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FASE GIOVANILE
- la religione kantiana del dovere: Dio è la ragione che stimola la volontà a dominare le
inclinazioni sensibili. Dio è la “ragion pratica” eretta ad assoluto, che non impone
dogmi, ma solo di agire moralmente
Nella Positività della religione cristiana H. si chiede perché il cristianesimo sia degenerato
e adduce due motivazioni:
- la perdita della libertà politica del popolo presso cui si diffuse il cristianesimo primitivo,
per cui si iniziò ad obbedire all’ autorità politica esterna e non più alla coscienza morale
e religiosa.
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Periodo francofortese 1797 – 1800.
Mentre continua la sua attività di precettore privato, H. inizia ad avvertire l’ esigenza di una
comprensione unitaria e completa del reale, necessità che a suo parere non può essere
soddisfatta dalla metafisica tradizionale perché questa, come aveva già osservato Kant,
nel cogliere l’ essenza del reale cade in contraddizione e quindi finisce per non afferrarla;
ma nemmeno dalla filosofia kantiana, perché lascia fuori dal suo sistema la “cosa in sé”,
né da quella fichtiana, in quanto trascura l’ oggetto assolutizzando il soggetto. H. matura
così un progressivo passaggio dall’ ottica illuministica all’ ottica idealistica ( non però di
tipo fichtiano ), in quanto quest’ ultima gli consente di costruire una sintesi nuova, un
nuovo modello di interpretazione del reale, che sembra andare incontro alla sua esigenza
di una comprensione unitaria e completa del mondo: l’ idealismo infatti risolve il problema
kantiano della “cosa in sé” e prende in considerazione tanto il soggetto quanto l’ oggetto,
tanto il particolare quanto l’ universale.
Riflesso di questa nuova prospettiva sono le due opere Sullo spirito e il destino del
cristianesimo e Frammento di sistema.
Nel primo scritto la Chiesa non appare più ad H. come strumento di eteronomia e di
schiavitù morale per l’ individuo, ma come “intero vivente”, in cui l’ individuale acquista un
significato universale, in cui ogni parte si realizza all’ interno del tutto. Analogamente dicasi
per lo stato, che H. non concepisce più come strumento di costrizione autoritaria, ma
come totalità nella quale l’ individuo si sente completo.
Nel secondo scritto la totalità si manifesta e si realizza
- nella religione, perché questa eleva l’ uomo dal finito all’ infinito, dal molteplice all’ uno,
pur senza rinnegare il finito e il molteplice
- nell’ amore, perché in esso il soggetto è uno con l’ altro, non domina e non viene
dominato. L’ amore è un vincolo unitario, pur nella differenziazione tra i singoli soggetti
che si amano
- nella vita, perché essa è “l’ unione dell’ unione e della non unione”, ovvero è una
totalità in cui unione e opposizione trovano una sintesi, pur nella loro diversità.
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Frutto di questo duplice sforzo sono le seguenti opere: Differenza dei sistemi filosofici di
Fichte e Schelling; Logica, metafisica e filosofia della natura; Fede e conoscenza; Diritto
naturale.
Noi prenderemo in considerazione soltanto il primo di questi scritti: Differenza dei sistemi
filosofici di Fichte e Schelling del 1801.
Qui H. esamina alcune concezioni filosofiche dell’ assoluto, della totalità, scartando le
prime due e proponendo la terza.
1. Concezione analitica ( v. Fichte ). Pone uno dei due opposti ( il soggetto ) e lo eleva ad
assoluto, considerando l’ altro ( l’ oggetto ) come subordinato e come scisso dalla
totalità.
Questa soluzione secondo H. è arbitraria: se io pongo A ( soggetto ) come assoluto,
nego al tempo stesso B ( oggetto ), perciò pongo una negazione all’ interno di A; ma
poiché tutto ciò che è negazione è limite, devo ammettere che A è limitato e quindi non
può essere eretto ad assoluto. Non c’ è vera totalità, vero assoluto, laddove ci sia
esclusione di uno dei due poli ( in questo caso l’ oggetto ).
2. Concezione sintetica ( v. Schelling ). Pone come assoluto l’ unità indistinta di soggetto
e oggetto, in virtù di un’ intuizione che unifica senza dividere, senza opporre, senza
differenziare. Non c’ è vera totalità, vero assoluto, laddove si trascurino le differenze, le
opposizioni interne.
3. Concezione dialettica ( propria di Hegel ). L’ assoluto non è qualcosa di statico, di
acquisito, di cristallizzato, ma è un processo dialettico, cioè uno sviluppo dinamico
che procede per divisione ( A tesi – B antitesi ) e unificazione ( C sintesi ).
In quanto tale l’ assoluto non s’ identifica né con il solo soggetto, né con il solo oggetto,
ma con l’ unità dialettica di entrambi, rispetto alla quale essi sono momenti relativi ma
necessari del processo. L’ assoluto non s’ identifica nemmeno con l’ unità indistinta di
soggetto e oggetto, ma con un’ unità che tiene conto delle opposizioni e delle
differenze elevandole continuamente ad una sintesi superiore.
Da questo punto di vista per H. la filosofia di Schelling, con la sua concezione dell’
assoluto come identità di soggetto e oggetto, è più vicina alla soluzione dialettica che
non la teoria di Fichte, che eleva ad assoluto solo uno dei due poli. Tuttavia H. si
distanzia da Schelling in quanto
- ritiene che l’ esaltazione schellinghiana dell’ intuizione estetica come unico strumento
per cogliere l’ assoluto sia poco logico-razionale. Per H. infatti non è possibile cogliere
l’ assoluto né con l’ intelletto ( Fichte ), poiché questo scompone e divide, irrigidendo le
opposizioni e non operando sintesi; né con l’ intuizione ( Schelling ), poiché questa
opera subito sintesi, coglie subito l’ identità, trascurando le opposizioni. L’ assoluto per
H. può essere colto solo con la ragione ( ragione sintetica ), poiché essa sintetizza le
opposizioni, ma senza irrigidirle, nè annullarle.
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FASE DELLA MATURITA’
Il periodo della maturità hegeliana è inaugurato dalla Fenomenologia dello spirito del 1807.
Ma l’ opera più sistematica, che racchiude in sè l’ intero pensiero maturo di H., è l’
Enciclopedia delle scienze filosofiche ( 1817 ), che ricapitola opere precedenti e che
venne concepita da H. come libro di testo per gli studenti dell’ Università di Heidelberg,
presso la quale H. era stato nominato docente di filosofia.
Questa è l’ opera più emblematica dell’ idealismo hegeliano e della sua impostazione
dialettica: l’ oggetto di studio è infatti qui lo Spirito o Logos ( ragione sintetica, che crea ),
che si realizza attraverso un incessante processo dialettico, scandito da continue tesi,
antitesi e sintesi.
Tale processo viene trattato nelle tre sezioni fondamentali dell’ Enciclopedia:
- Logica
- Filosofia della natura
- Filosofia dello spirito
La Logica studia il processo dialettico del logos in sé, cioè dello spirito ancora tutto
racchiuso in se stesso e irrelato; la Filosofia della natura studia il processo dialettico del
logos per sé, cioè dello spirito che si manifesta al di fuori di sé, nella natura; la Filosofia
dello spirito studia il processo dialettico del logos in sé e per sé, cioè dello spirito che,
dopo essersi realizzato nel chiuso del proprio sé e nel mondo esterno, ritorna in sé,
arricchito dai momenti precedenti, e si autorealizza pienamente, anche se tale processo è
incessante, non si può mai considerare concluso.
LOGICA
Il settore dell’ Enciclopedia dedicato alla Logica riprende l’ opera Scienza della logica
(1812 – 1816 ).
L’ intento della logica hegeliana è quello di mostrare come il logos in sé, muovendo da
un piano concettuale astratto, giunga, attraverso il suo processo dialettico, ad
identificarsi con il reale, cioè a real-izzarsi. Il pensiero diventa realtà. Per H.,dunque,
pensiero ed essere, razionale e reale, giungono ad identificarsi.
