Sei sulla pagina 1di 28

EMPIRISMO

RAZIONALISMO
STORICISMO

PARTE VII
CARTESIO

Renè Descartes nasce il 13/03/1596 a le Haje, è educato dal Gesuiti, e di questo periodo
critica agli studi fatti, che gli rivelano l'intima vacuità della cultura scolastica del tempo. Egli
viaggia molto convinto che non ci sia miglior libro che quello del mondo. Nel 1618 si
arruola nell'esercito del principe di Nassau che prende parte alla guerra dei trent'anni. Si
stabilisce in Olanda, che è considerata un paese tollerante sia dal punto di vista filosofico che
religioso, e poi lui lo sceglie per trovare un po' di tranquillità che in Francia, dice di non aver
trovato. Nel 1619 ha "l'illuminazione"su quello che sarà il suo metodo, le cui idee in merito
saranno scritte solo nel 1628. Scrivere un trattato del mondo, ma non lo pubblica vista la
condanna inflitta a
Galilei. Anche lui accetta Copernico tuttavia pubblica nel 1631 tre saggi: La Diottrica, Le
Meteore e la geometria, che separa dal famoso trattato. In seguito pubblica un'opera,
Principia philosophiae in quattro libri, in cui oltre alla materia del Mondo riassume anche la
sua filosofia. L'opera è articolata in brevi articoli secondo i modelli scolastici del tempo,
perché essa, nell'intenzione del filosofo, doveva sostituire 1 , insegnamento aristotelico
ancore dominante. Il che non avviene.
Nel 1649 viene invitato dalla regina Cristina di Svezia ad insegnarle la filosofia sua, ad egli
accetta e parte, però pubblica prima le passioni dell'anima. Il povero filosofo muore in
Svezia per le stravaganze della regina che gradiva le lezioni di filosofia alle cinque del
mattino; il che procura al nostro una bella polmonite. Dopo la morte sono pubblicati altri
scritti come Compendium musicae, Trattato dell'uomo, Trattato della luce.

IL RAZIONALISMO

Il razionalismo con l'empirismo sono le due correnti filosofiche più importanti della filosofia
moderna. Se l'empirismo ha la pretesa di pervenire alla verità attraverso l'esperienza
convalidata dal l'esperimento, ossia attraverso il metodo induttivo aggiornato da Bacone ed
esposto nel Novum Organon; il Razionalismo, invece, fa notare all'empirismo che la
sensazione non può essere considerata valido strumento della conoscenza, perché è fallace e
non idonea a dare una verità oggettiva e universale, pertanto c'è bisogno della ragione,
l'unica che possiede i caratteri del l'universalità e della oggettività e del metodo deduttivo
matematico. Questo si oppone a quello di Bacone, ed è detto matematico, perché accetta solo
idee chiare e distinte. L'idea chiara, secondo Cartesio, che è L'iniziatore del razionalismo, è
quella che appare presente e manifesta al pensiero; ed è detta distinta, perché, essendo di per
sé già definita, si deve necessariamente distinguere dalle altre.

2
METODO CARTESIANO

Prima di ricostruire la scienza, perché non reputava tale il sapere ricevuto presso i Gesuiti, si
preoccupa di costruire a tale fine un metodo di ricerca e d'indagine, che si compone di
quattro momenti
1) Non accettare per vero nulla che non sia evidente e che sia in contrasto con la ragione;
2) Scomporre per via di analisi le idee complesse in idee semplici, tali da avere i caratteri
dell'evidenza e della verità;
3) Ricomporre per via di sintesi le idee semplici in modo da risalir alle idee complesse;
4) Essere vigili nell'enumerazione di queste idee semplici onde non omettere alcuna per
evitare che si danneggi l'unità dell'idea complessa.
Con questo metodo Cartesio si accinge alla restaurazione del sapere però in attesa di
elaborarlo, provvede a una morale provvisoria, che sia guida alla sua vita fino alla
costruzione del nuovo sapere. Questa si compone di vari elementi:
1) obbedire alle leggi dello Stato e conservare la religione degli avi;
2) essere fermi e decisi nelle proprie azioni;
3) vincere piuttosto se stessi che la fortuna;
4) modificare se stessi piuttosto che cozzare contro l'ordine della natura;
5) modificare i nostri desideri in modo da desiderare ciò che è in nostro potere.
Fatta la morale provvisoria, il filosofo si accinge alla costruzione della nuova scienza.

Cogito, ergo sum

Come Bacone, Cartesio cerca di librarsi del sapere tradizionale, già definito negativo,
mettendolo in dubbio. Il dubbio cartesiano è metodico, assunto per costruire il nuovo sapere:
un sapere positivo. Il dubbio cartesiano, perciò, non è sistematico e definitivo come quello
degli scettici, ma temporaneo; infatti egli dubiterà finché non avrà elaborata la nuova
scienza. Cartesio dice che per pervenire al nuovo sapere, bisogna dubitare di tutto: De
omnibus dubitandum est. Bisogna, infatti dubitare dei sensi, perché sono ingannevoli,
bisogna dubitare dell'intelletto perché esprime ragionamenti erronei; bisogna dubitare perfino
della matematica che, per quanto scienza di principi veri ed evidenti, può essere influenzata
da un genio maligno.
Se lo dubito di tutto, devo naturalmente dubitare del fatto che io dubito. Poiché 10 dubito, io
penso, e se penso sono. Ciò spiega l'espressione: cogito, ergo sum. Col dimostrare la propria
esistenza Cartesio pone il primo principio della nuova scienza, cioè la dimostrazione della
propria esistenza.

Dall'uomo a Dio

1) Se io sono un essere pensante insidiato dal dubbio, vuol dire che sono imperfetto e
limitato. Questa intuizione di limitazione e di imperfezione è in me perché la collego
3
ad un'idea di perfezione e d'infinità; idea che non può venire da me, perché se sono
imperfetto non posso avere l'idea del perfetto,né può venirmi da qualche altra parte più
imperfetta di me; né può venirmi dal nulla; mi viene perciò da Dio; dunque Dio esiste.
(prova psicologica)
2) Se io sono un essere imperfetto, io non posso considerarmi causa di me e del mondo
esterno. Se avessi avuto il potere di creare, mi sarei innanzitutto fatto perfetto. Da ciò
si deve dedurre che la causa di me e del mondo esterno non può essere che Dio. Per
dimostrare l'esistenza di Dio, Cartesio ricorre anche a un argomento a priori, cioè
dedotto dal pensiero ( prova cosmologica ).
3) Se Dio è essere perfetto deve necessariamente esistere, perché l'esistenza è un attributo
imprescindibile della perfezione (prova ontologica - S.Anselmo)

Gnoseologia e teoria dell'errore

Se devo la mia esistenza a Dio, il mio pensiero deriva dal suo ed è in grado di costruirsi un
sapere e quindi una scienza. La conoscenza avviene per idee avventizie, fittizie e innate. Si
chiamano avventizie quelle che derivano dal nostri sensi; data l’origine sensoriale
promuovono una conoscenza imperfetta. Le idee fittizie sono quelle che risultano
dall'elaborazione che il nostro intelletto compie sul contenuto delle percezioni. Le idee innate
sono i principi che Dio ha impresso in noi; si tratta, quindi, di idee chiare e distinte, unica e
vera fonte di conoscenza certa. Da quanto esposto, è facile dedurre che il nostro sapere,
derivi dalle idee innate principalmente, pone la sua certezza sulla veridicità di Dio e non
nella possibilità gnoseologica dell'uomo, le cui idee avventizie, fittizie, in quanto sensoriali
non possono essere fonte di sicura conoscenza. Se il nostro pensiero deriva da quello divino,
se il nostro sapere si fonda sulla veridicità di Dio, come spiegare l'errore?
A questo proposito Cartesio risponde che l'errore ha due fonti: l'intelletto e la volontà.
L'intelletto si trova spesso di fronte a idee confuse, poco chiare; la volontà, che va oltre i
limiti ad essa consentiti, considera vere le anzidette idee confuse, e agendo cade in errore.

Res exstensa e res cogitans

1 sensi ci mettono in contatto con la realtà esterna,a cui attribuiamo per sé, tramite i sensi,
determinate qualità. Poiché queste sono di origine sensoriale, e quindi soggettive, ne
consegue che non sono sufficienti per testimoniare l'esistenza degli oggetti. Polemizzando
con gli empiristi, Cartesio nega qualsiasi possibilità gnoseologica alla sensazione. Soltanto il
pensiero può testimoniare l'esistenza della realtà oggettiva nel momento in cui coglie
l'essenza dell'oggetto. Caratteristica della realtà esterna è l'estens perciò si dice res extensa.
Poiché a dimostrarla come esistente e a conoscerla è lo spirito, ne consegue che accanto alla
res extensa c'è anche una realtà spirituale detta res cogitans.

