Sei sulla pagina 1di 11

Una scienza nomade e in permanente transito

Franca Pinto Minerva1

Tra confini e sconfinamenti

Che cosa significa questa caratterizzazione della pedagogia ge-


nerale? Essa non coglie semplicemente una generica relazione di
parentela o di affinità del discorso pedagogico e delle cosiddette
“scienze dell’uomo”. Non c’è nulla di straordinario nel notare che
la pedagogia intrattiene relazioni con ciascuna delle altre scienze
che studiano l’essere umano. Bisognerebbe, semmai, tematizzare e
soprattutto problematizzare la natura e le forme specifiche di queste
relazioni. Quale scienza non potrebbe, a sua volta, rivendicare la
propria interrelazione con una molteplicità di altre forme di sapere?
È fin troppo ovvio che il pedagogista non può svolgere adeguata-
mente il proprio lavoro senza tener presenti le risultanti delle al-
tre scienze. Anche la medicina, ad esempio, in quanto studio della
salute e della malattia, si caratterizza come scienza di confine nei
riguardi della biologia, della chimica, della fisica, della psicologia e
di quella galassia interdisciplinare che costituisce l’universo dell’in-
telligenza artificiale. E si potrebbero fare ancora altri esempi. Per
1
Il testo si rifà a un seminario di studio a cui hanno partecipato, oltre alla sottoscritta,
Alberto Greco (che da poco ci ha lasciati, nel dicembre 2018), Rosa Gallelli, Pasquale
Renna, in cui ci si è confrontati sulla difficile definizione e collocazione della pedagogia
generale rispetto alle singole pedagogie regionali e alle molteplici altre scienze che
si occupano dell’educabilità dell’umano: un incontro decostruttivo-ricostruttivo
propedeutico ad un’ulteriore messa a punto dell’ampio campo della riflessione e della
pratica della pedagogia generale. Autori di riferimento sono stati: Margiotta, Baldacci,
Frabboni-Pinto Minerva, Loiodice, Cambi, Mariani, Annacontini, Frauenfelder, Colicchi,
Tomarchio, Mattei, Massa, Bertolini. Si è trattato di una prima riflessione che richiede
ulteriori approfondimenti.

216
non parlare poi di una disciplina che, per così dire, confina con tutte
le forme di sapere, sia con quelle che studiano l’uomo, sia con quel-
le che studiano la natura: la filosofia.
Ebbene, in tutti questi casi, la metafora del confine indica la re-
lazione di influenza reciproca tra i molteplici ambiti dell’esperienza
umana. Nel senso generico appena definito, e con particolare riguar-
do alla pedagogia, l’espressione scienza di confine significa che non
è possibile costruire alcun discorso pedagogico rigoroso senza te-
ner conto delle risultanze di una molteplicità di saperi. E ciò non
soltanto per l’ovvia ragione che alla formazione della soggettività
umana – che costituisce il tema generale della pedagogia – concor-
rono tanto i fattori d’ordine naturale, che si possono cogliere attra-
verso l’approccio biologico, quanto i fattori d’ordine culturale, che
si possono invece individuare con l’approccio antropologico; e poi
non soltanto perché alla costituzione della stessa soggettività umana
contribuiscono sia fattori di natura squisitamente individuale, che si
possono cogliere con l’analisi psicologica, sia fattori di natura so-
ciale, che si possono invece cogliere mediate l’analisi sociologica.
Non bisogna d’altronde dimenticare che ciascuno di questi fattori
– individuali e sociali, naturali e culturali – esercitano i loro effetti
non soltanto nella modalità sincronica di una complessa interazio-
ne reciproca, ma anche nella modalità diacronica di una continua
dinamicità evolutiva. L’individualità dell’uomo, le culture, le strut-
ture e le relazioni sociali, persino la stessa costituzione specifica
dell’essere umano, si modificano incessantemente, cosicché non è
possibile studiare la formazione dell’uomo in astratto – come se la
produzione e la riproduzione della soggettività umana obbedissero
a leggi universali e fisse – ma soltanto nella determinazione del-
le dinamiche storico-culturali, nella concretezza dei contesti poli-
tico-istituzionali. Appare pertanto chiaro che la pedagogia confina
innanzitutto con l’ambito del sapere storico.
E vale anche la relazione inversa, per ciascuna di queste disci-
pline che confinano con la pedagogia. Gli psicologi non possono
infatti analizzare i processi di costruzione delle intelligenze e del-