Per questo H. mette in discussione alcune posizioni che considerano pensiero e realtà
come separati o contrapposti:
- il procedere ingenuo della metafisica classica, che contrappone il pensiero alla realtà in
quanto il primo è in grado di penetrare nell’ essenza delle cose (v. Platone e
Aristotele), ma sempre come soggettività che penetra nell’ oggettività, come soggetto
distinto dall’ oggetto, come pensiero distinto dal reale
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insondabili, come una x di realtà, che nella sua estraneità al soggetto gli si contrappone
nettamente.
Questa x è quella che poi in Kant si identifica con il noumeno, con la cosa in sé, con il
mistero contro cui il soggetto conoscente va ad urtare.
- la filosofia della fede di Jacobi, che vede un abisso tra pensiero ed essere, pur
ritenendo che esso possa essere colmato con il salto della fede.
H. si oppone a tali ottiche, riaffermando l’ identità fra razionale e reale, che si realizza
però attraverso un incessante e travagliato processo dialettico, caratterizzato dalla
triade ESSERE ( tesi ), ESSENZA ( antitesi ), CONCETTO ( sintesi ). Ogni elemento
della triade ha poi, al suo interno, un suo processo dialettico, una sua triade.
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FILOSOFIA DELLA NATURA
La filosofia della natura è stata giudicata da alcuni studiosi come la parte più debole del
sistema hegeliano perché
SPIRITO SOGGETTIVO.
E’ lo spirito che si manifesta nella vita interiore degli individui: in primo luogo nell’ anima,
che è la sfera più esterna della nostra soggettività, quella ancora legata all’ ambiente
naturale e ai suoi mutamenti; l’ anima è dunque intesa qui come quel principio naturale per
mezzo del quale l’ uomo si trova inserito nella vita cosmica e avverte la differenza dei
climi, il cambiamento delle stagioni…
La disciplina che studia l’ anima è l’ antropologia, che descrive quindi gli influssi esercitati
dalle posizioni dei pianeti, dalle varie stagioni e dalle diverse ore del giorno sulle
disposizioni dell’ animo, soprattutto sulle malattie e sulla follia; essa studia anche il
decorso naturale della vita, dal bambino al vecchio, considerando l’ infanzia come
momento dell’ armonia con il mondo, l’ adolescenza come età di contrasto con esso, la
maturità come periodo di riconciliazione. L’ antropologia studia inoltre altri aspetti naturali
della nostra soggettività quali la relazione sessuale, gli impulsi, le passioni, l’ abitudine….
La seconda tappa dello Spirito soggettivo è costituita dalla coscienza, la quale si svincola
progressivamente dall’ influenza della natura, affermandosi come sfera più interna della
nostra soggettività; essa, nel suo sviluppo da coscienza naturale ad autocoscienza a
ragione, viene studiata dalla fenomenologia, che qui H. riassume dall’ opera
Fenomenologia dello spirito del 1807.
“Fenomenologia dello spirito” significa “studio dei fenomeni – cioè delle manifestazioni –
dello spirito o logos”: lo spirito o logos si manifesta in continue tesi e antitesi che, venendo
conciliate in un’ incessante sintesi, si rivelano come momenti provvisori ma necessari alla
realizzazione dello spirito stesso.
Lo spirito si realizza dunque attraverso un processo dialettico, che mira all’ intero, alla
totalità, all’ assoluto: “il vero è l’ intero”. L’ intero non si identifica nè con questo o quel
concetto isolato dagli altri, escludente la sintesi, nè con l’ identità schellinghiana di
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soggetto e oggetto, escludente le differenze e perciò simile, secondo H., alla “notte in cui
tutte le vacche sono nere”. L’ intero si identifica per H. in un processo incessante che nega
e concilia.
C’ è dunque un legame necessario tra spirito e processo: lo spirito è già presente in ogni
momento o manifestazione del processo, benchè in modo non ancora completo; a sua
volta ogni momento o manifestazione del processo è indispensabile alla realizzazione
dello spirito.
Inoltre c’ è uno stretto legame tra spirito individuale e spirito universale: infatti lo spirito
dell’ umanità opera in ogni individuo, per cui quest’ ultimo, attraverso la sua stessa vita,
assimila il processo che forma lo spirito nella sua universalità.
Tuttavia il processo che porta alla realizzazione dello spirito soggettivo non viene studiato
da H. nella sua dimensione storica, bensì nella sua dimensione ideale ( successivamente,
nello spirito oggettivo, l’ ideale si identificherà con il reale e quindi con la storia ).
Infine ciò che costituisce la molla di tutto il processo è il negativo: inteso come negazione,
che frantuma la staticità e rigidità dei concetti; è il negativo che frantuma l’ intero
indifferenziato nelle differenze. Se non ci fosse la negazione non ci sarebbe antitesi e
quindi non potrebbe neanche esserci la sintesi.
Nelle prime pagine della Fenomenologia dello Spirito H. ricorre ad una metafora per
rappresentare il processo dialettico: “Il boccio scompare nella fioritura e si potrebbe dire
che quello viene negato da questa; così all’ apparire del frutto il fiore viene dichiarato una
falsa esistenza della pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità. Tali
forme non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta dell’ altra,
perchè esse sono reciprocamente incompatibili. Ma in pari tempo la loro mobile natura le
eleva a momenti dell’ unità organica, nella quale non solo non si respingono, ma sono anzi
necessarie l’ una non meno dell’ altra, e questa uguale necessità costituisce ora la vita
dell’ intero.”
Soffermiamoci allora sui vari momenti o manifestazioni del processo dialettico della
“coscienza”:
a. coscienza naturale
b. autocoscienza
c. ragione
- sensibilità
- percezione
- intelletto
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La sensibilità ( tesi ) è la forma di conoscenza più immediata e più ricca, ma ancora incerta
agli occhi della ragione, perchè non riesce a cogliere l’ oggetto nella sua unità, in quanto
essa trascorre da un aspetto particolare all’ altro dell’ oggetto, disperdendosi nella
molteplicità ( es. quando guardo una persona a livello sensibile-immediato sono colpito ora
dal suo modo di parlare, ora dai suoi occhi… e non riesco subito a coglierla nella sua
unità, nel suo insieme).
La percezione ( antitesi ) è un tipo di conoscenza che oscilla tra unità e molteplicità: riesce
a cogliere l’ oggetto nel suo insieme, nella sua unità, ma nel contempo si lascia distrarre
dalla molteplicità dei suoi aspetti.
L’ intelletto ( sintesi ) riesce a cogliere l’ oggetto nella sua unità, in quanto riconduce tutti
gli aspetti particolari dell’ oggetto alla propria facoltà unificatrice. Dunque conoscere l’
oggetto intellettivamente significa coglierlo come un “uno”.
Ora, nel momento in cui l’ intelletto coglie l’ oggetto come unità, esso non dipende più
dalla molteplicità degli aspetti particolari dell’ oggetto stesso, non è più dipendente da
quest’ ultimo, lo coglie con distacco. Quindi la “coscienza naturale”, che nell’ ultimo stadio
del suo sviluppo dialettico si manifesta come “intelletto”, diventa “autocoscienza”, cioè
coscienza resasi indipendente dalla natura, dalla materialità.
Nel primo momento (tesi) l’ autocoscienza, per potersi riconoscere e affermare in quanto
tale, deve vivere la contrapposizione dialettica tra sè e gli oggetti, e quindi deve avvertire
gli oggetti come qualcosa di diverso da sè, che le si contrappone, come materia che si
oppone allo spirito. Ad es. nel lavoro l’ individuo sperimenta che, plasmando la materia
prima, egli si innalza al di sopra di essa, si distingue da essa, e grazie a questo rapporto
di contrapposizione egli può affermare la propria autocoscienza.
Nel secondo momento ( antitesi ) l’ autocoscienza per affermare se stessa deve vivere la
contrapposizione dialettica tra sè e le altre autocoscienze, avvertendo un contrasto, un
conflitto. Questo viene esemplificato da H. con due figure dialettiche: quella del rapporto
servo-padrone e quella dello stoicismo-scetticismo.
