Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (n. Stuttgart 1770 - m. Berlino 1831). Di modesta famiglia protestante,
dopo gli studi nello Stift di Tubinga, con Hölderlin e Shelling, più giovane di lui di cinque anni, completò
la sua formazione a Berna ed a Francoforte, dove visse facendo il precettore. All’iniziale entusiasmo per
la rivoluzione francese, celebrata con l’amico Hölderlin piantando l’albero della libertà nel parco dello
Stift, subentrò la delusione per gli esiti infausti della rivoluzione. Come studioso si occupò di Kant, di
Fichte e Spinoza. Nel periodo di Tubinga ed in quelli di Berna e Francoforte prevalsero in lui gli interessi
religiosi, non disgiunti da quelli politici. Hegel aveva ricevuto una profonda educazione religiosa ed
aveva letto con interesse i progetti di riforma politica contenuti negli scritti di Rousseau e Lessing e non
va dimenticato che in Germania, centro della riforma protestante, la questione religiosa non era mai
separata da quella politica. Negli scritti della maturità invece prevalse l’interesse storico-politico. Fu
professore a Jena, ad Heidelberg, dove compose i suoi scritti più sistematici, ed a Berlino. Serio,
taciturno, lontano dal modo affascinante di Schelling di interpretare il ruolo del “genio” romantico, Hegel
pervenne lentamente alla costruzione del suo immenso sistema filosofico che fu in grado di influenzare la
filosofia in modo definitivo, al pari di quello di Aristotele o di Kant. I suoi scritti più importanti sono La
fenomenologia dello Spirito (1807), nella cui prefazione prendeva le distanze dalla dottrina di Schelling,
La scienza della Logica (1812-1816) e L’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) che è
la sua opera più sistematica. A Berlino pubblicò i Lineamenti di filosofia del diritto ossia diritto naturale
e scienza dello stato (1821). Morì in questa città per un’infezione di colera.
1
l’importanza negatale da Fichte (che l’aveva ridotta ad “immagine prodotta”, non a realtà esistente in sé)
giungendo ad una filosofia dell’assoluta identità tra l’Io e la natura.
II. I capisaldi del sistema. Gli assunti fondamentali da ricordare.
b) Il rapporto ragione/realtà. “Ciò che è reale è razionale; ciò che è razionale è reale”.
Questo aforisma, notissimo, è contenuto nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto e riassume
il senso stesso dell’Hegelismo. In questo secondo punto sono contenute tre domande chiave:
1) Che cos’è la realtà?
2) Tutto ciò che esiste è necessario o puramente fortuito? Ossia: Potrebbe ciò che esiste (che è esistito o
esisterà) essere diverso da com’è (com’è stato e come sarà)?
3) Esiste il caso (l’accidentale) o il mondo è retto solo dalla necessità?1
La realtà per Hegel, lo abbiamo visto, è un soggetto in divenire, che possiede una sua intrinseca
intelligibilità, e che Hegel identifica soprattutto con i termini di Idea e Ragione. Ma cosa significa
precisamente? Pensiamo a tutto ciò che esiste, l’universo, le stelle, la natura, le persone, la civiltà e
tutto quello che ancora non conosciamo: questo è il Reale. Ed è reale soltanto dal momento che è “tutto
ciò che esiste” in sé e non dipende da altro. Tutto quello che vediamo, che è, che è stato e che deve
ancora venire è un soggetto spirituale in divenire che egli identifica con la pura razionalità (Ragione) e
che chiama anche l’Assoluto. Soltanto l’assoluto, il tutto, ha la sua ragione d’essere. Nessun elemento
contingente ha senso e razionalità se non inserito in un contesto. Nessun evento storico, ad esempio, è
1
Necessità, Ananke per i greci, la ferrea legge stabilita dagli dèi che non lascia scampo. È una delle domande più complesse
della filosofia ed anche una tra le più interessanti, perché riguarda la libertà dell’uomo. Siamo liberi di agire o le nostre azioni
sono ferreamente determinate?
2
razionale di per sé, ma lo è solo se è visto come tappa di una sequenza necessaria: ricordiamo che per
Hegel si può capire ogni “finito” solo partendo dall’”Infinito” (* cfr. Il tutto è maggiore della somma delle parti).
La frase “Ciò che è reale è anche razionale” significa che la razionalità è la sostanza stessa di ciò che
esiste, intendendo con ciò “la perfetta identità di realtà e ragione”.
Dunque, La Ragione coincide con la Realtà. Fin qui ci siamo. Ma… “La Ragione”, di cui Hegel parla, è
la ragione umana? Quella che consente agli uomini di fare i calcoli o prendere decisioni, di progettare una
casa, di fare le parole crociate o di ascoltare la musica? Certo, anche quella. Ma non solo. È questo il
concetto più importante e complesso della filosofia di Hegel, ma anche facilmente comprensibile se lo
affrontiamo per gradi.
La razionalità per Hegel non è semplice prerogativa umana, non è esclusivamente la facoltà che
consente all’uomo di interpretare il mondo a suo modo e di imprimergli una forma (alla maniera
dell’Intelletto di Kant, cha attraverso le categorie imprime un ordine alla realtà). No. La razionalità è
nell’uomo perché è anche nel mondo. L’uomo “legge” il mondo esattamente così come il mondo è. E
questo perché la “sostanza” che compone l’Assoluto coincide con la ragione umana! La realtà,
l’Assoluto, lo Spirito, non è una materia caotica alla quale l’essere umano imprime una regola, ma è il
dispiegarsi stesso di una struttura razionale che è già razionale anche fuori dall’uomo, la quale in modo
inconsapevole si manifesta nella natura ed in modo consapevole nell’uomo. (… chi aveva affermato che
il logos regge il mondo?).
La realtà è ragione in movimento, un organismo in fieri che si esprime attraverso la razionalità.
Quindi, la struttura della realtà è intelligibile, per l’uomo, perché tale struttura coincide esattamente
con la struttura della ragione umana. Forse sarà più semplice alla luce di un confronto. Kant aveva
sostenuto che la realtà ultima, la struttura in sé delle cose, il noumeno, fosse in-conoscibile all’uomo in
quanto l’uomo possiede un apparato intellettivo fatto in un certo modo, capace di cogliere, della realtà,
soltanto l’aspetto fenomenico. In altre parole, attraverso le categorie, l’intelletto umano interpreta la realtà
certo modo, ma nessuno ci assicura che quello sia il vero aspetto della realtà. (Cfr. il film Matrix). Il
in un
T fenomenoa è soltanto
l e che riusciamo
quello s a percepire
o dellas realtà. tHegel, ala contrario,
n afferma
z che quel
i che a l
vediamo, udiamo o percepiamo, lo vediamo, udiamo e percepiamo perché la realtà è esattamente così
come ci appare, dato che anche noi siamo razionali, e la nostra ragione è la stessa ragione che dà la forma
al mondo. La celebre formula di Hegel, tuttavia, non vuole esprimere solamente la possibilità che la realtà
sia penetrata, o intesa, dalla ragione, ma intende affermare la necessaria, totale e sostanziale identità della
realtà e della ragione.
“è” risulta esattamente ciò che razionalmente “deve essere”. Il mondo si manifesta attraverso una serie
di momenti necessari che non possono essere diversi da ciò che sono. La realtà è una totalità
processuale necessaria formata da una serie ascendente di “gradi” che rappresentano ognuno il
risultato di quelli precedenti ed il presupposto di quelli seguenti, non c’è spazio per la casualità. L’idea
di Hegel è che tutto ciò che è reale (tutto ciò che esiste in natura e tutti gli eventi della storia umana) è di
per sé razionale e quindi necessario. “Ciò che è reale è razionale” significa, per Hegel, soprattutto
che quello che è è e-sat-ta-men-te ciò che deve essere: ogni fatto che si manifesta del mondo risponde a
una legge razionale; tutto ha una sua logica, ogni cosa buona e ogni cosa cattiva, il giusto e l’ingiusto,
ciò che sembra assurdo e ciò che non lo è. La razionalità permea ogni cosa ne-ces-sa-ria-men-te, ogni
cosa, anche quando sembra secondaria, ha in realtà la sua ragione nel “gioco” del Tutto. Ogni cosa è
quindi giustificata e trova giustificazione; vi è sempre una giustificazione per ogni evento, nulla è
casuale.
c) La funzione della filosofia. “La filosofia è come la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far
del crepuscolo”.
L'identità assoluta della realtà con la ragione porta con sé la conseguenza che compito della filosofia sia
l’occuparsi di ciò che è, e non del dover essere. “Ciò che è” è la ragione e “intendere ciò che è” è il
compito della Filosofia. Essa ha la funzione, per Hegel, di prendere atto della realtà e comprenderne le
strutture razionali che la compongono. La filosofia, insomma, non deve immaginare come dovrebbe
essere il mondo ma limitarsi a spiegarlo. “Rinunciare alla pretesa di plasmare la realtà e limitarsi a
giustificarla razionalmente, questo il ruolo della filosofia”. Essa arriva come la nottola di Minerva, al
calare della sera, ossia quando la realtà ha già compiuto il suo processo di formazione.2 Infatti la filosofia
2
La nottola, la civetta, il simbolo dell’intelligenza di Minerva, Athena, la dea della razionalità.
3
è l’ultima e la più alta manifestazione del dispiegarsi della razionalità nella storia umana, che supera
l’arte e la religione quali tentativi di spiegare la realtà. Abbiamo detto, tutto ciò che è avvenuto non è
avvenuto per caso; tutto ciò che avviene ha una profonda ragione d’essere ed il mondo non potrebbe
essere diverso da come è. Appare evidente quindi, anche ad una prima sommaria lettura, che l’hegelismo
può a ragione essere interpretato come “giustificazionismo”, nonostante l’interpretazione che ne volle
dare il filone di pensatori, da Engels a Marcuse, che ha cercato di mostrare come la filosofia di Hegel
possa venir letta anche in modo rivoluzionario o socialmente dinamico. Questo discorso sulla dinamicità
della filosofia di Hegel c’introduce direttamente nel cuore del suo pensiero, la Dialettica.
III. La Dialettica.
“Dialettica” è il termine chiave per individuare immediatamente la filosofia di Hegel, una “regola”
applicabile tanto alla realtà quanto al pensiero umano.
III. 1. La Realtà.
La Realtà, per Hegel, come per Schelling, è un divenire, ossia un farsi man mano di quell’Assoluto o
Spirito che chiama Idea o Ragione, che costituisce la totalità del “reale” (come anticipato nei Capisaldi
del sistema).
La nozione hegeliana di realtà è complessa: in senso proprio Reale è soltanto lo Spirito (= l’Assoluto). Solo lo
Spirito esiste in sé e non dipende da altro. Lo spirito è qualcosa di più che la somma delle sue manifestazioni
particolari. Infatti se consideriamo ciascun elemento individuale, ciascuna individualità componente il mondo
umano e naturale, indipendentemente dal rapporto con lo spirito, ossia col tutto, abbiamo soltanto una povera cosa
contingente. Qualsiasi evento o cosa individuale è reale non in sé, staccata dal resto, come un amorfo mucchio di
sassi, ma è reale soltanto in relazione con il tutto. Solo questo tutto è realtà.
