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Cerchio Firenze 77

cerchiofirenze77.tumblr.com

Il Cerchio Firenze 77 è una figura ideale che condivide


l'insegnamento pervenuto attraverso la medianità di Roberto Setti
(Firenze 1930-1984) che è stato uno dei più completi medium
conosciuti.
http://www.cerchiofirenze77.org/

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cerchiofirenze77:

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Il progetto Cerchio Firenze 77
Estratto dalla rivista “Il giornale dei Misteri” Febbraio 1985, ecco un articolo di Fulvia
Cariglia, che parla del “progetto” del Cerchio Firenze 77. Un progetto che anche oggi
prosegue attraverso innumerevoli amici sparsi in Italia, e non solo.
Il «Cerchio Firenze 77» un anno dopo
Insegnamenti etici e religiosi di valore universale - Enorme materiale intrentasette anni di
sedute - La produzione degli apporti - Testimonianze insospettabili.
Non ricorderemo Roberto Setti, quest'anno, nel preciso giorno dell'anniversario della sua
morte, che, come tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua esistenza, anche
l'ultimo è avvenuto in maniera speciale e in un giorno diverso dagli altri. Con dolcezza,
senza avvertire il trauma del distacco, con la stessa serenità con cui aveva affrontato la
straordinarietà del suo essere, il medium del Cerchio Firenze 77 si è spento nel sonno la
mattina de1 29 febbraio 1984, data che non trova posto in un calendario «comune» come
quello in corso.
Parlare di ciò che Roberto ha lasciato dietro di sé è impresa che, se affrontata nel suo pieno
senso, coinvolgerebbe significati di così profondo contenuto da non permettere un'analisi
oggettiva, ma parlare di ciò che rimane, anche senza di lui, è l'utile confronto che pone il
problema della «rendita» dei doni
immensi che ogni giorno ci vengono offerti, lasciandoci l'arbitrio di individuarli.
Se chi ha conosciuto Roberto e l'esempio di vita che ha saputo dare, o chi ha appreso dalle
pagine le parole che i Maestri gli facevano dire, chi ha avuto la ventura di imbattersi in
qualche modo nel Cerchio Firenze 77, oggi considerasse tutto questo solo una singolare
esperienza di vita, si troverebbe senz'altro, prima o poi, a dover riflettere sulla propria
superficialità.
Ed è nell'ottica della continuità dell'opera iniziata dalle doti del suo medium che il Cerchio
non ha mai interrotto le riunioni settimanali fra i suoi più intimi componenti, né quelle
mensili aperte a tutti, frequentatissime anche ora, senza l'«esca» della possibilità di vedere il
«personaggio» in carne ed ossa.
Troppo povera la teoria sociologica per spiegare l'elemento portante di tanta assiduità,
inadeguato risulterebbe ogni tentativo di analogia con altri gruppi; a 37 anni di voci
«impossibili» fa seguito questo ultimo, silenzioso, vivo solo dell'ininterrotto e accresciuto
interesse di chi ha saputo dare giusta stima al valore di una eredità impalpabile, eppure
immensa, l'omaggio più consono a chi ha saputo donare rifiutando, in vita, ogni notorietà e
«corteggiamento».
Cercare nel silenzio Luciana Campani Setti, affezionatissima sorella maggiore del grande
medium, è stata ed è l'attiva e discreta eminenza grigia del Cerchio Firenze 77: ieri efficiente
organizzatrice dell'attività del Cerchio («i Maestri avevano esortato alla diffusione del
messaggio») e severa custode della personale riservatezza desiderata dal fratello, oggi punto
di riferimento di un ricordo che non muore, tangibile nel suo alto contenuto astratto, e
curatrice della conservazione della sua genuinità.
A colloquio con lei nel suo delizioso villino appena fuori Firenze, teatro di tante prodigiose
espressioni medianiche, a proposito dell'attuale e futuro compito suo e del Cerchio, ci dice:
«Non è che rileggere e meditare ciò che è stato detto dalle Guide, tanti e tanti messaggi che,
sopraffatti dalla loro grandezza e dal continuo susseguirsi, noi non abbiamo avuto il tempo
di ponderare come meritano. Con la morte fisica di Roberto si è inaridita una fonte che

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nessuno sarebbe in grado di rinvivire; a noi, che abbiamo avuto la fortuna e la gioia di
vedere e sentire in prima persona tanta ricchezza, resta il dovere di meditare ed elaborare il
materiale esistente».
(D) - Prossimi progetti più in particolare?
® - Ci proponiamo di riunire quanto prima tutta la parte filosofica delle comunicazioni. Gli
insegnamenti, tutti pubblicati nella loro successione e raggruppati a grandi linee settoriali, si
sono presentati a noi gradualmente, partendo dal semplice per giungere al complesso;
riteniamo che sia una cosa utile, ora che ne abbiamo una visione completa, operare una
selezione dei contenuti più prettamente filosofici.
(D) - In queste atipiche (a dir poco!) quasi quarantennali conversazioni «dal semplice al
complesso», che cosa ha sostenuto la vostra fede nella purezza dell'origine Spiritualista delle
comunicazioni?
® - Il fatto che, sia nella loro originarla semplicità sia nella difficoltà dei concetti espressi in
seguito, i principi di fondo degli insegnamenti, non sono stati mai modificati; sempre più
ampi via via nel tempo, ma mai in contrasto gli ultimi con i primi, mai in contraddizione fra
loro. Le voci delle Guide non si sono mai prestate ad accomodamenti o compromessi per
farsi accettare nei nostri momenti di umani dubbi o ribellioni e se, in un primissimo tempo
ci hanno un po’ blandito con comunicazioni di ordine personale, da quando ha avuto inizio
la trasmissione degli insegnamenti etici e religiosi, di interesse Universale, non c'è stato più
posto per altri messaggi più «profani». A volte penso proprio che l'improvviso silenzio ha
voluto significare che non c'era altro da dire, che tutto era stato detto e non abbastanza
compreso; per capire, capire pienamente, forse non ci basterà il resto della vita.
(D) - Per troppo tempo il sapiente Kempis, il severo Claudio, la mistica Teresa, e tutti gli
altri, vi sono stati così familiari perché non ne sentiate oggi un vuoto incolmabile. Vi sono di
consolazione le nuove provenienti da altri cerchi medianici?
® – Ho ricevuto notizie di altri messaggi «firmati» Kempis, Dali ecc., ma finora in nessuno
di essi ho riconosciuto lo stile dei nostri Maestri, che ci hanno insegnato, tra l'altro, il mezzo
di riconoscerli attraverso certe frasi-chiave. Inoltre ritengo che, se anche le nostre Guide si
presentassero e parlassero ad altri gruppi, l'avvenimento potrebbe assumere valore per noi
solo se si trattasse di una continuazione dell'insegnamento già impartitoci, e non di una
ripetizione.
Noi rispettiamo, quindi, ogni forma di esplicazione di una medianità spiritualista ma, poiché
non siamo in cerca di altro che già non ci sia stato donato, riconosciamo autentici solo quei
Kempis, Dali, Teresa, Lilli, Claudio ecc. ecc., che si sono manifestati attraverso il nostro
unico medium.
(D) - Non teme che una posizione di «chiusura» possa portare ad una limitazione della
propagazione della parola delle vostre Guide ?
® - No, perché non siamo preclusi ad alcuna collaborazione esterna che possa arricchire
l'interpretazione, finora elaborata, dell'enorme quantità di materiale raccolto in trentasette
anni di sedute; ma crediamo, anche per correttezza verso altri cerchi medianici, che non ci
spetti di «appropriarci» di lumi rivolti ad altri. Noi abbiamo già ricevuto abbastanza.
Come una favola
Nel suo libro «Oltre il silenzio» (Ed. Mediterranee) la Campani ben descrive i rapporti
esistenti all'interno del Cerchio ed il ruolo, scevro da ogni protagonismo divistico, che
Roberto vi occupava.

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Come doveva essere in questo contesto squisitamente spiritualista, nell'opera di
divulgazione del Cerchio la figura personale del medium mai è stata posta in alcun
particolare rilievo; e ora, nello scrivere di lui, ci par quasi di profanarne la riservatezza, la
modestia del suo essere, l'umiltà del suo porsi agli altri.
Ma è impossibile ricordare Roberto Setti - medium senza trattare di quella incredibile
fenomenologia paranormale che è la produzione di apporti, manifestazione così misteriosa e
così concreta, tanto eclatante quanto rara che, per il Cerchio, era diventata quasi consueta;
più di duecento, infatti, sono
stati gli oggetti «apportati» dalle mani di Roberto Setti durante le sedute, della più svariata
natura e, spesso, di una divina bellezza. «Il mio giudizio sull'apporto come fenomeno -
spiega la signora Campani Setti - è dato dall'esperienza di casi diversi fra loro e da quanto,
in proposito, ci hanno detto le Guide stesse. Si tratterebbe spesso di “oggetti senza padrone”,
proprietà di nessuno smaterializzati in un luogo per essere rimaterializzati in un altro, ma
anche, talvolta, di cose create all'occorrenza, dal nulla, appositamente e a volontà dell’ entità
superiore» .
A proposito di quest'ultima alternativa, senz'altro la più discussa fra le due, si cita
testualmente dalla relazione del dottor Christian Paciscopi di Firenze: «(…) Lilli… chiede
concentrazione ed inizia la materializzazione, lenta, con ectoplasma luminosissimo intorno
alle mani e alle dita, e con vapori intensi e fluttuanti in modo veramente suggestivo.
Si ode un leggero crepitio metallico nelle mani dello strumento, Bracciale apportato ad
Anna PasciscopiBracciale apportato ad Anna Pasciscopicome se manipolasse una catenella
(…). Poi si intravede come un filo nero lungo dieci, venti centimetri, che viene come tirato
in tutte le direzioni dalle mani dello strumento. Allora la Guida si rivolge ad Anna (la
signora Paciscopi n.d.r.) dicendole di allungare il braccio, ed inizia ad avvolgerle intorno al
polso sinistro una catenella, con qualche difficoltà, per due giri, non raggiungendo la
lunghezza desiderata; quindi esclama: “Ora cerco di allungarla un po’, ecco ora deve andare
bene!”, e completa l'avvolgimento con la chiusura del fermaglio ed aggiunge: “Ecco, Anna,
spero che ti piacerà”. (…) La luminosità del bracciale al polso di Anna continua per tutta la
serata con emanazione di vapori fluttuanti».
Se non ci fossero mille testimonianze, come questa, di insospettabile genuinità, se non ci
fossero le registrazioni, gli apporti e le fotografie scattate durante la loro «creazione», se non
avessimo conosciuto Roberto come la persona che era e che non poteva mistificare, se non
ci dessimo dei forti pizzicotti, anche oggi, ripensandoci, sembrerebbe di ascoltare, leggere,
aver vissuto una favola. Non può che somigliare ad una favola il ricordo di una pioggia di
petali profumati, di una cascata di foglie d'ulivo in mezzo al salotto; e a cos'è simile, se non
ad una favola, il pensiero di aver parlato con animi tanto più alti, di aver udito voci che
hanno avuto una risposta per tutto, profonde parole mai sentite, dolci e severe, umanamente
profferite e divinamente concepite? Come non può che somigliare ad una favola la storia di
un uomo nato protagonista, che diserta anche un posto fra le quinte per stare in mezzo al
pubblico, uno come tanti, nella convinzione di essere il mero strumento di una volontà più
grande cui, come tutti, doveva prestare attenzione.
È riuscito a Roberto di «non farsi bello con le penne degli altri» - come diceva lui -, non
riesce a noi non inorgoglirci di averlo incontrato nella favola vera della sua vita terrena.
Fulvia Cariglia

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Nella foto: Bracciale apportato ad Anna Pasciscopi.

Rebloggato da cerchiofirenze77

Come nasce l’io


Due brani di Claudio, tratti dal libro “Conosci te stesso” - Edizioni Mediterranee.

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“Come nasce l'io

L'io nasce dal senso di separatività che l'individuo prova nei confronti del mondo che lo
circonda.
Questo sentirsi una entità distinta dal resto non è acquisito o dovuto all'educazione, ma
esiste ben spiccato, nell'uomo, prima che sia assoggettato alle consuetudini sociali.
Che l'individuo sia unità è un fatto indiscutibile, che quindi si senta individuo separato,
distinto, non può essere dovuto ad un errore.
Allora, voi direte?
Esiste una differenza tra senso di separatività e senso di individualità. Quest'ultimo è
suggerito dalla natura dell'individuo, in quanto solo avendo consapevolezza della propria
individualità si può avere coscienza dei propri doveri; solo sentendosi una unità
integrante nel tutto si può avere coscienza dei propri compiti. Siete individui: e come può
sorgere la vostra coscienza se voi non comprendete? L'individuo è solo di fronte alla
verità.

La coscienza

Che cosa è la coscienza? Quale delle umane attività, non solo azioni ma anche moti
interiori, può essere sicuramente definita come proveniente dalla coscienza?
Tutto quello che spinge l'individuo contro il suo egoistico interesse, in qualunque forma
espansionistica dell'io, in senso sia positivo che negativo, e che quindi non possa essere
imputato a paura, tutto questo proviene dalla coscienza.
Non è possibile fare degli esempi poiché solo il singolo, da se stesso, conoscendosi, può
comprendere - dall'esame di una qualunque azione - se essa nasce dalla sua coscienza o
dal suo egoismo.”

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Da queste spiegazioni e da altre ancora, mi è sembrato di capire che la creazione dell'io da
parte della coscienza, non è in misura quantitativa, ma qualitativa: più la coscienza è
ampia, più si rappresenterà con un io raffinato.
Se non c'è coscienza sufficiente l'io sarà predominante nel manifestare la sua realtà,
proprio perchè la coscienza non è in grado di manifestarsi diversamente. Più la coscienza
si amplia, più l'io perderà le sue caratteristiche di egocentrismo, fino a sfumare nel sentire
di identificazione.
Dunque la coscienza crea l'io perchè questo è il massimo grado di espressione di vita che
la sua ampiezza le può permettere.
Ricordo inoltre le parole di Kempis: “Noi non conteniamo un sentire, ma un sentire
esprime noi”.
(U. R.)

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Il valore del denaro e il
dovere del’uomo
E’ indubbio che ogni
desiderio evidenzia una
nostra necessità.
Il denaro, in particolare, è
un mezzo di scambio,
necessario nella nostra
civiltà. Non si può certo
pensare che sia negativo il
desiderarlo.
Piuttosto si dovrebbe
riflettere sull'uso che se ne
può fare, sul valore che gli si
attribuisce.
Personalmente, non gli
darei molta importanza
come mezzo per aiutare gli
altri, rispetto a una nostra
presenza viva e
partecipativa ai
piccoli/grandi bisogni di
coloro che ci circondano.
A questo proposito riporto
una comunicazione di
Kempis sul valore del
denaro e sul proprio dovere,
estratta dal libro: “La Voce
dall'ignoto”.

“…. Sento qualcuno


esclamare: “Beh, Kempis,
piantala! In fondo, col
denaro si può anche
aiutare”.
Certo. Io non ce l'ho col
denaro che, come è stato
detto giustamente, può
essere un ottimo servitore o
un cattivo padrone. Faccio, e
vi invito a fare, delle semplici
considerazioni sulla
psicologia dell'uomo il quale
molto spesso dimentica,
nella sua avidità, che le cose
sono fatte per l'uomo, e non
viceversa, riprendendo
invece la memoria per porsi
al di sopra di tutto quando si
tratta di se stesso.
Il denaro è un mezzo, come
ho detto, e beato chi ne fa
buon uso, magari aiutando;

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ma più beato ancora chi è
capace di aiutare al di là
delle possibilità offerte dal
denaro. E questo non
significa parlare di filosofia a
chi ti chiede del cibo.
Allora, che cosa significa
aiutare? Credo che la
definizione, più precisa e più
generale sia: alleviare altri
da preoccupazioni, sollevarli
da stati di necessità da cui
non riescono ad uscire.
L'aiuto è appoggio,
assistenza, collaborazione,
sovvenzione, confronto,
difesa, protezione, carità.
Tutti vorrebbero essere
aiutati, e tutti dovremmo
aiutare, se non vi fosse
quell'unica condizione che il
concetto di aiutare gli altri
contiene: la condizione che
chi chiede aiuto sia in uno
stato di necessità da cui, da
solo, non riesca ad uscire, e
che non rifiuti l'aiuto.
Quante altre condizioni,
invece, si pongono per
aiutare!
Son tutti pretesti per non
fare ciò che non si vuole.
Aiutare e fare del bene sono
confusi e identificati, ma per
chiarezza è necessaria una
distinzione. Infatti, se
aiutare significa sollevare gli
altri da stati di necessità da
cui non riescono ad uscire,
ciò può essere identificato
solo col fare del bene in una
determinata concezione di
bene. Ma se per bene si
intende comprendere, allora,
al limite, interrompendo uno
stato di necessità che,
vissuto, portasse alla
comprensione, si
interromperebbe la
comprensione e, quindi, si
farebbe un male.

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D'altra parte, che cosa può
essere “bene”? Felicità e
piacere?, conoscenza del
vero? utilità individuale o
sociale? Credo che non serva
spendere molte parole per
dimostrare che il bene
dell'individuo non può
essere che il raggiungimento
del fine per cui esiste, cioè il
raggiungimento della
coscienza individuale.
Quindi, sì, soddisfare le
necessità vitali di chi, da
solo, non è ne capace, ma
soprattutto renderlo in
grado di provvedere da sé;
tamponare l'effetto, sì, ma
rimuovere la causa. Questo è
il vero bene e, perciò, il vero
aiuto.
Ed ecco il solito polemico
che mi accusa l'essermela
cavata con un gioco di
parole, tirando in ballo la
coscienza individuale, come
se tutti sapessero che cosa
significa.
Eh sì, hai ragione, amico!
Che cosa sia l'uomo
cosciente non è facile a
sapere, anche perché non ci
sono molti esempi a cui
rifarsi.
Uomo cosciente è colui che,
quanto meno, fa il suo
dovere, e che cosa sia il
proprio dovere non è difficile
da individuare. Comunque,
se tu non lo sapessi, ti darò
io una carta dei doveri
dell'uomo, ricordandoti che
il dovere riguarda la
condotta ed è, quindi, un
rapporto fra te e gli altri, una
regola del mondo della
separatività che l'amore
muterà da obbligo talvolta
faticoso a felice, desiderata,
spontanea dedizione; ma
soprattutto ricordandoti che
attenerti a questa regola è il
minimo che devi fare.

