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Pascal

 La vita e gli scritti


Blaise Pascal nacque a Clermont il 19 giugno 1623. I suoi primi interessi furono diretti alla
matematica e alla fisica. A 16 anni compose il Trattato delle sezioni coniche; a 18 inventò una
macchina calcolatrice. Nel 1654 Pascal entrò a Port-Royal, qui Pascal continuò a coltivare i suoi
interessi scientifici, sviluppando la teoria della roulotte, il calcolo delle probabilità e dedicandosi ad
altre invenzioni. A Port-Royal, con Antoine Arnauld si affermarono le idee del teologo olandese
Cornelio Giansenio, il cui Augustinus era un tentativo di riformare il cattolicesimo mediante il
ritorno alle tesi fondamentali di Agostino, e in particolare a quella della grazia e della
predestinazione. Giansenio, abbracciava la dottrina agostiniana secondo cui il peccato originale ha
tolto all’uomo la libertà del volere, rendendolo incapace di scegliere il bene e inclinandolo
necessariamente verso il male: quindi la salvezza dell’anima non è qualcosa che gli uomini possano
conquistarsi da sé, bensì una grazia divina, concessa a pochi eletti in virtù dei meriti di Cristo.
Giansenio contrapponeva questa prospettiva all’impostazione dottrinale dei gesuiti, secondo cui la
salvezza è sempre a portata dell’uomo. Il giansenismo suscitò una vivace reazione negli ambienti
ecclesiastici, finché il 31 maggio 1653 una bolla di papa Innocenzo X condannò le cinque
proposizioni nelle quali la Facoltà teologica di Parigi aveva condensato la dottrina dell’Augustinus
di Giansenio. Dopo qualche anno, la disputa fu ripresa davanti alla Facoltà teologica di Parigi, e
Pascal vi intervenne. Il 23 gennaio 1656 egli pubblicò con lo pseudonimo di Luigi Montalto la prima
Lettera scritta a un provinciale da uno dei suoi amici intorno alle dispute attuali della Sorbona; a
questa lettera ne seguirono altre 17, l’ultima delle quali datata 24 marzo 1657.
Le Lettere provinciali di Pascal costituiscono un capolavoro di profondità e di umorismo. Nelle
prime lettere della raccolta Pascal polemizza contra la dottrina gesuitica della “grazia sufficiente”,
mentre, a partire dalla quinta, le sue critiche si rivolgono anche alla prassi dei gesuiti, ritenuta
troppo accomodante. Nell’ultima lettera, Pascal ribadisce la dottrina agostiniana della grazia. Egli
afferma che, tra i due punti di vista opposti bisogna riconoscere, con Agostino, che le nostre azioni
sono effettivamente “nostre” in virtù del libero arbitrio, ma che esse sono anche di “Dio”, il quale,
concedendoci la sua grazia, fa sì che il nostro arbitrio lo scelga. Come dice Agostino, Dio ci induce a
fare ciò che gli piace.

 Il problema del senso della vita


Secondo Pascal la questione più importante per l’uomo è l’interrogativo sul senso della vita. Lo
studio dell’uomo e quello correlativo di Dio e dell’anima, afferma Pascal seguendo Agostino, è il
solo che sia appropriato all’essere umano. Tutto il resto è svago.
L’enigma dell’uomo e della vita, secondo Pascal, non ha alcuna possibilità di soluzione al di fuori
della fede. In questa convinzione emerge la curvatura religiosa del filosofare pascaliano, il quale
esprime una marcata tendenza apologetica, volta alla difesa della fede cristiana, nella misura in cui
si propone di mostrare:
1. Lo scacco della mentalità comune, della scienza e della filosofia di fronte al problema
dell’esistenza;
2. La capacità del cristianesimo di dare a questo problema una risposta adeguata.
I limiti della mentalità comune: il diverti ssement
Pascal ritiene che l’atteggiamento più comune di fronte ai problemi esistenziali sia quello del
“divertissement”. Questo termine prende il significato filosofico di “oblio e stordimento di sé”
nella molteplicità delle occupazioni quotidiane e degli intrattenimenti sociali. Il “divertimento” di
cui parla Pascal è quindi una “fuga da sé”. Per Pascal l’uomo fugge da due cose: dalla propria
infelicità costituiva e dai supremi interrogativi sulla vita e sulla morte. L’uomo sente il suo niente; il
suo vuoto interiore. E sùbito affiorano dal fondo della sua anima l’umor nero, la perfidia, la
tristezza, ma soprattutto la noia. Il pregio fondamentale di tutte le occupazioni consiste proprio nel
distrarre l’uomo dalla considerazione di sé e della sua propria miserevole condizione. Il desiderio
di fuga dall’angoscia e dalla noia fanno sì che il gioco, la conversazione, la guerra, le cariche
elevate siano così ricercati. Quello che si cerca è in realtà il trambusto che ci distrae, evitandoci di
pensare alla nostra condizione. Noi non cerchiamo le cose, ma la ricerca delle cose; non viviamo
nel presente, ma in attesa del futuro.
Il divertimento, è solo un’illusione che disperde l’uomo in mille accidenti, procurandogli inevitabili
afflizioni: la sola cosa che sembrava consolarlo dalle sue miserie è dunque, alla fine, la più grande
delle sue miserie. L’uomo non deve chiudere gli occhi di fronte alla sua miseria, ma deve saper
accettare lucidamente la propria condizione e tutto ciò che essa implica