Tale Assoluto, o Idea, si manifesta attraverso tre momenti che Hegel indica con l’antico termine di
Dialettica.3 In Hegel la dialettica è al contempo la legge di sviluppo della realtà e la legge di
comprensione della medesima e consiste nei tre momenti della Tesi (affermazione), della Antitesi
(negazione) e della Sintesi (l’unificazione comprensiva delle prime due). Quindi:
Tesi: (= l’Idea in sé, o Idea Pura).
Antitesi: (= l’Idea fuori di sé).
Sintesi: (= l’Idea che ritorna in sé).
Questa è la Triade dialettica per cui è famoso Hegel, esposta nella sua Enciclopedia.
Ma cosa significa?
4
L’idea in sé, secondo il paragone di Hegel, corrisponde a “Dio prima della creazione”. O meglio al
programma di sviluppo del mondo, un progetto che non è imposto dall’esterno perché è un progetto
immanente (= interno) al mondo stesso.
L’idea fuori di sé è la Natura, l’estrinsecazione dell’Idea nella realtà spazio-temporale del mondo: è
l’applicazione del programma.
L’Idea che ritorna in sé è lo Spirito. Lo Spirito è l’Idea (il programma) che, dopo essere uscita da sé
facendosi natura (l’Antitesi), torna presso di sé con l’intelligenza dell’uomo (la Sintesi).
Ovviamente vale per Hegel il discorso fatto per Schelling, ossia che questa triade non è da intendersi in
senso cronologico, come se prima ci fosse l’Idea in sé, poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso
logico. Ciò che concretamente esiste è lo Spirito che ha come co-eterna condizione la Natura e come co-
eterno presupposto il programma rappresentato dall’Idea pura.5
Hegel applica la dottrina del divenire dialettico a qualsivoglia elemento della realtà, ogni aspetto della
realtà si afferma, si nega e si supera. Quindi la trasformazione è una legge universale (nulla ne è
3
Il concetto, nella tradizione filosofica ha ricevuto significati diversi.
In
4
Platone, la dialettica è la dottrina delle idee e procede secondo il metodo dualistico.
InL’espressione, che il
Aristotele indica è di Hegel, dimostrativo
processo non deve trarre
cheinparte
inganno perché l’assoluto
da premesse probabili,hegeliano è un Infinito
ossia generalmente Immanente, che non crea il
ammesse.
mondo
Per perché è il mondo.
Kant è l’arte di costruire ragionamenti capziosi, basati su premesse che sembrano probabili ma che in realtà non lo sono.In
5
Questoè “la
Fichte concetto
sintesinon contraddice
degli quello
opposti per mezzodi della
“dinamicità” o progressione,
determinazione perché Idea, Natura e Spirito sono co-esistenti e
reciproca”.
svolgono la loro azione continuativamente e contemporaneamente.
4
immune) regolata dai tre momenti. Per esistere ogni cosa deve trasformarsi, cambiare, dunque questo
implica che ogni cosa debba negare se stessa, divenire l’opposto di se stessa per poi trovare una sintesi.
Ogni stato della realtà, ogni essere si trova in ogni istante in una condizione contraddittoria, ciò che è si
afferma attraverso la negazione, divenendo qualcos’altro. Hegel insomma condivide l’idea di Eraclito
che ogni essere, esistendo, realizza un’unità di contrari. Pensare la realtà dunque significa pensarla
dialetticamente, interpretarla come una totalità processuale che procede secondo lo schema triadico di
Tesi, antitesi e sintesi.
III. 2. Il Pensiero.
Come funziona il pensiero dell’uomo?
Anche il pensiero soggiace alla dialettica, ossia si presenta diviso in tre “aspetti”.
1) L’aspetto astratto (o intellettuale).
2) L’aspetto dialettico (o negativo-razionale).
3) L’aspetto speculativo (o positivo-razionale).
Questi tre momenti, non soltanto il secondo, compongono la dialettica e sono momenti di ogni atto logico.
Il primo aspetto, quello astratto, consiste nel concepire ogni cosa, ogni determinazione, come se fosse
separata dalle altre (in sé). Questo è il momento più basso del pensiero, proprio dell’Intelletto, che
riesce a considerare la realtà soltanto come molteplicità di cose divise le une dalle altre e viste solo in
base alle loro differenze, secondo l’antico principio “d’identità e non contraddizione” (= per cui ogni
cosa è se stessa e assolutamente separata dalle altre). A questo momento corrisponde la Tesi.6
Il secondo aspetto è quello negativo, o propriamente dialettico, che dà il nome a tutto il procedimento.
Esso mostra l’insufficienza del principio d’identità, tipico dell’Intelletto e la necessità di un suo
superamento, semplicemente dimostrando come ad ogni affermazione corrisponda ne-ces-sa-ria-men-te
una negazione perché per specificare ciò che una cosa è, occorre implicitamente riferirsi a ciò che essa
non è (ad esempio, il concetto di uno, per essere chiarito, deve essere messo in contrapposizione a
quello di molti, il concetto di finito a quello di infinito, il concetto di bene a quello di male e così via): a
questo momento corrisponde l’Antitesi.
Il terzo aspetto, quello positivo o speculativo, consiste nel cogliere l’unità delle opposte
determinazioni, che altro non sono se non aspetti unilaterali di una realtà più ampia che li comprende e
li sintetizza: a questo ultimo aspetto corrisponde la Sintesi. La sintesi è il momento più alto del
pensiero razionale ed è una ri-affermazione della affermazione iniziale, potenziata tramite l’azione
della negazione intermedia. Questa unificazione, questa sintesi, è da Hegel chiamata Aufhebung,
termine che possiede il doppio significato di togliere e conservare.
Ai tre “momenti” dell’assoluto Hegel farà corrispondere le tre “sezioni” in cui divide il sapere filosofico.
La Logica (la scienza dell’Idea pura), che corrisponde alla Tesi.
La filosofia della Natura, che corrisponde all’Antitesi.
La filosofia dello Spirito, che corrisponde alla Sintesi.
Considerazioni finali
1) La dialettica illustra il principio fondamentale della filosofia di Hegel: la risoluzione del finito nell’infinito.
Perché ci mostra come ogni spicchio di realtà, il finito, non possa esistere se non in un contesto di rapporti, in una
trama di relazioni che forma il tutto infinito.
2) La dialettica esprime una concezione ottimistica del mondo perché ha il compito di unificare il molteplice
conciliando le opposizioni e quindi pacificando i conflitti. Il conflitto è un momento reale del mondo, certamente,
ma di passaggio: il negativo per Hegel esiste soltanto come aspetto necessario della successiva unificazione, la
quale dà luogo ad una nuova affermazione e ad una nuova negazione che richiede un’ulteriore sintesi e così via.
3) Esiste una fine di questo processo? Un punto d’arrivo in questa dialettica? Oppure questo è un processo che si
protrae all’infinito? In altre parole: la dialettica è un processo “chiuso” o “aperto”? Hegel risponde che esiste una
sintesi finale e quindi privilegia l’idea di un processo chiuso, perché spostando indefinitamente la meta da
raggiungere (come fa Fichte) lo Spirito non avrebbe mai il pieno possesso di sé stesso.
6
È questo il momento del “mucchio di sassi”, un semplice coacervo di elementi slegati tra loro, amorfi e privi di unità.
5
Questa soluzione scontenterà alcuni dei suoi allievi, come Engels e Croce, poiché introduce l’idea di uno
“stagnante” epilogo che annulla ogni attività creatrice.
1) Polemizzò con gli Illuministi, di cui criticò il concetto di ragione definendola un semplice intelletto
astratto, in quanto finito e parziale strumento adatto soltanto ad esprimere le aspirazioni degli
individui. Critica la ragione dei Philosophes perché essa pretendeva di dar lezioni alla storia stabilendo
come avrebbe dovuto essere, mentre la realtà per Hegel è sempre come dovrebbe essere.
2) Di conseguenza si trovò in disaccordo anche con Kant che dell’Illuminismo fu il momento più alto e
completo. L’antitesi kantiana tra finito e infinito, tra fenomeno e noumeno, tra realtà e ragione e, in
campo morale, tra essere e dovere essere, non è per Hegel tollerabile, in quanto la realtà è una,
fenomeno e noumeno coincidono e la realtà è ragione.
3) Nei confronti dei romantici, dei quali aveva fatto parte nel periodo di Francoforte, Hegel esprimerà
forte dissenso. In primo luogo contesta ad essi il primato conferito all’“arte” e alla “fede”, in nome
della ferma convinzione che soltanto la ragione possa trovare le risposte agli enigmi dell’esistenza.
In secondo luogo egli contesta gli atteggiamenti individualistici ed intimistici di alcuni romantici
affermando che l’intellettuale non deve ripiegarsi nel proprio io, ma tener d’occhio l’oggettivo
corso del mondo ed integrarsi nelle istituzioni socio-politiche.
4) Nei riguardi di Fichte, lo accusa di aver ridotto l’oggetto, la natura, a semplice ostacolo esterno all’Io,
col rischio di ricadere in un nuovo dualismo di tipo kantiano. Inoltre contesta a Fichte di aver ridotto
l’Infinito a semplice meta ideale dell’io finito la cui spinta incessante, nel tentativo di raggiungere tale
meta ideale si riduce ad un processo all’infinito che non giunge mai ad un fine, si riduce a puro
“tendere” invano. Fichte si muoverebbe per Hegel all’interno di una filosofia del “cattivo infinito”,
come sprezzantemente la chiama, ancora incapace di cogliere la piena coincidenza tra finito e
infinito, razionale e reale, essere e dovere essere che costituisce la sostanza dell’idealismo e che era
stata invece colta da Schelling.
5) Anche Schelling però, nonostante Hegel nel saggio del 1801 (Differenze del sistema di Fichte e di
quello di Schelling) ritenga il suo sistema superiore a quello di Fichte per i motivi cui si è fatto cenno,
non rimarrà escluso dal novero delle critiche. Nell’introduzione alla Fenomenologia dello spirito Hegel
contesterà l’antico compagno di studi per aver concepito il suo Assoluto come mera identità
indifferenziata di Io e natura, di ogni differenza, vuota indifferenza di soggetto e oggetto, dalla quale
rimane esclusa l’attività dialettica. L’assoluto di Schelling è criticato perché a-dialettico e statico,
incapace di comprendere e spiegare la ricchezza del reale nei suoi diversi aspetti ed è ritenuto da
Hegel, che “ci va giù” piuttosto pesante, malgrado l’amicizia, un abisso vuoto che non sa dare il giusto
valore al negativo, “come una notte nella quale tutte le vacche sono nere”.7
Il principio fondamentale della filosofia di Hegel è sì la completa coincidenza del finito con l’infinito,
del reale con il razionale; questa coincidenza però si distingue dall’identità indifferenziata di Schelling
perché in Hegel si arricchisce del procedimento dialettico applicabile tanto alla realtà quanto al pensiero
umano e da quella di Fichte che si riduce ad un “cattivo infinito”, incapace di cogliere la piena
coincidenza tra finito e infinito, tra essere e dover essere.
