Origini
Origini nel contesto pedagogico tedesco della seconda metà dell’Ottocento (Adolph Diesterweg, Karl Mager, Paul
Natorp)
Sozialpädagogik (1899) di Paul Natorp (1854-1924): “comunità” come agente educatore essenziale per la
crescita individuale e collettiva; oggetto del campo di studi sono sia le “condizioni sociali” dell’educazione sia
le “condizioni educative” della vita sociale.
Democrazia ed educazione (1916) di John Dewey (1859-1952): educazione come processo essenzialmente
sociale (educazione intrecciata alle trasformazioni in atto nella società); “teoria dell’esperienza” come
ambito dello scambio attivo tra soggetto e natura; funzione sociale dell’educ. incremento progressivo della
democrazia.
La sociologia e l’educazione (1922) di Émile Durkheim (1858-1917): funzione di riproduzione sociale e di
creazione dell’essere sociale dell’educazione, in quanto “fatto sociale”.
Pratiche all’origine del campo di studi in Italia
• Centri di Orientamento Sociale (COS), istituiti da Aldo Capitini a partire dal 17 luglio 1944 a Perugia
• Scuola-città Pestalozzi, fondata nel 1945 a Firenze da Ernesto Codignola.
• Centro Educativo Italo-Svizzero (CEIS) di Margherita Zoebeli a Rimini.
• Scuola popolare di Don Lorenzo Milani, prima a San Donato di Calenzano (1947-1954) e poi a Barbiana
(1956 -1968).
• Centro per la piena occupazione di Danilo Dolci a Partinico, a partire dal 1957;
• L’esperienza del Movimento Comunità di Adriano Olivetti (1901-1960).
• La trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi” (1959-1968), di Alberto Manzi.
• Altre esperienze innovative nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (MCE, MCC, CEMEA,
CEPAS, UNLLA, ecc.).
Il contributo di Ivan Illich e Paulo Freire
Ivan Illich (1926-2002)
La Convivialità (1973): criterio di umanizzazione della società e condizione di capovolgimento della realtà
stereotipica della produttività industriale per la costruzione di relazioni umane che partecipano liberamente alla
creazione della vita sociale.
Descolarizzare la società (1971): funzionalità della scuola alla riproduzione del sistema sociale caratterizzato da
iniquità e ingiustizie. L’impostazione della scuola andrebbe capovolta a favore di un apprendimento “anti-
istituzionale”, da attuarsi in forma partecipativa ed esperienziale in ogni momento della vita del soggetto.
Paulo Freire (1921-1997)
La Pedagogia degli oppressi (1969): educazione strumento di trasformazione della dialettica “oppressori-oppressi”;
analisi dell’educazione “depositaria” (o “bancaria”) vs “educazione “problematizzante”. Caratterizzazione
emancipatrice e di lotta all’esclusione dell’educazione non formale.
La formazione nei Servizi
Bertrand Schwartz (1919-)
si possono «ridurre le ineguaglianze partendo dal rifiuto di considerare come una fatalità l’esclusione delle persone
con debole livello di istruzione» (Schwartz, 1995: 28);
Pedagogia del successo: per responsabilizzare il soggetto e accrescere sia la fiducia in se stesso sia la motivazione;
Missions locales: équipe multidisciplinari con rappresentanti delle istituzioni, delle amministrazioni, delle
associazioni e delle parti sociali, che operano nei diversi territori dello Stato francese, con l’obiettivo di promuovere
l’inserimento sociale e l’impiego dei giovani a rischio di marginalità sociale.
Pubblico, bisogno e domanda di formazione
Pubblico: soggetto, individuale o collettivo, dell’iniziativa di formazione (vs “partecipante”; richiama quella di “non-
pubblico”). Aspetti essenziali: capacità di costituirsi come attore “politico”, consapevolezza del ruolo “economico”,
capacità di divenire pienamente “soggetto della propria formazione” (Federighi, 2000: 199-201).
Bisogno: scarto, squilibrio tra una condizione che si vive e una auspicata (B. formativo: scarto di conoscenze, abilità e
competenze, non possedute dal soggetto). N.b. Bisogno “oggettivo” vs “soggettivo”.
Domanda: richiesta formulata dal soggetto, sulla base del bisogno di formazione percepito.
Modelli di soddisfacimento dei bisogni di formazione del pubblico
Form
azione come strumento di intervento nei servizi
Con finalità plurime (acquisizione di specifiche conoscenze, informazioni, competenze, l’incremento del benessere
del soggetto, la prevenzione di disagio e marginalità, lo sviluppo del potenziale individuale e collettivo, il contrasto
della dispersione scolastica, ecc.):
• servizi educativi e formativi: istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale, centri territoriali
permanenti, scuole popolari, ecc.;
• servizi di inserimento lavorativo: centri per l’impiego pubblici, centri di orientamento al lavoro, organizzazioni
datoriali e sindacali, agenzie private di intermediazione lavorativa, ecc.;
• servizi sociosanitari: aziende sanitarie, servizi sociali, consultori, centri di informazione e orientamento per
giovani, ecc.;
• agenzie socioculturali: associazioni culturali e sportive, organizzazioni di volontariato, comitati di cittadini, centri
di servizio culturale e biblioteche, servizi alla cittadinanza, servizi per l’inclusione sociale, centri di aggregazione
giovanile, ecc.;
• agenzie di comunicazione: mass media tradizionali, internet e nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (tra le quali anche le piattaforme di e-learning).
Pratiche nei servizi
1. Centri di aggregazione giovanile: spazi polifunzionali in cui i giovani possono incontrarsi e realizzare, attraverso la
facilitazione di operatori sociali ed educatori, attività laboratoriali di tipo culturale, espressivo, artistico e ludico.
2. Servizi all’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati: utilizzo della formazione per acquisire nuove competenze o
ricontestualizzare quelle precedenti.
I territori e comunità “competenti”
Territorio: “sistema di vita” e spazio vissuto dagli individui, dai gruppi e dalle comunità e ambito di riferimento
teorico e operativo per l’iniziativa di formazione (a) luogo dell’azione, b) luogo di partecipazione , c) contenuto del
programma di formazione; d) distretto).
