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HEGEL

Nato il 27 agosto 1770 a Stoccarda; ci furono degli avvenimenti della Rivoluzione Francese
che esercitarono un’influenza sul suo pensiero.
Nel 1801 pubblicò il suo primo scritto: “la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e di
Schelling”. Il suo più grande scritto è la FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. Hegel studia
un tema che è collegato con la Rivoluzione Francese; il tema della rigenerazione morale e
religiosa dell’uomo come fondamento della rigenerazione politica. Hegel era convinto che non
si poteva realizzare un’autentica rivoluzione politica se non basandola su una rivoluzione
culturale. Secondo Hegel, potrà nascere un ordine politico egualitario quando i cittadini
avranno imparato a vivere la religione come comunanza dei cuori e quando ciascuno di loro
avrà imparato a riconoscere nella vita interiore il riflesso dell’unica vita di Dio.
Ci sono tre tesi fondamentali del suo idealismo: LA RISOLUZIONE DEL FINITO
NELL’INFINITO, L’IDENTITÀ TRA RAGIONE E REALTÀ, LA FUNZIONE
GIUSTIFICATRICE DELLA FILOSOFIA.
LA RISOLUZIONE DEL FINITO NELL’INFINITO, allude al fatto che per Hegel la realtà
non è un insieme di sostanza autonome, ma è un organismo unitario di cui tutto è parte o
manifestazione. La realtà, non avendo nulla al di fuori di sé, coincide con l’Assoluto/Infinito.
Mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazione dell’Infinito, coincidono con il Finito. Il
Finito come tale non esiste, perché ciò che noi chiamiamo “Finito”, non è altro che
un’espressione parziale dell’Infinito.
“Il Finito, in quanto è reale, non è tale, ma è lo stesso infinito”.
L'IDENTITÀ TRA RAGIONE E REALTÀ: per Hegel, l’Assoluto si identifica con un
soggetto spirituale che si sviluppa, di cui tutto ciò che esiste, fa parte del processo di sviluppo.
Dire che la realtà è soggetto, significa dire che essa non è un qualcosa di immutabile, perché è
qualcosa di finito che fa parte dell’infinito, ma è un processo di auto-produzione. Questo
soggetto spirituale, che sta alla base della realtà, viene chiamato idea o ragione. L’idea o
ragione è il termine che esprimono l’identità di pensiero ed essere.
“Ciò che è razionale è reale; ciò che è reale è razionale”
Ciò che è razionale è reale, intende dire che la razionalità è la forma stessa di ciò che esiste,
poiché la realtà “governa” il mondo e lo costituisce. Ciò che è reale è razionale, intende
affermare che la realtà è il diffondersi di una struttura razionale, che si manifesta in modo
inconsapevole nella natura; in modo consapevole nell’uomo. Quest'identità di realtà e
razionalità comporta anche l’identità tra essere e dover essere, in quanto ciò che è, risulta
anche ciò che razionalmente dev’essere.
LA FUNZIONE DELLA FILOSOFIA: Hegel ritiene che il compito del filosofo consista nel
prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono. La
filosofia deve solo portare nella forma del pensiero, elaborare i concetti, contenuti reali che
l’esperienza le offre, e dimostrandone la razionalità. Questi chiarimenti descrivono il tratto
essenziale della filosofia. Il vero compito che Hegel volle dare alla filosofia è la
“giustificazione razionale della realtà”.
IDEA, NATURA E SPIRITO; LE PARTIZIONI DELLA FILOSOFIA: Hegel ritiene che
l’Assoluto passi attraverso i tre momenti dell’idea: IN SÉ PER SÉ (tesi), FUORI DI SÉ
(antitesi), RITORNA IN SÉ (sintesi). Tesi: l’idea considerata in sé stessa, a prescindere dalla
sua concreta realizzazione nel mondo. L'idea è assimilabile a Dio “prima della creazione della
natura e di uno spirito finito”. Antitesi: è la natura, l’alienazione dell’idea nella realtà spazio-
temporale del mondo. Sintesi: l’idea che “ritorna in sé”; è lo spirito che dopo essersi fatta
natura torna nell’uomo. a questi momenti Hegel fa corrispondere le tre sezioni in cui divide il
sapere filosofico: logica (la scienza dell’idea in sé per sé), la filosofia della natura (la scienza
dell’idea nel suo alienarsi da sé), la filosofia dello spirito (la scienza dell’idea che dal suo
alienamento ritorna in sé).
LA DIALETTICA: l’Assoluto per Hegel è fondamentalmente qualcosa che si sviluppa e la
legge che regola questo sviluppo è la dialettica, che rappresenta la legge di sviluppo della
realtà e la legge di comprensione della realtà. Hegel distingue tre momenti o aspetti del
pensiero: momento astratto o intellettuale (è quello per cui il pensiero si ferma alle
determinazioni rigide della realtà, limitandosi a considerarle secondo i principi d’identità,
secondo cui ogni cosa è sé stessa ed è assolutamente diversa dalle altre), momento dialettico o
negativo-razionale (consiste nel mostrare come le determinazioni del mondo astratto siano
parziali ed esigano di essere messe in movimento), momento speculativo o positivo-razionale
(consiste nel rendersi conto che queste determinazioni sono aspetti parziali di una realtà più
alta che li ricomprende o sintetizza entrambi).