4
Le tre sostanze e concetto di sostanze

Da quanto esposto si deduce che la filosofia cartesiana pone tre sostanze: Dio -pensiero (res
cogitans) - materia (res extensa). Per Cartesio la sostanza è ciò che esiste per virtù propria.
Dio è una sostanza perché per esistere non ha bisogno di un altro essere. Anche il pensiero e
la materia sono sostanze, perché la loro esistenza riposa sull'esistenza della sostanza di Dio.
La res cogitans e la res extensa sono due sostanze opposte tra loro, diversamente
caratterizzate, irriducibili; l'una non può diventare l'altra e viceversa. Nonostante questa
diametrale opposizione, le due sostanze coabitano in modo evidente nell'uomo. Nell'uomo,
infatti, la res cogitans (anima) e la res extensa (corpo) si trovano unite in modo da formare
una sola realtà sostanziale, cioè la persona umana.
Le due sostanze, però sono eterogenee tra loro (l'anima è la realtà, il corpo è necessità) e
perciò non si possono spiegare le reciproche influenze che l'una esercita sull'altra, in
particolare non si comprende come avvenga la conoscenza e l'atto volontario. La
conoscenza, infatti, ha origine da un'azione della res extensa sulla res cogitans, mentre l'atto
volontario si esplica con un'azione della res cogitans (spirito) sulla res extensa (corpo). In
parole povere l'uomo mette in funzione il suo pensiero, dopo che ha ricevuto un'impressione
dal mondo esterno mediante i sensi e agisce dopo che la volontà F ha deciso. Egli ritiene che
l'anima si trovi nella ghiandola pineale, oggi si chiama ipofisi, la quale si trova nella parte
più interna della sostanza cerebrale. Quindi avviene il contatto tra l'anima e il corpo; così si
spiega l'influenza dell'una sull'altra.

Problemi insoluti

1 problemi insoluti sono due:


1) Rapporto tra res cogitans e res extensa nell'uomo;
2) Relazione tra Dio (sostanza prime) e gli esseri finiti (materiali e spirituali) sostanze
seconde.
Cartesio, infatti, non dimostra come anima e corpo costituiscono un'unità sostanziale e
possono influenzarsi reciprocamente, dato che la res cogitans e la res extensa sono tra loro
irriducibili. Inoltre non spiega come le sostanze seconde siano autonome,visto che ricevono
la realtà del proprio essere da Dio.

Confronti

1 cogito ergo sum cartesiano sembra ripetere Campanella, ma l'orientamento è diverso,


infatti Campanella mira a superare lo scetticismo e considera la verità indipendente
dalla ragione; mentre in Cartesio la ragione è tutto.
2) In Campanella predomina la sensazione, in Cartesio la ragione.
3) Tanto Cartesio che Galileo considerano fondamentale la matematica, però Galileo se
ne serve per scrutare la natura, Cartesio l'applica all'attività stessa della ragione.

5
SPINOZA

Benedetto da Spinosa nasce ad Amsterdam il 21/11/1632 da una famiglia ebraica, costretta


ad abbandonare la Spagna per motivi religiosi, e educato dalla comunità ebraica di
Amsterdam, da cui è espulso per eresie. Si porta in altre città, infine all'Aia dove passa gran
parte della vita. Impara il mestiere di ottico, grazie al quale diventa noto prima ancora che
come filosofo. Rifiuta 2000 fiorini offertogli dal suo discepolo De Vries, da cui tuttavia
accetta in seguito un vitalizio di 300 fiorini. Muore nel 1677 di tubercolosi.

SPINOZA E CARTESIO

Accetta da Cartesio il carattere matematico della deduzione filosofica, ma considera la


filosofia tutta come etica, cioè come problema di vita e non di pensiero astratto, come norma
d'azione; la filosofia è religione razionale non scienza.
Il meccanismo deterministico che Cartesio limita alla natura, Spinoza lo estende all'uomo, in
quanto lo stesso ordine necessario governa le cose e l'uomo. Il Cartesio troviamo tre
sostanze: Dio, da cui tutto scaturisce. Natura e Dio s'identificano. Dio è lo stesso geometrico
necessario del tutto. Secondo S. la libertà di Dio è il suo stesso necessario determinarsi; la
libertà dell'uomo consiste nel riconoscimento di tale azione e nel lasciare che la sua necessità
agisca in lui.
Spinoza è il filosofo della necessità, tuttavia è per la libertà di pensiero sia in materia politica
che religiosa. La sostanza, quindi, in Spinoza è una ed è Dio, il solo essere che esiste di per
se stesso. Per S. la sostanza è ciò che esiste per se stesso, vale a dire ciò il cui concetto di
nessun altra cosa. La sostanza è causa sul, infinita e assoluta. Quelle che sono sostanze in
Cartesio rappresentano solo gli attributi di essa; cioè il pensiero e l'estensione, Dio e mondo
s'identificano: Deus sive natura (panteismo).

Dio e mondo

Dio è causa del mondo, ma non opera fuori di esso, bensì come causa immanente. Egli non
esiste separato dal mondo, ma è il mondo identico a Dio. Dio è causa nel suoi effetti; solo
idealmente possiamo distinguere tra Dio causa generante (naturans) e il mondo causa
generata (natura naturata).
Da quanto detto si può così riassumere:
1) Natura e Dio coincidono e s'identificano. In natura non esiste miracolo,perché se ci
fosse sarebbe contro decreti divini;
2) Dio è lo stesso ordine necessario della natura
3) L'ordine necessario è ordine geometrico.
La causalità divina è processo necessario, che esclude qualunque finalità fuori del suo
assoluto determinarsi.

Problema gnoseologico

6
Tre sono i momenti del processo pratico -conoscitivo:
1) La conoscenza sensitiva che coglie il mondo nella molteplicità degli esseri, ognuno
preso nella sua individualità. L'aspetto pratico di questo grado della conoscenza è la
passione, per cui l'uomo si lascia condurre dalle cose che sono fuori di lui. E' lo stato
della schiavitù.
2) La conoscenza razionale con cui s'intendono le cose nei loro nessi indissolubili, tanti
anelli dell'infinita causalità. Le cose si conoscono sub specie aeternitatis. E' il
momento della scienza che libera l'uomo dalla passione e gli dà la tranquillità della
ragione contemplatrice dell'ordine universale, che è impassibile e imperturbabile
(apatia stoica).
3) L'intuizione, al di là della ragione, con cui s'intuiscono la essenze finite che
scaturiscono con un ordine necessario e immutabile direttamente da Dio infinito.
Si realizza la nostra liberazione dai limiti del tempo e di quanto è mutevole.
In questo grado supremo della conoscenza si sente e si ama Dio in tutto (Amor Dei
intellectualis) e ciò è dovuto alla coincidenza tra la mente umana e divina. In questo
ultimo grado la conoscenza umana è la stessa di quella divina. L'amore dell'uomo è
identico a quello di Dio che ama se stesso.
In Spinoza troviamo due processi: uno dall'unità della sostanza alla molteplicità delle cose;
l'altro dalla molteplicità delle cose all'unità della sostanza; quindi c'è un circolo chiuso, in cui
la vita degli esseri si annulla nell'infinito.
Spinoza è un panteista, infatti nega la trascendenza e la rivelazione; identifica Dio con l'unica
impersonale sostanza e risolve la religione (la nega) nella filosofia, della quale rappresenta il
momento razionale più elevato.
Per Spinoza la vera religione è quella del saggio e si esprime nell'amore intellettuale di Dio,
però non tutti sono capaci di elevarsi a questo grado di conoscenza razionale; da qui la
necessità della religione positiva, fatta di simboli e riti. La religione di Spinoza è data da
pochi principi come l'obbedienza a Dio e l'amore per il prossimo.

Libertà

Spinoza nega la libertà perché il suo determinismo assoluto non ammette iniziative.
1 concetti di libertà e persona sono frutti dell'ignoranza. Lo stesso Spinoza dice: " ci
crediamo liberi, perché ignoriamo le cause che determinano ogni nostra azione; crediamo
nella nostra persona perché non sappiamo vederla nella sua essenza, che è la stessa della
Sostanza."
In Spinoza c'è il panteismo acosmico, in cui Dio e natura s'identificano. Il Dio di Spinoza
non è quello della religione, ma non è altro che la ragione divinizzata, che si manifesta
necessariamente in determinazioni contingenti.

7
Politica

Lo Spinoza sostiene che il diritto di natura s'identifica con le stessi leggi naturali. Agire
secondo queste leggi è agire conformemente al diritto di natura. Esso s'identifica con l'ordine
divino. Non tutti raggiungono la conoscenza razionale che consente loro di fare quello che è
nel comune interesse. E' necessario un governo che imponga il rispetto delle leggi; così si
passa dal diritto naturale a quello positivo. Auspica un governo costituzionale, in virtù del
quale lo stesso sovrano è tenuto al rispetto delle leggi e delle idee, morali o religiose.