Comunità: “i suoi membri agiscono reciprocamente e nei confronti di altri, non appartenenti alla collettività stessa,
anteponendo più o meno consapevolmente i valori, le norme, i costumi, gli interessi della collettività, considerata
come un tutto, a quelli personali o del proprio sotto-gruppo o di altre collettività; ovvero quando la coscienza di
interessi comuni anche se indeterminati, il senso di appartenere a un’entità socioculturale positivamente valutata e
a cui si aderisce affettivamente, e l’esperienza di relazioni sociali che coinvolgono la totalità delle persone, diventano
di per sé fattori operanti di solidarietà. Ciò non esclude la presenza di conflitti entro la collettività considerata, né di
forme di potere o di dominio” (Gallino, 2006: 143).
Comunità “competente” quando si rende capace di analizzare la propria situazione, riconosce i propri bisogni ed è in
grado di mobilitarsi e di impiegare le risorse necessarie per soddisfarli. Occorrono tre elementi:
- la “conoscenza”, in primo luogo della sua realtà, dei suoi problemi e delle sue risorse;
- il “potere”, che consiste nella capacità di incidere e avere influenza sulle decisioni che la riguardano;
- la “motivazione”, che si traduce in una partecipazione attiva dei soggetti per affrontare i problemi collettivi
(Caldarini, 2008: 15).
Educazione di comunità, popolare e animazione territoriale
Educazione di comunità: orientamento che si rivolge a soggetti coinvolti in processi e relazioni sociali con problemi
e finalità comuni, in un determinato contesto locale, per identificare bisogni e criticità, e promuovere lo sviluppo di
azioni per il miglioramento delle condizioni di vita.
Educazione popolare: forma di educazione “non formale” che incoraggia il soggetto ad analizzare criticamente la
propria vita e a mobilitarsi per il cambiamento delle condizioni sociali, attraverso un curricolo focalizzato
prioritariamente sul gruppo che emerge dall’esperienza concreta e dai reali interessi delle persone.
Animazione territoriale: approccio attivo che, attraverso metodologie diversificate (ponendo attenzione alle
esperienze, al corpo, alla dimensione non verbale, creativa, espressiva, comunicativa), promuove la presa di
coscienza, lo sviluppo del potenziale di individui, gruppi e comunità, nonché l’incremento della partecipazione
sociale.
Azioni collettive di formazione
• si svolge in un’area territoriale economicamente, socialmente e culturalmente circoscritta;
• è gratuita, di massa, si rivolge a tutti, ma prioritariamente agli adulti con debole livello di scolarità;
• è volta a mettere la popolazione, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, in condizione di affrontare
meglio i propri problemi di vita e di lavoro;
• intende fornire strumenti di analisi e di azione partendo dalla situazione degli adulti e dai loro interessi;
• è indirizzata ad attivare un “processo sociale” di coinvolgimento e responsabilizzazione di istituzioni,
associazioni e forze sociali in merito al progetto di formazione;
• è dotata di un proprio dispositivo istituzionale, per la partecipazione delle forze sociali (ad es., un comitato
locale di sostegno, composto da rappresentanti degli enti locali, delle forze sociali, dell’associazionismo, della
scuola, dei gruppi di base presenti sul territorio, che assumono la responsabilità politica del progetto) e per lo
svolgimento dell’azione di formazione (ad es., un dispositivo globale di formazione composto, come chiarito più
avanti, da specifici dispositivi);
• è centrata sui gruppi di apprendimento che stabiliscono, sulla base dei propri interessi e delle proprie esigenze,
contenuti e tempi della formazione;
• utilizza il più possibile le risorse educative, materiali e umane presenti nel contesto locale;
• è indirizzata a raggiungere gli adulti dove essi vivono e lavorano (Susi, 1989 e 2012).
Dispositivo globale di formazione
Gli stadi di sviluppi hanno carattere propedeutico: se non si è vissuto uno stadio non si passerà a quello successivo,
ma non hanno carattere di rigidità o estrema fissità.
Oltre la dimensione delle fasi di sviluppo:
- Promozione dei diritti del fanciullo: rispetto dei lavori dell’universalità dei diritti e della garanzia di un’educazione e
un’istruzione per tutti;
- Interesse verso lo sviluppo morale del bambino e dell’adolescente: entra in gioco la componente sociale.
12 Bruner e la teoria dell’istruzione
Bruner, nasce nel 1915. Psicologo si forma sugli studi di Piaget e Vygotskij e ne realizza quasi una sintesi di pensiero. I
suoi studi sulla psicologia cognitiva alla base delle sue proposte sulla didattica e la pedagogia.
Le questioni indagate:
Sviluppo cognitivo del bambino;
Critica dell’attivismo pedagogico;
I fini dell’educazione e il legame con la società;
La realizzazione di una teoria dell’istruzione;
La valutazione dei curricula;
Lo sviluppo cognitivo del bambino
La percezione: primo momento attraverso cui conoscere e categorizzare. Approssimazione della percezione
Tre fasi della rappresentazione:
Operativa: si apprende attraverso l’azione
Iconica: si apprende attraverso l’immagine e l’imitazione
Simbolica: si apprende attraverso i simboli: il linguaggio.
Lo sviluppo cognitivo per Bruner è legato alla dimensione socioculturale e alla ricerca di strutture universali che ne
definiscono il processo. Bruner lega la dimensione dell’istruzione allo sviluppo evolutivo del bambino. L’istruzione è
il mezzo attraverso cui orientare tale processo di sviluppo.