INTELLETTO E RAGIONE: C’è un conflitto individuato da Hegel tra intelletto e ragione: la
ragione è il modo di pensare dinamico (attivo), capace di cogliere la concretezza del reale
dietro la fissità imposta dalle determinazioni intellettuali. La ragione è l’organo dell’infinito,
strumento tramite cui il finito viene risolto nell’infinito; l’intelletto è il modo di pensare statico
(fermo), immobilizza gli “enti” considerandoli solo nella loro reciproca esclusione. L'intelletto
è l’organo del finito.
LA DIALETTICA consiste: nell’affermazione di un concetto astratto e limitato, che fa da tesi,
nella negazione di questo concetto come qualcosa di limitato/finito, che fa da antitesi,
nell’unificazione di affermazione e negazione in una sintesi positiva, comprensiva di
entrambe. La dialettica illustra il principio fondamentale della filosofia di Hegel, ovvero la
risoluzione del finito e dell’infinito. La dialettica esprime il processo attraverso cui le varie
parti della realtà perdono la loro rigidezza e diventano momenti di un’idea infinita.
LA FENOMENOLOGIA: indica la descrizione o la scienza di ciò che appare. Poiché nel
sistema di Hegel l’intera realtà è spirito, la fenomenologia consiste nell’apparire dello spirito a
sé stesso e nel pervenire dello spirito alla consapevolezza di essere tutta la realtà. Nella
fenomenologia Hegel descrive l’affermarsi e “conoscersi” dello spirito, e lo fa attraverso una
serie di tappe. L'intero ciclo della fenomenologia si può vedere riassunto in una delle sue
figure particolari: la coscienza infelice. Essa non sa di essere tutta la realtà e si ritrova scissa in
conflitti dai quali è internamente tormentata. La fenomenologia si divide in due parti: la prima,
comprende i tre momenti della: coscienza, autocoscienza, ragione; la seconda, comprende le
tre sezioni: spirito, religioni, sapere assoluto.
COSCIENZA: è intesa come ciò che si rapporta a un qualcosa di perfetto come oggetto
esterno. Si articola in tre momenti: la certezza sensibile, la percezione, l’intelletto. La certezza
sensibile: appare come la forma di conoscenza più ricca e più sicura, ma in realtà non è così,
perché non rende certi di una indeterminata e generica cosa singola. È la forma di conoscenza
più astratta e indeterminata. La percezione: Hegel intende dire che gli oggetti non sono che
insiemi di proprietà che la coscienza “unifica”; l’oggetto non può essere percepito come se l’io
è da lui stesso stabilito, si risolve interamente nel soggetto. L'intelletto: per Hegel consiste
nella capacità di cogliere gli oggetti non come tali ma come “fenomeni”, ovvero una forza che
agisce sul soggetto secondo una legge determinata.
AUTOCOSCIENZA: l’attenzione si sposta dall’oggetto al soggetto, all’attività concreta
dell’io. L'uomo, secondo Hegel è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un’altra
autocoscienza (un essere libero e pensante)
RAGIONE: L’autocoscienza diventa ragione e assume in sé ogni realtà. Secondo Hegel è la
“certezza di essere ogni realtà”.
LO SPIRITO, LA RAGIONE, IL POTERE ASSOLUTO: anticipano il contenuto della
filosofia dello spirito. Dopo che l’autocoscienza ha trovato la pace nello Stato e la verità nella
filosofia idealistica, le vicende sono concluse e il ciclo della fenomenologia appare esaurito.

SCHOPENHAUER
Hegel morì il 7 novembre del 1831. Nel 1818 era stato chiamato all’università di Berlino. La
sua filosofia era diffusa da altri docenti (come Eduard Gans). La fama di Hegel era grande
anche fuori il mondo tedesco. La morte di Hegel segnò l’avvio di una crisi rapida e profonda
dell’Hegelismo. Tra i suoi allievi vi erano orientamenti molto diversi che rispecchiavano le
anime della filosofia Hegeliana. Da un lato, nelle idee di H. c’era la componente innovatrice
secondo cui un nuovo ordine razionale deve trovare espressione nella realtà, dall’altro vi era
una tendenza scolastica, che conduceva ad un atteggiamento conservatore, volto a giustificare
la razionalità dell’ortodossia religiosa e dell’ordine costituito
“se ciò che è reale è razionale, ne consegue che tutto ciò che già esiste può essere
giustificato e conservato”
In pochi anni l’Hegelismo passò dal trionfo alla disfatta; la filosofia di Hegel ebbe una
posteriorità importante. I filosofi reagivano aspramente contro il suo pensiero, ma allo stesso
tempo finivano per assorbirne e trasformarne alcuni aspetti centrali. Il sistema di H. ebbe una
profonda influenza sulla filosofia più creativa/originale del 19° sec. Questa influenza fu
dovuta alle critiche che suscitò in virtù della sua capacità di imporsi nelle università e nella
politica culturale.
Schopenhauer nasce nel 1788 a Danzica (Polonia)
Nel 1793 la famiglia (papà: commerciante, mamma: scrittrice) si trasferisce ad Amburgo. S. si
iscrive all’università di Gottinga, studia prima medicina e poi filosofia.
1816 pubblica uno studio intitolato “sulla vista e i colori”.
1814: anno importante perché stringe amicizia con Friedrich Majer, che lo introduce alla
civiltà indiana e al pensiero buddhista, si trasferisce a Dresda, dove rimarrà fino al 1818.
Tra il 1814 e il 1818 compone il suo capolavoro: “IL MONDO COME VOLONTÀ E
RAPPRESENTAZIONE”, diviso in 4 libri; a quest’opera fanno riferimento, in modi diversi,
tutti gli altri scritti del filosofo.