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Il tuo primo dovere è
mantenere gli impegni che ti
sei assunto di genitore, di
coniuge, di figlio, di amico.
E’ fare nel miglior modo
possibile il tuo lavoro.
E ciò basterebbe; tuttavia, se
questo ti sembrasse poco,
aggiungo: non agire come se
il tuo dovere fosse quello di
seguire i peggiori. Tu non
approvi la loro condotta, sai
che non è giusto ciò che
fanno, perciò non credere di
perderci se non ti approfitti
come loro. In verità ci
perderesti molto se ti
mettessi a loro pari.
Il tuo dovere non è neppure
quello di scoprire e
propagare i difetti dei tuoi
simili per apparire e sentirti
migliore di loro; bensì quello
di riconoscere i tuoi e
sentirti superiore agli altri
solo quando tu raccogliessi
in te tutte le qualità e le
abilità che la natura raziona
fra l'intero genere umano.
Il tuo dovere è quello
d'essere sempre efficiente,
anche quando non sei
controllato. Le rivoluzioni
degli umili schiavizzati
falliscono poi nella loro
inattività.
Tu non sei solo e
indipendente. Se anche tu
fossi l'unico uomo al mondo,
e in grado di soddisfare tutte
le tue necessità vitali,
dipenderesti sempre da ciò
che ti fa sopravvivere. Tanto
più tu, che fai parte della
società umana, sei legato per
molti aspetti ai tuoi simili;
dalle relazioni che hai con
loro trai sempre qualcosa,
anche quando ti sembra di
dare solamente. Il tuo
dovere è, quindi, non

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trattare i tuoi simili come
oggetti, o peggio, ma trattarli
come persone.
Il tuo dovere è quello di
capire che le tue necessità
non sono più importanti e
più prementi di quelle simili
che hanno gli altri, e di
essere rispettoso dei
problemi altrui quanto lo sei
dei tuoi.
E’ tuo dovere chiedere agli
altri solo quanto tu stesso sei
in grado di sopportare, e di
non essere loro di peso, o
perlomeno di esserlo solo
quanto gli altri lo sono per
te.
E’ doveroso per te
partecipare alla vita sociale,
ma non per quello che puoi
ottenere a vantaggio dalla
tua persona, bensì perché tu
sei un elemento componente
della società nella quale vivi
ed è tuo dovere rendere
efficienti, migliorare le sue
istituzioni fatte per rendere
migliore la vita di tutti. Sii
come l'organo di un corpo
che con la sua vita
contribuisce a mantenere
vivente l'intero organismo,
perciò la tua esistenza deve
abbellire la società di cui fai
parte.
Se le tue condizioni
obiettivamente ti
impediscono di collaborare
sul piano concreto, allora il
tuo dovere è di essere il
conforto dei tuoi simili, e
non la loro disperazione;
accettando serenamente, con
la forza del tuo spirito, il tuo
stato; riuscendo tu,
bisognoso, a donare.
Se quanto ti dico ti sembra
ovvio e scontato, lo sai.
E se lo sai, perché non lo fai?
Pace a voi.”

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A chi ha perso una persona cara
Rivolgo queste mie parole a coloro che si avvicinano a noi
addolorati dalla cosiddetta perdita di una persona a loro cara,
sperando di mettersi in comunicazione con lei per lenire il loro
dolore col trovare la prova della sua sopravvivenza.
Quello che io spero di riuscire a darvi non è tanto il sollievo alla
vostra sofferenza quanto farvi comprendere che quello che vi è
accaduto deve essere il fermento per la vostra trasformazione,
che deve condurvi a vedere la vita da un nuovo punto di vista.
Uno degli interessi che spingono l'uomo ad accostarsi e
ricercare il fenomeno medianico è quello di trovare una
conferma della sopravvivenza dell'essere alla morte del corpo.
Tale conferma può essere ricercata, fra l'altro, per fugare la
propria paura di cessare di esistere, oppure per lenire il dolore
che la morte di persone amate ha determinato.
In più occasioni ci siamo espressi sulla validità del fenomeno
medianico, che si può chiamare spiritico solo di rado, quando
raggiunge il contatto con un essere disincarnato. Infatti, anche
nei casi in cui non c'è frode cosciente, il che è abbastanza raro,
la comunicazione può avere origine nella psiche dei presenti,
che dirige le facoltà paranormali del soggetto medianico.
La ragione della frode involontaria sovente risiede nel desiderio
di mettersi in contatto con chi non vive più fisicamente, oppure
di avere la prova della sopravvivenza, cioè nel desiderio che la
realtà sia quale si vorrebbe che fosse.
Tuttavia, anche la prova che il raro fenomeno realmente
spiritico costituisce ha, quasi sempre, valore soggettivo, cioè
non è assolutamente probatoria per chi non ha vissuto di
persona l'esperienza; perciò non dà alla scienza umana,
costituita da certezze oggettive, un arricchimento, un punto
fermo per la conquista di ulteriori mete.
D'altra parte, siccome le azioni degli uomini non traggono
origine solo e sempre dalle certezze oggettive, tutto questo non
deve impedire all'uomo di avere una sua opinione in merito e,
conseguentemente, un suo comportamento.
Il fatto che noi rappresentiamo costituisce una proposta di
opinione e, conseguentemente, una proposta di vita, nella quale
l'uomo è consapevole di far parte di una collettività in cui i più
dotati che detengono un qualsiasi potere non sopraffanno i
deboli, ma colmano le loro deficienze; in cui si invocano
maggiori diritti solo quando si adempiono nel miglior modo
tutti i propri doveri; in cui gli errori degli altri non diventano
giustificazione dei propri ed invito ad errare, ma incentivo a
perseguire un mondo migliore cominciando a migliorare se
stessi.
Non è, questa, una comoda concezione della vita; tutt'altro;
però è una concezione che ha il pregio di rispecchiare l'ordine
naturale delle cose; che non chiude la realtà in schemi fissi
sacrificando l'individuo ma, via via, l'adatta alle sue reali
esigenze evolutive.
Chi si rivolge a noi, più che la prova della sopravvivenza trova
una simile concezione della vita, che è molto di più della
certezza che l'essere non cessa di esistere. Chi, invece, cercasse

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solo tale conferma, o la comunicazione con qualche caro
trapassato, perderebbe il suo tempo.
Anzi, vi dirò di più: esorto a diffidare dei medium che si
dichiarano capaci di evocare a piacimento i disincarnati.
Acciocché il contatto avvenga non basta che vi sia il tramite: la
comunicazione deve essere prevista dall'ordine generale
secondo cui si svolgono le cose.
Chi conosce la storia dello spiritismo sa che vi sono stati
medium che hanno servito da tramite per le comunicazioni di
molte entità e non sono essi riusciti a mettersi in contatto con
una che, più delle altre, amavano e desideravano sentire.
Noi siamo una delusione per chi avesse tali aspettative.
Tuttavia, non possiamo ignorare la dolorosa aspirazione di chi
soffre per il trapasso di una persona amata. Con tutto ciò, più
che permettere il contatto con essa, invitiamo chi soffre di
questo a riflettere sul suo dolore. Naturalmente, parlo nel
presupposto che chi mi ascolta sia una persona ragionevole
perché, altrimenti, a nulla servirebbe il mio dire.
Comincerò il mio discorso invitando a riflettere sul fatto che la
vita dell'uomo deve avere uno scopo, che non può essere quello
di soddisfare tutti i desideri umani e di pensare o preoccuparsi
solo per se stessi.
La vita sociale e di relazione in cui l'uomo viene a trovarsi, gli
avvenimenti stessi che gli accadono, il suo stesso modo di
reagire agli stimoli, lo inducono a dedicare uno spazio più o
meno grande agli altri. E gli altri sono - almeno in principio
dell'evoluzione della coscienza - coloro la cui vita in qualche
modo si riflette sulla propria, in qualche maniera la condiziona.
E un dedicarsi egoistico, quindi, allorché il legame non sia
stabilito dall'affetto; ma anche quando l'interesse all'altro è
originato dall'amore, non sempre è spoglio di egoismo; anzi,
spesso si tratta di amore possessivo.
Il vero amore desidera il bene di colui che si ama anche se ciò si
concretizza in una situazione in cui l'amato non si può più avere
vicino come prima. Credo che nessuna persona ragionevole
possa contraddire tale affermazione.
La vita presenta degli avvenimenti che non sono conseguenza
della volontà di alcuno ed altri che, pur essendo conseguenza
del comportamento di qualcuno, coinvolgono certi che non vi
parteciperebbero se non fosse il caso che li ha messi a tiro.
Di fronte a tali eventi si ripropone il quesito che indubbiamente
ogni uomo si è posto nel corso della sua vita, e cioè se l'esistenza
di tutto abbia un suo significato, oppure se tutto sia un non-
senso.
Quelli che non accettano il significato trascendente della vita si
giustificano dicendo che non è dimostrato questo significato
trascendente della vita; tuttavia, quando la loro esistenza li
mette di fronte a dover accettare o no qualcosa di
indimostrabile, suppliscono alla mancanza di certezza con la
plausibilità offerta da un ragionamento logico. E non si può
certo affermare che logico sia pensare che all'origine di tutto
quanto esiste vi sia una fortuita circostanza che dal nulla - in
senso organico - non solo avrebbe creato la materia e la vita, ma

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avrebbe soprattutto composto quel codice genetico secondo cui
tutto si sviluppa ordinatamente. Cioè, è assurdo pensare che dal
caos il caso abbia creato, o quanto meno avviato, il procedere
ordinato, ossia l'ordine e il fine.
Se, invece, si volesse supplire a tale mancanza di logica
pensando che tutto quanto esiste, esiste da sempre - cioè senza
origine -, allora ne conseguirebbe che tutto sarebbe eterno, al di
là della caducità delle singole forme, e quindi l'esistere sarebbe
eterno, al di là della caducità delle singole esistenze: ossia si
affermerebbe, implicitamente, ciò che si vuol negare.
Perciò, il negatore del senso trascendente della vita in nessun
caso fonda la sua opinione sulla logica, come fa invece
tranquillamente quando nella vita deve prendere partito di una
cosa inaccertabile oggettivamente.
La logica conforta, invece, l'opinione di chi crede che l'esistenza
del Tutto abbia un significato trascendente. Non è certo il caso
di addentrarci in dispute religiose o filosofiche, che nascono da
una simile convinzione; tuttavia credo che si possano accettare,
senza scomodare troppo la fede, alcune plausibili affermazioni
come, per esempio, che se l'esistenza del cosmo ubbidisce a
precise leggi, cioè ha un ordine, lo stesso ordine non può
mancare nella vita dell'uomo, elemento di tale cosmo; e che al
di là dell'incomprensibile, per noi, significato degli avvenimenti
che ci capitano, a cui prima facevo cenno, vi sia un preciso
significato, una profonda ragione.
In altre parole: o Dio non esiste, ma è illogico; oppure, se esiste,
non può essere dispettoso e crudele. Cosicché quello che si
reputa un castigo, una cattiveria della vita, al di là del suo
sapore immediato deve nascondere un fine degno della Divinità,
cioè un fine di amore e di vero bene per chi lo subisce. Tutto ciò
è quanto suggerisce la logica e il buon senso.
Allora, voi che siete schiantati dal dolore per la perdita di una
persona amata, se siete creature ragionevoli, se veramente
amate chi è trapassato, dovete arginare il vostro dolore nel
pensiero che la sofferenza che state vivendo ha un senso per la
vostra vita, e che la morte di chi amate è un evento necessario al
suo vero bene.
Se veramente amate chi è trapassato non potete essere tanto
egoisti da pensare che sarebbe stato meglio che il suo bene non
si fosse compiuto.
Ripeto: tutto questo è quanto una persona di buon senso può
accettare senza scomodare la fede, semplicemente seguendo il
raziocinio, strumento che appunto è dato all'uomo per fargli
capire il senso della realtà nella quale vive.
Se poi, per bontà vostra, credete che la voce che vi parla giunga
da quella dimensione di cui prende coscienza l'essere dopo la
morte del suo corpo fisico, e se ancora credete che questa voce
conosca, se non tutto, almeno parte della Verità, perché non
basta essere trapassati per essere nel Vero; allora vi dico,
sapendo che mi credete, che la separazione dai vostri cari
trapassati è solo per voi, che rimanete nel mondo fisico, perché
loro vi sentono e vi vedono in forza del legame amoroso che vi
unisce.

18/77
Non pensateli quindi con dolore, perché li rattristereste;
ricordateli nei momenti in cui erano sereni, nella certezza che li
ritroverete, perché il legame creato dall'amore è un legame che
non si spezza mai e che, nelle future esistenze, conduce chi si
ama a ritrovarsi in amore.
Come l'esistenza di chi è trapassato continua, così la vostra deve
proseguire a beneficio di coloro che vi sono vicini fisicamente.
Se vi sembra che il destino sia stato crudele con voi, avete un
motivo di più per non essere crudeli con gli altri facendo pesare
su loro il vostro dolore.
Ora mi fo’ portavoce di un ideale messaggio che tutti i vostri
amati, che hanno lasciato il piano fisico, potrebbero rivolgervi.
Accoglietelo nella convinzione che corrisponde al loro sentire:
« Amore mio, non potermi vedere più fisicamente ti ha lasciato
in un dolore che ti fa rifiutare la vita.
Sappi che questa è l'unica cosa che può farmi soffrire, e perciò
promettimi che troverai la forza necessaria per reagire e
continuare a vivere come quando mi vedevi, mi toccavi, mi
interrogavi, ed io ti rispondevo.
Sappi che sono egualmente vicino a te; anzi, più di prima; e che
l'amore che ci unisce ci lega indissolubilmente e ti condurrà a
rivedermi, riabbracciarmi, riavermi.
Le nostre strade sono solo momentaneamente ed
apparentemente divise, ma al di là del velo che ti separa da me,
e che dà corpo al romanzo della vita, noi siamo una cosa sola.
Ora tu non puoi più dedicarti a me fisicamente, e se rimpiangi
di non averlo fatto in passato più di quanto potevi, promettimi
che da ora in poi ti dedicherai di più agli altri a cui sei vicino, ed
offrimi quel di più che farai.
Un giorno, quando tutto questo anche per te sarà compiuto e
trascorso, volgendoti indietro nel ricordo tutto ti sembrerà un
brevissimo sogno, quasi non vissuto, e solamente la pienezza
data dalla consapevolezza di aver pagato un debito, la gioia
della comprensione del perché è potuto accadere, la felicità di
ritrovarsi quale frutto del tuo dolore, saranno ciò che ne rimane.
Ti amo.
Per sempre tuo »

DALI
Qui c'è il link di questa comunicazione registrata in voce:
http://www.cerchiofirenze77.org/Voci/A%20chi%20ha%20pe
rso%20una%20persona%20cara.mp3

Siamo esseri eterni


Rifletto che il “non essere” non può esistere.
Ne deriva che se io sento d'essere non potrò mai cessare di farlo.
Eventualmente vi sono limiti in questa espressione che, ad un certo livello, sembra che si
strutturi in un io come unica sensazione.
Però a pensarci bene, non sono le limitazioni che creano l’io; casomai lo delimitano.
Infatti le nostre limitazioni sono una modalità di percezione, un modo di interpretare la

19/77
Realtà; sono ciò che ci permette di percepire il mondo.
L’io è il risultato di una coscienza limitata; quindi è la coscienza che crea l’io con tutte le
limitazioni che le sono proprie.
Esse sono reali come sistema percettivo ed esprimono una sensazione dell’essere basato
sull’io e sulla dualità.
La conclusione, confermata anche dalle Guide, è che l'io non esiste, ma può esistere un
vuoto di spazio senza ciò che lo delimita?

(U.R.)

20/77
21/77
Nel primo libro “Dai Mondi Invisibili - Incontri e Colloqui” esiste una sezione che è intitolata
“Insegnamento morale”.
C'è da chiedersi se, in fondo, sia corretto.
Dico questo perché ritengo che più che insegnarci una nuova morale, ci è stato indicato come far
emergere quei sentimenti interiori, i quali sono i soli a poterci indicare i giusti comportamenti che
dobbiamo tenere nei confronti degli altri e della vita in generale.
Infatti abbiamo imparato che la morale comune (quella tanto esaltata) è solo una convenzione,
derivata da una necessità sociale, qualcosa da rispettare, ma non da adottare.
Ecco che diventa importante seguire “il cuore” più che la mente. Cioè sentire le necessità del nostro
intimo, riconoscerle come quelle che disegnano la nostra realtà, che modellano e alimentano la
nostra vitalità: conoscere se stessi e, ancora di più, essere se stessi.
Solo così potrà emergere la vera morale che non si scontrerà con i dettati di una mente confusa,
condizionata e isolata da quell'unità che solo “il cuore” ci può indicare.
Dico spesso (perché ne sono convinto) che non “bisogna” migliorare se stessi. Infatti non è
un'imposizione, ma una conseguenza che deriva dall'aver imparato ad “essere” se stessi. E’ questo
che ci hanno insegnato, e che ci risulta così difficile da comprendere.
Eppure sarebbe così semplice, naturale, addirittura banale, se non fosse che lo condizioniamo a ciò
che vorremmo essere. Sarebbe la pacificazione completa di tutte le nostre tensioni e il
raggiungimento di quell'equilibrio che, invece, cerchiamo in un tempo e in un modo che non ci
appartiene.
Forse il segreto è quello di agire con la mente ascoltando il cuore. Cioè quel riflesso d'amore che
parte e si amplia in se stessi quando lo facciamo maturare nell'accettazione di ciò che siamo, per poi
espandersi e riconoscersi nell'altro.
E’ questa l'unità straordinaria di cui parlano tutte le filosofie, e questo insegnamento ci indica ad
ogni passo. E’ questo il dono che ci hanno fatto.
E’ solo questa la morale che si deve comprendere; il resto è un contorno che ognuno di noi integrerà
nel compreso, per quelle che sono le sue necessità intellettuali e anche “di cuore”.
(U.R.)
(Immagine di Kate Rodrigues)

Ognuno di noi
cartofolo:

Ognuno di noi è la manifestazione di qualcosa di misterioso che ha dato vita a un “sentirsi di


esistere”, ha reso cosciente la materia inerte, ha dato luogo ad un essere che crea la realtà,
forma il mondo, progredisce nel sentirlo e lo trascende con dei sentimenti di amore i quali
espandono il suo spirito oltre ogni immaginazione.
Il nucleo di questo amore è in noi stessi per noi stessi, e deve centrare questo miracolo per
trovare il suo mistero.
Non possiamo tradire il senso di questa storia svilendone la fonte che la esprime.
Siamo preziosi per quelli che sentiamo d'essere e non per come ci vogliono gli altri.
Dobbiamo volerci più bene.

Anonimo asked:

ciao cartofolo, che tu sappia esiste del materiale in inglese sul Cerchio Firenze 77?

22/77
cartofolo answered:

Purtroppo abbiamo difficoltà per la diffusione all'estero.


La storia è questa.
Considera che l'inizio della pubblicazione dei libri risale al 1977.
La vendita ebbe un boom che lo stesso editore non si aspettava, tanto che, nel tempo ha
dovuto fare diverse ristampe, perché non aveva preventivato un così alto numero di
richieste.
Con i primi incassi, potemmo “organizzare” degli incontri mensili in locali adeguati al
pubblico numeroso e permetterci di non chiedere nessun tipo di pagamento.
Abbiamo potuto anche pubblicizzare questi incontri sui giornali più famosi, produrre una
diffusione cartacea di inviti e avvisi che venivano regolarmente spediti a tutti gli amici
sparsi in Italia e all'estero, di cui avevamo gli indirizzi.
Si sono stampati, in privato, estratti di comunicazioni e varie riflessioni che altrettanto
gratuitamente venivano messe a disposizione di chi era interessato.

Allora non si pensava affatto all'eventualità di una diffusione all'estero, anche perché
avevamo delegato le Edizioni Mediterranee, a cui erano state affidate le pubblicazioni con
tutti i diritti derivati; e, quindi, loro stessi, eventualmente, avrebbe gestito la cosa.

Gli anni trascorrevano. La vendita dei libri naturalmente diminuiva come gli incassi dei
diritti di autore.
Le Edizioni Mediterranee stentavano ad azzardare altre ristampe, se non sotto la
pressione della domanda delle varie librerie che continuavano ad avere richieste dei libri
anche se in misura molto inferiore.
Anche i nostri incontri continuavano, cogliendo il denaro dalle riserve e riducendo le
spese con l'eliminazione degli avvisi sui giornali e le spese postali.

