, che simbolizza il femminile,
con il primo numero dispari, simbolo del maschile.
Il cinque realizza I'unit, analogamente a quanto
aweniva con il tre ma, mentre questo la realizza su un
piano metafisico, perch il due nell'uno un momento
di realt-irrealt, I'unione del due e del tre awiene gi
all'interno della molteplicit, della realt dello spazio
e del tempo. E come nell'uno, il parimpari, emerge la
dicotomia e la coscienzadi essacomecostitutiva dell'es-
sere, dando cos origine al tre che I'uno cos,inversa-
- L 7 7-
mente ma analogamente, I'unione del femminile e del
maschile riafferma la potenza originaria dell'essere.
Nell'uomo e nella donna c}:rerealizzano I'unit dia-
letticamente ritrovata si nasconde-rivelail segretoeso-
terico di Dio, come abisso dal quale e nel quale bene e
male emergono,ponendoin esserela realt dello stesso
Di al nostro livello di percezione.
Fare partire dai pitagorici I'origine della numerologia
sconetto perch abbiamo le testimonianze che questo
discorso era gi presente in civilt precedenti, quella
babilonese,per esempio.Ci che in essi acquista invece
importanza maggiore, al punto da diventare elemento
fondament al e caratterrzz ante la scuola, I'affermazi o-
ne decisa che l'aritmogeometria rivela le leggi ultime
della realt che, proprio perci, viene dai pitagorici
chiamata "cosmo".
La scuola pitagorica
e la scoperta degli irrazionali
-119-
piano dei numeri naturali e razionali, la elaborazione
del teorema che poi venne definito "teorema di Pitago-
ra", all'interno del quale si sarebbe poi giunti a ricono-
scere la impossibilit di pervenire alia misura della
diagonale del quadrato parbendo dalla misura del lato,
sarebbe risultata un colpo mortale alla dottrina pitago-
rica, secondo cui i rapporbi matematici esprimono la
realt ultima del mondo.
Questo teorema, che afferma che la somma dei
quadrati costruiti sui due cateti di un triangolo rettan-
golo uguale al quadrato costruito sulla ipotenusa,
aveva permesso a Pitagora di giungere ad una genera-
Izzazione, quindi alla scoperta di una 1egge, utilizzando
una conoscenza g1tdei Babilonesi. Questi si erano resi
conto che un triangolo avente i lati 3, 4 e 5 erarettangolo
e avevano pure osservato che:
I) 32+42 = 52
III) 33+43+53= 63
GT-+ bZ= c
Ebbene, questa formula non funziona nel caso del
quadrato che, diviso in due da una delle sue diagonali,
si presenta come llnsieme di due triangoli rettangoli
aventi i cateti di uguale misura.
Infatti, qualunque sia la misura del lato "1" di un
quadrato, nel momento in cui elevata al quadrato ed
moltiplicata per due, nel teorema di Pitagora dar
sempre come risultato della diagonale "d" il prodotto
del lato per il numero irrazionale: {2^
-tzr-
matematiche, proprio di quel periodo storico, per cui,
nonostantetutto, per mille anni si pot vivere di rendita
sulle iniziali intuizioni di Pitagora.
Questa ipotesi tuttavia non spiega due cose.
La prima il fatto che quando si perdono le tracce
storiche della scuola, nel sesto secolo dopo Cristo, il
livello medio di conoscenzarnatematica non era cerba-
mente divenuto pi alto al punto da ingenerare il rifiuto
di un insegnamento incapace di dimostrare la verit
della tesi di fondo, affermante la razionalit del mondo:
non credibile l'affermazione che ne1sesto secolodopo
Cristo il bacino del Mediterraneo abbia visto sorgerela
consapevolezzaclnela logica matematica incapacedi
spiegaretutta la realt e, di conseguenza,sia venuto a
mancare Io spazio per la scuola pitagorica.
La secondacosache I'ipotesi su accennatanon spiega
che rimane incomprensibile come sia potuto soprav-
vivere per oltre dieci secoliun movimento,che tral'altro
al suo interno vide anche sorgere dispute e divisioni,
nel quale i discepoli pi avanzati sarebberoper tanto
tempo convissuti con la consapevolezzadelimiti e della
contraddittoriet delle propri e certezze m etafrsiche.
-t23-
I due triangoii rettangoli originati nel quadrato dalla
diagonale "d" sono,ciascuno,simboli della unit-trinit
divina e, se noi immaginiamo il primo come un triangolo
bianco e I'altro nero, ci troviamo immersi nella dimen-
sionedi pensierodi Eraclito, in cui I'Esseresi costituisce
della dilettica compresenza dei due principi contrari
ed equipotenti.
L'intuizione dell'unit-trinit divina simbolizzata
meglio, in assoluto, dal triangolo equilatero, e espri-
me''equilibrio perfetto ma, nel quadrato, siamo "usciti"
dall'es-serenella sua dimensione assoluta e siamo gi
sotto l'azione dei due principi opposti e complementati,
dalla cui infinita dialettica si origina il mondo' Ecco
tiche.
Il fiIosofo sa invece che non possonoesistere due frli
d'erba, due granelli di sabbia identici; n potranno mai
esistereperch cadrebbel'infinit dell'esseredi cui essi
sonoespressione.Per cui o il quadrato una dimensione
intuitiva che esprime la unicit dell'esserenella molte-
plicit del divenire o, se pretende di essere visto,
verificato, misurato nella nostra realt molteplice, di-
venta assurdo, perch la negazione di quella dimen-
sione nella quale siamo radicati nel momento stessoin
cui facciamo questo discorso.
Ecco allora che la non misurabilit della diagonale
del quadrato, invece di esserela prova che la realt non
razionale, I'occasioneper intuire la meravigliosa
interconnessionelJno-molti, Dio-mondo.
AB, comeIJno, Dio, il Dio indescrivibile "prima della
creazionedel mondo" comediceva Hegel. BC il Figlio,
I'Uno uscito da se stesso,Dio che si autoaliena nella
molteplicit dello spazio-tempo.AC, ctrechiude la figura
e le restituisce la sua unit, Io Spirito Santo come
consapevolezzadi s, dell'Uno che riemerge dall'autoa-
lienazione divina che ha dato origine al mondo.
Ecco perch AC, diagonale del quadrato, non-sar
mai calcolabile e propriola"irrazlonalit" della r/2 mi
fa capire il mistero di Dio e del mondo.
La non calcolabilit della rE fa riemergere I'infinito,
perduto nel momento in cui abbiamo creduto di poter
dire che esistono due unit uguali e distinte: 1+1,
appunto. In realt 1+1 un'illusione perch l'essere
sempre se stesso e la molteplicit degli esseri una
"trappola mentale" che noi stessi ci siamo creata: se
mai fosse possibile risolvere con la matematica del
geometra questo problema, awemmo impacchettato
Dio, avremmo misurato llnfinito.
f25 -
Nel momento in cui ci accingiamo al calcolo della
diagonalepartendo dai due lati uguali del quadrato, noi
stiamo facendo Ia stessa operazione dei paradossi di
Zenone ma, non avendo la sua consapevolezza,scopia-
mo I'impossibilit di giungere alla soluzione:per noi
uno scaccoche ci disorienta, per lui era la conclusione
prevista, con Ia quale, anzi, si dimostrava la logicit
della tesi di partenza, secondo cui il nostro modo di
percepire la realt limitato.
Quando si vuole con il teorema di Pitagora calcolare
la diagonale del quadrato, si vuole concluderepositiva-
mente con gli strumenti delllntelligenza un problema
irrisolvibile, perch ci si trova contemporaneamentesu
due iivelli: il finito e, in quanto tale, misurabile, e
l'astrazione,il prodotto impalpabile di quella intuizione
geometrica che per Pitagora coglie I'essere vero del
mondo, che non quello registrato dai nostri sensi.
Sar, questo, il discorso specifrcodi Platone, iI cui
pensiero avr le radici nell'intuizione pitagorica: il
quadrato non esiste in natura, semmai I'archetipo del
mondo che, considerato nella sua globalit perfetta
armonia ed equilibrio. Se utilizziamo non pi l'intuizio-
ne fiIosofica ma l'analisi dell'intelletto e della scienza
non si riesce pi a cogliere I'equilibrio e l'armonia
complessivi. La nostra ricerca va ad impantanarsi in
problemi irrisolvibili, come la ricerca della misura
dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo i cui cateti sono
uguali, i lati del quadrato, appunto: ci stiamo compor-
tando, nei cononti del quadrato, come se fosse una
realt finita e non una intuizione, un simbolo, un
archetipo.
Sottolineare come scaccoI'impossibilit di calcolare
la diagonale di un quadrato con il teorema di pitagora
significa non avere capito il messaggioprofondo della
scuola pitagorica e, mentre si rimprovera ai pitagorici
questa difficolt, si finisce per sostenereI'assurda af-
fermazione che llnfinito, che si esprime in infiniti
momenti "finiti", possa esaurirsi in uno qualunque di
ESSI.
Ebbene,tutte questeriflessioni sonoimplicite nell,af-
fermazione pitagorica per cui I'LJno, contemporanea-
mente, il Due e, in quanto tale, coincide con il Tre: ed
nell'Uno-T?eche nasconotutte le cose,nascela realt
del mondo. In questa ottica, I'uno diventa uno degli
infiniti attimi di espressione dell'Uno e quindi sai
possibileelencare,sommare, misurare questeunit, gli
individui, gli oggetti, le cosedel mondo.