217
le personalità, senza tener conto delle dinamiche formative che
la pedagogia scopre all’interno dei molteplici contesti in cui si
costituisce la soggettività umana. I sociologi non possono spie-
gare adeguatamente la distribuzione della riproduzione dei ruoli
e degli status, così come gli economisti non possono spiegare la
struttura e gli effetti distributivi della divisione sociale del lavo-
ro o l’andamento del mercato occupazionale, senza prendere in
considerazione gli studi pedagogici sulla formazione. Persino il
neurofisiologo ha bisogno di considerare l’influenza che i contesti,
i media materiali e simbolici, i processi formativi esercitano sullo
sviluppo del sistema nervoso, ad esempio sulla specializzazione
funzionale di determinate aree corticali e sull’affinamento di certe
funzioni sensoriali. Così, il filosofo non può comprendere adegua-
tamente il senso e la portata di una nuova scena del pensiero senza
porsi il problema pedagogico di valutare gli effetti formativi che
ne derivano, e lo storico non può, dal suo canto, cogliere lo spirito
di un’epoca o i tratti di una forma di vita (es. il Rinascimento), o
analizzare la struttura e lo sviluppo di una formazione economi-
co-sociale (es. la società medievale), o comprendere il carattere o
le condotte degli uomini del passato, senza conoscere le istituzioni
della formazione, le pratiche sociali di inculturazione e le conce-
zioni pedagogiche del tempo.
Ma tutto ciò rende soltanto il senso più ovvio, anche se pur sem-
pre interessante, dell’espressione “scienza di confine”. Intesa in
tal senso, la locuzione allude semplicemente alla vocazione inter-
disciplinare della pedagogia come di ogni altra branca del sapere.
Possiamo però dare un altro senso a questa espressione, un senso
più trascurato e tuttavia più interessante, un senso che la pedagogia
condivide soltanto con la filosofia (e forse anche con la medicina).
In questo secondo senso, la pedagogia appare come “scienza di con-
fine” non già perché tenda a sconfinare o si lasci penetrare da altre
forme di sapere, ma in quanto essa dimora ai confini di tutte le altre
discipline che si occupano dell’uomo. La pedagogia abita ai confini
di tutte le discipline che si occupano dell’uomo e della donna. La

218
pedagogia non è allora definita da un preciso oggetto di indagine
(come quelli che tracciano i limiti delle singole scienze umane e del-
le scienze della formazione) ma di una pratica di pensiero che tende
a svelare e a contrastare gli ostacoli che riducono i processi della
soggettivazione umana. La pedagogia non è dunque un determinato
luogo teorico, ma un movimento teorico sorretto da un’intenziona-
lità critica che investe l’ambito dei processi formativi.

La pedagogia come scienza complessa e itinerante

Nel suo essere scienza complessa e nomade (cioè mobile, atti-


va: una pratica critica e trasformativa) la pedagogia attraversa senza
posa i confini di tutte le altre scienze dell’uomo e della formazio-
ne, scienze stanziali (perlopiù positive, descrittive, esplicative), co-
gliendo nel gioco mobile delle prospettive che in tal modo si aprono
i limiti, la riduzione che ciascuna di esse operano della complessi-
tà umana, e quindi anche i limiti delle modalità di soggettivazione
che esse fondano e legittimano. Rispetto a quanto evidenziato, la
pedagogia può individuare (se resta fedele alla sua vocazione tra-
scendentale cioè critica-trasformativa), i limiti di quelle forme di
soggettività che vengono purtroppo naturalizzate dalle scienze po-
sitive e che, invece, sono prodotti contingenti di determinate condi-
zioni storiche e socio-culturali. In tal senso, la pedagogia è scienza
che opera ai margini delle scienze dell’uomo, della numerosa fami-
glia delle scienze della formazione, per evitare che le nostre visioni
dell’essere umano restino imprigionate nei limiti prospettici definiti
da questi saperi positivi e che le pratiche della formazione restino
cristallizzate nelle forme che da questi stessi saperi vengono fondate
e legittimate.
Ed è così che la pedagogia manifesta la sua natura di scienza
nomade: essa, infatti, non possiede un definitivo e fisso statuto epi-
stemologico (così come un nomade non possiede alcuna patria),
non è governata da una precisa struttura paradigmatica, non opera
in base a un determinato sistema di metodi e tecniche e soprattut-

