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IL NATALE DELL’ANIMA

A CURA DI

GIUSEPPE FAGGIN

LA LOCUSTA
VICENZA
Nascesse Cristo mille volte in Betleem,
se in te non nasce sei perduto in eterno.

Angelo Silesio

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IL MESSAGGIO DI ECKHART

Nel nostro tempo così ostile alle clausure monastiche e ai


mistici raccoglimenti appare facile e doveroso contestare
l'attualità di queste prediche eckhartiane, il cui interiorismo
sembra esprimere soltanto la dimensione verticale del
messaggio cristiano. È soprattutto presa di mira la dottrina del
« fondo dell'anima »-1), che costituì anche all'epoca del
processo di maestro Eckhart, uno dei più gravi capi d'accusa.
Ai nostri giorni, da parte dei « cristiani d'avanguardia », il «
fondo dell'anima » è diventato il punto più incriminabile di
quel cristianesimo tipicamente medievale, che si estrania dai
rapporti umani, cioè dalla caritas operante, per chiudersi in un
infecondo soliloquio con Dio, che dimentica volutamente i
problemi detta giustizia sociale, le sofferenze dell'umanità, le
provocazioni della prassi politica: di un cristianesimo cioè che
sembra fabbricato su misura per i monaci, vale a dire per
uomini che avrebbero fatto per viltate il gran rifiuto. E
indubbiamente Eckhart sembra esposto a questa contestazione
soprattutto quando, nel sottovalutare le « opere buone », le
quali ci allontanerebbero dalla coscienza del nostro essere
divino, elenca come opere buone i digiuni, le veglie, le
penitenze, come se le autentiche opere buone non fossero
piuttosto l'assistenza ai poveri, ai malati, ai diseredati, la
partecipazione alla difficile vita del popolo, la caritas insomma
predicata dal secondo precetto di Cristo. Le facoltà e le
potenze spirituali che procedono dal « fondo dell'anima »— la
memoria, l'intelligenza, la volontà — che prolungano l'attività
dell'anima verso l'esterno, appaiono all'Eckhart, non già
l'emanazione operante del Divino, l'incarnazione perenne
dell'Amore, ma una squallida dispersione nel tempo, che è ne-
cessario riportare alla sua Fonte eterna. Ci sarebbe insomma

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nella realtà una frattura — fra interiore ed esteriore, fra
eternità e storia — che non dovrebbe essere superata con
l'opera della volontà, ma annullata con l'eliminazione del
secondo termine, quello deteriore: l'imperativo categorico
sarebbe ancora quello plotiniano, (« elimina il molteplice »),
che non dovrebbe assolutamente essere assunto ad esprimere
l’autentico messaggio di Cristo.
Il riconoscimento della ricchezza spirituale e culturale del «
fondo dell'anima » è invece opera delle più svariate correnti
filosofiche, letterarie e religiose (non cristiane) del nostro tem-
po, le quali rintracciano in esso il nucleo originario della
natura umana. Ora sono gli psicologi, come William James o
Henry Bergson, che scavando oltre la zona delle
rappresentazioni, delle immagini, dei ricordi, intendono
scoprire quel primario fondamento psichico che, per quanto
concepito nei termini dinamici di stream of consciousness o di
durée réelle, apparentemente estranei al pensiero eckhartiano,
esprimono chiaramente la stessa esigenza di assolutezza
metafisica, di indivisibile e vitale unità; ora sono gli artisti,
nauseati della fenomenicità del reale e delle effimere ideologie
della storia, che mirano alla « non-oggettività » e
concepiscono il loro ideale artistico (il « suprematismo », ad
esempio, per Malevic) alla stregua di una rivoluzione religiosa
che intende eliminare, nella scoperta di Dio, ogni simbolismo
esanime e ogni ritualismo esteriore; ora sono gli storici delle
religioni che, ponendosi al di sopra di qualsiasi confessiona-
lismo, scoprono le profonde affinità fra Eckhart e Shankara,
fra il fondo dell'anima e l 'atman, fra l'unione mistica e il
samadhi; oppure l'affinità è rintracciata fra il pensiero eck-
hartiano e la dottrina Zen, soprattutto fra l'ignoranza
illuminante e il satori; ora sono gli irrazionalisti, di
ascendenza schopenhaueriana, che pensano di toccare nel
fondo dell'anima la radice inconscia della vita e il punto in cui
soggetto e oggetto si neutralizzano in una indefinibile unità che

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è al di sopra e al di là dell'intelligenza e della ragione: tutti
riconoscono nella dottrina eckhartiana del grunt deir séle un
richiamo alla ricerca di ciò che nella complessa e misteriosa
spiritualità dell'uomo rappresenta l'essenzialità primordiale
dell'io, intesa come centro di creatività, come fonte di poteri
psichici, come volontà libera e assoluta.
È insomma, la componente mistica della vita, che qui viene
recuperata attraverso il messaggio eckhartiano. E c'è da
chiedersi se tale componente possa e debba essere riproposta
ai nuovi cristiani, che credono di esaurire integralmente la
loro esperienza religiosa nella complessità delle relazioni
sociali e ambiscono una « teologia della politica » che affronti
quella problematica dell'avvenire, nella quale, secondo la loro
opinione, il cristianesimo si risolve: è cioè un chiedersi se il
misticismo possa avere ancora un significato e una funzione.
L'invito di Eckhart a ritrovare il « fondo dell'anima » è oggi un
invito a ricomporre l'unità della persona che è stata spezzata
proprio nel momento storico in cui si credeva di lottare contro
la sua alienazione. Ciò che vale anzitutto è la personalità del «
singolo » nella sua consapevolezza di centro esistenziale, come
condizione primaria di tutte le attività che da esso discendono
e da esso attingono significato e vita. È ingiusto accusare il
misticismo eckhartiano di conoscere soltanto il momento del «
ritorno all'unità » e di risolvere in esso tutta la dinamica
dell'uomo; in realtà, l'insistenza con cui si parla del « ritorno »
può sembrare esclusiva solo a chi non avverte in esso il valore
di « momento » che trova la sua funzione autentica nella
totalità della vita, la quale è « ritorno » solo in quanto è ritmo
che si svolge dalla molteplicità all'unità e dall'unità alla
molteplicità. C'è chi si illude di recuperare l'unità
dimenticando e rifiutando la concretezza drammatica del
molteplice: questo è il misticismo disumano e patologico; e c'è
chi pensa di ritrovare se stesso rinnegando la propria inte-
riorità, il « fondo» dell'anima sua, il senso originano della sua

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individualità e stordendosi nel fragore dei rapporti estrinseci e
mondani: questo è il segno della decadenza morale e culturale,
il sintomo della morte della civiltà. Il messaggio che ci viene
da Eckhart, come del resto dai mistici dell'Oriente, è questo :
l'urgenza di ristabilire l'equilibrio e il ritmo vitale di esteriorità
e interiorità, di unità e molteplicità; la necessità di riscoprire
le ricchezze della profondità dell'anima per riversarle nelle
relazioni umane, che soltanto dal rinnovamento interiore dei
singoli possono essere salvate.
GIUSEPPE FAGGIN

1)- "La dottrina del « fondo dell'anima » è forse la più discussa del pensiero eckhartiano ed è
anche uno dei principali capi d'accusa nei processi di Colonia e di Avignone (Frac. Colon., I, §
II, 4. a. 13 ; I, § III, 4, a. 13; I, § II, 4, a. 14 b; Volum Avenon. a, 4). L'Eckhart chiama con vari
nomi questo fondo, o essenza spirituale, che rende l'anima una con Dio: domus Dei. abditum
anirnae, anima nuda, scintilla (vunke, \vunkelìn), fortezza dell'anima (biirgelin der séte), fondo
dell'anima (grunt der séle), mente (gemut), germoglio (zwìc)\, rocca dello spirito (huote des
geistes). In realtà, malgrado i molti nomi, il « fondo dell'anima » è inno minabile come la
Divinità: come Dio assume i nomi delle persone divine in quanto si esplica nell'atto della
generazione eterna, così l'anima assume diversi nomi solo in rapporto alle sue operazioni e
facoltà, pur rimanendo una e ineffabile. La teoria eckhartiana ha i suoi genuini precedenti
storici nel « centro dell'anima » di Plotino e nel « fiore dell'intelletto » di Proclo e degli
Oracoli Caldaici, ma ha i suoi precorrimenti, molto frequenti benché ispirati a maggior
cautela, anche nella mistica cristiana (Agostino,, Riccardo di S. Vittore, Bonaventura...).

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Le quattro prediche su « La nascita eterna » (la cui autenticità non è
dimostrabile, ma che riflettono comunque il genuino pensiero eckhartìano)
furono pubblicate la prima volta insieme con le opere di Johann Tauler a
Lipsia nel 1498 e passarono poi nell'edizione di F. Pfeiffer, Gottinga, 1857;
la traduzione italiana di G. C. (Bologna 1927) e quella francese di P. Petit
(Parigi 1942) furono condotte sull'edizione curata da H. Bùttner (Meister
Eckeharts Schriften und Predigten aus dem Mittelhochdeutschen ubertsetz
und herausgegeben, Jena 1919).
La predica « Della donna vergine » la cui autenticità è provata dai
riferimenti che ad essa fa lo stesso Eckhart nella sua Autodifesa
(Rechtfertigungsschrift, IX, 51 ; VIII, 13; IV, 13), oltre che nelle edizioni
già citate, è stata accolta da J, Quint nella sua monumentale edizione delle
Deutschen Werke (Stuttgart-Berlin 1936-38): trad. ital. cìt., pp. 314-321;
trad. franc, cit., pp... 268-273 ; trad; francese di F. A. e J, M., Parigi 1942,
pp. 123-128 ; trad. inglese di R. B. Blakney, New York and London 1941,
pp. 207-211. Cfr. G. Faggin, Meister Eckhart e la mistica tedesca
preprotestante, Milano 1946.

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LA NASCITA ETERNA
(Quattro prediche)

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I

Noi festeggiamo qui, nel tempo, la nascita eterna che Dio Padre
ha realizzato e realizza ininterrottamente nell'eternità : nascita
che si è prodotta anche nel tempo, nella natura umana. Questa
nascita, dice Agostino, avviene sempre. Ma se essa non si
produce in me, che m’importa? Ciò che m'importa è che essa
avvenga in me. Parliamo dunque di questa nascita, e di come si
effettua in noi, o meglio nell'anima buona: in quale luogo
dell'anima perfetta il Padre pronuncia la sua parola eterna?
Tutto ciò che io dico qui, infatti, vale soltanto per l'uomo per-
fetto che ha camminato e cammina nelle vie del Signore, non
per l'uomo naturale e non esercitato, poiché per costui questa
nascita è qualcosa di lontano e di sconosciuto.
Una parola del sapiente dice così : « Mentre tutte le cosa
riposavano in un profondo silenzio, discese a me dall'alto, dal
trono regale, una parola segreta », Di questa parola tratterò in
questa mia predica.
Tre cose devono essere qui messe in evidenza. Anzitutto ; dove
Dio Padre pronuncia la sua parola nell'anima? quale è il luogo
per questa nascita e per questa opera? E’ necessario ch'essa
avvenga in ciò che nell'anima v'è di più puro, di più nobile e di
più autentico. Veramente! Se Dio Padre nella sua onnipotenza
avesse qualcosa di ancor più nobile da poter donare all'anima
come dote naturale, e l'anima potesse andargli incontro per
riceverlo, il Padre, per realizzare questa nascita, dovrebbe
attendere sino a che questo stato supremo ci fosse. È dunque
necessario che l'anima, in cui questa nascita deve avvenire, si
mantenga perfettamente pura e viva in nobiltà perfetta, sia una
con se stessa e in se stessa, non si disperda con i cinque sensi
nella molteplicità delle creature, ma sia interiormente unita a se
stessa in ciò che di più puro essa possiede: questo è il suo luogo
; ogni altro le è estraneo. La seconda parte dì questa predica
tratta del modo con cui l'uomo deve comportarsi di fronte a