Le caratteristiche dello sviluppo intellettivo creano la base per la sua teoria dell’istruzione
1. La crescita è caratterizzata da una crescente indipendenza della risposta dalla natura dello stimolo;
2. lo sviluppo è basato sulla interiorizzazione degli eventi in un sistema di conservazione;
3. Lo sviluppo intellettuale implica la crescente capacità di orientarsi nel mondo e saperlo ricostruire, ricreare in
modo diverso e nuovo;
4. Lo sviluppo intellettuale dipende in grande misura dall’interazione tra educando e educatore;
5. L’insegnamento è facilitato dall’uso del linguaggio;
6. Lo sviluppo intellettuale è legato alla capacità crescente
La Teoria dell’istruzione di Bruner
Quattro dimensioni utili alla realizzazione del curriculum:
1. Importanza e attenzione della motivazione;
2. Opportuna costruzione dei contenuti;
3. Adeguato utilizzo dei metodi;
4. Rinforzo dell’apprendimento;
Una teoria dell’istruzione basata sulle strutture generali alla base della conoscenza. La teoria dell’istruzione basata
sul curriculum a spirale. Il movimento a spirale che parte da un approccio intuitivo alla conoscenza per proseguire
con ciclici approfondimenti e successivi ritorni e iterazioni, permette di comprendere le idee di base connesse
Filosofia della valutazione: la valutazione come forma di intelligenza pedagogica, in grado di orientare la
metodologia, i contenuti e i ritmi di apprendimento. La valutazione non solo finale ma del processo, da compiere in
itinere e insieme all’educando.
La critica all’attivismo pedagogico. La Conferenza di Woods Hole nel 1959.
L’idea pedagogica dell’attivismo non è più adeguata all’età contemporanea:
1. Presunzione di un’innata armonia esistente tra individuo e società;
2. Lo sviluppo mentale dipende dal saper padroneggiare le tecniche, il metodo non risiede nel fanciullo stesso
3. L’apprendimento deve essere sganciato dall’esperienza e produrre conoscenze generali e strutturali
4. Dewey primato dell’azione sul pensiero; Bruner ristabilisce il primato del pensiero sull’attività umana;
Nel tempo elabora una sorta di autocritica, ripensando i curricula e la teoria dell’istruzione con riferimento alla
dimensione politica e trasformativa della scuola
Skinner e le macchine per insegnare
Psicologo comportamentista. I suoi studi si concentrano sulla dimensione del comportamento, che rappresenta
l’unico aspetto osservabile e quindi per questo unico possibile oggetto di studio.
Il pensiero e il linguaggio come abilità comportamentali che si apprendono tramite rinforzi. Si interessa di
programmazione, progettazione e organizzazione della didattica promuovendo l’uso di macchine per insegnare. La
tecnologia a scuola diviene strumento per includere e permettere l’auto-correzione, rischiando però di sostituirsi
quasi completamente alla funzione e alla figura dell’insegnante.
Bloom e Gagnè. Le tassonomie e il curriculum
Costruzione di nuove e organiche teorie del curriculum basate sulla elaborazione di metodi, valutazioni, obiettivi in
grado di poter essere validi e funzionali per tutti gli alunni. Le teorie sul curriculum si basano sulla tassonomia. Si
agisce sia sulle capacità/caratteristiche dello studente, sia sui contenuti/qualità dell’insegnamento, sia sulla
tassonomia degli obiettivi e sulla classificazione delle capacità da apprendere.
Bloom: fattori alla base della teoria dell’apprendimento:
- Pre-requisiti dello studente
- Qualità dell’insegnamento: Risultati di apprendimento più o meno efficaci
- Qualità dell’insegnamento
MASTERY LEARNING
Mastery Learning o Apprendimento per padronanze è una è una strategia di progettazione, organizzazione,
valutazione dell’insegnamento. È una teoria dell’istruzione fondata su diversi aspetti:
articolazione dei percorsi formativi in unità o blocchi;
traguardi di apprendimento o obiettivi da raggiungere;
modalità di verifica in ingresso;
verifiche in uscita, mirate ad individuare tempestivamente eventuali difficoltà,
L’apprendimento per la padronanza prevede una fase molto attenta di progettazione e programmazione, scelta dei
contenuti e dei micro-obiettivi da raggiugere. Grande valore la dimensione della valutazione e la dimensione
dell’individualità della proposta di apprendimento e di verifica/valutazione.
13 Paulo Freire e la pedagogia della liberazione
Educatore e pedagogista brasiliano, nasce a Recife, da una famiglia di umili origini. Completati gli studi secondari
inizia a insegnare portoghese e intanto studia filosofia e psicologia del linguaggio all’Università di Recife.
Intorno al 1943 inizia a spendere le sue energie e studi per sostenere i più deboli e aiutarli in percorsi di
emancipazione rispetto alle situazioni di marginalità ed esclusione. Tra gli anni ’50 e i primi anni ‘60 realizza una serie
di iniziative che saranno alla base anche delle impostazioni del suo metodo e delle riflessioni teoriche.
Negli anni ‘60 Freire sua partecipazione a vari movimenti: Il Movimento della Cultura Popolare (MCP), nel Servizio di
Stensione Culturale (SEC) della Università di Recife, l'esperienza di Angicos e il Programma di Alfabetizzazione
Nazionale, promosso nel Ministero della Pubblica Istruzione. Nel MCP ha condotto i primi esperimenti didattici,
iniziando ad elaborare prospettive relative all’alfabetizzazione degli adulti.
Nel 1964 viene esiliato ed è costretto a fuggire dal Brasile a causa del colpo di stato che porterà il brasile a vivere un
ventennio sotto il regime militare. Si trasferisce prima in Bolivia, poi in Cile dove sperimenterà diverse esperienze di
sostegno e lotta per l’emancipazione delle fasce più povere dei lavorati agrari. Scrive alcuni dei suoi testi più noti.
Nel 1969 è visiting professor presso Harvard e si trasferisce a Ginevra dove diviene Consigliere Educativo Speciale e si
occupa di processi di riforma educativa in diversi paesi africani.
Nel 1979 può fare rientro in Brasile. Si stabilisce a San Paolo dove insegna all’Università e promuove progetti di
alfabetizzazione per il paese.
Nel 1986 riceve dall’UNESCO il premio per l’educazione alla pace.
Nel 1991 viene fondato l’Istituto Paulo Freire a San Paolo per promuovere un’educazione emancipatrice e una lotta
contro l’esclusione sociale.
Nel 1997 muore a San Paolo.