- 7 2 7-
Due cateti uguali sono una pura intuizione mentale
perch nel mondo non esistono due coseidentiche.
In tale caso, calcolare l'ipotenusa come realt finita
significa abbandonare il piano della pura intuizione
concettuale per riimmergersi nella realt finita dello
spazioe del tempo ma, comegi avevaosservatoZenone,
questo passaggio impossibile se si pretende di usare
per entrambi i piani la stessa logica.
Al tempo stesso, come gi i paradossi di Zenone
tendevano a dimostrare' non esiste il finito: la vera
astrazione non iI quadrato come frgura geometrica,
ma piuttosto credere che esiste questo individuo che
non quell'altro, questo filo d'erba distinto da quell'al-
tro.
A questo punto abbiamo stravolto i postulati di
partenza: la dimensione del misurabile, la geometria
che con il teorema di Pitagora mi.permette di calcolare
lpotenusa partendo dai cateti, il mondo illusorio, nel
senso che I'Esserevisto dalla angolazione del buon
oQn (Io senso dell'uomo comnne ma, per il filosoto, assoluta-
T.".0 mente inadeguato a cogliere la realt(ver. Seguendo
slr4tikrc queste riflessioni si arriva ad affermare che la non
calcotabilit della rf2 ' la scopea dei numeri irrazionali,
lungi dal costituire il limite invalicabile che impedisce
di poter continuare a credere nella razionalit del
mondo, si rivela essere il momento nel quale viene
esaltato il pensiero pi profondo della scuola pitagorica:
l'infinito si manifesta nel finito e, nel finito, l'intuizione
dell'uomo il momento nel quale I'infinito si ritrova
come autoconsaPevolezza.
L'intuizione, non la logica;la matematica del filosofo,
non quella della scienza colgonoI'esserevero' Ad esso
-r28-
si _awicina meglio l'intuizione del poeta, pi che non
I'efficienza della tecnologia
Sembra una conclusioneparadossale,dal momento
chestiamo parlando di una scuolafilosoficache ha posto
il pensiero matematico a proprio fondamento e ch non
ci ha lasciato documenti e testimonianze che possano
provare una simile interpretazione. Ma se accettiamo
che per alcuni filosofi fare filosofia significhi tendere a
superarei limiti del finito e, proprio per ci, tendere ad
una dimensione di conoscenzeche non possonotradursi
in formule concettualmente esaustive, allora l,ipotesi
avanzatadiventa legittima e, semmai, si potr soltanto
discutere sulla sua maggiore o minore ,,elegantza,,.
Se teniamo presente che il pensiero di Pitgora aveva
previsto per i discepoli una comunicazione progressiva
e graduale delle verit della scuola, diventa imcil"
poter rifiutare in assoluto che anche per il pensiero
pitagorico non valga I'affermazione di platon, che a
questo pensiero si ispir, secondo cui il filosofo le
certezzepi profonde non le scrive mai, ma le comunica
solo verbalmente ai discepoli piir degni.
Tutto sommato, risulta in questo modo spiegata
molto meglio la scomparsadi questa scuolanel moen-
to in cui il bacino del Mediterraneo riconoscevanel
cristianesimo la religione vincente, religione che non
tollerava la convivenza corrideologie alternative, anche
se, come nel caso del pensiero pitagorico, queste si
ponevano su una posizione di esoterismo, di religione
dei misteri.
La certezza che il mondo manifestazione di un logos
che si esprime nelle leggi matematiche, porta la filosofia
su un piano che religioso: una religione laica, certa-
-t29-
mente non accessibilealle masse,ma in quel momento
storico, sotto lo choc determinato dalle invasioni ger-
maniche, e le mai risolte conteseper la supremazia e
la definizione dell'ortodossiatra Roma e Bisanzio, nel
Mediterraneo cristiano non c' pi spazio per le sottili
distinzioni metafisiche e una dottrina della doppia
verit : I a convivenza conIe certezzepita goriche sarebbe
stata vista comeuna complicazioneche rendeva ancora
pi complessauna situazione per troppi versi gi cos
difficile da gestire.
Resta, comeulteriore problema praticamente insolu-
bile, da stabilire fino a che punto sia veramente scom-
parso il pensiero pitagorico.
Certamente scomparso come scuola orgarizzata,
come entit troppo facilmente individuabile, porbatrice
di un messaggilncomprensibilesia per i germani che
per i cristiani e, se pure a livello elitario, alternativo a
quello cristiano. In realt, nella storia della filosofia,
'odr"-o continuamente riemergere il messaggio di
fondo di Pitagora.
Quando Einstein dir che "Dio non gioca a -dadi"
riaf%rmer, venticinque secoli dopo, il bisogno di cre-
d.ereche il mondo espressionedi un progetto, di un
logos, e non il cieco prodotto del caso: il pensiero di
Piiagora , ancora oggi, un possibile modo per pensare
noi Jtessi e il mond.o:porci il problema del come, del
quando e del se la scuola pitagorica sia scomparsa
diventa ul falso problema' Cos come un falso proble-
ma chiederci se la scoperta della incommensurabilit
della diagonale del quadrato partendo dalla misura del
Iato sia stata o meno fatale al pensiero pitagorico'
Paradossalmente,proprio l'affermazione di Einstein
130-
per cui "Dio non gioca a dadi" esprime da un lato una
sensibilit, un modo di guardare al mondo che pita-
gorico e, dall'altro, rivela i limiti propri di una visione
scientifica che rischia di pretendere di prendere le
misure di Dio.
Il disagio di Einstein di fronte alla teoria dei quanti
di Plank si pone come il orrispettivo della scoperta
degli irrazionali: in entrambi i casi ci troviamo di fronte
alla necessit di riconoscerela sostanziale imprevedi-
bitit degli eventi naturali. Per la matematica dello
scienziato, se un credente, uno scacco, per la
matematica del filosofo la logica consegr.renza della
pi profonda intuizione della realt: se vero che tutto
Uno e nel frnito si manifesta l'infinito, il finito risulta
tale solo ad una valutazione superficiale; quando si
approfondiscela ricerca e si superano le soglie di una
approssimazioneaccettabile sul piano concreto,si sco-
pre che il finito illusorio perch tutt'altro che finito
e, perci, misurabile.
Sotto questo punto di vista la teoria della relativit,
la teoria dei quanti e il principio di indeterminazione
di Heisemberg, se da un punto di vista materialistico
possonoportare alla angosciosaconclusioneche l'uomo
nato per caso in un universo indifferente, dal punto
di vista fiIosofico possonoesser il modo pi rnoderno,
scientificamente pi aggiornato di esprimere I'intuizio-
ne del mistico per cui il mondo, come espressionedi
Dio, e rester per l'uomo un mistero.
Ma, nell'ottica pitagorica, non un mistero che
proietta tutta la realt nel caos, quanto piuttosto la
recupera all'interno di una concezioneper cui il mondo
razionale o, al limite, esprimente una super raziona-
-131-
lit, da un lato intuibile e, dall'altro, concettualmente
inesprimibile.
Ma qui si torna su un piano pi religioso chefilosofico.
L'uomo, colpito da un terremoto che gli distrugge la
casa e la famiglia, non pu con la ragione, quella che
gli serve per muoversi meglio nel mondo, giustificare
ed accettare ci che gli sta succedendo.Sarebbe come
pretendere che un pesce nel momento in cui, estratto
dal suo mondo vitale, si sta dibattendo, potesseaccet-
tare ci che gli succedecomeespressionedi un progetto.
Se mai potesse pensare al proprio morire come un
momento di un progetto, lo vedrebbe come mostruoso,
satanico.
-732-
riafferma continuamente pur tra infinite variazioni,
come solo la sensibilit di Bach ha saputo riproporre.
Ma, tutto questo, perch?
Il teorema di GdeIci riproietta puntualmente nella
consapevolezza della impossibilit di ris olvere il proble-
ma perch l'uomo e il mondo potrebbero essere,come
l'anello di Moebius, espressione della infinita vertigine
che nasce da due specchi che si riflettono reciprocamen-
te. Nella pitagorica affermazione secondo cui I'Uno
contiene il Due e, proprio perci, contemporaneamente
il Tre, sono impliciti tutti questi discorsi.
Le intuizioni di Eraclito,
Parmenide e Pitagora, ogg.i.
-137-
completamente l'elemento spirituale sono le due facce di
una stessa medaglia. Sono le conseguenz,enaturali della
dic otomia corp o -anima.
La uisione di Cartesio, padre dello rnod.erna fiIosofia
occidentale ch.e ha razionq.lizzato la separazione tra
mente e corpo e ch.e hq. corrcepito gli organismi uiuenti
corne macchine, a tutt'oggi I'approccio concettuale
predominante in biologa.
Lu concezione meccanicistica della uita, una uolta
affermatasi saldamente nel campo della biologia, ha
detern'tinnto anche gli atteggiamenti dei medici nei
confonti della salute, della. mq.lattia e della terapia.
Nella maggior parte delle medicine sciamaniche e
tradizionali, la coscienza e la materiq. formano un'unica
realt, I'Uno, I'Assoluto, senza aLterit o separazione.
Tutti i corpi, le menti e le qnime sono urw, non in senso
materiale e formale, ma in senso spirituale ed essenziale.