219
to non mira alla realizzazione di un particolare metodo formativo
(non indica valori prescrittivi). Ma così dicendo, non intendiamo
certo sostenere che la pedagogia si trovi ancora in quello stadio
aurorale della storia della scienza che Thomas Kuhn definirebbe
“fase pre-paradigmatica”. Il fatto che la pedagogia non sia carat-
terizzata da un unico paradigma dominante, e nemmeno da un ri-
stretto numero di paradigmi in competizione, non è certo dovuto
– a nostro avviso – a una contingente debolezza del suo apparato
concettuale e metodologico ma alla sua fluida natura di pratica
discorsiva, attività essenzialmente critica. In tal senso, la pratica
discorsiva della pedagogia si esplica in chiave critica al pari della
pratica filosofica: così come la filosofia svolge una funzione dis-
solvente nei confronti delle incrostazioni ideologiche che limitano
e cristallizzano il pensiero, così la pedagogia svolge una funzione
analoga nei confronti dei discorsi, delle concezioni e delle prati-
che che bloccano o riducono lo sviluppo potenzialmente illimitato
della soggettività umana.
Ma quando parliamo di pratica, va chiarito, non ci riferiamo al
diretto e positivo impegno della pedagogia nella progettazione dei
sistemi e delle istituzioni formative, impegno che pure caratterizza
talvolta equivocamente l’operato del pedagogista. Questa, infatti,
esercita appropriatamente la propria funzione pratica solo quando
opera in forma indiretta e negativa, e quindi favorendo la consa-
pevolezza circa gli effetti che i contesti sociali, di esistenza, di ap-
prendimento, della produzione, del consumo, del potere – esercita-
no sulla costituzione della soggettività umana (intelligenza, forme
di coscienza, atteggiamenti, valori, comportamenti) lungo l’intero
corso della vita.
L’impegno pratico della pedagogia è in tal senso indiretto, per-
ché non si traduce in precise e dettagliate prescrizioni, progetti,
programmi, tecniche, ma tende a evidenziare gli effetti reali e
possibili, desiderati o indesiderati, che possono derivarne. È così
che il sapere pedagogico sollecita la presa di coscienza riflessiva e
problematica da parte dei soggetti sociali e politici che concorrono

220
al cambiamento dei contesti e delle pratiche della formazione. Il
pedagogista non formula prescrizioni, precetti e progetti, ma si
limita sobriamente a chiarire gli effetti formativi dei contesti in
cui l’uomo vive, comunica, interagisce ed apprende. L’impegno
pratico della pedagogia è inoltre negativo, in quanto è criticamen-
te rivolto a mettere in luce punti di debolezza (oltre che punti di
forza), i limiti e le contraddizioni delle forme ideologiche, sociali,
istituzionali, entro le quali si produce e riproduce la soggettività.
Insomma, per così dire, la lingua del pedagogista batte dove il
dente duole. La ricerca pedagogica è allora volta allo studio delle
condizioni che, a seconda delle modalità concrete in cui si attua
la formazione, possono intralciare o limitare la liberazione del po-
tenziale umano.
Così intesa, la pedagogia è un sapere della dissidenza, capace
di dire “no” ai soprusi e alle violenze simboliche e reali. Essa è
già pratica, anche quando si esplica sul piano teoretico, è pratica
nell’atto stesso in cui si configura come attività discorsiva. Essa,
infatti, non elabora direttamente conoscenze, così come non si tra-
duce immediatamente in applicazioni di ingegneria della formazio-
ne. Come potrebbe la pedagogia produrre conoscenze senza restare
condizionata da determinati problemi scientifici? E come potrebbe
progettare applicazioni ingegneristiche nel campo della formazione
senza assumere particolari – e sempre discutibili – istanze etiche
e politiche, senza dunque restare prigioniera di forme più o meno
larvate di pensiero riduttivamente metafisico, e senza asservirsi a
questo o a quel centro di potere?
Ma con quanto appena detto, non vogliamo anzi affatto asserire o
auspicare la neutralità del discorso pedagogico, una neutralità che,
peraltro, in linea di principio è impossibile. Intendiamo, invece, ri-
vendicare la libertà critica del pedagogista, in quanto è chiamato a
realizzare e a mettere in discussione qualsivoglia paradigma teori-
co, così come è chiamato a vagliare spassionatamente qualsivoglia
contingente particolare realizzazione istituzionale e pratica.