Alcuni cenni biografici attraverso tre stagioni differenti:
- Il periodo di Recife (1921-1964)
- Gli anni dell’esilio (1964-1980)
- San Paolo (1980-1997)
Personalismo, teologia della liberazione e marxismo umanista
Nell’elaborazione pedagogica di Freire si intrecciano, in particolare, due correnti culturali prevalenti:
• da una parte, il filone cristiano, anzitutto nella sua corrente personalista ed esistenzialista, maturata con lo
studio di autori come Jacques Maritain (1882–1973), Emmanuel Mounier (1905–1950) e Gabriel
Marcel (1889–1973), ma soprattutto nel suo filone di impegno sociale della teologia della liberazione, con il
confronto con teologi come Hélder Câmara (1909–1999), Gustavo Gutiérrez (1928–) e Leonardo
Boff (1938–);
• dall’altra parte, vi è il filone marxista, in particolare con lo studio delle opere di Karl Marx (1818–1883) e
Antonio Gramsci (1891–1937).
Ulteriori ambiti teorici rilevanti nella formulazione della pedagogia freiriana sono, senza dubbio, quelli derivanti dagli
studi di psicologia dello sviluppo e della teoria post-coloniale.
La pedagogia della liberazione e i circoli di cultura
Un pensiero originale e complesso:
- Il personalismo e la teologia della liberazione;
- Il marxismo pedagogico e Antonio Gramsci;
La pedagogia come forma di liberazione da forme di oppressione: fondamentale per l’educazione occuparsi dello
sviluppo del soggetto come attore libero, consapevole e autonomo
L’educazione come pratica di libertà attraverso forme dialogiche e la costruzione di spazi di democratizzazione e
partecipazione. I circoli di cultura come spazi di educazione non formale per il realizzare di una pratica educativa
libera. La pratica anticipa la riflessione teorica e ne costituisce le basi
- Educazione come pratica della libertà. L’esperienza dei circoli di cultura
Spazio di educazione non formale
- comune lavoro dialogico, per la “conquista del linguaggio”;
- dibattito dei problemi comuni.
«Invece della scuola, che per noi è un concetto troppo carico di passività, secondo l’esperienza della nostra stessa
formazione (anche quando le si dia l’attributo di attiva), abbiamo lanciato i circoli di cultura. Al posto del professore e
delle sue abitudini di insegnare “ex cathedra”, abbiamo messo il coordinatore del dibattito. Invece della lezione
discorsiva, il dialogo. Al posto dell’alunno con tutte le sue tradizioni passive, il partecipante del gruppo. Invece delle
materie e dei programmi alienati, la programmazione omogenea “ridotta” e “codificata” in unità di apprendimento»
(Freire, 1977a: 127).
Livelli di coscienza
• “semi-intransitiva” o “ingenua” corrisponde ad una posizione di immersione in una “cultura del silenzio”,
per la quale il soggetto vive disabituato al dialogo e aderisce alla realtà senza alcuna iniziativa di distacco e
tantomeno di oggettivazione e di analisi.
• transitiva naturale il soggetto sposta le cause della sua precarietà e marginalità nelle condizioni oggettive
della realtà stessa, pur mediante un’analisi dei problemi ancora superficiale e irrazionale, caratterizzata da
una forte tendenza alla polemica e alla massificazione.
• transitiva critica rappresenta lo stadio più maturo della consapevolezza, contraddistinto dal rifiuto delle
posizioni fatalistiche, l’amore per il dialogo, la disponibilità al nuovo e lo spirito di ricerca permanente
• Fase della ricerca «È questa la fase della scoperta dell’universo lessicale, in cui vengono stimolate parole e temi
generatori che si riferiscono alla vita quotidiana degli allievi e del gruppo sociale al quale essi appartengono.
Queste parole generatrici sono selezionate in funzione della ricchezza sillabica, del valore fonetico e, soprattutto,
del significato sociale che hanno per il gruppo. La scoperta di questo universo lessicale può avvenire tramite
incontri informali con gli abitanti della zona nella quale si lavora, convivendo con loro, sentendo i loro problemi
ed apprendendo gli elementi della loro cultura» (Gadotti, 1995: 17).
• Fase della tematizzazione «In questa seconda fase, sono codificati e decodificati gli argomenti sollevati nella fase
della presa di coscienza, vengono contestualizzati, e sostituiscono così la visione magica iniziale con una critica e
sociale. Si scoprono in tal modo nuovi temi generatori, che sono in relazione con quelli che erano stati
inizialmente sollevati. È in questa fase che vengono elaborate le schede per la scomposizione delle famiglie
fonetiche e si forniscono sussidi per la lettura e la scrittura» (Gadotti, 1995: 17).
• Fase della problematizzazione «In questo viaggio di andata e ritorno dal concreto all’astratto, si torna al
concreto ma problematizzato. Si scoprono i limiti e le possibilità delle situazioni esistenziali concrete apprese
nella prima fase. Si mette in evidenza la necessità di una concreta azione culturale, politica e sociale che miri al
superamento di situazioni limite, cioè, degli ostacoli alla [umanizzazione] […]. Saper leggere e scrivere diventa
uno strumento di lotta, un’attività sociale e politica. L’obiettivo finale del metodo è la coscientizzazione. La realtà
oppressiva è vissuta come una condizione che può essere superata. L’educazione per la liberazione deve sfociare
nella prassi trasformatrice, atto dell’allievo come soggetto, organizzato collettivamente» (Gadotti, 1995: 18).
Riduzione, codificazione e decodificazione
- La riduzione consiste nella scomposizione di un tema nei suoi elementi essenziali. Le parole vengono chiamate
“generatrici” perché a partire da esse, gli educandi arriveranno in un secondo tempo a formare altre parole.
- La codificazione costituisce la trasposizione del tema “ridotto” nel miglior canale di comunicazione all’interno del
processo educativo, che solitamente consiste in una raffigurazione in un linguaggio visuale (ad esempio, un disegno,
una diapositiva, ecc.), utile ad esplicitare l’interazione dei diversi elementi che compongono il tema (cfr. “quadri-
situazioni”).
- La decodificazione consiste in un dibattito, nel quale i partecipanti rispondono, sulla base delle sollecitazioni del
coordinatore, alle domande “sottintese” in ciascuna rappresentazione e analizzano criticamente il tema proposto.
