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Filosofia post-kantiana

La filosofia post-kantiana è stata così definita in quanto è successiva non solo in senso cronologico
alla filosofia di Kant e comprende tutti i filosofi dopo il 1790 ma anche nell’ambito tematico
argomentativo, nel senso che tale filosofia prende avvio da alcune problematiche che Kant aveva
trattato nelle prime due critiche e le trasforma, a volte anche radicalmente.

JOHANN GOTTLIEB FICHTE


Biografia

Johann, che in italiano corrisponde al nome Giovanni, Gottlieb, che in tedesco significa “caro a
Dio”, Fichte nasce a Rammenau, in Sassonia, nel 1762 da una famiglia molto povera, a tal punto
che per contribuire al bilancio familiare sin da bambino dovette fare il tessitore e il guardiano di
oche. Tuttavia, fu notato per la sua intelligenza spiccata dal signorotto del paese, tanto che decise
di finanziare i suoi studi, e fu così che riuscì a frequentare prima gli studi medi e poi quelli
superiori, iscrivendosi in seguito alla facoltà di Teologia, per diventare pastore protestante. Fichte
non effettuerà tale attività. Infatti, nel 1791 andò a trovare Kant a Königsberg (pronuncia
keinsberg), perché aveva letto poco prima la Critica alla ragione pratica. La lettura della Critica alla
Ragione pratica ebbe un ruolo fondamentale nella sua formazione filosofica, in quanto Fichte si
rende conto che l’uomo possiede in se stesso come elemento e componente la libertà,
l’autonomia morale, che non è più un ente condizionato ma diviene un ente incondizionato, non
più determinato da componenti esterne, e libero. Fichte vuole, quindi, conoscere Kant e
confrontandosi ulteriormente arrivò a scrivere un’opera, pubblicata anonima nel 1792 per paura
di persecuzioni, intitolato “Saggio di una critica di ogni rivelazione”. Infatti, a coloro che si
rivolgevano a Kant per l’opera, il filosofo era solito spiegare che non era stato lui l’autore ma il suo
brillante allievo, a tal punto che due anni dopo, nel 1794, Fichte ottenne la cattedra di Filosofia
all’Università di Jena (pronuncia iena). Jena era un centro fervente dal punto di vista intellettuale
perché proprio a Jena si stava sviluppando il movimento romantico con i fratelli August Wilem e
Friederich Schlegel e Novalis, con il quale ebbe un conflitto durante la permanenza a Jena. Infatti,
scrisse e pubblicò la prima opera filosofica, dato che la precedente riguardava argomenti religiosi,
intitolata “La fondazione dell’intera dottrina della scienza”. In quest’opera Fichte si confrontava
apertamente con la filosofia di Kant e cominciava ad avviare la fondazione della sua filosofia. Già il
titolo è significativo: fondamenti, e quindi basi, dell’intera, e quindi completa, dottrina della
scienza, intesa nel senso tedesco di Wissenschaft, in quanto Fichte intendeva assicurare anche alla
filosofia le stesse basi e la stessa incontrovertibilità presenti nelle scienze naturali e quindi la
“metabasis”, ovvero il passaggio, dalla doxa all’epistheme, dall’opinione alla scienza. L’opera sarà
soggetta a ulteriori revisioni e ampliamenti. Fichte per il suo insegnamento che invitava i giovani
alla libertà di pensiero, all’indipendenza da qualsiasi potere cominciò a essere considerato
pericoloso dal potere centrale, anche Goethe si schierò contro Fichte, tanto che venne accusato di
ateismo, ovvero una confessione religiosa che metteva in discussione i dogmi della religione
protestante, arrivando a destabilizzare anche il potere politico. Questa fu però un’accusa
strumentale, ovvero un’accusa intesa come strumento o mezzo per sbarazzarsi di un personaggio
scomodo come Fichte. La sua filosofia contiene in se stessa componenti sia strettamente
filosofiche sia componenti politiche, economiche e sociali. Uno degli aspetti che venne considerato
dagli studiosi alla base della filosofia di Fichte, oltre che la critica con Kant, fu il confronto con la
Rivoluzione francese. La Rivoluzione francese avvenne nel 1789 e fu un evento così traumatico che
anche per Fichte segnò uno spartiacque in quanto comprese che ci si poteva liberare da qualsiasi
assolutismo e dispotismo mediante l’autonomia, sia a livello individuale sia che a livello di
comunità. Quindi, il filosofo fu espulso dall’università nel 1799 tramite delle dimissioni che furono
però coatte, cioè estorte. Fichte si recò poi in molte altre città tedesche, visitando anche a
Königsberg, perché la Germania in quel periodo era attraversata da armate napoleoniche. Pubblicò
altre redazioni della “Fondazione dell’intera dottrina della scienza”. Studiò fino al 1806/1807
perché Napoleone aveva conquistato da Vienna a Berlino e nel 1808 pubblicò un’opera molto
importante dal punto di vista filosofico e politico, intitolato “I Discorsi alla nazione tedesca”, in cui
non faceva altro che rivolge un appello al popolo di lingua e cultura tedesca. Nel 1810, dopo la
liberazione di Berlino, vennero avviati dei corsi universitari e Fichte, non solo riprese a insegnare
filosofia all’Università di Berlino, ma venne anche nominato rettore dell’Università. Morirà quattro
anni dopo nel 1814 ad appena 52 anni per una malattia, il tifo, contratta attraverso la moglie, che
curava i malati durante le guerre napoleoniche.

