Per Hegel la verità non consiste in una considerazione parziale delle cose, ma nella loro visione
completa, perché un singolo aspetto non ci conduce alla verità. Egli chiama “astrazione” il pensiero
che non permette di cogliere tutti gli elementi e le sfumature di un fatto. L’astrazione è tipica
dell’intelletto che, nel suo processo analitico, separa e divide. E’ importante fissare gli elementi
distinti nella nostra mente, ma bisogna poi riunificare il tutto nella sintesi, che è in grado di restituirci
la complessità del reale. Dunque per Hegel “il vero è il Tutto”: ogni cosa ha un significato razionale
che risiede nella sua relazione con gli altri elementi dell’unico processo di sviluppo dell’idea.
La verità, il tutto, coincide con lo sviluppo stesso, è l’idea di divenire. Rappresenta un “soggetto” che
compie un percorso di progressiva manifestazione, giungendo alla piena consapevolezza di sé. Lo
sviluppo dell’idea è detta “dialettica”, che rappresenta la regola interna della realtà ed è legge del
pensiero, in quanto la realtà coincide con la ragione, e dunque il piano ontologico e quello logico di
corrispondono. La dialettica si compie in 3 momenti:
1. momento intellettuale o astratto (tesi): coincide con la determinazione delle cose (la realtà
appare costituita da oggetti separati e distinti);
2. momento dialettico o della negazione (antitesi): ogni determinazione si scopre limitata nel
suo insieme, cogliendo il suo nesso inscindibile con la determinazione opposta. Organo di tale
comprensione è il pensiero razionale, che riesce a chiarire che ogni cosa ha senso solo nella
relazione con tutte le altre;
3. momento speculativo (sintesi): rappresenta la negazione della negazione, ossia implica
l’affermazione dell’unità delle determinazioni opposte, le quali vengono comprese come
momenti unilaterali di una realtà superiore. Hegel indica con Aufhebung quel processo che
nega e abolisce le determinazioni astratte e parziali, ma per conservarle ed elevarle.
Hegel afferma che l’essenza del sentimento amoroso consiste nel fatto che “unifica gli esseri
viventi”. Nell’amore (nella tesi) colui che ama afferma se stesso come soggetto che ama, ma nel
momento in cui decide di concedersi alla persona amata, egli rinuncia a se stesso perdendosi nell’altro
(antitesi). Colui che ha rinunciato a se stesso si ritrova però in modo più vero e profondo (sintesi),
perché ha realizzato la più perfetta comunione tra chi ama e chi è amato. In ciò consiste anche la
conciliazione realizzata da Cristo, che è amore divino.
La dialettica costituisce il metodo del pensiero, ma anche la regola interna all’ordine naturale, la
legge che struttura il divenire storico della civiltà. Ogni cosa si determina sempre in uno sviluppo
dialettico. Inoltre, senza il momento negativo si rimarrebbe a una determinazione unilaterale della
realtà, a una visione astratta e parziale. Il divenire è dunque il frutto della contrapposizione di un
evento all’altro, di un pensiero all’altro, ed è soltanto grazie alla contrapposizione che si origina la
sintesi, che ci fornisce la verità di un evento nella sua completezza. Hegel definisce la dialettica il
“calvario della storia”. Essa, infatti, è mossa internamente dalla negazione e dall’opposizione,
risultando “tragica”. il processo storico non si ferma mai al momento negativo: la fine di una civiltà
è la condizione per il fiorire di un’altra.
Nella percezione le varie determinazioni delle cose intuite dalla certezza sensibile vengono colte
come facenti parte di un'unità (mela, cavallo ecc…) solo grazie ad un soggetto che le comprende come
tali. L’oggetto esiste e ha una sua consistenza perché “io” lo vedo e me lo rappresento. Passando
all’intelletto, queste unità che abbiamo ricavato vengono inserite in una rete/universo ordinato di
fenomeni di cui il soggetto si riconosce artefice. E’ il regno della scienza moderna, in cui l’intelletto
classifica e riconduce a leggi i fenomeni esterni. L’intelletto rimane però limitato alla molteplicità
delle determinazioni finite e richiede perciò di essere superato. Noi abbiamo raggiunto solo il
“sapere di un altro”, e non il “sapere di se stesso (ivi)”. Ciò avviene nell’autocoscienza.