«non ci interessa definire semplicemente alcuni attributi dell’uomo in generale. Ci importa invece che questi
uomini particolari concreti riconoscano in sé stessi, nel corso della discussione, i creatori della cultura. Perciò le
immagini devono esprimere qualcosa di loro stessi» (Weffort, 1977: 15)
La coscientizzazione come presupposto della pedagogia della liberazione
Esistono fasce deboli della popolazione, definite da Freire come oppressi con i quali avviare un percorso di
«coscientizzazione», e quindi l’acquisizione da parte degli oppressi di una coscienza critica circa la propria situazione
di oppressione.
Tale percorso può avvenire solo attraverso un processo dialogico, di partecipazione attiva, scambio e confronto tra i
vari soggetti che partecipano al percorso di educazione e coscientizzazione.
È un momento attraverso il quale i soggetti si riappropriano della propria storicità, aiutando i soggetti ad inserirsi in
modo consapevole nel mondo e non semplicemente adattandovisi.
Sono necessari tre momenti/fasi per avviare una coscientizzazione:
1. Situare il processo all’interno di uno spazio e in un tempo specifico;
2. Situare il processo all’interno di una collettività;
3. Promuovere conoscenze sulla situazione reale;
Successivamente al posizionamento attivo all’interno della storia, i soggetti coscientizzati potranno trasformare
quella storia
L’inedito possibile
• «Pensare la storia come possibilità significa riconoscere anche l’educazione come possibilità. Significa
riconoscere che, anche se l’educazione non può fare tutto da sola, può però certo raggiungere qualche
risultato. La sua forza, come si dice, sta nella sua debolezza» (Freire, Macedo, 2008: 72).
• “Essere di più” (in portoghese ser mais) – ha un significato rilevante nel lessico freiriano, che va dal
“migliorarsi” fino all’“andare oltre”, al “trascendere”.
• Essa indica una posizione che supera la condizione dell’impossibilità di esprimersi (che Freire chiama “essere
di meno”), implicando, da una parte, il riconoscimento della natura storica e progettuale dell’essere umano
e, dall’altra, l’idea di un mondo in continuo cambiamento.
Dialettica oppressori-oppressi
• Nella società, gli esseri umani vivono la “contraddizione” dell’oppressione, che si esprime nella “dialettica
oppressori-oppressi”
• Dinamica che vincola gli individui al ruolo di oppressore o a quello di oppresso:
– Sia il primo, che esercita sopraffazione e violenza sugli altri per mantenere una posizione di potere e
privilegio, sia il secondo, che vive una condizione di subalternità e sfruttamento, risultano così
spogliati della loro umanità.
– Il primo in quanto schiavo del mito del potere, il secondo perché gli viene sottratta la dignità
dell’essere umano.
La disumanizzazione
«La disumanizzazione, che non si verifica solo in coloro che si vedono rubare la loro umanità, ma anche in quelli che
la rubano, seppure in maniera differente, è una distorsione della vocazione ad essere di più. È una distorsione
possibile nella storia, ma non è una vocazione storica [...]. Questa lotta è possibile solo perché la disumanizzazione,
anche se è un fatto concreto nella storia, non è però un destino ineluttabile, ma il risultato di un “ordine” ingiusto,
che genera la violenza degli oppressori, la quale a sua volta genera un essere di meno» (Freire, 1971a: 48).
Chi sono gli oppressori?
• Sono coloro che opprimono, sfruttano e esercitano una violenza in forza del loro potere, oppure
semplicemente impiegano, nei confronti degli oppressi, una falsa generosità, che non modifica le cause
dell’ingiustizia, ma le preserva.
Chi sono gli oppressi?
• Chi sono gli oppressi? Sono i vinti, gli sfruttati, i subalterni, gli esclusi, coloro che sono ridotti al silenzio, eredi
dello sfruttamento, che portano sulle proprie spalle i problemi e la svalutazione connessi con la propria
origine, i “dannati della terra”, per utilizzare la nota espressione di Frantz Fanon (Fanon, 1962).
Processo di liberazione
• non può ridursi ad un mero scambio di ruoli (per il quale l’oppresso diverrebbe un nuovo oppressore)
• è il superamento della contraddizione della dialettica oppressori-oppressi
• tensione dell’oppresso ad affermarsi e a lottare per il riconoscimento della propria umanità, senza però
opprimere, a sua volta, l’oppressore
• cercando di recuperare la loro umanità ed evitando di divenire a loro volta oppressori, gli oppressi
divengono restauratori dell’umanità degli uni e degli altri
• “Prassi liberatrice”: riflessione critica congiunta all’azione per il cambiamento:
“La prassi [...] è azione e riflessione degli uomini sul mondo, per trasformarlo. Senza di essa, è impossibile il
superamento della contraddizione oppressore/oppressi. Questo superamento esige l’inserzione critica degli oppressi
nella realtà oppressiva, per cui, oggettivandola, agiscono su di lei” (Freire, 1971a: 58).
• Ha una dimensione collettiva (i soggetti si emancipano insieme, con la mediazione del mondo) e pedagogica.
Educazione bancaria vs educazione problematizzante
Il processo educativo non è tutto ugualmente utile e funzionale ad un percorso di coscientizzazione e liberazione
L’educazione bancaria: educazione tradizionale, in cui non vi è dialogo tra educatore ed educando, bensì un
rapporto asimmetrico. Diviene essa stessa una forma di oppressione. L’educazione si riduce all’atto di depositare, di
trasmettere o trasferire conoscenze, in un rapporto fortemente verticale, in cui compito dell’educatore sarà riempire
vasi vuoti degli educandi.
L’educazione problematizzante: si basa sulla prassi, su una forma di riflessione ed azione trasformativa che pone le
sue radici nel dialogo e nella reciprocità tra educatore ed educando. Entrambi sono soggetti attivi del processo.
«l’educatore non è solo colui che educa, ma colui che, mentre educa, è educato nel dialogo con l’educando, il quale,
a sua volta, mentre è educato, anche educa» (Freire, 1971).
Problematizzare significa in particolare considerare la situazione dell’educando come un problema da analizzare e il
mondo diviene oggetto di analisi, ma anche spazio di azione.