Confronti

1) Dio è perno motore in Aristotele; s' identifica con l'universo in Spinoza.


2) Bruno e Spinoza affermano la stessa cosa; natura naturans e natura naturata.
3) Cartesio, pluralismo di sostanze; Spinoza monismo.
4) In Cartesio la ghiandola pineale spiega l'armonia dell'anima e corpo; in Spinoza c'è
parallelismo tra i due.

VICO

8
Nasce a Napoli il 23/10/1668, studia filosofia scolastica e diritto; è precettore dei figli del
marchese Rocca; nel 1699 è professore di retorica nell'università di Napoli. Vive in grosse
ristrettezze economiche, e in vita pochi riconoscimenti, muore nel 1744.

Critica al razionalismo cartesiano

In quanto alla storia Cartesio afferma che è impossibile una storia come scienza, essendo
regno dell'arbitrio, del probabile e del verosimile, e questo per il suo carattere di
indeducibilità. Il Vico, invece, criticano il principio cartesiano della verità matematica,
dimostra che l'unica scienza possibile all'uomo sia la storia. Il cogito per il Vico è un atto di
coscienza e non di scienza, perché esso ci dà solo la certezza del nostro io. Non ci spiega,
infatti, né l'origine, né la natura, né il fine del nostro lo, nel quale caso solo per un atto
psicologico sarebbe diventato causa di scienza. Visto che il cogito non ci dà una scienza
psicologica, unica ad esso possibile, tanto meno può pretendere di dare una scienza della
realtà naturale come la fisica.
Vico fonda la sua critica sulla differenza etimologica di cogitare e intelligere. Il cogitare
significa pensare un oggetto, enumerarne le parti che lo compongono ma non conoscere
l'essenza del medesimo, caratteristica dell'intelligere.
Solo chi ha creato può assommare in sé il cogitare e l'intelligere, pertanto, conclude Vico,
solo a Dio spetta questo compito. All'uomo è possibile la cogitatio, cioè l'esperienza dei
fenomeni naturali. Una fatica come scienza, sulla base del cogito è impossibile su figure, e
numeri, non avendo alcun riferimento con la realtà, non è in condizioni di dimostrarci la
consistenza gnoseologica del principio dell'evidenza.

Il nuovo criterio di verità

Il Vico, nella distinzione di cogitare e intelligere, ha affermato che solo Dio può avere
scienza del mondo, essendone l'autore.
La vera conoscenza l'abbiamo solo quando facciamo una cosa. Da qui il criterio di verità di
Vico: Verum factum convertuntur. In base al criterio vichiano possiamo avere scienza solo di
quello che facciamo, pertanto le uniche scienze possibili all'uomo sono la matematica e la
stona. Tuttavia l'unica vera scienza è solo la stona, in cui l'uomo agisce per causas concetto
implicito nel verum ipsum factum, mentre la matematica è scienza, ma astratta. Cos'è la
storia? E' il teatro del fare umano nel tempo e nello spazio, la testimonianza dell'attività
dell'uomo del passato e del presente. In essa l'uomo si rivela nella sua individualità.
Protagonista della storia ebraica, invece, è stato Dio più che l'uomo.
La storia, così intesa, è davvero scienza nuova, perché sintesi di razionalità (verum-filosofia)
e di fatto (filologia), e si mostra fornita dei caratteri che mancano alla scienza precedente. La
scienza tradizionale (filosofia) aveva come oggetto di studio la realtà (natura e uomo);
credeva di poter conoscere l'essenza prescindendo dalla stona, che era considerata come
cronologia documentata (filologia) aliena dalla ricerca della ragione umana (idea e
intelligibile) promotrice del fatto storico.
Filosofia e filologia, nella scienza tradizionale, operavano separatamente; infatti la prima,

9
che era la forma, per carenza di contenuto era astratta; la seconda, cioè il contenuto, priva
della giustificazione razionale, era cieca.
In Vico ciò non accade, perché filosofia e filologia sono intuite intimamente connesse. Il
verum, infatti, certifica il certum della storia; e viceversa.
Dalla complementarietà tra filosofia e filologia scaturisce il corollario d'identità tra filosofia
e storia. (STORICISMO). Esso verrà n'preso dall'idealismo tedesco; dal romanticismo
europeo e dal neo-hegelismo contemporaneo.

La storia nel suo divenire

Dalla storia apprendiamo che l'uomo è stato oggetto di un continuo divenire, che lo ha
portato dallo stato di barbarie a quello di civiltà. Il superamento del suddetto stato, in cui
l'uomo era caduto dopo il diluvio universale, gli è stato possibile grazie ai semi di verità, che
Dio gli aveva lasciato, nonostante la punizione, e all'opera redentrice del Cristo.
Da quanto detto si evince che ad agire nella storia siano stati Dio e l'uomo, naturalmente con
ruoli diversi, infatti Dio ha operato come Provvidenza. (Manzoni e il romanticismo)
L'incivilimento dell'uomo è stato graduale, ed è iniziato due secoli dopo il diluvio.
Vico distingue questa gradualità in tre momenti dello spirito, a ciascuno dei quali fa
corrispondere un'età del divenire storico:
• Al momento spirituale del senso corrisponde storicamente l'età degli dei:
• A quello della fantasia, l'età degli eroi;
• A quello della ragione, l'età degli uomini.
1) Nella fase del senso gli uomini sono degli orribili bestioni, con rozza mentalità da
fanciulli, con rozzi costumi e abitazioni, soggetti ad intense passioni e pronti a
violenze inaudite. In questa fase nasce anche il sentimento religioso; un po’ perché
l'uomo è predisposto ad esso; un po' vi è spinto dalla sua impotenza di fronte al
fenomeni celesti, come fulmini. Ciò spinge gli uomini ad intuire la presenza delle
divinità. Innalzando are agli dei, gli uomini istituiscono le prime forme sociali, come il
matrimonio, famiglia; pratica il culto dei morti, crede nell'immortalità dell'anima.
Con queste prime conquiste l'uomo esce dalla fase sensoriale per passare a quella della
fantasia.
2) Nel momento della fantasia gli uomini avvertono con animo perturbato e commosso, e
cercano di esprimere quanto sentono. In questa fase nasce il linguaggio, che non è
convenzionale, come asseriscono varie dottrine filosofiche, ma secondo Vico è dovuto
ad una predisposizione naturale e spontanea dello spirito. Il linguaggio di questo
periodo è corpulento, fatto di immagini sensibili, e proprio in esso nasce la poesia.
Detto termine deriva dal greco poieo(creo). In certo qual modo i poeti si avvicinano a
Dio, perché anch'essi creano, ma lo stesso Vico fa un chiaro distinguo col dire che Dio
crea coscientemente, mentre i poeti in uno stato d'incoscienza. Il Vico considera i
poeti primi storici, infatti essi con le loro leggende, coi loro miti e favole hanno
testimoniato il loro tempo. Sulla base del rapporto commozione interiore-poesia, il
Vico sostiene la spontaneità della poesia in contrapposizione alle teorie
intellettualistiche, tradizionali e contemporanea, che la considerano prodotto di
preordinati fini didascalici e sociali. La poesia, per Vico, deve sì educare, ma non deve
perseguire un fine educativo prestabilito, bensì attraverso l'emotività che essa
10
promuove nello spirito.
In questo momento, grazie alla poesia, si esaltano le gesta di alcuni personaggi, che
vengono elevati a semidei e eroi. L'epoca della fantasia coincide con l'età degli eroi; ne
sono un esempio i poemi omerici, che sono nati dalla spontaneità creativa e non dalla
sapienza n'posta, come vuole l'estetica intellettualistica di questo tempo.
Cos'è la fantasia per Vico?
E' memoria dilatata, in aperta antitesi con la ragione. Filosofia e poesia non possono
andare d'accordo; questo spiega perché poemi di contenuto scientifico -filosofico non
sono considerati opera di scienza.
3) E' il momento della ragione, in cui gli uomini riflettono con mente pura; e abbiamo
filosofia, scienza e ordinamenti sociali. L'uomo, divenuto consapevole del suo valore,
pur conservando ammirazione per gli eroi e rispetto per gli dei, si libera
dall'ascendenza di questi ultimi, e crea una società democratica in sostituzione di quel
l'aristocratica. L'uomo essendo in questa fase il vero protagonista, fa sì che la fase
spirituale della ragione coincida con l'avvento della sua, cioè degli uomini. Forte della
sua mente, l'uomo cerca la verità, che è irraggiungibile, nonostante ciò non demorde
dall'inseguirla.