Filosofia di Fichte
Le basi della filosofia fichtiana sono kantiane e in particolare Kant costituiva il filosofo che secondo
Fichte aveva realizzato una profonda trasformazione nel pensiero occidentale e in particolare la
trasformazione era avvenuta sia da un punto di vista teoretico conoscitivo che da un punto di vista
pratico, laddove, però, Fichte riconosce i meriti indubbi di Kant per quanto riguarda la svolta che
questi aveva realizzato ma ne individua anche i limiti. In particolare Fichte individua nella filosofia
di Kant come elemento statico per uno sviluppo del pensiero quello che definisce “Residuo
Dogmatico”, ovvero una componente residuale e quindi accessoria della filosofia di Kant, accettata
passivamente e non soggetta a esame critico, inteso nel senso greco di Cryno, dividere arethes
dallo pseudos. Il Residuo Dogmatico viene individuato nella filosofia di Kant nella concezione della
cosa in sé, che Kant definiva Ansicht, laddove Kant intendeva la dipartizione tra “fenomeno”, che
consiste il derivato del “feinestein”, ovvero dell’apparire attraverso i sensi, dal quale deriva l’unico
tipo di conoscenza fondata, e “numero”, ciò che è oggetto di pensiero però non possiede un
fondamento sensibile. 3 Inoltre la base della conoscenza fenomenica del mondo sensibile viene
individuata da Kant in due elementi fondativi del piano conoscitivo che sono la componente della
sensibilità, o “silikeit”, e la componente dell’intelletto, “fershtat”. In aggiunta, la conoscenza
relativa al numero è propria della facoltà della “fernucht”, della ragione, che genera conoscenze
incondizionate, cioè che vanno oltre i limiti e le condizioni della sensiblità, e sono “umbedichte”.
La ragione infatti non può dimostrare nelle sue componenti limitate se l’anima sopravvive al corpo
o se è destinata a morire insieme al corpo e ciò viene trattato nella Psicologia razionale. Un’altra
domanda nella Teologia razionale a cui Kant tenta di rispondere ribadendone l’impossibilità della
risposta univoca e fondata è l’Esistenza di Dio, dove Kant dimostra l’infondatezza delle tre prove
dell’esistenza di Dio, ontologia, gnoseologia e fisico teologica, cioè in base alle nostre limitate
capacità conoscitive non saremmo mai in grado di affermare se Dio esiste oppure no.
DIFFERENZE TRA KANT E FICHTE

Fichte se da una parte riconosce i meriti di Kant dal punto di vista filosofico sia della Prima Critica
sia della Seconda Critica, in quanto fu la Seconda Critica a suscitare in Fichte la “fiamma” della
filosofia, l’interesse per la filosofia, da una parte egli sostiene che la tesi kantiana riguard il
fenomeno e il numero costituisca un “residuo dogmatico”. Ciò vuol dire che, secondo Fichte,
già il fatto che noi pensiamo il numero vuol dire che lo conosciamo. Quindi pensare il numero non
è altro che indirettamente l’affermazione della possibilità conoscitiva. Oltre questo, poi, mediante
il numero si potrebbe limitare, circoscrivere la capacità conoscitiva umana e quindi la libertà di
ogni individuo.
Fichte critica il numero kantiano che definisce “residuo dogmatico” perché il numero limita la
libertà e l’autonomia dell’“Io”. 1
Oltre a questo poi Fichte ripensa a ciò che Kant aveva affermato riguardo l’ ”Io penso”.
Per Kant infatti l’“io penso” costituiva il punto di arrivo della prima parte della Critica
trascendentale: l’analitica dei concetti: Kant aveva dimostrato come dalla molteplicità delle
categorie si passasse ad un’unificazione, ad un coordinamento della sintesi attraverso una facoltà
che aveva individuato nell’ attività pensante che Kant aveva definito “Io penso” o “appercezione
pura”.