Così arriviamo ai giorni nostri con i diritti di copyright scaduti e rinnovati di due anni in
due anni.
Alla nostra richiesta di diffusione all'estero, le Edizioni Mediterranee si sono mostrate
reticenti, tanto che ci hanno lasciati liberi di tali pubblicazioni.
Abbiamo anche pensato di riscattare i diritti scaduti per poter gestire in proprio le
pubblicazioni anche in Italia.
La cosa ci è apparsa azzardata, sia per il costo, sia per i canali distributivi che ci
mancavano completamente e che solo una grande casa editrice si può permettere.
Quindi, per ora, abbiamo preferito lasciare la diffusione minima ma capillare alle Edizioni
Mediterranee e concentrarci sulle eventuali traduzioni per una pubblicazione all'estero.

Qui è sorto il problema del traduttore.


Infatti si trattava di tradurre concetti di non facile comprensione, parole e modi di dire
che, spesso realizzavano un pensiero complesso per renderlo semplice.

23/77
Indubbiamente ci voleva un traduttore di madre lingua che avesse approfondito
compiutamente questo insegnamento e per di più lo facesse gratis. Perchè a questo punto,
a distanza di più di trenta anni dalla prima pubblicazione, non si può pretendere che gli
incassi dei diritti di autore possano superare quel minimo che ci consente ancora di poter
pagare le sale delle riunioni, e anche a prezzo di favore, ma non altro.

L'unica persona che abbiamo trovato è stata un'amica spagnola che, avendo parentele in
Italia, e seguendoci da molto tempo, ha potuto fare un ottimo lavoro sul libro “Dai mondi
invisibili” che, se va bene, potrebbe essere pubblicato da un editore spagnolo.

Altro non abbiamo potuto, e restiamo fermi nella decisione di gestire i nostri incontri
(conferenze o altro) senza nessuna richiesta di pagamento e senza che nessuno debba
avere un guadagno personale.
Sicuramente questo ci limita nelle iniziative, ma ci dà quella libertà di azione e di intenti
che sarebbe negata diversamente.
Comunque la questione è in evoluzione, anche con un pensierino agli ebook (libri
elettronici)…vedremo.

24/77
Fratello Orientale, nel libro “Oltre L'Illusione”
Nessuno è immune da difetti

E’ ormai risaputo che ognuno, con la stessa facilità con cui giudica gli altri, scusa se stesso. Non sia così
anche per te, fratello caro! Sii consapevole che i difetti che tu rimarchi nei tuoi simili, spesso ti
appartengono.
Considera come tu esiga che i tuoi simili siano giudicati severamente e come invece tu non sopporti
neppure un'osservazione.
Considera come tu pretenda che i tuoi simili seguano scrupolosamente ogni regolamento e come
invece tu non sopporti nessun nuovo obbligo.
Considera come tu vorresti che i tuoi simili cambiassero a tuo piacimento. Così, ti adoperi perché essi
mutino il loro modo di pensare e di vivere, e non ti accorgi che neppure tu stesso riesci ad essere quale
vorresti. Come puoi pretendere che lo siano i tuoi fratelli?
Considera come tu ricerchi nei tuoi fratelli la perfezione e quanto poco, invece, tu faccia per
rappresentare quell'ideale che ricerchi nei tuoi simili.
Ricorda: nessuno è immune da difetti; con la stessa misura con cui tu giudichi, sarai giudicato.
Nessuno basta a se stesso, perciò, dovendo dipendere gli uni dagli altri, è necessario che vi aiutiate, vi
sopportiate e vi sorreggiate a vicenda.
Molto raramente tu fai queste considerazioni perché tu vivi solo per te stesso e la tua attenzione è
interamente rivolta al mondo esterno.
Quando non ti senti soddisfatto, anziché ricercare la causa nell'intimo tuo, ti lasci trasportare dal
pensiero che la felicità sia in qualche luogo della Terra. V'è forse in qualche posto qualcosa che duri
perennemente, che non sia illusione che trascorre in se medesima?
Se anche l'intero cosmo fosse dispiegato innanzi ai tuoi occhi, tu non potresti vedere che una mera
immagine. Considera come la realtà del tuo essere interiore ti sia sconosciuta e quanto, invece, sia
importante per te che il tuo intimo non ti serbi segreti.
Il valore di ciò che tu fai sta nella tua intenzione; perciò, se anche tu donassi tutti i tuoi beni, o
spendessi l'intera tua esistenza ad aiutare i tuoi fratelli o, asceta, ti ritirassi dal mondo, tu non avresti
ancora capito la vita, se tu non fossi morto a te stesso.
Om Mani Padme Om

L’inganno delle religioni

25/77
Estratto dal libro “Conosci te stesso” , inserisco questo messaggio, estremamente “duro”,
che però diventa illuminante se inserito nel contesto di tutto l'insegnamento.
Infatti non lo ritengo una condanna delle religioni, ma una necessaria presa di
consapevolezza dei movimenti dell'io, il quale si appoggia a queste, non tanto in funzione
di una verità cercata, ma di una speranza di sopravvivenza che viene promessa.
Accettare questo è molto difficile; ma se ci si riesce, ci si pone a un nuovo livello di ricerca,
con nuovi interrogativi, che diversamente, non si sarebbero mai potuti formulare.
E’ una nuova maturità, che non ci fa diventare più bravi o più buoni, ma sicuramente più
maturi per accogliere nuove proposte di verità.
Così si impara.

L'inganno delle religioni

“Le religioni e il misticismo in genere si fondano su tre postulati: l'esistenza di un ente


supremo, la sopravvivenza dell'anima alla morte del corpo, l'influenza della condotta
tenuta nella vita umana sulla vita dopo la morte.

Senza pudori e preconcetti, guardiamo in faccia la realtà.

Dio è una invenzione dell'uomo per poter vantare una natura divina; è un illusorio
paravento creato dall'io per mascherare la propria ignoranza e l'incapacità di spiegare la
vita.

Che cos'è la sopravvivenza? Una menzogna dell'io, un rimedio che l'io inventa per fugare
l'incubo della morte. Chi può fare a meno di credere o perlomeno sperare di sopravvivere,
o non ama la vita, o è un gran coraggioso, o vive nel presente.

Guardiamo in faccia la realtà. Quanti credono solo perché la fede è di conforto alle
delusioni della vita! Quando un uomo soffre, la fede in una vita di felicità e di pienezza
oltre la morte è un consolante rifugio.

La sofferenza, anziché denunciare gli errori commessi, è vista come un mezzo di


elevazione con il quale Iddio mostra la sua predilezione per certe creature. Quando l'uomo
soffre, si volge sempre a qualcuno che valorizzi la sua sofferenza. Dirgli: “Tu hai errato e
questa è la conseguenza del tuo errore” significa inasprirlo; dirgli invece: “La tua
sofferenza è voluta da dio acciocché tu sia grande nel regno dei cieli” significa confortare
l'individuo, accarezzare la sua ambizione, alimentare il suo io.

Ma credere per essere confortati è espandere il proprio io.

I tre postulati sui quali si fondano le religioni sono tre verità; ma l'uomo li accetta perché
bene si adattano agli ambiziosi sogni dell'io.

Nessuna verità è mai stata rivelata da dio all'uomo. Chi crede questo, vanta un privilegio
in realtà inesistente, e chiunque si ancora ad un privilegio, asseconda l'espansione del suo
io.

Vive nella realtà solo chi ha dimenticato l'io e i suoi processi espansionistici.

26/77
Si può conoscere e credere la verità, ma se è l'io che l'ha accettata non si è diversi dagli
atei e si vive nell'illusione.

Così, la fede o il misticismo che si fondano sulla ricerca di conforto, o che comunque sono
adottati dall'io per la propria espansione, sono illusori.

Le religioni sono depositarie della moralità dei popoli, ma la vera morale è inconciliabile
con gli interessi personali.

La legge umana vieta e punisce certe azioni, né si potrebbe pretendere di più: non
potrebbe fare il processo alle intenzioni. Ma noi proprio questo dobbiamo fare! L'uomo si
conosce dalle intenzioni: se l'intenzione è egoistica, l'individuo è egoista anche se è
intento a compiere un'opera altamente umanitaria.

Queste parole vi demoralizzano perché siete ancora mossi dall'io. Il vostro io vorrebbe
conoscere la via per il miglioramento e continuare così nell'espansione. Ma ogni cammino
che l'io prenda in esame per poter dire “sono nel vero” è un vicolo cieco. La realtà è
irraggiungibile dall'io. L'io è separatività, la realtà è comunione. Queste parole non hanno
il potere di cancellare l'insistenza dell'io. Ascoltandole suscitano l'interrogativo: “Che cosa
debbo fare? ” La risposta è: “Niente. Conosci te stesso!”.

Abituarsi a riconoscere la lunga mano dell'io, deporre l'intenzione di accrescersi. Può


darsi che un giorno, pur restando attivo l'individuo, si abbia una passività dell'io. Quel
giorno cesseranno le lotte ed i conflitti: la fede non sarà più un sogno ma la realtà
dell'individuo, la verità del Tutto.”

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cartofolo:

Oltre la solitudine
Se si hanno pulsioni interiori e idee dissimili dalla massa, ci si può sentire soli e incapaci di
proseguire quella linea di pensiero che è emersa prepotente, ma anche fragile nella sua
incompletezza.
Dunque si ha bisogno di appoggio, e di qualcuno che faccia da battistrada in quel terreno
ancora sconosciuto.
Attenzione, però, che l'appoggio, necessario per quel momento, non diventi vizio e ristagno,
e che non si sostituisca il Maestro o il gruppo con quella autonomia che sarà la sola a
consolidare la nostra vera potenzialità espressiva.
Ringraziato e “ucciso” il Maestro, trasformato il gruppo da appoggio a dono reciproco, ci si
può sentire di nuovo soli in un mondo mutato dal nostro pensiero e osservato non più per ciò
che appare, ma per ciò che significano quegli eventi.
La crudeltà e l'egoismo degli uomini rimangono, ma possono essere sentiti in forma diversa.
Perché momento necessario a una crescita, ed espressione di un amore limitato.
Se si osservano i limiti, vuol dire che è in atto il loro processo di superamento.
Negarlo o condannarlo è un errore di prospettiva che non rende ragione a ciò che dovremmo
aver imparato.
Se si riuscisse a osservare la verità di un momento, con una prospettiva che leghi il suo
passato al suo futuro consequenziale, non si desidererebbe più che questa non sia.
La tensione verso il divenire, così, diverrebbe la naturale conseguenza dell'aver vissuto
passionalmente e consapevolmente quell'attimo prezioso.
Ecco l'accelerazione tanto illusoria quanto desiderata. Ma non sarà il nostro desiderio ad
attuarla, né il nostro disagio. Piuttosto sarà la nostra accettazione consapevole che ratificherà
ciò che siamo e che rappresentiamo come parte di quella comunità sociale.

Rebloggato da cartofolo

Evoluzione dell’insegnamento
Il linguaggio di Kempis, come anche quello delle altre Guide, si è sempre adattato alla
possibilità di comprensione di quegli interlocutori che in quel momento storico si erano
avvicinati alle sedute di Roberto Setti.

I primi tempi parlavano spesso in termini cristiani e perfino cattolici; successivamente


hanno affrontato molte disquisizioni di occultismo e si sono soffermati sul simbolismo
dei Tarocchi per far maturare nuove visioni della realtà.

Quando il Cerchio si è aperto a un gruppo di teosofi e antroposofi, il linguaggio delle


Guide ha adottato i termini che erano famigliari a quelle persone.
Hanno parlato il linguaggio scientico a dei ricercatori che sono venuti apposta da Roma, il
linguaggio mistico a dei religiosi e quello filosofico a chi aveva già studiato i grandi
pensatori del passato.
Poi, ad un certo punto (non saprei dare una data precisa, ma direi negli anni settanta) mi

29/77
è sembrato di notare una minore concessione al compromesso didattico, e l'insegnamento
ha compiuto un balzo notevole nello sviscerare una realtà oltre ogni schema religioso,
morale, scientifico e della filosofia tradizionale.

I semi lanciati stavano generando un nuovo pensiero, e non c'era più spazio per il
fraintendimento.
Così Dio non poteva avere né volontà né creazione; il karma non aveva Maestri che lo
guidassero, e la morale non poteva più riferirsi a qualche dettato religioso o sociale.
Tutto diventava nuovo per chi sapeva aprirsi e tutto ritornava al singolo per la propria
comprensione e capacità di azione.
Così le parole perdevano valore e il concetto emergeva oltre il dettato…per chi sapeva
coglierlo.

(U.R.)

Evoluzione oltre il tempo


cartofolo:

30/77
Quando si parla di evoluzione, si immagina come l'ampliamento della propria coscienza in
un percorso temporale.
Solitamente si sente parlare di anima e di spirito.
Prima di affrontare questo argomento, faccio una piccola premessa per intenderci sulla
differenza che prospetto, fra queste due definizioni.

Per quello che ci viene indicato nell'esoterismo l'anima è quell'involucro semi-materiale che
serve da ponte di congiunzione con il così detto “spirito” cioè la parte immortale dell'uomo,
vera sede della coscienza e in continuo ampliamento conoscitivo.
Dopo la morte del corpo fisico, l'individuo conserva la sua anima e tutte le caratteristiche
della sua personalità in piani di esistenza progressivamente più raffinati, adatti a
comprendere e tradurre allo spirito le esperienze appena trascorse nell'incarnazione terrena.
Raggiunto il massimo piano delle possibilità espressive di quell'individuo, non avendo altro
da poter capire e esprimere, lo stesso sente il bisogno di reincarnarsi di nuovo per poter
ampliare ulteriormente la sua conoscenza.

Le reincarnazioni procedono così toccando (da disincarnati) livelli sempre più elevati e
raffinati, fino a quando si è maturata una coscienza tale che non vi è più bisogno di
reincarnazioni e si può procedere liberi e autonomi su altri livelli di consapevolezza.
In questo caso l'anima non è più necessaria e lo spirito è presente a se stesso e
completamente autonomo.

E’ già stato detto, e ho trattato questo punto in altre occasione, che l'individuo, ad un certo
punto del suo evolvere (proprio quando raggiunge l'autonomia) scoprirà “l'essere”; cioè sarà
consapevole della sua natura spirituale oltre il tempo.
Infatti sappiamo che lo spirito non ha tempo, “l'essere” esprime la sua verità oltre ogni
tempo in divenire.
Dunque che tipo di evoluzione o quale realtà potrà scoprire?

La storia cronologica, è solo una piccola parte della realtà cosmica. Esiste un altro livello e
un altro punto di vista in cui si può vivere la stessa storia e lo stesso racconto.
Sappiamo che questo livello è, appunto, quello dello spirito, in cui non vi è più la necessità
di percezione, perché si identifica con la realtà di sua appartenenza.
Identificarsi vuol dire diventare la cosa che prima si osservava, e vuol dire anche “fondersi”
con quella storia ed essere tutta le sensibilità che la rappresenta e la “sente”.

Ci dicono che esiste un livello di coscienza in cui avviene questo miracolo. Questa,
raggiunta una certa evoluzione, si potrà riconoscere in tutti i personaggi che prima sentiva
separati da sé; sentirà di essere stato la madre e il figlio, il marito e la moglie, l'intervistatore
e l'intervistato.
Sa di esserli stati, sente che la sua individualità ha percorso, in tempi diversi tutti quei
personaggi che ha osservato e vissuto come qualcosa di estraneo a se stesso; magari amati o
odiati, ma comunque separati in un illusione che, in questo nuovo grado di coscienza, è
superata in un realtà unitaria.
Adesso si riconosce come il prodotto dell'evoluzione di entrambe le parti, il risultato delle
esperienze di tutti coloro che riteneva diversi da sé (La comunione dei santi?).

31/77
Il suo tempo ha superato ogni cronologia, e si sta esprimendo come linfa vitale di tutta la
storia cosmica che percorre il racconto, cogliendone l'essenza, per ogni aspetto; sentendo
tutto il significato della storia, prima con le forme di vita più elementari (i cristalli), nel
passaggio successivo con la sensibilità dei vegetali, in cui quell'individualità sente per
quello che hanno significato “in tutta la storia cosmica”. E così via per gli animali e, infine
per l'uomo; per tutti gli uomini che hanno rappresentato quella qualità di “sentire” e che,
quindi, possono far capo a quella Individualità; compresi, forse, anche l'intervistato e
l'intervistatore del mio esempio.

Questa è la freccia del tempo spirituale (verticale, e non più orizzontale, in ampliamento del
significato, e non più nello scorrere cronologico).

Naturalmente il racconto continua. Perché quell'individualità scoprirà un'espansione


ulteriore nel percorrere il significato della storia cronologica, a livelli sempre più profondi,
fondendosi con altre individualità, a cui stanno facendo capo altre qualità di sentire. E così
via, fino al sentire unico, del massimo grado esprimibile nella manifestazione, cioè sentire
d'essere tutto il Cosmo, sentire di essere stato tutte le espressioni, sensibilità e personalità
che hanno contribuito a costruire l'unità del tutto-cosmico.

A questo punto il racconto è finito. Però non finisce il “respiro evolutivo”. Ma di questo
hanno detto poco o nulla, perchè è davvero fuori da ogni portata di comprensione.

Certi concetti, stravolgono completamente il nostro modo di pensare l'evoluzione in senso


lineare, portando a un'idea di vera comunione con tutti gli esseri, al di là del loro vissuto
storico e temporale.

Le affinità e le comunioni, infatti, seguono la loro logica naturale di affinità, considerando


“tutta” la storia del Cosmo. Non importa quando si è vissuto o il tipo di esperienze fatte.
Quello che conta è che il nostro modo di “sentire” la realtà, sia simile, e, poi, identico.

Il fatto è che noi siamo abituati a pensare che il tempo passato non esista più, in quanto è
stato utile a generare il futuro, ma non è più nella nostra sfera di percezione, se non come
ricordo storico.
Così è per il futuro, il quale è solo ipotizzabile attraverso le conclusioni logiche di eventi
che oggi stiamo smuovendo.
Questi sono i nostri limiti e la nostra modalità di percezione.
Per il senso dell'essere, del “sentire”, invece, come abbiamo già visto, le cose sono molto
diverse. In quanto percorre la storia per il suo significato, e non per il suo scorrere
cronologico.
Ecco che il significato (a qualunque livello possa essere compreso), coglie il senso di “tutto”
il racconto, sentendo la parte vissuta dall'uomo del medioevo, come quella dell'uomo
moderno per il contributo di sentire che questi individui hanno reso, e per la sensibilità
simile (equipollente e, quindi, identica) che questi esseri hanno espresso.
Forse è “la storia infinita” delle nostre leggende, ma anche quella grande luce di unione tra
tutte le creature, di cui noi cogliamo solo un breve e infimo barlume nel sentimento di
amore che possiamo esprimere come umani.

32/77
Così il racconto continua a essere percorso, ripeto, per il suo significato, donato da tutti gli
esseri che si sono succeduti nel tempo cronologico.

Questo fatto come si può realizzare se non con una partecipazione di comunione e di
identificazione con tutti i personaggi della storia che hanno la stessa sensibilità. Cioè che
sono in grado di esprimere la stessa verità intima, anche se con caratteristiche di eventi
esterni molto diversi.
Dunque, noi diventiamo “quelli”.
Lo diventiamo perché non c'è niente che ci divida nel sentirci di esistere, perché ciò che
sentiamo, della nostra storia, ha le stesse consequenzialità logiche di sensibilità, trasporto,
amore e tensione verso l'Assoluto.

