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CARTESIO

 René Descartes (La Haye, Francia, 1596 –Stoccolma 1650)


 Formazione presso il collegio gesuita di La Flèche
 “Discorso sul metodo”, Cartesio sottopone a profonda critica gli studi condotti in età
giovanile, denunciandoli come insufficienti per fornire un orientamento sicuro nell’indagine
 1619 trova la propria via in maniera miracolosa 3 sogni rivelatori (rivelatori di una prima
intuizione sul metodo)
 Dopo la stesura della sua prima opera “Regole per dirigere l’ingegno”, Cartesio si arruola
nell’esercito partecipando alla guerra dei 30 anni (1618-48), ma il costume militare lascia
amplia libertà ai nobili e il filosofo è libero di compiere innumerevoli viaggi in Europa, dove
si dedica allo studio di matematica e fisica, e elaborando la propria dottrina sul metodo.
 1628, si stabilisce in Olanda (libertà filosofica e religiosa + non deve sottostare agli obblighi
sociali)
Abbozza un trattato sulla metafisica
Progetta la stesura di un trattato sul mondo, di argomento fisico (“Trattato sulla luce”),
ma la condanna a Galileo (1633) lo induce a abbandonare l’idea di una pubblicazione (in
quanto sosteneva la teoria copernicanaconcezione meccanicistica universo +
eliocentrismo)
Divulga tre saggi in cui dimostra i risultati ottenuti con l’applicazione del proprio metodo
sulla Diottrica, sulle Meteore e sulla Geometria, a cui premette una prefazione nota come
“Discorso sul metodo” (1637, Londra)
Nel 1640, Cartesio riprende e conclude il proprio trattato di argomento metafisico.
Questa verrà pubblicata nel 1641 sotto il titolo di “Meditazioni sulla filosofia prima (o
Meditazioni Metafisiche)”, completa con Obiezioni e Risposte di Cartesio
Nel 1644 Cartesio rielabora il trattato sul mondo, impostandolo come sommario
destinato all’apprendimento scolastico: “Principi di filosofia”
 La corrispondenza con la regina Elisabetta del Palatinato li suggerì l’idea della monografia
psicologica “Le passioni dell’anima” (1649)
 Si stabilisce su invito presso la corte della regina Cristina di Svezia dove muore nel 1650 di
polmonite.
DISCORSO SUL METODO (1637)
1. Prima parte dell’opera
In una prima parte dell’opera, Cartesio lamenta in prima persona il senso di disorientamento
avvertito al termine degli studi condotti presso la scuola La flèche, affermando di come, al di là di
nozioni puramente teoriche, non gli è stato insegnato alcun criterio sicuro per distinguere il vero
dal falso in ambito propriamente pratico. Egli critica ampliamente il nozionicismo e dunque una
carenza notodologica impartita dai gesuiti.
Cartesio sente la necessità di elaborare un metodo che si configura, già nell’opera “Regolo per
dirigere l’ingegno”, come criterio di orientamento semplice e unico, che serva all’uomo sia in
campo teorico che pratico, e che abbia come fine ultimo il vantaggio dell’uomo nel mondo.
Il procedimento d’indagine deve essere elaborato sul modello di quello seguito dalla
matematica, che attraverso catene di ragionamenti, in maniera ordinata ed efficacie, determinano
la raggiunta delle più difficili dimostrazioni.
Non è sufficiente prendere coscienza delle regole metodiche matematiche ed estrarle a criterio
d’indagine pratico, ma è fondamentale “giustificarle”. Secondo Cartesio è necessario giustificare il
metodo e la possibilità della sua applicazione universale, riportandolo al suo fondamento ultimo,
ossia all’uomo dome soggetto pensante o ragione.
2. Seconda parte dell’opera
Cartesio, in una seconda parte del “Discorso sul metodo”, Cartesio offre una formulazione
matura e semplici delle regole del metodo il cui fine è quello di evitare errori e di far raggiungere
risultati che possano essere considerati universalmente validi. Esse sono 4:
I. DELL’EVIDENZA: Consiste nell’accettare come vero solo ciò che risulta evidente, e dunque
distinto e chiaro, e nel rifiutare elementi che suscitano in noi una qualsiasi forma di dubbio.
II. DI ANALISI: Prescrive una suddivisione di un problema in sotto-problemi più semplici
III. DI SINTESI: Per cui è necessario risalire dalle conoscenze più semplici a quelle più
complesse, in maniera graduale
IV. DI ENUMERAZIONE E REVISIONE: Prescrive di controllare l’applicazione delle due regole
precedenti, in quanto mediante l’enumerazione si controlla che l’analisi sia stata svolta
correttamente, mentre con la revisione si fa altrettanto per la sintesi.