Servo-padrone. Questa figura è tratta dal mondo antico, dai tempi della schiavitù, e dopo
Hegel verrà recuperata da Marx. Nella relazione servo-padrone vi sono due fasi
dialettiche:
- la prima in cui il padrone afferma la propria autocoscienza assoggettando a sè il servo
e sfruttandone il lavoro: la coscienza forte nega così la coscienza debole per affermare
se stessa;
- la seconda in cui avviene un rovesciamento, in quanto il servo, attraverso il suo stesso
lavoro, in primo luogo acquista coscienza della propria identità spirituale rispetto alla
materia da lui plasmata ( e quindi afferma la propria autocoscienza in rapporto alla
materia ), in secondo luogo acquista coscienza che il suo stesso lavoro è necessario al
padrone per poter essere tale: se infatti il servo non lavorasse per lui il padrone non
potrebbe nè essere indipendente dalla natura, nè esercitare il suo potere sul debole.
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In questo modo il servo afferma la propria autocoscienza in rapporto a quella del
padrone, mentre quella del padrone risulta negata.
Ecco il rovesciamento dialettico: il servo diventa padrone del padrone e il padrone diventa
servo del servo. Questo “rovesciamento” verrà studiato da Marx, che ne ricaverà il
cosiddetto “rovesciamento della prassi”, in base al quale proprio quel lavoro, che
sembrava essere lo strumento di schiavitù del proletario, si rivela essere nel contempo lo
strumento della sua liberazione, in quanto lo porta all' autocoscienza della propria
condizione di sfruttato e quindi lo rende a poco a poco maturo per la rivoluzione. La
differenza sta nel fatto che la figura hegeliana non si conclude con la rivoluzione del servo,
ma solo con l’ affermarsi della sua autocoscienza.
Stoicismo-scetticismo. Lo stoicismo e lo scetticismo rappresentano un ulteriore
riconoscimento della propria autocoscienza nei confronti di quelle altrui. Infatti lo stoico si
sente libero e indipendente dagli altri perché, nell’ atto di uniformarsi al logos universale
per compiere il dovere, si innalza al di sopra delle passioni e dei beni materiali, ai quali
sono invece legati gli uomini comuni: così la sua autocoscienza si afferma per
contrapposizione a quella altrui. Lo scettico va ancora oltre, in quanto, oltre a distaccarsi
dalle passioni e dai beni, ne mette in dubbio l’ esistenza mediante l’ “epochè”, affermando
ancora più fortemente dello stoico la propria autocoscienza per contrapposizione a quella
degli uomini comuni.
Nel terzo momento (sintesi) l’ autocoscienza, dopo aver affermato se stessa rispetto agli
oggetti e alle altre autocoscienze, è ancora infelice poichè avverte un ulteriore ostacolo
alla propria autorealizzazione: Dio. Ostacolo perché viene vissuto dall’ autocoscienza
come qualcosa di superiore ad essa: infatti il Dio ebraico è un Dio-padrone, infinitamente
trascendente; il Dio cristiano è un Dio fattosi uomo, ma non è visibile.
L’ autocoscienza tenta di superare tale abisso tramite la “devozione”, il “fare” e l’
“ascetismo”: la devozione le consente di cogliere Dio mediante il sentimento, ma non le
permette di afferrarlo con il concetto; il fare, cioè il compiere opere, le fa avvertire il frutto
del suo operare ancora come dono di Dio, che quindi viene ancora vissuto come
trascendente; l’ ascetismo implica la mortificazione di sè (es. l’ umiliazione della carne per
mezzo del digiuno) e quindi l’ annullamento di sè in favore di Dio.
Di qui l’ insanabile infelicità della coscienza medievale e di quella romantica, ambedue
tese verso un infinito sempre inafferrabile.
Ma proprio nel suo vano sforzo di unificarsi a Dio l’ autocoscienza giunge alla
consapevolezza che Dio è posto da essa stessa e che dunque essa stessa è Dio, poichè
pone in essere tutte le cose, Dio compreso. Ciò avviene storicamente nel Rinascimento e
nell’ età moderna.
Dilegua così l’ infelicità e l’ autocoscienza diventa “ragione”.
d. La ragione, consapevole di porre in essere tutte le cose, ricerca se stessa nelle cose,
nella realtà, attraverso tre momenti dialettici:
- momento naturalistico
- momento dello sforzo etico
- momento legislativo
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Il momento naturalistico è proprio del naturalismo rinascimentale e dell’ empirismo
moderno. Qui la ragione cerca se stessa nella natura, osservando il mondo inorganico e
poi quello organico, fino ad esplorare l’ ambito dell’ anima ( v. fisiognomica, scienza
ottocentesca che tende a ricavare il carattere dell’ individuo dalla sua fisionomia, e
frenologia, scienza ottocentesca che tende a derivare il carattere dalla forma e dalle
protuberanze del cranio). Ma la ragione rimane insoddisfatta perchè la sua universalità si
scontra con l’ accidentalità della natura; la ragione non si riconosce dunque pienamente
nella natura.
Nel momento dello sforzo etico la ragione, delusa dal tentativo di conoscere il mondo,
cerca di modificarlo tramite uno sforzo etico individuale, che segue dapprima il “principio
del piacere” (v. il Faust di Goethe), condannato però a scontrarsi con la forza del destino;
poi segue la “legge del cuore” (v. romantici), che porta però gli individui a scontrarsi con le
leggi del cuore altrui; infine segue la “virtù” (v. Kant e Fichte) intesa come tentativo di
elevarsi al di sopra delle inclinazioni sensibili: ma anche quest’ ultimo sforzo è vano in
quanto si scontra con il “corso del mondo” che travolge ogni lotta etica individuale.
Nel momento legislativo la ragione, delusa dalla ricerca di sè nella natura e dal vano
tentativo di autorealizzarsi nel mondo, si ritira momentaneamente nella dedizione ai propri
compiti particolari (familiari, professionali…). Ma così facendo si rinchiude nella
soggettività.
Rendendosi conto di ciò essa cerca allora in se stessa delle leggi valide per tutti: ma ciò è
contradditorio, poichè l’ individuo in quanto tale non potrà mai dare luogo a leggi
universali.
La ragione si spinge allora a cercare tra le leggi vigenti quelle che le sembrano
universalmente valide: ma così facendo si pone al di sopra delle leggi stesse e ne annulla
automaticamente l’ assolutezza.
Solo nello stato, che incarna le leggi etiche in modo oggettivo, la ragione si riconosce e si
realizza come universalità.
La terza tappa dello Spirito soggettivo è rappresentata dallo spirito, che sintetizza
dialetticamente “anima” e “coscienza” e viene studiato dalla psicologia; questa scienza si
occupa dello “spirito teoretico” (intuizione,rappresentazione e pensiero) e dello “spirito
pratico” (sentimento, impulsi, felicità). Lo spirito è finalmente libero dalle opposizioni, lo
“spirito soggettivo” risulta così realizzato.
Dalla trattazione hegeliana dello spirito soggettivo si può dunque dedurre che tutte
le scienze dello spirito (antropologia, fenomenologia, psicologia) sono passaggi
necessari, ma transitori verso la completa risoluzione delle opposizioni.
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SPIRITO OGGETTIVO.
E’ lo spirito che si manifesta nella realtà oggettiva prodotta dall’ uomo, cioè nelle leggi e
nelle istituzioni, fino a realizzarsi compiutamente nello stato.
Lo spirito oggettivo si realizza attraverso un processo dialettico scandito dalla triade
- diritto
- moralità
- eticità
Riguardo al primo momento, per H. l’ importanza del diritto risiede nel fatto che esso
segna il passaggio dallo stato di natura, in cui predomina l’ arbitrio individuale, allo stato
civile, in cui i rapporti tra gli individui sono regolati dalla legge (H. polemizza qui con il
giusnaturalismo, tendenza volta ad esaltare lo stato di natura come stato di libertà). Nell’
atto in cui un individuo trasgredisce la “legge” commette un “torto” (il più grave è il delitto)
che va punito con la “pena”: per H. la pena non va intesa in senso puramente punitivo, ma
soprattutto in senso formativo, in quanto essa ripristina il cittadino nel criminale, ridà al
criminale la sua identità di essere razionale, poichè gli offre la possibilità di riflettere
mediante ragione sulla sua condotta.