Alla concezione kantiana dell’”Io penso” come “appercezione trascendentale” e quindi estesa in
senso formale (formale= l’”Io penso” non fa altro che sintetizzare un contenuto che proviene dalla
sensibilità, quindi “formale” nel senso dell’eidos, della forma della della configurazione che l’”io
penso” attribuisce alle componenti, al materiale della sensibilità. L’ “io penso” come base,
principio sia “formale” sia “materiale”. Vuol dire che dall’ “io penso” scaturisce non solo la sintesi,
l’unificazione dei dati sensibili, dall’ “io penso” scaturisce anche il materiale, il contenuto
proveniente dalla sensibilità.
Quindi dall’”io penso” come derivatum della sensibilità si passa all’”io penso” che genera da se
stesso sia il materiale sia la forma della conoscenza. Quindi per Fichte l’ “io penso” ha valenza
ontologica, cioè costituisce l’essere delle conoscenze sia nella componente materiale che nella
componente della forma o delle relazioni che si producono nell’attività pensante.

In questo senso Fichte rielabora e trasforma completamente l’”io penso” kantiano. 2


Per Kant il principio formale “riorganizza” il materiale , la yle rappresentativo che viene dall’
esterno (Materiale “Rappresentativo”; da “Rappresentazione” : vorstellung = che riguarda la
rappresentazione, ma la rappresentazione in quanto rappresentazione implica il rappresentante e
il rappresentato: il rappresentante è il soggetto della rappresentazione mentre il rappresentato è
l’oggetto della rappresentazione.) Quindi nella concezione kantiana la concezione della
rappresentazione risulta intrinseca la relazione tra rappresentante e rappresentato. Ciò vuol dire
che non ci può essere rappresentante senza rappresentato, e quindi non ci può essere il soggetto
della rappresentazione senza l’oggetto della rappresentazione in quanto l’oggetto della
rappresentazione implica il soggetto della rappresentazione come due componenti inseparabili e
imprescindibili.
Infatti poi per quanto riguarda Fichte invece “io” genera rappresentazioni e di conseguenza la
componente del rappresentato il Fichte risulta secondaria rispetto al rappresentante e rispetto
quindi all’ “io puro”.

Qual è la facoltà che secondo Fichte produce le rappresentazioni?


È l’immaginazione produttiva: quindi Fichte utilizza un termine Kantiano, “immaginazione”,
ma mentre l’immaginazione in Kant non faceva altro che assicurare la metabasis dalla
eterogeneità all’omogeneità dei concetti, per Fichte l’immaginazione genera le conoscenze,
l’essere in quanto in Fichte le componenti sia gnoseologica sia ontologica (e politica) risultano
coappartenenti.
Inoltre per Kant esiste una realtà al di fuori che corrisponde alla concezione della “cosa in sé”,
invece per Fichte non esiste alcuna realtà al di fuori dell’”io” poiché ciò che è reale è reale per
l’”io”. Vuol dire che anche se noi affermassimo che esista una realtà al di fuori dell’io sarebbe
sempre l’io ad affermarla e a pensarla, ma se è l’io ad affermarla o pensarla vuol dire che è
prodotto dall’io e quindi non esiste nulla al di fuori di questo.

TESTO
Il termine esperienza corrisponde al sostantivo tedesco elfarung che a sua volta è composto da
erfaren (viaggio che ciascuno compie in maniera individuale e quindi unica e irripetibile). Quindi
l'esperienza non è altro che un viaggio. Quindi, il punto di arrivo non coincide con il punto di
partenza, nel senso che tutti dobbiamo uscirne migliorati. Per Fichte il viaggio assume un ruolo
fondamentale, come per tutti i romantici, basti pensare al capolavoro di Goethe.

Non dimentichiamo che Fichte soggiornò a iena, che era il capoluogo romantico, dove si
costituisce la rivista athenaeum curata dai fratelli Schlegel (friedrich e August diven).

Tutte queste componenti contribuiscono allo sviluppo culturale del romanticismo.

Il pronome egli si riferisce all'uomo (essere ragionevole). Fichte non fa altro che sottolineare
l'esperienza, componente fondamentale del viaggio. Il termine cosa non va inteso nel senso
Kantiano come separata dall'attività conoscitiva.

Fichte non fa altro che individuare le componenti antropiche presenti nella filosofia moderna e
definisce dogmatismo e idealismo, nell'idealismo il prius è definito dall'attività pensante e il
posterius derivato dalla cosa. Nel dogmatismo avviene un capovolgimento, il prius è costituito
dalla cosa, invece il posterius o derivatum è costituito dall'intelligenza. 3

Risulta impossibile che si ponga un sistema filosofico alternativo rispetto idealismo e dogmatismo.
Non si da una terza possibilità.