1836: risale lo scritto “sulla Volontà nella natura”, in esso S. ricerca tenacemente nella scienza
contemporanea conferme per le sue teorie, dimostrando di padroneggiare in più campi i
recenti sviluppi della ricerca scientifica.
Nel 1851 pubblica “Appendici e temi tralasciati”, si tratta di un volume di riflessioni e di
aforismi che espandono e precisano gli argomenti principali del suo Sistema; costituisce il suo
primo vero successo pubblico. 1860: muore venerato ed ammirato da discepoli di tutta Europa.
Nel proemio della sua opera maggiore “IL MONDO COME VOLONTÀ E
RAPPRESENTAZIONE”, S. fornisce alcune istruzioni ai suoi lettori;
Insiste sul fatto che l’intero libro contiene un unico pensiero, che per esigenze di
comunicabilità hanno imposto di scomporre in più parti. Queste parti formano un insieme
omogeneo e organico, dove nessuna precede davvero l’altra.
Il pensiero orientale influenzò Schopenhauer, che entrò in contatto con essi dopo il 1813,
quando alcuni capisaldi della sua visione filosofica erano oramai fissati; giunse a ribadire la
superiorità delle culture orientali su quelle occidentali. È vero che S. proiettò sull’induismo e
sul buddhismo la propria visione del mondo. Nel I libro del “mondo” S. sviluppa una teoria
della conoscenza che prende le mosse dalle nozioni di ‘fenomeno’ e di ‘rappresentazione’.
Anche per Schopenhauer la realtà delle cose in sé non è conoscibile teoricamente: “ciò che
possiamo conoscere scientificamente è sempre e soltanto il fenomeno”, vale a dire il modo in
cui le cose appaiono a noi soggetti conoscenti. Il mondo così come lo conosciamo è composto
da molteplici realtà individuali, che occupano porzioni determinate di spazio e mutano nel
tempo e sono in relazione reciproca. Proprio per la sua natura fenomenica, questo insieme di
entità e di rapporti non esiste autonomamente, ma solo come rappresentazione di un soggetto.
Ciò significa che “il mondo è sempre e soltanto un oggetto relativo a un soggetto”, al punto,
come sosteneva Kant, “che se tutti i soggetti conoscenti scomparissero, anche il mondo come
rappresentazione cesserebbe di esistere”. È questo il fondamentale principio ‘idealistico’ che
S. attribuisce a Kant e che condivide, almeno nelle sue linee essenziali. I cinque sensi,
attraverso le forme dello spazio e del tempo, ci forniscono rappresentazioni singolari e
immediate di oggetti particolari (esempio: il singolo albero che vedo fuori dalla finestra).
L'intelletto produce invece “concetti”, ovvero rappresentazioni più complesse, discorsive di
oggetti generali che contengono proprietà comuni a più oggetti particolari (esempio: il
concetto di albero come vegetale, provvisto di radici fusto e rami, si applica a tutti gli alberi,
senza corrispondere esattamente a un albero in particolare). Per Schopenhauer, l’intelletto si
comporta in modo analogo all’intuizione, limitandosi a registrare i dati esteriori, senza
“costruirli” attivamente, come sosteneva Kant. Lo spazio e il tempo assumono una natura
molto simile a quella delle categorie, ovvero i concetti puri dell’intelletto.
Per Schopenhauer, il sistema dei principi a priori della conoscenza, si riduce a tre soli fattori:
il tempo, lo spazio e la causalità. La conseguenza della riduzione di tutte le categorie a quella
di causa, è che la relazione di causa ed effetto diventa lo schema universale con cui il soggetto
interpreta il mondo. Questo tema è approfondito nello scritto “sulla quadruplice radice del
principio di ragione sufficiente”, dove Schopenhauer distingue nel mondo come
rappresentazione 4 classi di oggetti, dove la categoria di causa opera con modalità in parte
diverse. Vi sono poi i concetti, che combinati fra loro formano i giudizi; la conclusione di un
giudizio è vera quando è derivata in modo corretto, da premesse vere. In questo caso, la
funzione causale è svolta dalle premesse che producono come effetto necessario la
conclusione: stabilità così la verità della logica. Sul piano della rappresentazione è sempre
possibile individuare i motivi che influiscono sulla volontà umana, questi motivi sono la causa
delle scelte. La causalità, pur presentando 4 distinte modalità di operazione, costituisce il
principio unitario di spiegazione per l’intero mondo come rappresentazione. In tutti i casi, il
rapporto tra la causa e l’effetto è necessario perché non può essere diverso da quello che è.
Per queste sue caratteristiche, il rapporto causa-effetto, che possiamo individuare tra i vari
oggetti fenomenici, soddisfa il “principio di ragion sufficiente”. In base questo principio,
niente può esistere o accadere senza una ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti. Il
principio di ragion e sufficiente, ci assicura sempre l’esistenza di una causa capace di spiegare
in forma completa un qualsiasi evento. Per Schopenhauer, il mondo fenomenico della
rappresentazione è provvisto di uniformità e di coerenza. Come tale esso è conoscibile
scientificamente.