Teoria dei corsi e ricorsi storici


Detta teoria sta nel ripetersi a distanza di tempo tra le tre età. Tuttavia il ripetersi non
significa una pedissequa ripetizione di contenuti e situazioni, nel quale caso non si potrebbe
avere progresso, le forme sono sempre nuove, che presentano solo affinità con le precedenti.
Ad esempio, nella storia greca riscontriamo un'età barbarica, che coincide con l'invasione
dorica fino a giungere alla felice età di Pericle.
Altrettanto si può dire della storia romana come di quella medievale: Età oscura e barbarica
dell'altro medioevo-età del feudalesimo fino a Dante; l'età nuova fino a Vico. Questa
ripetizione ciclica durerà quanto il tempo.
In Vico troviamo il trialismo caro agli idealisti:
1) Tre epoche storiche: Età degli dei,età degli eroi,età degli uomini
2) Forme di regime politico: teocrazia –aristocrazia -democrazia.
3) Forme di diritto-divino - forza- ragione
4) Tre autorità: divina- eroica- umana.

Confronti

1 ) Vico a differenza di Cartesio afferma che l'uomo non è costituito da sola ragione, ma
c'è il sentimento,1a fantasia.
2) Il criterio di verità di Cartesio si basa sul razionale, quello di Vico sul principio verum
ipsum factum, ricavato dalla formula scire per causas. Poi la stessa formula cartesiana
è solo una presa di coscienza e non di scienza. Non ritiene la fisica come scienza.

BIAGIO PASCAL

Nasce a Clermont nel 1623. A 16 anni compone il trattato delle sezioni coniche; a 18 inventa

11
una macchina calcolatrice. Nel 1654 gli diventa palese la vocazione religiosa, pertanto entra
nel convento di Portoreale, un'abbazia privata di regole determinate; i cui memori si
dedicano allo studio, alla meditazione e all'insegnamento.
Fra i membri di questa comunità ricordiamo Giansenio. Questi scrive Augustinus, un'opera,
in cui tenta una riforma cattolica mediante un ritorno delle tesi di S.Agostino, come quella
della Grazia. Secondo Giansenio la dottrina di Sant'Agostino implica che il peccato originale
ha tolto all'uomo la libertà del volere e lo ha reso incapace del bene e incline al male.
Dio soltanto può salvare con la grazia salvatrice che concede a pochi eletti, disseminati in
tutto il mondo. Queste tesi di Giansenio si contrappongono a quelle dei Gesuiti, secondo i
quali, chi vive nel seno della Chiesa già possiede una Grazia sufficiente alla salvezza.
La Chiesa con una bolla del 1653 condanna tale tesi. Pascal difende
Giansenio con le sue 18 lettere che sono un capolavoro di profondità e uno dei primi
monumenti letterari della lingua francese.
Nelle prime, indirizzate al gesuita padre Molina tratta della Grazia facendo una disquisizione
sull'appellativo di sufficiente ed efficace. 1 gesuiti oltre alla grazia sufficiente parlano anche
della grazia efficace, che riconoscono non essere di tutti; ebbene fa notare Pascal: "essa è
sufficiente di nome ma non di fatto"
Nell'ultima lettera Pascal ribadisce la dottrina di Sant’Agostino riconoscendo che le nostre
azioni sono nostre a causa del libero arbitrio e che sono anche di Dio a causa della sua
grazia, la quale fa che il nostro arbitrio le produca.
Naturalmente Pascal non condivide non solo Molina, il quale non riconosce che la nostra
cooperazione alla salvezza avviene in forza della grazia, ma anche Lutero e Calvino che la
fanno consistere solo nella grazia santificante.

Ragione conoscenza scientifica

Cartesio non mette alcun limite alla ragione; invece Pascal afferma che fuori della ragione
cade il mondo propriamente umano, come la vita sociale; morale e religiosa. Inoltre ribadisce
che anche nella natura la ragione incontra un duplice limite.
Il primo è dato dall'esperienza, che non solo serve a decidere quale delle spiegazioni possibili
di un dato fenomeno che la ragione presenta, sia la vera, come vuole Cartesio; essa è anche il
punto di partenza e la norma delle spiegazioni razionali.
L'altro limite della ragione, nel campo della scienza, è costituito dall'indeducibilità dei primi
principi (spazio, tempo, numero, movimento), la cui conoscenza è sicura, ma tale sicurezza
non deriva dalla ragione, bensì dal cuore e dal sentimento.
Il cuore sente che nello spazio vi sono tre dimensioni, che i numeri sono infiniti, ma la
ragione dimostra che non vi sono due numeri quadrati di cui l'uno il doppio dell'altro. La
comprensione dell'uomo e lo spirito di finezza, Pascal afferma che quando ha cominciato lo
studio dell'uomo, ha visto che le scienze astratte non sono proprio dell'uomo. Egli muove
allo studio dell'uomo per il bisogno della comunicazione che non è soltanto comunicazione
con gli altri, ma comunicazione con se stesso. Al primo compito, quindi, è conoscere se
stessi; e per svolgere tale compito non serve la ragione, che è debole, inutile e incerta.
Per intendere e far valere le ragioni del cuore c'è lo spirito di finesse.
Cos'è lo spirito di finesse?
E' una forma di conoscenza costituita da un'intuizione immediata, che nasce dal cuore e sente

12
la realtà nel suo intimo mediante il sentimento piuttosto che col ragionamento astratto
dell'intelletto. L'antagonismo tra ragione cuore, tra la conoscenza dimostrativa e la
comprensione istintiva è espressa a Pascal come antagonismo tra lo spirito di geometria e lo
spirito di finezza.
Nello spirito di geometria i principi una volta visti non sfuggono, nello spinto di finezza sono
davanti a tutti, però sono così sottili e numerosi che difficilmente li comprendiamo tutti. Lo
spirito ha come oggetto il mondo esterno, il secondo la comprensione dell'uomo.

Condizione umana

Il filosofare di Pascal è una continuazione del filosofare di Montaigne; tuttavia in Pascal il


fine ultimo è la fede, mentre nel secondo è la filosofia.
Come parte della natura l'uomo è situato tra due infiniti, l'infinitamente grande e
l'infinitamente piccolo, che non riesce a comprendere. Egli è incapace di vedere il niente da
cui è tratto e l'infinito in cui è inghiottito. Noi ci dibattiamo tra due estremi: niente e infinito.
Il nostro stato ci impedisce di saper certamente e di ignorare assolutamente. Vorremmo
creare una torre verso l'infinito, ma la terra si apre.
La posizione dell'uomo, quindi, è instabile, e tocca al pensiero fargliela riconoscere.
La dignità dell'uomo sta proprio nel suo pensiero che lo rende più forte dello stesso universo,
perché se quest' ultimo lo schiacciasse l'uomo sarebbe sempre più nobile di lui perché
saprebbe di morire vinto da una forza superiore (universo), ma inconsapevole.
Il pensiero deve far comprendere l'uomo la sua miseria. La grandezza dell'uomo sta proprio
in questo, infatti un albero o una bestia non può riconoscere il suo stato di miseria. Pascal
dice: " io biasimo ugualmente quelli che prendono il partito di lodar l'uomo e quelli che
prendono il partito di biasimarlo e quelli che prendono il partito di distrarsi. lo non posso,
approvare quelli che cercano gemendo". Con tale considerazione Pascal vuole intendere che
non bisogna distogliere lo sguardo da sé anche se ciò ci provoca dolore, e non bisogna
tentare di sfuggire col divertimento.

Il divertimento

Pascal dice: "gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria l'ignoranza, hanno
creduto meglio, per essere felici, di non pensarci". Questo principio è chiamato divertimento.
L'uomo cerca di non pensare alla sua miseria, per questo si tiene occupato nel lavoro, nello
studio, nella guerra, insomma evita l'ozio, che gli mostrerebbe tristezza, perfida disperazione.
Pascal non è d'accordo di ignorare la nostra miseria col darci al divertimento, perché in tal
modo rinuncia al suo privilegio e alla sua dignità: quella di pensare.
Questo riconoscersi misero mette l'uomo davanti a Dio

Fede

Il riconoscimento della propria miseria è l'inizio di una ricerca dolorosa (cercare gemendo)
che lo porta alla fede. Tutte le attività umane devono essere impegnate nella ricerca della
fede. Essa è un dono di Dio, pertanto non può essere raggiunta in virtù di prove o di

13
dimostrazioni. Le stesse prove che si danno sull'esistenza di Dio sono un atto di fede, e sono
valide per chi ce l'ha.
A Dio si giunge non con la ragione; comunque ci dobbiamo porre il problema di una scelta.
Dobbiamo cioè scegliere se vivere come se Dio esiste o come se non esiste.
Nell'uno come nell'altro caso non abbiamo certezza. Dobbiamo giocare d'azzardo; la posta in
palio è alta: l'infinito. Pascal afferma che non si può credere a comando, tuttavia l'incapacità
deriva soltanto dalle passioni. Più che aumentare le prove dell'esistenza di dio bisogna
diminuire le passioni; e bisogna assumere gli atteggiamenti della fede. La vera fede. La fede
totale impegna non soltanto lo spinto ma l'automa che è nell'uomo. Pascal, infatti, definisce
l'uomo anche automa.
Mediante la fede l'uomo trova Dio e riceve la sua grazia; placa così l'angoscia dell'esistenza
ed appaga la sua sete d'infinito.