Ebbene, questo principio è stato esposto da Hegel in due modi differenti.
1. Il primo è una sorta di “romanzo”, descritto nella Fenomenologia dello Spirito, dove Hegel illustra la
“storia” del percorso che la coscienza ha dovuto affrontare per giungere ad afferrare questo principio.
2. Il secondo modo è quello dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, che è l’opera più sistematica ed
accademica, nella quale vi è l’illustrazione della realtà così com’è, secondo Hegel.
7
Per Hegel l’Assoluto è Spirito, un’unità dinamica, processo dialettico e mo-vi-men-to. Il concetto implica in Hegel due
nozioni. Vita: lo Spirito è vivente ma, diversamente dagli individui che lo costituiscono, non ha relazione alcuna con la morte,
è eterno. Coscienza: lo spirito è vita elevata a coscienza, è vita consapevole di se stessa. Tale coscienza non è data, una volta
per tutte, ma implica un lungo percorso di conquista.
6
V. La Fenomenologia dello Spirito.
Il saggio intitolato La Fenomenologia dello Spirito, stampato nel 1807 a Jena, è la prima grande opera di
Hegel e narra la storia romanzata della coscienza,8 che, attraverso erramenti, contrasti e scissioni, e
quindi infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come
ragione che è realtà e realtà che è ragione. 9
Nel saggio, attraverso una serie di figure divenute famose, Hegel ripercorre le tappe e i gradi di
formazione dello Spirito stesso, il quale, progressivamente, acquisisce coscienza di sé, fino a
riconoscersi come totalità razionale. Lo Spirito, dopo un percorso lungo e faticoso, acquisisce la
consapevolezza che le varie espressioni particolari e finite del mondo altro non sono che sue
manifestazioni nelle quali può rispecchiarsi. La Fenomenologia coincide con il divenire del Sapere
umano, della scienza e della filosofia.
B. l’Autocoscienza.
La sezione dedicata all’Autocoscienza è la più interessante di tutta la Fenomenologia perché contiene le
Figure più celebri della filosofia hegeliana. Qui il centro dell’attenzione si sposta dall’oggetto al
“soggetto” ed in questa sezione Hegel non si muove più solamente in ambito prettamente gnoseologico-
scientifico ma coinvolge settori più vasti, quali la società, la politica, la storia e la religione.
L’Autocoscienza “è la certezza che la coscienza ha di se stessa”, ma il termine acquista in Hegel un
valore sociale e politico, perché essa si raggiunge soltanto confrontando la nostra esistenza con quella
degli altri; l’uomo riesce a riconoscersi soltanto se è riconosciuto da altre autocoscienze simili a lui.
L’autocoscienza, infatti, postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere
tale.
8
Il termine Fenomenologia, la scienza di ciò che appare, (dal greco Phainomenon “apparenza” e Logos “discorso” e
“dottrina”).
9
Probabilmente, la più complessa e delirante opera filosofica mai impressa su carta da pugno umano, della quale cercheremo
di dare una versione semplificata e comprensibile.
7
Qui è presentato il concetto di Riconoscimento. L’essere umano si contraddistingue per l’innato desiderio di
riconoscimento (Anerkennung) che nutre dentro di sé. Qualunque cosa faccia, l’uomo la fa per essere riconosciuto.
Io sono certo di essere un uomo, sono certo di essere autocoscienza solo perché altri uomini mi riconoscono come
tale. Io desidero fortemente essere riconosciuto, chiamato uomo, desiderato e amato e apprezzato dagli altri uomini.
Non è immediato però che l’altro (Mario, il capufficio, mio padre) sia disposto a riconoscermi, ad apprezzarmi, ad
amarmi come desidero, la sua indifferenza è per me fonte di insostenibile sofferenza. Questo è ciò che può accadere
ad ognuno nel concreto dell’esperienza quotidiana. Ma c’è un ambito teoretico in cui, per Hegel, vale questo
discorso, collocato fuori della storia come esperienza innata, universale, che individua la condizione originaria
dell’essere umano, nella quale egli lotta per il proprio riconoscimento, arrivando a desiderare l’annientamento di
colui che, con la sua presenza indifferente, mette in discussione la sua stessa esistenza. Il desiderio di
riconoscimento porta con sé dunque l’eventualità del conflitto che s’innesca quando gli esseri umani si rifiutano di
riconoscersi reciprocamente, rifiutano la relazione. “O mi riconosci o ti uccido”, “o mi ami o mi uccido”, “o mi
riconosci come adulto o faccio comunque quel che mi pare”. Tale lotta per il riconoscimento è per Hegel generata
da un fraintendimento: i contendenti credono che riconoscersi voglia dire escludere l’Altro fino ad ucciderlo o fino
ad uccidersi o fino a non considerarlo proprio. Ma questa è illusione. Si ha autentico riconoscimento solo a patto
che l’altro sia incluso nella propria vita e lo si può fare soltanto se esso resta in vita ovvero se il rapporto permane.
Questo è quello che accade nell’ipotetico stato di natura di Hegel quando uno dei due contendenti ritiene che il
restare in vita sia più importante dell’essere riconosciuto o riconoscere. Ne deriva così il rapporto signoria-servitù”.
a. La figura Servo-Padrone.
Come avviene il reciproco riconoscersi delle autocoscienze? Nei suoi scritti giovanili Hegel aveva
romanticamente attribuito tale compito all’amore. In questo saggio invece, per il fatto che ciascuna
autocoscienza mira ad essere sì riconosciuta, ma anche ad essere indipendente dall’altra ed allo stesso
tempo dominarla (ricordiamoci di Hobbes, dello stato di
La figura del servo-padrone è sicuramente la più natura e della lotta di omnes contra omnium) ne deriva
bella della Fenomenologia e presenta una notevole
ricchezza tematica, apprezzata soprattutto dai che il riconoscimento reciproco deriva dalla lotta, dal
marxisti, i quali hanno letto in essa una intuizione, conflitto fra le autocoscienze, che desiderano essere
anche se solo teoretica, della configurazione riconosciute, senza a loro volta riconoscere. Tale “lotta
dialettica della storia e del lavoro umano, nella quale, per il riconoscimento” non termina con la morte delle
grazie alla esperienza della sottomissione, si generano autocoscienze contendenti (poiché in tal caso sarebbe
nel servo le condizioni per la liberazione. Questo non
vuol dire che si possa leggere Hegel in chiave annullata l’intera dialettica del riconoscimento), ma con
marxista. La figura hegeliana non si conclude con una il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto che Hegel
rivoluzione sociale, ma con la coscienza della chiama del Servo-Padrone.
indipendenza del servo nei confronti delle cose e L’Autocoscienza per affermare la propria indipendenza
della dipendenza del signore dal lavoro servile. deve essere pronta a tutto, anche a rischiare la propria
vita. Cosa succede ad un certo punto? Che uno dei due
contendenti, avvertito più dell’altro il valore infinito della propria e dell’altrui vita, ha avuto paura della
morte ed ha risolutamente abbandonato la lotta, rinunciando alla propria indipendenza e libertà. Ha
riconosciuto l’altro senza esserne riconosciuto. Si è arreso davanti a colui che non ha tremato, al Signore
che ha messo a repentaglio la propria vita nella lotta per la supremazia, divenendone il Suddito,
rassegnandosi a divenire una individualità non libera ma viva. Questo è quello che secondo Hegel ha
originato il rapporto di signoria-servitù tipico delle società del mondo antico. Hegel colloca, infatti, questa
lotta su due piani teoretici differenti: da un lato ne parla come qualcosa di a-temporale, di universale,
dall’altro ne colloca la verosimiglianza storica nell’età antica, agli albori della civiltà umana.
Messosi in tale situazione di disuguaglianza il servo, attraverso il proprio lavoro, trasforma la natura per
soddisfare i bisogni del proprio signore, che in virtù del diritto acquisito con la forza lo domina,
costringendolo a provvedere alle proprie necessità. E la cosa va avanti così. Ad un certo punto però
s’inserisce la paradossale inversione dei ruoli. Il signore, abituatosi a godere passivamente dei frutti del
lavoro altrui, da indipendente che era finisce per diventare dipendente del servo che lavora per lui.
Quest’ultimo, il perdente, che inizialmente appariva come dipendente dal signore dato che si era rimesso
alla sua clemenza, dal momento che ha imparato a padroneggiare la natura e a trasformare le cose da cui
il suo signore riceve il proprio sostentamento, finisce per rendersi indipendente. Il rapporto di
subordinazione si rovescia. Il padrone diviene servo e il servo diviene padrone. 10 L’indipendenza del
10
Nota come questa sia la trama della “Macchina del tempo”, romanzo nel quale lo statunitense H.G. Wells ipotizza un lontano
futuro, visitato dal protagonista, dove gli antichi servitori (i Mòrloch) di una casta di privilegiati (gli Elòi) sono divenuti i loro
8
servo viene acquisita attraverso il suo lavoro. Il lavoro è il mezzo con cui il servo domina la natura e
libera gradualmente se stesso attraverso un processo che si sviluppa in tre momenti.11
• La paura della morte. Il servo è tale perché ha tremato di fronte alla prospettiva della morte, ossia
della perdita della propria essenza. Egli però attraverso la propria paura ha potuto sperimentare anche il
proprio essere con la relativa conquista della propria autocoscienza.
• Il servizio. Nel periodo servile la coscienza si auto-disciplina e impara a vincere, in tutti i singoli
momenti i suoi impulsi naturali.
• Il lavoro. Trattenendo anche i propri appetiti, non usufruendo dell’oggetto che sta lavorando, perché
non è di sua proprietà, il servo raggiunge l’indipendenza dalle cose stesse e la propria autonomia dagli
oggetti. Per dirla con Hegel, il lavoro è appetito tenuto a freno. Inoltre, il lavoro forma, poiché il servo,
in ciò che produce, mette tutto se stesso e non solo la sua forza materiale, mentre il padrone si limita ad
utilizzare gli oggetti prodotti.
b. Il rapporto stoicismo-scetticismo.