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questa azione di Dio, a questa sua parola, a questa nascita; se
sia meglio che egli collabori ed ottenga con lo sforzo e con il
merito che questa nascita avvenga in lui — richiamando, per
esempio, alla sua coscienza un'immagine di Dio foggiata con le
rappresentazioni ed esercitandosi a pensare in se stesso : « Dio
è saggio, onnipotente, eterno », e altre simili cose; se tutto ciò
sia più utile affinché sì realizzi questa nascita del Padre, o se
invece non sia meglio che egli si astenga da ogni pensiero,
parola e opera, da ogni immagine del pensiero, e si svuoti di
tutte le rappresentazioni e perseveri in uno stato di nudità e di
passività così da restare inattivo e lasciare che agisca Dio: con
quale di questi comportamenti l'uomo serve meglio a questa
nascita? La terza parte tratterà del mirabile profitto che
proviene da questa nascita.
Alcune parole dunque sulla prima parte. Nella mia esposizione
voglio servirmi del metodo naturale di dimostrazione, affinché
voi possiate capire da soli che è così, benché io creda più alla
Scrittura che a me stesso; ma una esposizione dimostrativa vi
soddisferà di più e con maggiore facilità.
Esaminiamo prima le parole : « In mezzo al silenzio mi fu detta
una parola segreta ». Dov'è il silenzio e dov'è il luogo in cui
questa parola è pronunciata, Come ho già detto: nella parte più
pura che l'anima può offrire, nella sua parte più nobile, nel suo
fondo, cioè nella sua essenza. Là è il profondo silenzio, poiché
là non è mai penetrata né creatura, né immagine alcuna; là non
arriva all'anima né azione, né conoscenza; là essa non sa più
nulla di immagine alcuna, né di se stessa, né di altra creatura.
Tutte le sue funzioni l'anima le compie per mezzo delle facoltà:
ciò che essa conosce, lo conosce con la ragione; se pensa a
qualche cosa, si serve della memoria ; se ama, ama con la vo-
lontà: essa dunque agisce per mezzo delle facoltà, e non con
l'essenza. E ciascuna delle sue operazioni è sempre legata a
qualche intermediario: essa può mettere in azione la vista sol-
tanto per mezzo degli occhi, altrimenti non può passare all'atto

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del vedere. E così è per tutti i sensi : l'anima si serve sempre,
per la sua azione, dì un qualche mezzo.
Ma nell'essenza non v'è opera alcuna, poiché le facoltà, per
mezzo delle quali agisce, procedono sì dal fondo dell’anima,
ma nel fondo stesso non c'è che il profondo silenzio. Qui c'è
luogo e quiete per questa nascita, qui Dio Padre può
pronunciare la sua parola. Questo luogo infatti, per sua natura,
non è accessibile se non per l'essenza divina, senza alcuna
mediazione. Qui Dio entra nell'anima con tutto ciò che egli è,
non solo con una parte: egli entra così nel fondo dell'anima.
Nessuno, se non Dio, può toccare il fondo dell'anima. La
creatura non può arrivarci, ma deve fermarsi alle facoltà e
soltanto qui può produrre la propria immagine e per mezzo suo
essere accolta ed ospitata.
Poiché quando le facoltà dell'anima entrano in contatto con la
creatura, ne attingono un'immagine e la attraggono in sé. In
questo modo esse conoscono la creatura. Non può la creatura
penetrare più profondamente nell'anima; e anche l'anima non
può occuparsi più strettamente di una creatura, se prima non ne
abbia accolto pienamente un'immagine. Solamente per mezzo
di un'immagine resa presente —- e l'immagine è qualcosa che
l'anima produce per mezzo delle sue facoltà — possono le
facoltà entrare in contatto con le creature. Se l'anima vuoi
conoscere un sasso, una rosa, un uomo o altra cosa, essa
rievoca prima un'immagine, che ha già accolto in sé. Soltanto in
questo modo essa può unirsi all'oggetto.
Ma quando un uomo accoglie in questo modo un'immagine, è
necessario che questa gli sia venuta dall'esterno, attraverso i
sensi. Perciò nessuna cosa è tanto ignota all'anima quanto la sua
stessa essenza. L'anima, dice un maestro, non può produrre o
evocare l'immagine di sé medesima. Essa non ha nulla con cui
possa conoscersi. Un'immagine viene a me soltanto attraverso i
sensi; perciò l'anima non può avere un'immagine di se stessa.
Per conseguenza, essa sa di tutte le altre cose, ma non di sé: a

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causa di questa azione mediatrice.
Tu devi sapere questo: intcriormente essa è libera e pura da
qualsiasi mediazione e da qualsiasi immagine; e questa è anche
la ragione per cui Dio può senz'altro unirsi ad essa, senza
immagini né simboli. Ogni capacità che tu attribuisci a un
maestro, non puoi fare a meno dì attribuirla, in grado infinito,
anche a Dio. Più un maestro è saggio e potente, più imme-
diatamente la sua opera si realizza e più è semplice. L'uomo ha
bisogno di molti intermediari per le sue opere esterne; prima di
realizzarle come le ha pensate, abbisogna di una lunga pre-
parazione. L'opera del sole e della luna, che consiste
nell'illuminare, è compiuta con rapidità: appena essi diffondono
il loro splendore, l mondo è pieno di luce in ogni sua parte»
Ancora più in alto è l'angelo che per operare ha bisogno di
mezzi ancor minori e si serve ancor meno di immagini. Il più
alto dei serafini ha ancora in sé un'unica immagine : egli
apprende come unità tutto ciò che gli esseri inferiori a. lui
apprendono come molteplicità. Dio poi non ha bisogno di
alcuna immagine, come non ne ha alcuna in sé: egli opera
nell'anima senza alcun mezzo, immagine o simbolo; egli opera
nel fondo dell'anima nel quale mai non arriva un'immagine, ma
solo Dio stesso con il suo più intimo essere. Nessuna creatura
può far questo!
E come Dio Padre genera il suo Figlio nell'anima? Come la
creatura in immagine e in simbolo? No, certamente; ma in quel
modo con cui lo genera dall'eternità, e non diversamente.
Bene ! e come lo genera? Ecco. A Dio Padre appartiene uno
sguardo perfetto in se stesso, una penetrazione profonda di se
stesso — che ha luogo per se stesso, non per mezzo di
un'immagine. È questa la generazione del Figlio, al quale spetta
in tal modo la perfetta unione con la natura divina. Esattamente
in questo modo Dio Padre genera il suo Figlio nel fondo e
nell'essenza dell'anima e si unisce così con essa. Se qui ci fosse
ancora un'immagine, non potrebbe aver luogo quella perfetta

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unione, sulla quale soltanto risiede la sua beatitudine.
Tuttavia voi potreste dire : « Ma nell'anima, per sua natura, non
ci sono che immagini ! ». No, non è così. Se così fosse, l'anima
non potrebbe mai essere beata. Una creatura siffatta. nella quale
tu potessi trovare una perfetta beatitudine, nemmeno Dio
potrebbe crearla, perché allora egli non sarebbe la suprema
beatitudine e l'ultimo fine, mentre appartiene alla sua natura e
alla sua volontà di essere il principio e la fine di tutte le cose.
Una creatura non può essere la beatitudine; ne può la creatura
essere qui la perfezione, perché la perfezione, ossia la virtù, ha
come conseguenza la perfezione della vita. Perciò è necessario
che tu già risieda nella tua essenza, nel tuo fondo, e là Dio deve
toccarti con la sua essenza semplicissima, senza la mediazione
di un'immagine. Ogni immagine non esprime e non propone se
stessa, ma rinvia sempre a ciò di cui è immagine. E poiché non
si può avere un’immagine se non di ciò che è esterno ed è
accolto per mezzo dei sensi, cioè delle creature, e poiché essa
rinvia sempre a ciò di cui è immagine, e impossibile che tu
possa diventare beato per mezzo di un'immagine.
Il secondo punto è questo: che cosa deve fare l'uomo per
ottenere e meritare che questa nascita avvenga in lui e sia
condotta a buon fine : se sia i meglio ch'egli faccia qualcosa da
parte sua, per esempio rappresentandosi Dio o pensando a Lui,
— o se sia meglio ch'egli si mantenga tranquillo, in uno stato di
quiete e di silenzio che permetta a Dio di parlare e di agire in
lui, e attenda soltanto l'operazione di Dio, Io lo ripeto: questa
parola, questa azione di Dio, è data soltanto a quegli uomini
buoni e perfetti che hanno già assimilato in sé l'essenza di tutte
le virtù, in maniera che la bontà fluisce da loro, da tutta la loro
essenza, senza che essi vi cooperino; e soprattutto devono
vivere in se stessi la nobile vita e l'alta dottrina di nostro
Signore Gesù Cristo. Ora noi sappiamo che il mezzo migliore e
più efficace per giungere a questo fine è di tacere e di lasciare
che Dio stesso operi e parli. Quando tutte le facoltà sì sono

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ritirate dalla loro attività e dal loro oggetto, allora Dio
pronunzia la sua parola. Perciò è detto: « In mezzo al silenzio
fu pronunciata a me la parola segreta », Quanto più tu sei
capace di ritrarre in te tutte le facoltà e di dimenticare tutte le
cose e le loro immagini che hai accolto in te, quanto più dunque
sei in grado di dimenticare la creatura, tanto più sei vicino a
questa parola e pronto a riceverla. Potessi tu ad un tratto
diventare ignorante di tutte le cose,, anzi potessi tu raggiungere
l'ignoranza della stessa tua vita! Come accadde a san Paolo, per
cui egli dice : « Se io ero dentro o fuori del mio corpo io non lo
so, Dio sola lo sa! ».Il suo spirito aveva così ritratto in sé tutte
le facoltà dell'anima, che il corpo era per lui sparito; più mon
erano in lui attive né la memoria, né la ragione, né i sensi e
nemmeno le forze alle quali tocca reggere e mantenere il corpo;
il fuoco e il calor vitale erano sospesi e perciò il corpo non ne
soffrì, benché per tre giorni egli non avesse né mangiato né
bevuto. Lo stesso accadde anche a Mosé quando digiunò
quaranta giorni sulla montagna e il suo corpo non ne risentì;
l'ultimo giorno egli era così forte come nel primo. Cosi deve
l'uomo sottrarsi ai suoi sensi, ripiegare le sue facoltà verso
l'interno ed entrare in un perfetto oblio di tutte le cose e di se
stesso. Perciò ecco come un maestro si rivolge all'anima: « Esci
dall'agitazione delle azioni esteriori! ». Ed ancora: « Fuggì
dinanzi al tumulto delle operazioni esterne e dei pensieri
interiori, perché essi producono soltanto inquietudine! ».
Se Dio deve pronunciare la sua parola nell'anima, è dunque
necessario che essa sia arrivata alla pace e alla quiete: allora
egli dice la sua parola e se stesso nell'anima — non un'im-
magine, ma se stesso ! Dionigi dice : « Dio non ha un'immagine
di sé poiché nell'essenza sua egli è tutto il bene, tutta la verità,
tutta l'essenza. Dio opera tutte le sue opere, in sé come fuori di
sé, in un istante. Non credere che Dio, quando creò il cielo, la
terra e le altre cose, facesse oggi una cosa e l'indomani un'altra.
Certo, Mosè racconta così: egli ben sapeva qual era la verità,

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ma scrisse per amore degli uomini che altrimenti non avrebbero
potuto capirlo. Dio fece una cosa sola : volle e le cose furono!
Dio opera senza intermediati e senza immagini. Quanto più tu
sei libero da immagini, tanto più sei accessibile alla sua azione ;
e quanto più sei rivolto verso l’interiorità ed oblioso, tanto più
sei vicino a lui. Perciò Dionigi esortava il discepolo Timoteo
con queste parole: « Caro figlio Timoteo, tu devi, con animo
imperturbato, elevarti al di sopra di te stesso e sopra le facoltà
della tua anima, al di sopra di ogni modalità e di ogni essenza,
nella tenebra silenziosa e nascosta, per poter arrivare alla
conoscenza del Dio ignoto e superdivino! Per questo è
necessario un distacco da tutte le cose: ripugna a Dio l'agire in
mezzo ad ogni sorta di immagini ».
Ora tu domanderai: Che cosa dunque opera Dio senza
immagine nel fondo e nell'essenza dell'anima? Io non sono in
grado di saper questo perché le facoltà dell'anima possono
percepire soltanto per mezzo di immagini, devono
conoscere e riconoscere ogni cosa nella sua immagine
particolare; non possono conoscere un uccello per mezzo
dell'immagine di un uomo; e poiché le immagini provengono
sempre dall'esterno, questo processo rimane ignoto. Questo è
ben salutare per essa! L'ignoranza di ciò l'attira come verso
qualcosa di meraviglioso e la sospinge innanzi. Essa sente che
questo profondo c'è, ma non sa né come è, né che cosa è.
L'uomo appena ha conosciuto la natura di una cosa, subito se ne
stanca e rivolge lo sguardo a qualcosa di nuovo: egli ha sempre
un vivo desiderio di conoscere e non si da tregua. Soltanto
questa conoscenza che non conosce mantiene viva la tensione
dell'anima e la sospinge alla ricerca.
Perciò dice il Sapiente: « In mezzo alla notte, mentre tutte le
cose tacevano in profondo silenzio, fu pronunciata a me una
parola segreta. Essa giunse furtivamente, come un ladro ». Che
cosa vuoi dire « una parola segreta », dal momento che è
compito della parola rivelare ciò che è nascosto? La parola si