Pensiero

Il Dio dei cristiani non è un Dio semplicemente autore delle verità geometriche e dell'ordine
e degli elementi. Non è soltanto un Dio che esercita la sua provvidenza sulla vita e sul beni
degli uomini per concedere lunghi anni felici a quelli che lo adorano. Ma il Dio dei cristiani è
un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l'anima e il cuore di coloro che se
ne impossessano, è un Dio che fa sentire internamente a ciascuno la propria miseria e la sua
misericordia infinita, che li unisce con l'intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di
gioia di confidenza, di amore, che li rende incapaci di avere altro fine che lui stesso. (Pascal)

Confronti

1) Cartesio si serve del metodo matematico per conoscenza di Dio, dell'io e della natura;
mentre Pascal accetta tale metodo solo per la natura con riserva, quindi non per l'uomo
né per Dio.
2) Giansenio afferma che Cristo è morto per gli eletti, invece P. afferma che è morto per
l'intera umanità.
3) Giansenio afferma che la salvezza degli eletti è dovuta alla grazia divina: P. afferma
che la salvezza è dovuta anche alla volontà.

LEIBNIZ

Nasce il 21/06/1646 a Lipsia; è molto precoce, e da solo impara il latino. Si laurea in legge.
Scrive un importante trattato di legge, diventa consigliere del grande elettore di Ma ganza;
nel 1672 viene inviato dal re di Francia Luigi XIV, affinché lo convinca ad una missione in
Egitto piuttosto che attaccare l'Olanda, però non riesce, infatti la guerra scoppia. Leibniz
resta quattro anni in Francia, nel corso dei quali stringe amicizia con uomini impostanti.

14
S'interessa di matematica e fisica e nel 1776 scopre il calcolo integrale, che in verità già era
stato scoperto da Newton, però il suo è migliore, perché è di più facile applicazione. Ottiene
un posto di bibliotecario in Germania presso il duca di Hannover. Fa amicizia con lo
Spinosa, sogna di appianare le divergenze tra la chiesa evangelica e cattolica. Muore nel
1716.
Critica Cartesio e i monismi psico-fisico spinoziano. Critica il primo in quanto ammette che
le sostanze sono tre: Dio - res cogitans - res extensa; il secondo poiché afferma che la
sostanza è una sola: Deus sive Natura, di cui materia e pensiero sono attribuiti, e gli
innumerevoli esseri della natura, modi dei due attributi; nello spinosa, infine, tutti i modi
perdevano la loro individualità nel mare magnum dell'unica sostanza.
Leibniz critica inoltre la materia cartesiana facendo notare al filosofo francese che se questa
è passione e inerte non può essere generatrice di quel movimento di vitalità presente in essa,
perciò il dinamismo della natura non deriva dalla materia, ma da un altro elemento, inteso
come energia e centro di forza, che agendo genera ogni cosa e la stessa materia. Per cui
questa non solo perde l'autonomia e il carattere meccanicistico che aveva nel pensiero
cartesiano, ma, ridotta ad espressione del centro di forza anzidetto, perde il suo carattere di
sostanza. L'unica realtà sarebbe il centro di forza o energia che assurge, così alla qualità di
sostanza. Per Leibniz non c'è un unico centro di forza, ma molti, per cui le sostanze non sono
tre o una, ma diverse, da ciò il suo pluralismo di sostanze. Al Monismo- psico-fisico dello
Spinosa, Leibniz contrappone una realtà di più sostanze frammentarie.

Monadologia

Leibniz chiama Monadi, le suddette sostanze, che in origine sono incorporee, in estese,
ingenerate, incorruttibili. Esse sono state create direttamente da Dio, che le può anche
distruggere. Questi centri di forza o monadi, essendo pura energia, immateríali in estese e
senza corpo, non possono influenzarsi reciprocamente; sicché ognuna è un mondo a sé, ha
un'individualità propria, definita. Le monadi non comunicano tra loro, dice L., non hanno né
porte né finestre, e nessuna è uguale alle altre, ma è solamente uguale a se stessa. (Teoria
degli indiscernibili).
Pur costituendo un mondo a sé, ogni monade è caratterizzata da due facoltà: appetizione e
percezione.
L'appetizione è la tendenza ad agire di ogni monade muovendosi verso la cosa di proprio
gradimento.
La percezione è la facoltà che ha la monade di potersi rappresentare la molteplicità dei
fenomeni. Essa non è dello stesso grado in tutte le monadi. Ad esempio, nelle monadi
materiali essa non è chiara, né distinta, ma è in uno stato di confusione e d'incoscienza. La
percezione diventa più chiara negli animali, grazie alla sensibilità di cui sono forniti. In essi
oltre la sensazione troviamo la memoria. Nelle monadi razionali (uomo) la percezione è più
chiara e distinta che non nelle monadi degli animali, tuttavia non è ancora appercezione, che
è presente solo nella monade suprema, Dio. Tra le monadi razionali e quella suprema non c'è
un abisso, perché L. vi frappone le monadi spirituali, (angeli), in cui la percezione diventa
ancora più chiara e distinta rispetta a quella dell'uomo, Ogni monade genera la materia, il suo
corpo nell'agire. Pur non essendovi comunicazione tra monade e monade, ogni monade
riflette l'ordine dell'universo ed è fatta da Dio in modo tale da concorrere con le altre monadi

15
a costituire un tutto organico, da cui quel senso di connessione, quel complesso di rapporti,
quell’apparente meccanismo che è nel mondo.
La connessione tra le vane parti del mondo non è dovuta ad un meccanismo insito nella
materia, ma è questa predisposizione, detta armonia prestabilita, posta da Dio tra le varie
monadi. Da essa deriva l'armonia del mondo, che è il migliore (ottimismo).

Rapporti tra l'anima e il corpo

Il Leibniz ci parla di una materia primaria e di una materia secondaria. La prima è data dalle
percezioni confuse, la seconda è data dalla materia vera e propria, che come dicevamo, non è
qualcosa di a sé stante, distante dalla monade, ma manifestazione di questa. Nel primo caso
monade o energia e materia sono quasi coincidenti; nel secondo caso sono distinte, essendo
la monade materia. Le monadi, pur essendo indipendenti, sono però disposte secondo
l'evoluzione raggiunta; perciò la monade più evoluta viene a fare da centro dominante di
tutte le altre meno evolute. Il corpo composto di elementi semplici ha come suo centro
l'anima. Esso va soggetto, data la sua materialità a continue metamorfosi, tra le quali la
morte e la vita. La morte del corpo non può avvenire per disgregazione, essendo esso fatto di
elementi semplici, ma soltanto per distruzione voluta da Dio.
La corporeità è la nota caratteristica di tutte le monadi, anche di quelle angeliche, manca solo
in Dio, monade suprema. Anima e corpo sono fatti in modo tale da intendersi reciprocamente
e da rendere possibile il rapporto tra spinto e materia.

Problema della conoscenza

L. si contrappone a Locke che fa dipendere lo spirito e le sue facoltà dall'esperienza.


Egli concorda con Locke sul principio: Nihil est in intellectu quod non fúerit in sensu, però
egli aggiunge tranne lo stesso intelletto, da ciò l'autonomia dello spirito di fronte alla
sensazione. In quanto al problema della conoscenza cerca di conciliare l'innatismo cartesiano
con l'empirismo lockiano, infatti riconosce alla sensazione che è l'inizio di ogni conoscenza,
però afferma che nell'intelletto ci sono delle verità virtuali, di cui non abbiamo ancora
coscienza.
Ammette, infine un'altra sfera di conoscenza data dalla verità di ragione, verità universali e
necessarie che l'intelletto scopre non con l'ausilio dell'esperienza, ma da sé, grazie alla loro
evidenza e immediatezza.

Dio e il male

Su Dio fornisce due prove: ontologica e cosmologica.


In quanto alla prova ontologica dice che ogni cosa ha la sua essenza. Le essenze delle cose si
limitano a vicenda; l'unica essenza che non conosce limiti è quella divina, perché è
perfezione assoluta.
In quanto alla prova cosmologica così ragiona: le monadi sono governate dall'armonia
prestabilita e sono contingenti; la contingenza presuppone il creatore e altrettanto l'armonia

16
prestabilita. Il male è di tre specie: metafisico, fisico e morale.
Il metafisico ci deriva dalla limitazione originaria, ereditata dall'atto creativo perché ci
potesse essere differenza tra Dio e l'uomo. Quello fisico è derivazione diretta da quello
metafisico. Quello morale, sulla scia di S. Agostino, è connesso al cattivo uso che noi
facciamo della verità. Alla perfezione morale ci accosteremo sempre più a mano a mano che
la percezione in noi diverrà appercezione, perché a questa si accompagna naturalmente
quella maturità razionale che ci sarà di valido aiuto nella distinzione tra il bene e il male.