Il raggiungimento dell'indipendenza, ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone, trova la sua
espressione filosofica nello Stoicismo del periodo ellenistico-romano, ossia quel tipo di visione del
mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda (affetti,
passioni, ricchezze). La libertà stoica è libertà interiore. Il saggio stoico è libero sia quando è sul trono,
come l’imperatore filosofo Marco Aurelio, sia quando è in catene, come lo schiavo Epitteto. Tale libertà
stoica però, riflette Hegel, è una libertà soltanto pensata, “astratta” e non concretamente attuata perché i
condizionamenti, da cui ha la pretesa di slegarsi, permangono oggettivamente. Lo Scetticismo pretende di
fare un passo aventi, nella strada verso la liberazione, sospendendo l’assenso su tutto ciò che è
comunemente ritenuto per vero, afferma la non verità di tutti i legami da cui lo stoicismo aveva preteso di
essere libero, e dunque la loro non esistenza e oppone a tutto ciò che ritiene essere non-vero la propria
certa identità. A questo livello però la coscienza si contraddice, perché da un lato cerca di negare la realtà
del reale affermando che tutto è vano e tutto è falso e dall’altro pretende di pensarsi come vera, come
stabile baluardo contro l’instabilità (= se afferma che tutto è non-vero come fa a pensare a se stessa come
vera?).
c. La coscienza infelice
Una volta scoperta la natura contraddittoria del proprio essere, la coscienza (che da un lato vorrebbe
innalzarsi sull’accidentalità e non verità della vita, e dall’altro si scopre parte di quella stessa accidentalità
e non verità) diviene consapevole della propria condizione ed entra in quella fase che Hegel esprime con
la figura della coscienza infelice. È questa la figura-simbolo, la chiave di volta dell’intera
Fenomenologia, quella della coscienza infelice che descrive il pensiero religioso tipico dell’ebraismo e
del cristianesimo. In questo stadio di sviluppo, la coscienza riconosce di essere mutevole, accidentale,
inessenziale e tende a ricercare qualcosa di immutabile, necessario ed essenziale, le caratteristiche
che aveva creduto di trovare in se stessa e lo trova: è Dio. In questa fase dello sviluppo della coscienza
umana Dio è concepito come l’Essere perfetto ed immutabile, in aperta antitesi con l’imperfezione e
mutevolezza delle cose del mondo. Dalla situazione propria dell’ebraismo a quella del Cristianesimo la
figura di Dio si trasforma, da Signore assoluto a Padre, ma in ogni modo sempre trascendente e lontano
dall’uomo. Anche la pretesa dei primi discepoli di cogliere la presenza dell’Assoluto in un uomo mortale,
il Cristo, è destinata al fallimento. Fallimento di cui sono simbolo le crociate, nelle quali l’inquieta ricerca
di Dio si conclude di fronte ad un sepolcro vuoto. Cristo, di fronte alla coscienza, continua a rimanere
qualcosa di diverso e separato, sia in quanto dio trascendente sia in quanto dio incarnato, un mistero per i
suoi posteri. Di conseguenza con il cristianesimo, lungi dall’aver trovato la pace, la coscienza continua ad
essere inevitabilmente infelice, perché dio continua ad essere un “al di là” che sfugge. La vicenda della
coscienza prosegue nella ricerca disperata dell’assoluto, attraverso la mortificazione di sé fino alla
completa negazione dell’io a favore di dio. Con l’ascetismo e le sue pratiche di umiliazione della carne (il
padroni e aguzzini, non essendo gli ultimi più in grado di sostentarsi da soli.
11
Nota come questa affermazione profonda verrà sfruttata in modo ignobile e tragico nella famigerata frase “Il lavoro rende
liberi” appesa all’ingresso dei campi di lavoro nazisti al tempo della seconda guerra mondiale.
9
santo medievale) la coscienza tocca il suo punto più basso in quanto cerca di annientare la propria
singolarità; ma il motivo per cui lo fa, ossia per cercare la fusione totale con l’assoluto cui aspira,
trasforma, dialetticamente, questo momento nel punto più alto quando la coscienza si rende conto di
essere lei stessa Dio, ovvero l’Universale e l’Assoluto. Il Medio-Evo prelude così al Rinascimento ed
all’età Moderna ed alla scoperta della Ragione “quale certezza d’essere ogni realtà”.
C. La Ragione.
Dal Rinascimento l’Autocoscienza si eleva gradatamente a Ragione che per Hegel è “perfetta identità di
essere e pensiero”. La ragione, abbiamo detto, “è la certezza di essere ogni realtà” ossia quell’assoluto
invano cercato dalla coscienza fuori da sé. Questa consapevolezza tuttavia non è immediata, deve passare
attraverso diverse fasi prima di manifestarsi e giustificarsi. Hegel illustra le peregrinazioni della coscienza
divenuta Ragione che pur apparentemente cercando un’altra cosa, ad esempio la natura, a partire dalla sua
fase rinascimentale cerca in realtà se stessa, cerca di riconoscersi nella realtà oggettiva che le sta davanti,
tentativo destinato a fallire quando ci si rende conto che l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato e di
contemplabile perché esistente, ma è qualcosa che deve essere realizzato. Anche questo progetto, però, è a
sua volta destinato a fallire finché assume la forma di uno sforzo individuale, come testimoniano le varie
figure chiamate a testimonial da Hegel, che vanno da Faust a Robespierre. Con queste figure-simbolo
Hegel intende dire che se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è inevitabilmente condannati
a non raggiungere mai l’universalità. Questa unione con l’universale, agognata dalla coscienza, si potrà
realizzare soltanto nella fase successiva, quella dello Spirito. È la fase in cui l’individuo scopre che la sua
felicità è concepibile soltanto nella vita Etica, all’interno di un tessuto sociale, poiché lo Spirito è
universalità concreta e non è possibile rimanere allo stato di pura individualità . Gli individui si
relazionano tra loro e costituiscono le loro vite sullo Stato, quel complesso di costumi e di leggi che Hegel
chiama “sostanza Etica”, o “sostanza universale”. L’individuo realizza la propria essenza e le proprie
autentiche finalità solo nella vita associata che costituisce l’universale tanto cercato dalla coscienza.
Seconda parte. La seconda parte della Fenomenologia tratta della dialettica dello Spirito, della
Religione e della Filosofia.
Hegel stesso, deciderà di eliminare tale seconda parte nelle edizioni successive della Fenomenologia in
quanto le tematiche che tratta verranno riprese ampiamente nella Enciclopedia delle scienze. Per questo
motivo anche noi in questa sede ci limitiamo solo a citare le fasi che concludono le romanzesche vicende
della coscienza alla scoperta di se stessa all’interno della Fenomenologia.
La prima sezione della seconda parte tratta dello Spirito. Tale Spirito (che nell’Enciclopedia sarà detto
“Spirito oggettivo” ed “Eticità”) è la Ragione, concretamente realizzata nelle istituzioni storico-
politiche di un popolo, ossia nello Stato.
Per “Spirito” dunque qui Hegel intende Antigone. Il mito di Antigone inizia laddove termina quello di
l’individuo nei suoi rapporti con la società Edipo. Resosi conto del misfatto compiuto (di avere ucciso il
cui appartiene. padre, Laio, il re di Tebe, e avere sposato la madre, Giocasta),
La seconda e la terza sezione sono dedicate Edipo si acceca, dopo che Giocasta in seguito alla rivelazione si
alla Religione e alla Filosofia, attraverso le era impiccata, ed erra in esilio per l’Attica, accompagnato dalle
quali l’individuo acquista la piena ed due figlie, Antigone e Ismene. Edipo morirà a Colono, presso il
esplicita coscienza di sé come Spirito. bosco sacro a Dioniso, nel quale era vietato l'ingresso ai profani.
Dopo aver trovato la “pace” nello stato e la Sua figlia Antigone a questo punto decide di ritornare a Tebe,
assediata dai sette principi guidati da Polinice, uno dei suoi due
“verità” nella filosofia idealistica di Hegel,
fratelli che era stato esiliato dalla città dal gemello Eteocle.
ecco che la coscienza ha concluso il suo Quando vi giunge, scopre che Creonte, il nuovo re di Tebe,
ciclo. fratello di Giocasta, aveva proibito di dare sepoltura agli
assedianti sconfitti, tra cui Polinice, lasciando il loro corpo in
In questa seconda parte della pasto ai cani. Antigone disobbedisce agli ordini del re e si
Fenomenologia c’è una figura che accinge ad uscire dalla città per onorare il cadavere del fratello.
vorremmo sottolineare. Hegel ne parla Scoperta dal re viene fatta seppellire viva all’interno di una
nella sezione dedicata allo Spirito etico caverna. Interrogato Tiresia, l'indovino cieco, il promesso sposo
di Antigone, Emone, figlio di Creonte, scopre il luogo dove10 era
imprigionata la fanciulla ma ella ormai si è impiccata. Alla vista
del corpo, Emone, si uccide e così la madre di lui, in seguito alla
notizia della morte del figlio.
proprio della civiltà greca ed è rappresentata dalla fanciulla Antigone. Celebrata nell’omonima tragedia
di Sofocle, Antigone incarna l’ideale giuridico legato alla convinzione della superiorità delle leggi eterne
non scritte, stabilite dagli dèi, sopra quelle civili, positive, create artificialmente dagli uomini. Nel 442
a.C. Sofocle mette in scena il conflitto tra Antigone e Creonte in termini politici. È il problema del
conflitto tra legge naturale e legge dello stato, contro la quale Antigone si batte in nome della legge
eterna, cui anche gli stessi dèi devono sottostare.
“Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte, delle quali io un giorno dovrò subire il
giudizio [...] E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi morali
degli dèi”.
La dialettica dello Spirito comincia così con un conflitto tra le leggi umane e quelle divine, le agrapta
nomina (le leggi eterne) invocate da Antigone che, andando contro l’esplicito divieto del tiranno Creonte,
dà sepoltura al cadavere del fratello Polinice, che si era ribellato allo stato. Hegel parla di Antigone per
mettere in evidenza il dissidio sussistente tra legge morale (che invoca i sentimenti di pietà familiare) e
legge dello stato dando un valore maggiore a questa ultima, in quanto l'istituzione statale risulta essere
più evoluta rispetto all'istituzione familiare, più arcaica e dunque meno evoluta.
Negli anni di Jena Hegel aveva espresso la convinzione che la filosofia debba essere un “sapere
sistematico”. L’ambiziosa costruzione di un sistema che comprendesse il complesso delle scienze
filosofiche era iniziata già con la Fenomenologia,
concepita come un’introduzione ad un più generale Astratto/Concreto
“sistema della scienza”. Per Hegel, il rapporto tra i termini astratto e concreto
è opposto a quello del linguaggio comune, per il
Il sapere assoluto è la somma aspirazione di Hegel. quale ciò che è astratto è solitamente il pensiero,
Interpretato come il complesso delle scienze filosofiche, indipendente dal concreto che ha a che fare con la
tale sapere è risultato di un processo attraverso il quale realtà delle cose e dei fatti. Per Hegel al contrario
lo spirito comprende se stesso come totalità razionale; astratto è l’insieme degli elementi del reale,
totalità nella quale ciascuna parte trova giustificazione se considerati, secondo il loro etimo, come estrapolati
cessa di essere considerata unilateralmente (o, per dirla dal contesto (abstracti), come se fossero indipendenti
dal movimento complessivo, organico, del tutto;
con Hegel, in modo Astratto) e diviene momento di un concreto, per Hegel, è soltanto il reale; ma se “il vero
11
è l’intero” allora reale veramente è soltanto “il tutto”,
ossia lo Spirito, ossia l’Idea, perché essa conserva
sempre la coscienza della relazione che ha con altre
idee.
insieme strutturato secondo nessi necessari (ossia Concreto). Il “sistema” della filosofia hegeliana è
l’esposizione dell’Assoluto che mostra il mondo come razionalità. Il sistema, in quanto descrizione
dell’assoluto, non ha un principio né una fine perché l’assoluto non ha un principio né una fine.
L’esposizione più chiara e completa del suo sistema è data da Hegel nell’Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio (Heidelberg, 1817).