I limiti della scienza: le ragioni al cuore


Pur essendo uno scienziato, Pascal è convinto che la scienza presenti alcuni limiti strutturali, sia in
se medesima, sia in relazione ai problemi dell’uomo. Il primo limite della scienza è l’esperienza.
Sebbene questa rappresenti da un lato il suo punto di partenza e un motivo di forza, dall’altro lato
è pur sempre qualcosa con cui la ragione deve fare i conti. Il secondo limite della scienza è
costituito dall’indimostrabilità dei suoi princìpi primi. Infatti, le nozioni che stanno alla base del
ragionamento scientifico sfuggono al ragionamento stesso, poiché nel campo del sapere umano,
come avevano già notato i filosofi antichi, non risulta mai possibile una regressione all’infinito in
cerca della definizione e della spiegazione dei concetti. Nonostante questi limiti, la scienza rimane,
per Pascal, arbitra assoluta nel proprio ambito. Egli ritiene che dal campo delle conoscenze
naturali debbano essere esclusi ogni intrusione metafisica o teologica e ogni principio di autorità.
Di fronte agli interrogativi umani più importanti, la scienza risulta impotente, anzi muta ed
estranea. In fondo, la cosa più preziosa per l’uomo non è la conoscenza del mondo che lo circonda,
ma la conoscenza di se stesso. Poiché, come via d’accesso all’uomo, la ragione scientifica e
dimostrativa mostra la sua totale incapacità, Pascal le preferisce la comprensione istintiva o, come
egli la chiama, il cuore, che intende come un “organo”, o come una facoltà, capace di:
1. Intuire i princìpi primi che stanno alla base dei ragionamenti;
2. Captare gli aspetti più profondi e problematici dell’esistere;
3. Rapportarsi a Dio.
L’antagonismo tra ragione e cuore viene talora espresso da Pascal con la celebre contrapposizione
fra espirit de géometrie ed espirit de finesse:

 Lo spirito di geometria è la ragione scientifica, che ha per oggetto la realtà naturale o gli
enti astratti della matematica e che procede dimostrativamente;
 Lo spirito di finezza si fonda invece sul “cuore”, ovvero sul sentimento, ha per oggetto
l’uomo e i misteri dell’esistenza, e procede intuitivamente.