Il termine fenomeno si carica di significati negativi, diventando sinonimo di “apparenza
ingannevole”, qualcosa che distorce la vera realtà. L'apparente coerenza della
rappresentazione è una fantasia simile a un sogno che il soggetto si forma e ne può fare a
meno di formarsi, nella sua mente (immaginazione, lui immagina che il soggetto si formi). Per
rinforzare questa tesi, Schopenhauer invoca l’autorità di Platone, che screditava il mondo
sensibile, imperfetto, opponendolo al mondo delle idee eterne e perfette. Schopenhauer
utilizza l’immagine del Velo di Maya, velo che la divinità indiana Maya cucì intorno alla vera
essenza del mondo, con lo scopo di ingannare gli occhi e la mente degli uomini (velo che
copre la realtà). Per caratterizzare questa illusione del mondo fenomenico, Schopenhauer
utilizza una formula scolastica: “principium individuationis” e per il filosofo è ciò che dà
origine alla forma illusoria del mondo come rappresentazione, che al soggetto appare una
pluralità sconfinata di individui e di relazioni causali, dove risiede l’unica realtà: la Volontà. Il
mondo non può assumere questa apparenza ingannevole perché dipende dalle modalità
conoscitive stesse del soggetto, le quali operano attraverso lo spazio, tempo, causalità,
frantumando l’unica Verità in una molteplicità di rappresentazioni.
Alla trattazione del fenomeno nel I libro del “mondo”, segue nel II libro quella del noumeno,
della cosa in sé. L'essere umano è fatto di una parte che noi chiamiamo Volontà, ma anche dal
corpo. Noi abbiamo un’idea del nostro corpo esterna da noi, ma possiamo comunque sentirlo
dall’interno; posso sentirne i bisogni o i desideri. Il corpo è la via d’accesso per la volontà,
perché tutti gli istinti che abbiamo vengono da dentro, dal nostro corpo, sono la
manifestazione della volontà, essa si manifesta attraverso il corpo. La volontà è l’essenza
dell’uomo, ma anche l’essenza di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell’universo, la volontà di
vivere è l’essenza segreta del mondo. Esiste una volontà generale che si manifesta in ognuno
di noi, ma la mia volontà può entrare in contrasto con la volontà di un altro (è un contrasto
apparente, la volontà è uguale per tutti: la volontà di sopravvivenza). Una volta che abbiamo la
via d’accesso per la volontà, la riconosciamo nel resto dell’universo. La differenza con Hegel
è che: Hegel pensa che lo sviluppo del mondo sia guidato dalla razionalità; le cose sono così
perché c’è una razionalità che le guida. Per Schopenhauer lo sviluppo del mondo è guidato
dalla volontà. Secondo Schopenhauer esiste un filo di Arianna capace di condurci attraverso il
labirinto delle illusioni fino alla Volontà, e questo filo di Arianna è costruito dal nostro corpo.
Se riusciamo a “immergersi” nel nostro corpo, ad acquisire coscienza delle sue più intime
esigenze, allora esso si manifesta come un insieme di bisogni e di tensioni inestinguibili. Solo
attraverso l’intuizione interiore della mia corporeità posso raggiungere la certezza che nella
mia essenza non sono altro che volontà di vivere del mio organismo. L'unico scopo della
Volontà appare quello di conservare e rafforzare la vita, seguendo un impulso universale che
da forma e vitalità ai corpi. Schopenhauer argomenta che la stessa Volontà che si è rivelata
come l’essenza noumenica del mio corpo, deve essere tale in tutti gli altri corpi. La Volontà si
manifesta in ogni cosa del mondo; permane stabilmente in uno stato di equilibrio, ma ogni
cosa aspira sempre a essere qualcos’altro, a spingersi sempre più in alto nella scala
dell’esistenza. Il mondo governato dalla Volontà si traduce in una miriade di creature
perennemente strette dal bisogno, che continuano a tormentarsi e a divorarsi l’una con l’altra,
trascorrendo la loro breve esistenza nell’angoscia e nella sofferenza prima di cadere
definitivamente nelle braccia della morte. Nell'essere più evoluto, l’uomo, il momentaneo
soddisfacimento del desiderio può produrre un temporaneo allentamento del dolore. Ma anche
lo stato così raggiunto finisce per generare un acuto disagio, caratteristico del solo essere
umano: la noia. Schopenhauer conferma questa conclusione con una delle sue frasi più note,
che ricorda il pensiero di Giacomo Leopardi: “la vita è un pendolo tra il dolore e la noia”. Dire
che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire che la vita è dolore pe
essenza perché volere significa desiderare, trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di
qualcosa, essere addolorati per una mancanza. L'uomo è il più bisognoso e mancante tra gli
altri esseri perché nell’uomo la volontà è più cosciente. Il godimento e la gioia sono solo la
cessazione del dolore (tesi sostenuta da leopardi). Uno dei punti più complessi della
concezione di Schopenhauer riguarda i rapporti tra il mondo come Volontà e il mondo come
rappresentazione. Sostiene che ogni azione del corpo non è altro che l’oggettività di un atto
della Volontà, una sua manifestazione fenomenica, che, come tale, appartiene al mondo della
rappresentazione. Il mondo come rappresentazione non è altro che un’oggettivazione della
Volontà; si tratta di un’oggettivazione, non di un suo effetto, poiché in tal caso dovremmo
ritenere la Volontà la causa della rappresentazione. La Volontà, essendo oltre lo spazio, il
tempo e la causalità ‘è in sé unitaria e indistinta’, sostiene che essa si oggettiva inizialmente
nelle forme generali delle cose, nei modelli assoluti platonici, che chiama Idee. Le Idee
presentano un primo principio di individuazione, ognuna di esse è diversa e distinta dalle altre.