Confronti

1 ) S. Agostino ammette tre forme di male come L.


2) Leibniz, con S. Agostino, ammette una città di Dio fatta dagli spiriti che in armonia
tendono a Dio.
3) Cartesio parla d'innatismo, Leibniz, invece, afferma che le monadi possiedono le idee
allo stadio virtuale, cioè come semplici disposizioni.
4) In Cartesio anima e corpo si influenzano reciprocamente, in L. non hanno alcuna
relazione, il loro accordo viene da Dio.

STORICISMO

1 Sofisti e Socrate, nella filosofia antica, per primi hanno trasferito l'interesse speculativo
dalla natura all'uomo; la stessa cosa è capitata con Vico, che ha reagito al cosmologismo
razionalistico col proporre la filosofia come antropologia.
Il Vico infatti, mette al centro della sua speculazione l'uomo costituito non solo da ragione
ma anche da fantasia, da sentimenti e impulsi immediati.
Il filosofo napoletano fa proprio l'uomo protagonista della scienza nuova, che è basata sullo
scire per causas. Questa nuova e unica scienza è la storia, perché l'uomo, produttore dei fatti,
è in grado non solo di capire i loro effetti ma anche le loro cause.
In verità anche il sapere storico, come quello scientifico, presenta i suoi limiti.
Lo storicismo non resta ancorato a Vico ma verrà ripreso in epoche successive da grandi
filosofi come Hegel e Croce.

17
E M P I R I S M O

18
EMPIRISMO

L'Inghilterra, circondata dal mare e isolata dal resto dell'Europa, ha visto nel commercio
sicura fonte di guadagno in alternativa alla sua modesta agricoltura. Questo ha forgiato la
pragmatica forma mentis dell'anglosassone. Gli inglesi, arricchitisi col commercio, investono
i capitali nell'industria, che viene rifondata con criteri moderni dando vita alla cosiddetta
"rivoluzione industriale.I riflessi di tale forma mentis, ovviamente, si n'flettono anche in
campo speculativo e danno vita all'Empirismo. Esso si sviluppa parallelamente al
Razionalismo, ma giunge a diverse conclusioni. Si differenziano anche nel metodo di
ricerca,poiché l'Empirismo considera l'esperienza sensibile unica fonte di conoscenza
rifiutando ogni forma d'innatismo sia attuale che virtuale. L'idea non è vista nell'ottica
platonica- agostiniana, quindi figlia della nostra interiorità, ma rappresentazione o immagine
di cose reali.
E l'intelletto?
L'Empirismo riconosce all'intelletto un ruolo importante, cioè quello di rielaborare i dati
dell'esperienza. Il soggetto conoscente, infatti, da un'immagine particolare passa ad una
universale grazie all'intelletto. Gli Empiristi, tuttavia, non nutrono la stessa fiducia dei
Razionalisti nell'intelletto, in quanto non sono convinti della perfetta corrispondenza tra idee
e dati sensibili. Per tale motivo l'Empirismo con Hume finisce per sfociare nello scetticismo.
Per l'Empirismo matematica, fisica, e metafisica sono scienze?
Essi considerano la matematica scienza, perché è possibile la perfetta corrispondenza tra
numeri e figure geometriche, tuttavia è una scienza astratta; invece non considerano scienza
la fisica, poiché non c'è corrispondenza tra le idee e i fenomeni, o meglio non è
scientificamente dimostrabile; in quanto alla metafisica il problema non si pone visto che è al
di là di ogni esperienza.

EMPIRISMO TRA MODERNO E ANTICO

19
Naturalisti, Sofisti,Epicurei si pongono il problema conoscitivo facendo leva essenzialmente
sui sensi e riservando all'intelletto un ruolo secondario; anche tra gli Scolastici troviamo
Empiristi come: Duns Scoto e Guglielmo di Occam. Nell'età moderna troviamo Francesco
Bacone.
In che differisce l'Empirismo moderno dall'antico?
Dallo spirito che anima i pensatori abbagliati dalle grandi scoperte frutto non di astratte
speculazioni intellettive ma di costanti osservazioni scientifiche.
1 maggiori esponenti dell'Empirismo sono:
1) Locke
2) Hobbes
3) Berkej
4) Hume

LOCKE

E' il maggior rappresentante dell'Empirismo inglese. Inizia il suo pensiero con una critica al
razionalismo, in particolare all'innatismo cartesiano. Egli, infatti, afferma che non esistono
idee innate, perché se esistessero le dovremmo avere fin dalla nascita. Ora, se osserviamo un
selvaggio o un bambino, notiamo che in loro non c'è alcuna idea innata. A conferma di ciò si
può prendere il concetto di Dio; esso non è lo stesso presso tutti i popoli, il che dimostra che
non c'è alcuna idea innata. Lo spirito, dice L., è una tabula rasa, e solo con l'esperienza e la
sensazione possiamo acquisire la conoscenza, la quale, quindi, si fonda sulla sensazione e
non sulle idee innate.
Il senso si distingue in:
1) Senso esteriore che ci mette a contatto col mondo esterno;
2) Senso interno che ci mette a contatto col mondo interiore.
Il senso interno ed esterno mettendoci a contatto coi rispettivi mondi ci danno delle
sensazioni semplici, dalle quali l'intelletto estrae idee semplici; soltanto all’intelletto è
dovuta la nascita delle idee complesse. Esso giunge all'idea complessa attraverso
l'elaborazione e la connessione stabilita tra più idee semplici. Per il fatto che la sensazione
precede l'intelletto, abbiamo la formula lokchiana: "Nihil est in intellectu, quod non fuerit in
sensu". Le idee complesse esistono come modi, sostanze e relazioni. Per modi intendiamo
quelle idee complesse, le quali non sussistono per se stesse, ma come dipendenza e affezioni
di cose realmente esistenti. Ad esempio, gratitudine, triangolo (nomi astratti). La sostanza è
un'idea complessa, che si compone di tante idee semplici, che s'immaginano aderenti ad un
sostrato che non possiamo con certezza dire se realmente conoscibile. La relazione è un'idea
complessa che nasce dal confronto di due cose opposte. Ad esempio, maggiore, minore,
forte- debole.

Conoscenza

20
La conoscenza è: intuitiva, dimostrativa e sensitiva.
La conoscenza intuitiva si ha quando la percezione, di un'idea avviene con immediatezza e
evidenza, senza che si avverta la necessità di dover ricorrere ad un'altra idea per dimostrare
esistente la prima. Esempio: lo giungo alla percezione del mio lo, e quindi alla mia esistenza
intuitivamente, perché se dubito è evidente che esisto.
La conoscenza dimostrativa si ha quando si giunge alla percezione di un'idea non
immediatamente, ma grazie al ricorso di un'altra idea e a ragionamenti su dati in nostro
possesso. Per esempio, volendo giungere all'idea di Dio e trovandoci in presenza del
dilemma, Dio esiste o non esiste, dobbiamo necessariamente ricorrere ad un'altra idea, quella
del nostro esistere. Esso non è né dovuto al caso né al nulla, ma necessariamente ad un
Essere supremo, Dio, che è necessariamente onnipotente e ha creato tutto con criterio. La
conoscenza sensitiva nasce in noi per stimoli esterni. Essa ha per oggetto il mondo dei
fenomeni, nel quali L. individua 2 qualità:
1 ) qualità primarie inerenti all'oggetto stesso, esistono oggettivamente,
indipendentemente dalla nostra soggettività. Esse sono: estensione, figura,
impenetrabilità. Queste ci assicurano che esiste un substrato a tutte le altre qualità
soggettive (sostanza).
2) qualità secondarie (colore, odore, sapore) dette anche soggettive, perché siamo noi ad
attribuirle al soggetto. L. comunque conclude il discorso sul problema conoscitivo col
dire che non è sicuro che la conoscenza che abbiamo del mondo esterno corrisponda
all'essenza del mondo esterno stesso.

Pensiero politico

L. getta le fondamenta di un governo costituzionale che sarà rivendicato dalla rivoluzione


francese, quindi democratico, e in ciò si differenzia da Hobbes, che vuole una monarchia
assoluta.
Anche L. parte dall'idea di uno Stato di natura, nel quale l'uomo si lascia guidare da un diritto
primitivo, che punisce subito chi sbaglia. Esso però non è sufficiente ad evitare la lotta tra gli
uomini, perciò è necessario il contratto sociale. Perfezionato quest'ultimo, gli uomini
delegano un estraneo, scelto tra loro, il quale deve governare secondo leggi prestabilite. Il
potere non è, quindi, di origine divina, ma nasce dalla volontà popolare.
L. distingue tre tipi di potere:
1) legislativo, esercitato dal popolo per mezzo dei suoi rappresentanti in parlamento;
2) esecutivo, esercitato dall'autorità , chiamata dal popolo, che opera secondo le leggi;
3) federativo, destinato a regolare i rapporti con gli altri stati.
In caso il sovrano abusi del suo potere, non rispettando le leggi o facendone altre
arbitrariamente, il popolo ha il diritto di insorgere e di sopprimerlo.