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aprì e risplendette davanti a me, come se volesse rivelarmi
qualche cosa e mi diede un messaggio di Dio : ecco perché è
detta parola. Ma mi rimase nascosto ciò che essa era; perciò è
detto : « Venne in un bisbiglio, nel silenzio, per rivelarsi ».
Vedi! Appunto perché è nascosta, bisogna inseguirla. Essa
apparve e tuttavia era nascosta: ciò vuoi dire che noi dobbiamo
anelare e gemere verso di essa. S. Paolo dice : « Noi dobbiamo
correrle dietro fino a che troveremo le sue tracce e non cessare
fino a che l'avremo afferrata », Quando egli fui rapito nel terzo
cielo, dove Dio doveva rivelarglisi e dove doveva contemplare
tutte le cose e poi ritornò di là, non dimenticò nulla di tutto
questo: soltanto, era tutto così profondamente nascosto nel suo
intimo, nel fondo dell'anima sua, che la ragione non poteva
arrivarci : ciò era per lui nascosto. Doveva quindi ricercarne le
tracce, ma in se stesso, non fuori di sé. Interamente all'interno,
non fuori ; e nell'interno più profondo, E poiché ne era certo, ha
detto: « Io sono sicuro che né la morte, né altro tormento può
separarmi da ciò che trovo in me ».
Un saggio pagano ha detto a questo proposito una bella parola a
un altro saggio : « Io so che qualche cosa risplende nella mia
ragione; sento che v'è qualcosa, ma non riesco a capire che cosa
sia; questo soltanto io so, che se potessi capirlo, conoscerei
tutta la verità ! ». L'altro saggio rispose: « Benissimo! Tienti
pago di questo! Perché se tu potessi capirlo, conosceresti a
fondo il bene stesso e possederesti la vita eterna ». In questo
senso anche S. Agostino dice: « Io avverto in me qualche cosa
che si presenta alla mia anima e la illumina; se essa acquistasse
perfezione e stabilità, possederei la vita eterna. È qualche cosa
che si nasconde e che pur si rivela ». Essa viene come un ladro,
col proposito di derubare l’anima di tutte le cose. Su questo
dice il profeta: « Signore, togli ad essi il loro spirito e da loro il
tuo ». È ciò che voleva dire anche la fidanzata del Cantico dei
Cantici quando diceva: « La mia anima si fuse e sì dissolse
quando il mio amato mi disse la sua parola; quando egli giunse,

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io dovetti andarmene ». È anche ciò che intendeva Cristo
quando disse : « Chi rinuncia a qualche cosa per amor mio
riceverà il centuplo; colui che vuole possedermi deve rinunciare
al suo io e a tutte le cose, e chi vuole servirmi deve seguirmi e
non pensar più ai suoi interessi ».
Ora tu dirai: Mio caro, tu vuoi rovesciare il corso naturale
dell'anima ! Spetta alla sua natura percepire con i sensi e per
mezzo di immagini : vuoi tu capovolgere questo ordine? —
Che cosa sai tu delle facoltà che Dio ha dato alla natura umana?
Esse non sono state ancora descritte integralmente, anzi
rimangono nascoste. Coloro che hanno scritto sulle facoltà
dell'anima non sono andati al di là di ciò che la ragione naturale
ha detto ad essi : essi non sono discesi nel suo fondo. Perciò
molte cose dovevano restare ad essi nascoste e sconosciute.
Ecco perché il profeta dice: « Io voglio sedere e tacere e
ascoltare ciò che Dio dice in me ». Perché questa parola è così
nascosta, essa venne nella notte, nell'oscurità.
S. Giovanni dice : « La luce splendette nelle tenebre: essa
venne nella sua proprietà e tutti coloro che la accolsero
ricevettero il potere di diventare figli di Dio », Consideriamo
ora quale vantaggio e quale frutto vengano a noi da questa
parola e da questa oscurità. Il Figlio del Padre celeste non è il
solo ad essere generato in questa oscurità come nel luogo suo
proprio : anche tu sei là generato come figlio del medesimo
Padre celeste; ed anche a te è dato il potere. Vedi quanto grande
è questo vantaggio. Pensate pure alle verità che i dottori hanno
insegnato o insegneranno sino al giorno del giudizio per mezzo
della loro ragione — eppure essi non hanno compreso la più
piccola cosa di questo sapere, di questo fondo. Anche se è un
ignorare, un non conoscere, esso contiene tuttavia in sé molto
di più di ogni sapere e di ogni conoscenza che sia fuori di esso.
Infatti questa ignoranza ti porta lontano da ogni sapere e
lontano da te stesso. È ciò che Cristo intendeva quando disse: «
Chi non rinnega se stesso e suo padre e sua madre e non si

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mantiene al di là di tutto questo, non è degno di me »; come se
dicesse : Chi non rinuncia a tutto ciò che v'è di esteriore nelle
creature, non può essere concepito né generato in questa nascita
divina! Se tu ti spogli di te stesso e di tutto ciò che è esteriore,
lo accoglierai veramente nella sua totalità. Io credo davvero e
sono certissimo che l'uomo il quale fosse arrivato a questo
punto non potrebbe mai più essere separato da Dio. Affermo
che egli sarebbe incapace di cadere ancora in peccato mortale e
che sopporterebbe la morte più ignominiosa piuttosto di cadere
nel più piccolo peccato mortale: come del resto hanno fatto i
Santi. Anzi, nemmeno potrebbe commettere un peccato veniale
o causarlo volontariamente in sé o in altra persona. Egli è così
attirato e abituato alla presenza divina, che mai potrebbe
rivolgersi verso altra cosa: tutti i suoi sensi e le sue facoltà lo
dirigono verso quella soltanto.
Che Dio, che oggi è nato nuovamente come uomo, ci aiuti m
questa nascita, affinché noi, poveri figli della terra, nasciamo in
lui come Dio; ch'egli ci aiuti nell'eternità! Amen,

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II

« Dov'è il re dei Giudei che ora è nato? »


(Matteo, 2, 2).

Osservate anzitutto dove avviene questa nascita. Io affermo,


come ho già fatto più volte, che questa nascita eterna avviene
nell'anima nello stesso modo che avviene nell'eternità: e una
sola e medesima nascita. E in verità si compie nell'essenza e nel
fondo dell'anima.
Qui si pongono parecchie questioni. Poiché Dio, essendo
l’essere, è in tutte le cose ed in esse, come loro vera natura, è
più intimo ad esse che non esse stesse ; e poiché Dio dove è
deve anche agire e conoscere se stesso e pronunciare la sua
parola, quali speciali proprietà possiede l’anima per ricevere
questa azione di Dio, rispetto alle altre creature senzienti che
pur hanno in sé Dio? Su questo privilegio io dico questo:
In tutti gli esseri Dio è in quanto essere, in quanto attività, in
quanto sensibilità, ma solo nell'anima si genera. Tutte le
creature sono un'orma di Dio, ma l'anima ne è, per sua natura,
un'immagine; questa immagine deve, per mezzo di questa
nascita, essere ornata e resa perfetta. Perciò soltanto l’anima, e
nessun'altra creatura, può accogliere questa azione e questa
nascita. Ogni perfezione che penetri nell'anima, sia essa
illuminazione divina, o la grazia, o la santità, deve venire
all'anima per mezzo di questa nascita : non c'è altro modo.
Attendi soltanto a questa nascita in te, e ogni bene, ogni
consolazione, ogni beatitudine, ogni essenza e ogni verità ti
sarà dato. Ma se ti lasci sfuggire quest'unica cosa, tu lasci
fuggire ogni bene e ogni santità. Ciò che entra in te con questa
nascita, porta a te purezza e stabilità; quello che cerchi e trovi
fuori di essa si corrompe, in qualsiasi modo tu lo riceva.
Soltanto questa cosa ti da l'essenza, ogni altra si dissolve. In

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questa nascita tu diventi partecipe dell'azione di Dio e di tutti i
suoi doni. Di questo non sono partecipi le creature, in cui non è
l'immagine di Dio : questa nascita eterna appartiene
all'immagine originaria dell'anima, e perciò è un suo privilegio.
E questa nascita è compiuta dal Padre nel fondo, nell'interiorità
dell'anima, dove mai un'immagine poté penetrare, né mai
alcuna delle facoltà dell'anima si rispecchiò.
La seconda questione è questa: poiché questa nascita avviene
nell'essenza e nel fondo dell'anima, essa può prodursi sia in un
peccatore che in un uomo virtuoso : quale grazia, quale
vantaggio ne traggo io? Il fondo della loro natura è in entrambe
lo stesso, anzi anche nell'inferno la nobiltà della natura permane
eterna. A questa questione io rispondo così:
È proprietà dì questa nascita ch'essa avvenga sempre come una
luce nuova e porti sempre nell'anima un intenso splendore.
Appartiene alla natura della bontà di dover espandersi, ovun-
que essa sia. In questa nascita Dio si effonde nell'anima con tale
pienezza di luce, penetra nel fondo dell'anima in tale misura da
traboccare e riversarsi nella facoltà dell'anima, e nell'uomo
esteriore. Così avvenne a Paolo quando Dio lo toccò, sulla
strada, con la sua luce e gli parlò : un riflesso di luce apparve
anche esternamente e lo avvolse come accade ai santi, sicché
anche i suoi compagni la videro. La sovrabbondanza di luce che
è nel fondo dell'anima si espande sul corpo e lo illumina.
Ora il peccatore non può ricevere questa luce e non la merita
perché è pieno di peccati e di malvagità, e queste sono le
tenebre. Perciò è detto: « le tenebre non accolsero la luce ». Ciò
deriva dal fatto che le vie per le quali la luce dovrebbe entrare
sono ostruite e chiuse dalla menzogna e dall'oscurità. La luce e
le tenebre non possono coesistere, come non possono coesistere
Dio e la creatura : se Dio deve entrare, è necessario che la
creatura ne esca. Di questa luce l'uomo diventa cosciente
quando si rivolge a Dio : in quel momento appare e splende in
lui una luce che gli la conoscere ciò che deve fare e non fare e

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gli dia inoltre molti buoni ammaestramenti che prima egli non
conosceva e non comprendeva, Ma a che cosa riconosci questa
luce? — II tuo cuore si sente talvolta toccato in uno strano
modo ed estraniato dal mondo: come ciò potrebbe accadere se
non perché irraggia in te questa luce? Essa è così tenera e gau-
diosa che tutto ciò che non è Dio e da Dio ti disgusta. Essa ti
attira a Dio : allora tu diventi consapevole di tanti buoni
ammaestramenti che non sai donde ti vengano. Questa
attrazione interiore non è cosa che provenga dalle creature o da
un loro ammaestramento, perché ciò che la creatura opera o
insegna deriva sempre dall'esterno. Il fondo dell'anima tua
invece è toccato dall'altra azione. Quanto più ti tieni staccato,
tanto maggiore è la luce, la verità, la saggezza che scende su di
te. Ed anche nessun uomo è mai caduto per una cosa
qualunque, ma soltanto perché prima era uscito dal suo fondo e
si era troppo vincolato alle cose esterne. Sant'Agostino dice:
Molti hanno cercato la luce e la verità, ma l'hanno cercata fuori,
dove essa non era. Allora essi finiscono per trovarsi così lontani
dalla loro casa che non riescono a rintracciare la via per
tornarvi. Eppure essi non hanno trovato la verità, perché essa
sussiste soltanto nell'interiorità, nel fondo dell'anima, non al di
fuori. Chi vuol dunque scoprire la luce e conoscere la verità
deve attendere a questa nascita in se stesso, nel fondo
dell'anima sua: saranno così illuminate anche le sue facoltà ed
anche il suo uomo esteriore. Poiché appena Dio tocca il fondo
con la sua verità, la luce si espande anche nelle facoltà e l'uomo
acquista in quell'istante più di quanto gli abbiano insegnato.
Perciò dice il profeta: « Io ho acquisito una penetrazione che è
superiore a tutti coloro che mi hanno ammaestrato ». Poiché
questa luce non può apparire e risplendere nel peccatore, è
impossibile che questa nascita possa effettuarsi in lui : essa non
può coesistere con l'oscurità del peccato, benché essa non si
produca nelle facoltà, ma nell'essenza e nel fondo dell'anima.
Nasce ora un'altra questione. Poiché Dio Padre genera soltanto