Come la Volontà, di cui sono la manifestazione immediata, le Idee sono al di fuori del tempo e
dello spazio, in quanto anch’esse esterne e prive di estensione. Nei 2 libri finali del “mondo”,
il pensiero di Schopenhauer mostra una parziale inversione di tendenza, che stempera il
radicale pessimismo dei primi 2 libri: l’emancipazione dalla Volontà, quindi dal dolore. Il 3
libro si sofferma sull’arte e sull’esperienza estetica; Schopenhauer conferisce nell’arte un
valore straordinario: l’esperienza estetica produce un salutare sollievo dai tormenti
dell’esistenza. In essa l’urgenza della Volontà si placa e il soggetto si libera temporaneamente
dal desiderio e dalla sofferenza che lo accompagna sempre. Questo è reso possibile
dall’artista, che è il genio capace di guardare agli oggetti spogliati dalla Volontà sottostante. Il
suo vero oggetto sono le Idee, contemplandole egli produce un’opera che le raffigura nel
modo più trasparente possibile, rendendole accessibile anche all’uomo comune. Tra le diverse
arti Schopenhauer stabilisce una gerarchia analoga a quella delle Idee che costituiscono i loro
oggetti. Quando più sarà elevata l’idea contenuta, tanto più elevato sarà il posto occupato
dall’arte corrispondente. Al gradino più basso troviamo l’architettura, connessa alle forze
materiali inorganiche. Sopra di essa si collocano la pittura, la scultura e la poesia, che hanno
per oggetto rispettivamente le idee del mondo vegetale, animale, umano. La forma più alta di
poesia è la tragedia, che rappresenta nel modo più vivido l’universale conflitto generata dalla
Volontà. Infine, la musica, si situa un gradino ancora superiore, perché essa non si limita a
raffigurare l’essenza originaria del mondo, la Volontà.

SOREN KIERKEGAARD
Nato a Copenaghen il 5 maggio del 1813. La biografia di Kierkegaard è la chiave per
comprendere la sua filosofia. Tutta l’opera di K. parla della sua vicenda personale; i temi più
importanti del suo pensiero, l’individuo, la seduzione, la noia, l’angoscia, la disperazione, la
fede, affondano le loro radici nella sua vicenda esistenziale. A lui si inspira
l’ESISTENZIALISMO, movimento che ebbe un grande impatto sulla filosofia e sull’arte alla
metà del 900. La filosofia dell’esistenzialismo pone al centro Kierkegaard, la sua esistenza.
Padre: Mikael, aveva una personalità malinconica, animata da una religiosità profonda,
tormentato da un forte senso di colpa; tutto questo ebbe un’influenza sul figlio. Morì nel 1838
che segnò l’inizio di una nuova vita e Kierkegaard la considerava un’autentica missione al
servizio di Dio. Ottenne il dottorato in teologia con la tesi: “SUL CONCETTO D’IRONIA IN
COSTANTE RIFERIMENTO A SOCRATE”. Per lui la DONNA fu sempre una specie di
ideale musa ispiratrice (dopo essersi lasciato con Regine Olsen), una donna idealizzata, la cui
dote principale consiste nell’elevare l’uomo al di sopra dell’esperienza ordinaria e limitata;
parole che si trovano nell’opera “Stadi sul cammino della vita”. tra il 1843 e il 1850 pubblicò
i suoi scritti letterari e filosofici: Enten-Eller (Aut-Aut), a cura di Victor Eremita; Timore e
tremore di Johannes de Silentio; insieme alle opere filosofiche, pubblicò un’impressionante
quantità di scritti a carattere religioso, i cosiddetti “Discorsi edificanti”, ai quali si aggiunge il
volume “Atti dell’amore”. Morì l’11/11/1855.
La tesi di dottorato di Kierkegaard è dedicata al concetto di IRONIA e si concentra in
massima parte su Socrate; è infatti con lui che il concetto di ironia fa il suo ingresso nel
mondo. Per K. il rapporto tra il singolo e Dio rovescia ogni ordine stabilito: il cristiano può
diventare tale solo attraverso una decisione personale che cambia del tutto la sua vita; e
l’ironia ha la funzione importante in questo cammino, perché è attraverso l’ironia che il
singolo è riportato a sé stesso e prende le distanze dal mondo e dalle convenzioni in cui si
trova. K. è affascinato dalla confutazione socratica perché costringe gli interlocutori a uscire
dalle loro certezze e svela tutte le loro abitudini. Lo scritto sull’ironia deve molto ai termini e
ai concetti introdotti da Hegel, anche se K. ne prende le distanze. Per il filosofo, l’emergere
della coscienza del singolo attraverso l’ironia non può essere compreso e spiegato attraverso
un sistema universale astratto, come pretendeva di fare Hegel. L'ironia socratica ha una
funzione esistenziale: essa disorienta, sconcerta, rivela il vuoto delle nostre certezze stabilite.
In questo modo spinge la vita di ciascuno a trasformarsi. K. e Socrate sono simili ma diversi;
entrambi sono figure enigmatiche e per entrambi un’esistenza povera di eventi diventa la
chiave per cogliere un pensiero che intende trasformare la vita stessa di chi vi si avvicina;
differenze: il messaggio socratico è di tipo intellettualistico (l’intelletto è il fondamento di
ogni conoscenza) e la sua scelta di vita filosofica è basata sulla ricerca razionale, invece per
Kierkegaard la dimensione autentica dell’esistenza si trova nella fede, per definizione
paradossale e incomprensibile, un vero e proprio “salto” in cui stabilisce il rapporto del
singolo a Dio. L'elemento che più accomuna e allo stesso tempo allontana i due filosofi, è il
rapporto con la scrittura. Socrate non scrive nulla, il suo messaggio si nasconde tra le parole
scritte da chi lo ha ascoltato, Kierkegaard invece scrive molto disorientando, ma a differenza
di Socrate, occulta la sua identità di autore dietro a dei pseudonimi.