Il corpo ha un ualore sa,cramentale e, come I'anima, ha
rarnificazioni organich,e. Tutti i corpi e le cose sono
contigui allo spirito e alla coscienza, e uiceuersa. Esiste
una sorta di gradualit intrecciata tra il pi sottile e il
pi concreto e grossolano, senza chiare demarcazioni.
Quindi lq. malattia e ia cura del corpo irnplicano neces-
sariamente un'qttenziorte arnbientale e una uqlenza
spirituale pi vasta.
Dopo iI delirio di onnipotenza della fine del XlX-inizio
del XX secolo, e dopo la delusionp e la frustrazione del
tardo W secolo, Ie scienze in generale e le discipline
biomedich.e in particolare sembrq'no pronte a procedere
uerso un nuouo orizzonte di ricerca multidisciplinare.
In questi ultimi anni, si intensificata l'uttenziorte
alle dottrirrc e ai sistemi orientali nel tentatiuo di troua're
-138-
soluzioni aI dilemma posto dai paradigmi scientifi,ci,
filosofici ed etici del mondo occidentale. Chi si d,ed.icato
a questiproblemi, ha indirizzoto Ia,comunit scientifica
e I'opinionepubblica uerso urlo nuoua corrceziorrc della
realt, che si basa sulla consapeuolezzadelle strette
conne.ssionitra tutti i fenomeni fisici, biologici, socio-
culturali, psichici e spirituali.
Non si nega I'utilit delle specifiche disciptine e dei
paradigmi etici esistenti, ma si fa strada la necessitdi
allargare la uisuale per superore gli attuali confini
culturali e concettuali.
L'auspicio chc non ci sia una connscenzaorientale
contrapposta ad una connsceraa occidentale, ma piut-
tosto una conoscerrzaglobale e uniuersale; non una
medicina " ufficiale" contrapposta a quella,"alternetiua',,
ma una uera rnedicina integrata.
x x < * *
-139-
- Sournia, J. C., MYTHOLOGIES DE LA MEDECINE MODERNE'
ESSA/ SUR LE CORPS ET I'A RAISON, Presses Uruu' de France,
1969
- Atti det SirnposioInternazionale sulla Medicina Tradizionale,
(Jniuersit di Medicina e Farmacia d Toyama (Giappone),1992
-140-
opposto, facevano risultare troppo forte e incontenibile
la pressione di questi popoli e delle loro mandrie su un
territorio non pi in grado di assicurare i'pascoli
sufficienti.
Normalmente la direzione preferenziale per scaricare
il loro eccessodemografico era iI meridione, verso le
terre in cui le condizioni climatiche pi miti avevano
permesso I'instaurarsi di una agricoltura stanziale, ma
quando I'area cinese si ritrov forte a sufficienza per
contrastare questi ciclici travasi demografici ecco che
la spinta verso la ricerca di nuovi pascoli non pot che
dirigersi verso occidente, originando una spinta pro-
gressiva di trib e federazioni di trib che finir poi per
determinare attraverso il corridoio delle steppe quelle
invasioni dei germani che la storia ci fa registrare come
una delle cause che fecero aggravare la crisi dell'impero
romano. E il corridoio delle steppe fin per incanalare
come un enorrne imbuto queste popolazioni rozze e
incolte ma dure, temprate da una vita in condizioni
awerse, che diventeranno cos una delle cause pi
appariscenti della caduta del troncone occidentale di
quell'ex grande impero mediterraneo troppo evoluto e,
contemporaneamente, troppo fragile per poter far fronte
sia alle proprie contraddizioni interne che a questa
aggressione dall'esterno.
Oltre dieci secoli dopo saranno i galeoni portoghesi
e,in seguito,le cannoniereolandesie inglesi a irrompere
sulla scena di un oriente abituato a considerare il
proprio scacchieremeridionale come non necessitante
di paicolari difese, dal rnomento che gli oceani erano
stfr fino ad allora baluardo insuperabile per potenziali
affiessori mentre, a nord, la pression dei nomadi
-T4I-
aveva determinato la scelta di costruire la ciclopica
mr.rraglia cinese.
-t43-
scuole di yoga, di gruppi che ricerano la pace interiore
con pratiche di meditazione, stili di vita e diete tipica-
mente orientali che stanno, anche qui, determinando
una progressiva tensione tra valori che sembravano
storicamente affermati in modo definitivo e prospettive
alternative fino a pochi decenni fa derise o relegate a
settori emarginati.
L'articolo sopra riportato di Dipak Pant, apparso in
una pubblicazione che voleva fare il punto della evolu-
zione della scienza e della tecnica sul finire del secondo
millennio dell'era cristiana, in una edizione flr.anziata
da una multinazionale che ha interessi economici che
spaziano in settori e aree diversi, uno degli innume-
revoli esempi di una mutata sensibilit per una certa
visione dellavita e della morte che solo una generazione
fa, in occidente,pochi osavanoprevedere.
La visione eraclitea che in questo lavoro stiamo
utilizzando ci permette di prevedere, owiamente con i
tempi tunghi propri della storia, una progressiva cre-
scita di questi elementi per tanti versi nuovi e dirom-
penti nelle due culture, vale a dire Ia dimensione tecnico
scientifica in oriente e la visione mistico contemplativa
in occidentein una prospettiva che, su un piano plane-
tario, potr dare origine a una cultura e civilt nuova
che si porr come sintesi dei due momenti che non
potranno pi esserecosnettamente differenziati, stan-
ie Ia caduta delle barriere e la sempre maggiore osmosi
tra aree del pianeta che fino a poco tempo prima erano
sostanzialmente non comunicanti tra loro.
Questa sintesi futura non avr le caratteristiche di
una et dell'oro; I'et dell'oro e il paradiso terrestre cos
comesono stati sognati: felicit, pace,benessere,salute
e immortalit garantite per sempre non ci sono mai
stati n potranno mai esserci.
E tuttavia ragionevole pensare che in futuro, proprio
a partire dalle aree del pianeta nelle quali a causa
dell'incontro-scontro tra le due culture si vivono oggi
tensioni e contraddizioni pi forti, possa instaurarsi
una nuova cultura nella quale potranno convivere, in
una integrazione pi soddisfacente, evolute conoscenze
scientifiche e capacit tecnologiche con la consapevolez-
zadella unit dell'essere,per cui nessuna modificazione
dell'ambiente trotr esserevista come insignificante ed
essere decisa con leggerezza sulla base di interessi
immediati di gruppi di potere. lJna nuova cultura nella
quale l'utilizzo delle tecnologie pi avanzate andr di
pari passo con la consapevolezzac}neil mondo vegetale
e animale sono i grandi serbatoi di sensibilit e perce-
zione da cui emerge quella che noi chiamiamo coscienza
umana e la religione riscoprir la sacralit della materia
come momento autentico dell'espressione divina.
L'uomo vivr la ricerca della saggezza corrrequotidiano
mantenimento dell'equilibrio yin e yang che garantisce
la salute fisica e, di conseguenza,una capacit di
pensare e intuire che determinano una pace e serenit
interiore che oggi appare sempre pi lontana. E, nel
sottolineare che questa serenit sul piano mentale e
spirituale sar il naturale corrispettivo di un equilibrio
dinamicamente sempre rifinito sul piano fisico, entria-
mo nelvivo del commentodell'arbicolodi DipakR. Pant,
nel tentativo di chiarirlo ulteriorrnente innestandolo
nel precedente discorso sulla fiIosofia di Eraclito, Par-
menide e Pitagora.
Pant ci dice, giustamente, che nella cultura orientale
-r45-
morire bene altrettanto importante che vivere bene.
Si potrebbe forse osseware che un discorsoche, in
occidente,ha fatto il suo tempo, dal momento che per
diversi secoli la religione cristiana ha gi avuto laforza
per imporre come ineludibile questa riflessione. In
realt, per, essa sempre staLaviziata da un equivoco
o, se vogliamo, una ipocrisia di fondo: dal momento che
la chiesa cristiana da molti secoli non ha pi voluto
parlare di reincarnaziotte, necessariamente l'evento
morte si qualificava comeconclusionedi una esperienza
unica e irripetibile, per cui, considerato che la dimen-
sione post mortem era oggetto di fede e non di ricerca
e conoscenzascientifica, era logico rinviare quanto pi
possibile questo evento che strappava la vita da quella
realt spazio-temporale che ai normali strumenti di
percezionerisulta l'unica realt verificata. La morte
diventata quindi, in questa prospettiva, l'evento pi
temuto e qualunque mezzo, anche il pi violento e
innaturale, diventa preferibile e iegittimo se fatto in
funzione di un allungamento della vita fisica.
Una prospettiva di reincarnaziorte, in un mondo
concepito come cosmo,come governato da una legge e
quindi dove la casualit non ha spazio, modifica radi-
calmente i termini della situazione. Non solo toglie alia
chiesail potere di gestire in regime di monopolioil nulla
osta per accedereaI paradiso sfuggendoall'eterna con-
danna dell'inferno, ma costringe ad ammettere, se
vero che il mondo esprime logos, che la legge di causa-
effetto soprassiedeanche all'evento morte. E comeogni
giorno della vita con le sue esperienzepositive o nega-
tive iI risultato necessariodi scelte precedenti cos la
morte a cui andiamo incontro karmicamente scelta
attimo dopo attimo nel corsodella vita: un esame che
andr bene o male nella misura in cui avremo avuto la
capacit di stringere i denti per studiare quando invece
sarebbestato pi comodoandare a spasso.Con, in pi,
un nuovo elemento che esorcizza l'angoscia: I'esame
verr ripetuto tutte le volte necessarie per capire la
lezione e, anzi, ogni per quanto piccolo progresso di
consapevolezza verc, sempre recuperato e diventer
karmicamente determinante nel definire le future espe-
rienze esistenziali.