21
nell'essenza e nel fondo dell'anima e non nelle facoltà, a queste
che importa? A che serve che siano passive e arrendevoli, se
ciò non avviene in esse? La domanda è legittima. Io rispondo
così:
Ogni creatura agisce in vista di un fine. Il fine è primo nella
rappresentazione e ultimo nell'azione. Così anche Dio ha in
vista in tutte le sue opere un beatissimo fine: se stesso, e con-
durre l'anima con tutte le sue facoltà a questo fine: a se stesso.
Per questo Dio compie tutte le sue opere, per questo Dio genera
il suo Figlio nell'anima: affinché tutte le facoltà dell'anima
arrivino a questo fine. Egli guarda a tutta l’anima, tutta egli la
invita a questo convito e a questa corte. Ora l'anima con le sue
facoltà si è dispersa e distratta nell'esteriorità, ciascuna alla sua
opera: la potenza di vedere nell'occhio, la potenza di udire
nell’orecchio, la potenza dì gustare nella lingua. E nella stessa
misura esse sono più deboli a compiere intcriormente la loro
opera. Poiché ogni facoltà che si riversa al di fuori è imperfetta.
Perciò se l'anima vuole esplicare all'interno un'energica attività,
deve revocare a sé tutte le sue facoltà e raccoglierle fuori dalle
cose sparse, in un'azione interiore. Dice s. Agostino: « L'anima
è più là dove essa ama che là dove essa da vita al corpo ». Un
esempio! C'era un maestro pagano che era tutto dedito alla
matematica. Egli sedeva davanti al focolare, tracciava figure
sulla cenere e cosi applicava la sua arte. Arrivò un uomo con la
spada in pugno. Egli non sapeva che quello era un Sapiente e
gridò: « Chi sei? Dimmelo subito o ti uccido ! ». Lo scienziato
era così interamente assorto in se stesso che non vide e non udì
il nemico, e nemmeno avrebbe potuto comprendere che cosa
egli volesse. E poiché il nemico lo chiamò più volte senza aver
risposta, gli tagliò la testa. E tutto questo per acquisire un'arte
naturale: quanto più dovremmo staccarci da tutte le cose e
concentrare tutte le nostre forze là dove si tratta di intuire
l’unica, infinita, increata, eterna verità! Raccogli dunque tutta la
tua ragione e tutto il tuo pensiero e torna verso il fondo, dove il

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tesoro giace nascosto. Se ciò deve avvenire, sappi che devi
abbandonare ogni» altra cosa: devi giungere all'ignoranza se
devi trovare il tesoro.
Ecco allora un'altra questione: « Non sarebbe meglio se ogni
facoltà conservasse l'attività propria e tutt'insieme non si
ostacolassero fra loro né ostacolassero Dio nella sua azione? In
me naturalmente non può esserci alcuna specie di sapere finito,
che non sia di impedimento; ma Dio conosce tutte le cose senza
esserne turbato; e così anche i Santi ». Io rispondo così. I Santi
contemplano in Dio soltanto un'immagine, nella quale
conoscono tutte le cose; anzi Dio stesso vede in questo modo in
sé e in sé conosce tutte le cose: egli non ha bisogno, come noi,
di volgersi da una cosa all'altra,. Supponendo che in questa vita
avessimo ciascuno uno specchio davanti a noi, nel quale
vedessimo in un solo istante tutte le cose e le conoscessimo
tutte in una sola immagine, questa azione e questa conoscenza
non ci sarebbero d'impedimento. Ma poiché ora dobbiamo
passare sempre da una cosa all'altra, è inevitabile che una cosa
non sia in noi senza ostacolare l'altra. Poiché l'anima è così
strettamente unita alle sue facoltà ch'essa fluisce con esse là
dove esse fluiscono. Ovunque esse agiscono, l'anima dev'essere
presente e attenta, altrimenti esse non compirebbero nulla. Ora
se essa con la sua attenzione si disperde nell'atto esteriore,
inevitabilmente dev'essere tanto più debole nel suo intimo, per
la sua attività interiore. Per questa nascita Dio
deve trovare un'anima distaccata, libera e pura, nella quale non
sia se non lui solo e che non attenda se non lui solo. Qui si
applica la parola di Cristo: « Chi ama un altro fuori di me, chi è
attaccato a suo padre e a sua madre e a tante altre cose, non è
degno dì me. Io non sono venuto a portare la pace sulla terra,
ma la spada! Poiché io ti separo da tutte le cose, separo da te il
fratello, il figlio, la madre, l'amico, che sono in realtà tuoi
nemici. Infatti tutto ciò che ti stia molto vicino, in realtà è tuo
nemico! ». Se il tuo occhio vuoi vedere tutte le cose, il tuo

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orecchio ascoltarle tutte, il tuo cuore averle tutte presenti, è
inevitabile che la tua anima sia frantumata e dispersa in tutte
quelle cose. Perciò dice un dottore: « Quando un uomo vuoi
compiere un'opera interiore deve raccogliere in sé tutte le sue
forze, come in un angolo della sua anima, e allontanarsi da tutte
le immagini e le forme: allora può agire. È necessario ch'egli
entri in uno stato di oblio, d'ignoranza. Tranquillità e silenzio
devono esserci là dove questa parola dev'essere udita; e ad essa
non si può arrivare in modo migliore che rimanendo immobili e
silenziosi; allora si può ascoltare, si può comprendere :
nell'ignoranza ! Quando non si sa più nulla, essa si fa sentire e
si rivela.
Ora voi direte: « Maestro, voi riponete tutta la nostra salvezza
nell'ignoranza. Ma questa appare come un difetto: Dio ha creato
l'uomo per la conoscenza; come dice il profeta: « dà loro la
conoscenza ! ». Dove è l'ignoranza, c'è la mancanza, il vuoto :
l'uomo ignorante è un animale, una scimmia, uno stolto; e tale
egli resta finché permane nell'ignoranza. Qui ci si deve elevare
a una forma superiore di conoscenza: questa ignoranza non
nasce dall'ignoranza, ma dal sapere! Qui noi dobbiamo essere
ignoranti per mezzo del sapere divino : la nostra ignoranza è
allora nobilitata e ornata dalla conoscenza soprannaturale. E qui
noi, mantenendoci in uno stato di passività, siamo più perfetti
di quando operiamo. Perciò un dottore ha detto che l'udito è
superiore alla vista poiché la saggezza si impara più con l'udito
che con la vista, e si è più saggi per mezzo dell'udito. Leggiamo
che un sapiente pagano, avendo udito, sul suo letto di morte, i
discepoli parlare davanti a lui di un'arte nuova, alzò, quasi
morente, il capo, ascoltò e disse : « Ah, fatemi ancora imparare
quest'arte, perché io possa goderne nell'eternità ! ». L'udito va
più verso l'interiorità, la vista di più verso l'esterno: lo stesso
atto del vedere lo dimostra. Perciò nell'eternità noi saremo più
beati per l'udito che per la vista. L'attività con cui ascolto la
parola divina è in me, mentre l'attività del vedere è diretta

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lontano da me: nell'ascoltare sono passivo, nel vedere attivo.
Ma la nostra beatitudine non riposa sulla nostra azione, ma
sulla nostra passività dì fronte a Dio. Quanto Dio è più nobile
della creatura, tanto più nobile è l'attività di Dio che non la mia!
Certamente, per un illimitato amore Dio ha riposto la nostra
beatitudine nel patire: perché noi possiamo patire più che agire,
possiamo ricevere molto più di quello che possiamo dare. Ed
ogni dono ci apre a un dono nuovo e più ricco; ogni dono di
Dio amplia la nostra capacità e il nostro desiderio di ricevere
ancor dì più. Sotto questo aspetto, dicono alcuni dottori, l'anima
è simile a Dio, poiché, come Dio è illimitato nel dare, così
l'anima è illimitata nel ricevere, e come Dio è onnipotente
nell'operare, così l'anima è sconfinata nella sua capacità di
patire. In tal modo essa diventa via via simile a Dio. Dio deve
agire e l'anima patire. Dio deve conoscere e amare se stesso
nell'anima ; essa deve conoscere con la conoscenza di Dio,
deve amare con l'amore di Dio. Essa è perciò molto più beata
per ciò che è di Dio che non per ciò che è suo proprio : poiché
la sua beatitudine riposa più sull'azione di Dio che non sulla
sua. I discepoli di s. Dionigi gli chiesero perché Timoteo li
superasse tutti in perfezione. Egli rispose: « Timoteo è un uomo
passivo di fronte a Dio; chi supera in ciò gli altri, è più perfetto
». Così la tua ignoranza non è una mancanza ma la tua più alta
perfezione, e il tuo patire è la tua azione più alta !
In questa misura tu devi liberarti da tutte le tue attività e ridurre
al silenzio tutte le tue facoltà, se vuoi che davvero si realizzi in
te questa nascita; se vuoi trovare il Re appena nato, devi lasciar
da parte tutte le cose che potrai trovare e abbandonarle dietro di
te !
A lasciar da parte tutte le cose e ad abbandonare tutto ciò che
non piace al Re neonato ci aiuti colui che è diventato un figlio
dell'uomo perché noi diventiamo figli di Dio ! Amen.

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III

« Io devo essere in quello che è del Padre mio! »


(Luca, 2, 49).

Questa parola si addice al discorso che intendiamo fare intorno


alla nascita eterna, che si è effettuata anche nel tempo e si
compie ancora giornalmente, nell'intimo dell'anima, nel suo
fondo, lontano da tutte le cose estranee. Chi vuoi vedere in sé
questa nascita, deve essere prima di tutto « in quello che è del
Padre suo ».
Che cosa è del Padre? A differenza delle altre due persone, a lui
si attribuisce la potenza. Nessun uomo dunque può vivere
questa nascita o avvicinarsi a essa se non per una grande poten-
za. Poiché l'uomo non può arrivare a questa nascita se non si
ritrae con tutti i suoi sensi dalle cose, solo per una grande
potenza può avvenire che le facoltà dell'anima siano respinte e
private della loro azione : ciò può essere fatto soltanto
per mezzo della potenza. Perciò Cristo ha detto : « II regno dei
cieli soffre violenza ed i violenti lo traggono a sé ».
Ecco ora una questione relativa a questa nascita: se essa
avvenga ininterrottamente o solo di tempo in tempo, quando
l'uomo vi si applica e mette tutta la forza nel dimenticare ogni
cosa e a sapere solo questo. Io rispondo così :
L'uomo possiede una ragione attiva, una ragione passiva e una
ragione possibile. La prima è sempre pronta ad operare qualche
cosa, sia in Dio sia nel creato, a lode e gloria di Dio. Questo è il
suo ambito: essa si chiama attiva. Quando invece è Dio che ha
l'iniziativa dell'azione, lo spirito deve mantenersi in uno stato di
passività. In terzo luogo, la ragione è possibile quando è diretta
in ambedue i sensi: cioè affinché l'azione di Dio e la passività
dell'anima siano ambedue possibili. Nel primo aspetto lo spirito
si comporta come attivo, ed opera egli stesso; nel secondo lo