Tuttavia il diritto vincola l’ individuo soltanto dall’ esterno, cioè regola l’ azione, il fare, il
comportamento esteriore; esso non vincola l’ interiorità dell’ individuo, cioè la sfera dell’
intenzione. Può imporci di non fare questa o quella azione, ma non può impedirci di avere
intenzione di farla; così come la pena può punire ed estirpare il comportamento malvagio,
ma non necessariamente l’ intenzione malvagia.
Questo punto debole richiede allora un superamento dialettico, che si attua nella moralità.
La moralità vincola l’ individuo ad un comportamento morale, coinvolgendo la sua
interiorità, la sfera delle intenzioni. Lo vincola dall’ interno. Essa ci impone di agire
moralmente non più solo in virtù di una legge esterna a noi, ma anche e soprattutto in virtù
di una legge interna a noi.
Tuttavia qui nasce un conflitto, analogo a quello sorto in seno alla morale kantiana: la
legge formale del dovere morale (l’ imperativo categorico di Kant) contrasta con la
mancata determinazione del suo contenuto concreto. Essa resta perciò una legge astratta,
ideale, formale, che può essere riempita dei contenuti più svariati.
H. non può arrestarsi alla posizione kantiana ( un imperativo vuoto di contenuto ): la norma
morale, per essere veramente tale, deve concretizzarsi nella realtà, superando il dualismo
tra forma e contenuto. Tale superamento avviene nell’ eticità.
Nell’ eticità si realizza la sintesi fra l’ esteriorità giuridica e l’ interiorità morale. La legge
morale, che nel momento della moralità appariva ancora priva di contenuti determinati e
quindi astratta, si concretizza nelle varie istituzioni: famiglia, società civile e stato. Esse
costituiscono la triade dialettica dell’ eticità.
La famiglia è il luogo etico dell’ unione tra i sessi: dal punto di vista biologico è la
condizione del perpetuarsi della specie, dal punto di vista etico è il primo strumento di
“educazione della prole”. H. definisce l’ educazione come “la seconda nascita dei figli”,
ovvero la loro nascita spirituale. Ma la prole cresce e a poco a poco si stacca dalla famiglia
originaria per formare nuovi nuclei familiari. Più famiglie, ciascuna in un rapporto di
incontro-scontro con le altre, danno origine alla società civile. H. scrive intorno alla società
civile e allo stato anche nell’ opera del 1821 Filosofia del diritto, alla quale ci rifacciamo.
La società civile è il luogo di conflitto tra i bisogni individuali e al tempo stesso di
soddisfacimento di questi ultimi, in un’ ottica di armonia etica collettiva. Per realizzare tale
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equilibrio comune la società civile predispone un’ adeguata organizzazione economico-
sociale e giuridico-amministrativa, che si serve di alcuni strumenti: il “lavoro”, tramite il
quale ogni individuo soddisfa i propri bisogni particolari e nel contempo produce la
ricchezza comune; la “divisione tra le classi”, che consente l’ appagamento dei bisogni di
ciascuna classe e quindi l’ equilibrio collettivo (gli agricoltori hanno il loro patrimonio nei
prodotti naturali; gli artigiani, i fabbricanti e i commercianti nella forma data al prodotto
naturale; i pubblici funzionari negli interessi universali della società); la “legge”, che
protegge ciò che ognuno possiede e quindi difende il bene comune; la “polizia”, che è lo
strumento dell’ amministrazione pubblica, consistente nella cura dei trasporti, delle
comunicazioni, della sanità, dell’ istruzione… , e che quindi concorre al bene collettivo; la
“corporazione”( degli artigiani, dei commercianti…), che fa da cerniera tra la volontà del
singolo lavoratore e quella della categoria lavorativa a cui appartiene, facendo in modo
che il soddisfacimento dei suoi bisogni tenga conto anche di quelli altrui.
Ma i particolarismi vengono risolti completamente solo in una sfera superiore: lo stato.
Esso è un organismo unitario che riconduce a sè gli individui e i particolarismi, elevandosi
a supremo bene etico.
Da un lato esso è in continuità con la società civile: individui e società non vengono
annullati, ma conservati ed elevati ad un’ unità superiore. D’ altro lato esso è in una
posizione di autonomia rispetto alla società civile, in quanto rappresenta il superamento di
ogni particolarismo. H. insiste maggiormente su questo secondo aspetto: lo stato è da
venerare come una realtà divina, è “l’ ingresso di Dio nel mondo”, l’ individuo è libero solo
in quanto parte integrante del tutto, se vi si ribella perde la sua libertà.
Ma la divinizzazione hegeliana dello stato, che a prima vista sembrerebbe eccessiva, è
giustificata, secondo alcuni studiosi, da motivazioni polemiche nei confronti delle
ideologie liberali, democratiche, contrattualistiche e giusnaturalistiche del tempo, che si
opponevano allo stato prussiano:
H. rifiuta il liberalismo di ispirazione lockiana perchè esso attribuisce allo stato una
funzione troppo particolaristica, quella di difendere i diritti dei singoli individui; polemizza
con il modello democratico di stampo rousseauiano perchè esso identifica la fonte del
potere nel popolo, cioè in una molteplicità di individui, e quindi ricadrebbe nel
particolarismo; critica il contrattualismo di matrice hobbesiana perchè fonda lo stato su di
un contratto stipulato tra gli individui; si contrappone infine al giusnaturalismo perchè
implica l’ idea di diritti naturali esistenti prima e oltre lo stato.
Per Hegel, in definitiva, lo stato supera la dimensione individualistica ed è una realtà
superiore allo stato di natura; perciò per H.
a. la sovranità non deriva dal popolo
b. la sovranità deriva dall’ alto, dal monarca
c. la burocrazia garantisce impersonalità e autonomia allo stato
Di qui la legittimazione hegeliana dello stato prussiano del tempo, cioè della monarchia
costituzionale; modello politico che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi tra di
loro:
a. potere legislativo, esercitato dai rappresentanti delle classi, ma soprattutto dai membri
del governo
b. potere governativo (giudiziario e di polizia), esercitato dai funzionari dello stato
c. potere principesco, esercitato dal monarca cui spetta l’ ultima parola.
Ora, tale modello di stato è concreto, già presente ai nostri occhi, già realizzato: dunque
“ciò che è reale è razionale”. La razionalità, cioè il pieno compimento del logos, non va
ricercata in modelli statali astratti, ma solo nella realtà; non si tratta di costruire uno stato
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come deve essere, ma di dimostrare che lo stato così com’ è è razionale, è la piena
realizzazione del logos. Del resto “la filosofia è la nottola di Minerva che inizia il suo volo
sul far del crepuscolo”, cioè la filosofia non arriva mai in tempo a dire la sua su come la
realtà dovrebbe essere, perché quando essa arriva la realtà si è già formata, ha già preso
corpo, per cui alla filosofia non resta altro che legittimarla razionalmente, darle una
giustificazione razionale.
Da questo atteggiamento di H. alcuni studiosi hanno dedotto che egli ha ormai dimenticato
i suoi giovanili entusiasmi per la rivoluzione francese e ha ormai sposato la causa della
Restaurazione: lo accusano di conservatorismo. In difesa di H. si può dire che
a. lo stato hegeliano, pur essendo assolutamente sovrano, non è uno stato dispotico,
ossia illegale, in quanto H. ritiene che esso debba operare solo attraverso le leggi e
debba salvaguardare la libertà e la proprietà dell’ individuo ( di qui l’ ammirazione
hegeliana per il Codice napoleonico )
b. l’ aspetto più razionale della realtà statale prussiana è, per H., la sua funzione di guida
sovraindividuale. Per H., infatti, solo una guida sovraindividuale può garantire la libertà,
la sicurezza e la realizzazione dei singoli individui.
Ma al di là della posizione che lo stato occupa nei confronti della società civile, quale
funzione esso svolge ( visto che le funzioni economico-giuridiche vengono svolte dalla
società civile ) ?