Sar Platone a fare con chiarezza questo discorso,
chein realt si radica nel precedente pensiero filosofico
di Pitagora e nelle prospettive dialetticamente comple-
mentari di Eraclito e Parmenide: I'eterno divenire di
Eraclito il nostro modo di sperimentare l'infinita
eternit dell'essereparmenideo in una successionedi
esistenze,.traloro concatenate con la ineluttabilit di
una logica matematica che Pitagora aveva a sua volta
postoalla radice del mondo visto, appunto, comecosmo.
Il cristianesimo dei primi secoli era a conoscenzadi
questodiscorsoe lo avevafatto suo, comeancora appare
evidente nel pensiero di Agostino. Ma, quanto pi Ia
chiesa cristiana si trasformer in istituzione di potere
dapprima alleata e poi addirittura in competizione con
il potere politico dello stato, tanto pi porr in ombra
questomessaggio:la vita terrena diventer una espe-
rienza senza prove di appello in cui ci si gioca tutto e
in questo contesto la chiesa si autoproclamer deten-
trice esclusiva del potere di aprire le porte della salvezza
eterna.
Tutta la cultura occidentale rimarr per secoli con-
dizionata da queste scelte al punto che il pensiero dei
-t47-
filosofr, che invece hanno teorrzzato posizioni alterna-
tive che si richiamavano aI messaggio pitagorico e
platonico, verr frainteso o messo in ombra e taciuto.
La prospettiva orientale che oggi sta emergendoin
occidente, e che gi alcuni grandi frlosofi occidentali
hanno da secoli teorizzato, fa apparire come disumano
e frutto di una sostanzialeignoranzail ricorso a tecniche
sofisticate per mantenere quanto pi possibile in vita
malati allo stato terminale. Alo stessotempo I'angoscia
di fronte alla morte rende, sempre in occidente,cos
difficile e delicato affrontare con il malato il discorso
dell'appuntamento con la morte, quando la medicina
vede progressivamenteridursi le speranze di un recu-
pero. Il mantenimento in vita, in sala di rianimazione,
di un uomo in stato di coma sicuramente irreversibile,
quandonon ha scopimagari taciuti di puro esperimento,
risponde proprio a questa logica: non o si fa per il
malato in s ma peri parenti, per tutti coloroche questa
persona conoscono,per non dover affoontare con essi il
problema di accettare la prospettiva della morte in
termini di evento naturale che si pronti a prendere
in considerazione.Poich la morte continua ad essere
quel terrificante buco nero che tutto annulla, ecco che
i vivi, incapaci di conviverecon essa, la devonocon ogni
mezzo tenere lontana e contrastare e, in questa ottica,
tenere in vita il malato ha spessollnconscia motivazio-
ne di esorcizzarela paura dei vivi.
La cultura occidentale ha tutto da guadagnare nel
recuperare una visione della morte "...intesa come il
punto di congiunzionein cui la,finz di un' ciclo coincide
con I'inizio di uno nuouo."
La realt della nostra esperienza un percorso
-148-
circolare di consapevolezzacrescente in cui ogni istante
pu, se solo lo vogliamo, diventare importante al punto
da poter esserericordato comeuna rinascita e in questa
progressiva, infinita crescita Ia morte un evento
ricorrente che bisogna imparare a superare con sciol-
tezza: avere paura di morire sintomo di un disagio
esistenziale di fondo, cos come sintomo di gravi
problemi avere paura del buio, del silenzio, della soli-
tudine.
Come ogni notte ci si addormenta uscendo dallo
spazio-tempo,che la realt nella quale stiamo attual-
mente esercitandola nostra consapevole zza,per immer-
gerci in un nuovo universo che avr caratteristiche
diverse in rapporto alla evoluzione spirituale che ab-
biamo raggiunto cos, con la morte si torna, attraverso
un lungo percorso di assimilazione del vissuto prece-
dentemente realizzato, a rimescolare le carte in modo
da poter iniziare una nuova partita con le possibilit e
le prospettive che alTemo saputo meritare.
Si obietter che, al mattino, il risveglio sempre
accompagnatoCal recupero della consapevolezzadel
nostro io come capacit di ricordare il nostro passato,
meirtre non ci risulta di essere nati con una analoga
consapevolezzadella esperienza di vita precedente ma,
in questo caso, non si pensa al fatto che emergere dal
sonno consapevoli della nostra identit, e quindi del
nostro passato, frutto di una crescita e maturazioRe
che dura molto tempo: il bambino di pochi mesi vive
I'attimo di consapevolezzaanalogamente a quanto suc-
cedeagli animali superiori e solo con il tempo e lenta-
mente riuscir a svegliarsi al mattino sentendosi un
'to" che ieri si sentito fare
certe promesse e oggi si
-149-
aspetta che queste non vengano disattese. Non per nulla
gli innumerevoli casi di ricordi di reincarnazioni prece-
denti, che sul piano scientifrco risultano da un lato
verificati e dall'altro sconcertanti perch inspiegabili
all'interno della cultura ufficiale, sono casi offerti da
bambini nella prima infanzia i quali ben presto, in
quanto immersi in un ambiente che non accetta questa
prospettiva e progressivamente catturati dalla espe-
rienza di vita vissuta del momento, perdono questa
capacit di ricordare, analogamente a quanto succede
a tutti noi quando assistiamo alla proiezione di un film:
all'inizio vediamo lo spettacolo e contemporaneamente
conserwiamo la capacit di ricordare i reali problemi
esistenziali della giornata ma, nella misura in cui il
film ci affascina e ci cattura, perdiamo la capacit di
mantenere il senso della concretezza per trovarci com-
pletamente proiettati nello spazio tempo della vicenda
cinematografica.
L'essere umano si trova a dover affrontare nella sua
evoluzione proprio questa nuova e, per i pi, futura
consapevolezza: ll nostro attuale io il risultato pro-
gressivo di una crescita che affonda le sue radici in
infinite esistenze precedenti e ci che ci rende diffrcile
accettare questa prospettiva non tanto la nostra
attuale incapacit di provare la teoria della reincarna-
zione quanto piuttosto I'inconscia intuizione che se ci
fosse vero non avremmo pi alibi e scuse: ogni attimo
della vita un esame da cui dipende il futuro che
andremo a sperimentare. In questa ottica f inferno e il
paradiso ultraterreni diventano favole ingenue per una
umanit bambina e ci si rende conto che il vero paradiso
la consapevolezza di esistere in un mondo che cosmo'
1 5 0-
che ordine, legge di causa-effetto avendo imparato
ad accettare che la consapevolezzaraggltnta ci merita
di poter scegliere tra gli infiniti possibili universi, tutti
ugualmente veri nell'essere parmenideo e trovandoci,
contemporaneamente, con la forza di fare nostra la
re-sponsabilitconseguentea questo potere, per cui noi
e solo noi siamo gli artefici del nostro destino. Il vero
inferno vivere in un mondo che cosmoche si realizza
secondola legge di causa-effettoma essendoincapaci
di vederlo come tale, per cui risultiamo sommersi dagli
eventi che a noi appaiono come variabili puramente
casuali.
Quest'ultimo il casodella maggior parte degli esseri
umani che si ritrovano sedimentato nell'inconscio col-
lettivo il mito dell'et dell'oro, del paradiso terrestre
che, in realt, iI risultato delle nostre precedenti
esperienzedi vita a livello puramente animale: in effetti
l'animale vive nel paradiso terrestre, nel senso che vive
l'attimo, non pensa ad un passato che pu esserepi o
meno piacevole del presente n si proietta nel futuro
che a sua volta pu prospettarsi angoscioson, tanto
meno, capace di proiettarsi in quella dimensione di
morte che, in quanto uomini ancora soltanto animali
evoluti, pu giungere a non lasciarci pi dormire la
notte.
Gli animali superiori che vivono a contatto con
I'uomo, e che dimostrano a chi ha un minimo di sensi-
bilit che anche essi gi sanno softire e provare piacere,
ben diversamente da quegli automi che la rozz pte-
sunzione di Cartesio aveva affermato, sperimentando
nel bene e nel male la potenza dell'essereumano con il
quale convivono, stanno accumulando nel loro inconscio
-151-
collettivo la certezza che gli dei esistono e stanno
sedimentando gli elementi di "inconscia-consapevolez-
za" c}:'e spiegano come possano emergere, ai primordi
di ogni cultura che storicamente si affermata, opere
come l'Iliade o I'Odissea, in cui i poeti parlano con
disinvoltura di una convivenza tra uomini e dei. e come
queste stesse opere possano esercitare a distanza di
migliaia di anni un fascino immutato, al di l dei loro
pregi sul piano poetico letterario, sulle coscienze pi
ingenue.