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spirito si comporta come passivo, e qui Dio entra in azione,
poiché allora lo spirito deve restare tranquillo e lasciare che
agisca Dio. Ora, prima che quest'opera sia cominciata dallo
spirito e portata a compimento da Dio, lo spirito la vede e la
riconosce come possibile: e ciò si chiama ragione possibile;
quantunque l'opera venga poi spesso trascurata e non giunga
così a maturità. Ma quando lo spirito è attivo nel modo voluto
da Dio, allora Dio si prende cura di lui e della sua opera ; allora
lo spirito vede Dio e ne patisce l'azione.
Ma poiché l'intuire Dio e il subirne l'azione diventa a lungo
andare insopportabile allo spirito, soprattutto durante questa
vita, così Dio si sottrae ogni tanto allo spirito. Egli vuoi dir ciò
con la parola : « Un momento voi mi vedete e un altro
momento non mi vedete ». Quando il Signore ebbe preso con sé
i tre discepoli sul monte e fece loro vedere la trasfigurazione
del suo corpo, che era dovuta alla sua unione con la divinità e
che anche noi proveremo dopo la resurrezione del nostro corpo,
S. Pietro, vedendo ciò, sarebbe rimasto sempre là volentieri. In
verità! Dove l'uomo trova il bene, egli non può da esso, in
quanto è bene, allontanarsene. Quando la conoscenza lo trova,
l'amore la segue, e poi la memoria, insomma l'anima intera.
Ecco perché il nostro Signore, che sa tutto questo, deve di tanto
in tanto nascondersi. L'anima è l'unità della forma del corpo :
dove essa si volge, là si volge tutta intera. Se quel bene, che è
Dio, fosse vissuto senza ostacolo né interruzione, essa non
potrebbe più staccarsene e così cesserebbe di determinare il
corpo. Così è avvenuto anche a Paolo: se egli fosse rimasto
cento anni là dove ebbe la visione del bene eterno, egli non
sarebbe durante quel tempo ritornato al corpo, lo avrebbe anzi
completamente dimenticato! Ma poiché ciò non s'accorda con
questa vita terrena, e nemmeno le conviene, il buon Dio si
nasconde quando vuole e si svela quando vuole, in quanto egli
sa, come un bravo medico, quando ciò è il meglio per noi.
Questo sottrarsi non dipende da te, ma da colui al quale

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appartiene anche l'operare : il rivelarti quel bene, o il cessare di
rivelartelo quando sa che ti sarebbe dannoso sta tutto nelle sue
mani. Dio non distrugge la natura, ma la porta a perfezione. E
questo egli lo fa secondo il grado della tua attitudine. Ora tu
potresti dire: « Signore, se per questo c'è bisogno di uno spirito
spoglio di tutte le immagini e di tutte le attività — che tuttavia
si trovano, per la natura stessa, nelle facoltà dell'anima— che
cosa avverrà delle opere esteriori, che di tanto in tanto bisogna
pur compiere, delle opere di carità, le quali sono tutte esterne,
come l'insegnare e il confortare, e talvolta sono necessarie?
Dobbiamo escluderle? I discepoli del Signore rinunciavano
spesso alla pace interiore; e molto ha fatto e sofferto Paolo per
gli altri, come fosse il loro padre! Dovremo essere privati di
quel gran bene perché ci occupiamo delle opere buone? ».
Io rispondo così. L'una cosa è molto alta, l'altra è ricca di
benedizioni. Se Maria fu lodala perché aveva scelto la parte
migliore, anche la vita di Marta era ricca di benedizioni perché
essa serviva Cristo e i suoi discepoli. S. Tommaso dice che la
vita attiva è migliore della contemplativa quando si riversa con
l'amore nelle opere quello che sì è conquistato con la
contemplazione. Si ha qui insomma una cosa sola : si abbraccia
cioè un solo fondo, al quale appartiene anche la
contemplazione, e se ne fa fruttificare il contenuto nelle opere,
nell'azione. Soltanto così si raggiunge il fine della
contemplazione. Se anche si ha qui un passaggio dall'una all'al-
tra, c'è sempre tuttavia una cosa sola: essa proviene da Dio e
torna allo stesso fine. È come se io andassi, in questa casa, da
un capo all'altro : sarebbe sì un mutamento, e sarebbe tuttavia
un'unica azione. Così anche nello stato di azione si è in Dio non
meno che nello stato di contemplazione. L'uno trova nell'altro
la sua quiete e la sua perfezione; lo stato puro della contempla-
zione mira alla fecondità nell'azione. Nella contemplazione tu
sei utile solo a te, nelle opere buone sei utile a molti. A questo
ci esorta Cristo con tutta la sua vita e la vita di tutti i santi che

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egli ha spinto a predicare alle moltitudini. San Paolo ha detto a
Timoteo : « Caro amico, tu devi predicare la parola ! ».
Alludeva forse alla parola esteriore, che fa vibrare l'aria? No,
certamente. Egli intendeva la parola nata e nascosta nell'in-
teriorità dell'anima: questa egli voleva che predicasse, affinché
diventasse nota alle facoltà dell'anima e diventasse loro
nutrimento, sì che l'uomo si prodigasse tutto in questa vita este-
riore, dove il tuo prossimo ha bisogno di te ; in maniera che tu
potessi manifestare te stesso in tutte le tue forze. La parola
dev'essere in te, nel tuo pensiero, nella tua ragione, nella tua
volontà, e deve risplendere nelle tue opere. « La vostra luce
deve risplendere davanti al mondo ! », ha detto Cristo; con
queste parole egli si rivolge a coloro che attendono soltanto alla
contemplazione e non all'azione morale e dicono che di queste
non hanno bisogno, perché sono già arrivati al di là di esse. A
loro non pensava certamente Cristo quando disse : « II seme
cadde su un buon terreno e rese il cento per uno ! ». Pensava a
loro quando disse: « L'albero che non porta frutto dev'essere
abbattuto ! ».
Ma tu dirai ancora : « Signore, che ne sarà
del silenzio, del quale tanto ci hai parlato? L'azione non può
aver luogo senza immagini interiori: ogni opera deve essere
effettuata in rapporto con la sua speciale immagine, sia che si
tratti di un'opera interiore o esteriore, sia che io insegni o
conforti o corregga : come potrò ancora godere della mia
quiete? Quando la ragione conosce una cosa e se la rappresenta,
quando la volontà la vuole, quando la memoria la ritiene, non si
tratta sempre di immagini? ».
Ascoltatemi!: Noi abbiamo già parlato di una ragione attiva e di
una ragione passiva. La ragione attiva strappa per così dire le
immagini dalle cose esterne, le spoglia della materia e di ogni
elemento contingente e le trasmette così alla ragione passiva :
essa genera in essa le immagini spiritualizzate. E poiché la
ragione passiva è stata fecondata dalla ragione attiva, conserva

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e conosce in se stessa le cose. Tuttavia può mantenere
coscientemente le cose alla sua presenza solo quando la ragione
attiva gliele irradia nuovamente dinanzi. Ebbene! Tutto ciò che
la ragione attiva opera nell'uomo naturale, questo e ancor più
opera Dio nell'uomo distaccato: egli sospende la ragione attiva,
si mette al suo posto e opera egli stesso quello che la ragione
dovrebbe fare. In verità! Quando l’uomo si raccoglie in quiete
perfetta e riduce al silenzio la ragione attiva, allora Dio deve
assumersi il compito di questa, diventa egli stesso il mastro
d'opera e genera se stessa nella ragione passiva. Pensate un po'
se non è così! La ragione attiva non può dare ciò che non ha, né
può avere due immagini simultaneamente, ma soltanto l’una
dopo l'altra. L'aria e la luce mostrano sì molte immagini e molti
colori nello stesso tempo, ma tu puoi vederli soltanto uno alla
volta. Nello stesso modo si comporta anche la ragione attiva,
simile in questo all'occhio. Ma quando Dio agisce al suo posto,
egli può produrre simultaneamente nella ragione passiva una
molteplicità di immagini, in un istante. Poiché appena tu sei
sospinto da Dio a un'opera buona, tutte le potenze dell'anima
tua si offrono a tutte le opere buone; il tuo spirito si rivolge
immediatamente ad ogni bene: tutto il bene, del quale sei
capace, si presenta dinanzi a te, nella tua coscienza, tutto
insieme, in un unico sguardo, in un istante. Tutto ciò rivela e
dimostra che questa non è opera della ragione, la quale non
possiede tale dono e tale ricchezza: ma è piuttosto l'opera e la
generazione di colui che porta simultaneamente in sé tutte le
immagini. « Io posso tutte le cose in colui che è la mia forza —
dice S. Paolo— io sono in lui come un bimbo non ancora
svezzato ». Ricordati che le immagini per le opere buone non
sono tue, ma appartengono all'artefice della tua natura, da cui
discendono anche le tue opere e le relative immagini. Non
appropriartene: esse sono sue non tue ! Se anche tu accogli tutto
ciò come qualche cosa di temporaneo, ciò tuttavia è generato e
dato da Dio al di sopra del tempo, nell'eternità, oltre tutte le

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immagini.
Ora tu potresti chiedere : « Se la mia ragione si è spogliata così
della sua attività naturale e non ha più né immagini proprie, né
un'attività propria, in che cosa essa risiede? Essa deve pur avere
un fondamento : le facoltà dell'anima, sia la memoria, sia la
ragione, sia la volontà, devono pur risiedere e operare in
qualche luogo ! ». Questa difficoltà si risolve in questo modo.
L'oggetto della ragione e la sua sede sono nell'essenza, non nel
contingente: nella purissima essenza stessa. Soltanto quando la
ragione conosce veramente l'essenza, essa si piega verso di
questa e vi trova la sua quiete e formula il suo giudizio
sull'oggetto del quale si occupa. Ma fino a che non trova la vera
essenza, né afferra il fondo in modo da poter dire: « Questa è la
cosa, è così e non altrimenti », tutta la sua opera è un cercare e
un attendere, senza fermarsi e riposare : sempre essa lavora e
indaga, cercando e aspettando. In questa condizione la ragione
lavora per qualche anno e cerca la verità naturale e quello
ch'essa è, e deve lavorare così fino a che abbia potuto
sceverarla da ciò che essa non è. Durante tutto questo tempo la
ragione non ha punto d'appoggio e non esprime un giudizio sul-
le cose fino a quando non ne ha trovato e riconosciuto il
fondamento e la verità. Ecco perché la ragione non arriva mai
alla quiete in questa vita: mai in questa vita Dio si rivela così
completamente che, di fronte a ciò che Egli è veramente, non
resti un nulla. La verità è nel fondo delle cose, ma è qualche
cosa di occulto e di nascosto alla ragione ; e fino a che rimane
tale per la ragione, questa non trova un punto d'appoggio, nel
quale possa trovar quiete come in un oggetto immutabile : no,
essa non trova riposo, rimane nella sua attesa e si prepara a
qualche cosa, che deve ancora conoscere, ma che è ancora
nascosta. L'uomo non può mai conoscere che cosa è Dio. Egli
sa soltanto ciò che Dio non è, e che l'uomo razionale elimina.
Ma fino a quando la ragione non trova quiete in un oggetto es-
senziale, essa attende, come la materia attende la forma. Come

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la materia non riposa fino a che non sia riempita con tutte le
forme, così la ragione trova la sua quiete soltanto nella verità
essenziale che racchiude in sé tutte le cose : solo in questa
essenza essa trova la sua pace. E Dio ritira questa essenza, poco
a poco, lontano dall'anima per mantenere sveglio il suo zelo e
sollecitarla ad andare sempre più avanti, a desiderare sempre di
più il vero bene e ad appropriarselo ; affinché essa non si arresti
soddisfatta di nessuna cosa finita, ma provi un desiderio sempre
più vivo del bene supremo ed ultimo !
Ma tu dirai: « O Signore, tu ci hai detto tante volte che tutte le
nostre facoltà devono far silenzio, ed ecco, questa quiete ora si
risolve in desideri e sospiri! Tutto ciò sarebbe un gridare e un
anelare verso qualche cosa che non si ha; tutto questo
eliminerebbe la pace e la tranquillità; sarebbe un desiderare e
un progettare, o anche un lodare e un ringraziare o altra cosa
simile, secondo le rappresentazioni che entrano in campo, ma
non sarebbe una pace assoluta e un perfetto silenzio ». Ascolta
come rispondo.
Quando tu ti sei spogliato interamente e sotto ogni aspetto di te
stesso, di tutte le cose e di tutto ciò che ti appartiene e ti sei
unito a Dio con grande fiducia e immenso amore e a lui ti sei
abbandonato, tutto ciò che nasce o si presenta a te, sia
intcriormente che esternamente, sia bene che male, sia amaro
che dolce, non è più cosa tua ma soltanto del tuo Dio, al quale ti
sei abbandonato. Dimmi : a chi appartiene la parola che viene
pronunciata? a colui che la pronuncia, o a colui che la ascolta?
Se anche essa viene, per così dire, a colui che la ascolta, essa
tuttavia appartiene propriamente a colui che la pronuncia.
Prendi un paragone: il sole manda il suo splendore nell'aria, e
l'aria riceve la luce e la trasmette alla terra e nello stesso tempo
ci permette di percepire la differenza di tutti i colori. Se dunque
la luce è anche nell'aria come parvenza, è tuttavia come essenza
nel sole : essa procede veramente dal sole, ha la sua sorgente
nel sole e non nell'aria ; essa è soltanto ricevuta dall'aria e