Ho detto “tensione verso l'Assoluto”, ma ancora prima, tensione verso ciò a cui sentiamo di
appartenere. Cioè quella parte della storia, che ha un significato ancora più profondo e
chiarificatore di tutto il racconto. Cioè quell'Individualità a cui facciamo capo e che
rappresenta il nostro futuro di “sentire” e di essere.
Questa esiste già nella storia di tutto il racconto. Ma noi ancora non siamo in grado di farla
entrare nella nostra sfera di sensibilità. Non ne abbiamo la consapevolezza.
Però essa guida i nostri passi, perché ne ha già percorso il tracciato. E alcune piccole
illuminazioni, intuizioni, ispirazioni, forse, provengono proprio da questo essere, che molti
identificano con lo Spirito Guida o il proprio Angelo Custode.

Questa realtà, non è ancora nostra come consapevolezza, perché si parla di un piano di
coscienza così elevato che non siamo ancora in grado di vivere consapevolmente.
Però ne possiamo cogliere la logica, che deriva da una concezione dello spirito oltre la
materialità. Altrimenti, se lo volessimo intendere solo attraverso i nostri limiti, lo
confineremmo in un formalismo prettamente umano, e lo renderemmo limitato come lo
siamo noi.

Propongo questa intervista a Silvio Ravaldini come omaggio ad un amico e a un uomo che ha
dedicato la sua vita alla ricerca spiritica e paranormale.
Ha diretto la Biblioteca Bozzano De Boni di Bologna e la rivista “Luce e ombra” in cui con serietà
e competenza, ha permesso di sviluppare tutte le tematiche di un esoterismo attento e mai
fanatico, ha promosso incontri e dibattiti senza che nessuna esaltazione potesse compromettere o
svilire il suo lavoro di ricerca.
Lo ricordo con affetto e con un grande rimpianto per non averlo seguito per quanto avrei voluto.
Ci ha lasciati il 24 novembre del 2015, ma lo sento presente con i suoi libri, articoli e anche con
questa intervista in cui testimonia dei grandi fenomeni della medianità a partire da quella di
Roberto Setti, del Cerchio Firenze 77.
Grazie, Silvio.

Miglioramento e trascendenza
Per quello che ho capito la verità sta nel mezzo delle tante spiegazioni date. Direi che
anche questa le trascende indicando qualcosa che non è nelle parole ma tra le parole.
Infatti, se si va a vedere, l'insegnamento non è una didattica che ci dice cosa dobbiamo
essere e cosa dobbiamo fare (non è un insegnamento che ci spiega una morale), ma ci
illustra la realtà e come funziona l'evoluzione, come si può concepire l'Assoluto e come

33/77
tutte queste cose siano armoniche, giuste e in perfetta sintonia con ogni momento che
stiamo vivendo.
Ecco che l'unica cosa da fare, l'unico consiglio che ci è stato dato in questo senso, è quello
di vivere consapevolmente ogni momento che ci vede protagonisti di un evento: conoscere
noi stessi.
Questo non toglie che abbiamo bisogno di aspettative, obiettivi e di gratificare un io che,
per ora, è l'unico mezzo per realizzare la nostra verità, addirittura per esprimere il nostro
essere.
La trascendenza è nostra in ogni momento, e non è quella dell'essere la realtà totale, ma di
sentire l'essere che siamo oltre il senso dell'io. Questo può avvenire nel momento di quella
maturazione della coscienza che “inizia” a motivare l'io e crea quell'impulso di amore o
altruismo che ci permette il salto di qualità.
Dunque non è un atto di volontà che ci consente la trascendenza o che ci può rendere
migliori (per questo non può esistere un insegnamento della morale), piuttosto è una
maturazione che avviene con l'esperienza, la consapevolezza delle ragioni che ci spingono
ad agire o con quei contrasti che ci obbligano a riconoscere queste ragioni.
Perchè solo così si esprime la nostra verità e non l'illusione di essa con maschere di
buonismo o con morali altrui che non ci appartengono.

(U.R.)

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Nascita del Cosmo - Infinito o eterno?
Il discorso sull’infinito, contiene molte sfumature di riflessione che, necessariamente,
fanno scivolare l’argomento in altri campi.
Ma la cosa è troppo interessante per fare i pignoli. Inoltre la nascita del Cosmo è un
discorso aperto anche sull’infinito.
Infatti siamo a cavallo fra l’eterno presente e la nascita del tempo nella percezione
relativa.
Secondo una certa interpretazione pare che Kempis abbia detto che il Big-Bang non sia
esistito.
In effetti in senso assoluto un evento non può esistere perché deve nascere e morire in
un sistema relativo.
Personalmente sono convinto che questa interpretazione, che descrive un evento ai
confini del tempo, non può riguardare solo “un sentire di espressione” come quello di
un cristallo, ma deve essere un processo di percezione-creazione avvenuto comunque,
forse proprio da quella Coscienza Cosmica nel primo attimo vitale della sua
emanazione.
Noi osserviamo le conseguenze di un momento che ha avuto un inizio.
I nostri scienziati analizzano una realtà che presenta le tracce di un processo che pare
sia avvenuto 15 miliardi di anni fa.
La formazione delle galassie e le stelle più antiche: 10 miliardi di anni fa.
Il Sole si è formato da nubi di gas: 5 miliardi di anni fa.
La Terra: 4,5 miliardi di anni fa.
I microfossili (primi sistemi metabolici): 3 miliardi di anni fa.
Infine, l’uomo: fra i 250.000 e i 500.000 anni fa (ma queste ultime date sono molto
dubbie).
Ognuno di questi momenti, ha avuto un soggetto di creazione-percezione (nessuno
escluso).
Non se ne può cancellare una parte solo perché non la si capisce, ma se ne può dedurre
i principi da ciò che si osserva e dalle conseguenze logiche che ha prodotto.
Dunque, secondo me, il Big-Bang è esistito come nascita del tempo e dello spazio, come
emanazione dell’Assoluto in un “Sentire Cosmico” che, creando-percependo le prime
particelle di materia macrocosmica ha realizzato l’esplosione iniziale (se così si può
chiamare).
Prima di questa cosa esisteva?
In termini di tempo è ovvio che non esisteva niente, in quanto il Big-Bang segna l’inizio
del tempo.
Ma in termini di Realtà esisteva ed esiste l’eterno presente che non ha nessun
“momento” dell’essere se non nella percezione relativa di un individuo che scopre
gradualmente la sua natura eterna e infinita.
(U.R.)

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Una concezione possibile di Dio
Estratto dal libro “La Fonte Preziosa” inserisco un brano di kempis sulla concezione di Dio.
“Osservando il mondo in cui viviamo, cogliamo la molteplicità delle forme, degli ambienti, la
pluralità degli” esseri “.
Se noi crediamo che questo mondo che osserviamo, così come lo vediamo, con le
caratteristiche che cogliamo, esista oggettivamente al di là delle sfumature, che
indubbiamente caratterizzano le immagini che di esso mondo sono colte dai soggetti, se
crediamo che la suddivisione dei piani di esistenza sia reale e non derivi - invece - da
differenti categorie di sensi che ci danno differenti immagini di una stessa identica realtà, in
poche, brevi parole, se crediamo che questa molteplicità che cogliamo esista oggettivamente,
possiamo credere a Dio?
Supponiamo di sì. Allora, come può essere questo Dio?
Supponiamo distinto da tutto quanto esiste. Se così fosse non sarebbe completo, né infinito,
né assoluto, ecc, ecc., perché mancherebbe di una parte di realtà oggettiva : per l'appunto
della molteplicità che noi abbiamo postulato esistere oggettivamente. Sul piano
dell'oggettività, vi sarebbe Dio e vi sarebbe l'insieme della molteplicità, cioè il manifestato.
L'uno limiterebbe l'altro e viceversa. Un simile Dio sarebbe, al massimo, il migliore degli
esseri, ma i suoi caratteri non andrebbero oltre quelli di un essere limitato.
Supponiamo allora che Dio non sia distinto da tutto quanto esiste e questo può avvenire solo
se Dio è formato dall'insieme dell'esistente. Ma, in questo caso, Egli sarebbe continuamente
mutevole perché il divenire dei mondi - al pari dei mondi stessi - sarebbe oggettivo, appunto
con la conseguenza che Dio non sarebbe mai eguale a se stesso. Certo nessuno può impedire a
chicchessia di credere a un simile Dio. Ma dimmi in chi credi e ti dirò chi sei. È chiaro che un
Dio così concepito non avrebbe quei caratteri che universalmente sono attribuiti a Dio.
La conseguenza di queste brevi considerazioni è : o Dio non esiste - e vedremmo dopo se ciò è
possibile - oppure la molteplicità è un'apparenza. Se infatti la molteplicità fosse un'apparenza,
allora anche il divenire dei mondi non sarebbe reale. Il quadro cangiante e molteplice che
osserviamo, altro non sarebbe che l'insieme di immagini che differenti categorie di sensi ci
danno di una stessa identica realtà. Quest'Unica Realtà potrebbe essere Dio, un Dio che tutto
comprenderebbe, perciò completto ed infinito perché Unico : Immutabile perché non toccato
dal divenire dei mondi : Assoluto perché da tutto indipendente, e via via. Ed essendo così
singolare, così diverso da tutto quanto appare esistere nel mondo della molteplicità,
veramente potrebbe essere la prima causa increata.
……………………………………………………………….
Detto questo, la domanda che si pone subito dopo è : che cos'è questa molteplicità, cioè gli
esseri, i mondi, in rapporto a Dio? Creazione o emanazione divina? Se con questi termini
s'intende un evento oggettivo, no certo. Nulla può realmente nascere, trasformarsi, sparire
nella realtà assoluta ed oggettiva.
Gli esseri e i mondi, non sono stati creati o emanati da Dio nel senso che nella realtà assoluta
prima non c'erano e adesso ci sono;il prima e il dopo fanno parte del divenire, dell'illusione
del tempo. Un Cosmo appare nascere e morire perché è una realtà parziale, limitata,
relativa;limitata fra l'altro da un inizio ed una fine. Il Cosmo appare contenuto fra
l'emanazione ed il riassorbimento, ma questi eventi, come quelli che fra questi accadono,
appartengono al mondo dell'apparenza.
Ogni attimo che, vissuto, sembra non potersi fermare, è in realtà senza tempo;non può essere
stato creato, né può distruggersi ;era prima che lo vivessimo e rimane, al di là del suo
apparente trascorrere.
Sul filo di questa considerazione, la Manifestazione non appare certo come conseguenza di un
atto di volontà di Dio, ma se mai come un Suo aspetto, una parte, anche se oggettivamente
non distinguibile da Dio, perché se lo fosse sarebbe oggettivamente esistente e perciò
limitante Dio.

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Inoltre, come un organismo è un insieme di parti che ha funzioni proprie e diverse da quelle
dei singoli organi che lo compongono, a maggior ragione Dio è tutt'altra cosa dall'insieme
della molteplicità peraltro apparente.”

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L’eterno presente non ci riguarda
Avete presente quella famosa illusione ottica dei due volti di profilo che
formano una coppa?
O si vede la coppa o si vedono i due volti. Contemporaneamente non è
possibile.
Eppure esistono visivamente entrambe le due realtà.
La stessa cosa vale per concepire l'eterno presente con la mente che
tende al divenire.
O si ragiona in essere (i fotogrammi del film tutti presenti) o si ragiona
in divenire (la storia del film che scorre nell'illusione del tempo).
Conciliare le due cose contemporaneamente ci è impossibile per come
siamo fatti.
Credo che sia importante poter riuscire anche solo a concepire le due
realtà, renderle nostre nella speculazione e usarle come base della
comprensione di un verità della forma che sfuma in quella della qualità.
D'altra parte l'eterno presente non è una condizione che ci riguarda, non
fa parte della rappresentazione della realtà in cui ci muoviamo ora.
Noi siamo nell'attimo temporale della “creazione”.
Voglio dire che non solo vivifichiamo un fotogramma del film
dell'esistente, ma lo stiamo addirittura strutturando in virtù delle nostre
limitazioni. Quel fotogramma è nostro, individuale e condivisibile solo
con coloro che hanno analoghe limitazioni.
Ecco che il mondo esiste così com'è perché tutti noi lo stiamo creando-
percependo con analoghi mezzi percettivi e di pensiero.
Oltre tutto questo e anche oltre la dimensione del tempo (che è solo una
modalità di percezione), esiste il significato della storia: ecco l'eterno
presente.
Ma una storia, per esistere al di là del tempo, deve essere scritta nel
tempo, deve essere vivificata in tutte le sue parti e negli innumerevoli
modi del possibile.
Ognuno di noi rappresenta un modo di scriverla e anche di interpretarla.
Il Cosmo procede, così, nella sua espansione che riflette la nostra.
Dunque noi ora stiamo vivendo l'illusione del divenire, ma se ci
pensiamo bene il nostro non è un trascorrere, ma uno stato d'essere che
si amplia in una successione logica.
L'illusione quindi non è nei singoli stati d'essere, ma nel percepire la
successione che dà il senso del trascorrere.
Ogni momento che esprimiamo è vero, eterno e fa parte di quell'infinita
presenza che, nella sua massima espressione, è l'Assoluto.
Possiamo chiamarli fotogrammi, immaginarli come fissi nell'eternità,
oppure possiamo comprenderne la qualità che trascende la figurazione
del momento.
Come dico spesso, quello che conta è il significato che trascende la forma
e il relativo che rappresenta.
Noi esprimiamo la forma e la qualità. Così acquisiamo il significato, il
quale è in ampliamento progressivo come comprensione.
Allora i fotogrammi sfumano, il senso della vita e delle cose acquista la
capacità dell'essere che fonde il divenire nel sentire l'unità.
A quel punto che importanza possono avere i mezzi che sono serviti a
una tale miracolo?
(U.R.)

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Spiriti guida

La questione può essere esaminata e capita a due livelli di comprensione.


Quello di cui si parla comunemente (essoterico) e che hanno usato anche le Guide del
Cerchio Firenze 77, in cui si descrivono gli Spiriti Guida, i quali possono anche essere più
di uno e che intervengono secondo le nostre necessità professionali, famigliari o altro.
Comunque si tratta di persone a cui siamo stati legati anche da trascorsi nell'ultima
incarnazione o famigliari persi in questa.

Il secondo livello (esoterico) è quello che emerge se si approfondisce il nostro rapporto


con il trascendente (aldilà) in cui si delinea il fluire delle affinità dei sentire e in cui
l'apertura è inversamente proporzionata al senso dell'io (più si è centrati su noi stessi e
meno si è aperti ad altri o altro). Allora la consapevolezza che noi facciamo sempre capo a
un sentire superiore che rappresenta la nostra coscienza futura, diventa difficile da
comprendere, ma facile da capire.
Così si capisce (anche se non si comprende) che qualunque Guida Spirituale rappresenta
il nostro cammino e interviene, non quando lo vuole, ma quando noi riconosciamo il
senso del destino necessario, utile e che ci appartiene per destinazione.
Egli è là che ci guida, ma è anche qua per quelle affinità di sentire che siamo in grado di
far emergere oltre l'io.

(U.R.)

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La libertà e il sacrificio
Tratto dal Libro "Dai Mondi Invisibili", propongo questo brano di Kempis.
La libertà
“Che cos'è quindi libertà? Per libertà deve intendersi assenza di limitazioni: uomo libero è quindi
colui che è al di fuori di ogni influenza, che non ha necessità alcuna, che non conosce limitazione
alcuna, che può fare tutto quello che vuole.
La libertà cresce con l'evoluzione dell'individuo, è quindi relativa a questa; quando l'individuo ha
raggiunto il massimo dell'evoluzione, gode della più ampia libertà.
Tuttavia l'individuo evoluto non compie certe azioni; si può allora considerare questi limitato? No,
dal momento che libertà significa poter compiere tutto quello che si vuole; l'individuo evoluto non
vuole compiere quelle azioni; sarebbe limitato nel momento che dovesse compierle, perché allora
farebbe qualcosa contro il suo sentire.
Se poi certe azioni si “dovessero” compiere, egli le vorrebbe.
L'individuo evoluto quindi è limitato al proprio sentire, al proprio essere, in altre parole a se stesso.
Ora essere limitati a se stessi significa non essere liberi?
Per l'individuo non evoluto sì, perché se anche potesse fare tutto quello che può desiderare o pensare
o sentire, vi potrebbero essere altri pensieri, desideri, sentimenti, azioni oltre quelli che egli ha.
Ma l'individuo che ha raggiunto la massima evoluzione, essendo questi consapevolmente uno col
Tutto, si identifica con l'Assoluto e, quindi, il suo sentire è illimitato come l'essere; allora - laddove
non vi è limitazione alcuna - vi è assoluta libertà.”

A questo punto mi sorge il dubbio di come inquadrare il proprio sacrificio personale in una scelta
davvero libera.
E’ chiaro che quando Kempis parla della libertà, si riferisca a quella che svincola l'evoluto dalle
costrizioni del suo io.
L'ideale che le Guide ci fanno intravedere è quello di un individuo sempre più libero da egoismi
personali, ma che dovrà continuare a lottare per prendere le decisioni più adatte in relazione a
situazioni che coinvolgono le creature che lo circondano.
Perfino Gesù ha portato fino alle estreme conseguenze il suo sentire di coscienza, infrangendo le leggi
dei Farisei e mettendo in discussioni quelle che erano le credenze del tempo; fino a che punto? Fino
alla crocifissione.
Se questo è vero, sicuramente è stata una decisione sofferta e contrastata, come si racconta nei Vangeli
a proposito dei quaranta giorni passati nel deserto.
Se perfino lui ha avuto dei problemi a dover scegliere fra essere un “agnello sacrificale” o un artefice
della liberazione del suo popolo dalla dominazione dei Romani, figuriamoci tutti noi (o chiunque altro)
anche a livelli eccelsi di evoluzione di coscienza.
La Terra rimane una palestra per il nostro spirito, e ogni esperienza è proporzionata alla possibilità di
quella coscienza, la quale è sempre e comunque messa alla prova e sottoposta a esercitare la famosa
libertà conquistata affinché si svincoli da ogni limitazione residua; non quella imposta dagli uomini,
ma quella del proprio io.
Sappiamo che in questo insegnamento non ci sono mai state date regole di condotta di nessun genere.
Perché ognuno deve maturare le sue esperienze ed esprimere pienamente il suo sentire.
Fa parte di questa nuova filosofia; i Maestri non potrebbero contraddirsi nell'indicarci quale decisione
prendere… in nessuna occasione. Ancora di più se questa decisione potesse pregiudicare la propria vita
o quella di coloro che ci circondano.
Il sacrificio personale o quello di qualcuno a favore di altri, rimane una delle scelte più difficili da
prendere, e non ci può essere indicata da nessuno, tantomeno da chi tende a responsabilizzarci e ci
sprona a esercitare sempre la propria libertà di coscienza.
(U.R.)
(Immagine di copertina di Bobby Caputo)

Cosa si reincarna

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La reincarnazione è un fatto che tutti, almeno in questo spazio, diamo per scontato.
Non intendo, quindi, esporre i principi conosciuti per cui l’evoluzione della coscienza non
può svilupparsi in una sola vita, ma in più esistenze con il processo della reincarnazione.
Invece, quello che non è del tutto chiaro e che, spesso, si presta a creare un po’ di
confusione, è identificare quello che, di noi, si reincarna.
Penso che questi dubbi siano condivisi da molti.
Succede perchè non è facile capire il meccanismo reincarnativo e specialmente che cos'è
che si reincarna.