Approccio critico
• Educ. problematizzante offre una prospettiva critica:
- considerare la situazione del soggetto come un problema da analizzare
- il mondo rappresenta l’oggetto della riflessione critica e la sede dell’azione trasformatrice
Teoria anti-dialogica
• si determina all’interno di un rapporto verticale
• riproduce l’opposto della comunicazione autentica
• si esprime unicamente attraverso comunicati unidirezionali
Caratteristiche:
• la necessità della “conquista”, i cui contenuti e metodi variano storicamente, ma che comunque si esprime
in un’ansia necrofila di opprimere;
• la “divisione per dominare”, per mantenere gli uomini e le donne immersi nella loro realtà, isolandoli,
creando e rafforzando le divisioni tra di loro;
• la “manipolazione”, intesa come ulteriore strumento di conquista per impedire la vera organizzazione degli
oppressi;
• l’“invasione culturale”, con la penetrazione dell’oppressore nel contesto culturale degli oppressi,
imponendo una specifica visione del mondo e inibendo la loro creatività.
Teoria dialogica
• nasce dall’incontro dei soggetti, attraverso la mediazione del mondo.
• È una necessità ontologica per gli individui, i quali sono «esseri in relazione»
• Presuppone il passaggio dal “parlare a” al “parlare con”
Caratteristiche:
• la “collaborazione”: capovolge la condizione nella quale un oggetto, conquistando l’altro, lo trasforma in
cosa, configurando invece la circostanza di soggetti che si incontrano e cooperano per la trasformazione del
mondo;
• l’“unione”: invece di dividere gli oppressi per mantenere l’oppressione, ci si impegna incessantemente per
rafforzare la loro solidarietà e collaborazione, ai fini di un’emancipazione collettiva;
• l’“organizzazione”: rappresenta l’opposto della manipolazione, perseguendo l’animazione dei gruppi per
l’esercizio comune della liberazione;
• la “sintesi culturale”: al contrario di quanto avviene nell’invasione culturale, i riferimenti intellettuali
dell’educatore e quelli degli educandi si integrano, in vista di un impegno congiunto nel mondo.
L’educazione come atto politico.
Da una parte, gli esiti dell’atto educativo determinano lo spazio sociale, dall’altra tale agire educativa muta in base a
determinati orizzonti di senso. La natura politica dell’educazione è diretta conseguenza del carattere storico e sociale
dei processi educativi.
La natura politica dell’educazione è data dalla natura intenzionale dell’educazione, che presuppone scelta,
posizionamento, prospettiva, senso.
I circoli di cultura hanno rappresentato spazi di educazione, democratizzazione e costruzione di coscienze e
possibilità di partecipazione attiva alla politica
Una dimensione politica dell’educazione, che non è indottrinamento, ma che riguarda la costruzione di conoscenze,
competenze, relazioni sociali, in grado di allargare e promuovere basi democratiche più ampie.
L’educazione permanente
L’educazione permanente si relaziona agli obiettivi della pratica e della riflessione freiriana, che sa sempre ha cercato
di lavorare per l’autonomia del soggetto, la liberazione da forme di oppressione e la partecipazione attiva alle forme
di democrazia della realtà sociale.
L’approccio della pedagogia della liberazione e dell’autonomia è colonna portante di un’educazione permanente che
sancisce il diritto e il potere di educabilità di tutti, in qualsiasi momento della vita. All’interno di questa cornice
pedagogica l’educazione permanente diviene un diritto per tutti e si pone come obiettivo quello di costruire
consapevolezza e coscienza e di formare cittadini e non semplicemente formare per l’inserimento occupazione e al
sistema economico.
Una pedagogia a misura di insegnante
Pedagogia dell’autonomia.
Sulla formazione continua degli insegnanti, che non è mero addestramento ma la costruzione di un’etica
dell’insegnare, con l’obiettivo della liberazione e dell’autonomia dell’educando.
Insegnanti come intellettuali trasformativi e riflessivi, che non si appiattiscono nel ruolo di meri esecutori, specialisti
e burocrati scolastici.
14 Ivan Illich e la descolarizzazione
Nato a Vienna, nel 1926, è costretto ben presto a lasciare l’Austria a quindici anni a causa delle leggi razziali, Ivan
Illich studiò a Roma e venne ordinato sacerdote nel 1951.
Fu uno studioso, storico, pedagogista e scrittore, conoscitore di numerose lingue, viaggiò moltissimo. Dopo essere
stato prorettore alla Università di Portorico, divenne, nel 1959, a 33 anni, uno dei più giovani monsignori del tempo,
ma iniziò a scontrarsi con le direttive del mondo ecclesiastico del tempo, dedicandosi sempre alla dimensione
sociale, educativa e cosmopolita del suo lavoro.
Nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca in Messico, che divenne la base
operativa per lo sviluppo del suo pensiero e per le sue sperimentazioni e proposte radicali ed alternative, di critica e
trasformazione della società.
Nato a Vienna, nel 1926, è costretto ben presto a lasciare l’Austria a quindici anni a causa delle leggi razziali, Ivan
Illich studiò a Roma e venne ordinato sacerdote nel 1951.
Fu uno studioso, storico, pedagogista e scrittore, conoscitore di numerose lingue, viaggiò moltissimo. Dopo essere
stato prorettore alla Università di Portorico, divenne, nel 1959, a 33 anni, uno dei più giovani monsignori del tempo,
ma iniziò a scontrarsi con le direttive del mondo ecclesiastico del tempo, dedicandosi sempre alla dimensione
sociale, educativa e cosmopolita del suo lavoro.
Nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca in Messico, che divenne la base
operativa per lo sviluppo del suo pensiero e per le sue sperimentazioni e proposte radicali ed alternative, di critica e
trasformazione della società.
Elabora una critica durissima alle forme sociali della società del tempo, scontrandosi con la logica dell’economia
capitalista e con l’idea di sviluppo illimitato
Elabora una critica durissima alle forme sociali della società del tempo, scontrandosi con la logica dell’economia
capitalista e con l’idea di sviluppo illimitato
La convivialità come strumento per rimettere al centro del soggetto i propri bisogni e necessità, attraverso uno
sguardo che va verso la collettività e la costruzione di comunità di uomini coscienti della propria forza, del peso della
loro parola.