221
La pedagogia e il problematico campo della modificabilità umana

Ebbene, in una certa fase di questa secolare storia – fu ai tempi


di Amos Komensky? O fu, invece, con Johan Friedrich Herbart? Fu
con John Dewey? Con Edward Claparede o con Jean Piaget? O fu
con tutti costoro, e altri ancora? Insomma, a un certo punto, nel corso
della storia tortuosa della riflessione sul sapere pedagogico, il tema
centrale della formazione si trasformò dapprima in un macro-og-
getto di indagine, sottoposto a questo o a quel metodo osservativo
sperimentale o clinico, e progressivamente cominciò a differenziar-
si in una quantità di micro-oggetti: apprendimento, intelligenza e
percezione (studiati dalla psicologia cognitiva e affettiva); svilup-
po (studiato dalla psicologia evolutiva e dalla psicanalisi); socia-
lizzazione (nelle molteplici agenzie del sistema formativo, studiata
dalla sociologia dell’educazione); e, ancora, organizzazione degli
ambienti di apprendimento e curricolo (studiati dalla didattica o te-
oria dell’istruzione), ecc. Ed è facile immaginare quale sia la logica
conclusione di questo itinerario di differenziazioni: alla pedagogia
toccherebbe oggi il medesimo destino che ha già segnato la sorte
della metafisica. È incamminarsi felicemente sul viale del tramonto,
rassegnandosi a lasciare libero campo a una libera e feconda proge-
nie di scienze della formazione.
Ma, a nostro avviso, questo epilogo dei fatti appare tutt’altro che
scontato.
– Con il tramonto della metafisica non viene meno la filosofia, per-
ché quest’ultima è innanzitutto pensiero.
– Con la nascita delle scienze positive della formazione, dal ceppo
della moderna pedagogia scientifica (osservativa e sperimenta-
le) non viene affatto meno la pedagogia, intesa però come pe-
dagogia generale, rivolta alla riflessione critica: 1) sulle stesse
scienze della formazione; 2) sulle concezioni non scientifiche
che concernono la stessa formazione e 3) sugli effetti formativi
-più o meno intenzionali e più o meno formali - delle idee, delle

222
pratiche e dei media, delle istituzioni sociali. Di questo tipo di
pensiero pedagogico si avverte oggi un bisogno ancora più mar-
cato.
– Quali, allora, le modalità di lavoro tipiche della pedagogia gene-
rale, che si configura pur sempre come pratica teorica e scienza
rigorosa?
1) Si tratta di un approccio saggistico: confronto fra differenti
prospettive teoriche e scientifiche, riflessione che può aprire
alla scoperta di nuove ipotesi e di inedite piste di indagine.
2) Approccio genealogico e metodo archeologico;
3) Decostruzione delle antinomie del pensiero e della pratica
formativa;
4) Approccio storico-materialistico;
5) Approccio analitico: analisi linguistica dei discorsi relativi
alla formazione;
6) Approccio trascendentale del problematicismo pedagogico.
– E così si torna alla metafora della scienza di confine, per spiegar-
la meglio. La pedagogia non ha un territorio – non ha un ogget-
to e un metodo definitivi e apoditticamente determinati; ha solo
un immenso campo disciplinare: il tema della formazione. Essa
opera sull’orlo di ogni sapere e sull’orlo di ogni pratica sociale:
vi prende cognizione e vi prende parte per quel tanto che risulta
necessario per poter esercitare le proprie attività riflessive.
– Se pur possiamo procedere in forma logica, per cogliere il signi-
ficato e l’essenza della pedagogia, non possiamo dimenticare che
questo apparente carattere logico del significato della pedagogia
è emerso, e viene tutt’ora emergendo, attraverso le tortuosità e
le incertezze della nostra esperienza storica, sicché la pedagogia
è una rigorosa pratica discorsiva, riflessiva e critica, potenzial-
mente capace di produrre effetti trasformativi sul sistema e sulle
modalità della formazione. Ora, questa nostra consapevolezza è
anche l’effetto di una secolare dinamica storica che ci ha portato
da una pedagogia teorica dedotta aprioristicamente dalla filosofia
metafisica, a una teoria pedagogica fondata empiricamente sui ri-

