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PASCAL
PASCAL
1. La curvatura esistenziale del pensiero
Blaise Pascal nacque a Clermont nel 1623. I suoi primi interessi erano rivolti alla matematica e alla fisica: 1639: a sedici anni compose il Trattato delle sezioni coniche, un'opera contenente i teoremi-base della teoria delle coniche ancora oggi considerata uno dei pi brillanti lavori di geometria; 1641: a diciotto anni progett e costru circa cinquanta esemplari di una calcolatrice capace di eseguire addizioni e sottrazioni; 1650: elabor il cosiddetto Triangolo o Teorema di Pascal; 1654: compose un piccolo teorema sulle probabilit; in seguito fece numerosi studi e scoperte sul vuoto e sulla pressione, e continu a dedicarsi alle invenzioni fino agli anni della sua maturit. Nel 1654 la vocazione religiosa prese il posto della vita mondana e delle ricerche scientifiche: Pascal entr a far parte dei solitari di Port-Royal; questa era una comunit religiosa priva di regole determinate, i cui membri si dedicavano alla meditazione, allo studio e all'insegnamento. Con Antoine Arnauld si affermarono tra i solitari di Port-Royal le idee del vescovo Giansenio. Quest'ultimo, con l'opera intitolata Augustinus, intendeva riformare la chiesa cattolica mediante un ritorno alle tesi di Agostino, in particolare con la tesi della grazia. Secondo Giansenio, la dottrina agostiniana implica che il peccato originale ha reso l'uomo incapace di fare il bene e lo ha inclinato necessariamente al male. Solo Dio pu concedere a pochissimi eletti la salvezza dalla dannazione. Queste tesi si contrapponevano alla morale della chiesa cattolica, in particolare a quella dei gesuiti. Secondo la morale gesuitica, infatti, la salvezza sempre a portata dell'uomo che, se vive secondo i precetti della chiesa e mostra buona volont, otterr una grazia sufficiente che lo salver dalla dannazione. Contro tale tesi, il giansenismo faceva dipendere la salvezza soltanto dall'azione efficace della grazia divina riservata a pochi. Il giansenismo suscit reazioni tanto forti negli ambienti ecclesiastiche che il papa Innocenzo X condann le cinque proposizioni nelle quali la Facolt teologica di Parigi aveva riassunto la dottrina di Giansenio. I giansiniani accettarono tale condanna, ma negarono che le cinque proposizioni appartenessero a Giansenio e che si trovassero nella sua opera. Qualche anno dopo la disputa fu ripresa e in essa intervenne anche Pascal il quale pubblic diciassette lettere. Nelle prime lettere egli polemizza con il teologo Molina e la sua dottrina. Ma infine, padre, questa grazia data a tutti gli uomini sufficiente? si. Egli disse. E tuttavia essa non ha effetto senza la grazia efficace? Questo vero, egli disse. E tutti gli uomini hanno la sufficiente, continuai io, e non tutti hanno lefficace? vero, egli disse. -Vale a dire, gli dissi io, che tutti hanno abbastanza grazia e che tutti non ne hanno abbastanza; vale a dire che questa grazia basta, sebbene essa non basta affatto; vale a dire che essa sufficiente di nome e insufficiente di fatto A partire dalla quinta lettera, le critiche di Pascal si rivolgono ai gesuiti e alla loro condotta; nell'ultima lettera ribadisce la dottrina agostiniana della grazia. Il filosofo cerca di trovare un compromesso tra due punti di vista differenti: il punto di vista di Calvino e Lutero, secondo il quale noi non cooperiamo in alcun modo alla nostra salvezza, e il punto di vista di Molina, il quale non riconosce che la nostra cooperazione dovuta alla forza stessa della grazia. Pascal, in accordo con Agostino, afferma che le nostre azioni sono tali a causa del libero arbitrio che le produce; esse sono anche di Dio, a causa della sua grazia, la quale fa s che il nostro arbitrio le produca. Mentre scriveva le Lettere, Pascal lavorava anche a una Apologia del cristianesimo. Questa sarebbe dovuta essere la sua pi grande opera, ma egli non pot terminarla a causa della morta giunta quando il filosofo aveva solamente 39 anni.