I fi losofi e il problema di Dio


La pretesa di dimostrare che Dio esiste a partire dalla considerazione della natura è per Pascal del
tutto infondata, giacché l’ordine e le “meraviglie” del creato non provano di per se l’esistenza di
Dio. Per Pascal l’esistenza di un creatore, razionalmente parlando, non è né chiara né certa, bensì
oscura e problematica quanto la sua inesistenza. Inoltre le prove metafisiche dell’esistenza di Dio
hanno il limite di giungere a una divinità astratta, a un “Dio dei filosofi e degli scienziati” che
appare inutile e lontano rispetto all’uomo, essendo un puro ente di ragionamento.
Incapace di risolvere la questione di Dio, la filosofia è altrettanto inadeguata a spiegare la
condizione dell’uomo nel mondo e il nodo di grandezza e di miseria che la costituisce. Il centro
dell’analisi di Pascal è la tesi della posizione mediana dell’uomo, compreso tra l’infintamente
piccolo e l’infinitamente grande, nel cosmo l’uomo risulta un nulla di fronte al tutto e un tutto fi
fronte al nulla, un misto di essere e non essere.
Questa medietà nell’ordine del cosmo si ritrova anche nell’ordine della conoscenza. Nella scala del
conoscere, l’intelletto occupa lo stesso posto occupa lo stesso posto occupato dal corpo
nell’immensità della natura. L’uomo non si trova né in una condizione di completa insipienza, né di
totale sapienza, bensì tra l’ignoranza assoluta e la scienza assoluta. Pur avendo un illimitato
desiderio di conoscere, egli è nell’impossibilità di cogliere il principio e il fine delle cose. La stessa
duplicità e medietà che caratterizza l’uomo nell’ordine dell’essere e in quello del conoscere, lo
qualifica in relazione al bene e alla felicità. Infatti, gli esseri umani, sebbene si propongano di
realizzare il bene e di conseguire la felicità, risultano incapaci di farlo davvero.
Questa situazione esistenziale di medietà che caratterizza l’uomo nell’ordine dell’essere e in quello
del conoscere, lo qualifica in relazione al bene e alla felicità. Infatti, gli esseri umani, sebbene si
propongano di realizzare il bene e di conseguire la felicità, risultano incapaci di farlo davvero.
Questa situazione esistenziale di medietà determina nell’uomo uno scarto incolmabile tra
aspirazione e realtà, e fa sì che egli, sia un desiderio frustrato. Incapace di sentirsi appagato da
quel che è, egli è preso tra volere e non potere e si trova in uno strutturale dissidio con se
medesimo. Da ciò che la sua miseria costitutiva. Tuttavia, se nell’uomo vi sono la spinta verso la
verità assoluta, la nostalgia di un bene totale e l’istinto di una felicità piena, vuol dire che in lui vi è
una vocazione naturale verso un ordine superiore di essere e di valori. Inoltre, la coscienza della
propria miseria è già un segno di grandezza. La stessa facoltà del pensiero, in cui si risiede
l’essenza umana, è sintomo di una tale grandezza, poiché dal punto di vista spaziale, l’uomo non è
che una parte infinitesima del Tutto.
L’essenza dell’uomo sta proprio in questa ambigua compresenza di miseria e di grandezza, che fa
di lui un “mostro incomprensibile”, un “paradosso di fronte a se stesso”, e qualcosa di unico al
mondo.
Ma se la condizione umana è tutta in questa paradossalità, cioè in questa duplicità di grandezza e
di miseria, ogni tentativo di sottolineare un aspetto a scapito dell’altro è destinato a fallire.
L’errore della filosofia è stato appunto quello di aver oscillato tra la celebrazione della grandezza
dell’uomo e la puntualizzazione della sua miseria.
La scommessa su Dio
Per mostrare ulteriormente la “ragionevolezza” della fede, Pascal sviluppa il celebre argomento
della scommessa, secondo il quale l’uomo deve scegliere tra il vivere come se Dio ci fosse e il
vivere come se Dio non ci fosse.
Chi scommette sull’esistenza di Dio, se guadagna, guadagna tutto, se perde, non perde nulla:
bisogna quindi scommettere senza esitare.
La scommessa sarebbe ragionevole quando l’eventuale vincita fosse di poco superiore
all’eventuale perdita; ma essa diventa tanto più conveniente quando la vincita è infinita e
infinitamente superiore a ciò che si può perdere.
Nonostante tutto, Pascal riconosce che non si può credere a comando e che, anche ammettendo la
“ragionevolezza” del cristianesimo e il valore dell’argomento della scommessa, ci si può sentire
“con le mani legate e la bocca muta”. Secondo Pascal l’uomo non può scegliere di impegnarsi nella
fede con la sola ragione, che tutt’al più lo può condurre alla soglia di essa; egli deve piuttosto
impegnarsi con tutto se stesso, anche nell’esteriorità delle sue abitudini e nella ripetitività delle
sue azioni.

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