L'animale che, vivendo con I'uomo, viene proiettato
in una dimensione che 1o costringe ad uscire dalla pura
coscienza dell'attimo, come quando si ritrova a poter
disubbidire ad un divieto o a un ordine, comincia ad
uscire dal paradiso terrestre, comincia ad assaporare il
frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male;
comincia a percepire che, fatta una certa scelta, succe-
deranno determinati effetti e si ritrova cos a vivere nel
tempo, il che moltiplica alf infinito quella realt spaziale
che ancora per l'uomo quando vive "lasciandosi vivere"
sembra cos unica e oggettiva.
Per l'uomo che intuisce la possibilit della reincar-
nazione awiene un analogo salto di consapevolezza
perch coglie l'immenso potere dell'attimo che sta vi-
vendo, ma in un'ottica soggettivamente pi potente di
quella che Hegel ha posto in luce: qua4do il filosofo
tedesco dir che iI vero infinito I'attimo come realt
fondante I'eterno divenire, giunger a schiacciare l'in-
dividuo come combustibile dell'essere, mentre, nella
nuova-antichissima ottica eracliteo-pitagorica, pro-
prio nelia intuizione della infinita potenza dell'attimo
di consapevolezza che l'uomo si realizza come potere
t52-
divino di sperimentare infiniti mondi. Analogamente
all'animale che ha questo barlume di consapevolezza
del divenire e poi si riimmerge nella beata incoscienza
del tempo, cosl'uomo nonnale non riesce a vivere nella
continua coscienza della nuova responsabilit che Ia
realt della reincarnazione comporta: una evoluzione
che awiene molto lentamente e che se fattori da lui
incontrollabili accelerano oltre una certa misura posso-
no portarlo alla pazzia. Esperimenti crudeli fatti sugli
animali superiori, come per esempio quello di costrin-
gere un cane che vuole raggiungere il cibo a subire una
dolorosa scarica elettrica, hanno dimostrato, analoga-
mente, che anche essi possono impazzre, nel senso che
anche in condizioni normali potranno avere reazioni
non pi prevedibili e pericolose a s e agli altri in quanto
sono stati costretti ad un aumento di consapevolezza
che non possonoancora sopportare.
Con ci siamo tornati a ribadire l'affermazione del
terz'ultimo capoverso di Pant in cui si sottolinea la
necessit di una nuova consapevolezza delle strette
connessioni tra tutti i fenomeni fisici, biologici, socio-
culturali, psichici e spirituali.
C' per un punto del discorso di Pant che va meglio
rifinito perch nel suo articolo, per esigenze di spazio,
pu risultare troppo sintetico e quindi poco chiaro.
Andiamo a rileggere queste righe, per riflettere su di
CSSC:
1E
risult di non facile comprensione. Afflermare che la
malattia e quindi il male ha le sue radici nella profon-
dit dell'esistenza significa che nell'eterna realt
dell'essereparmenideo, di Dio nella sua realt ultima,
essonon esistecomerealt originaria, perch ancheDio
dovrebbe fare i conti con esso: , piuttosto, il due di
Pitagora, iI non-Io di Fichte, puri momenti logici all'in-
terno di un assoluto che, cometale, sfuggir sempre ad
una coscienza individualizzata. Utilizzando e svilup-
pando il discorsoche far Bergson,ci si ammala quando
la capacit di scegliere, che nell'uomo come animale
superiore pu avere ragione dell'istinto, viene utilizzata
per inseguire "intelligentemente" il piacere e I'interesse
del momento: il mangiare il gelato che assicurapotenti
sensazioni di piacere, ie quali possonodiventare una
trappola nel momento in cui f individuo si identifica
talmente nelle percezioni che gli derivano dalle papille
gustative da dimenticare che nell'economiadella natu-
ra, nel fiume evolutivo che ha portato la vita a realiz-
zarsi in un essere cos complessocome l'uomo, questi
ha uno scopo ben pi alto che quello di ridursi ad
assaporarei geiati.
In questo casoil potente yin del gelato,ricercato oltre
il limite, o inserito in un contesto di vita in cui troppo
spessosi ricercano analoghe intense sensazionifornite
da altri cibi o bevande, determina uno squilibrio dando
origine alla sintomatologia delle malattie che eviden-
ziano uno squilibrio di energia yin come,ad esempio,a
distanza di qualche ora mal di testa o, il mattino
successivo,le gengiveche sanguinanosotto il massaggio
dello spazzolino da denti.
Quando lo squilibrio pi complessoe si allaccia ad
eccessianche di segno opposto potranno apparire sin-
tomi che rivelano un problema pi profondo, come
I'aumento della caduta dei capelli o la comparsa di
eruzioni cutanee giungendo, in casi di squilibri siste-
matici e radicati nel tempo, a una sintomatologia che
vedr mettere in crisi la conetta funzione del pancreas
e del fegato.
Tutto questo non significa affatto che mangiare un
gelatosia negativo, sia un comportamento peccaminoso.
Si tratta di saperlo scegliere quando esso giunge non
comeelemento squilibrante ma piuttosto come momen-
to riequilibratore: dopo una lunga camminata sotto iI
sole, un lavoro o un esercizio sportivo che sul piano
fisico agiscono come potenti yang, eccoche il gelato o il
bicchiere di birra fresca si innestano nel nostro corpo
senzaconseguenzeda smaltire ulteriormente.
Uno degli attuali scopi dell'animale uomo consiste
proprio nell'imparare a scegliere tra lo yin e lo yang
giungendo a vivere in perfetto equilibrio non pi come
I'animale selvatico dee segue I'istinto ma con llntuizio-
ne di cui haparlato Bergson:una intuizione, cio,capace
di sfruttare llintelligenza per vivere dominando con la
scienza e la tecnologia il mondo, non pi quindi come
l'animale che "giusto" come tale.
L'uomo, con la sua intelligenza, giunto a creare il
perfetto connubio tra l'arrosto di selvaggina e il corposo
vino rosso d'annata, ma questo equilibrio tra il cibo
molto yang e la bevanda molto yin risulta difficile da
mantenere sotto controllo a tempi lunghi e la malattia
ci che ci pu costringere a realizzare equilibri pi
morbidi quali ad esempio, in una dieta che scelga di
diventare vegetariana, tra 1o yang di un piatto di riso
- r 5 7-
o di pasta e, un paio di ore dopo, 1o yin di vnatazza di
t.
A chi facesseosservareche cos si impoveriscela vita
si pu rispondere che anche per colui che abituato ad
andare iI sabato in discotecapu apparire un impove-
rimento ascoltare nella quiete della propria stanza un
brano di musica classica,ma se ci si identifica in colui
che ha imparato a gustare I'evoluzionedella musica dai
madrigali del tardo cinquecento ai concerti grossi
dell'et barocca, dalla geniale effervescenza di una
musica mozarbianaalla monumentalit di una sinfonia
di Beethoven,dalle dolci sonate di Schubert alle dissa-
cranti fantasie di Gershwin. il discorsosi ribalta com-
pletamente e il ritmico, ossessionantepulsare dei suoni
della hard music appaiono comeil risultato della appli-
cazione della intelli genza a un livello evolutivo che ha
ancora molta strada da fare.
Per non parare poi del fatto che la consuetudinecon
l'alternanza di yin e yang molto potenti, soprattutto
sul piano dietetico, ci immerge sempre pi in un tipo
di consapevolezzadel nostro corpo che ci cattura, per
cui il corpo diventa il nostro padrone e non il nostro
migliore strumento e con il passare degli anni sar
sempre pi difficile pensare all'evento morte con la
serenit di chi convinto che essa rappresenta una
pausa necessaria per I'assimilazione profonda delle
esperienzevissute e non I'annichilimento nel buio e nel
freddo di un loculo di cemento.
Gi si accennato in un precedente paragrafo a
questo problema ma qui giova riprendere il discorso:
I'inumazione della salma chiusa in una cassa di zinco
a sua volta contenuta in una cassadi legno solitamente
158-
pregiato e il tutto riposto in un sarcofago di pietra o di
cemento il tipico prodotto della cultura occidentale
cristiana, che vede nel corpo la sola realt di cui da vivi
possiamo essere cei. L'idea di seppellire la salma,
awolta in un telo di lino o di cotone, nella nuda terra
d ai pi, in occidente,una insopportabile sensazione
di angoscia proprio perch non si riesce a disidentificarsi
dal corpo; quando, invece, iI modo filosoficamente ed
ecologicamentepi corretto di restituire al grande corpo
della terra ci che essa ha prodotto, mentre il principio
spirituale vivificatore di esso rientra nella grande ani-
ma universale all'interno della quale l'io individualiz-
zato si scioglie perdendo le proprie caratterrzzaziori
che, ponendolo in esserecome "io", lo avevano tempo-
raneamenteseparato dalla dimensionedell'Uno pitago-
rico e parmenideo. Credere nel mondo come cosmo,
credere nel logos eracliteo, significa essere profonda-
mente convinti che la vita passata non andr persa n
sul piano materiale n su quello spirituale e, come
nessun atomo del corpo verr annullato, cos la consa-
pevolezza raggiulta verr antumata-purificata per
poter essere recuperata ad un nuovo superiore livello
di esperienza.
E una questione di fede ma anche una questione
di scelta e nella visione fiIosofica che qui si propone si
sostiene che l'uomo, come animale, evoluto quanto
basta per avere il potere di scegliere e, quindi, comin-
ciare a pagare quando sceglie lo squilibrio tra lo yin e
lo yang, tra I'uno e il due che costituiscono,insieme,
l'[Jno:I'uomo, quindi, destinato a sceglieree a pagare,
proprio in quanto ha scelto, per crescerein consapevo-
lezza.