Nella figura del servo-padrone si mostra il percorso dialettico che la coscienza deve affrontare per
affermare la propria identità. Il padrone è colui che ha messo in gioco la sua vita nelle lotte tra
autocoscienze per affermare la propria indipendenza e superiorità, vincendo; mentre il servo è
colui che, per paura della morte, ha deciso di sottomettersi. E’ il momento della tesi: la coscienza del
padrone si determina come soggetto libero e afferma la propria superiorità sul servi, ridotto a “cosa”.
Ma tale vittoria sull’oggettività è destinata a rovesciarsi: il padrone vive grazie all’operosità del servo,
il quale attraverso il suo lavoro impara a dominare i suoi istinti e trasforma le cose. Egli diviene
consapevole della sua indipendenza e superiorità rispetto alla natura. E’ il momento dell’antitesi: colui
che era stato ridotto a oggetto si scopre soggetto libero e autonomo, rivelando il carattere inattivo e
dipendente del padrone, che diviene servo del suo servo. Con l’affermazione dell’autonomia e
indipendenza del servo si realizza il diritto di entrambi i soggetti alla libertà → sintesi. Ciò che ne
deriva risulta alla fine un valore universale.
Nello stoicismo si manifesta con forza l’affermazione della libertà del soggetto rispetto alle cose
esterne. L’autocoscienza si chiude in se stessa pensando di essere assolutamente autonoma e
indipendente dal mondo. Si tratta però di un atteggiamento illusorio, in quanto il saggio stoico non
nega gli altri e la realtà, rimanendo a essi vincolato e ottenendo solo un’astratta libertà interiore. Hegel
inoltre giudica astratta anche la libertà di cui si nutre lo scetticismo che arriva alla negazione del
mondo esterno e alla distruzione di ogni oggettività, in quanto si deve dubitare di tutto. Tuttavia vi è
una contraddizione: se si dice che non esiste nessuna verità, si deve riconoscere almeno una certezza,
ossia che la verità non esiste. Lo scetticismo viene perciò definito come l’imbroglio di una coscienza
smarrita, distruttore di ogni certezza.
Tale smarrimento viene superato da una nuova figura dello spirito, l’autocoscienza cristiana, che, pur
consapevole della mutevolezza della realtà, aspria all’immutabile, ossia a Dio. Si tratta di “coscienza
infelice”, in quando infelice è la condizione della coscienza che avverte se stessa come qualcosa di
limitato e inadeguato in rapporto all'infinità divina a cui ambisce. Ricordiamo perciò la forma
dell’ascetismo medievale: è in tale contesto che la coscienza nega se stessa mediante la
mortificazione di sé e l’ascetismo, rinunciando al proprio volere per ritrovarsi in Dio.
Il passaggio allo spirito e all’universale: Il punto di vista universale si raggiunge quando si passa a
quella dimensione che Hegel indica come “eticità”, ossia quando si assume la prospettiva dello
spirito, che si incarna nelle istituzioni e nello Stato. Le massime della morale risultano astratte e
inefficaci se non sono poste all’interno della concreta vita di un popolo, ossia di un ordinamento
statale che può renderle operative. Con ciò l’avventura dello spirito nel mondo si è conclusa,
essendosi la ragione realizzata pienamente nella storia dei popoli, nei costumi, nelle istituzioni ecc…
l’uomo diventa in questo modo consapevole dell’intimo rapporto che lo lega agli altri, e la libertà non
è più un fatto astratto ma vita vissuta all’interno dell’orizzonte della storia e del proprio tempo. Si
giunge così a ricomporre la scissione tra l’io e gli altri, la natura e lo spirito, il particolare e
l’universale.
—————————————————————————————————
Per Hegel la “realtà” in senso forte non si identifica con il mero e accidentale accadere, ma con i
grandi eventi che lasciano un segno nella storia del mondo. In quest’ottica, la logica dialettica si
configura come interpretazione dello sviluppo ideale e di quello reale e storico. Pensiero e realtà,
logica e metafisica si identificano. Per Hegel, kant ha sbagliato a ritenere inconoscibile la realtà ultima
delle cose e a concepire le categorie come forme a priori prive di contenuto reale, perché ha reso così
insanabile la scissione tra soggetto e oggetto, e ha impoverito il pensiero, escludendo da esso l’ambito
della metafisica. Occorre così ridare al pensiero la possibilità della metafisica, ossia ripristinare
l’unità tra pensiero ed essere.