Essa comprende tre parti generali: La Logica, la Filosofia della Natura, la Filosofia dello Spirito.
1. Logica.
La logica è la “scienza dell’Idea pura”, ossia la scienza che studia la legge che regola l’universo “colta
nell’elemento astratto del pensiero”. Presa in esame nella seconda delle sue opere fondamentali, La
scienza della logica (1812) e compendiata nella prima parte dell’Enciclopedia, la Logica descrive le
strutture ideali della realtà come sono in sé, senza considerare né il modo in cui si sono attuate
concretamente nel mondo né il modo in cui sono state colte dalla coscienza umana. In virtù della
presupposta identità di pensiero ed essere, cardine della filosofia hegeliana, la logica, (lo studio del
pensiero), coincide esattamente con la metafisica (lo studio dell’essere); essa ha insomma valore sia
ontologico sia metafisico, perché “mira a portare alla coscienza la natura logica che anima lo spirito”.
Attraverso lo studio della logica, il mondo si manifesta come un organismo fatto di “concetti” (o
categorie), i quali sono determinazioni tanto del pensiero quanto della realtà. I concetti, di cui parla
Hegel non sono pensieri “soggettivi”, ai quali la realtà rimane esterna e contrapposta, ma pensieri
“oggettivi” che esprimono la realtà stessa nella sua essenza.12
La logica hegeliana si divide in logica dell’Essere, logica dell’Essenza e logica del Concetto e procede
partendo dai concetti più poveri o astratti (come quello di essere) fino a giungere a quelli più ricchi e
concreti, sino al “concetto di tutti i concetti” che è l’Idea.
Logica dell’essere. È caratterizzata dall’immediatezza e dalla semplicità e incomincia partendo dal
concetto più astratto ed indeterminato di tutti: il concetto di essere. Esso, lo aveva insegnato Parmenide,
è il concetto assolutamente privo di determinazioni e di contenuto, “l’essere è”.
L’essere è “che cosa?”, è “Come”? Niente cosa, niente come: l’essere è, punto! Esso coincide con il
verbo essere e basta!
Proprio per questa sua genericità il concetto di essere, per Hegel, trapassa in quello di nulla, che non è il
contrario dell’essere ma ne rappresenta solo un momento. Come si può vedere il concetto di essere è in
Hegel opposto a quello di Parmenide. Per il filosofo di Elea l’essere era statico e contrapposto al non-
essere, per Hegel l’essere è dinamico ed indissolubilmente legato al non essere che anzi fa parte
dell’essere. Hegel piuttosto riconosce valida l’intuizione di Eraclito: la realtà ed il pensiero sono
contrassegnati dal mo-vi-men-to. Essere e nulla trapassano continuamente l’uno nell’altro; quindi la
sintesi perfetta di entrambi è il divenire, nel quale essi sono superati. Il concetto perfetto di questa
perfetta unione, di questa unità, è il divenire che è anche il loro superamento ed il primo passaggio
alla determinazione. L’essere e il nulla, come pure astrazioni sono, infatti, l’opposto dell’essere
“determinato”, che proprio in virtù di tale opposizione viene posto in luce. Dal passaggio continuo
dall’essere al nulla e dal nulla all’essere, dal nascere al perire, deriva l’essere determinato. Cos’è
l’essere determinato? L’essere determinato è l’essere finito, quel che Hegel chiama l’esserci, che ha
come carattere fondamentale il limite. L’esserci è tale in virtù della qualità, che lo specifica e lo rende
fi-ni-to, della quantità e della misura.
12
Da notare come le categorie, che con Kant erano funzioni mentali umane, valide soltanto in relazione al fenomeno, con
Hegel tornino ad essere determinazioni sia del pensiero che della realtà in sé.
12
Queste categorie considerano l’essere nel suo isolamento, fuori da ogni relazione. Quando l’essere
riflette su se stesso e scopre le relazioni che intercorrono tra lui e gli altri esseri, dalla logica dell’essere
si passa alla logica dell’Essenza.
Logica dell’essenza. L’essere riflette su se stesso e coglie, dietro il divenire sensibile, il sostrato
permanente che è alla sua base: in quel preciso istante esso riconosce la sua essenza. Nel momento in
cui l’essere si riconosce identico a se stesso e diverso dalle altre essenze, in quel preciso momento di
consapevolezza l’essere diviene essenza che si manifesta come esistenza. La manifestazione
dell’essenza nell’esistenza è il fenomeno13. L’unità di essenza (ciò che è interno) e di esistenza (ciò che
appare, che è esterno) è la realtà in atto.
Logica del concetto. Arricchito dalla riflessione su di sé, l’essere diviene Concetto (Il concetto di cui
parla Hegel non è il concetto dell’intelletto, di cui parlava Kant, ma il concetto della ragione). Il
concetto per Hegel è l’espressione soggettiva della ragione universale (= lo Spirito, la ragione
universale si esprime nell’uomo attraverso i concetti). Nella sua forma più alta il concetto è l’Idea, ossia
la ragione auto-cosciente. Nell’Idea si manifesta la realtà effettiva dello Spirito che è unità piena di
pensiero ed essere. L’Idea è il concetto proprio della ragione, “lo spirito vivente della realtà”.
La Ragione dice Hegel è soggettività vivente e l’Idea (= il concetto nella sua forma più alta) ne è
l’espressione.
L’idea è, al contempo, vita (= un’anima realizzata in un corpo) e desiderio di conoscere (= desiderio di
raggiungere ciò che ancora appare come oggetto separato da sé). Tale desiderio di conoscere è teoretico,
se la spinta a conoscere è dettata dal desiderio di verità, o pratico, se la spinta a conoscere è dettata dal
desiderio del bene. L’Idea assoluta è l’identità di vero e di bene, la vita universale che ha riassorbito in
sé ogni finitezza, ogni immediatezza.
13
Il fenomeno è la manifestazione dell’essenza di ciò che esiste: è il manifestarsi dell’“esistente”.
13
d. La logica di Hegel non è la logica aristotelica. Questa aveva per suoi princìpi fondamentali il
principio di identità e non contraddizione, secondo cui gli opposti non possono coincidere. Invece, per
Hegel il reale è proprio una sintesi d’opposti. La logica aristotelica, dunque, è la logica dell’intelletto,
quella hegeliana è logica della ragione dialettica.
14 ?
Pancaldi, Trombino, Villani, Philosophica, vol. 3. pag. 89.
14
Anche lo Spirito dell’uomo procede per gradi ed Hegel ne segue lo sviluppo dialettico; diversamente da
quanto accade nella Natura, però, nella quale i gradi sussistono giustapposti e coesistenti uno accanto
all’altro (il mondo vegetale e minerale accanto a quello animale), nello Spirito ciascun grado è compreso
e risolto nel grado superiore, il quale a sua volta è già presente nel grado inferiore (= l’individuo non
esiste accanto alla società, ma è ricompreso nella società, la quale, a sua volta, è presente nell’individuo,
fin dall’inizio).
I tre momenti dello sviluppo dello Spirito sono: lo Spirito soggettivo, lo Spirito oggettivo, lo Spirito
assoluto.
Le prime due parti si occupano dello Spirito finito. L’ultima ha a che fare con lo Spirito infinito, cioè
con l’Assoluto come tale.
Infatti, la tesi (soggettività) si occupa dell’uomo come individuo a prescindere dal sistema della socialità.
L’antitesi (oggettività) studia l’uomo nell’ambito della socialità e ha come culmine lo Stato. La sintesi (la
filosofia come Spirito assoluto), si occupa della comprensione dell’assoluto concreto, il quale si manifesta
compiutamente nella forma suprema della concettualizzazione filosofica.
Antropologia. Studia lo Spirito come anima, ossia la fase aurorale della vita cosciente e indica quel
complesso di legami tra spirito e natura che nell’uomo si manifesta come carattere, temperamento,
disposizioni psicofisiche connesse alle diverse età della vita e alle differenze di sesso. È qui contenuta una
dissertazione sulle tre età dell’uomo, quale ennesima riprova della struttura dialettica del reale, in cui
l’infanzia (la tesi) è vista come il periodo dell’armonia dell’individuo con il mondo; la giovinezza
(l’antitesi) è il periodo in cui l’uomo, con le proprie speranze ed i propri ideali, entra in conflitto con il
proprio ambiente, familiare e sociale; la maturità (la sintesi) è il momento in cui l’individuo, dopo l’urto
adolescenziale con il mondo si riconcilia con esso, tramite il riconoscimento della necessità oggettiva
della razionalità del mondo già esistente e fatto.
Fenomenologia. Studia lo Spirito in quanto coscienza, autocoscienza e ragione, riprendendo i temi
contenuti nella Fenomenologia. Se nell’antropologia lo spirito soggettivo è considerato “in sé, cioè
immediatamente” in quanto “anima o spirito naturale” (l’individuo in relazione alla propria natura e ai
propri bisogni naturali), nella fenomenologia lo spirito soggettivo è “per sé, cioè mediato”. Hegel in
questa sezione affronta il rapporto tra il soggetto e l’oggetto (Io e mondo), attraverso il quale l’Io si
arricchisce di un sistema relazionale che serve al suo proprio riconoscimento. Infatti, è a partire dalla
coscienza dell’esistenza dell’altro che si costruisce concretamente l’individualità. Nel momento della
ragione il soggetto autocosciente coglie il mondo esterno non più come ostile, ma come qualcosa di cui è
partecipe in un’unità universale.
Psicologia. Studia lo Spirito soggettivo in quelle sue manifestazioni universali che sono: il conoscere
teoretico, l’attività pratica e il volere libero. Pertanto a questo livello lo spirito, sintesi di anima
(intelligenza “nascosta” dal corpo) e coscienza (che prima di diventare ragione, distingue tra soggetto e
oggetto) rappresenta l’insieme delle facoltà della mente che esprimono in forme diverse l’unità di fondo
del pensiero umano. Conoscendo le proprie facoltà, lo spirito scopre la sua propria vera natura e di
conseguenza diventa libero, emancipandosi da ogni vincolo esterno. Questo processo avviene per gradi:
- inizialmente lo Spirito conosce le proprie facoltà mentali (intuizione, rappresentazione e pensiero),
tramite le quali avviene la conoscenza (Spirito teoretico);
15
- in un secondo momento comprende di poter disporre di tali facoltà per “produrre” i propri oggetti,
senza più considerarli come “già dati”, per cui si determina all’azione (Spirito pratico);
- infine, dopo aver compreso di essere in grado di dominare i propri impulsi (che possono
condizionare le sue azioni ma non determinarle, come invece avviene negli animali), capisce di
poter agire secondo fini personali e diviene libero, determinandosi indipendentemente dalle
condizioni accidentali e limitatrici nelle quali vive l’individuo (Spirito libero).
Lo spirito libero è la volontà di libertà, divenuta essenziale e costitutiva dello spirito.
Dunque, il soggetto individuale nella sua più alta manifestazione si esprime come volere libero (è
cosciente della sua libertà)
Ma cosa vuole?