Dalle spiegazioni avute, la prima cosa che emerge è che non si reincarna un io, quindi
neanche una personalità, così come l'abbiamo conosciuta nella precedente incarnazione;
quello che si reincarna è “il sentirsi di esistere”, cioè quella parte di noi che, immutata
nella sua qualità, origina l'io e la personalità per quello che sono le sue necessità di
comprendere.
Quindi la reincarnazione è di tutti e per tutto quello che contiene un sentire: cristallo,
vegetale, animale, uomo.

Come dicevo questo sentire di esistere non cessa mai, non cambia nella sua qualità che è
quella di essere vita, identità, coscienza. Quello che cambia è la sua ampiezza, il suo
comprendere parti sempre più estese e complesse della Realtà che fa sua attraverso le
esperienze: il dolore, la gioia e tutti i contrasti che le varie incarnazioni gli presentano.
Perciò non c'è niente che viene cancellato in quanto tutto va a depositarsi in quella parte
della coscienza che elabora e fa suo il succo del vissuto.
Si può forse dire il che il bambino che siamo stati non esista più, sia stato cancellato
dall'adulto che siamo diventati?
Certamente possiamo dirlo, ma non daremmo merito al fatto che se siamo adulti è perché
ce lo ha permesso quel bambino, e il legame che lega entrambi è proprio quel sentirsi di
esistere che è immutato.

Tutto si svolge secondo delle leggi così sofisticate e perfette (per la loro funzione) che
pensare che la vita che ci sostiene, sia origine del caso è fare un torto alla logica e al buon
senso.
Allora, se non c'è il caso, vuol dire che esiste un disegno e possiamo capire benissimo che
un disegno così immenso, presuppone un'origine, uno svolgimento e finalmente una
perfetta comprensione del significato dell'insieme.

“Noi siamo il tutto”. Questo è oltre il Pantesimo che molti dichiarano (eventualmente è
più vicino al pensiero del C.F.77, il Panenteismo); perché il significato è oltre la somma
del tutto; ne è il senso, il quale è contenuto anche in ogni singola parte dello stesso; lo è
anche in noi per quello che possiamo comprendere e appunto realizzare come sentire che
ci manifesta per quell'aspetto necessario alla comprensione graduale del tutto e della sua
trascendenza.
Credo che l'uomo potrà iniziare la sua salvezza quando capirà che non c'è niente da
salvare, ma una vita da vivere.
(U. R.)

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Percorso nell’aldilà
Vorrei puntualizzare certi percorsi evolutivi che si realizzano dopo la morte del corpo fisico, secondo
quello che ci hanno spiegato, in modo che emerga anche il senso della nostra vita e della sua
importanza come esperienza che costruisce letteralmente l'aldilà che ci aspetta.
Se si prende in considerazione il concetto che i piani di esistenza non sono luoghi, ma stati di
coscienza, diventa logico pensare che ogni individuo accederà ad essi e li percorrerà in funzione della
sua qualità di “sentire”; cioè della sua evoluzione spirituale.
Per quello che ci hanno spiegato, l'animale, per esempio, che avrà sviluppato solo la parte astrale e il
mentale istintivo, potrà vivere quello che questi hanno prodotto; quindi si reincarnerà quasi subito.
L'uomo medio, invece, dovrà sviluppare e consolidare tutta una serie di emozioni e pensieri in
ambienti che realizzeranno il suo vissuto terreno, insieme a coloro che potranno condividerne le
qualità e le sensazioni. Quindi, per lui, l'incarnazione avverrà solo quando queste avranno reso alla
coscienza quelle nuove esperienze, frutto della vita fisica.
Invece l'uomo più evoluto, oltre questo, potrà accedere a quei mondi che sfioreranno l'akasico e che i
Maestri hanno chiamato “il mentale della non forma”; cioè il piano delle idee.
Poi ci sono anche quegli individui che sono arrivati a un sentire così elevato che ha trovato la sua
autonomia nell'essere oltre ogni limite di percezione; cioè in grado di identificarsi con la realtà; allora
questi, oltre a percorrere tutti i piani precedenti, potranno accedere, finalmente liberi, al piano akasico
(appunto il piano dell'essere, dell'amore identificativo) e non avranno più bisogno di reincarnarsi
potendo proseguire il loro cammino con queste nuove modalità di esistenza.
Tutti questi mondi e modi d'essere esistono e saranno nostri grazie a quella maturità di coscienza che
stiamo sviluppando ora, con il nostro amare e soffrire e nel confronto con quel mondo che è l'unica
scuola possibile per il nostro sentire.
(U.R.)

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Tutto è giusto e perfetto
In un brano, tratto dal libro “oltre l'illusione”, nello spiegare l'unitarietà del tutto, ad un certo punto
Kempis dice:
“…Non smarritevi in questa realtà che sembra sfuggirvi. Non temete di perdervi.
Pensate come tutto è stato fatto in modo perfetto. Pensate come tutto è stato fatto nel
rispetto di una vostra libertà, anche se questa libertà vi viene concessa gradualmente
per il vostro stesso bene. Pensate a quante cose nuove avete conosciute che vi sono state
date in modo, forse, incredibile. Pensare a come gli eventi nascondano substrati,
conoscenze, fatti, fattori, influenze diversi. Ed abbiate la forza di non smarrire la
ragione.”
In un altro punto continua:
“Tutto è creatività ed è vita; tutto in senso assoluto. Dunque ogni Cosmo è un atto di
creatività. pur non essendo mai stato creato. Ogni Cosmo è un "vivere” pur non essendo
un divenire, in assoluto. Ciascun oggetto di ogni Cosmo è in particolare in sé perfetto,
pur non essendo la perfezione assoluta. Eppure, ripeto, in sé è perfetto ed assolve
perfettamente il compito per il quale è creato, pur non essendo mai stato creato. Ogni
oggetto è espressione di creatività assoluta, anche l'uomo.
L'uomo, questo individuo meraviglioso che è il coronamento della creatività cosmica, è
un oggetto che “vive”, che è creato, pur non essendo mai stato creato, pure esistendo da
sempre. Ed è un centro di creatività perché l'uomo crea, ha questa possibilità - sia pure
unica nel Cosmo - in confronto agli altri esseri viventi, i quali sono “vita”, ma non
possono crearla.
Badate bene, non esiste una gerarchia in funzione di una supposta minore o maggiore
perfezione; ciascun essere in sé e per sé è perfetto, quando assolva al compito per il
quale è stato creato. Così non si può porre, nei valori assoluti, “inferiore” un animale
rispetto ad un uomo, anche se l'animale non ha la possibilità di creare e l'uomo sì.
Entrambi sono perfetti rispetto al compito che debbono assolvere.“

Così impariamo che tutto quello che accade ha una sua ragione e tutto sia giusto e perfetto.
Però, se si osservano certi eventi, drammi personali e collettivi, si può rimanere perplessi.
Ci sono due punti di vista da prendere in considerazione.
Il primo è il principio filosofico che tutto si svolge per il nostro vero bene, e che tutto è sviluppato in un
equilibrio e con una giustizia che si potranno comprendere solo quando la catena di quei particolari
eventi, sarà conclusa.
Il secondo è quello degli "attori” che, inconsapevoli del disegno nel suo insieme, vivono dolori e gioie,
drammi ed esaltazioni in una visione limitata a quell'attimo vitale e la cui presenza e sensibilità (quella
dei partecipanti), sono indispensabili affinché tutto si possa svolgere nel modo migliore possibile per
trovare le soluzioni che ogni creatura coinvolta si aspetta, desidera e di cui ha bisogno.
Cristo ha avuto bisogno del tradimento di Giuda per poter completare la sua missione.
L'uomo-Gesù ha avuto bisogno di soffrire sulla croce, per sensibilizzare gli individui e diventare, così,
un simbolo di redenzione, oltre che consumare un suo karma.
Voglio dire che il pensiero del fatto che tutto è giusto e perfetto per come accade e che ognuno ha il suo
ruolo nella vicenda che si svolge, non deve affatto distoglierci dall'essere partecipi agli eventi nella
misura che la nostra sensibilità ci suggerisce.
Perché è proprio il fatto di essere coinvolti, anche solo con una notizia, significa che il nostro ruolo
deve essere attivo, partecipativo in maniera propositiva e mai passiva.
Diversamente quell'evento avrà mancato il suo scopo nei nostri riguardi e noi dovremo essere
sollecitati diversamente e, forse, in maniera più diretta, affinché il movimento interiore possa trovare
una sua realizzazione.
Se un uomo sta annegando, non posso dire che tanto era il suo karma e così evitare di aiutarlo.
Se vedo un bambino che soffre, non posso esimermi dall'essere scandalizzato, dispiaciuto, reattivo in
qualche modo, solo perché so che una giustizia superiore sta guidando quell'evento.
Non posso, perché il karma di chi annega o il dolore di quel bambino, per il fatto che io ne sia a

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conoscenza o addirittura partecipe, sono direttamente dipendenti anche dalla mia reazione e dal mio
comportamento conseguente.
La giustizia superiore ha previsto la mia presenza e ha considerato la mia reazione, affinché quelle
sofferenze potessero cessare.
Se non agisco per ignavia, paura o insensibilità, l'evento si svilupperà lo stesso in un altro modo per
fare cessare quella sofferenza o quel danno, ma io dovrò trascinare ancora la mia ignavia, paura e
insensibilità lungo sentieri difficili che, prima o poi, dovranno insegnarmi a superare queste limitazioni
e sentire il dolore di chi mi è vicino, come il mio.
(U.R.)

Il “sentire” non sbaglia mai


Per dire che tutto è giusto e perfetto, viste le situazioni che viviamo, bisogna fare un
grosso sforzo di fantasia, oppure bisogna allargare la nostra prospettiva spostando la
radice della realtà dall'interpretazione che ne dà la mente, a quella del “sentire”.
Infatti, il senso di morale e di giustizia, suggerito dalla mente, non è quello che deriva dal
“sentire” (o se si vuole, dallo spirito).

Il primo (quello percepito ed elaborato dalla mente), risente di innumerevoli sollecitazioni


sociali, culturali, educative, e può essere artificiosamente costruito dall'io. Quindi può
mutare, confondersi ed essere percepito anche in maniera contraddittoria (il bianco
diventa nero e viceversa).
Il secondo (espresso dal sentire), è una verità consolidata, una realtà riconosciuta come
facente parte del patrimonio dell'essere. Non è mutevole, né contraddittorio…mai.
Esprime “realtà”, la quale forgerà un io la cui morale istintiva, profonda, immutata,
renderà quella verità, a prescindere da ogni contensto famigliare, sociale o di influenza
esterna.

Sappiamo che il karma non riguarda il sentire raggiunto, ma i limiti dello stesso; cioè le
sue mancanze, che devono essere espresse, motivate moralmente, sperimentate
nell'azione, e comprese nella loro reazione.

Ciò che viene toccato, da questo lavoro, è il complesso fisico e animico, cioè il mondo della
percezione, su cui la mente elabora i vari concetti di morale, etica e giustizia.
Impara ad adottarli, li sperimenta nelle loro contraddizioni, li riconosce o li respinge, fino
al punto di…comprenderli; cioè rendersi consapevoli di un valore, fino ad allora
immaginato idealmente.
Quando questo valore diventa “sentire”, non è più un patrimonio della mente, ma dello
“spirito” (dell'essere), il quale guiderà la mente come predisposizione verso….
Così la giustizia diventa un fatto intimo e non più semplice morale.

In fondo la mente può confondere e sbagliarsi, ma il “sentire di esistere”, esprime solo se


stesso, ed è sempre una verità.

(U.R.)

L’origine delle comunicazioni del Cerchio Firenze 77

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Tratto dal libro “Oltre l'illusione”.

Rinnovarsi per comprendere (Dali)

Con l'ingresso nel vostro gruppo di nuovi amici, torna ancora come tema di discussione e
di riflessione, l'interrogativo sull'origine di queste comunicazioni; ed è logico che sia così
perché tutto deve essere sempre posto nuovamente in discussione. Guai se l'uomo si
fissasse per tutta la durata della propria esistenza dei capisaldi dai quali poi mai più
volesse prescindere. Non vi diciamo che questi devono essere fissati per il tempo
necessario a comprendere, ma con molta semplicità e facilità possono essere, anzi
debbono essere, abbandonati e sottoposti, via via, a nuove verifiche.

Non è la prima volta, o figli, che vi diciamo che non ha alcuna importanza chi noi in realtà
siamo, per molte ragioni.

Noi non vogliamo essere ascoltati da voi solo perché voi siete convinti che noi siamo degli
abitatori di una diversa dimensione; se anche questo è vero, non è vero che chi si trova in
una dimensione diversa da quella del piano fisico, veda la Realtà.

E quindi, se voi credete che noi siamo Entità, perché questo vi dà una garanzia della
Verità di ciò che vi diciamo, ed accettate questa Verità solo perché noi la diciamo, voi siete
in errore.

Ripeto: al di fuori dell'unica Realtà oggettiva, ogni altra realtà è relativa e soggettiva. Ma
in questo movimento di soggettività, l'uomo - creatura stessa della relatività e della
soggettività - deve sottostare al giuoco che lo vuole al centro di un suo mondo,
completamente suo, nel quale egli riceve degli urti, che sembrano provenire dall'esterno e
che suscitano nell'intimo suo qualcosa, una reazione, una risposta, sicché qualcosa di
diverso nasce nel suo intimo. In questo giuoco di colpi e di contraccolpi, l'uomo non deve
cristallizzarsi, deve continuamente riflettere. Ecco perché noi vi diciamo: “accettate quello
che noi pronunciamo, vi prospettiamo, non perché sono delle Entità a dirlo, ma perché è
passato al vaglio della vostra comprensione e lo trovate giusto”.

Fra una Entità che fosse all'origine di queste comunicazioni bugiarda ed uno psichismo
veritiero, non c'è dubbio che sarebbe molto più utile uno psichismo vero di una Entità
bugiarda. Così, miei cari, ancora vi ripeto - se non lo avessi ripetuto abbastanza - che è
essenziale che voi comprendiate quello che noi vi diciamo, lo meditiate, lo assimiliate.

Percorso nell’aldilà
Vorrei puntualizzare certi percorsi evolutivi che si realizzano dopo la morte del corpo
fisico, secondo quello che ci hanno spiegato, in modo che emerga anche il senso della
nostra vita e della sua importanza come esperienza che costruisce letteralmente l'aldilà
che ci aspetta.

Se si prende in considerazione il concetto che i piani di esistenza non sono luoghi, ma stati
di coscienza, diventa logico pensare che ogni individuo accederà ad essi e li percorrerà in
funzione della sua qualità di “sentire”; cioè della sua evoluzione spirituale.

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Per quello che ci hanno spiegato, l'animale, per esempio, che avrà sviluppato solo la parte
astrale e il mentale istintivo, potrà vivere quello che questi hanno prodotto; quindi si
reincarnerà quasi subito. L'uomo medio, invece, dovrà sviluppare e consolidare tutta una
serie di emozioni e pensieri in ambienti che realizzeranno il suo vissuto terreno, insieme a
coloro che potranno condividerne le qualità e le sensazioni. Quindi, per lui, l'incarnazione
avverrà solo quando queste avranno reso alla coscienza quelle nuove esperienze, frutto
della vita fisica.

Invece l'uomo più evoluto, oltre questo, potrà accedere a quei mondi che sfioreranno
l'akasico e che i Maestri hanno chiamato “il mentale della non forma”; cioè il piano delle
idee.
Poi ci sono anche quegli individui che sono arrivati a un sentire così elevato che ha trovato
la sua autonomia nell'essere oltre ogni limite di percezione; cioè in grado di identificarsi
con la realtà; allora questi, oltre a percorrere tutti i piani precedenti, potranno accedere,
finalmente liberi, al piano akasico (appunto il piano dell'essere, dell'amore identificativo)
e non avranno più bisogno di reincarnarsi potendo proseguire il loro cammino con queste
nuove modalità di esistenza.

Tutti questi mondi e modi d'essere esistono e saranno nostri grazie a quella maturità di
coscienza che stiamo sviluppando ora, con il nostro amare e soffrire e nel confronto con
quel mondo che è l'unica scuola possibile per il nostro sentire.

(U.R.)

Non giudicare
Estratto dal libro “Per un mondo migliore” - Edizioni Mediterranee, riporto un brano di
Dali sulla controversa questione del giudicare in base a quello che si osserva negli altri.

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DALI - Se voi fate attenzione, potete rendervi conto che certi principi fondamentali, che
fanno parte della morale e delle religioni piú evolute, fanno parte anche della legislazione
di tutte le civiltà. Invero certi principi, come « non uccidere », « non rubare », eccetera,
hanno una ragion d'essere che si fonda tanto su motivi etico-religiosi quanto su
l'indispensabile reciproco rispetto che deve essere alla base dei rapporti fra i membri delle
società che vogliono sopravvivere.
Infatti, come un organismo pluricellulare vive solo se le cellule che lo costituiscono vivono
in stretta armonia e cooperazione - cioè non in antagonistica lotta -, allo stesso modo una
nazione, una civiltà, si costituiscono tali ed evitano la disgregazione solo se fra i cittadini
esiste almeno una civile convivenza basata sul reciproco rispetto.

Questo deve farci riflettere e comprendere che i fondamentali principi morali non sono
astratte imposizioni volte solo a creare problemi al singolo uomo, a misurare la sua
capacità di resistenza e di sopportazione, per poi meritarsi o no il paradiso; ma poggiano
su una logica che anche un ateo non può che ritenere giusta e condividere.

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Questo discorso, però, non vuol dare alla morale un valore assoluto. Preciseremo poi in
che termini è valida l'etica. Certo, non è assoluta: è tanto piú universale quanto piú si
rivolge a individui di analoga evoluzione. In senso personale, la morale è tanto piú valida
quanto piú rafforza i doveri verso gli altri quanto píú fa comprendere che il giudizio nei
loro confronti - specie quel giudizio che poi preclude ogni slancio di aiuto e di
comprensione - non ha ragione di sussistere, anche perché non si fonda sulla completa
conoscenza dell'altrui verità.

Ciò che sappiamo degli altri è solo quello che appare all'esterno, mentre la realtà di
ognuno è quella che scaturisce dalle intime intenzioni. Una stessa azione fatta da due
uomini può avere intenzioni diametralmente opposte.

Ma non è tutto: chi giudica il comportamento ispirato al materialismo, per esempio, come
riprovevole, non sa che, molto spesso, tale comportamento è solo la reazione ad una
precedente vita forzatamente e sterilmente impostata e improntata al misticismo. Chi, per
timore di un castigo nell'aldilà, tiene una condotta irreprensibile dal punto di vista
religioso, ma solo nella forma e non nella sostanza, cioè senza uno slancio di apertura
verso gli altri , certamente rinasce, per reazione, ateo. Ma come ateo sarà, verso gli altri,
piú generoso e migliore di quanto lo fu come religioso. Viceversa, chi ha tenuta una vita
assolutamente sensuale sarà, nella successiva, per reazione, tutto volto al misticismo e
desideroso di migliorarsi. Un tale mistico, dall'esterno e nell'ignoranza di ciò che fu, può
essere giudicato un essere avanti nell'evoluzione, mentre il suo slancio religioso è solo
l'altro estremo di quella dualità, di quell'alternarsi dei contrari a cui sono soggetti e
soggiacciono coloro che ancora non hanno trovato l'intimo equilibrio.