L'altro polo della vita e del pensiero di Kierkegaard è Cristo. Il PARALLELO TRA
SOCRATE E CRISTO non era un’invenzione di Kierkegaard. Osserva fin da subito che le due
figure sono diverse. L'ironia di Socrate si manifesta nella negatività: ciò vuol dire che
attraverso l’ironia l’uomo si distacca dalla sua esperienza normale e dei suoi pregiudizi.
L'ironia è solo negativa, non ha un contenuto da sostituire quello che nega, e questo è il suo
limite. La situazione è diversa con Cristo: l’esperienza ordinaria è sostituita da qualcosa che
sconvolge la vita di ogni singolo. Per questo, osserva K., tra Socrate e Cristo “un’analogia
esiste solo perché esiste un contrasto”.
Nell'opera Briciole filosofiche, questo contrasto è sviluppato in tutta la sua ampiezza. L'autore
pseudonimo dell’opera e Johannes Climacus, Giovanni Climaco (conosciuto come Giovanni
della Scala), era stato un monaco siriano del VII sec., autore dell’opera “Scala del Paradiso”,
dove si descrive il metodo per innalzare l’anima a Dio. Nell'opera di K. Johannes è un filosofo
e la sua scala per ascendere alla verità è il pensiero e non la fede religiosa. Johannes è simile a
Socrate perché ritiene che tutti gli uomini possano conoscere la verità attraverso le loro
capacità. Johannes si fa portavoce dei limiti della filosofia e del passaggio alla fede, qualcosa
che rovescia del tutto le categorie filosofiche. La conoscenza filosofica per Socrate coincide
con la reminiscenza (il ricordo), che attraverso l’insegnamento si fa emergere qualcosa che già
si possedeva e ci apparteneva per natura. Attraverso il pensiero non possiamo immaginare ciò
che non esiste; quindi, noi immaginiamo solo ciò che conosciamo.
Climacus, apre una via diversa: ovvero “pensare l’impensabile”. Arrivati a questo scopo, il
pensiero non basta più, poiché esso non può andare oltre sé stesso. E qui interviene il
cristianesimo, il cui messaggio è opposto a quello di Socrate:
 Socrate= ciò che appartiene può essere pensato, ed è interno alla nostra natura
razionale; la verità è dentro la nostra natura di uomini; nel cristianesimo, noi
percepiamo una situazione ben diversa: noi siamo nella bugia, nel peccato, nella non-
verità.
 Nel discorso di K. è chiara la presenza della religione di Lutero e della sua concezione
pessimistica dell’uomo, visto come un peccatore salvato gratuitamente da Dio.
 La nostra situazione di peccatori, Dio non ci appartiene, è differente da noi, ma non
resta isolato, si rivela attraverso l’amore, attraverso qualcosa che supera la
comprensione razionale.
 È attraverso l’amore che Dio si fa uguale agli uomini e si incarna.
 Il senso del cristianesimo sta nella fede nell’incarnazione.
La fede rappresenta l’esito ultimo del cammino dell’uomo verso la scoperta della sua esistenza
autentica; l’esistenza religiosa però è solo il terzo di tre tipi sui quali Kierkegaard torna più
volte nelle sue opere. Nell'opera Stadi sul cammino della vita, si distinguono due punti di
vista: quello che riguarda l’essere (che è il punto della metafisica) e quello che riguarda
l’esistere (che è il suo punto di vista, che conduce ai tre tipi di esistenza: estetica-etica-
religiosa). Il primo ambito riguarda l’astrazione: Nella metafisica si investiga la natura
generale di un oggetto, senza soffermarsi sulla singola esistenza; la filosofia di Kierkegaard
non intende definire che cosa siano gli uomini in generale; quello che gli interessa non è il
punto di vista dell’astrazione e dell’universale, ma gli interessa il punto di vista dell’esistenza
individuale. Ovvero “la metafisica, astratta e universale, non è mai capace di esprimere
l’esistenza concreta, il cammino di vita del singolo”. I tre tipi descritti da K. sono cammini di
vita nei quali trova espressione l’esistenza dell’uomo fino alla sua manifestazione più
autentica, quella religiosa. Possiamo parlaree di tipi esistenziali: tipo rimanda a una
considerazione generale, esistenziale rimanda alla singolarità dell’individuo.
➢ Il tipo estetico: è rintracciabile in colui che vive nell’immediatezza; questo termine
descrive il rapporto dell’esteta con la realtà, egli è immerso nell’esperienza sensuale
che di volta in volta gli si presenta. È come se non se ne accontentasse mai e fosse
sempre alla ricerca del nuovo. L'esteta è egocentrico, usa l’ironia come un modo per
specchiarsi sempre in sé stesso. Il tipo estetico non ama gli altri, ma sé stesso. Per
l’esteta la realtà è noiosa, il mondo è vuoto di significati; il suo scopo è quello di
trasformare ciò che è noioso in qualcosa di interessante, ma per lui il mondo è
interessante solo nella misura in cui trova la sua individuabilità, ci si riflette e
rispecchia. Per questo motivo tutto ciò che lega l’uomo alla realtà (amicizia,
matrimonio) è rifuggito dall’esteta, che elimina la noia con il divertimento.