223
scontri delle scienze dell’uomo, a una pedagogia ridotta al rango
di introduzione e/o di sintesi di una numerosa famiglia di scienze
dell’educazione.
Nel chiederci, dunque, a quale genere prossimo e a quale diffe-
renza specifica vuol essere ridotta la pedagogia, diciamo subito che
la differenza specifica della pedagogia è data dal suo campo di ap-
plicazione, cioè dal suo tema generale, che comprende l’intera sfera
dei processi di costituzione e di riproduzione della soggettività. Con
questo termine, ci riferiamo infatti a tutte le forme di coscienza (cre-
denze, forme di sapere, forme di pensiero, ecc.), dai ragionamenti,
agli atteggiamenti, alle pratiche (pratiche comunicative, formative,
relazionali, lavorative, conoscitive, ecc.), alle disposizioni (abilità e
competenze). Insomma, all’intera gamma delle modificazioni, modi
di coscienza, modi d’essere e modi d’azione che l’uomo apprende
dandosi all’interno di un determinato contesto socio-culturale. Ecco
perché possiamo dire, in sintesi, che il campo di applicazione della
pedagogia è l’intera sfera della modificabilità umana.

224
Bibliografia

Annacontini G., Pedagogia e complessità. Attraversando Morin,


Pisa, ETS, 2008.
Baldacci M., Trattato di pedagogia generale, Roma, Carocci,
2012.
Baldacci M., Colicchi E., Pedagogia al confine. Trame e demar-
cazioni tra i saperi, Milano, Franco Angeli, 2018.
Baldacci M., Colicchi E., I concetti fondamentali della peda-
gogia. Educazione, istruzione, formazione, Roma, Avio Edizioni
Scientifiche, 2020.
Colicchi E. (a cura di), Per una pedagogia critica, Roma, Caroc-
ci, 2009.
Bertolini P., L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pe-
dagogia fenomenologicamente fondata, Firenze, La Nuova Italia,
1999.
Cambi F., Manuale di Storia della pedagogia, Roma-Bari, La-
terza, 2009.
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Roma-Bari, Laterza,
2005.
Colicchi E., Per una pedagogia critica. Dimensioni teoriche e
prospettive pratiche, Roma, Carocci, 2009.
Frabboni F., Pinto Minerva F., Manuale di pedagogia generale,
Roma-Bari, Laterza, 2001.
Frauenfelder E., Pedagogia e biologia: una possibile alleanza,
Napoli, Liguori, 1997.
Loiodice I., Pedagogia: il sapere/agire della formazione, Mila-
no, Franco Angeli, 2019.
Mariani A., La decostruzione e il discorso pedagogico, Pisa,
ETS, 2000.
Margiotta U., Teoria della formazione. Ricostruire la pedagogia,
Roma, Carocci, 2015.
Massa R., Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Ro-
ma-Bari, Laterza, 1992.

225
Massa R. (a cura di), La clinica della formazione, Milano, Fran-
co Angeli, 2004.
Mattei F., Sfibrata Paideia, Roma, Anicia, 2009.
Mattei F., Tracce di Paideia, Roma, Anicia, 2012.
Tomarchio M., D’Aprile G., Laros V., Natura-Cultura, Milano,
Franco Angeli, 2018.

226

Potrebbero piacerti anche