Descolarizzare la società (1972)
L’istituzione scolastica come forma manipolatoria e conservatrice dello status quo, che attraverso le proprie strutture
riproduce il sistema industriale e l’economia capitalista, forgiando individui chiamati ad adattarsi al sistema e
selezionando le persone sulla base delle capacità di adattamento.
La proposta della descolarizzazione in realtà assurge a tutti gli ambiti della formazione e dell’educazione. Riguarda in
buona sostanza tutta la società.
Quale riflessione oggi? Illich e la sua proposta ci interroga sulle possibilità pedagogiche alternative, ma anche sul
valore educativo dei tanti spazi altri in cui promuovere formazione e crescita condivisa e costruita sulla base di una
comunità educante ed una pedagogia sociale
Bertrand Schwartz e l’educazione permanente
Nato a Parigi nel 1919, è morto nel 2016. Ingegnere, educatore e formatore. È stato per numerosi anni formatore
della scuola per ingegneri minerari di Nancy, in Francia. Ha fondato e diretto l’istituto nazionale di formazione degli
adulti e dei formatori e si è occupato per anni della dimensione dell’educazione permanente, della lotta alle
disuguaglianze e ha ricoperto numerose cariche di prestigio e di grande spesso culturale e politico.
Riflette su:
- Il sapere attraverso l’esperienza, in grado di ri-orientare le aspettative e i percorsi di vita dei più esclusi.
- l’educazione permanente come processi di orientamento teorico e pratico in grado di interpretare la realtà e
trasformarla.
- La dimensione territoriale come spazio in cui realizzare il percorso educativo
- Autoformazione educativa
Danilo Dolci e l’arte della maieutica
Nato a Trieste (1924) è stato un sociologo, poeta, educatore ed attivista della non-violenza Inizialmente i suoi studi si
riferiscono all’architettura e poi alla poesia. Da sempre avverso al regime fascista, nel dopo-guerra si occupa di
insegnare in una scuola serale per operai a Milano.
Nel 1952 si trasferisce in Sicilia dove inizia una lotta non violenta contro la mafia, l’analfabetismo e la povertà
Dopo una delle sue azioni non violente di sciopero della fame, che ottiene grandi risultati, iniziano i suoi rapporti
epistolari con Aldo Capitini
A partire dagli anni ‘70 l'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso alla sperimentazione, della struttura maieutica, ovvero di una modalità cooperativa di dibattito, studio e
ricerca comune della verità. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo
di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Negli anni successivi Dolci gira l'Italia per animare laboratori maieutici
in scuole, associazioni, centri culturali.
La dimensione dell’ascolto nel processo educativo.
L’educazione come comunicazione, ascolto, azione. Strettamente legata ad un agire politico, di cooperazione e
partecipazione nel costruire una soggettività all’interno di una collettività.
poesia: ognuno cresce solo se sognato
15 La dimensione della complessità
Dalla seconda metà del Novecento in poi ogni ambito della vita e del sapere si è costantemente nutrito di
complessità nel suo svolgersi, costruirsi ed elaborarsi
La necessità di un pensiero e un procedere conoscitivo che sia multidimensionale, complesso, interconnesso
Alcuni autori di riferimento rispetto a questa nuova dimensione, in cui l’educazione, la produzione di conoscenza e la
riflessione pedagogica assumono un ruolo chiave
-Edgar Morin
- Gregory Bateson
-Martha Nussbaum
Morin, Bateson, Prigogine: sostengono i limiti di un approccio alla conoscenza di tipo meccanicistico, positivista e
deterministico. No ad una concezione della realtà unidimensionale.
Alcuni principi alla base delle loro riflessioni:
- l’incertezza
- il caos
- l’errore come elemento positivo
- la limitatezza della conoscenza
- l’interconnessione
Gregory Bateson e l’ecologia della mente
Antopologo, sociologo e psicologo britannico Verso una ecologia delle idee, della mente e dei saperi
Desidero esprimere la mia convinzione che certi fatti come la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione
strutturata delle foglie in una pianta. l'amplificazione progressiva della corsa agli armamenti, le pratiche del
corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell'evoluzione biologica, e la crisi in cui
oggi si trovano i rapporti tra l'uomo e l'ambiente, possano essere compresi solo in termini di un'ecologia delle idee
così come io la propongo”
Edgar Morin e la testa ben fatta
Filosofo francese nato nel 1921
Si occupa di riflessioni sull’educativo, sulla costruzione della conoscenza e la riforma di pensiero, individuata quanto
mai come necessaria
La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma di pensiero (1999)
I sette saperi necessari all’educazione del futuro. (2001)
Riforma del pensiero riforma dell’insegnamento
cos’è la testa ben fatta?
Capacità di saper organizzare i saperi, comprende e risolvere problemi,capacità di sintesi e di pensiero critico, in
contrato con una testa ben piena, in cui ci sono numerose nozioni disorganizzate, caotiche, prive di nessi,
connessioni e interdipendenze.
Una riforma di pensiero e di insegnamento in grado di recuperare la dimensione della comprensione umana, per
costruire un’etica umana condivisa
Imparare a navigare nell’incertezza della realtà, intesa come sistema di parti in relazione tra loro
Fine dell’educazione: formare un cittadino con un’identità terrestre, ,consapevole e cosciente di vivere in un mondo
interconnesso e all’interno di una dimensione di specie
I saperi necessari all’educazione del futuro:
- l’errore e l’illusione come fasi ineludibili del procedere conoscitivo. Acquisirne consapevolezza e costruire
una razionalità ragionata;
- La consapevolezza di una dimensione di interdipendenza e la necessità di connettersi all’altro, all’itnerno del
paradigma della diversità;
- Costruire un’etica umana;
- Insegnare la comprensione;
- Conoscere nel contesto e non nel mero astrattismo;
- Comprendere la condizione di umanità vissuta da tutti;
- Saper affrontare le incertezze;
Un nuovo umanesimo, interconnesso, interdipendente e globale
Martha Nussbaum. Coltivare l’umanità
Filosofa neo-pragmatista americana
Costruzione di un cittadino del mondo, cosmopolita, in grado di coltivare l’umanità, la comprensione della natura
umana. Educare l’uomo alla convivenza di valori, etiche, idee, imparando a convivere con l’alterità e con il prossimo
attraverso lo scambio, il confronto e la valorizzazione della differenza
Sviluppo del pensiero critico e autonomo, dell’empatia, della comprensione umana
16 Don Milani e la scuola di Barbiana
COME CAMBIA LA SCUOLA:
Contesto storico e politico
La riforma Gentile del 1923: una
Gli anni ’20 e ‘40
concezione idealistica della scuola,
Il Fascismo (ventennio Fascista 1922-1943)
elitaria. La scuola superiore riservata ai
La crisi economica degli anni 30
pochi che avrebbero costituito la classe
Le leggi razziali 1938
dirigente.