ANGIONI FEDERICA - IV F
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noia. A questo punto, quindi, l'uomo preso dall'angoscia e cerca di distrarsi tramite varie occupazioni. Disperdendosi in mille attivit, l'uomo non cerca le cose, ma la ricerca delle cose. Queste cose, comunque, non sono cercate in vista della felicit: sono cose che non si vorrebbero se fossero offerte.; non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro. Distrazione. A volte mi sono messo a considerare le diverse forme di distrazione degli uomini, e i pericoli e le fatiche a cui si espongono, a corte come in guerra, e donde nascano tante contese, passioni, imprese audaci e spesso dissennate: ho scoperto che l'infelicit degli uomini deriva da una sola cosa, che quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza. Un uomo che ha mezzi sufficienti per vivere, se sapesse stare a casa sua traendone piacere, non uscirebbe per mettersi in mare o all'assedio di una postazione. Ma quando ci ho maggiormente riflettuto e, dopo aver trovato la causa di tutti i nostri mali, ne ho voluto scoprire la ragione, mi sono reso conto che ce n' una molto concreta, che consiste nell'infelicit intrinseca della nostra condizione debole e mortale, e cos miserabile che niente ce ne pu consolare, quando ci soffermiamo a pensarci. [...] Da ci si desume perch il gioco e la ricerca della compagnia femminile, la guerra, le alte cariche siano mete tanto ambite. Non che vi si trovi effettivamente della felicit, n che ci si immagini che la vera beatitudine consista nel denaro che si pu vincere al gioco, o in una lepre che corre: non si accetterebbero come doni, se ci fossero offerti. Non questo possesso, molle e placido, e che ci lascia pensare alla infelicit della nostra condizione, che si ricerca, n i pericoli della guerra, n gli affanni delle cariche, ma il frastuono che ci toglie dai pensieri e ci distrae. Ragion per cui si ama di pi la caccia che la preda. Tuttavia il divertimento, essendo una continua fuga da noi stessi, non genera felicit, ed qualcosa di fallimentare perch non porta e a un completo appagamento del desiderio. Il divertimento, provenendo dall'esterno, porta l'uomo ad essere schiavo delle cose anzich consolarlo. Cos, la sola cosa che pu consolarlo dalle sue miserie la pi grande delle sue miserie. Il divertimento, per, non porta a nulla, se non ad arrivare alla morte senza avere mai vissuto. Per questo motivo l'uomo non deve chiudere gli occhi davanti alla sua miseria, ma deve saper accettare la propria condizione e tutto ci che essa implica senza fuggire. "Luomo manifestamente nato per pensare; qui sta tutta la sua dignit e tutto il suo pregio; e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente"
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capace di captare gli aspetti pi profondi e problematici dell'esistere: Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce Per esprimere l'antagonismo esistente tra ragione e cuore, Pascal introduce il concetto di esprit de gomtrie e di esprit de finesse. Lo spirito di geometria la ragione scientifica, che ha per oggetto la realt fisica e sensibile e gli enti astratti della matematica e procede dimostrativamente. Lo spirito di finezza ha per oggetto l'uomo e si fonda sul cuore, sul sentimento e sull'intuito. Lo spirito di finezza vede l'oggetto senza ragionamento; le cose di finezza si sentono pi che vedersi e non possono essere dimostrate poich non si posseggono i loro principi come si posseggono, invece, quelli della geometria. Pascal ritiene che lo spirito di geometria ragiona intellettivamente, lo spirito di finezza comprende intuitivamente. Un certo grado di finezza, ossia di comprensione, necessario anche anche per fondare il ragionamento geometrico. Anzi, i principi primi vengono colti proprio attraversi lo spirito di finezza, poich si sente, ad esempio, che vi sono tre dimensioni dello spazio e si intuisce che i numeri sono infiniti. La scienza, davanti agli interrogativi umani, risulta impotente, e si ritrova praticamente nella stessa situazione della mentalit comune e del divertissement. Per questo motivo, in relazione ai destini ultimi dell'individuo, essa risulta vana. Vanit delle scienze. Nei giorni di afflizione, la scienza delle cose esteriori non varr a consolarmi dell'ignoranza della morale; ma la conoscenza di questa mi consoler sempre dell'ignoranza del mondo esteriore.
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che si unisce con l'intimo della loro anima, che la inonda di umilt, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d'avere altro fine che Lui stesso. [...]