Non vuole semplicemente la possibilità di scegliere tra alternative diverse (libero arbitrio), ma vuole la
libertà stessa, ovvero:
- la libertà da ogni condizionamento esterno, cioè dagli impulsi naturali o dalla volontà altrui;
- l’autonomia nel darsi degli scopi e nel fissare da sé le leggi cui sottostare.
Questa idea di libertà non si può realizzare a livello soggettivo, ma deve concretizzarsi nel mondo; e
questa esigenza determina il passaggio allo Spirito oggettivo.
Lo Spirito oggettivo.
2. La Moralità L’Antitesi.
La moralità è la sfera in cui l’individuo manifesta una volontà di agire in base ad un proponimento (un
libero proposito), una libera intenzione. Il fine a cui mira quest’intenzione è il benessere. Hegel, avverso
al rigorismo etico, ritiene che la morale non debba mai entrare in contrasto con la nostra aspirazione alla
felicità. Tale aspirazione, essendo volontà soggettiva, interiore e privata, non riesce quasi mai ad elevarsi
fino a coincidere con l’aspirazione al bene in sé e per sé. Da ciò deriva la contraddizione tra essere e
dovere essere che è tipica della moralità (soprattutto quella kantiana, che Hegel critica fermamente) che
non riesce mai a concretizzarsi nella realtà di fatto.
3. L’Eticità La Sintesi.
La scissione tra la soggettività ed il bene, tipica della Moralità, viene risolta da Hegel nell’Eticità, nella
quale il bene è in grado di attuarsi concretamente. L’eticità è moralità sociale, in grado di realizzare il
bene in forme istituzionali, quali la Famiglia, la Società civile, lo Stato.
In quanto moralità concreta, attuata visibilmente nel mondo e non astrattamente, l’eticità rappresenta il
superamento della spaccatura fra interiorità ed esteriorità che è propria della morale del dovere. Nello
stesso tempo, configurandosi come una sorta di morale che ha assunto le forme del diritto (dell’esteriorità
istituzionale) e di diritto che ha assunto le forme della morale (del perseguimento del bene universale),
l’eticità risulta in grado di superare le opposte unilateralità sia del diritto che della morale. Famiglia,
società civile e stato a loro volta costituiscono la triade dialettica dell’eticità.
La Famiglia. Tesi.
È il primo momento dell’eticità. Quella di Hegel è la prima teorizzazione filosofica della famiglia
borghese, incentrata sulla coppia e sui figli, piuttosto che sui più vasti legami di parentela delle famiglie
tradizionali ed è strettamente associata al patrimonio. Fondata sull’amore e la fiducia (la monogamia) ha
come fondamento il matrimonio e scopo la crescita e l’educazione dei figli, i quali divenendo
personalità autonome a loro volta daranno origine ad altre famiglie. La famiglia è una persona giuridica e
come “persona” ha la sua realtà sostanziale nel possesso di beni, di una proprietà.
Il sistema
17
dei Bisogni Qui Hegel mostra piena competenza nei processi economici tipici della società
industriale e si avvicina alle analisi degli economisti classici, come Adam Smith, di cui
accoglie i risultati. Il primo momento della società civile è il cosiddetto sistema dei bisogni
che nasce dalla necessità di soddisfare i bisogni di tutti. A tal fine gli individui, attraverso
l’organizzazione della produzione dei beni in base alla divisione del lavoro, danno origine
ad un sistema di classi o ceti, nel quale ognuno, credendo di lavorare solo per il proprio
vantaggio, contribuisce all’appagamento dei bisogni di tutti gli altri. “Dove si ha società
civile – dice Hegel - hanno luogo le classi nella loro distinzione; giacché la sostanza
universale, in quanto vivente, non esiste se non si particolarizza organicamente”. Le classi
distinte da Hegel sono tre: 1) Il ceto “naturale”, degli agricoltori, che ha il suo patrimonio
nei prodotti di un terreno che lavora. 2) Il ceto “formale” degli artigiani, dei fabbricanti e
dei commercianti, che si occupa di “dar forma al prodotto naturale”. 3) Il ceto “universale”
dei funzionari, che ha per sua occupazione gli interessi della società. Il problema
rappresentato dal pauperismo crescente del moderno mondo industrializzato, dovuto alla
crescita demografica ed all’accumulo diseguale della ricchezza, deve essere risolto
secondo Hegel non dall’assistenzialismo, contrario ai principi di una società civile, né
dall’estensione forzata dell’occupazione, che creerebbe soltanto una crisi da
sovrapproduzione, ma con l’espansione del mercato.
L’Amministrazione
della Giustizia Il secondo momento della società civile è costituito dall’amministrazione della
giustizia in cui il diritto diviene pubblico e concerne la sfera delle leggi realizzandosi in
modo concreto in un sistema di norme pubblicamente riconosciute e con valore
obbligante.
La Polizia
e le Corporazioni La polizia provvede alla sicurezza sociale, assicurando il benessere del singolo che
deve essere un diritto. Tra i compiti della polizia, per assicurare il benessere dei membri
del corpo sociale deve esserci quello educativo, in quanto l’individuo è visto come figlio
della società civile. Nel sistema hegeliano inoltre rivestono un ruolo particolare le
corporazioni di mestiere, che di fronte alla conflittualità del modello sociale borghese,
tendenzialmente individualistico, si pongono come efficace elemento mediatore tra
l’individuo e la società. Esse prefigurano, in un certo qual modo, il momento
dell’universalità statale, attuando una sorta di unità tra la volontà del singolo e quella della
categoria lavorativa cui appartiene.
Lo Stato. Sintesi.
Lo Stato costituisce il culmine della Eticità, che in lui trova piena realizzazione e compiuta unità. Lo Stato
risolve in sé i due momenti precedenti, ri-affermando l’unità immediata della famiglia (Tesi) al di là della
dispersione della società civile (Antitesi). Quello di Hegel è il più compiuto modello di stato etico mai
elaborato nel quale tutte le particolarità (gli individui, le famiglie, le classi) trovano il loro fondamento, il
senso del loro essere ed il fine del loro agire.
1. Lo Stato Etico
Per Hegel lo stato esprime l’ethos di un popolo ed il suo spirito. “Esso è sostanza etica consapevole di
sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile”. Molto di più della semplice somma
delle persone giuridiche che lo compongono, è Totalità organica, un organismo attraverso cui vivono i
suoi singoli componenti. Come dal punto di vista metafisico l’intero viene prima delle parti, di cui non è
semplice somma, così lo stato viene prima della società civile e della famiglia. Incarnazione suprema
della moralità e del bene comune lo Stato Etico di Hegel si differenzia nettamente dal modello politico
elaborato dagli autori precedenti.
18
A. Si differenzia dal modello liberale (da Locke a Kant), per il quale lo stato sarebbe un’entità artificiale,
uno strumento creato dagli individui per la semplice tutela dei loro interessi, dei loro diritti e a garanzia
della loro sicurezza (questa teoria comporta per Hegel una riduzione dello stato a semplice tutore dei
particolarismi della società civile, dove la libertà nello stato finisce per identificarsi con la libertà dallo
stato).
B. Lo Stato di Hegel si differenzia anche dal modello democratico di Rousseau, secondo il quale la
sovranità risiederebbe nel popolo. Questa nozione di sovranità popolare appartiene al novero “dei confusi
pensieri” in quanto il popolo “al di fuori dello stato” è soltanto una somma di singoli, una moltitudine
informe. A tale “astrazione” Hegel contrappone la teoria per cui la sovranità dello stato deriva dallo stato
stesso, il quale dunque ha in sé, e non al di fuori di sé, la propria ragione d’essere. Tale concezione anti-
liberale ed anti-democratica si fonda sul presupposto teorico che non siano gli individui a fondare lo
stato, ma lo stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista cronologico e storico (= in quanto gli
individui nascono nell’ambito di uno stato che viene prima di essi), sia dal punto di vista ontologico (= in
quanto lo stato è superiore agli individui esattamente come il tutto è superiore alle parti che lo
compongono).
C. Tale ottica organicistica dello stato etico si accompagna anche al rifiuto del modello contrattualistico,
ossia della teoria, di Locke e Rousseau, che vorrebbe far dipendere l’esistenza della vita associata da un
“contratto sociale”, scaturito dalla volontà arbitraria degli individui che si uniscono in virtù di
un’esigenza, il che per Hegel sarebbe un insulto alla “maestà” dello stato.
D. Il Giusnaturalismo, la teoria che afferma l’esistenza di diritti naturali prima e al di fuori dello stato,
proposto da Grozio e da Pufendorf e di cui Antigone è la figura simbolica (vedi casella pag. 11), è
contestato da Hegel in quanto l’idea stessa di un “diritto” anteriormente e al di fuori di una compagine
statale, è contraddittoria. Lo stato, per Hegel non può trovare nelle leggi della morale un limite, un
impedimento alla sua azione e non può dipendere da quei “pensieri universali”, come li chiama, che
vanno sotto il nome di “principi morali”.
15
La Carta del Lavoro è il documento programmatico con il quale vennero fissate le principali linee guida della Politica
sociale Italiana nel 1927. Essa rappresentava la politica economica del ventennio fascista, caratterizzata dal corporativismo,
inteso come terza via fra il liberal-capitalismo e il collettivismo marxista.
16
Come nella dialettica servo-signore anche qui il solo arbitro universale è la forza: poiché ogni individualità statale aspira ad
essere riconosciuta dalle altre come la più potente, ne deriva la regressione allo stato di natura, in cui il ricorso naturale alla
guerra è indicato come lo strumento più idoneo per la soluzione delle controversie, qualora vengano meno le condizioni per un
accordo pacifico.
20
Questo insieme di eventi non può essere catalogato sotto la categoria del semplice mutamento o del caso,
ma sotto quello della ra-zio-na-li-tà. “Il grande contenuto della storia è razionale e così deve essere, una
volontà divina domina poderosa nel mondo”. Occorre guardare la Storia tenendo presenti le categorie di
ringiovanimento e di fine; se ci chiediamo quale sia il fine di questo movimento, la coscienza cristiana ci
fornisce una prima spiegazione: è la potenza divina che con infinita saggezza realizza i suoi fini. Tuttavia
questa fiducia nella divina provvidenza “è fede indeterminata, generica, in grado di dar conto soltanto di
eventi singoli, non si applica al tutto, al complessivo corso degli eventi del mondo” e si trincera spesso
dietro l’impossibilità umana di comprendere i disegni provvidenziali (= “le vie del Signore sono infinite”;
“non cade foglia che Dio non voglia”). Occorre che la filosofia porti alla luce della coscienza razionale il
fine della Storia, ne riconosca le vie, i mezzi e i modi con cui essa si realizza nel mondo. Per Hegel dietro
l’esplicarsi della Storia c’è lo Spirito, la Ragione universale che attraverso la storia realizza il suo fine.
Il fine della Storia . Per Hegel il fine della Storia è che “lo Spirito giunga a sapere ciò che esso è
veramente, e oggettivi questo sapere e lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti
oggettivamente se stesso”.