La seconda guerra mondiale
La riforma Bottai del 1940: scuola media
Gli anni ‘50 e ’60
Ricostruzione del dopoguerra unica: unifica tutti i trienni successivi alle
Boom economico e sviluppo industriale nel Nord scuole elementari. Rimase in attività la
La Guerra Fredda scuola professionale.
Concilio Vaticano II nel 1963-1965 Scuola media unificata 1963. Viene
Chi era Don Milani? eliminata la scuola di avviamento
Nasce nel 1923 da una famiglia colta e borghese professionale.
• La famiglia si trasferisce a Milano dove passa l’infanzia e l’adolescenza.
• Torna a Firenze, dove sviluppa il suo interesse per l’arte figurativa e lì inizia la sua conoscenza più approfondita
del Vangelo
• Nel 1942 torna a Milano a causa della guerra
• Nel 1943 entra in Seminario, dove passa un periodo «difficile»: non sempre comprende le regole interne alla
Chiesa. Viene ordinato sacerdote nel 1947
• Nel 1954 viene inviato a San Donato di Calenzano, vicino Firenze. Lì inizia la sua attività di sacerdote di prossimità.
Apre una scuola serale per ragazzi. Inizia a sviluppare quel sentimento di giustizia sociale e di contrasto
all’esclusione che si manifesterà chiaramente nell’esperienza di Barbiana.
• Dopo alcuni screzi con la Curia fiorentina viene inviato a Barbiana
Nasce la scuola di Barbiana
“Barbiana è sul fianco nord del monte Giovi, 470 metri sul mare.
Di qui vediamo sotto di noi tutto il Mugello che è la valle della Sieve affluente dell'Arno. Dall'altra parte del Mugello
vediamo la catena dell'Appennino. Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i
boschi e i campi. I posti di montagna come questo sono rimasti disabitati. Se non ci fosse la nostra scuola a tener
fermi i nostri genitori anche Barbiana sarebbe un deserto. In tutto ci sono rimaste 39 anime.
I nostri babbi sono contadini o operai. La terra è molto povera perché le piogge la portano via scoprendo il sasso.
L'acqua scorre via e va in pianura. Così i contadini mangiano tutti i loro raccolti e non possono vendere nulla.
Anche la vita degli operai è dura. Si levano la mattina alle cinque, fanno sette chilometri per arrivare al treno e un'ora
e mezza di treno per arrivare a Firenze dove lavorano da manovali. Tornano a casa alle otto e mezzo di sera.
In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l'acqua. La strada non c'era. L'abbiamo adattata un po' noi
perché ci passi una macchina” (Lettera a Mario Lodi, 1963)
L’esperienza di Barbiana: tra mito e realtà…
Denuncia mito
Denuncia delle ingiustizie che si protraggono e Esempio del potere emancipativo e liberatorio dell’istruzione
trovano conferma anche nel sistema di istruzione come produzione di sapere, conoscenze e pensiero critico;
pubblica; Le stato di disuguaglianza e esclusione può essere modificato
Le discriminazioni hanno cause sociali, culturali e e trasformato in un’ottica inclusiva e eguaglitaria;
politiche; Imparare a leggere e scrivere come principali strumenti di
La scuola, come la società tutta, riproduce affermazione della propria identità di cittadino in grado di
istanze di ingiustizia e iniquità, percepite come riflessione critica e di promozione della democrazia
ineluttabili e predeterminate;
Quale suggerimento?
Un’educazione concreta, vicina alle realtà particolari, che restituisce dignità e forza al lavoro educativo, basato sulla
relazione che produce cambiamento e trasformazione.
La corrispondenza con Mario Lodi. L’esperienza di scrittura collettiva e il valore della parola
Mario Lodi, con i suoi ragazzi, propone alla scuola di Barbiana di tenere una corrispondenza.
• La scrittura collettiva:
• Nasce dalla volontà di comunicare;
• Aiuta a sviluppare reciprocità, comprensione, ascolto
• Abitua al confronto e alla riflessione sulle parole.
• Ha un valore pedagogico e politico
Il valore della parola: la parola come strumento di liberazione e “generatore di mondi.” Strumento attraverso cui
conoscere e mediare l’interno con l’esterno. Esclusione dalla parola è esclusione sociale.
L’esperienza educativa di Barbiana, ma non solo…
Freire in Brasile
L’uso della parola come strumento di liberazione verso un processo di coscientizzazione.
• La conoscenza bancaria o problematizzante
• La produzione di conoscenza attraverso ciò che già si conosce e la condivisione
• L’educazione come atto politico, che emancipa e trasforma. Che si schiera e non è mai neutrale
Don Sardelli a Roma. La scuola 725
• Educare lì dove la scuola pubblica fallisce.
• Educare alla conoscenza del mondo e alla consapevolezza dei proprio essere cittadini attivi del mondo
• La condivisione e la co-costruzione della conoscenza
• Produrre coscienza della propria situazione di marginalità per sovvertirla
Alcuni spunti di riflessione:
• strumento generativo di conoscenza, come strumento di dialogo, relazione, discussione. Alla base di una società
democratica e libera;
• La possibilità di produrre cambiamento attraverso la cultura e la condivisione;
• Apprendere attraverso l’esperienza, come bene comune; Porre attenzione, soprattutto agli ultimi;
• L’educazione= atto politico. Intenzionale e non spontanea, per diminuire le disuguaglianze e promuovere
consapevolezza critica;
• L’educazione come problematizzante e volta al cambiamento insita in ogni aspetto della vita e praticabile in ogni
luogo;