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trasmessa a tutto ciò che può accoglierla. Così è anche
dell'anima. Dio compie nell'anima la sua nascita, genera in essa
la sua parola; l'anima la riceve soltanto e la trasmette alle
facoltà in diversi modi: ora come desiderio, ora come buon
proposito, ora come sentimento di gratitudine, o in qualunque
altro modo. Tutto ciò che Dio opera è suo e non tuo, e tu
prendilo come suo. Così sta scritto : « -Lo Spirito Santo parla in
noi con gemiti impetuosi e innumerevoli. Egli prega in noi, non
noi preghiamo ».
« Nessuno, dice s. Paolo, può dire : Signore Gesù Cristo ! se
non nello Spirito Santo ». Anzitutto: non accettare nulla per te!
Abbandonati interamente, lascia che Dio agisca in te e per te
come vuole: sua è quest'opera, sua questa parola, sua questa
nascita e tutto quello che sei ! Poiché tu hai rinunciato a te
stesso e sei uscito dalle tue facoltà, dalla loro attività e dalla
proprietà personale della tua essenza, Dio deve entrare
interamente nell'essere tuo e nelle tue facoltà: poiché tu ti sei
spogliato di tutto ciò che ti apparteneva e hai fatto di te un
deserto — come è scritto : « La voce chiama nel deserto ».
Lascia che questa voce eterna gridi in te come a lei piace e tu
sii un deserto per te e per tutte le cose.
Tu chiederai: « Signore, come deve comportarsi un tale uomo
che è diventato deserto e vuoto di se stesso e di tutte le cose?
deve restare sempre in uno stato d'attesa dell'operazione di Dio
e non far nulla di per sé, oppure deve anch'egli fare intanto
qualche cosa come pregare e leggere o fare qualche cosa di
utile come ascoltare le prediche ed occuparsi della Scrittura?
Perché, propriamente parlando, egli non deve accogliere più
nulla dall'esterno, ma tutto dall'interno, dal suo Dio. Se egli
dunque interrompe queste opere, non è forse in certo modo ne-
gligente? ». Io rispondo così:
Tutte le opere esteriori sono istituite e prescritte affinché per
mezzo di esse l'uomo esteriore sia orientato verso Dio e guidato
alla vita spirituale e al bene; affinché non si disperda fuori di se

33
stesso in azioni disordinate, ma trovi un freno che gli impedisca
di perdersi nelle cose straniere; o, in altri termini, perché Dio,
quando vuole compiere la sua opera, trovi l'uomo già pronto e
non abbia bisogno di richiamarlo dalle cose lontane e
grossolane. Perché quanto più forte è il piacere che ci viene
dalle cose esterne, tanto è più difficile allontanarsene ; quanto
più grande è l'amore, tanto più grande è il dolore che da la
separazione. Tutte le opere buone, come il pregare, il leggere ,il
cantare, il vegliare, il digiunare, il far penitenza e altre simili,
sono state imposte dunque per fermare l'uomo e tenerlo lontano
dalle cose estranee e profane. Perciò quando l'uomo s'accorge
che lo spirito di Dio non agisce in lui, o meglio che il suo uomo
interiore è abbandonato da Dio, allora è veramente necessario
che l'uomo esteriore si applichi alle opere buone, soprattutto a
quelle che più gli sono efficaci e salutari. Ma non per fare
qualcosa dì bene in se stesso, ma solo per amore della verità,
affinché egli non sia distratto e fuorviato ad opera del sensibile,
ma stia così strettamente vicino a Dio che Dio possa trovarlo
subito accanto a sé quando viene per compiere la sua opera e
non debba cercarlo lontano. Quando invece l'uomo si trova
disposto alla vera interiorità, lasci pure cadere arditamente tutte
le cose esteriori, anche se si trattasse di quegli esercizi ai quali
tu fossi obbligato con voti da cui né il Papa né il Vescovo
potrebbero dispensarti ! Perché dei voti che si fanno a Dio
nessuno può dispensare: essi sono altrettante obbligazioni verso
Dio. Ma se un uomo avesse fatto voto di pregare, digiunare o
andare in pellegrinaggio, se entra in un Ordine è dispensato
allora da quei voti, perché nell'Ordine è legato a Dio stesso in
tutte le cose che gli sono salutari. Io dico qui lo stesso: un
uomo, per quanto forte sia l'obbligazione che si è assunto,
quando entra nella vera esperienza interiore, è dispensato da
tutto. Fino a tanto che dura l'esperienza interiore, e durasse una
settimana, un mese o un anno, un monaco o una monaca non
perde il suo tempo : Dio, in cui sono immersi, deve rispondere

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per loro. Quando poi l'uomo ritorna a se stesso deve compiere i
suoi voti per il tempo nel quale allora si trova ; ma per il tempo
passato ciò che ti sembra di avere omesso non hai bisogno di
pensare come adempierlo: Dio stesso lo adempie per il tempo
nel quale ti ha accolto in sé. Tu non devi nemmeno desiderare
che venga adempiuto dalle azioni di altre creature, poiché la più
piccola cosa fatta da Dio è migliore delle opere di tutte le
creature !
« Questo discorso si può rivolgerlo innanzitutto a persone dotte
e illuminate che sono state istruite da Dio e dalla Scrittura : ma
come può essere rivolto a un povero laico che conosce soltanto
gli usi esteriori e che ha fatto un certo voto, come recitare delle
preghiere o altro di simile? ». Io dico: se trovi che questo ti
impedisce e che l'omettere il tuo voto ti avvicina di più a Dio,
omettilo pure arditamente, perché è sempre migliore quell'agire
che ti porta più vicino a Dio. È ciò che intendeva Paolo quando
disse : « Allorché giunge il perfetto, l'imperfetto scompare ».
Molto diversi sono i voti gli uni dagli altri : diversi sono quelli
che si fanno nelle mani di un sacerdote, come il matrimonio,
dagli altri voti: i voti di questa natura significano che si
promette qualche cosa a Dio stesso, in rapporto diretto con lui.
È una bella cosa impegnarsi così verso Dio, e talvolta l'uomo ci
trova quel che è meglio per lui. Ma se avviene che l'uomo
venga a conoscenza di cosa ancor migliore, allora il primo voto
deve ritenersi annullato ed estinto. Questo è facile a provarsi :
si deve infatti guardare più al frutto e alla verità interiore che
all'opera esterna. Come dice Paolo: « La lettera (cioè l'esercizio
esteriore) uccide, ma lo spirito (cioè l'esperienza interiore della
verità) vivifica ». Allo spirito tu devi tendere con zelo e finezza
e correr dietro innanzitutto a ciò che più ti avvicina allo spirito.
Tu devi avere uno spirito proteso verso l'alto, non uno spirito
che pieghi con passione verso il basso : uno spirito nel quale
regni una pace silenziosa e imperturbabile. Non è necessario
che tu dica a Dio di che cosa hai bisogno e desiderio: egli lo sa

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già in antecedenza. « Quando pregate, dice Cristo ai suoi
discepoli, non dovete dire molte parole come i Farisei, i quali si
immaginano di essere ascoltati se parlano molto ».
A ricercare quaggiù questa pace, questo silenzio interiore, in
modo che la parola eterna sia detta in noi e ascoltata da noi e
noi possiamo diventare un giorno una cosa sola con essa, ci
aiuti il Padre e questa Parola stessa e lo Spirito che a entrambi è
comune ! Amen.

36
IV

Noi leggiamo nel Vangelo : « Quando il nostro Signore aveva


dodici anni, andò con Maria e Giuseppe a Gerusalemme nel
Tempio; e quando essi se ne tornarono, Gesù rimase nel
Tempio senza che essi lo sapessero. E quando furono vicini a
casa e si accorsero della sua assenza, lo cercarono tra i
conoscenti e gli ignoti, fra i parenti e tra la folla e non lo
trovarono : essi lo avevano perduto in mezzo alla moltitudine.
Perciò non rimase a loro che di tornare indietro donde erano
partiti; e quando furono arrivati al punto di partenza, al Tempio,
là lo trovarono ».
È così veramente: se tu vuoi trovare in te questo nobile figlio,
devi abbandonare la moltitudine e tornare al punto di partenza,
al fondo, dal quale sei venuto. Tutte le potenze dell'anima con
la loro attività, ecco la moltitudine : la memoria, la ragione, la
volontà, sono esse che ti trascinano nel molteplice; perciò tu
devi abbandonarle tutte, e abbandonare l'attività dei sensi,
l'attività immaginativa e tutto ciò in cui ti senti e ti vedi. Allora
potrai trovare il Figlio, non altrimenti! Egli non è mai stato
trovato presso gli amici, i parenti e i conoscenti: là piuttosto è
stato perduto.
Sorge ora una questione sul punto seguente : se questa nascita
possa essere facilitata all'uomo per mezzo di quelle cose che si
riferiscono sì a Dio, ma sono trasmesse dall'esterno. Per
esempio, per mezzo della rappresentazione di Dio: che Dio è
buono, saggio, pietoso, o per mezzo delle altre affermazioni che
la ragione potrebbe asserire di Dio. Questa nascita può essere
promossa per mezzo di queste cose?
Tutto ciò potrà essere buono e riferibile a Dio; eppure io dico :
no ! Perché tutto ciò viene portato dall'esterno, per mezzo dei
sensi; e invece è necessario che tutto scaturisca dall'intimo, da
Dio, se questa nascita deve splendere nell'anima in tutta la sua

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purezza. Tutta la sua attività deve riposare, tutte le sue potenze
devono servire ai suoi fini, non ai tuoi: se l'opera deve essere
perfetta, Dio solo deve agire e tu devi restare passivo. Quando
tu esci completamente dal tuo volere e dal tuo sapere, Dio entra
volentieri in te col suo sapere e la sua luce risplende in te: dove
Dio deve così diventare consapevole di se stesso, il tuo sapere
non può né sussistere né cooperare. Non immaginare che la
ragione possa crescere ed elevarsi sino a poter conoscere Dio.
Se Dio deve splendere divinamente in te, nessuna luce naturale
può aiutarti: questa luce deve prima diventare un puro nulla e
rinunciare a se stessa, e allora Dio può irradiare dentro di te la
sua luce. Egli porta con se tutto quello a cui hai rinunciato e
mille volte di più: e porta inoltre con sé una nuova forma che in
sé contiene tutto.
Noi abbiamo di ciò una conferma nel Vangelo. Quando
Nostro Signore parlò così amichevolmente al pozzo con la
donna pagana, questa lasciò là il secchio, corse in città e
annunciò al popolo che il vero Messia era venuto. Il popolo non
credette alle sue parole, uscì insieme con essa e poté vederlo.
Allora la gente disse alla donna : « Non sono state le tue parole
a farci credere, ma ora crediamo perché è lui stesso che
abbiamo veduto ». In verità! Né la scienza di tutte le creature,
né il tuo proprio sapere possono condurti al punto da poter
conoscere Dio in maniera divina: per questo il tuo sapere deve
prima cangiarsi in una pura ignoranza, in un puro oblio di te
stesso e di tutte le creature.
Ora tu potresti dire: « Ma dimmi, caro Signore, che cosa
deve fare dunque la mia ragione, se deve starsene così
interamente vuota e senz'alcuna attività? E’ davvero questa la
via più breve, il portare cioè il mio spirito a questa specie di
conoscenza che è anche non conoscenza e che io non so se
possa esistere? Perché se io conosco qualche cosa non è più
allora una non conoscenza, né io sto veramente vuoto e nudo :
devo dunque restare nell'oscurità assoluta? ». Sì, certamente !