-159-
Sotto questa luce il male e la malattia diventano
molle potenti sul piano evolutivo, per imparare a volare
pi in alto, pervivere su un piano che, non rinnegando
mai la materia che ci costituisce come veicolo di vita,
se ne libera progressivamente nel senso di utilizzarla
dominandola.
una filosofia di tipo aristocratico, nel sensoetimo-
logico del termine, come lo sono state, appunto, quelle
di Eraclito, Parmenide, Pitagora, per limitarci ai filosofi
che gi sono stati visti.
Esasperando il discorso, si arriva a dire che l'uomo
che vive intensamente a livello di sensazioni molto
radicate nella dimensione materiale e, ci nonostante,
gode ottima salute , da un certo punto di vista,
fortunato ma, dall'altro, si trova ad essere ancora
soltanto un animale superiore che non ha ancora ma-
turato karmicamente di meritare la "malattia come
Erqzia divina".
E molto giusta l'affermazione di Pant secondocui
"non c' mai stata una teologia del corpo" perch anche
in un filosofo comeNietzsche, che parler della grande
salute che deve caratteizzare il super uomo, questa
intuizione non riuscir ad emergerein un contesto che
trasformi I'esigenzadel dominio perfetto della materia-
lit della vita in un progettorealizzabile concretamente,
secondoindicazioni che, dovendo pur sempre trasfor-
marsi in percorsi individuali, mai definibili dall'esterno
come programma elaborato da un dietologo e seguito
passivamente, permttano di muoversi con punti di
riferimento non pi soltanto intuitivi. Questeindicazio-
ni ci sonosempre state, lo vedremoesaminandoPlatone,
ma oggi sono pi chiare, disponibili per chi abbia
160 -
orecchieper intendere. Scegliendo una dieta vegetaria-
na, come gi consigliava la scuola pitagorica, per ren_
dere meglio controllabile I'entit delle forze con cui si
ricostruisce quotidianamente il proprio esserefisico e
imparando a scegliere cibi e bevande secondo la loro
valenza yrn/yang che si determina in base al clima. al
luogo e al proprio stile di vita, si pu realizzare una
nuova teologia di salvezza,quella
"...conciliante e dornestica
d'abiti quotidiarti e guatrce rifiorite,"
-161-
che ci porta progressivamente a respirare aria pi pura,
sentendoci immersi in vibrazioni via via pi sottili e
pi potenti, con la prospettiva di una vecchiaia libera
dai processi di degenerazione patologica, fino ad ar:ri-
vare alla morte "giusta", che quella di una candela
che si spegTreperch si consumata tutta la cera, per
cui la morte soprawiene senza percepire dolore, cos
come senza alcun dolore si passa dalla veglia al sonno
che, se si saputo progredire a sufficienza, non pi
un buco nero di incoscienza ma un risvegliarsi in una
dimensione di possibilit prima, appunto, di sogno.
Una teologia che vive la quotidianit delle sue scelte
apparentemente banali, nella consapevolezza ctre la
affermazione cristiana della morte di Dio in croce va
riletta in senso esoterico: la croce l'intersecarsi di due
possibili simboli dello yin e dello yang e l si trova
inchiodato I'IJno non gi per salvare il mondo a lui
esterno ma per porlo in essere. La croce, sul piano
esoterico, uno dei modi di simbolizzare la dimensione
trinitaria di Pitagora: I'IJno l'uno-due e da questo Uno
che contemporaneamente il tre emerge I'infinito fini-
tizzarsi, nelle cose, del principio unico, radice e senso
del mondo.
Per altro verso il Cristo. sulla croce. il simbolo
dell'uomo che, attraverso un livello di consapevolezza
della sofferenza che l'animale non pu ancora affronta-
re, muore alla dimensione animale per risvegliarsi su
un nuovo piano di consapevolezza, quella divina.
-162-
Anassagora
-163-
mali fece semplicementeconviverein quanto egli fu da
un lato capacedi una intuizione dell'infinito srrffi.i"o-
temente evoluta da risultare per i suoi tempi provoca-
toria e, contemporaneamente,convinto della vatidit
della percezioneche del mondo ci arriva dai nostri sensi.
Il risultato fu una visione del mondo in cui era evidente
il buon sensodi chi ha i piedi radicati a terra eutjlizza
come termini di verifica valida i dati dell,esperienza,
ma con la presenza sempre ribadita di una intuizione
dell'infinito che render la sua visione empirica non
convincente su un piano materialistico: non per nulla
nella successivastoria del pensierooccidentalebisogne-
r arrivare fino a Leibniz per ritrovare un filosofo che,
con ben altra forza, provi a far convivere queste due
dimensioni.
Anche sul piano della vita concreta si comport in
modo da ribadire da un lato il fascinoe dall'altro il senso
di inquietudine che seppe contemporaneamentesusci-
tare in quanti lo conobbero:accusatodi non badare con
diligenza al suo patrimonio familiare, che era consisten-
te, avrebbe risposto: "Ma allora, perch non ve ne
occupatevoi?" e, lasciati i suoi beni alla citt di Atene,
si sarebbededicato completamenteallo studio dei feno-
meni naturali.
Di lui ci parlano ancora, tra gli altri, Platone, che lo
critica in modo sostanziale, ed Aristotele che, pur
criticandolo, lo recupera almeno parzialmente in modo
positivo.
Vedremo tra poco in modo pi dettagliato il tipo di
critiche di questi due grandi filosofi, ma leggiamo ora
i frammenti pi signifrcativi che la tradizione riconosce
come autentici della sua opera.
164
Il blocco dei frammenti qui riprodotto quello che
compare sulla Grande Antologia Filosofica della casa
editrice Marzorati (vol. I pagg. 72-3) e, per un ulteriore
controllo, di ciascuno di essi viene data anche la sua
posizione nell'opera "AA.W. - I presocratici. Testimo-
nianze e frammenti" dell'editore Latetza.
165 -
"Nel tutto u' una parte del tutto, saluo che della
mente, e Ia mente nelle cose che.sono."
(pag.606)
166 -
e scompaiono proprio in quanto originate dal moto: si
d cos ragione del fatto della nascita e della morte che
caratterzza iI mondo, dalla forrnazione degli astri a
quella delle catene montuose, fino allo spuntare del pi
umile filo d'erba. Diogene ci riferisce che a chi gli
chiedeva se i monti di Lampsaco sarebbero un giorno
diventati mare abbia risposto "se non ne mancher il
tempo".
E bene ricordare che Anassagora fu discepolo di
Anassimene ma, con l'introduzione del Nous come
origine del tutto si d una giustificazione del fatto che
il venire alla luce delle cose non casuale ma logica,
per cui si spiega perch dall'erba nasce erba e un
animale d origine ad altri esseri della stessa specie,
cos come i fenomeni del mondo siano spiegabili con
rapporti di causa-effetto.E qui si inserisce come con-
tributo originale della sua ricerca del perch delle cose
I'affermazioneche alla radice di esseesistonoi semi che
verranno in seguito, da Aristotele in poi, chiamati
omeomerie (etimologicamente: scomponibili in parti
uguali) intese cio come entit qualitativamente della
stessaspecie.
Eccoperch noi vediamo il coniglio mangiare vegetali
e questisi trasformano nel suo corpoin unghie, pelliccia,
denti, carne... apparentemente cos diversi.
Affermando I'esistenza dei semi Anassagora spiega
questa trasformazione non come una trasmutazione,
comepoi verr ad esempio teortzzata dagli alchimisti,
ma come una sorta di assemblaggio di semi qualitati-
vamente uguali reso possibile dal fatto che negli ali-
menti, cos come in tutte Ie cose,esistono disponibili i
semi che caratteizzano tutta la realt. invisibili ai
- L 6 7-
nostri sensi perch cos diluiti da non risultare perce-
pibili: l'essere vivente opera, attraverso il suo apparato
digerente e con il processo di assimilaziorte, una sorta
di vera e propria distillazione, per cui si estraggono
dall'erba i semi appunto dei denti e della carne che,
opportunamente condensati. danno origine alla forma-
zione di queste strutture che sembrano assolutamente
nuove ma che consewano ancora sempre al loro interno,
diluiti e perci invisibili, i semi di tutto ci che esiste.
Pu venire qui in mente Ia scoperta che in campo
chimico venne fatta nel 1869 con la elaborazione della
tavola degli elementi di Mendeleev. I semi di Anassa-
gora, come gli elementi di Mendeleev, sono tra loro
assolutamente irriducibili, incapaci di trasformarsi gii
uni negli altri, ma mentre per il chimico di fine ottocento
essi sono di numero frnito e ben identificati, elencati in
modo organico appunto nella tavola che prevede un
centinaio di elementi naturali in successione dalf idro-
' geno agli elementi transuranici sulla base della crescen-
te complessit delia loro struttura atomica, per il
filosofo greco i semi sono infiniti sia qualitativamente
che quantitativamente.