Questo significa che il fine della Storia è la manifestazione dello Spirito nel mondo, ossia che esso
giunga alla conoscenza di sé, di cosa esso è veramente. E per giungere a questa consapevolezza è
necessario che questo spirito si manifesti nel mondo in qualcosa di concreto, che si incarni in qualcosa
di determinato, e questo qualcosa è lo Spirito di un popolo. I singoli popoli poi si muovono all’interno
di un teatro, uno stesso orizzonte universale che costituisce lo Spirito del mondo. Il particolare spirito di
un particolare popolo è solo l’anello di una catena costituita dal corso dello spirito del mondo. Tra lo
spirito del mondo e lo spirito del popolo c’è lo stesso rapporto che esiste tra il l’infinito e il finito,
tra Dio e le sue manifestazioni, poiché lo spirito di un popolo è lo Spirito Universale che si fa
particolare. La storia incarna lo spirito del mondo attraverso il farsi dello spirito di un popolo. E questo
spirito del mondo è conforme allo spirito divino che è lo Spirito Assoluto.
I mezzi della Storia. I mezzi che la Storia usa per realizzare lo Spirito nel mondo, sono gli individui e
le loro passioni; “nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passioni”, esse non sono affatto
opposte alla moralità “anzi realizzano l’universale”. Le passioni, che spingono gli individui ad agire per
i propri scopi egoistici (sete di potere, di ricchezza, di vendetta e d’amore), non sono altro che gli
strumenti che conducono, nella storia, a fini diversi a cui quelle esplicitamente mirano. Accanto alle
idee, l’altro grande movente della storia, le passioni muovono gli uomini verso la realizzazione dei
propri particolari fini. Essi però non sanno d’essere semplici strumenti per la realizzazione degli scopi
dello Spirito. Questo vale soprattutto per gli uomini eccezionali, che Hegel chiama gli individui
cosmico-storici: essi, protagonisti della vita dei loro popoli, condottieri, legislatori, eroi, sono stati i
veggenti che incarnando completamente lo spirito di un popolo hanno istintivamente saputo realizzare il
fine dello Spirito. Inseguendo il proprio obiettivo particolare, mossi dall’ambizione o da un ideale,
hanno realizzato il fine dello Spirito.
L’astuzia della Ragione. La ragione è astuta, perché utilizza gli individui e le loro passioni agendo alle
loro spalle. Apparentemente Alessandro magno, Cesare, Napoleone non fanno che seguire la propria
passione e la propria ambizione, in realtà si tratta di un’astuzia della ragione che si serve degli individui
e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini. Non deve meravigliare che una volta
compiuta la propria missione questi “eroi” vengano abbandonati al proprio destino dalla ragione, non
deve meravigliare che su di essi incomba spesso la sconfitta o la tragedia. La loro “funzione” è quella di
realizzare non la propria personale felicità ma fini universali. Questo è il senso dell’Astuzia della
ragione, la quale si avvale degli eroi, delle loro passioni, per realizzare il proprio scopo universale e non
i loro particolari, lasciandoli poi cadere come “gusci vuoti” quando hanno adempiuto il loro compito
storico. Il disegno provvidenziale della Storia si rivela nella vittoria che di volta in volta consegue
il popolo che ha concepito il più alto concetto dello spirito.
21
La Libertà. Abbiamo detto che il fine ultimo della Storia del mondo è che lo spirito giunga alla
conoscenza di sé, attraverso lo spirito di un popolo che lo incarna. La conoscenza di sé di un popolo è
ciò che lo rende libero. Lo Spirito in sé è Libertà, se un popolo giunge alla propria coscienza di popolo è
libero. Tale coscienza costituisce il diritto, i costumi, la religione di un popolo. Quanto più un popolo è
affine al suo spirito, tanto più è libero. In altre parole, se il fine della storia è la libertà, questa libertà è
attuata dai popoli che più si costituiscono in forme di Stato corrispondenti e affini al loro spirito; più
essi hanno compreso e approfondito ciò che è il loro spirito e più essi sono liberi. Il fine della storia è
allora la costituzione di uno Stato, attraverso il quale si possa realizzare la liberà dello Spirito.
Il Corso della Storia. La costituzione dello Stato è il fine supremo della storia. Tradotto in termini
temporali: La storia del mondo è la successione di forme statali che altro non sono che momenti di un
divenire assoluto. Come il sole segue il suo corso, muovendosi da Oriente ad Occidente, così lo spirito
del mondo, al suo apparire, si è mosso seguendo il corso del sole. Le prime grandi civiltà sono fiorite ad
oriente (Cina, India, Egitto, Babilonia) dove la forma di governo era il dispotismo, in cui “uno solo era
libero”. In seguito, spostandosi verso Occidente, lo Spirito si è realizzato pienamente presso i Greci,
dove “alcuni erano liberi”. Attraverso le vicende della storia di Roma, in cui i cittadini sono diventati
sudditi e del cristianesimo che ha segnato il mondo con la conciliazione spirituale tra Dio e l’umanità,
attraverso profondi momenti di crisi (la fine dell’impero romano, le invasioni barbariche e la scissione
tra le chiese) lo Spirito è approdato all’era moderna che trova nella Germania di Hegel la piena
realizzazione dell’ideale cristiano- riformato in cui “tutti gli uomini sanno di essere liberi”. La Ragione
è giunta alla sua piena manifestazione ed essa può trovare piena e completa realizzazione nello stato
prussiano che mostra le caratteristiche dello stato-idea. Nel mondo cristiano-germanico la ragione è
giunta alla sua piena attuazione. Si può parlare di una fine della storia? La piena maturità dello Spirito,
che Hegel vede incarnata nella civiltà cristiano-germanica, significa l’inaridimento del suo slancio
creativo? Hegel non dà una risposta a questo, ma accenna agli Stati Uniti come al paese del futuro,
“quello cui in tempi futuri si rivolgerà l’interesse della storia universale” ma, aggiunge, “fare il profeta
non si addice al filosofo”.
Lo Spirito assoluto.
Lo Spirito oggettivo si è realizzato nello “stato etico”. Ma questo non è lo Spirito assoluto. Lo Spirito
entra nel culmine del suo sviluppo dialettico quando si rende conto del limite degli spiriti dei popoli
particolari di cui si è servito come strumenti per il suo disvelamento. Quando lo spirito giungerà alla
piena coscienza della propria infinità (cioè del fatto che tutto è spirito e al di fuori di esso non vi è nulla),
questo sarà il culmine della realizzazione dello Spirito: lo Spirito Assoluto. Tale auto-conoscersi dello
spirito come assoluto ha ancora necessità di un movimento dialettico che si articola in Arte, Religione e
Filosofia. Queste attività si differenziano soltanto per la forma, non per il loro contenuto che è lo stesso,
ovvero l’Assoluto, Dio.17 L’arte conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione, la religione nella forma
della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto.
Arte. L’arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo Spirito acquista coscienza di sé. Nell’arte lo
spirito umano vive in modo immediato ed in-tu-i-ti-vo quella fusione tra soggetto e oggetto, tra Spirito e
natura, che la filosofia idealistica teorizza concettualmente, quando sostiene che la natura altro non è se
non manifestazione dello spirito. L’arte si esprime attraverso forme e materiali naturali ma ciò che
esprime è un messaggio spirituale. Tale conciliazione di spirito e natura non sempre si è realizzata nel
tempo, anzi la storia dell’arte si è evoluta (ricordiamo che, per Hegel, la storia è sempre evoluzione)
parallelamente alla storia dello Spirito e dei popoli che ne sono stati l’espressione.
Nata in oriente, l’arte è stata dapprima simbolica, ossia caratterizzata da uno squilibrio fra il contenuto e
la forma, a favore della forma, perché stilizzata attraverso dei simboli (= il simbolo è un elemento
materiale che “rinvia” a significati astratti, ovvero è un semplice veicolo espressivo che allude soltanto al
contenuto ideale senza avere la capacità di comunicarlo pienamente). È un tipo d’arte che si realizza
soprattutto nell’architettura (es.: le piramidi egizie), in cui la materia è fortemente “presente”.
17
Il termine “assoluto” conosce una lunga vicenda nel corso della storia occidentale: si tratta, in realtà, di un’espressione
platonica o neoplatonica, che significa “ ab-solutus, assolto (= sciolto) da ogni particolare condizione.
22
L’equilibrio tra contenuto e forma si realizza pienamente nell’arte classica, cui ha dato vita la civiltà delle
poleis greche, che nella scultura e nella rappresentazione della forma umana (= il corpo dell’uomo è,
infatti, l’unica entità naturale adatta a ospitare lo spirito libero) hanno saputo realizzare la perfezione della
bellezza. Nell’arte classica, la rappresentazione delle divinità (che avevano sembianze umane) lega la
dimensione ultraterrena a quella umana, l’eterno e il transeunte, e ciò costituisce un passo decisivo per la
comprensione della realtà. Tuttavia i greci non portarono fino in fondo l’idea dell’unità essenziale tra il
divino e l’umano, poiché, a parte qualche eccezione sporadica (come Socrate), non credettero che l’essere
umano partecipi della natura divina. L’uomo greco, infatti, trovava raffigurate nelle opere d’arte verità
eterne, ma avvertiva la propria distanza da tali verità (che invece vanno ricercate nella dimensione
interiore, in una tensione spirituale che consenta all’uomo di elevarsi al livello del divino). Priva di una
tale profondità, paga solo della sua forma esterna, l’arte classica manifesta il suo limite.
Tale limite dell’arte classica è evidenziato dall’arte romantica, propria dell’Europa cristiana medievale e
moderna, la quale attuando un nuovo squilibrio fra contenuto spirituale e forma sensibile è un’arte
consapevole e quindi più evoluta. Essa si trova nella condizione di esprimere un contenuto tanto ricco da
trovare inadeguata ogni figurazione sensibile. L’artista romantico acquista coscienza che qualsiasi forma
sensibile è ormai insufficiente per esprimere in modo compiuto l’interiorità spirituale, “pertanto rinunzia
a mostrarlo come tale nella figurazione esterna e per mezzo della bellezza”. Di conseguenza le arti
privilegiate dalla cultura romantica saranno la pittura e la musica, dove l’elemento sensibile viene via via
affinandosi fino a scomparire del tutto con la poesia, “la più spirituale delle arti”, pura interiorità e
capacità evocativa. “Nel progredire culturale di un popolo giunge l’epoca in cui l’arte rimanda oltre se
stessa”. Questa è per Hegel l’origine della moderna “crisi” dell’arte. Lo spirito del tempo di Hegel non
riesce più a considerare l’arte espressione idonea della sua profonda essenza, “possiamo ancora trovare
splendide le immagini del padreterno o di Maria, esse però non riescono più a farci inginocchiare”. Si
rispetta l’arte e la si ammira ancora, ma la si sottomette all’analisi del pensiero per riconoscerne la
funzione ed il posto.