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Tu non potrai trovarti meglio che quando ti sarai cambiato nelle
tenebre, nell'ignoranza. — « Ah Signore ! si deve dunque
abbandonare tutto e non vi è più ritorno? » — No, veramente,
non vi è più ritorno. — « Ma che cosa sono queste tenebre?
qual è il loro nome? » — II loro nome potrebbe essere soltanto
questo: una possibilità che però non manca di realtà e che per
contenuto ha solo questo: che tu diventi perfetto. Ecco perché
non v’è più ritorno. Se accadesse che tu ne uscissi ancora,
questo non potrebbe avvenire in maniera retta, ma sarebbe un
effetto dei sensi, del mondo o del demonio. E se tu accetti
questo ritorno, allora ricadi inevitabilmente nel peccato e
potresti andare facilmente così lontano; per questa via da cadere
nella perdizione eterna. Ecco perché non v'è più ritorno, ma
solo un andare avanti, un portare la possibilità alla sua
attenzione. L'anima non riposa mai fino a che non sia riempita
di tutta la sua realtà: come la materia non riposa finché non sia
riempita di tutte le forme che appartengono alla sua poten-
zialità, così la ragione non riposa mai fino a che non sia
riempita di tutto ciò che rientra nella sua possibilità.
Dice a questo proposito un maestro pagano : La natura non
contiene nulla che sia più rapido del cielo, che nel suo corso
sorpassa tutte le cose. È vero ; ma lo spirito dell'uomo sorpassa
anche il cielo: ammesso che egli conservasse tutte le sue forze e
si mantenesse puro e indiviso tra le cose inferiori e sensibili,
l'uomo sorpasserebbe anche l'empireo e non troverebbe la sua
gioia se non quando fosse arrivato all'altezza suprema e là fosse
nutrito dal massimo bene, da Dio stesso.
Vuoi dunque sapere quanto è salutare per te portare questa
possibilità al suo compimento, restare vuoto e nudo, seguire
questa oscurità, questa ignoranza, che non ha ritorno? Così ti è
possibile conquistare Colui che è tutto! E quanto più tu sarai
deserto e vuoto di te stesso e ignorante di tutte le cose, tanto più
ti avvicinerai a Lui. Di questo deserto è scritto in Osea: « Io
voglio condurre la mia amica nel deserto e là parlarle, nel suo

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cuore! ». La vera parola dell'eternità ci è detta soltanto
nell'eternità: Ià dove l'uomo è diventato un deserto, una terra
straniera per se stesso e per ogni molteplicità. A questa desolata
rinuncia di se stesso aspirava il profeta quando diceva: « Ah!
chi mi darà le ali della colomba, perché io voli dove troverò la
pace? » E dove si trova la quiete e la sosta? In verità, soltanto
nell'abbandono, nell'isolamento, nel distacco da tutte le
creature. Perciò dice David : « Io preferisco essere disprezzato
e abbandonato nella casa del mio Signore che onorato e ricco
nella compagnia dei peccatori! ». Ora tu mi dirai: « Ah!
Signore, se è così, se è necessario diventare una terra straniera,
deserta per tutte le cose, se tutte le nostre facoltà interne ed
esterne, con le loro attività, devono essere abbandonate, questo
stato deve essere ben doloroso, quando Dio .abbandona l'uomo
senza il suo appoggio, senza illuminarlo, senza parlargli, senza
agire in lui — come invece tu sempre supponi e ce ne parli!
Quando l'uomo sta così in un puro nulla, non è meglio che egli
faccia qualche cosa che dissolva queste tenebre e questo
deserto, come per esempio che preghi, legga, ascolti delle
prediche o faccia qualche altra opera buona per aiutarsi un
poco? » No, lasciatelo dire: il silenzio assoluto, il vuoto per-
fetto, ecco la cosa migliore. Tu non puoi senza danno lasciare
questo stato per rivolgerti verso qualcosa d'altro. Tu vorresti
essere preparato per una parte da te, per l'altra da Dio: ma ciò è
impossibile : tu non puoi così presto pensare o desiderare la tua
preparazione, che Dio non sia già prima presente. Ammesso
anche che la cosa fosse divisa in due parti e che la
preparazione, l'azione e l'ispirazione spettassero insieme a te e a
lui, ciò che non è possibile, tu devi in ogni caso pensare che
Dio agisce e infonde la sua grazia non appena ti trova pronto.
Non devi credere che Dio agisca come un artigiano che lavora o
non lavora come vuole e può fare o non fare secondo il suo
desiderio. Così non avviene in Dio : quando egli ti trova pronto,
è necessario che agisca e si riversi in te, così come il sole,

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appena l'aria è limpida e pura, non può non effondersi e nulla
può trattenerlo. Sarebbe veramente una grandissima
imperfezione in Dio se egli non operasse in te le sue magnifiche
opere, se non riversasse in te i suoi tesori, allorché ti trovi così
spoglio e vuoto !
Scrivono così anche i maestri: nell'istante in cui la materia
del bambino è pronta nel seno della madre, in quello stesso
istante Dio vi infonde lo spirito vitale, l'anima: l'essere pronta e
l'infondere sono un attimo solo. Appena la natura raggiunge il
suo compimento, Dio dona la sua grazia: nello stesso istante in
cui lo spirito è pronto, Dio penetra in esso senza indugio. Nel
Libro dei Misteri si legge come Nostro Signore si presenta alla
gente: « Io sto davanti alla porta e busso e aspetto che qualcuno
mi faccia entrare: con lui io voglio cenare ». Tu non hai
bisogno di cercarlo qua o là; egli sta davanti alla porta del cuore
e resta lì e aspetta, ansiosamente, per vedere se trova pronto
qualcuno che gli apra e lo faccia entrare : tu non hai bisogno di
chiamarlo da lontano; egli aspetta con più impazienza di te; egli
aspira a te mille volte più ardentemente di quanto tu aspiri a lui.
L'aprire e l'entrare non sono che una cosa sola.
Ora tu potresti dire : « Com'è possibile che io non veda una
traccia di lui? » — Questa intuizione non è in potere tuo, ma
nel suo. Quando egli vuole, si mostra ; e quando vuole, anche
può nascondersi. Questo intendeva Cristo quando disse a
Nicodemo: « Lo spirito soffia quando vuole : tu senti la sua
voce ma non sai donde venga e dove vada ». Egli dice — e ciò
sembra una contraddizione: « Tu senti, eppure non sai ». — Ma
il sentire ci fa pur sapere ! — Cristo voleva dire : per il sentire
tu lo accogli e lo ricevi in te: tu accogli in te lo spirito, e
tuttavia non sai perché. Vedi! Dio non può lasciar nulla di
vuoto. Anche nella natura Dio non permette che nulla resti
vuoto. Perciò quando ti sembra di non sentire in te la traccia di
Dio e sei interamente vuoto di lui, non è affatto vero! Perché se
sotto il cielo ci fosse un vuoto qualunque, grande o piccolo, o il

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cielo lo attirerebbe a sé in alto, oppure esso stesso dovrebbe
discendere e riempirlo di sé. Dio, l'artefice della natura, non
permette affatto che qualcosa rimanga vuota. Perciò sta calmo e
non vacillare : se ora tu vuoi allontanarti da Dio anche per un
solo istante, non potrai più tornare a lui !
Ora tu potresti dire : « Bene! Signore, tu parli come se un
giorno questa nascita dovesse avvenire in me e il Figlio dovesse
essere generato in me: ma c'è un segno dal quale io possa
riconoscere che questa nascita è avvenuta? » — Sì, certamente,
anzi ce ne sono tre infallibili. Per ora parlerò di uno solo.
Spesso mi si domanda se l'uomo possa arrivare al punto da non
essere più impedito dal tempo, dalla molteplicità e dalla
materia. Sì, lo può! Quando questa nascita si compie realmente,
tutte le creature non possono più esserti di ostacolo : esse ti
rimandano tutte a Dio e a questa nascita. È ciò che vediamo nel
fulmine: quando esso colpisce, sia una pianta, un animale o un
uomo, esso lo volta verso di sé; se l'uomo gli voltasse la
schiena, il fulmine lo rivolterebbe dalla parte della faccia; e se
la pianta avesse anche mille foglie, esse si volterebbero tutte
dalla parte del fulmine. La stessa cosa avviene a tutti coloro nei
quali ha luogo questa nascita : essi sono rapidamente voltati
verso questa nascita con tutto quanto è in loro, per quanto
terreno esso sia. E ciò che prima era di ostacolo diventa ora un
aiuto; e il tuo viso si rivolge così pienamente a questa nascita
che, qualunque cosa tu veda o senta, tu altro non vedi che
questa nascita: tutte le cose diventano per te unicamente Dio,
perché in tutte non hai più davanti agli occhi altro che Dio. È
come quando un uomo fissa a lungo il sole : qualunque cosa
egli guardi dopo, non vede più che il sole. Se questo ti manca,
cioè se in tutte le cose non cerchi e non vedi Dio, vuoi dire che
questa nascita non è in te avvenuta. Tu potresti chiedere : « Chi
è arrivato a questo stato deve ancora esercitarsi nelle opere di
penitenza? pecca se le omette? » — Tutte queste opere, il
digiunare, il vegliare, il pregare, l'inginocchiarsi, il macerarsi, il

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portare il cilicio, il dormire su un duro giaciglio e altre cose del
genere, sono state inventate perché il corpo e la carne si
oppongono sempre allo spirito: il corpo è molto forte contro lo
spirito e la loro lotta non ha fine. In questa lotta il corpo è forte
e ardito perché quaggiù esso è a casa sua : il mondo lo aiuta, la
terra è la sua patria e sono suoi alleati il cibo, la bevanda, le
comodità. Tutto ciò è contro lo spirito. Quaggiù lo spirito è in
terra straniera: egli ha nel cielo i suoi parenti, tutta la sua stirpe:
ha lassù i suoi alleati. Ora, per venire in aiuto allo spirito in
questa situazione difficile, per umiliare un po' il corpo in questa
lotta affinché esso non vinca sullo spirito, gli si è imposto il
freno delle opere di penitenza e con esse lo si opprime affinché
lo spirito possa difendersi contro di esso.
Ecco ciò che si fa per tendere prigioniero il corpo ; ma se
tu vuoi soggiogarlo e legarlo mille volte meglio, mettigli il
freno dell'amore! Con l'amore lo domerai perfettamente, con
l'amore lo soggiogherai duramente: perciò Dio ci attende al
varco soprattutto con l'amore. Perché l'amore è come l'amo del
pescatore. Il pescatore può impadronirsi del pesce solo quando
lo tiene con l'amo; quando il pesce ha abboccato all'amo, esso è
in potere del pescatore e per quanto si rigiri e si dibatta il
pescatore lo tiene fermamente. Così è dell'amore: colui che ne è
preso porta il legame più forte, e tuttavia è un dolce peso. Chi
ha preso su di sé questo dolce peso, procederà e penetrerà verso
la sua meta di più che non con tutti gli esercizi e le penitenze
corporali che si potesse assumere. Sopporterà e soffrirà
gioiosamente tutto ciò che Dio gli manda. Niente fa di te più
cosa di Dio e niente fa Dio più tuo quanto questo dolce legame.
Chi ha trovato questa via non ne cerchi un'altra! Chi è stato
preso a questo amo è preso tutto intero : i piedi e le mani, la
bocca, gli occhi e il cuore e tutto ciò che appartiene all'uomo
deve ormai essere di Dio. Tu dunque non potrai vincere meglio
questo nemico, il corpo, e impedirgli che ti nuoccia, se non con
l'amore. Perciò sta scritto: « L'amore è forte come la morte,

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duro come l'inferno ».
L'amore separa l'anima dal corpo, ma l'amore separa tutte le
cose dall'anima : esso non tollera a nessuna condizione se non
Dio e ciò che è di Dio. Chi è preso in questa rete, chi cammina
in questa via, può fare ciò che vuole: qualunque cosa egli faccia
è opera dell'amore; che egli faccia qualcosa o non faccia nulla,
non importa. L'azione più insignificante, l'occupazione più
umile è per lui e per gli altri uomini più salutare, più feconda e
più grata a Dio che non le azioni di tutti gli uomini i quali siano
puri di peccato mortale, ma inferiori a lui nell'amore. La sua
quiete è più utile dell'attività di un altro.
Perciò attendi soltanto questo amo e sarai beatamente
prigioniero, e quanto più sarai prigioniero tanto più sarai
liberato.
Ad essere così prigionieri e così liberati ci aiuti colui che è
l'amore stesso ! Amen.