Possiamo quindi logicamente pensare che per Anas-
sagora il fatto che in un orpo vivente si possano
ritrovare contigui la cartilagine e I'osso si spieghi non
con l'afferm azione che possono vicendevolmente trasfor-
marsi l'una nell'altro perch essi restano, comunque,
qualitativamente diversi e tra loro irriducibili, per cui
i semi che danno origine a un tessuto cartilagineo non
sono e non potranno mai essere, in s, quelli che danno
origine a un tessuto osseo. Se riflettiamo su questo
esempio possiamo cogliere da un lato la dimensione
168
empirica che ha sempre caratteizzato la ricerca di
Anassagorae, dall'altro, il suo sfumare su una radice
infinitesimale a cui egli non ha mai rinunciato s da
reintrodurre nella sua visione del mondo uno sfondo di
mistero che rese il suo pensiero non utilizzabile dai
successivifilosofi che preferirono prendere una netta
posizioneo teorizzando la radice metafisica del mondo
come il primo Platone o, in alternativa, una radice
materialisticamente meglio definita come I'atomo di
Democrito.
Il secondo Platone e lo stesso Aristotele finiranno
invece per essere pi vicini di quanto essi stessi non
abbianovoluto ammettere alle intuizioni di Anassagora.
- Se vogliamo, possiamo riconoscere che Anassagora
aveva a modo suo mesoin luce a livello intuitivo quel
problemache ancora nel ventesimo secolola fisica e Ia
chimica hanno dovuto riconoscere, s da dare origine a
teorie come quella dei quanti che, proposta da Planck
epoi ripresa da Einstein segnuna svolta rivoluzionaria
nella fisica classica. Con un esempio da prendere con
una certa cautela ma che rende bene questo possibile
accostamentotra il pensiero di Anassagora e la fisica
quantistica, possiamo dire che il discorso attribuito al
filosofo greco anticipava I'affermazione che nessuna-
osservazionee misurazione di laboratorio potr mai
'Totografare" il primo
istante di formazione di un cri-
stallo quando, abbassando la temperatura di una solu-
zione satura, questa si trasforma in sovrasatura e d
quindi origine a quella condizione di instabilit per cui
poi si rivela la presenza di fenomeni di cristallizzazione:
, ancora una volta, il grande problema del rapporto tra
dimensione finita, osservabile e misurabile, e I'infinito
-169-
in cui nessuna visione e. spiegazione di tipo analitico
sar mai definitiva.
Ecco, in Anassagora si ha il provocatorio coraggio di
affermare che entrambe le visioni sono vere e a questo
punto il suo ricorso al Nous come spiegazione ultima di
ci che awiene ricorda per certi versi I'affermazione del
Logos eracliteo che, per, aveva una potenza che in
ultima analisi lo proponeva come essenza ultima del
mondo mentre in Anassagora il Nous resta sempre una
realt che giustapposta al mondo, non il mondo stesso.
-170-
"momento singolare", un punto privilegiato come para-
metro di valutazione, si inserisce il mondo.nel tempo,
in un divenire di tipo rettilineo: la cosiddetta "freccia
del tempo", per cui c' stato un inizio e ci sar una fine
del mondo .
A chi, oggi, si chiede che cosa ci fosse prima e che
cosaci sar dopo la realt del mondo Ia fisica ribatte
che non si pu rispoirdere alla domanda perch, in
realt, essa mal posta: il prima e il dopo sono nel
tempoe non sono termini utilizzabili fuori di esso. Ia
risposta che gi aveva dato Kant quando affermava che
le categorie dello spazio e del tempo sono applicabili
solo in campo fenomenico ed quindi inammissibile
utilizzafle per indagare sulla dimensione noumenica
dell'essere,sull'esserein s. comechiederci,se siamo
nell'ortodossia cristiana, che cosa facesse Dio prima
della creazione del mondo. In fondo, se mettiamo tra
parentesi la convinzione cristiana della personalit di
Dio, abbiamo un convergere sia in campo religioso che
scientifico sul mistero insondabile dell'essere ultimo
della realt.
In Anassagora questa affermazione risulta contrad-
ditoria, dal momento che nello stesso frammento egli
riprende a chiare lettere Ia dimensione dell'infinito
comemodo migliore per intuire Ia realt: "...tutto era
contenuto nell'aria e nell'etere, ambedue infiniti." La
logica ci dice che non possonoesserci due "cose"entram-
be infinite perch, in realt, si limitano a vicenda: il
discorso,se pure accessibile solo intuitivamente, sareb-
be possibile solo in una dimensione, dichiarata, di non
realt dello spazio e del tempo, che come dire che
I'essere ultimo del mondo su un piano spirituale.
- I7T.
Considerazioni, queste, che erano gi state proposte da
Melisso di Samo che, proprio per ci, ribadiva come
unico modo corretto di pensare alla realt la frlosofia
parmenidea. Ora, l'affermazione dell'identico spessore
ontologico della dimensione del finito e dell'infinito
potrebbe risolversi in una visione del mondo che sar,
poi, quella leibniziana, ma ci che noi possediamo come
pensiero sicuramente anassagoreo non consente di at-
tribuire al filosofo greco questa intuizione. Abbiamo,
quindi, evidente, quella tensione irrisolta tra realt per
definizione finita e radice ultima di essa che sfugge alla
nostra comprensione: ecco perch questo tipo di discorso
verr per secoli abbandonato e la sua difficolt sul piano
concettuale far s che anche quando, sul finire del
diciassettesimo secolo, verr ripreso da Leibniz rimarr
inconcepibile, s da fare definire lo studioso tedesco
come un ottimo matematico ma incomprensibile come
filosofo. Oggi, alle soglie de1 ventunesimo secolo, con i
livelli di provocazione concettuale a cui la scienza ci sta
poco per volta familiaizzando, possiamo cominciare a
riaffrontare con pi interesse questo tipo di intuizioni
filosofiche che ci permettono di scoprire profondit e
prospettive affascinanti in quel pensiero di Parmenide
e di Zenone a cui molti filosofi, anche nella cultura
occidentale, si ispireranno.
t72
In questo frammento appare evidente l'accenno al
problema su cui aveva giocato Zenone con i suoi para-
dossi:"...non esistedun4ue il piccolissirno, nla seftrpre
il pi piccolo (poiche ci che , non mq.i ci chz non
),..."ma mentre in Zenone ci serwiva per ribadire la
affermazione parmenidea della non realt del finito in
Anassagora,di nuovo, si fa conviveresia il finito che la
sua radice che nessuno strumento potr mai misurare;
sempre per, e ci costituisce una caratteristica origi-
nale che contrappone Anassagora a Democrito, con il
totale controllo da parte del Nous.
Viene qui in mente la geometria frattale come mo-
derno tentativo di aggredire scientificamente quell'or-
dine di fenomeni che per l'immenso numero di variabili
che li costituiscono sono finora risultati sfuggenti a
qualunque descrizione quantitativa e non spiegabili con
leggimatematicamente definite: pensiamo,ad esempio,
alla infinita variabilit dello strutturarsi di una foglia
di pioppo che non sar mai perfettamente identica ad
un'altra foglia della stessa specre ma pur sempre,
innegabilmente,una foglia di pioppo. Con la geometria
frattale la scienza del ventesimo secolo comincia a
scoprireche, aIIa radice ultima della conformazionedi
una catenamontuosa che,mai in modo identico, sostan-
zialmente si ripete nel pi piccolo frammento di roccia
di cui essa costituita, si pu individuare una "for.lna
geometrica" assolutamente particolare riconducibile in
ultima analisi ad algoritmi matematici: sono studi e
scoperte dei nostri giorni che ci fanno tornare alle
intuizioni di Pitagora e di Platone e che nel "contrad-
ditorio" pensiero di Anassagora si inseriscono comeuna
sensazioneche il filosofo greco non ha potuto palesare
1na
con chiarezzma che, se attribuitegli almeno a livello
aurorale, ci possono spiegare proprio quel pensiero che
per molti secoli risulter una inammissibile convivenza
di finito e infrnito. Per chi, oggi, volesse approfondire
un po' questi discorsi, tra i numerosi materiali didattici
a cui si pu ricorrere, risulta ancora sempre interessan-
te una videoregistrazione edita dalla rivista "Le scienze"
in collaborazione con Mondadori Video. La proiezione
sullo schermo di questa videocassetta ci permette con
le zoomate progressive su punti senpre pi piccoli del
disegno, di scoprire questo meraviglioso sviluppo geo-
metrico, non ril.evabile a livello macroscopico, mai iden-
tico e sempre riproducente I'algoritmo che ne costituisce
la radice, capace di una infrnita variabilit con il gioco
dei decimali che, a tempi lunghi, da apparentemente
insignifrcanti, diventano capaci di rivelare, per dirla con
Anassagora, I'infinita potenza del Nous. Il Nous
l'intelligenza che soggiace al divenire del mondo e che
si rivela come intelligenza proprio in quanto riconduci-
bile, se pure in termini infinitesimali, sempre alla
matematica.