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non si vede nulla di giusto o di ingiusto che non muti qualit con il mutare del clima ; tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza, un meridiano decide della verit; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche []. Singolare giustizia, che ha per confine un fiume! Verit al di qua dei Pirenei, errore al di l []. Il furto, lincesto, luccisione dei figli o dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose. Si pu dar cosa pi spassevole di questa: che uomo abbia il diritto di ammazzarmi solo perch abita sullaltra riva del fiume e il suo sovrano in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui? Cos, su tutto ci che si riferisce al bene regna da sempre la massima confusione. Per gli uomini comuni il bene sta nelle ricchezze, nelle cose esterne e nel divertimento. I filosofi, invece, differiscono tra loro nel determinare l'essenza del sommo bene: c' chi ritiene che esso consista nella virt, chi nel piacere, chi nella ragione, nella morte, ecc. Altri, invece, affermano che il bene non si pu trovare, altro ancora rinunciano a cercarlo. Che cosa pu esser chiamato un bene? La castit? No, perch il mondo si spegnerebbe. Il matrimonio? No, perch migliore la continenza. Il non uccidere? No, ch ne seguirebbero orribili disordini, e i malvagi ucciderebbero i buoni. L'uccidere, allora? No, perch la natura ne sarebbe distrutta I cosiddetti principi universali del comportamento, considerati certi dagli uomini comuni e naturali e razionali dai filosofi, non sono altro che il frutto di convenzione, abitudine, storia, interesse, forza o arbitrio. Questa dialettica pascaliana trae ispirazione dal pensiero scettico e da Montaigne, ma in particolare dai libertini del XVII secolo. Con questi ultimi, tuttavia, vi sono delle differenze: essi, infatti, consideravano il relativismo un'arma filosofica che funge da solvente delle credenze sociali e religiose e da giustificazione della libert dei costumi; Pascal, invece, considerava il relativismo uno strumento per mostrare come la ragione, con le sue sole forze, non risulta in grado di fondare solide norme comportamentali e come l'uomo in generale, senza la luce della fede, sia destinato a vagare nell'incerto e ad approdare allo scetticismo.
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frattempo, la perenne inquietudine e frustrazione dell'uomo che, essendo nato per l'infinito, cerca invano la soddisfazione del proprio desiderio di felicit nel finito, dimenticando che il vuoto abissale che porta dentro di s pu essere colmato solo da Dio. Il cristianesimo, quindi, pur non essendo razionale, ossia pur non essendo un corpo dimostrato di verit cui si accede attraverso l'intelletto, ragionevole, ossia conforme alla ragione. Anzi, pur essendo una fede e non una filosofia, il cristianesimo cos aderente alla ragione da essere in grado di chiarire ci che essa non chiarisce.
7. La scommessa su Dio
Per mostrare ulteriormente la ragionevolezza della fede, Pascal, rivolgendosi in particolare ai liberi pensatori, elabora il celebre concetto della scommessa su Dio, il quale afferma che l'uomo deve scegliere tra il vivere come se Dio ci fosse e il vivere come se Dio non ci fosse; sottrarsi a una decisione gi una scelta negativa. In questa scommessa bisogna considerare da un lato la posta, dall'altro la perdita o l'eventuale vincita. Ora, chi scommette sull'esistenza di Dio, se guadagna, guadagna tutto, se perde, non perde nulla. In poche parole, l'uomo ha interesse a scommettere su Dio perch in caso di perdita perder solo dei beni finiti, intesi da Pascal come i beni mondani, e in caso di vincita guadagner quel bene infinito che Dio e la beatitudine eterna. La scommessa, quindi, conveniente e ragionevole poich la vincita infinita e infinitamente superiore alla posta. Se invece un uomo decidesse di scommettere sulla non-esistenza di Dio, in caso di vincita, non vincerebbe nulla, in caso di perdita, perderebbe tutto. In un gioco in cui ci sono uguali probabilit di vincita e di perdita, conveniente rischiare il finito per guadagnare l'infinito. Questa dottrina pascaliana non ha trovato accoglienza nella cultura e nella filosofia moderna. Invece, stata accolta favorevolmente la tesi secondo la quale l'uomo obbligato a scommettere su Dio e, quindi, a decidersi nei confronti di una divinit la cui esistenza o non-esistenza appare problematica. Nonostante tutto, Pascal riconosce che non si pu comandare la propria fede; egli dice che necessario lavorare e convincersi dell'esistenza di Dio non aumentando le prove della sua esistenza, ma diminuendo tutti quegli elementi che ostacolano la fede. Bisogna, inoltre, entrare nel meccanismo della fede, far tutto come se si credesse: far dire messe, mettersi in ginocchio, ecc; tutto ci far tacere i dubbi e indurr l'abitudine della fede. In altri termini, Pascal crede che l'uomo non possa impegnarsi nella fede solo con la ragione: deve impegnarsi con tutto se stesso. Trovato Dio, anche la morale, secondo Pascal, diventa qualcosa di saldo, poich i suoi principi vengono derivati dall' amor di Dio e fondati su di esso.