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DELLA DONNA VERGINE

« Intravit Jesus in quoddam castelum et mulier quaedam


excepit illum ». (Luca., 10, 38).
Ho premesso un versetto in latino che sta scritto nel Vangelo e
che si traduce così : Nostro Signore Gesù salì a un borgo e fu
ricevuto da una donna — da una vergine che era una donna. Se
esaminate più esattamente queste parole : « ricevuto da una
donna », è chiaro che fu una donna a ricevere Gesù. Ma con
questa verginità intendiamo l'esser liberi di ogni impressione
estranea, così liberi come quando non si era ancora nati. Qui si
presenta subito una obiezione :
Un uomo, nato e cresciuto a vita cosciente, come potrebbe
essere così libero di ogni impressione come quando non era
ancora nato? Egli sa un mucchio di cose, tutte immagini di
qualcuna! Come può nello stesso tempo esserne libero?
Lasciate dunque che vi spieghi il nocciolo della
questione. Se la mia intelligenza fosse tanto vasta che tutte le
immagini, che lo spirito umano ha mai accolto in sé, anzi che
sono soltanto in Dio, fossero davanti alla mia coscienza, senza
tuttavia che io le considerassi come mie proprie in modo che
nel mio fare ed agire non mi attaccassi ad alcuna di esse con il
suo prima e il suo poi, ma invece ora, in questo momento
presente, stessi libero e vuoto a disposizione di Dio per
compiere, subito, ciò che più gli sta a cuore: — in verità! tutta
la moltitudine di queste immagini mi sarebbe tanto poco di im-
pedimento come quando ancora non ero, e l'anima mia sarebbe
vergine. E tuttavia io penso che tale specie di verginità non
toglie affatto all'uomo nulla di tutte le opere che ha già dietro di
sé: ma egli, per niente impacciato, si erge libero in verginale
purezza, realizzando completamente soltanto allora il suo io.
Appunto come Gesù è libero e vuoto e nel suo intimo di una
purezza perfetta. E come i maestri dicono che soltanto la

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somiglianza è una buona base per diventare uno, così anche
l'anima deve essere di una purezza verginale se vuole dar luogo
in sé alla purezza di Gesù.
Ora esaminate e osservate accuratamente! Chi è vergine non
da frutto: per diventare fecondo è necessario che diventi donna.
« Donna » è il nome più nobile che si possa dare all'anima,
molto più nobile che quello di « vergine ». Che l'uomo accolga
Dio in se stesso è bene — e in tale accoglimento si manifesta la
sua verginità; — ma che Dio diventi fecondo in lui è meglio.
Perché portar frutto vuol dire realmente ringraziare per un dono
; e che l'anima in un ritorno di gratitudine faccia rinascere Gesù
nel cuore paterno di Dio è cosa da donna. Molti eccellenti doni
sono accolti nel seno virgineo e non vengono tuttavia rigenerati
dalla fecondità della donna, in giusto ringraziamento a Dio. I
doni si guastano e si perdono tutti, e perciò l'uomo non diventa
mai, per essi, né migliore né più santo. Poiché la sua verginità
non serve in nulla all'anima, se essa non è anche donna con
tutta la sua fecondità. Ecco perché ho detto che Gesù fu
ricevuto da una vergine che era una donna. Il matrimonio fra gli
uomini porta di rado più di un frutto in un anno; ma io questa
volta ho in mente un'altra specie di gente maritata: cioè coloro
che si sono dedicati particolarmente alla preghiera, al digiuno,
alla veglia e ad ogni specie di esercizi e di mortificazioni
esteriori. Ogni legame a un'opera, che ti toglie la libertà di
attendere a Dio in questo istante presente e di seguire lui solo
nella luce con la quale egli potrebbe indicarti ciò che devi fare e
non fare, libero e sciolto in qualsiasi istante, come se mai tu
avessi avuto, o potuto o voluto altro: ogni legame, ogni opera
assegnata, che ti privi della libertà, io la chiamo per ora un «
anno maritale ». La tua anima infatti non da frutto se prima non
ha eseguito il compito di cui sei tanto appassionato; e se anche
non ti abbandoni a Dio né a te stesso, avrai pur dato alla luce
l'opera tua. Altrimenti non hai pace e non produci alcun frutto,
secondo il mio apprezzamento, se non oltre l'anno ! Ed anche

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allora esso ha scarsa importanza, perché è nato da un'anima
incatenata, prigioniera della sua opera, e non dalla libertà.
Tali sono le « persone maritate » — come io le chiamo —
legate per proprio volere. Al contrario, « una vergine che è
donna », un'anima libera non vincolata ad alcun volere, è vicina
a Dio come a se stessa e porta molti e bei frutti: anzi porta Dio
stesso. Tale frutto e il generarlo fa della vergine donna una
generatrice. In un giorno essa genera cento e mille volte e da
alla luce frutti dal più nobile terreno ! Per dirlo con maggiore
esattezza : dal medesimo terreno da cui il Padre genera il suo
Verbo eterno, anche l’anima feconda genera con lui. Poiché
Gesù, luce e potenza visiva dei cuore paterno, — e con violenza
egli illumina il cuore paterno ! — questo Gesù è diventato uno
con l'anima, ed essa una con lui : essa irraggia e splende con lui
come un purissimo raggio di luce nel cuore paterno di Dio !
Già lo dissi altrove: c'è nell'anima una forza, che non è toccata
né dal tempo né dalla carne : integralmente spirituale, essa
scaturisce dallo spirito e dimora nello spirito. In tale facoltà Dio
verdeggia e fiorisce in tutta la gioia e l'amore che egli gode in
sé. Regna colà una gioia magnifica e un gaudio così grande da
non potersi concepire col pensiero né esprimere in parole. In
questa forza l'eterno Padre genera ininterrottamente il suo
eterno Figlio, cosicché l'anima genera insieme il Figlio del
Padre, e cioè se stessa come identica al Figlio, nella forza
indivisa del Padre. Se uno possedesse tutto un regno e insieme i
tesori della terra e li abbandonasse di cuore per amore di Dio,
diventasse uno degli uomini più poveri che mai siano vissuti
sulla terra, e se Dio riversasse su di lui soltanto dolori, come
mai accadde ad alcuno, ed egli sopportasse tutto pazientemente
sino alla morte, e Dio gli concedesse allora di contemplarlo un
istante così come egli sussiste in quella forza dell'anima, la
gioia di lui sarebbe così fuor di misura che tutte quelle
sofferenze e quelle privazioni gli sembrerebbero ancora troppo
poco. E se anche Dio non gli accordasse mai più la minima

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particella di cielo, quella gioia gli basterebbe!
Perché Dio vive in questa forza come nell'eterno presente. Se lo
spirito di Dio fosse sempre unito ad essa, l'uomo non potrebbe
invecchiare: poiché l'istante in cui Dio creò il primo uomo,
l'istante in cui l'ultimo uomo perirà e quello in cui ora io vi
parlo, sono identici in Dio : in lui non c'è che un unico istante.
Vedete ! Uno vive nella medesima luce con Dio: perciò egli
non conosce né sofferenza, né futuro, ma un'unica, sempre
eguale eternità. Per un simile uomo, compreso com'è nella
verità, non esistono miracoli : in lui è l'essenza di tutte le cose;
nessun accidente, nessun futuro può portargli qualcosa di
nuovo, poiché egli vive in un presente che rinverdisce in ogni
tempo, senza interruzione! Una simile potenza divina risiede in
questa forza.
E un'altra forza c'è, anch'essa incorporea, anch'essa scaturita
dallo spirito, permanente nello spirito, e interamente spirituale :
in questa facoltà Dio risplende e arde senza tregua in tutta la
sua pienezza, la sua dolcezza, la sua beatitudine, sicché nessuno
può parlarne secondo verità né manifestarla. Dirò soltanto
questo: se ad uno fosse concesso di gettare un solo sguardo
verace e intelligente, in questo gaudio, in questa gioia,
qualunque cosa dovesse sopportare in seguito e qualunque
rinuncia Dio esigesse da lui, tutto ciò sarebbe per lui una ben
piccola cosa, un vero nulla; anzi, vado ancora più in là: sarebbe
per lui pura gioia e benedizione !
Ecco come puoi riconoscere se la tua sofferenza è tua oppure di
Dio: se soffri per amore di te stesso, la tua sofferenza ti fa
sempre male e il portarla ti pesa ; ma se invece soffri soltanto in
Dio e per Dio, essa non ti fa male e non ti pesa, poiché è Dio
che porta il fardello. E s'anche cadesse su di te d'un colpo solo
tutto il dolore che gli uomini hanno sofferto, o che tutto il
mondo sopporta insieme, esso non ti dorrebbe, né ti
sembrerebbe pesante, poiché Dio porterebbe il fardello. Se mi
si mettesse un quintale sul collo, ma fosse un altro che lo

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portasse sul suo, mi sottoporrei volentieri a cento chili come ad
uno, poiché non mi sarebbe pesante, né mi farebbe male. — In
breve : ciò che l'uomo soffre in Dio e per Dio solo, gli riesce
leggero e dolce.
« Gesù — così abbiamo cominciato la nostra predica — salì a
un piccolo borgo e fu ricevuto da una vergine che era una
donna ». Perché essa dovesse essere così e come Gesù venne
accolto, ve l'ho detto ora. Ma non vi ho detto ancora che cosa
fosse questo piccolo borgo. Ve lo dico ora.
Dissi altre volte come vi sia nello spirito una forza che sola è
libera: dissi anche esservi nell'anima una fortezza, e un'altra
volta dissi che è una luce e finalmente la chiamai una piccola
scintilla. Ora però aggiungo : essa non è né questo né quello,
ma un qualcosa al di sopra di questo e di quello, come il cielo è
al di sopra della terra. Perciò ne parlo ora in modo ancora più
degno, benché sia ridicolo parlare di « modo » e di « dignità »,
essendo ben al di là di tutto questo. Esente da ogni nome, privo
di ogni forma, qualcosa di perfettamente libero e vuoto com'è
soltanto Dio. E solo in sé. È uno e circoscritto come Dio solo
può essere, per cui non si può con nessuna determinatezza
gettarvi nemmeno uno sguardo.
In questa prima forza, della quale ho parlato, Dio verdeggia e
fiorisce in tutta la sua divinità, e a sua volta lo spirito in Dio. In
essa il Padre genera il suo Figlio Unigenito da sé e in sé, per-
ché in questa forza ha la sua vita. Insieme col Padre lo spirito
genera tale Figlio e genera se stesso quale Figlio. Egli stesso è,
nella luce di questa forza, il Figlio e la Verità.
Se voi poteste comprenderlo con il mio cuore, capireste bene
ciò che dico, poiché è vero, e la verità stessa lo dice ! Osservate
dunque e notate : questa fortezza dell'anima, della quale ora vi
parlo, e così una e compatta, così al di sopra di tutto ciò che si
può esprimere, che quella nobile forza, di cui appunto vi parlai,
non è degna neppure dì gettarvi uno sguardo, e neppure la
seconda forza in cui Dio ininterrottamente arde e risplende.

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Questo Unico-Uno è tanto al di sopra di ogni determinatezza e
di ogni facoltà, che mai una potenza dell'anima né altra cosa
determinata poté gettarvi uno sguardo. Nemmeno Dio! In verità
e come è vero che Dio vive, egli non lo guarda affatto, né mai
l'ha guardato, in quanto ha determinatezza e proprietà di Per-
sona. È facile rendersene conto, perché questo Unico-Uno è
senza determinazione né qualità propria. Perciò se Dio vi getta
uno sguardo, ciò gli costa la totalità dei suoi nomi divini e
inoltre la qualità di essere Persona: bisogna che egli lasci fuori
tutto questo. Ma poiché egli è unicamente l'Uno, senz'altra
determinazione più precisa, né Padre, né Figlio, né Spirito
Santo, un qualche cosa di spoglio di ogni come e di ogni quale,
— ecco, così soltanto penetra nell'uno che io chiamo una
fortezza nell'anima. In altro modo esso non può penetrarvi,
mentre così vi entra, — anzi vi è già dentro. In ciò l'anima è
eguale a Dio, e non altrimenti !
Ciò che vi ho detto è vero : per ciò vi dò la verità come
testimonianza e l'anima mia in pegno.
Possiamo noi essere questa fortezza, a cui salga Gesù, e in essa
egli sia accolto e rimanga in eterno, nel modo che ho spiegato;
e ce ne aiuti Dio. Amen!

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