La religione
Religione. La Religione, è la forma in cui lo Come l’arte, anche la religione ha un suo divenire nella storia,
Spirito Assoluto si manifesta come parallelo a quello della civiltà dei popoli che la praticano. In
Rappresentazione. Asia vediamo nascere la religione naturale, in cui lo Spirito è
Oggetto della religione è Dio, il soggetto della percepito come indistinguibile dalla Natura (al gradino più
basso lo sciamanesimo, in quello più alto le religioni
religione è la coscienza umana, lo scopo della panteistiche, sia quelle della sostanzialità, dove il divino è
religione è l’unificazione di Dio e della l’impersonale sostanza delle cose, come il taoismo,
coscienza. La prima forma di religione è il l’induismo, il buddismo, sia quelle dell’enigma, come quelle
sentimento di Dio, la certezza interiore che Dio degli egizi o dei siriani, dove Dio è annunciato come spirito
libero). Alla religione naturale segue la religione della
c’è.
personalità individuale, che rappresenta Dio con sembianze
Il sentimento però non è in grado di giustificare umane, in cui prevale o l’aspetto della trascendenza, come in
razionalmente tale certezza e di trasformarla in quella ebraica, o della bellezza, come in quella greca, o della
verità oggettivamente valida: io non posso dire moralità, come in quella romana. Con il cristianesimo alfine
“Dio c’è perché me lo sento”, e neppure dire la religione giunge alla forma assoluta, in quanto concepisce
“attraverso quest’opera d’arte intuisco Dio”. Dio come Spirito. Essa evidenzia una conciliazione tra finito e
infinito, tra umano e divino nella persona di Cristo. Essa è,
Con la religione però posso tentare di pensare nella sua sfera, perfetta.
Dio non attraverso i concetti della filosofia e
neppure attraverso l’intuizione sensibile dell’arte, ma tramite una terza via che è data dalla
rappresentazione.
Questa è una metafora del pensiero e procede in modo a-dialettico, giustapponendo le proprie
determinazioni quasi fossero indipendenti le une dalle altre. Ad esempio, l’immagine cristiana di Dio
padre che crea il mondo è la rappresentazione, ossia l’ipostatizzazione metaforica (= il frutto di immagini
giustapposte) del fatto che la natura costituisce un momento dialettico della vita dello Spirito.
La religione non è filosofia, dice Hegel, ma da questa può essere riconosciuta come momento
fondamentale della vita dello Spirito.
Lo sviluppo della coscienza religiosa è lo sviluppo dell’idea di Dio nella coscienza umana.
Al primo stadio troviamo la religione naturale. Qui l’idea di Dio è come sepolta nella natura. L’idolatria
ed il feticismo stanno al grado più basso della religione naturale, le religioni panteistiche orientali al grado
23
più alto, e così via via fino alla religione più evoluta, quella assoluta, che presenta al massimo grado
l’idea di dio nella coscienza umana che è la religione cristiana, in cui Dio appare come puro spirito.
Vicina con i suoi dogmi alla verità della filosofia (Cristo, l’uomo-dio, esprime pienamente l’identità di
finito e infinito; la trinità di Padre, Figlio e Spirito santo, la triade dialettica di Tesi, Antitesi e Sintesi), la
religione cristiana presenta pur sempre dei limiti, gli stessi propri d’ogni religione.
La religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte ad un presunto
“mistero dell’Assoluto”. L’unico sbocco coerente della religione è la filosofia, che ci parla anch’essa di
Spirito e Dio ma non più nella forma inadeguata della rappresentazione, ma in quella adeguata del
concetto. Tuttavia la religione cristiana, perfetta nella sua forma, è quella che più di ogni altra si presta
alla conversione nella superiore forma della filosofia.
Filosofia. Il culmine della vita dello Spirito è la Filosofia. “Essa è l’Idea che pensa se stessa”.
Nella filosofia, che è l’ultimo momento della vita dello Spirito, l’Idea giunge alla piena e concettuale
coscienza di se medesima, chiudendo il ciclo cosmico. Perfettamente dispiegata nella realtà, la Ragione,
l’Idea, con la filosofia è divenuta auto-cosciente; lo Spirito con la filosofia è giunto al suo scopo finale
che è quello di auto-conoscersi.
Se l’Assoluto non è sostanza immobile ma storia, allora anche la filosofia, come autocoscienza
dell’assoluto, avrà una dimensione essenzialmente storica.
I vari sistemi filosofici che si sono succeduti nella storia, come le religioni o le forme artistiche, non
devono e non possono essere perciò considerati un insieme disordinato ed accidentale di opinioni. Al
contrario, ognuno di essi costituisce una tappa necessaria del farsi dello Spirito, che supera quello che
precede ed è superato da quello che segue. La filosofia è storia della filosofia. Essa, al pari della realtà, è
un processo che si è storicamente affermato per gradi e che si è concluso con l’Idealismo. Ogni filosofia è
valida per il suo tempo, adeguata a quelle che sono le esigenze di quel grado di sviluppo dello Spirito.
Quindi “la filosofia che è ultima nel tempo è risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di
tutte; essa perciò è la più sviluppata, ricca e concreta”.
Il suo compito è comprendere ciò che è.
A lei non compete fare previsioni o dare indicazioni su come ci si dovrebbe comportare, poiché essa è il
proprio tempo tradotto in pensiero.
Essa è come “la nottola di Minerva” che spicca il
Hegel sostiene che la filosofia è simile alla Nottola di
suo volo sul far del crepuscolo” (= Come “pensiero
Minerva (la civetta, uccello sacro alla dea Minerva,
nata dal cervello di Giove e dea dell’Intelligenza) che
che pensa il mondo mediante il concetto”, essa
inizia il suo volo solo al crepuscolo. Hegel, con questa può comparire soltanto quando il processo
metafora, intende dire che la filosofia sorge quando una mediante il quale lo spirito si è concretizzato, in
civiltà ha ormai compiuto il suo processo di formazione un certo popolo ed in una certa civiltà, si è
e si avvia al suo declino. Al tramonto degli stati ionici, concluso), quindi “dopo che la realtà ha
nell'Asia Minore, sorse la filosofia ionica. Con la completato il proprio processo e si è ben
decadenza di Atene fiorì la filosofia di Platone e di assestata”.
Aristotele. A Roma la filosofia si diffonde solo al La filosofia è espressione senile di un’epoca e sorge
tramonto della repubblica e col regime dittatoriale degli quando conosce la crisi tra le condizioni esterne e le
imperatori. aspirazioni interne e sente il bisogno di ritirarsi in
sé e riflettere.
La filosofia allora ha un ruolo soltanto giustificatorio? È apparato conservatore? Hegel è stato interpretato
anche così. In realtà la filosofia nel momento in cui comprende il proprio tempo lo rende leggibile, lo
svela e lo rende passibile di modificazioni: la comprensione è infatti la condizione indispensabile per la
successiva correzione degli errori eventuali. Hegel si è sempre ritenuto onesto e solerte funzionario della
ragione.
Il dibattito sulle teorie politiche di Hegel, a partire dalla posizione che lo considera un apologeta dello
Statalismo e della restaurazione, è tuttora vivo, soprattutto in coloro che, non accettando questa riduzione
di Hegel quale “dittatore filosofico della Germania prussiana”, 18 hanno insistito per una chiave di lettura
18
Rudolf Haym, Hegel e il suo tempo, Berlino 1857.
24
“progressista” della teoria politica di Hegel, che vede in lui più un teorico della società civile che non
dello Stato, dato che egli ha incessantemente polemizzato con i teorici della contro-rivoluzione e della
restaurazione ed è stato un portavoce della rivoluzione francese.
Secondo Karl Popper, Hegel sarebbe un nemico della società aperta ed un profeta del totalitarismo.
Tenendo presente che sarebbe altamente ingiusto ritenere le teorie e le forme dello stato hegeliane
puntualmente coincidenti a quelle naziste o fasciste (lo stato di Hegel è uno stato di diritto costituzionale e
l’entità decisiva non è la razza o il sangue come per i teorici del Terzo Reich) resta fermo che il nostro
Hegel ha lasciato in eredità alle dittature del Novecento alcune idee, alcune forme mentali atte a
giustificarne la condotta politica.
1) Il valore dato allo Stato, fuori dal quale l’individuo non è nulla.
2) Lo Stato non ricava la sovranità dalla moltitudine informe del popolo ma da se stesso, in quanto prima
dello stato il popolo “non esiste”.
3) La sovranità statale s’incarna in una cerchia ristretta di funzionari dedita al pubblico bene che
platonicamente “sa” e “pensa”.
4) Lo Stato deve permeare di sé tutte le manifestazioni della vita in comune.
5) Lo Stato è un ente che al di là di sé non riconosce alcuna idea etica.
6) Non esiste sopra gli stati alcun diritto internazionale.
7) La guerra è inevitabile strumento di composizione dei conflitti inter-statali e giova alla salute dei
popoli.
Un “arsenale teorico” a cui avrebbero attinto a piene mani i fautori del totalitarismo e che sarebbe servito
a diffondere e giustificare il primato del “collettivo” sull’ “individuale”. Emblematica a tal proposito la
voce “Dottrina del Fascismo”, redatta da Giovanni Gentile, per l’enciclopedia Treccani e firmata da
Mussolini che sembra enunciare punto per punto le caratteristiche dello Stato Etico teorizzato da Hegel.
Rifiutando polemicamente tale immagine di Hegel, altri studiosi hanno cercato di accreditare l’opposta
figura di un Hegel paladino della ragione e della libertà. Fra gli interventi più significativi citiamo
“Ragione e Rivoluzione” di Herbert Marcuse, il quale, dopo avere insistito sulle potenzialità critiche e
perciò liberatrici della ragione idealistica, enumera le concrete differenze fra lo stato hegeliano e quello
totalitario (che si fonda sulla sottomissione delle masse attraverso il terrore, aborrito da Hegel).
Sembrerebbero emerse inoltre alcune interpretazioni di un Hegel “massone” e “segreto”, in base ad alcuni
quaderni di appunti presi da uditori nel corso di lezioni di Hegel tenute nel 1831, da cui emergerebbe un
Hegel socialista-liberale.
E non dimentichiamo che nella Fenomenologia la realizzazione del riconoscimento, fra gli individui
liberi della società moderna, è affidata da Hegel al linguaggio, all’esercizio del linguaggio “in un contesto
pratico e morale in cui il confronto tra le autocoscienze non è mediato dalla lotta o dalla violenza ma dal
giudizio che ciascuno esprime vicendevolmente nei confronti dell’azione compiuta dall’altro […]. […] la
proposta hegeliana è l’intersoggettività dialogante. Essa non garantisce che l’azione in sé sia e rimanga
buona, garantisce piuttosto la reciproca comprensione tra esseri umani”. 19 Questo non sembra suffragare
l’intenzione di teorizzare uno stato tirannico o violento.
Due visioni di Hegel contraddittorie, due opposte “leggende”. Esse andrebbero ridimensionate. Forse ha
ragione Norberto Bobbio quando afferma che “Hegel non è un “reazionario” ma non è neppure, quando
scrive la filosofia del diritto, un “liberale”. È puramente e semplicemente un conservatore, in quanto
pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà, più la coesione del tutto che l’indipendenza
delle parti, più l’obbedienza che la resistenza, più il vertice della piramide che la base”.
19
Pancaldi, Trombino, Villani, Philosophica, 3 a, Marietti, pag. 138-139.
25