Lo stato è preposto a fare la storia ( v. Lezioni sulla filosofia della storia ). La storia viene
romanticamente intesa da H. come realizzazione dello “spirito del mondo”, cioè dello
spirito universale che si incarna nello spirito dei singoli popoli. Poiché tale realizzazione è
un processo razionale, la storia è un processo razionale ( assunto principale dello
“storicismo” ): apparentemente sembrerebbe irrazionale, accidentale, casuale ( v. popoli
che giunti al colmo del loro splendore soccombono improvvisamente sotto altri popoli ); ma
in realtà la storia è razionale, in quanto c’ è sempre una ragione del crollo di un popolo e
dell’ ascesa di un altro: finchè un popolo ha una sua civiltà da esprimere, e quindi un
contributo alla realizzazione dello spirito universale, permane; quando ha finito la sua
missione crolla. Così la storia è una successione dialettica di popoli che, con i rispettivi
stati, nascono, si rinvigoriscono e muoiono; ciò che rimane eterno è lo spirito universale
che si realizza attraverso di essi.
Alla realizzazione del logos nella storia danno un contributo decisivo quelli che H. chiama
individui cosmico-storici, cioè gli eroi, i conquistatori, come Alessandro, Cesare,
Napoleone: sono eroi perchè ciascuno di essi costituisce un grado nel processo evolutivo
dello spirito.
Perché proprio i conquistatori e non, ad esempio, gli scienziati o gli artisti ?
Perché H. ha una visione prussiana della storia: gli stati, per fare la storia, devono
ricorrere alla guerra come mezzo necessario ad aprire le vie della storia, a rompere la
staticità, a far esplodere il processo; ecco perché gli eroi sono i conquistatori, coloro che
combattono, affermando la potenza del proprio stato contro altre potenze. Essi, scrive H.,
“calpestano certamente più di un fiore innocente lungo il loro cammino”, ovvero uccidono,
devastano, schiacciano; ma questo è il prezzo che l’ umanità deve pagare affinchè si
realizzi lo spirito del mondo.
Del resto, ad aggiustare le cose, interviene sempre l’ astuzia della ragione, la quale fa sì
che dal negativo (distruzioni, uccisioni…) risulti il positivo ( realizzazione dello spirito );
anche gli eroi muoiono, ma l’ astuzia della ragione fa sì che, al di là della morte dei singoli,
lo spirito universale sopravviva.
14
Infine la realizzazione del logos universale si compie attraverso tre grandi momenti
storici:
a. il mondo orientale ( v. antico Egitto ), dove la libertà dello spirito è ristretta ad un solo
individuo, il monarca assoluto;
b. il mondo greco-romano, dove la libertà si estende ad una classe, la classe dominante;
c. il mondo germanico-cristiano, dove la libertà è propria di ciascun individuo, purchè
costui si uniformi al disegno superiore dello stato, che non è né uno stato liberale, né
uno stato democratico, ma la monarchia prussiana del tempo ( monarchia
costituzionale ).
15
SPIRITO ASSOLUTO.
E’ lo spirito sciolto, libero sia dal vincolo della coscienza ( v. spirito soggettivo ) sia dal
vincolo delle istituzioni ( v. spirito oggettivo ); è sintesi dialettica di soggettività e di
oggettività.
Esso si realizza attraverso la triade
- arte
- religione
- filosofia
L’ arte è manifestazione del logos nella sfera sensibile, quindi è fusione tra soggetto e
oggetto, spirito e materia ( v. Schelling ).
Nell’ arte simbolica, propria dei popoli primitivi e di quelli orientali, la forma sensibile
predomina sul contenuto spirituale; di qui il gusto per lo sfarzoso o per il bizzarro, per ciò
che colpisce esteriormente.
Nell’ arte classica, invece, tra forma sensibile e contenuto spirituale c’ è un equilibrio
perfetto; le statue greche, ad es., sono perfettamente adeguate ad esprimere l’ idea di
armonia.
Nell’ arte romantica, infine, il contenuto spirituale predomina sulla forma sensibile,
trabocca; la pittura, la musica, la poesia romantiche non trovano mai una forma sensibile
( quadro, melodia, versi ) adeguata ad esprimere l’ infinità dello spirito.
Di qui la crisi dell’ arte e la necessità di un suo superamento dialettico.
La religione mostra all’ individuo la necessità di elevarsi oltre il finito e coglie l’ assoluto
tramite la “rappresentazione”, che è una forma intermedia tra l’ “intuizione sensibile”,
propria dell’ arte, e il “concetto”, proprio della filosofia ( es. di rappresentazione: il dogma
trinitario. Esso può essere rappresentato a livello sensibile -ad es. tramite un triangolo- e
nel contempo può essere reso concettualmente -Padre=idea, Figlio=natura, Spirito
Santo=spirito- ).
Nelle religioni naturalistiche Dio è ancora tutto immerso nella natura: v. feticismo delle tribù
primitive dell’ Asia e dell’ Africa, v. politeismo egiziano ( Dio=elementi naturali )…
Nelle religioni dell’ individualità spirituale Dio si distingue dalla natura, apparendo come
“persona”, umana ( v. dei dell’ Olimpo greco o romano ) o spirituale ( v. giudaismo ).
Ma secondo H. la religione perfetta è il cristianesimo
1. perchè rappresenta Dio come spirito assoluto
2. perchè le sue rappresentazioni si possono tradurre concettualmente e ricondurre così
alle stesse conclusioni della filosofia ( es. il dogma dell’ incarnazione può essere reso,
sul piano concettuale, come unione del divino e dell’ umano, dell’ infinito e del finito nel
processo del logos ).
H. considera dunque la religione in funzione della verità filosofica, come passaggio alla
filosofia.
La filosofia è il momento supremo. Essa coglie l’ assoluto tramite il “concetto”, nel quale
finito e infinito si conciliano dialetticamente, risolvendo anche l’ ultima opposizione, quella
fra coscienza e Dio, ancora presente nel momento religioso. Il logos assoluto è il principio
della totalità del reale, in quanto è pienamente consapevole di sè e del mondo: esso è
pensiero che pensa e pone se stesso e che pensa e pone il mondo.
Ma anche la filosofia assolve il proprio compito solo nel suo sviluppo dialettico, cioè nella
storia della filosofia, che è il susseguirsi dei vari sistemi filosofici, ognuno dei quali
rappresenta un momento dialettico dello sviluppo del logos, in quanto conserva in sè tutte
le filosofie precedenti superandole dialetticamente.
16
Da I Principi di Hegel. II. L’amore, la corporeità e la proprietà.
Essendo l’amore un sentimento del vivente, gli amanti possono solo intanto distinguersi,
in quanto essi sono mortali, in quanto essi pensano questa possibilità di separazione; non
in tanto in quanto essi siano veramente qualcosa di separato… Negli amanti non v’è
materia alcuna; essi sono un vivente intiero. Gli amanti hanno indipendenza, hanno un
principio proprio di vita, ciò significa soltanto: essi possono morire. La pianta ha sale e
parti della terra, le quali recano in sé leggi proprie del loro modo di operare; è la
riflessione di un estraneo e significa solamente: la pianta può disfarsi. Ma l’amore tende a
togliere anche questa differenza, questa possibilità come mera possibilità, e tende ad
unificare anche il mortale, a farlo immortale. Il separabile – fin tanto che esso, prima
dell’unificazione completa è ancora qualcosa di proprio – produce agli amanti un
imbarazzo; è una specie di conflitto tra la completa dedizione, tra l’unico annichilimento
possibile – l’annichilimento dell’opposto nell’unificazione – e l’indipendenza ancora
presente; la dedizione si sente impedita dall’indipendenza e l’amore si corruccia…
Ma l’amore è più forte della paura; esso non teme la propria paura ma, da lei
accompagnato, toglie la separazione, con la preoccupazione di trovare un’opposizione
resistente o addirittura salda. L’amore è un reciproco prendere e dare. Timoroso che i suoi
doni possano venire scherniti; timoroso che un opposto non voglia cedere al suo prendere,
esso cerca di fare la prova per vedere se la speranza non lo ha ingannato, se esso trova se
stesso completamente; quello che prende non diviene, con ciò, più ricco dell’altro; si
arricchisce bensì, ma altrettanto arricchisce l’altro; similmente, quello che dà non si fa più
povero; nel dare all’altro, ha di altrettanto aumentato i suoi propri tesori. Giulia in Romeo:
quanto più io dò, tanto più io ho. L’amore acquista questa ricchezza di vita nello scambio
di tutti i pensieri, di tutte le varie molteplicità dell’anima, giacchè esso cerca infinita
differenza e si procura infinite unificazioni: si volge all’intera molteplice varietà della
natura per bere da ciascuna delle sue vite l’amore.