Quando non c'è apertura verso gli altri, quando non c'è altruistica disponibilità, si può
spargersi la cenere sul capo quanto si vuole, ma si è solo lupi in vesti di agnelli. Di contro,
un ateo che trovi nelle dottrine materialistiche l'incentivo a difendere e a proteggere i
deboli e gli sfruttati, ha una vita, piú che morale, altamente spirituale.

L'alternarsi da un estremo all'altro della dualità fa parte della legge di azione e di


reazione; un aspetto della quale è la legge di causa e di effetto. Azione e reazione che ha lo
scopo di ricondurre ad un equilibrio in qualche modo alterato, ma soprattutto ha lo scopo
di far raggiungere la coscienza del proprio posto e della propria funzione, nei rapporti coi
propri simili.

In effetti tutto è perfetto e tutto conduce alla realizzazione di una sí tale coscienza.

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Qui riporto il link dello stesso brano in voce:


http://www.cerchiofirenze77.org/Voci/Non%20giudicare-Dali.mp3

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Non siamo mai soli
Sicuramente la perdita di una persona cara è una delle esperienze più difficili da affrontare
perché è sempre una parte di noi che ci viene strappata via.
Così siamo costretti a riguardare in noi stessi e rimparare a muoverci in una vita che non può
essere più la stessa.
Come ho scritto tempo fa, so che i nostri cari ci vedono e ci seguono al di là della nostra
possibilità di percepirli.
Se non possono intervenire nell'aiutarci a superare i momenti di sofferenza, è solo perché non
trovano la nostra mente e, ancora di più, la nostra consapevolezza disponibili a ricevere il senso
della loro presenza e del loro aiuto. Oppure, in molti casi, perché si accorgono di quanto sia
prezioso, per noi, riuscire ad elaborare da soli quella sofferenza.
Sono certo che la nostra apertura mentale e di cuore sono fattivi principalmente quando siamo
fuori dalla costrizione del dolore che chiude l'io impedendo l'ascolto.
Ci hanno insegnato che il nostro percorso evolutivo non è solitario, meno che mai solipsistico, in
quanto i sentimenti, anche se appaiono strumentali, dimostrano il riconoscimento di un'unione
che va oltre gli stessi.
Il cammino che compiamo non è solo tra anime che condividono la stessa realtà, ma anche tra le
anime che condividono parte dello stesso “sentire”.
Così l'amore sperimentato, provato ed espresso nei limiti del sentimento, dimostra un'unione
indissolubile di condivisione oltre ogni solitudine individuale.
E’ una partecipazione all'altrui, è una comunione che dimostra la trascendenza dell'essere che si
dovrà ritrovare sempre per perfezionare questa unione fino alla più completa identificazione per
cui l'amore e l'amato saranno la stessa cosa.
E’ vero che noi stiamo sperimentando noi stessi e da queste esperienze impariamo. Ma nello
sperimentare stiamo anche esprimendo una nostra verità, la confrontiamo con chi veniamo in
contatto e la raffiniamo da quello che ci viene come risposta alle nostre azioni e ai nostri pensieri.
Quindi non siamo delle monadi e le nostre sensazioni di vita e realtà, non percorrono vie
solitarie, ma compartecipative per quegli aspetti che esprimono le stesse qualità di sentimenti.
Questo sarà dimostrato quando, lasciando il corpo fisico, potremo ritrovare l'espressione
completa della nostra interiorità e ne scopriremo i legami con chi l'ha potuta condividere in tutti i
sentimenti di affetto, comprensione e amore.
Ritroveremo sempre chi abbiamo amato.
Questa affermazione, se può apparire come atto di fede, in realtà scaturisce dalle innumerevoli
spiegazioni di questo insegnamento la cui logica ha una coerenza che si ritrova nelle filosofie più
illuminate ed anche tra le spiegazioni che la scienza più avanzata ha saputo intuire.
(U.R.)

I fenomeni fisici di Roberto Setti


Da “ Sopravvivere” Anno III n° 2/3
Aprile- Settembre 1987
Autore Luciana Campani Setti

I FENOMENI FISICI

Posso con certezza affermare, per di più a seguito di serena ponderazione, che i fenomeni
fisici - soprattutto apporti - che ho osservato in seno al Cerchio Firenze 77, grazie alla
medianità di Roberto, hanno costituito nella mia vita, l’implicazione più rilevante, tanto
da aver originato il germe di ciò che poi ha modificato il mio atteggiamento pratico in
seno alla vita stessa e il mio “sentire” spirituale, il tutto però, senza che sia stata
ottenebrata, credo, la mia serenità di giudizio.

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Concordo tuttavia con quanto affermato dalla Guida Michel e che è riportato nel seguente
articolo, nel senso che le manifestazioni stesse non costituissero se non il clamore di una
grancassa, destinato a richiamare l’attenzione dei distratti – chiamiamoli pur così – in
relazione alla più importante delle estrinsecazioni, ovvero la messaggistica intellettiva a
contenuto spirituale.

A livello personale devo aggiungere che questa grancassa, penso, abbia battuto – sebbene
magari e per alcuni, per una volta sola soltanto – in relazione a qualche centinaio di
persone ma che, nel mio caso, sia stato conseguito l’effetto massimo, nel modo più
clamoroso e sconvolgente. Non scendo in particolari, poiché già ho abbondantemente
scritto in merito e moltissimi sono coloro i quali – sia pure per solo sentito dire (mi
riferisco, ovviamente, alla ristretta cerchia dei lettori di questa rivista) – sono al corrente
di quanto mi è accaduto.

Altra affermazione che mi sento di fare, è che giudico di essere stata una privilegiata
anche se – ripetutamente – mi sono sentita dire (sia nelle sedute fiorentine,sia
successivamente, ………….) – che ciò è successo “perché doveva succedere”: nel senso che
una ragione c’è stata e che le implicazioni del mio karma avevano comportato cause che,
nella mia vita attuale, dovevano appunto produrre questi effetti o, meglio, una tale
implicazione personale in simili accadimenti.

Nel mio caso, pertanto, la grancassa ha funzionato, e nel modo più sorprendente. Nutro
comunque un certo ritegno ad ammetterlo pubblicamente, ma devo tuttavia confessare
che presumo di essere stata la persona con riferimento alla quale sono stati battuti –
tramite quella grancassa – i colpi più rintronanti. Per questo ho detto di ritenermi,
nonostante arcane affermazioni in senso contrario, un privilegiato, sebbene soltanto
“piccola rotellina” di un grande ingranaggio.

La mia speranza è che, malgrado le mie disattenzioni, la frenesia derivatemi dall’ansia, il


mio slancio talora malcontento, non abbiamo se non limitatamente invalidato i “Piani” in
base ai quali sono stato coinvolto – almeno a livello personale – in maniera pregnante.

Parlando della medianità di Roberto Setti si è sempre preferito mettere in evidenza il


contenuto dei messaggi intellettivi, poiché è proprio a quello che le Entità comunicanti
davano importanza. Ricordo che una sera, durante una seduta, Michel– l’entità che
presiedeva appunto ai fenomeni fisici – iniziò con queste parole una delle sue
materializzazioni lente di oggetti: “Vedete, i fenomeni che accadono in queste riunioni
sono simili ai colpi di grancassa che venivano battuti per richiamare l’attenzione della
gente ad un discorso che si voleva fare. Ma errato sarebbe dare più importanza alla
grancassa che al discorso. E allora, soniamo questa grancassa”.

Anche Alan, l’entità di un inglese che si presentava spesso alle nostre sedute, cercò di
ridimensionare l’importanza dei fenomeni fisici parlandoci così: “La mia ultima
incarnazione fu nel secolo scorso, quando l’India era una colonia dell’Impero Britannico:
allora ebbi modo di osservare molti guru, molti Istruttori, maestri indiani. Erano molto

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più diffusi di quanto non lo siano oggi: c’era un’altra atmosfera nell’India del secolo
scorso e da ciò che potei vedere laggiù cominciai ad acquistare interesse per
l’insegnamento occulto.

La prima impressione quando si vede un fenomeno strano – e credo sia un’impressione


comune a tutti gli uomini – è che si crede che la persona in grado di produrre quel
fenomeno sia molto evoluta. Osservando, per esempio, un fachiro che riesce a far crescere
e sviluppare celermente una pianta, si pensa che sicuramente sia in possesso della
conoscenza. Ma non è così. Quelli sono fenomeni inconsueti (naturalmente parlo di
fenomeni veri, non di giochi di prestigio), ma molto spesso chi li produce non sa come essi
avvengono. Sono, per esempio, retaggio di altre incarnazioni nelle quali quella entità ha
eseguito certe pratiche, certi esercizi che sviluppano questi poteri occulti; poi, nella
incarnazione successiva, per qualche ragione karmica – non per caso certamente –
riaffiorano. Ed ecco che la nuova personalità si trova con questi poteri e automaticamente
li adopera, produce effetti strani, inconsueti ed anche belli, senza sapere come e perché.

Vorrei portarvi un esempio: nel caso di un bravissimo atleta che sapesse sollevare un
grave peso che gli altri uomini non riescono a sollevare, non pensereste certo che
quell’atleta conosce la Verità, non è vero? Lo stesso vale per certi fenomeni, questi poteri
che certi viventi hanno. E le entità stesse che li producono non sempre sono a conoscenza
delle Verità più nascoste.

Dicendo questo, noi siamo al di fuori di ogni sospetto, poiché nelle nostre riunioni questi
fenomeni fisici avvengono e non potremmo essere accusati de deprezzare i fenomeni fisici
solo perché non li sappiamo provocare. Se vi diciamo questo è per spiegarvi come stanno
le cose, ripetendo quello che sempre vi hanno detto i nostri maestri: e cioè di vagliare
attentamente ciò che viene detto e valutarlo. Il resto sono cose meravigliose, interessanti,
non v’è dubbio, ma non possono essere paragonate all’insegnamento che viene dato”.

Condivido quanto Michel e Alan hanno detto, ma resta la constatazione che le persone che
partecipavano per la prima volta alle nostre sedute erano soprattutto colpite dal
fenomeno fisico, sia che esso fosse l’apporto a materializzazione lenta, o le luminescenze,
o gli inspiegabili profumi, o il suono di una trombetta che sembrava volteggiare nella
stanza, o le carezze di una mano lieve lontana dal medium. Tutto questo dava loro la
certezza di essersi trovati di fronte a qualcosa di veramente paranormale.

Ed è forse di fronte all’interesse suscitato dai fenomeni fisici che quando stendemmo il
nostro libro intitolato “Sintesi” - stampato privatamente -Dali ci consigliò di dedicare un
capitolo alla descrizione di tutti i fatti strani che ci erano capitati, fino dall’inizio
dell’estrinsecazione di questa medianità.

Negli articoli ispirati alle nostre esperienze, nelle testimonianze di chi ha partecipato alle
sedute, nei libri che abbiamo dato alle “Mediterranee”. Si parla quasi esclusivamente
dell’apporto a materializzazione lenta, poiché il fenomeno che poteva essere osservato da
quindici o venti persone contemporaneamente, così come le intense luminosità e i
profumi erano percepiti da tutti i presenti. Ma vi sono stati fenomeni che solo poche
persone hanno constatato, esperienze delle quali esiste solo la testimonianza di coloro che

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le hanno vissute e che penso di poter riferire sicura che l’intento che mi sono prefissa nel
farle conoscere sia palese: dimostrare cioè quali latenti risorse esistono nei nostri veicoli
di evoluzione, quali meravigliose cose si potrebbero compiere sapendole fare emergere e
usare a scopi non egoistici.

Riferisco questo episodio così come è stato descritto sul nostro libro “Sintesi”. Una sera il
nostro medium era atteso per una cena in casa di amici: egli doveva trovarsi da loro verso
le venti.
L’attesa si protrasse oltre le ventidue, allorché l’atteso ospite telefonò avvertendo di
trovarsi – senza ricordarsi come e perché – al viale dei Colli, vicino al bar Fontana. Uno
degli amici si recò a prelevarlo in macchina e lo accompagnò nella casa dove era atteso
con una certa ansia. Roberto riferì che prima delle diciannove era stato dal barbiere per
farsi tagliare i capelli, poi si era diretto verso la fermata del tram per recarsi
all’appuntamento con gli amici. Da quel momento le immagini e il ricordo cessavano in
lui totalmente, per ritornare invece chiare e precise allorché si era trovato seduto sulla
panchina vicino al bar Fontana. Poco dopo aver raccontato agli amici, stupiti quanto lui,
queste inspiegabili circostanze, Roberto cadde in trance e nel corso di questa seduta la
Guida Dali chiarì che del medium si erano serviti quale “mezzo” per porgere conforto e
aiuto a un giovane angosciato sull’orlo del suicidio, Il colloquio con lo sconosciuto era
durato per più di un’ora.

Circa un anno più tardi, Roberto incontrò in tram un giovane a lui sconosciuto che si
avvicinò a lui, lo salutò e con molta effusione gli assicurò che tutto quello che egli gli
aveva detto quella sera si era avverato; precisò che aveva ottenuto impiego e che aveva
ritrovato fiducia nella vita.
Mentre il giovane parlava con Roberto cercava di ricordare a che cosa egli potesse riferirsi,
ma non gli venne in mente di collegare quelle frasi al ricordo di quella sera lontana.
Lo lasciò parlare per puro senso di cortesia, ma il giovane che inizialmente si esprimeva
con effusione e slancio, imbarazzato dal senso di distacco del suo interlocutore, divenne
meno espansivo. Subito dopo, ad una fermata, il giovane scese salutando.
Pochi giorni dopo, durante una riunione, la Guida spiegò che la persona incontrata sul
tram era esattamente quella che la sera dell’anno precedente era stata aiutata a superare
la grave crisi ed era stata felice di esprimere la sua riconoscenza a chi, con le sue parole di
conforto, lo aveva distolto da drammatiche decisioni. Ma di fronte alla non partecipazione
di Roberto aveva temuto che non si trattasse della stessa persona: cosa che in effetti era
vera, poiché solo il corpo fisico era lo stesso.

Anche per questo episodio mi servo del racconto scritto da amici, poiché io non ero
presente. “Eravamo ospiti nella villa di Beppe Cappelli, era una sera d’estate e con noi
c’era Roberto che non era mai stato prima d’allora in casa di quegli amici e non conosceva
la campagna circostante. Dopo cena ci sedemmo attorno ad un piccolo tavolo in giardino,
la calma e il silenzio attorno a noi erano assoluti. Roberto era seduto su una panchina di
legno, tra l’ing. Viezzoli e la signorina Wanda. Una debole luce elettrica proveniente da
una lampada affissa al muro esterno della villa, rischiarava la zona dove eravamo riuniti;
ogni altra parte del giardino era nell'ombra.In lontananza brillavano nitide le luci di
Firenze.

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Improvvisamente Roberto scattò in piedi, gettò la sigaretta che stava fumando, lo
vedemmo sollevarsi al di sopra della spalliera della panchina, poi arretrarsi verso la zona
d’ombra e scomparire agli occhi di tutti noi. Mal superando l’effetto della sorpresa e in
uno stato d’animo di viva inquietudine, ci ponemmo alla ricerca di Roberto: il cancello era
chiuso a chiave; all’interno della recinzione (oltre due metri di altezza), non ci fu possibile
trovare lo scomparso. Aprimmo il cancello e le nostre ricerche furono estese all’esterno,
sulla strada e nella macchia boschiva al di là della strada; la nostra inquietudine, di attimo
in attimo, aumentava mutandosi in ansia. Mezz’ora più tardi, dopo averlo chiamato
ripetutamente a gran voce, potemmo udire in lontananza Roberto che ci rispondeva: due
di noi, guidati dalla voce, gli andarono incontro nel bosco.

Rientrati in casa, con un senso di indicibile sollievo ma ancora scossi dallo sgomento
provato, ci facemmo

raccontare da Roberto cosa era accaduto: ma anch’egli ben poco sapeva.Ricordava solo di
essersi trovato nell’aia di una casa colonica disabitata, di aver visto le luci di Firenze e con
queste si era orientato verso il punto in cui sapeva esserci la villa degli amici di cui sentiva
in lontananza il richiamo. Nella trance che seguì fu spiegato che si era trattato di una vera
e propria smaterializzazione mai prima avvenuta, ma non ci fu detto quale era stato lo
scopo di questa esperienza”.

Questi episodi sono avvenuti agli inizi degli anni ’50, quando Roberto aveva circa
vent’anni e posso dire quasi con certezza che egli non aveva gradito il fatto che il suo
corpo fisico fosse usato per esperienze incontrollabili, anche se aveva la massima fiducia
nelle sue Guide. Un’altra esperienza lo aveva messo a disagio: una sera eravamo riusciti a
scattare una fotografia mentre dalla bocca di Roberto, in trance profonda, usciva una
massa ectoplasmatica, nel centro della quale si stava formando un volto di bimbo in
miniatura. Quando la mostrammo a Roberto, egli non seppe frenare un gesto di
disappunto: quella massa che gli usciva dalla bocca lo turbava.

Questi casi non si sono mai più ripetuti ed è mia convinzione che le Guide non abbiano
più voluto sottoporre Roberto ad esperienze verso le quali egli non si sentiva del tutto
disponibile. Nel proseguimento delle nostre sedute le volute ectoplasmatiche si sono
sempre dipartite dalle mani di Roberto e non più dalla bocca.

Un fenomeno che si è ripetuto diverse volte è quello della pioggia di petali di rosa
accompagnata da un intenso profumo, in concomitanza con la manifestazione di una
entità che parla con una dolce voce femminile. Aggirandosi fra noi in stato di levitazione.
Una nostra amica così racconta la sua esperienza: “…Dopo l’intervento di Dali si è
manifestata Teresa, preceduta come sempre dal profumo di rose fresche e pronunciando
brevi frasi con voce fievole e fra lunghe pause.

La voce proveniva dall’alto, poiché l’entità era in levitazione: ad un dato istante sentii che
Teresa mi era vicina e volli toccarla, ma non mi fu possibile. Eppure la sua mano mi aveva
sfiorato la fronte, mentre sentivo che

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qualcosa cadeva dall’alto con un leggero movimento d’aria: d’istinto protesi le braccia, ma
non riuscivo a capire di che cosa si trattasse. Terminata la seduta le riaccese le luci, vidi
nel mio grembo diversi petali di rosa e, fra essi, anche una rosa intera con gambo spinoso
e foglie: ma anche il pavimento era cosparso di petali di rosa bianchi.

Un’altra partecipante aveva tra le mani una rosa del tutto simile alla mia ed un’altra rosa
era posta sulla scrivania accanto al medium: essa era arricchita da due boccioli
semichiusi. La rosa, da me gelosamente custodita, ha conservato per molto tempo il suo
profumo ed il colore originale”.

Un’altra eccezionale esperienza che solo noi intimi possiamo testimoniare è quella delle
correzioni a mezzo scrittura diretta (1) dei dattiloscritti che Roberto ed io preparavamo
per la pubblicazione degli ultimi libri. La scelta veniva fatta tra le pagine che l’amica Nella
Bonora aveva scritto a macchina decodificando le registrazioni delle sedute: le mettevamo
in un ordine scelto da noi, a volte logico, a volte cronologico, senza apporre nessuna
correzione alle frasi che le entità avevano pronunciato.