➢ L'esteta è colui che vive poeticamente nutrendosi di immaginazione.
“il prezzo da pagare è alto: la noia, sempre sfuggita, si propone sempre; il piacere, sempre
cercato, non basta mai”.
➢ Il tipo etico: l’estetico si oppone all’etico; la sua è la vita della responsabilità felice e
appagata. È il tipo esistenziale caratterizzato dalla scelta morale e dalla responsabilità
sociale. Negli “Stadi sul cammino della vita”. La vita di tipo etico implica stabilità e
continuità (che la vita estetica esclude) e si impegna in un compito a cui rimane fedele.
Se la vita etica si svolge tutta nella scelta del bene e del bello, rimane la convinzione
che davanti a Dio saremo sempre imperfetti e in torto; come afferma Kierkegaard,
l’appagamento che pensava di raggiungere è illusorio.
➢ La religione e la sospensione dell’etica: nell’opera “Timore e tremore” Kierkegaard si
sofferma tra il tipo etico e il tipo religioso. Lo scritto è una meditazione sul capitolo 22
del libro della Genesi, dove è raccontata la prova a cui “Dio sottopose Abramo,
chiedendogli di offrire in sacrificio il suo amato e unico figlio Isacco. Solo nel
momento in cui Abramo afferra il coltello per uccidere il figlio, l’angelo del Signore lo
ferma”. Abramo è considerato da Kierkegaard il prototipo della fede: è attraverso la
sua vicenda che viene alla luce il carattere incomprensibile della fede. La fede svela la
norma generale e universale, propria del tipo di esistenza etico.
“La fede non è materia di dottrine stabilite; è passione individuale, che non può essere mediata
ed elaborata dal nulla”
LIBERTÀ E ANGOSCIA: “Il concetto di angoscia” - “La malattia per la morte”, ci ricordano
che angoscia e disperazione sono gli aspetti più profondi della nostra esistenza di uomini, se
partiamo dalla fede. “L'angoscia definisce il rapporto del singolo uomo con il mondo e
dipende dalla nostra stessa libertà”. Nella descrizione di Kierkegaard “l’uomo è libero e
capace di fare, ma non ha nessuna idea di ciò di cui è capace”. La libertà non ci mette davanti
alla nostra capacità di determinare il nostro destino, ma alla nostra impotenza. Se l’angoscia
caratterizza il nostro rapporto con il mondo, la disperazione caratterizza il nostro rapporto con
noi stessi. Essa è una “malattia per la morte”: non è una malattia mortale, ma una malattia che
ha come scopo la morte. La disperazione ci porta ad anticipare la morte mentre viviamo. La
capacità dell’uomo di rapportarsi a sé stesso comporta consapevolezza di sé e genera
disperazione. Da solo l’uomo non può uscire dalla condizione di solitudine, disperazione e
angoscia; è nel mondo senza capire il perché. Soluzione per uscire da questa condizione, che
sta al di fuori della nostra capacità di comprendere razionalmente: è nella scelta della fede in
un Dio diverso da noi.
KARL MARX
FEUERBACH la critica della religione: nato nel 1804 nella città bavarese di Landshut.
Feuerbach fu uno dei principali riferimenti nel pensiero di Marx. 1838-1839: contribuì agli
“Annali di Halle”. Opera più celebre “l’essenza del cristianesimo” che Friedrich Engels indicò
come una delle principali fonti d’ispirazione per sé e per Marx.
1843: “Tesi provvisorie per una riforma della filosofia”.
1844: “I Principi della filosofia dell’avvenire”.
1846: “L’essenza della religione”
“L’UOMO È CIÒ CHE MANGIA”: questa frase riassume l’aspetto essenziale della
riflessione di Feuerbach, ossia la critica contro la filosofia astratta, che coincide con il suo
distacco da Hegel, in nome di una concezione dell’uomo diversa, materialistica. Feuerbach fa
spesso riferimento alla distinzione tra soggetto e predicato; il primo termine deve essere
concepito come anteriore al secondo: ciò significa che l’uomo non parte come Hegel dall’Idea,
pensiero astratto, ma parte da una cosa (realtà) concreta, materiale. La dimensione più
importante dell’uomo non è quella spirituale, ma quella materiale infatti “l’uomo è ciò che
mangia”.
L'ESSENZA DEL CRISTIANESIMO: la critica del cristianesimo è sviluppata nell’Essenza
del cristianesimo. L'opera si divide in due parti; la prima parte riguarda Dio, è l’uomo che
attribuisce a Dio qualità che trova anche in sé stesso. Nella seconda parte F. tratta della
religione nella sua contraddizione con l’essenza umana; la religione è contraddittoria perché si
dice che Dio è inconoscibile ma nella realtà lo rendiamo un oggetto assurdo e vuoto. L'unico
modo per uscire da questo contrasto è accettare la soluzione antropologica prospettata nella
prima parte dell’opera. Per F. l’antropologia si presenta come una nuova religiosità “laica”,
per la quale utilizza il termine “Antropoteismo”. In questo modo F. arriva al suo intento
principale: negare l’essenza falsa della religione implicava affermare la verità dell’essenza
dell’uomo; l’uomo è il vero centro del pensiero di Feuerbach.