Ciò che più intimamente è proprio si unifica nella carezza, contatto sensuale, fino a
smarrire la coscienza, fino a togliere ogni differenza; il mortale ha deposto il carattere della
separabilità: e un embrione di immortalità, un embrione di ciò che eternamente da sé si
sviluppa e produce, un vivente, si è fatto. L’unificato non si separa di nuovo, la divinità ha
operato, ha creato. Ma questo unificato è solo un punto: l’embrione. Niente possono gli
amanti partecipargli; non possono partecipargli che in lui si trovi un molteplice; infatti
nell’unificazione non è stato manipolato un opposto; essa è libera da ogni separazione;
tutto ciò per cui un molteplice può essere e avere determinata esistenza, il neo-generato lo
deve aver tratto in se stesso, lo deve aver opposto e unificato. L’embrione si volge sempre
più all’opposizione, e tocca a lui; ogni grado del suo sviluppo è una separazione, per
guadagnare di nuovo l’intera ricchezza della vita stessa. E così è dunque: ciò che è unito, i
separati e i riunificati. Gli unificati si separano di nuovo; ma nel figlio l’unificazione stessa
è divenuta inseparata.
17
Analisi del brano di Hegel “L’amore, la corporeità, la proprietà” tratto da I Principi (opera
giovanile)
LIVELLO SEMANTICO
Il lessico usato si basa su una continua alternanza tra vocaboli che indicano “separazione” e
vocaboli che indicano “unificazione”, per rendere l’idea di quello che più tardi Hegel definirà
“processo dialettico”, che si sviluppa appunto attraverso continue opposizioni e unificazioni.
Termini che indicano opposizione:
SEPARAZIONE = divisione tra gli amanti
DIFFERENZA = ciò che si contrappone all’unità amorosa
SEPARABILE = ciò che si contrappone alla totalità prima dell’unificazione completa
OPPOSTO = ciò che si oppone e che verrà superato nell’intero
INDIPENDENZA = tendenza a conservare la propria individualità distinta, contrapposta
Termini che indicano unificazione:
VIVENTE INTERO = totalità vitale costituita dall’amore
IMMORTALE = unificato
UNIFICAZIONE = fusione tra gli amanti
DEDIZIONE = protendersi dell’uno verso l’altro
SCAMBIO = donarsi reciproco degli amanti
EMBRIONE = frutto dell’unificazione amorosa
LIVELLO TEMATICO
Opposizione e unificazione nella totalità amorosa concepita come “processo dinamico”.
LIVELLO LOGICO
Da “Essendo l’amore…” a “si corruccia”. Gli amanti si possono soltanto pensare come separati,
ma di fatto non lo sono. Si possono pensare come separati in quanto esseri viventi destinati alla
morte e quindi ad una potenziale separazione; ma di fatto essi non sono divisi in quanto
costituiscono un intero, una totalità perfettamente unificata, che supera ogni divisione, ogni
opposizione, compresa quella potenziale separazione data dalla loro mortalità. Nell’amore dunque
ciò che è mortale diviene immortale, il divisibile diviene unito. Non come nella pianta, che è
composta da elementi chimici presenti al di fuori di essa, estranei e che, in quanto tali,
rappresentano una differenza, un’opposizione insuperabile. L’amore è una totalità in sé
perfettamente unificata.
Da “Ma l’amore…” a “l’amore”. Tale intero non è qualcosa di già dato, di precostituito, di
realizzato fin dall’inizio, ma è il risultato di un processo, di uno sviluppo, che va dall’opposizione
all’unificazione.
Con il farsi del processo l’amore si realizza pienamente unificando le differenze: ciò avviene nello
scambio reciproco dei pensieri, degli stati d’animo e dei corpi, come nella relazione amorosa tra
Giulietta e Romeo, che è un continuo prendere e dare. Emerge qui la concezione tipicamente
romantica dell’amore come fusione totale degli amanti che, secondo Hegel, non elimina le
differenze, le opposizioni, le identità individuali, ma trae alimento da esse e le eleva ad un’unità
superiore.
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Da “Ciò che…” a “inseparata”. Il frutto di tale unificazione progressiva è il figlio, definito da H.
“embrione di immortalità” in quanto in esso gli opposti trovano una conciliazione, superando quella
potenziale separatezza, propria degli esseri mortali. A sua volta tale embrione per realizzarsi dovrà
passare attraverso l’opposizione per poi raggiungere nuovamente l’interezza, la totalità.
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Da G.W.F. Hegel, Differenza tra il sistema di Fichte e di Schelling
La forza che limita – l’intelletto – lega alla sua costruzione, che pone tra gli uomini e
l’assoluto, tutto ciò che per l’uomo è prezioso e sacro, lo consolida mediante tutte le
potenze della natura e dei talenti e lo estende all’infinito. Si può qui trovare l’intera totalità
delle limitazioni, fuorché l’assoluto stesso. Perduto nelle parti, l’assoluto spinge l’intelletto
a svilupparsi infinitamente nella molteplicità; ma l’intelletto, mentre anela ad estendersi
fino all’assoluto, produce tuttavia senza fine solo se stesso e si prende gioco di sé. La
ragione perviene all’assoluto solo uscendo da questa molteplicità delle parti. Quanto più
saldo e splendido è l’edificio dell’intelletto, tanto più inquieto diviene lo sforzo della vita,
racchiusa nell’intelletto come parte, per strapparsi da esso e giungere alla libertà. E in
quanto come ragione se ne allontana, la totalità delle limitazioni è ad un tempo annientata,
riferita in questo annientare all’assoluto e con ciò posta e compresa come puro fenomeno.
La scissione fra l’assoluto e la totalità delle limitazioni è scomparsa.
L’unico interesse della ragione è togliere queste opposizioni che si sono consolidate. Ma
non nel senso che la ragione si opponga all’opposizione e alla limitazione in quanto tali: la
scissione necessaria è un fattore della vita, che si plasma eternamente mediante
opposizioni, e la totalità è possibile nella più alta pienezza di vita solo quando si restaura
procedendo dalla più alta divisione. Ma la ragione si oppone all’atto che fissa
assolutamente la scissione operata dall’intelletto, tanto più perché gli assolutamente
opposti sono scaturiti essi stessi dalla ragione.
20
Analisi del brano di Hegel “Scissione e filosofia” tratto da Differenza tra il sistema di Fichte e
di Schelling.
LIVELLO SEMANTICO
Termini che indicano “scissione, separazione”
SCISSIONE / INDIPENDENZA = separazione, isolamento delle parti rispetto al tutto
INTELLETTO = facoltà analitica, che scinde, che separa
LIMITAZIONI / PARTI / MOLTEPLICITA’ / OPPOSIZIONI = sinonimi per indicare gli elementi
scissi ad opera dell’intelletto e che, se lasciati a se stessi, si contrappongono alla totalità
LOTTA = conflitto tra intelletto e ragione, tra facoltà analitica e facoltà sintetica
Termini che indicano “unificazione, conciliazione dialettica”
FILOSOFIA = disciplina che ha la funzione di unificare dialetticamente gli opposti
ASSOLUTO / TOTALITA’ = intero in cui le opposizioni vengono conservate, ma nel contempo
elevate ad un’unità superiore
RAGIONE = facoltà sintetica, che concilia, che unifica
VITA = immediatezza che aspira a liberarsi dal vincolo delle parti per giungere all’assoluto
LIBERTA’= svincolamento dalle opposizioni tra le parti
UNIFICAZIONE = atto del conciliare le opposizioni
LIVELLO TEMATICO
La scissione e l’unificazione come fattori fondamentali nella costituzione dell’assoluto.