Per i libri “Dai mondi invisibili” e “Oltre l’illusione” le correzioni sono avvenute così come
ha descritto Nella Bonora nel suo libro “Con amore, per amore”: (2) cioè Dali, servendosi
della scrittura automatica (3) di Roberto, correggeva i dattiloscritti, aggiungeva o scartava
qualcosa, dava una diversa disposizione ai capitoli.

Ebbene, per i libri “Per un mondo migliore”, “Le grandi verità”, “La voce dell’ignoto”, le
correzioni sono avvenute in maniera diversa. Roberto era già ammalato e si muoveva
raramente dalla sua casa di via Doni: il testo dattiloscritto preparato per essere spedito
alla casa editrice, veniva lasciato sulla sua scrivania la sera. La mattina dopo, trovavamo
correzioni a penna tra rigo e rigo, a volte una diversa disposizione dei capitoli, altre volte
intere pagine scartate e ripiegate a metà con la scritta “Queste no”; a volte, invece, intere
pagine scritte da Dali direttamente, con la stessa calligrafia da noi conosciuta quando
usava la scrittura automatica.

Da notare che se Roberto, in stato di trance inconscia, si fosse alzato e recato alla
scrivania, l’avvenimento non poteva passare inosservato a chi abitava con lui e che doveva
aiutarlo a sedersi sulla sua sedia a rotelle. Comunque una nottata non poteva bastare a
correggere un testo di trecento pagine: e che avvenissero messaggi a mezzo scrittura
diretta ci era noto anche da altri episodi.

Per il libro “Oltre l’illusione” avevamo scelto una frase da apporre nella prima pagina del
libro, traendola da un messaggio di Kempis degli anni ’50 e che sonava così: “…oltre
l’illusione delle forme, oltre il mondo delle ombre…oltre l’eterno divenire dei cosmi, sta il
supremo perché di tutto questo, sta l’Eterno, l’Infinito, l’Immortale, il Perfetto,
l’Assoluto.Oltre…oltre…”.

Quando ci fu inviato il pacco con le ultime bozze del libro da correggere, trovammo
stampata sotto questa frase di Kempis, un periodo a noi sconosciuto, siglato Dali. Roberto
e io fra tutti i dattiloscritti in nostro possesso questa frase, sicuri però di non averla mai
sentita pronunciare durante le nostre sedute e pertanto di non averla potuta includere nel

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testo inviato alla casa editrice. Chiedemmo perciò all’editore come aveva avuto quelle
righe e ci fu risposto che erano scritte a mano in una pagina posta all’inizio del testo, dopo
la frase di Kempis. Il brano in argomento, che ognuno può leggere all’inizio del libro
“Oltre l’illusione” è il seguente:

”Tu che possiedi questo libro sappi che puoi possedere molto di più che carta stampata.
Tu che lo leggi puoi comprendere molto di più di quanto è scritto. Tu che lo comprendi e
lo accetti possiedi molto di più della conoscenza, perché hai trovato quel filo di Arianna
che conduce fuori dal labirinto dell’apparenza e dell’illusione”.

Un Dio d’amore?
Un Dio d'amore può permettere tutto questo dolore?
Questo è un grosso dubbio della fede; oppure può essere un dubbio della ragione.
Per comprendere il dolore, le crudeltà e le apparenti ingiustizie, abbiamo bisogno di
allargare la nostra concezione della vita in un disegno che trascenda il particolare per
mostrare l'armonia e la giustizia dell'insieme.
Così i Maestri (e non solo) hanno spiegato altro; hanno allontanato il dio antropomorfo,
scoperto la trama e hanno cercato di farci comprendere i meccanismi del dolore. Hanno
universalizzato la giustizia tanto che il particolare, per quanto atroce, diventa prezioso sia
per chi lo vive in prima persona, sia per chi vi assiste e ne è colpito nei sentimenti e nella
ragione.
Così si è costretti a pensare, rivedere la nostra posizione, creare nuove vie di
comprensione; si muore e si rinasce, si cresce nello spirito; così il disegno, gradatamente,
si mostra.
Occorre coraggio per creare un pensiero diverso.
Rimane il pianto per il dolore subito o visto. Ma ci può essere forza solo nel riscatto
(proprio e altrui) in modo che il dio allontanato, possa ritornare nel proprio intimo e
continuare a sperare.

(U.R.)

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Una ricerca per superare il dolore
Sappiamo che il nostro è un percorso che si appoggia sull'illusione del divenire e si
muove in una tensione nel cercare di sfuggire al dolore o al disagio di una vita che
sentiamo limitata.
E’ da qui che siamo partiti tutti: la ricerca di una nuova strada che ci possa far
raggiungere quella serenità sperata e così apparentemente irraggiungibile per come
siamo fatti.
In questo insegnamento subentra una filosofia che stravolge ogni percorso insegnato da
altre linee di pensiero o dalla maggioranza delle religioni.
Non ci dicono di cambiare né di tendere a farlo, ma ci prospettano una via che sarà
possibile solo se ci rendiamo consapevoli dell'attuale e non forziamo, in nessun modo, la
nostra natura.
Ci insegnano che “l'essere” (ciò che siamo, per quanto ci sentiamo) è perfetto in sé,
perché rappresenta l'unico modo di esprimere vita, l'unico modo che ha la nostra
coscienza per poter realizzare la sua verità.
Da questo scaturisce tutta una serie di illusioni (compresa quella dell'io). Ma è già stato
detto che devono essere intese, non come falsità, ma come limiti di concezioni di una
realtà che è ben diversa da quella che appare.
Questo ci fa comprendere la strada e la grandiosità di ciò che ci aspetta; tacita la mente e
i suoi perché, ci aiuta a renderci parte di una verità che scopriamo gradatamente con
l'espressione piena di noi stessi.
Dunque, tutto ciò su cui ci appoggiamo, è illusorio rispetto all'Assoluto (l'unico ad essere
oggettivo), ma è “vero” per quello che sentiamo. L'importante è che riusciamo a sentirlo
senza le sovrastrutture falsificanti di un'illusione di voler essere diversi; perché
quest'ultima è l'unica vera illusione che non ci potrà mai far comprendere la Realtà.
Ecco che qui si manifesta l'importanza del “Conosci te stesso” insegnato da Claudio.
Ci hanno insegnato che la sofferenza potrà sparire solo quando la nostra percezione sarà
sostituita con un identificazione con la realtà di nostra competenza. Ma non basta
capirlo, non basta spostare la nostra attenzione su qualcosa che, per ora, non è ancora
maturo per manifestarsi.
Saperlo ci può indirizzare, consolare, confortare che la strada indicata è quella giusta, ma
non ci dona l'evoluzione necessaria per provare quella verità.
Allora i Maestri, dopo averci detto che noi non siamo il nostro Corpo Fisico, non siamo il
nostro Corpo Astrale, ecc., ci dicono che:
“….Non è vero niente!, perché l'individuo quando è incarnato è il suo sé, la
sua scintilla divina, la sua collana di sentire, i suoi pensieri, il suo corpo
astrale e il suo corpo fisico: è un microcosmo che comprende tutto questo.”
Ecco che si ritorna all'accettazione di ciò che siamo. La completezza del nostro essere
non sta nelle divisioni formali, ma nella consapevolezza del momento relativo che stiamo
sperimentando.
La conclusione è abbastanza semplice.
La vita è sofferenza perché c’è incomprensione.
Là dove si è raggiunta la comprensione, ogni sofferenza svanisce, perché non ha più
ragione di essere.
Dunque questo insegnamento ha lo scopo di eliminarci ogni possibile sofferenza, nel
presentarci la realtà non per quello che appare (fonte di dolore nei contrasti che ne
derivano), ma per quello che è (fonte di riconoscimento e partecipazione-amore).
Ci hanno insegnato a “vedere” il contrasto apparente, a sperimentarlo nel modo giusto
(conosci te stesso), a riconoscerlo come parte di una nostra natura che vuole essere
liberata; e lo sarà solo se sapremo vivere ogni singolo atto della nostra vita con
“consapevolezza”.
Quando c’è consapevolezza, c’è anche comprensione. E quando c’è comprensione, il
dolore cessa.

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(U.R.)

Responsabilità e scoperta
Sono convinto che la nostra sia una ricerca di consapevolezza più che di conoscenza, e
quello che abbiamo letto, imparato e condiviso intellettualmente dalle Guide, si può
sintetizzare in un'indicazione di responsabilità.
Tutta la filosofia di questo mondo (trascendentale o no) non serve a niente se non viene
lavorata e confrontata nella vita quotidiana.
Ecco che solo così può diventare “scoperta”; e quello che è stato imparato, può emergere
come una consapevolezza che gradatamente diventa nostro come “sentire” che non sarà
mai più perso.
Estratto dal libro “la Voce dell'ignoto” Edizioni Mediterranee, c'è una comunicazione di
Claudio in cui ci invita a renderci resposabili del nostro mondo, al di là di quello che la
società sembra imporci.
La propongo qui:

“………..
E’ chiaro che ognuno si attende che questo cambiamento avvenga imposto
dall'alto, da chi governa, dai pubblici poteri, essendo ognuno convinto di non
avere ruolo alcuno nella cosa pubblica.

Noi affermiamo che ciascuno ha la sua responsabilità, ognuno contribuisce a


creare l'ambiente nel quale vive, non fosse altro con le tacite acquiescenze.

Ciò che noi diciamo è esattamente l'opposto di quello che si crede


comunemente. Nessuno è responsabile della vostra inettitudine. Se la società
è ingiusta è perché voi non siete sensibilizzati al problema della giustizia, e a
vostra volta siete ingiusti.

Come potete pensare di responsabilizzare gli altri di ciò che voi dovete fare e
non fate! Quando osservate il triste spettacolo della corruzione e del facile
arricchimento, voi rimpiangete di non essere nel giro, di non avere
l'occasione di arricchire facilmente a vostra volta. Così, allo stesso modo,
condannate il privilegio perché voi non siete privilegiati.

Se non viene superata individualmente una concezione egoistica della vita,


nessun problema che affligge l'umanità potrà essere durevolmente risolto.”

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Percorriamo l'infinito o
siamo infinito?
Una bella domanda che ha
prodotto scuole di pensiero
che affermano sia l'una che
l'altra ipotesi.
Uno strano dubbio, anche
perché non si è nemmeno
certi di quello di cui si sta
parlando.
L'infinito ha senso solo se è
collegato a una concezione
spaziale o temporale. Ma se
si supera questo limite, il
quale è un parametro
relativo della nostra
percezione, l'unica cosa che
resta è “l'eternità”, la quale
non ha spazio né tempo,
perché è.
Dunque l'eterno presente è
quella condizione che, ci
hanno insegnato, trascende
il divenire per realizzare
“l'essere”.
E’ un concetto che
appartiene anche a molte
ipotesi scientifiche, le quali
hanno riconosciuto la
concezione del tempo
(quindi del divenire) come
un parametro relativo a uno
stato limitato di percezione e
concezione della realtà.
Chi ha letto i libri del
Cerchio Firenze 77, avrà
notato come la definizione di
“vita” (natura esterna
dell'Assoluto), pur partendo
dall'evoluzione della forma,
della sensibilità e
dall'autocoscienza, poi si
amplia nel “sentirsi di
esistere” autonomo, il quale
non ha più bisogno della
percezione e del senso del
tempo, come scorrere e
come un divenire di
trasformazione. Così la vita
si espande nell'essere,
raccoglie il senso di tutta la
storia cosmica e, finalmente,

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si identifica con una
coscienza così grande che
sfocia nell'Assoluto.
Da questo si capisce che “la
trasformazione”, come
cambiamento di stato, è solo
un mezzo per accedere ad
altro e l'eterno presente è la
condizione massima di un
Assoluto che “è”.
Se si trasformasse, se
mutasse nel tempo, non
sarebbe più l'Assoluto di cui
ci hanno parlato e di cui
parliamo. Il problema perciò
è quello dell'errore di
pensare e ragionare in
termini di “tempo”.
Come ho già scritto, è
risaputo che il tempo non
esiste come fatto oggettivo.
Infatti ci viene spiegato che
questo deriva dal particolare
stato di percezione di una
realtà, di per se stessa, senza
tempo; quindi è un
parametro soggettivo,
superabile e superato nel
momento in cui la nostra
qualità di coscienza è in
grado di maturare nuove
dimensioni di verità.
Einstein ce lo ha insegnato e
la fisica quantistica lo ha
ribadito in molte sue
speculazioni sulla natura
della Realtà. Perciò il nostro
“sentirsi di esistere”,
appoggiandosi al tempo e
alle dinamiche della mente,
crea l'io come individualità
che pensa; così è nato il
detto “cogito ergo sum”
dell'antica filosofia.
Però questo è un appoggio,
una sensazione relativa e
limitata; non è il sentirsi di
esistere libero dalla mente e
autonomo nell'essere.
Percorrere all'infinito la
Realtà, mi appare un
concetto che voglia
mantenere l'io e che non

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voglia superare e
trascendere nessun
parametro umano. Lo trovo
estremamente limitante.
Inoltre non avrebbe senso
l'Assoluto se rimanesse un
concetto estraneo a
qualunque possibilità di
comprensione, perché si
ragionerebbe sempre nei
termini della dualità e
perderebbe senso il concetto
(anche scientifico)
dell'unitarietà della Realtà;
cioè del tutto-uno-assoluto.
(U.R.)

Per chi fosse interessato, informo che il primo libro del Cerchio Firenze 77 (Dai mondi invisibili,
Incontri e colloqui) è stato tradotto in spagnolo ed editato da Amazon.

La futura condizione di esistenza


Kempis nel Maggio 1982, riportata sul libro “La Fonte Preziosa”, fa una lunga trattazione
sulla Futura condizione di esistenza:

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“Ci sono dei pensatori che tentano di spiegare la realtà con gli elementi che hanno a
disposizione, o meglio con le idee che la loro visione parziale suggerisce. Ne risultano
teorie non solo antropomorfiche ma che nemmeno sono l'espressione della possibilità
dell'uomo di pensare in termini generali. Uno di questi esempi è dato dall'affermazione
che il destino dell'uomo, quale essere spirituale, lo assoggetta ad un divenire senza fine.
L'essere spirituale continuerebbe in eterno un processo di acquisizione. Tutto questo, poi,
non provvederebbe un abbandono della Terra in senso ultra-fisico; cioè la Terra, sì,
sarebbe abbandonata, ma l'essere continuerebbe, in altre dimensioni spirituali, una vita di
relazione basata sulla percezione, sulla sembianza della realtà. L'essere spirituale sarebbe
un uomo divinizzato, idealizzato, e nulla più.

E’ chiaro che una simile affermazione deriva dalla incapacità di trascendere la propria
condizione umana per accedere anche solo a quella intuizione di cui certi uomini si
servono per scrivere dei racconti di fantasia. Pensare che il destino dell'essere spirituale lo
releghi in una condizione in fondo antropomorfa, significa non solo non intuire la realtà
ma addirittura difettare di immaginazione.
Certo, io non sono qua a raccontarvi cose immaginarie, però se per farvi capire quello che
voglio dire devo fare appello alla vostra fantasia, ebbene considerate pure quello che dico
una favola, ma comprendete!

La difficoltà maggiore a capire il destino, la futura condizione di esistenza dell'essere


spirituale, è data dal non riuscire a immaginare come egli trascorra la sua esistenza, che
cosa faccia.
Se poi si afferma, come noi facciamo, che l'essere, sperimentata, per manifestare, una
coscienza relativa, si identifica nella coscienza assoluta nella quale è abbattuta ogni
separazione, ogni limitazione, ogni successione, e gode della plenitudine assoluta, spesso
si sente chiedere: e poi?, proprio quale involontaria dimostrazione della incapacità di
superare il modo umano di concepire la realtà. Si può parlare di un « poi » in un simile
stato di coscienza?
Un « poi » e un « dove » derivano da una condizione di esistenza limitata in senso
spaziale e in senso temporale; da una abitudine a percepire la realtà in successione e in
separazione.
Ora, invece, per avvicinarsi a capire un simile stato di coscienza, bisogna riuscire a
immaginare uno stato di superamento della separatività, cioè una coscienza che abbraccia
tutto quanto esiste, perciò un superamento dell'io e del non io e quindi il superamento del
modo di percepire basato sulla separatività. Non solo: tutto ciò, pur dando l'idea di una
coscienza che non conosce limiti in senso spaziale, non dà ancora l'idea di un
superamento dei limiti in senso temporale, che invece c'è nella coscienza assoluta. Se tutto
quanto esiste mutasse nel tempo, una coscienza che abbracciasse tutto quanto esiste solo
in senso di estensione, di quantità, sarebbe pur sempre limitata in senso di successione
temporale, perciò non sarebbe ancora assoluta. Mentre, per essere tale, la coscienza deve
comprendere anche le mutazioni.

Che cosa sono le mutazioni? Realtà diverse. Che cos'è l'io o un essere? La coscienza
limitata ad una parte, o, più precisamente, sentire la realtà in termini di parte. Che cos'è
un essere rispetto ad un altro? Un modo diverso di sentire la realtà in termini di parte. E

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che cos'è un io, una coscienza, un essere, nella successione? Ancora un modo diverso di
sentire la realtà in termini di parte.
Non fa differenza: sono tutte realtà diverse. La definizione della differenza dei sentire di
un momento, appartenenti ad esseri diversi, calza, è la stessa, per la differenza di sentire
di momenti diversi appartenenti ad uno stesso essere. Si tratta di modi diversi di sentire
la realtà in termini di parte.

Allora, che cosa sono gli esseri? Se il mio sentire di ora è diverso dal vostro di ora allo
stesso modo di come è diverso dal mio sentire di un altro momento, che cosa è che mi fa
dire « il mio sentire »?
Certo il fatto che io l'ho vissuto. E che cosa è che mi fa dire « io l'ho vissuto »? Certo la
memoria, ossia la capacità di conservare in sé, per poter evocare, immagini di cose viste,
suoni uditi, sentimenti, stati d'animo provati, idee acquisite. Ma altrettanto certo è che il
ricordo, per quanto vivo possa essere, è un'ombra, uno spettro; non è la realtà; non è
tornare a vivere l'esperienza.
Il ricordo è memoria di un presente che fu. E quel che fu, per avere una esatta
collocazione cronologica, deve essere riferito nella memoria a fatti certamente datati;
altrimenti non è collocabile, altrimenti è un « non ora » che non si distingue da tutti gli
altri « non ora » che la memoria riesce a ricordare. Questo perché la coscienza è sempre al
presente.
Una coscienza che sia al tempo passato o futuro è inconcepibile: passato o futuro rispetto
a che cosa? Al proprio essere. Ma siccome la coscienza è l'essere, è assurdo per misurare la
propria distanza, separazione,
disidentificazione, eccentricità, prendere quale punto di riferimento se stessi: il valore
sarà sempre zero.