DUBBIO E COGITO
Le regole metodiche non hanno intrinseche in sé la propria giustificazione: il fatto che la
matematiche se ne serva con successo, non è determinante nello stabilire la validità assoluta di
quest’ultime in ogni campo del sapere, al di là delle discipline matematiche.
Cartesio riconosce la necessità di ricostruire l’intero sapere a partire dalle sole conoscenze certe e
propone, a tale fine, di applicare al sapere tutto il dubbio metodico, ossia un procedimento di
critica radicale che prevede di sospendere l’assenso a ogni conoscenza comunemente accettata e
dubitare, ritenendo almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se
l’atteggiamento di critica radicale persiste, si giungerà ad un principio da considerarsi
universalmente valido, in quanto resistente al dubbio, e a partire da questo verranno a
sovrapporsi tutte le altre conoscenze.
Nessun grado o forma di conoscenza si sottrae al dubbio: anzitutto è necessario dubitare delle
conoscenze sensibili, sia perché i sensi qualche volta ci ingannano e perciò possono ingannarci
sempre, sia perché si hanno nei sogni impressioni o sensazioni simili a quelle che si hanno nella
veglia, senza che si possa trovare un criterio sicuro di distinzione tra le une e le altre.
Nonostante le certezze matematiche appaino immutabili sia nel sogno che nella veglia, esse
possono rivelarsi illusorio: con tale considerazione il dubbio metodico culmina in quello iperbolico.
Sulla base della considerazione che finchè non si sappia qualcosa di assolutamente certo intorno
alla nostra origine, si può supporre che la nostra creazione derivi da un “genio maligno”, una
potenza superiore e malvagia che ci inganna facendoci apparire come chiaro ed evidente ciò che in
realtà è falso e assurdo.
L’unica verità che si sottrae al dubbio, configurandosi come verità originaria è quella del cogito
(“penso”, dal latino cogitare, ossia pensare). Si può ammettere di ingannarsi oppure di essere
ingannati, ma perché ciò avvenga è fondamentale l’esistenza, ossia essere qualcosa e non un nulla.
Il cogito sconfigge il dubbio in quanto rappresenta la certezza indubitabile che il soggetto ha di
esistere, in quanto soggetto pensante. Cartesio propone due formulazioni di tale argomento: nelle
Meditazioni Metafisiche, nelle forma “ego cogito, ego existo” (io penso, io esisto); un’altra nel
Discorso sul metodo dove lo presenta come “cogito ergo sum” (penso, dunque sono). La
proposizione “io esisto” equivale alla proposizione “io sono un soggetto, dunque sostanza,
pensante”, ossia uno spirito, intelletto o ragione. E la mia esistenza di soggetto è certa come non
lo è l’esistenza di nessuna delle cose che penso. Può ben darsi che ciò che io percepisco non esista;
ma è impossibile che non esista io, che penso di percepire quell’oggetto.
Numerosi furono i contemporanei di Cartesio che discussero ampliamente circa il tema del cogito.
In particolare, ricordiamo Arnauld, Gassendi e Hobbes. Il filosofo inglese Thomas Hobbes sollevò
una critica insidiosa nei confronti del pensiero di Cartesio: egli ritenne che Cartesio aveva
senz’altro ragione nel dire che l’io, in quanto pensa, esiste, ma torto nel pretendere di
pronunciarsi su come l’io esiste, ovvero nel definirlo come spirito o anima. La critica di Hobbes
risiede nel passaggio dall’attività del pensare alla sostanza, che è l’anima. Difatti il soggetto
dell’attività pensare non è lo spirito, ma un organo materiale, ossia il cervello.
DIO COME GIUSTIFICAZIONE METAFISICA DELLE CERTEZZE UMANE
Ideaogni oggetto o contenuto del pensiero. Esse si distinguono a seconda dell’origine (idee
innate, avventizie e fattizie) oppure a seconda dell’oggetto che rappresentano.
L’autoevidenza del cogito rende sicura la mia esistenza come essere pensante, a lascia ancora
aperta la questione delle altre esistenze. Infatti, io sono essere pensante che ha idee e sono sicuro
del fatto che tali idee esistano nel mio spirito, ma non sono invece sicuro che a queste idee
corrispondano realtà effettive fuori di me.
L’ipotesi del genio maligno non riesce a scalfire l’evidenza della mia esistenza come cosa pensante,
ma continua a gravare sul mondo esterno a me, facendo apparire come evidente ciò che in realtà
è ingannevole. Per superare tale Ostacolo, Cartesio deve dimostrare l’esistenza di un Dio, che sia
buono e perfetto, e proprio secondo tali virtù, non inganna l’uomo. Dio in Cartesio ha dunque
principale valore gnoseologico, più che teologico, in quanto costituisce il fondamento e la garanzia
della verità del mondo esterno.
Cartesio, al fine di dimostrare l’esistenza di questo Dio buono e perfetto, applica un precisamente
a priori di analisi a partire dal cogito e dunque dei contenuti del pensiero.
Cartesio parte esaminando le idee classificandole sulla base della loro origine:

 Idee innateidee presenti in me da sempre (innatismo)


Ex. Concetto di “cogito”
 Idee avventizieidee che derivano dal mondo esterno
Ex. Cose naturali, come un albero
 Idee fattizieidee fatte dall’uomo, dunque formate e trovate da me stesso
Ex. Cose chimeriche o inventate, come uno gnomo
PRIMA PROVADa dove deriva l’idea di Dio?
Secondo Cartesio per verificare che una determinata idee corrisponda a una realtà esterna, è
necessario indagare sulla loro causa. Tutte le idee che io possiedo non contengono nulla di così
perfetto che non possa essere stato prodotto da me: ciò vale per le idee avventizie (derivanti dal
mondo esterno) e fattizie (di cui io sono la causa di produzione). Ma non vale per l’idea di Dio, o
meglio per l’dea di infinito. L’idea di Dio è quella di una sostanza infinita, eterna, immutabile,
indipendente, onnisciente e onnipotente. La causa di tale idea non può risiedere nell’uomo, ossia
una sostanza finita ed imperfetta. Infatti, la causa di un’idea deve sempre avere almeno tanta
realtà quanta ne possiede l’idea stessa e quindi quanta ne possiede l’oggetto che rappresenta: la
causa dell’idea di una sostanza infinita e perfetta dovrà necessariamente essere una sostanza
infinita e perfetta effettivamente esistente, ossia Dio, il quale ha certo l’uomo dandogli appunto
l’idea di Dio.
SECONDA PROVA L’uomo si riconosce come essere finito e perfetto, dunque necessariamente
una sostanza perfette e superiore è responsabile della sua creazione. Se noi stessi fossimo stati
causa di noi stessi ci saremmo dati tutte le perfezioni che concepiamo risiedere nell’idea di Dio
TERZA PROVA Non è possibile concepire Dio come essere sovranamente perfetto senza
ammettere la sua esistenza, perché l’esistenza è una delle sue perfezioni necessarie (riprende
prova ontologica di Anselmo d’Aosta).
Dimostrata l’esistenza di Dio, il criterio dell’evidenza trova la sua ultima garanzia. Dio, essendo
perfetto e buono, non può ingannarci; tutto ciò che appare chiaro ed evidente deve essere vero,
perché Dio lo garantisce come tale. Dio è dunque termine medio che ci permette di passare dalla
certezza del nostro io alla certezza delle nostre evidenze.

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