LIVELLO LOGICO
1. Tesi di fondo. La scissione è la fonte del bisogno della filosofia: se per filosofia si intende
l’unificazione degli opposti al fine di realizzare incessantemente la totalità, la scissione fra gli
opposti è indispensabile affinché ci sia qualcosa da unificare. Se non ci fosse scissione non si
avvertirebbe il bisogno di unificazione.
1-18. Contrapposizione tra intelletto e ragione. L’intelletto, essendo una facoltà analitica, pretende
di giungere all’assoluto scomponendo, scindendo e fissando le parti come se fossero esse stesse
assolute. Ma così facendo, anziché pervenire alla totalità si perde nella molteplicità delle parti
(critica implicita all’ottica di Fichte).
La ragione, invece, essendo una facoltà sintetica, esce da tale molteplicità, liberando la vita dalla
schiavitù delle parti e annientando così il carattere assoluto conferito a queste ultime dall’intelletto.
Le parti, le limitazioni, le opposizioni -scisse dall’intelletto- vengono considerate dalla ragione
come relative nei confronti dell’assoluto, ovvero solo come una fase verso la realizzazione
dell’assoluto stesso, che è invece totalità, unificazione delle parti, conciliazione degli opposti.
20-29. Valore delle opposizioni. La ragione non rinnega le opposizioni, le limitazioni in quanto tali:
esse infatti sono necessarie per operare l’unificazione; senza di esse non ci sarebbe contrasto e
quindi nemmeno possibilità di conciliare qualcosa. Rinnega le opposizioni solo nella misura in cui
esse vengono poste come assolute dall’intelletto, il quale assolutizza la scissione impedendo di
uscirne e quindi ostacolando il raggiungimento della totalità.
30-38. La scissione come fonte del bisogno della filosofia. Ecco dimostrato come, laddove le
opposizioni vengono lasciate a se stesse e rese fisse, insorga il bisogno della filosofia, cioè il
bisogno di restaurare quella totalità che rimette in gioco le opposizioni in vista di una loro sintesi
superiore. Il processo dialettico viene così concepito da H. come caratterizzato da un eterno
conflitto tra la tendenza analitica dell’intelletto che separa e quella sintetica della ragione che
unifica. Tale processo non ha una conclusione, ma è incessante, infinito, per cui la vita dello spirito
è animata da un continuo dinamismo. 21
UNA METAFORA DELLA DIALETTICA HEGELIANA
Il boccio scompare nella fioritura e si potrebbe dire che quello viene negato da questa; così
all’apparire del frutto il fiore viene dichiarato una falsa esistenza della pianta, e il frutto
subentra al posto del fiore come sua verità.
Tali forme non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta
dell’altra, perché esse sono reciprocamente incompatibili.
Ma in pari tempo la loro mobile natura le eleva a momenti dell’unità organica, nella quale
non solo non si respingono, ma sono anzi necessarie l’una non meno dell’altra, e questa
uguale necessità costituisce ora la vita dell’intero.
( Hegel, Fenomenologia dello Spirito )
Analisi del brano di Hegel “Una metafora della dialettica hegeliana” tratto da Fenomenologia
dello Spirito.
LIVELLO SEMANTICO.
LIVELLO TEMATICO
Il processo dialettico come scandito da continue opposizioni tra tesi e antitesi e da continue sintesi.
LIVELLO LOGICO
Qui H. ricorre ad una metafora per spiegare i caratteri del “processo dialettico” dello Spirito.
Come in una pianta il “boccio”, il “fiore” e il “frutto” sembrano contrapporsi tra loro, in quanto
quando compare l’uno non ci sono gli altri, così nel processo dialettico “tesi”, “antitesi” e “sintesi”
paiono a prima vista distinte tra loro, anzi, addirittura in contrasto. Ma nel contempo come boccio,
fiore e frutto sono parti integranti della pianta, intimamente legate tra loro e che insieme concorrono
alla sua crescita, così tesi, antitesi e sintesi sono strettamente connesse tra loro e tutte sono
necessarie alla realizzazione del processo dialettico dello Spirito.
Tale duplicità è evidente nello stadio dialettico della “sintesi”, concepita da H. come un intero nel
quale tesi e antitesi vengono superate, benché non eliminate, ma conservate e portate ad un’unità
superiore.
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HEGEL La storia e gli eroi ( da Lezioni sulla filosofia della storia )
LIVELLO SEMANTICO.
- Conservazione = mantenimento dello spirito di un popolo quale si incarna nelle sue tradizioni,
usi, costumi, religione…
- Spirito del mondo / Idea universale / Spirito sostanziale = logos universale, spirito dell’ umanità
che va realizzato nella storia.
- Sviluppo = progresso del logos universale verso la propria autorealizzazione.
- Doveri = legami con la tradizione e con il perpetuarsi di questa.
- Possibilità = orizzonti che aprono la via al superamento di una certa epoca o di un certo sistema
sociale in vista di un nuovo mondo.
- Universale = fine che va al di là della sfera particolare.
- Individui storico-universali = gli eroi, individui cosmico-storici, che vivono all’ interno della
storia ma svolgendo una missione universale, extratemporale, consistente nella realizzazione del
logos, dello spirito dell’ umanità.
- Missione = compito spirituale svolto dagli eroi.
- Guscio = involucro che consiste nello spirito particolare di un popolo. Visibile esteriormente.
- Nocciolo = ciò che è contenuto dentro l’ involucro e che consiste nello spirito universale, ancora
nascosto, ma potenzialmente presente nel popolo.
- Esistente = la realtà così com’ è, la realtà di fatto.
- Avventurieri = personaggi storici che hanno perseguito ideali contrastanti con la realtà di fatto,
attingendoli però da se stessi e non dallo spirito universale che pervade invece gli eroi.
- Necessità = forza inesorabile che domina la storia, premendo per la realizzazione del logos
universale.
- Filosofia = filosofia della storia, modello interpretativo del succedersi dei fatti storici.
- Fine = scopo particolare dell’ eroe ( potere, guadagno…) che contribuisce alla realizzazione
dello scopo universale.
- Veggenti = riferito agli eroi che, essendo pervasi dallo spirito universale, sanno ciò che va fatto,
lo sanno anticipatamente rispetto agli altri uomini.
- Organi = strumenti di realizzazione del logos.
- Diritto assoluto = diritto di supremazia degli eroi in virtù dello spirito universale che essi
portano con sé.
- Felicità = appagamento dei propri desideri personali, che non è dato agli eroi.
- Lotta = dibattimento a cui è destinato l’ eroe per poter realizzare lo spirito del mondo.
- Passione = coinvolgimento spirituale dell’ eroe nel perseguire il suo fine.
LIVELLO TEMATICO.
Tematica: la storia come realizzazione dello spirito universale e la missione degli eroi.
LIVELLO LOGICO.
Passaggi logici.
1. “Nel corso della storia…verso se stessa” I DUE MOMENTI DELLA VITA DI UN POPOLO
Secondo H. ogni popolo attraversa, nel corso della storia, due fasi dialettiche: una di conservazione,
l’ altra di sviluppo. La prima è caratterizzata dal mantenimento del proprio spirito particolare, cioè
dell’ insieme delle sue tradizioni, usi, costumi, norme…, fino al momento in cui tale spirito
particolare è adeguato a quello universale; in questo senso la “conservazione” è il compito degli
individui particolari, cioè di coloro che non sono pervasi dallo spirito universale e che però cercano
di adeguarvisi.
23
La seconda fase, invece, è caratterizzata dalla trsformazione dello spirito di un popolo, ormai troppo
arenato nella propria particolarità, nello spirito di un nuovo popolo, più rivolto all’ universalità; in
questo senso lo “sviluppo” è il compito degli individui cosmico-storici o eroi, cioè di coloro che,
portando in sè lo spirito universale, intuiscono la necessità di distruggere un mondo per crearne uno
nuovo.