Pensiero religioso

L. distingue Stato e Chiesa. In fondo i due hanno finalità diverse: lo Stato è un consorzio con
fini civili; la Chiesa è una libera associazione di uomini che vuole servire Dio.
Lo Stato cura gli interessi materiali dei cittadini; la Chiesa quelli spirituali. Da ciò si può
concludere che non c'è contrasto tra le due massime istituzioni; esso può nascere solo a

21
seguito dell'ingerenza dell'uno nel campo dell'altro.
L. propugna libertà di culto, quindi tutte le religioni devono essere libere e non perseguitate
ad opera di altre. La Chiesa come unico mezzo coercitivo contro i dissenzienti, deve solo
usare l'arma della scomunica.

Confronti

1) Come Aristotele, Locke rifiuta l'innatismo.


2) E' vero che non accetta l'innatismo cartesiano, ma in parte, accetta l'idea, che tuttavia
proviene dall'esperienza sensibile.
3) Cartesio accetta la sostanza come realmente esistente; Locke, invece, la considera
come un'idea complessa, che non può essere conosciuta.

HOBBES

Nasce a Westport il 5\4\1588, fa i suoi studi universitari che lo lasciano deluso, e si dedica a
studi letterari, come a Tucidide. Viaggia molto, il che gli dà la possibilità di conoscere la
cultura europea. E' costretto a lasciare l'Inghilterra per un libro, in cui parla dell'indivisibilità
del potere sovrano senza quello divino. Va a Parigi e scrive le sue obiezioni alle meditazioni
di Cartesio. Nel 1642 pubblica il De Cive; muore a Londra a 91 anni.

Pensiero

E' un rappresentante tipico dell'Empirismo inglese, in quanto responsabile dello slittamento


dell'Empirismo verso il materialismo. Per Hobbes non esiste nessun principio immateriale,
ma solo corpi reali, tra questi lo spirito, che è materia sottilissima e così tutte le sue
espressioni: pensiero, immaginazione, fantasia, perché hanno un'origine materiale in quanto
derivano dalla sensazione. Come nasce la sensazione?
I nostri sensi esterni, egli dice, impressionano il nostro sistema nervoso, impressione che si
ripercuote sul cervello, suscitando in esso una resistenza o contrazione che si manifesta con
un atto esterno. Sia nel momento della nascita dell'impressione esterna sia nel momento
dell'estrinsecazione della reazione interna abbiamo due moti:
1) Un moto dall'esterno verso l'interno, che ripercotendosi sullo spirito, origina la
sensazione, il pensiero e l'immaginazione.
2) Un moto dall'interno verso l'esterno che si concretizza in fonte della conoscenza, in
attività pratiche, cioè in atti che, nella loro natura, esprimono desiderio, volontà,
piacere, avversione.
In questo modo sia le facoltà permanenti dello spirito (fantasia, immaginazione, pensiero) sia
gli impulsi momentanei derivano tutti dall'impressione che i corpi esterni esercitano su di
noi. La sensazione non si presenta solo come la causa della vita dello spirito, che Hobbes,
considera materia, anche se sottilissima, ma anche come unica fonte della conoscenza.
Quando il corpo esterno ci impressiona, lo spirito reagisce con la nascita di sensazioni che si

22
concretizzano in immagini o “phantasma”; le idee derivano da queste immagini; esse, quindi,
si originano dall'esperienza e non sono innate(Cartesio). La sensazione non ci può dare la
scienza, la quale è data dalla ragione. La scienza consta di termini o nomi usati per indicare
gli oggetti; ma non c'è alcuna corrispondenza tra i nomi e l'essenza degli oggetti, essendo i
primi derivati da sensazioni soggettive.
Si deduce che Hobbes dà ai nomi alcun valore scientifico (nominalismo) considerandoli
suoni, vocali senza corrispondenza alcuna nella realtà e che il linguaggio è convenzionale,
perché composto di nomi di significato simbolico e non concreto.

Morale e politica

Anche la morale non trova in Hobbes una giustificazione in un principio trascendente, ma in


un fatto puramente umano, l'egoismo. Egli dice che l'impressione esterna dai nervi passa al
cervello, che la trasmette al cuore. Questo si dilata se prova piacere; si restringe se prova
dolore.
Quando Hobbes parla di bene e male, di piacere e di dolore, lo fa sempre in relazione
all'individuo e non alla collettività.
L'egoismo è alla base dell'individuo e della società. Gli uomini, afferma Hobbes, vivevano in
uno stato beduino, perché ognuno nato dal proprio egoismo, dalla volontà di appagare i
propri desideri, e di appetire ciò che apparteneva agli altri, lottava contro i suoi simili per
appropriarsene. L'uomo era lupus homini. Per evitare la guerra tra loro, gli uomini
stabiliscono un contratto. Il potere non viene dato ad uno dei contraenti, ma ad uno al di
sopra di loro, cioè al monarca, o ad un gruppo (oligarchica). E' doveroso rispettare l'autorità
assoluta di questo monarca; in seguito rivedrà queste sue idee sul l'assolutismo.

Confronti

1) Aristotele afferma che l'uomo è un animale socievole; Hobbes, invece, nega tale
socialità.
2) In Cartesio c'è distinzione tra res cogitans e res extensa, in Hobbes non c'è tale
dualismo, ma solo la materia.
3) Hobbes ammette l'analisi e la sintesi che s'ispirano a Cartesio.

23
GIORGIO BERKELEJ

E' un altro rappresentante dell'Empirismo inglese, che si preoccupa di spiritualizzare detta


corrente. Egli si riallaccia al pensiero di Locke, in particolare al concetto di qualità
secondarie e primarie. Le secondarie sono considerate soggettive in quanto percepite dal
sensi.
Berkelej è d'accordo con Locke per la critica sul concetto di sostanza espresso da Cartesio.
La sostanza per Cartesio è causa sui, quindi è indipendente dal nostro io; invece per Locke e
lo stesso Berkelej è pur sempre dipendente in quanto non la percepiremmo senza sensi. Ad
esempio, potremmo avere la percezione del movimento senza la vista? Potremmo avere la
percezione dell'estensione senza il tatto?
Bisogna concludere che le qualità primarie e secondarie sono soggettive, quindi non inerenti
all'oggetto. L'esistenza della realtà esterna non è dovuta ad una oggettività naturale materiale,
bensì spirituale. Il mondo esterno è giustificato dal nostro spirito. Da qui la sua frase: Esse
est percepi, cioè la realtà esterna è in quanto è percepita.
Esiste, quindi, non la sostanza materiale, ma spirituale. Il dubbio che si pone lo stesso
filosofo è: se non esiste realtà esterna come materia, da dove vengono le percezioni?
Risponde che non nega l'esistenza di una realtà esterna, ma il modo di comprenderla. La
realtà esterna è spirituale ed è caratterizzata da un complesso di qualità soggettivamente
percepite, di idee sostanziali non poste da noi, ma create da Dio, onnisciente, onnipotente e
perfettissimo. La stessa armonia che si nota nell'universo è dovuta a Dio e non ad un
meccanismo deterministico, caratteristica della materia. In ogni realtà ideale è congenito in
finalismo. Con Locke e Berkelej abbiamo la negazione di sostanza come materia secondo il
pensiero di Cartesio. Il pensiero di B. è definito soggettivo empirismo o idealismo oggettivo,
in quanto vi sono idee oggettivamente esistenti fuori di noi.
Autore dell'idealismo oggettivo è Dio; il negarne l'esistenza precluderebbe la nostra
conoscenza e l’ esistenza del mondo. L'ateo ha bisogno del vuoto nome della materia, ma un
vuoto nome non dà conoscenza.