Perciò la coscienza è sempre al presente, sicché il proprio essere è sempre solo quello del
momento presente. Ogni momento siamo un essere diverso e, infine, quale reale
condizione di esistenza, siamo un essere totale.
Sicché il mio sentire che fu, non mi appartiene più di quanto non mi appartenga il sentire
di un mio simile; o meglio mi appartiene come quello di un mio simile. Difatti, se perdessi
la memoria, in forza di quale altra facoltà potrei dare la paternità ad un sentire?
Certamente nessuna.
D'altra parte, la memoria non è determinante nell'esistenza del sentire. Se si togliesse la
facoltà di ricordare, non cesserebbe il sentire: non si avrebbe più cognizione del tempo, si
avrebbe cognizione che l'esistenza, la coscienza, è un continuo presente.
Il sentire di ogni istante - o meglio innumerevoli sentire che creano gli istanti - sono
completi in se stessi; ciascuno afferma, manifesta una realtà.
Sicché quel tenue e lacunoso filo che è la memoria, su cui si intreccia ogni rapporto con gli
altri; che ci ricorda chi sono, che cosa ci debbono, cosa possiamo pretendere; che
volutamente si smarrisce quando ci torna utile fingere di averlo smarrito; quel filo senza
del quale non sappiamo chi siamo, qual è il nostro nome, e su cui fondiamo tutta la nostra
vita di uomini, se si spezzasse, pur così determinante, non ci toglierebbe la cosa più
importante del nostro esistere che si identifica con l'esistenza stessa: il sentirsi vivi, la
coscienza di esistere.
Ma pure, questo sentire di istanti è legato in una catena, non solo per effetto di quel

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fragile ed evanescente filo che è la memoria; al di là di ciò che possiamo ricordare e del
potere condizionante del ricordo, gli innumerevoli sentire che con la memoria creano gli
istanti si chiamano, si susseguono, si legano in virtù di qualcosa che non può essere
apparente e caduco perché è la forza di coesione che crea l'essere, che fa di tante parti un
sol tutto.

Che cos'è che tiene uniti gli atomi della materia se non una forza che promana dall'atomo
stesso? In modo analogo, la forza che unisce gli atomi di sentire che compongono la
coscienza, scaturisce dalla natura stessa del sentire. E dalla natura stessa del sentire
dipende l'ordine secondo il quale i sentire sono uniti, e quindi la successione secondo cui
si manifestano; o meglio, sembrano manifestarsi in quella successione perché, in
quell'ordine, sono concatenati.
Dalla natura stessa del sentire relativo nasce l'ordine secondo cui esso è disposto e quindi
secondo cui è disposto tutto quanto esiste: infatti le situazioni del mondo fisico, emotivo e
intellettivo sono strettamente unite ad un relativo sentire, tanto che all'apparenza è
impossibile dire se siano quelle situazioni ad essere come sono perché discendono da quel
sentire, oppure se il sentire è quello che è in conseguenza di come sono le situazioni
fisiche, emotive e mentali. In effetti, c'è un legame secondo il quale le coscienze del
momento, i sentire, si legano, ed è il legame logico.

Paragoniamo il sentire iniziale di coscienza di una incarnazione ad una equazione


impostata: i sentire successivi, quelli in senso lato, logicamente legati all'iniziale, sono
rappresentati dai vari passaggi che conducono alla soluzione dell'equazione. La soluzione
rappresenta la caduta di una limitazione del sentire e l'ampliamento della coscienza. Lo
stesso legame logico esiste fra l'impostazione di una equazione e l'impostazione delle
equazioni successive. Ne risulta un sistema di equazioni in cui tante sono le incognite
quante le equazioni, perciò un sistema risolvibile. Ossia tutte le limitazioni cadono, tutte
le incognite sono conosciute.

Un'altra domanda che frequentemente viene fatta è « che necessità ci sia che ogni essere
nasca da Dio e a Dio ritorni, cioè che compia tutta una trafila così complessa e, in fondo,
faticosa ». Prima di rispondere non si può fare a meno di dire che se la faticosa trafila è il
prezzo per dare all'essere la coscienza assoluta, è molto più quello che si ha di quello che si
paga. Tuttavia una simile domanda è frutto di una errata concezione della realtà perché
non tiene conto del fatto che al di là di ciò che appare, nella successione e nella
separazione - cioè nell'illusorio divenire - nessuno si stacca da Dio o a Dio ritorna o
giunge: tutto è sempre in Lui.
Se mai la domanda giusta è « che funzione hanno gli esseri nell'esistenza divina », e, più
giusta ancora, « qual è la funzione della coscienza del sentire relativo, nella coscienza
assoluta ». Rispondo che la coscienza assoluta è una nel senso di unica e unitaria, però
non nel senso di avente una sola qualità, anzi in questo senso è molteplice e poliedrica.
L'Unità è realizzata con la comunione degli elementi, cioè in uno stato di esistenza in cui,
per esempio, la vita che un uomo vive in successione è sentita simultaneamente nel non
tempo, ossia in qualcosa che non ha né prima né dopo, né perciò durata, ed è sentita
simultaneamente alla vita di tutti gli esseri.

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Tutto questo non significa che la coscienza assoluta sia uno stato d'essere frazionario, di
confusione, nel quale tutto si accavalli e confonda.
Già la coscienza umana - che pure è relativa - è unitaria. Ogni momento del sentire che
origina gli esseri, è presente nella coscienza assoluta identicamente a come gli esseri lo
sentono. Non potrebbe essere diversamente da così, dato che il sentire che origina gli
esseri è lo stesso sentire contenuto nella coscienza assoluta. Non è uno identico, è lo
stesso.
Se tale sentire non esistesse nella coscienza assoluta non esisterebbero né gli esseri, né la
coscienza assoluta. Dunque l'esistenza degli esseri appartiene all'esistenza di Dio e la
ragione della loro esistenza risiede nella completezza, nell'assolutezza della Realtà divina.
Il sentire di coscienza che ciascun essere manifesta è un elemento costituente della
coscienza assoluta, dove esiste in un eterno presente, al di là dell'illusorio manifestarsi in
successione temporale. Ciascun sentire è un momento, un elemento dell'essere relativo,
come ciascun essere è un elemento dell'organico Essere assoluto.

Questa concezione della Realtà esistente, rendendo partecipe della Divinità tutto quanto
esiste, spiega come niente e nessuno possa essere considerato reiétto, escluso, perduto.
Tuttavia, mentre conforta con la certezza che nessuno può perdersi definitivamente - anzi
ognuno è destinato fatalmente alla massima gloria dell'esistenza assoluta - può indurre a
credere che non abbia alcun valore cercare di mutare gli avvenimenti, migliorare le
situazioni e le persone essendo già tutto esistente al di là del tempo e della volontà
dell'uomo.

Una simile errata conclusione è evitata tenendo presente che, siccome tutto quanto è
percepito da ciascun essere, costituisce uno stimolo alla sua evoluzione, alla costituzione e
rivelazione della sua coscienza - ed anche se la percezione è comune a più esseri
rappresenta per ciascuno un'esperienza personale - ne risulta che tutto quanto esiste è
come se esistesse solo ed esclusivamente per ciascun essere, solo per la costituzione-
rivelazione della sua coscienza, come se ciascun essere fosse al centro di uno spettacolo
vitale concepito solo per lui ed egli fosse l'unico essere ad esistere. Mentre, in realtà,
innumerevoli sono gli esseri, pure essendo ciascuno unico e irripetibile. Perciò ciascun
essere - essendo come se fosse l'unico ad esistere è come se fosse l'unico a partecipare,
manifestare, far esistere la coscienza assoluta.
Allo stesso modo siccome la realtà colta da ciascun essere è percepita in successione, in
divenire, è come se la realtà fosse tale, cioè stesse ora sviluppandosi, prendendo corpo,
mentre in effetti la Realtà esiste già nella sua completezza. Tuttavia non potrebbe esistere
se non si manifestasse così come ciascun essere la percepisce e la manifesta. Perciò nel
momento in cui il sentire è sentito è come se fosse il momento in cui prende esistenza; da
qui l'importanza della propria esistenza e della propria volontà.

Ciononostante, per la vostra mentalità di uomini inseriti in una realtà di apparente


divenire, in cui impera il principio di causa e d'effetto differito, resta difficile capire che
senso abbia, per esempio, aiutare un vostro simile se egli, per la legge karmica, non abbia
via di uscita; oppure lottare per far volgere gli eventi in un certo modo quando, nel piano
divino, fossero stabiliti in modo diverso. Una simile incomprensione ha le sue radici in
una coscienza della realtà che è già molto se riesce a stimolare l'uomo ad agire con la

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promessa di un risultato; una concezione della realtà tutta esteriore; mentre in effetti
quello che è considerato mondo esterno è importante nella misura in cui si trasfonde in
esperienza interiore; sicché il dare o il fare non sono tanto importanti per la riuscita
quanto per il proposito, quanto per l'intenzione del soggetto.

Guardiamo più nel dettaglio l'articolazione di tale verità.


Esiste una storia generale dell'umanità che è data dalla cronologia degli eventi umani di
carattere politico, sociale, economico, religioso e via dicendo. Tale storia è immutabile,
non può essere variata; in essa si intessono le storie individuali, personali degli uomini.
Storie particolari, che possono avere - sia pure in misura limitata - varianti. Non si deve
credere che laddove la storia particolare può essere variata - cioè laddove esiste una
possibilità effettiva di scelta - tutto sia lasciato nella nebbia dell'indefinito. Tutt'altro:
nell'Eterno Presente delle situazioni cosmiche esistono già definite tutte le alternative alla
scelta possibile. Se, ad esempio, due sono le possibilità che la scelta offre, due sono i rami
della storia tracciati. Quindi, non indefinizione, ma doppia definizione.
Non si deve neppure credere che la storia generale sia più importante delle particolari;
infatti da un certo punto di vista non è che la risultante di quelle, perciò da quel punto di
vista sembrerebbe subordinata ad esse.
Ma così non è, tant'è vero che la storia generale è costituita in funzione delle storie
particolari, ma non in dipendenza di quelle. Cioè la storia generale è costituita in funzione
delle esperienze evolutive dei singoli individui e quindi in funzione delle esperienze che
essi debbono compiere; ossia non è l'uomo che segue un destino già tracciato, è l'inverso:
il tracciato è quello che è per offrire all'uomo le esperienze che vuole e che deve avere.
Tuttavia, laddove le scelte individuali andrebbero ad influire nella storia generale - cioè la
storia generale diventerebbe dipendente dalla particolare -, perché ciò non avvenga il
problema è risolto attraverso alla « variante », alla doppia definizione degli avvenimenti:
l'una è quella che gli altri vedono e che per loro costituisce un passaggio obbligato - la
storia generale -; l'altra è quella vissuta personalmente quale frutto di una possibilità di
scelta che si discosta da quello che gli altri debbono necessariamente vedere e vivere e che
costituisce la libertà del singolo nella necessità della collettività. In altre parole, allorché la
scelta di un singolo si ingerisse nella vita degli altri in modo contrario alla loro necessità
evolutiva, la scelta - attraverso ad una variante - sarebbe vissuta da lui solo, proprio per
evitare l'interferenza.

Supponiamo che un capo di stato sia posto di fronte al dilemma di porre il suo popolo in
guerra o no. Chiaramente la guerra è un evento generale e quindi invariabile, perciò se il
capo di stato avesse la libertà personale di sottrarsi alla guerra - cioè la possibilità di non
dichiararla per vivere in pace -, a scelta operata lui solo vivrebbe la pace, mentre tutto il
suo popolo vivrebbe la guerra. L'esempio, ovviamente, è radicalizzato, portato agli estremi
limiti, paradossale; però spero che se anche è irreale, serva a farvi capire la realtà. Già
sento qualcuno di voi concludere: « Se la guerra è un avvenimento predestinato, è inutile
pregare o manifestare perché non avvenga ».

Ed eccoci tornati al nocciolo del problema. Secondo voi, che il capo di stato firmi o non
firmi la dichiarazione di guerra, è lo stesso? Spero che riusciate a capire che se anche la
guerra deve scoppiare, è estremamente importante che il capo di stato scelga la pace:

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l'atto investe la sua persona, la sua intenzione e quindi la sua comprensione, la sua
evoluzione, la sua coscienza - che si tratta di avere o non avere, che c'è o non c'è. Vi pare
poco?
Certo, ai fini collettivi la decisione del singolo non può mutare ciò che gli altri debbono
avere o non avere, ma al fine individuale quanta importanza ha che si faccia o non si
faccia una cosa indipendentemente da quello che sarà il risultato!
Se pensate che sia inutile cercare di aiutare i vostri simili perché comunque voi facciate le
cose andranno come è scritto che vadano, vi dico che in ogni caso una cosa
importantissima verrà a mancare: quella per la quale tutto esiste e vive, per la quale si
succedono i giorni, le vite, le storie: la vostra coscienza, quella coscienza che è la
manifestazione di un Dio nell'essere e in forza della quale esistiamo e per mezzo di cui
nulla, infine, può rimanerci estraneo, dandoci essa la plenitudine assoluta.

Sicché, pregate o manifestate per la pace; anche se non potete cambiare le cose che non
possono essere cambiate, potrete cambiare voi stessi e con voi stessi il mondo, la realtà
nella quale vivete. Se anche il vostro operare altruistico non raggiungerà lo scopo
prefissato, voi, operando, vi potrete dalla parte giusta. E questo vi pare poco o inutile?”

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Importanza dell’intima convinzione
Sono sempre stato convinto che l'atmosfera dei nostri pensieri ha un enorme potere, non solo di
renderci la vita un Inferno o un Paradiso per quello che possono essere le nostre paure o le nostre
speranze, ma anche di letteralmente creare opportunità che diversamente non sarebbero possibili.
In questa comunicazione, che traggo dal libro “Le grandi verità ricercate dall'uomo” Kempis mi ha
confermato e meglio chiarito questa idea.
*******************************************************
L'importanza dell'intima convinzione
“Ancora ribadisco l'importanza dell'intima convinzione nella riuscita della vostra
attività; e l'intima convinzione è tanto più determinante quanto più siete impegnati ai
limiti delle vostre possibilità. Un atleta impegnato a superare un record, se non crede
alla sua possibilità di farlo non lo farà mai. Quando attraversate dei periodi difficili, le
vostre possibilità diminuiscono molto ed è come se agiste a livello di superamento di
record; perciò può accadere che non riusciate anche nelle cose che normalmente fate
senza pensare. Tale è la spiegazione della sfortuna che sembra perseguitarvi.
Siate ottimisti e fiduciosi; tanto, le cose che debbono necessariamente accadervi
nessuno può stornarvele, e quelle che ricadono nella probabilità che invece possano
essere evitate è più facile che le evitiate con l'ottimismo che con la paura.
Datemi ascolto: bruciate la convinzione nella potenza dei maghi, streghe e fatture,
onnipotenti solo nel regno dell'ombra, del sogno e della fantasia. Abbiate fiducia in voi
stessi.
Nessuno può darvi ciò che non riuscite ad avere, a fare vostro. Liberatevi dalla
superstizione!
Il mondo dell'occulto, la dimensione ultramateriale non esiste per soffocare l'uomo
ancor più, ma per fargli superare i limiti del mondo materiale, per aprirgli nuovi spazi e
nuove possibilità.
Aiutateci a suonare quelle campane che, all'alba, coi loro rintocchi, fugano i fantasmi
della notte e sprofondano nel nulla, quali inesistenti realtà, incubi e paure, retaggio di
tormentati sogni.”
****************************************************************

Mi colpisce come anche questa “intima convinzione” si debba supportare con le giuste informazioni,
tali da superare quelle idee (direi quasi superstiziose) che riguardino l'aldilà, compresa quella di spiriti
che, in qualche modo siano “intrappolati” sulla terra o in qualche altro posto e siano votati al male
dell'uomo, è un'altra invenzione di chi vuole per forza vedere delle forze contrapposte.
Invece dovremmo aver imparato che l'evoluzione non ha trappole, ma tutto tende all'armonia e alla
comprensione di quello che, nel relativo, può apparire diviso e contrapposto.
Rendersi conto che tutto quello che si percepisce, si interpreta attraverso una visione relativa, quindi
parziale, è molto importante per meglio giudicare i fatti, le persone ed anche noi stessi.
Così si può iniziare un processo di conoscenza più libero da pregiudizi e superstizioni, intuendo una
verità allargata all'essere oltre ogni contrapposizione illusoria, seppur necessaria in questa fase
evolutiva.
Ci aspetta qualcosa di diverso, così grande da non poter essere contenuto dalla mente. Eppure è il
nostro destino e sono convinto che un giorno, guardandoci indietro, rideremo delle nostre storie che ci
appariranno come favole per bambini cattivi.
(U.R.)

Il bene e il male in rapporto con l’Assoluto


A mio parere certe concezioni limitano il concetto di Assoluto.
Sento spesso dire che in Dio tutti gli opposti coincidono. Mi sembra quasi che si voglia
conciliare gli opposti in una giusta destinazione che li contenga e li trascenda.

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L'idea, contenuta nella filosofia del Cerchio Firenze 77, invece, mi appare più allargata a
una concezione che non ha nessuna definizione come risultato della trascendenza delle
parti.
“L'Assoluto è tutto che il tutto trascende”. Quindi è “altro” pur essendo alla radice di ogni
cosa.
E’ anche al di là del bene e del male, come concetti relativi di una contrapposizione, la
quale definisce dei limiti di comprensione e di stato, non la cosa in sè.
Il fuoco non è male, ma lo diventa quando mi metto nelle condizioni di bruciarmi.
Dunque il male non è nel fuoco e non è il fuoco, ma è in un'azione effettuata
nell'ignoranza, che disturba un equilibrio fisico, mentale, emotivo.
Se, invece, si parla di amore, il discorso cambia, perchè Kempis lo ha definito addirittura
come “la natura interna dell'Assoluto” (quella esterna è la vita).
Si capisce che l'amore non è un sentimento, ma un riconoscimento intimo di
appartenenza e identificazione; è uno stato d'essere che “sente” una parte o il tutto.
E’ sommo bene?
Direi che è l'equilibrio raggiunto oltre ogni contrapposizione; quindi sicuramente il
sommo bene.
L'amore, essendo la natura interna dell'Assoluto, è anche alla radice di ogni essere che
“sente”, è il legante del tutto, il senso della vita che si espande.
Quindi non si può contrapporre a niente, se non nell'immaginario umano che vuole
codificare e mentalizzare in schemi (meglio se contrapposti).

Da qui si capisce che il bene e l'amore sono destinati a prevalere come la conoscenza è
destinata a prevalere sull'ignoranza.
Credo che se si riuscisse a vedere il male, non come qualcosa, ma come la mancanza di
qualcosa, allora tutta questa contrapposizione che proiettiamo nell'Assoluto, cesserebbe.
Infatti, il male o l'odio sono il risultato di ignoranza e segnalano delle mancanze; sono un
vuoto, sono il buio come negazione della luce; cioè il non riconoscimento di una realtà.
L'evoluzione porta a conoscere e, quindi, comprendere aspetti sempre più vasti di questa
Realtà.
Più si comprende e più ci si sente parte del movimento della vita, il quale diventa il nostro
sentirci di esistere, al di là delle divisione fra io e non io.
Questo è l'amore, ed è la natura dell'uomo che lo manifesta in se stesso per se stesso, per
allargarlo, attraverso l'evoluzione, ad altri e ad altro.
Infatti noi siamo l'altro, ma non ne siamo consapevoli.
Questa è la strada dell'evoluzione che porta a conoscere e riconoscere, comprendere e,
quindi, amare come partecipazione-identificazione con l'altrui.
Oltre tutta questa storia c'è l'Assoluto che la trascende, non tanto come concetto di averla
in se stesso; piuttosto come “significato” di tutta la storia.
Infatti il significato di un racconto, è il racconto o è qualcosa di diverso, di più, tale da
trascendere tutte le parti e i capitoli che lo compongono e che contribuiscono a delineare
la storia?
Inoltre, se si riflette, può il significato sussistere senza la storia?
Ecco come l'Assoluto e il relativo diventano UNO.

(U.R.)

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bene e male
assoluto
Dio

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