RIFLESSIONE RELIGIOSA DI KIERKEGAARD E FEUERBACH: Per Kierkegaard il
centro di tutta la riflessione è formato dal singolo uomo e dalla fede, che è incomprensibile per
l’intelletto, in un Dio trascendente (fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell’uomo). Per
Feuerbach, la critica del sistema hegeliano conduce a una religione dell’umanità dove il
bersaglio principale è la trascendenza di Dio.
L'ALIENAZIONE DELLA COSCIENZA: tesi più famosa: “Essenza del cristianesimo”,
l’alienazione religiosa. Possiamo definire “alienazione” quella situazione dove l’uomo si sente
estraniato rispetto alla sua vera identità. Feuerbach afferma che la religione è una forma
alienata di auto-coscienza; si fonda sul rapporto a sé stessa che caratterizza l’essenza umana; è
una forma distorta perché l’essenza dell’umanità è pensata come trascendente, separata
dall’umanità stessa. L'uomo proietta nella divinità (in qualcosa di separato e di altro da sé) ciò
che in realtà appartiene alla sua stessa natura; è come se nella religione l’uomo si trovasse
diviso da sé stesso. Feuerbach elabora Dio come una semplice proiezione dell’essenza umana,
che include tutti i caratteri che definiscono la coscienza, quindi la ragione, la volontà, gli
affetti.
 L'essenza concreta dell’uomo prende in F. il posto dello spirito assoluto. È il concetto
di alienazione che secondo Marx costituisce il contributo filosofico più interessante di
Feuerbach. In Marx l’alienazione prende una forma nuova: l’alienazione da sé della
coscienza umana si basa su un’altra alienazione, che è sociale ed economico.
KARL MARX: nato Trevisi (1818), famiglia. Origine ebraica. Si trasferisce all’università di
Berlino dove entra in contatto con il gruppo dei “giovani hegeliani”. Si laurea in Filosofia con
una tesi sulla “Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro”. Nel
1845 a Bruxelles matura il suo distacco dalla Sinistra hegeliana attraverso le opere
“L’ideologia tedesca”, “Le Tesi su Feuerbach”. Marx scrive la stesura “IL CAPITALE”, che è
una opera economica che studia da vicino le condizioni degli operai; il primo libro che lo
compone è pubblicato nel 1867, ma il suo capolavoro è destinato a rimanere incompiuto,
perché muore a Londra nel 1883. I punti di riferimento teorici della formazione filosofica di
Marx sono tre: Hegel, Feuerbach e la Sinistra Hegeliana; Marx riprende da Hegel la
concezione della dialettica come caratteristica della realtà; con Feuerbach lui riformula la
concezione dialettica del reale denunciando l’astrattezza del materialismo. È attraverso questo
confronto con l’hegelismo che Marx arriverà ad elaborare una concezione materialistica e
dialettica della storia destinata a fare da sfondo alla sua riflessione teorica sulle dinamiche
economiche proprie della società capitalistica. Nella “Critica alla filosofia del diritto pubblico”
Marx svolge un’analisi del metodo Hegeliano; meccanismo: consiste in Hegel che trascende il
finito, il materiale e sostanzia l’astratto, l’ideale, il pensiero. Questo secondo Marx emerge nel
rapporto che Hegel fonda tra la famiglia e la società civile e lo Stato.
▫ Pone lo Stato come la realtà originaria e deriva da questo gli individui che lo
compongono, invece di riconoscere che lo Stato e le istituzioni derivano dai rapporti
concreti fra gli individui. (quindi secondo H. lo stato è la realtà da dove nasce tutto).
Conseguenza: la realtà dei rapporti tra gli individui non viene analizzata e criticata in
modo concreto, ma viene “dedotta” dall’idea, giustificata razionalmente.
MISTICISMO LOGICO DI HEGEL: scelta di stabilire come origine dalla realtà l’idea.
Secondo Marx i rapporti concreti fra gli individui sono descritti e accettati come
immodificabili perché idealizzati e assunti come categorie logiche. Questo tipo di
osservazione l’aveva fatta anche Feuerbach alla filosofia hegeliana; mentre lui si è limitato al
discorso della logica e alla filosofia della natura, Marx si rivolge a un contesto di filosofia
politica. Entrambi i filosofi erano interessati a conservare il principio hegeliano della
contraddizione dialettica; la dialettica si rivela uno strumento importante per comprendere il
mondo economico come un processo animato da forze conflittuali dove all’interno trova
spazio l’azione politica.
Marx riprende due cose da Feuerbach: l’alienazione religiosa e il materialismo. L'alienazione
religiosa secondo Marx è espressione di un’alienazione più profonda socialmente ed
economicamente; per M. la religione è l’oppio dei popoli perché calma le masse e gli toglie la
libertà di ribellarsi; l’uomo si crea Dio per vedere un qualcosa di positivo nell’aldilà anche se
nel mondo non c’è.
COSA SIGNIFICA ESSERE ECONOMICAMENTE ALIENATO? “Manoscritti economico
filosofici” descrive l’alienazione/estraniazione economica che opera nella società borghese
capitalistica sotto 4 aspetti:
I) Il lavoratore è estraniato dal prodotto della sua attività: produce oggetti che non gli
appartengono e che sono come una potenza estranea
II) Il lavoratore è estraniato dalla propria attività
III) Il lavoratore è estraniato dalla propria essenza
IV) Il lavoratore è estraniato dai propri simili
Il lavoro è il principale elemento di distinzione tra l’uomo e gli animali.
L'alienazione religiosa nasconde l’alienazione socioeconomica che consiste nell’estraniazione
del lavo

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