2. “Ora sono i grandi…della necessità” GLI EROI E LA LORO MISSIONE
Gli eroi sono dunque storici in quanto vivono all’ interno della storia, in una determinata epoca;
sono cosmici o “universali” in quanto, all’ interno di quell’ epoca, svolgono una missione
universale: la realizzazione dello spirito del mondo, del logos universale. Per compiere questa
missione essi non attingono alla realtà di fatto, all’ esistente ( poichè questo si è ormai fossilizzato
sul particolare ), ma attingono a quel “nocciolo nascosto”, a quello spirito universale ancora
invisibile, ma potenzialmente presente nel popolo stesso, per farlo prorompere, per farlo esplodere,
determinando così la disgregazione dell’ esistente e il passaggio dallo spirito di un popolo a quello
di un altro (es. dalla civiltà greca a quella romana ).
A prima vista gli eroi sembrerebbero simili agli avventurieri, in quanto anche questi perseguono
ideali che contrastano con la realtà di fatto; ma mentre gli avventurieri inseguono ideali che sono
frutto della loro fantasia, gli eroi lottano per una necessità storica: la realizzazione dello spirito
universale.
3. “Da ciò….affatto speciale” RAPPORTO TRA EROI E SPIRITO UNIVERSALE
H. delinea qui la sua filosofia della storia, il suo modello interpretativo secondo il quale la storia è
un processo razionale, un processo dialettico di realizzazione dello spirito universale. Tale spirito
opera negli eroi, ma non è creato da loro: esiste da sempre e per sempre, è eterno. In quanto opera
negli eroi fa compiere gesta che contribuiscono alla sua realizzazione storica; in quanto non è creato
da loro gli eroi non sono consapevoli di portarlo con sé, essi agiscono a fini personali ( il potere ),
ignari che tali fini particolari, perseguiti con passione, coincidano con il fine universale.
Essi sono “veggenti” nel senso che conoscono il fine della nuova epoca, della nuova civiltà, del
nuovo mondo che intendono creare ( e per questo tutti si inchinano dinnanzi al loro potere ), ma non
sanno che questo scopo coincide con lo scopo universale, che con le loro imprese essi
contribuiscono alla realizzazione dello spirito del mondo, che essi sono soltanto “organi”, strumenti
di tale spirito, gradini di un processo dialettico che li trascende.
4. “Se gettiamo….hanno avuto” IL DESTINO DEGLI EROI
La sorte degli eroi non è la felicità, se per felicità si intende il tranquillo godimento di ciò che si è
conquistato: infatti Alessandro, dopo aver conquistato un immenso impero, morì improvvisamente;
Cesare, dopo aver favorito il passaggio dalla Roma repubblicana a quella imperiale, venne
assassinato; Napoleone, dopo aver codificato nuove leggi nei nuovi territori, venne esiliato.
Perchè ? Perchè la felicità è legata alla sfera del particolare, mentre l’ eroe lotta – anche se
inconsapevolmente – per uno scopo universale. Il suo destino sta dunque nella lotta, nella fatica
dell’ intraprendere, del conquistare. “Raggiunto lo scopo essi somigliano ad involucri vuoti che
cadono”, ovvero: una volta esaurita la loro missione scompaiono dalla scena della storia, cedendo il
passo a nuovi eroi, che daranno un nuovo contributo all’ incessante realizzazione dello spirito
universale.
24
QUESTIONARIO DI RIPASSO
IL ROMANTICISMO
1. In che senso il Romanticismo coinvolge diversi ambiti disciplinari ?
2. Si può affermare che il Romanticismo rinnega la ragione ? Perché ?
3. In che senso, secondo il poeta tedesco Holderlin, “l’uomo è un Dio quando sogna e un
mendicante quando pensa”?
4. Qual è l’aspetto più innovativo introdotto dalla visione romantica in confronto alle filosofie
precedenti ?
5. In che senso, secondo i romantici, la vita è dramma ?
6. Perché l’illuminismo condannava la storia, mentre il romanticismo la rivaluta ?
7. Definisci i seguenti termini:
RAGIONE ANALITICA – RAGIONE SINTETICA – RELIGIONE POSITIVA –
INFINITO – IRONIA – EROE – NAZIONE – LIBERALISMO – CONTINUUM –
TITANISMO
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FASE DELLA MATURITA’
Logica
1. Che cosa s’ intende per processo dialettico ?
2. Qual è l’ intento della Logica hegeliana ?
3. In che senso l’ empirismo e la filosofia kantiana tendono a contrapporre pensiero ed
essere, razionale e reale ?
4. In che senso per H. razionale e reale giungono a identificarsi nel processo di
realizzazione del logos in sé ?
5. Perché il nulla viene considerato l’ antitesi dell’ essere ?
6. Perché la realtà in atto è la sintesi di essenza e fenomeno ?
7. Che cosa rappresenta il concetto ?
8. Definisci i seguenti termini:
LOGOS IN SE’ – ESSERE – ESSENZA – DIVENIRE – FENOMENO – CONCETTO
SOGGETTIVO – CONCETTO OGGETTIVO – IDEA – FILOSOFIA DELLA NATURA –
FILOSOFIA DELLO SPIRITO
Spirito soggettivo
1. In che senso la concezione hegeliana dell’ anima si differenzia da quella classica
(Platone, Aristotele) ?
2. Che cosa si intende per “fenomenologia dello spirito” ?
3. In che senso per H. la molla propulsiva del processo dialettico è il “negativo” ?
4. Perchè la “coscienza naturale” viene definita “coscienza infelice” ?
5. Come avviene il passaggio dialettico dall’ “intelletto” all’ “autocoscienza” ?
6. Perchè H. ricorre alla figura dialettica del “servo-padrone” ?
7. In che senso l’ “autocoscienza” si realizza attraverso l’ opposizione fra sè e le altre
autocoscienze ?
8. Si può affermare che per H. le scienze dello spirito ( antropologia, fenomenologia,
psicologia ) siano delle discipline assolute, cioè non superabili dialetticamente?
Perché?
9. Definisci i seguenti termini o espressioni:
LA NOTTE IN CUI TUTTE LE VACCHE SONO NERE – ANTROPOLOGIA –
PSICOLOGIA – INTERO – RAGIONE – MOMENTO LEGISLATIVO
Spirito oggettivo
1. Qual è il punto debole dello stadio dialettico del diritto ? Come viene superato ?
2. Qual è il punto debole dello stadio dialettico della moralità ? Come viene superato ?
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3. In che senso per H. l’ educazione è “la seconda nascita dei figli” ?
4. Nella “società civile” gli interessi particolari vengono superati ? Perchè ?
5. In che senso per H. lo stato è “una realtà divina” ?
6. Perchè H. polemizza con le principali ideologie politiche del suo tempo ?
7. La sua adesione al modello statale della monarchia prussiana è da interpretarsi come
segno di conservatorismo ?
8. In che senso per H. la storia è un processo razionale ?
9. Nello stato hegeliano qual è il prezzo della libertà individuale ?
10. Definisci i seguenti termini o espressioni:
GIUSNATURALISMO – CONTRATTUALISMO – CIO’ CHE E’ REALE E’ RAZIONALE
– NOTTOLA DI MINERVA – STORICISMO – INDIVIDUI COSMICO-STORICI –
GUERRA – ASTUZIA DELLA RAGIONE
Spirito assoluto
1. In che senso l’ arte costituisce solo il primo stadio di realizzazione dello “spirito
assoluto” ?
2. Quale differenza intercorre tra arte “simbolica” e arte “romantica” ?
3. In che cosa consiste la “rappresentazione” di tipo religioso ?
4. Perchè la religione necessita di un superamento dialettico ?
5. In che senso il cristianesimo è per Hegel l’ apice delle religioni ?
6. Perchè la filosofia costituisce la sintesi suprema del processo dialettico del logos ?
7. In che senso per Hegel ogni filosofia è figlia del suo tempo ?
8. Definisci i seguenti termini:
SPIRITO ASSOLUTO – ARTE CLASSICA – RELIGIONI NATURALISTICHE –
CONCETTO
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