24
HUME

Nasce ad Edimburgo nel 1711; rimane ben presto orfano di padre, segue la madre nella
Scozia meridionale , dove abitano i parenti di padre, e da uno zio paterno riceve la prima
educazione. Si dedica inutilmente alla giurisprudenza e all'attività commerciale; quindi con
la madre ritorna a Edimburgo, dove si dedica agli studi di lettere e filosofia; studia con
interesse Seneca e Cicerone, nonché Montagne e Newton. Anzi proprio di quest'ultimo
riprende il metodo sperimentale. !Si reca in Francia, dove scrive il suo capolavoro trattato
della natura umana, distinto in tre parti: intelligenza, passione e questioni morali. Visto che
l'opera non riscuote successo, scrive un commento che non ottiene miglior successo. Allora
rielabora la stessa opera con un nuovo titolo Ricerca concernente l'umana intelligenza e
principi morali. Detta opera viene tenuta presene da Kant nell'elaborazione della prima
Critica.
Differente è il trattato dalla ricerca, infatti nel primo Hume considera scienze esatte l'algebra
e l'aritmetica, nel secondo, invece, oltre le menzionate, anche la geometria reputa scienza. La
differenza tra il primo e il secondo sta nel fatto che oltre il problema gnoseologico tratta
anche del principio di causalità. A differenza di Cartesio che parte dal dubbio per poter
superare lo scetticismo, egli non solo dubita di una realtà esterna, ma addirittura dello stesso
io. Proprio per lo scetticismo non gli è permesso insegnare a Glasgov, per cui si deve
accontentare di fare il segretario del generale di Saint -claire, questo gli permette di viaggiare
molto. Viene in Italia, dove visita anche Mantova, di cui bacia il suolo per aver dato i natali a
Virgilio. Ritorna in patria, ma di nuovo gli viene rifiutata la cattedra universitaria, tuttavia
viene assunto come bibliotecario. Nei ritagli di tempo scrive una storia d'Inghilterra ma per il
suo giudizio sugli Stuarts, perde il posto, infatti viene licenziato col pretesto di aver
acquistato libri senza autorizzazione e per giunta osceni. Viene condotto a Parigi dal
l'ambasciatore Hertport, e qui viene accolto con grande simpatia dagli enciclopedisti. Con
Russeau viaggia e per un certo periodo convive, poi i due si separarono. Home muore nel
1776 per un tumore al fegato.

I1 problema delle origini delle idee

25
Fonte di coscienza sono le percezioni, quindi le esperienze sensibili, che si distinguono in
impressioni e idee. Le prime sono caratterizzate da originarietà, vivacità, attualità intensità,
mentre le seconde, essendo elaborate su di quelle, ne sono copie sbiadite, e si presentano
come ricordi o immagini, di impressioni passate o come anticipazione di quelle future.
Nell'uno o nell'altro caso le idee ci derivano dall'esperienza. Tra le impressioni le idee che ne
derivano, quelle che potrebbero testimoniare l'esperienza di una realtà fuori di noi e l'essenza
di essa sono le prime, perché costituiscono un atto originario, primario della nostra
esperienza , però qualunque impressione, caratterizzata da immediatezza, sintesi di
soggetto-oggetto, può confermare l'esperienza di una realtà esterna, ma non l'essenza di
questa; in quanto non ci può essere corrispondenza tra un'impressione, che è un fatto
psichico, quindi soggettivo, e l'essenza di una realtà oggettiva e assoluta. Se ammettiamo tale
identità tra il contenuto della prima e l'in sé della seconda, ciò e dovuto non a dimostrazione
scientifica, bensì a un'adesione psicologica istintiva e non mediata, che Hume chiama
credenza o fede o evidenza immediata.
Le impressioni e le idee non sono isolate tra loro, ma sono governate dalla legge del
l'associazione. Detta legge si basa sul:
1) principio della somiglianza, in virtù del quale la vista di un quadro mi richiama alla
mente l'originale;
2) principio della continuità spaziale per il quale la vista di uno stadio mi richiama alla
mente un altro;
3) contiguità temporale, per cui la mia presenza in classe mi richiama alla mente altri
allievi;
4) principio della causa ed effetto, per cui l'acqua del fiume mi fa pensare alla sorgente.
Con la legge del l'associazione, come si arguisce, opera in noi l'abitudine, che ad ogni
impressione attuale, richiama idee già sperimentate in passato ma congiunte ad essa. Ad
esempio, il fischio del treno, mi richiama alla mente: locomotiva, carrozze, rotaie. Hume
distingue le idee in semplici e complesse, tra cui ricordiamo sostanza materiale o spirituale,
tempo e causalità. Ebbene, il nostro spirito a queste idee estende, come per abitudine, quel
sentimento di credenza, già riferito all'impressione, ed è pronto a credere che a queste idee,
le quali costituiscono la nostra conoscenza e scienza, corrispondono nella realtà, cose di
fatto, che alle idee complesse su citate per davvero corrispondono. In quanto alla relazione
tra idee e cose di fatto, se trova fondamento o meno dell'esperienza, Hume dice che fino a
quando la relazione interessa l'idea astratta, come quella della matematica, algebra,che non
ha alcun riscontro nella realtà, la nostra conoscenza, pur essendo convenzionale, raggiunge il
massimo della certezza, tanto che le menzionate discipline sono scienze esatte; ma se essa
interessa idee complesse, come sostanza, spazio causalità, tempo, allora, non trovando
riscontro nella realtà, è pura finzione.
Es: L'idea di sostanza non corrisponde, in realtà alla sostanza, quindi la nostra conoscenza è
priva di oggettività, è pura finzione, visto che manca il placet dell'esperienza. Da quanto
detto, secondo Hume, si può concludere che è impossibile una conoscenza e tanto più di
scienza, alla luce dell'esperienza. Che non ci sia corrispondenza tra idee e cose di fatto,
Home lo dimostra con la critica proprio mossa all'idea di sostanza, spazio, tempo e causalità.

Critica del principio di causalità

26
Il principio di causalità, secondo Home, è fondato sulla pretesa esistenza di connessione
necessaria tra le cose della natura, per cui effetto presuppone sempre una causa. Ora Hume si
domanda esiste questo principio di causalità? Il filosofo risponde negativamente, perché
esso,che noi, per abitudine deriviamo da un'ipotesi, non è connessione necessaria tra le cose,
è in realtà, solo successione non costante tra esse. Ad es. vedendo un cielo nuvoloso, solo per
abitudine contratta diciamo che la pioggia è imminente, il che non sempre si verifica. In
questo caso, mancata pioggia l'esperienza smentisce l'esistenza, in natura, di una connessione
necessaria tra le cose, quindi il principio di causalità, poiché l'effetto non regna in natura, ma
soltanto una successione cronologica. Se il principio di causalità non esiste, ne consegue che
l'idea complessa, quella di causalità, ad essa corrispondente, quindi la scienza della natura o
fisica, che si fonde su di essa, perde la sua validità oggettiva, ed è ridotta a finzione della
mente. In conclusione una fisica come scienza è impossibile.

Critica ai concetti di sostanza materiale e spirituale.

Il Locke ammette l'esistenza di una sostanza materiale fuori di noi, pur dubitando della sua
conoscibilità. Il Berkelej, invece, sostenendo la tesi " Esse est percepi " afferma l'esistenza
della sola sostanza spirituale. Hume si chiede se esistono queste due sostanze. Risponde
negativamente, infatti noi di un oggetto abbiamo solo sensazioni, inizialmente distinte, poi
connesse tra loro dal principio di associazione, operato in noi grazie all'abitudine. A questo
punto interviene l'immaginazione, la quale sulla base dell'anzidetta connessione, notando che
le impressioni si ripetono con una certa costanza, c'induce a credere che a promuovere
l'origine sia una sostanza materiale fuori di noi. Un'impressione, però; non può testimoniare
una sostanza oggettiva e assoluta; questa perciò è una finzione della nostra immaginazione; e
della realtà esterna abbiamo solo impressioni soggettive.
Analogo discorso si può fare anche per la sostanza spirituale. Della vita psichica non
abbiamo che percezioni distinte che ripetendosi con continuità e apparendo legate da
connessioni inducono l'immaginazione a credere che vi sia un sostrato o sostanza spirituale.
Le percezioni, tuttavia, non ci possono dare altro che una visione soggettiva della vita
psichica.

Morale

Il sentimento condiziona l'uomo nelle sue scelte. Esso si manifesta come simpatia, come
partecipazione alle gioie e ai dolori degli altri uomini, perché ogni uomo sente che non può
fare a meno degli altri. La moralità, perciò, è data dal principio di simpatia.

Confronti

1) Lo scetticismo di Pirrone è totale e si conclude con l'epochè, quello di Hume, invece,


non è radicale, perché ammette, in opposizione alla ragione critica, la natura istintiva
che invita a credere.
2) Tanto Cartesio che Hume ammettono la matematica come scienza.
3) Tanto Locke che Hume ammettono la sensazione quale fonte di conoscenza, però il

27
primo oltre al senso esterno cita anche il senso interno, cioè la riflessione.
4) Locke ammette la certezza dell'io, ottenuta con l'intuizione, l'esistenza di Dio e della
natura, conosciuta con la dimostrazione e la sensazione, Hume rifiuta tali conclusioni
e resta nel limiti dell'esperienza.
5) Locke accetta l'esistenza di una sostanza materiale e spirituale, anche se dichiara che
non possono essere conosciute; Hume non l'accetta e le considera solo dovute ad un
fascio di impressioni.
6) Locke ammette il principio di causalità, Hume lo nega.

28

Potrebbero piacerti anche