La geometriafrattale una affascinante spiegazione
del meraviglioso conformarsi delle figure geometrica-
mente arrnoniose, mai identicamente ripetute, che stu-
pivano i bambini delle passate generazoni quando al
mattino, avendo dormito in una stanza la cui tempera-
tura era giunta sotto zero, vedevano I'umidit esalata
dalla traspirazione notturna cristallzzarsi sotto la
forma di arabeschi nella calaverna formatasi sulla parte
interna dei vetri della finestra. Basterebbe una scoperta
come questa per far tornare sempre vive ed attuali le
intuizioni pitagoriche e il merito di Anassagora, sotto
774
questopunto di vista, starebbeproprio nell'aver,,osato"
mai rinunciare ad esse,pur rimanendo ben saldamente
ancorato alla realt del mondo finito. Il pensiero di
Anassagoracon le sue provocatorie contraddizioni ap-
pare sotto questa luce interessante perch costituisce
cosuna sorta di cerniera, che consenteanche all'uomo
"normale", di non cadere nella rozza affermazione che
i discorsi sull'in-finito non interessano. Esso, infatti,
costringea riconoscereche la realt vera, che per I'uomo
semprefinita, in realt il risultato di una approssi-
mazioneche sta solo a noi consideraresoddisfacenteo,
invece,meritevole di ulteriori studi e ricerche.
t75 -
definito di carattere divino e quindi non soggetti al
divenire, alla dimensione di nascita e morte che carat-
terizza la nostra realt di viventi. L'affermazione della
non divinit dei corpi celesti era gi stata fatta da altri
e facevaparte, ad esempio,della dottrina pitagorica ma
presso di essi rientrava in quella pratica di insegna-
mento occulto, in gruppi iniziatici i cui componenti
erano legati al segreto,mentre il discorsoanassagoreo,
fatto in pubblico, risulta ancora pi provocatorio e la
possibilit di citare in tribunale, cometestimonianze di
accusa,cittadini ateniesi che potevanotranquillamente
confermaresimili affermazioni risulter un attacconon
tollerabile ai fondamenti della morale corrente del
tempo. Non dimentichiamo che il grecoantico, conside-
rando la terra al centro dell'universo e la Grecia al
centro della terra, giungeva a defrnire il tempio di Delfi
come l'ombelico del mondo e un pensiero come quello
di Anassagora, fatto sulla pubblicapazza, venne con-
siderato come un attacco alla cultura greca,un vero e
proprio reato di lesa maest.
Anche in questo casovediamo inseparabiimente in-
trecciate, in Anassagora,la dimensionedi ossewazione
empirica e la logica spinta coerentementefrno alle sue
estreme conseguenze:se i semi che costituiscono la
realt sono infrniti e il Nous che tutto governa ha
suscitato sulla terra una forma di vita come quella
umana perch non pensare che in altre parbi dell'uni-
verso questa intelligenza rrorrsi sia prodotta analoga-
rnente?Esattamente come non era strano immaginare
che,in qualche luogo delia terra coslontano che nessun
greco avesse mai visitato, si potesserotrovare prati,
boschi, pianure, monti e forme di vita simili a quelli
- | /o -
cheI'esperienza dei luoghi conosciuti faceva constatare,
cos diventava logico pensare che tutto ci potesse
ripetersi al di l del pianeta terra che diventava, e
questa fu la "colpa" di Anassagora, uno degli infiniti
momenti dell'essere perdendo la sua centralit e pri-
mogenitura.
"Nel tutto u' una parte del tutto, saluo che della
mente, e la mente nelle cosech.esono."
178
sul piano logico non risulta convincente e per troppi
versi apre spazio ad interminabili discussioni sul tipo
di quelle a cui ci ha abituati la scolastica medioevale
quando si affannava a disquisire sul sessodegli angeli,
per riaffermare in termini pi sfumati che Dio non il
mondo.
In altre parole, quello di Krause un tentativo che
ad esserebuoni pu essere definito ingenuo ma resta
sostanzialmenteequivocoperchconil suo panenteismo
si riafferma una visione dualista della realt pur rico-
noscendoai sostenitori dei panteismo, che il divenire
storico non permette pi alla chiesa di far tacere
spedendolicomeeretici al rogo,una parziale legittimit,
per cui la istituzione religiosa ufficiale prova dialogare
con essi. Se andiamo a rileggere oggi, sul finire del
ventesimo secolo, i documenti ufficiali della chiesa
cattolica nei suoi tentativi di un dialogo ecumenico con
le altre religioni, vedremo che si recupera in pieno una
posizionepanenteista di tipo krausiano.
Ma torniamo ad Anassagoracui va il merito di avere
per la prima volta proposto questa sorbadi compromes-
so,tanto da fare apparire non accettabileil suo pensiero
ai filosofi successiviche, invece, proporranno un modo
pi netto e logicamente pi conrrincentedi parlare della
realt.
La mente definita da Anassagora come autocrate
cio,etimologicamente,che dirige e governa se stessa:
abbiamoquindi f infinito, che si costituisce comeinfinite
realt "materiali", poich Anassagora esclude che l'in-
finita divisibilit della realt finita possa sfociare
nelllinamaterialismo,e I'essere. materialmente vero e
contemporaneamenteinfinito, risulta passivo, per cui
-t79-
I'apparire del mondo dovuto all'intervento dell'unico
principio spirituale che attivo. E una tesi che,per certi
versi, anticipa quella che sarebbe poi stata la conclu-
sione della ricerca aristotelica e che, proprio per ci, a
parte I'affermata eternit dell'aria e dell'etere come
radici materiali dell'essere, sarebbe anche piaciuta
molto a Tommaso d'Aquino.
Proprio in quanto il Nous definito immateriale
diventa perci possibile sostenerec}i'e"Nel tutto u' una
parte del tutto, saluo ch.edellq. mente e la. mente nelle
cosech.esono."
Possiamopensare,comepossibileesempio,al rappor-
to che esiste tra la volont di perseguire uno scopo,
comepotrebbe esserela costruzionedi una casao quello
di conseguire un titolo di studio, e le innumerevoli azioni
concretein cui, poi, la volont si materializzanel tempo
e nello spazio:questavolont, grazie a cui lo scopoverr
raggiunto dopo anni di lavoro, , esattamente, iI Nous
anassagoreo che non si esaurisce in nessuno degli
innumerevoli atti che por-ranno in essere Io scopo
prefi.ssato,ma che tuttavia presente come principio
agente in ciascuno di essi e che conservatutta la sua
infinita potenziaiit sia durante il ciclo di creazioneche
al termine di esso.
Proprio questo esempio che ciascuno di noi ha la
possibilit di verificare continuamente su se stessopu
fare apparire interessante e convincente sul piano
filosoficoil pensierodiAnassagora e, sulpiano teologico,
il panenteismo. In effetti pu essere una spiegazione
da fare propria, a patto che ci si ritenga definitivamente
soddisfatti dall'avere teonzzato, ala base di tutto, due
dimensioni di realt: la materia che passivae Io spirito
1 8 0-
che il motore del divenire come modo di essere della
materia.
Sul piano esistenziale emerge immediatamente la
contraddizione, ampiamente verificata da tutti, di una
realt materiale che, pur definita passiva, troppe volte
si costituisce come ostacolo insormontabile al principio
attivo. Sul piano teologico il problema della materia
viene risolto nell'ortodossia cristiana definendola come
non coeterna a Dio ma emergente dal nulla in conse-
guenza di un suo preciso atto di volont e, su questo
umomento
singolare" della creazione, il credente invi-
tato ad accettare una dimensione di mistero che sarebbe
anogante e, quindi, peccaminoso cercare di chiarire.
Sul piano filosofico il problema diventa pi sottile,
tanto da fare apparire a loro volta degne di ulteriori
approfondimenti le critiche che al pensiero di Anassa-
gora vengono formulate sia da Platone che da Aristotele.
Platone parla di Anassagora nel Fedone:
-183-
, questa, una citazione su cui torneremo altre volte
perch riesce a condensare punti fondamentali della
dottrina di Platone che, appunto, inizialmente interes-
sato al pensierodi Anassagora,dopoaverne letto l'opera
si rese conto che l'attenzione posta da questo filosofo
alle concausemateriali finiva per fargii perdere di vista
che il principio ultimo dell'esserenon pu esaurirsi in
esse e non certo soddisfacenteper Platone spiegare
la realt comeintewento di una mente su qualcosache
resta sostanzialmente ad essa estranea: questo perch
si arriva ad una concezionedualista dell'essere che
lascia irrisolto il perch ultimo del fatto che Socrate,
potendo non trovarsi nella prigione in attesa della
esecuzione della condanna, abbia scelto, invece, di
affrontare Ia morte e utilJ^zzi questa esperienza per
impartire ai suoi discepoii una ultima profondissima
lezione di etica. E, se vero che il pensiero platonico
maturo recuperer positivamente la dimensione del
finito come autentica espressione dell'essere,lo far
sempre all'interno del parmenideoprincipio unifrcante,
che in Platone si concluder con la equazione esse-
re=bene che invece sfugge ad Anassagora.
-184-
e, al suo pdragone, i predecessori sembrarono
gente ch.eparla aIIa uentura. Ora, sappiamo con
certezza ch.eArwssagora fece questi ragionamenti;
ma si tramandn che Ermotimo di Clazomene per
primo abbia parlato di questo. ... Lo stessoAnas-
sagora, in effetti, nella costituzione dell'uniuerso
si serue dell'(Intelligenzq) come di un Deus ex
machina, e solo quando si troua in, difficolt nel
dar ragione di qualche cosa trae in scerta I'InteI-
ligenza; per iI resto, inuece, corne causa delle cose
che auuengono pone tutto, tranne che I'Intelligen-
za."
- Metafisica
(Aristotele - LibroI984b 15-20:
985a18-22:
a cura di G. Reale - Ed. Rusconi)
-185-
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