Vorstellung corrisponde al noein (rappresentazione).

La nozione di rappresentazione implica contemporaneamente una relazione tra rappresentante,


non è altro che il soggetto della rappresentazione, e rappresentato, oggetto.
Ovviamente nell'idealismo prevale il soggetto rappresentante, nel dogmatismo prevale l'oggetto
rappresentato.

Un ulteriore sviluppo si ha quando Fichte scrive qual è il motivo per cui dobbiamo scegliere tra
queste due posizioni contrastanti (si pone il problema della scelta e della sua motivazione).

Occorre trovare un principio assolutamente primo, in quanto assolutamente primo deve essere
fondante, poiché da esso derivano le conseguenze.

La scelta per Fichte non è di carattere teoretico perché ancora non si è individuato un principio, e
quindi le due possibilità risultano sullo stesso piano.

La scelta non può essere dominata dall'arbitrio, altrimenti ci troveremo nella sfera della doxa
(opinione) e ontologica (del noeton).

L'elemento discriminante che porta alla scelta deve essere quindi di carattere pratico (interesse,
utilità...).

Il primo tipo di umanità della distinzione da queste due pratiche è dato dalle cose, è quindi un 'Io'
inesistente, succube delle cose (corrisponde al dogmatismo).

Fichte, poi, dal punto di vista conoscitivo e ontologico, contrappone autonomia e eteronomia che
Kant aveva sviluppato nella seconda critica. Se autonomia e eteronomia, sul piano conoscitivo e
ontologico, l'autonomia dell'io riguarda la componente indipendente (da autos-nomos),
l'eteronomia riguarda quindi altro, corrispondente a un derivatum dell'attività dell'io.

Fichte una volta confrontatosi criticamente con la filosofia di Kant (pag. 296) si pone una premessa
da una parte per individuare la natura dell’io e dall’altra dimostrare come dall’io scaturisca sia il
diverso dall’io, ma il diverso da Dio è definito da Fichte “non io”, che poi la cosiddetta dialettica
dell’io.

(A pag. 296 c’è un quadro sinottico sulla differenza tra l’io penso fichtiano e l’io penso kantiano)

L’io fichtiano non è altro che una metafora del genere umano, quindi quando si riferisce all’io non
intende la soggettività individuale, ma non fa altro che riferirsi al genere umano, alla comunità, al
modo in cui questa si è sviluppata, (e di qui la ricerca etica rispetto a quella teoretica) a partire dal
suo pràttein e dal suo “proiein- non so che è-“. Ovviamente dalla collettività e dal genere umano
scaturisce la soggettività individuale, però la soggettività individuale costituisce un derivatum di
una conseguenza dei modi attraverso cui il genere umano si è sviluppato progressivamente nella
sua storia o nelle tappe che lo caratterizzano.

Il prattein e il proiein diventano prìus (l’antecedente) e il theorein (la componente conoscitiva) si


trasforma in posterius (il seguente o il successivo rispetto alla dimensione pratica).

Le parole guida (leitworte=laitvorte) attraverso cui Fichte determina la natura dell’io sono:

Ich als Tathandlung, Thàtigkeit, streben unendlich.


Io come (hanglung=azione + tath= il fatto attraverso cui l’azione si realizza)

L’io si manifesta nella sua azione e nella sua attività, quindi l’io pratico si manifesta agendo e il
risultato dell’azione non è altro un fatto, qualcosa di realizzato; una volta realizzata l’azione ne
scaturisce un’intera reazione e quindi nella reciproca implicazione di azione e fatto o conseguenza
dell’azione, anche perché secondo Fichte Kein object ohme subjekt=kaim obiect omhe subiect:
non esiste nessun oggetto senza soggetto che lo realizza, l’oggetto non è altro che il risultato del
soggetto inteso come genere umano e comunità.

L’io risulta sempre attivo a tal punto che secondo Fichte l’idealismo prevale sul dogmatismo
perché trovare una concezione dinamica e attiva del soggetto rispetto ad una condizione passiva
ed inerte,di conseguenza l’attività costituisce la natura ontologica dell’io e cioè la determinazione
dell’essere e dell’io come streben=tensione continua, destinata quindi a non fermarsi mai; da
questa tensione deriva l’infinità dell’io che è infinito perché qualsiasi azione e qualsiasi
compimento di questa azione non è altro che il punto di partenza di un’altra azione e di qui
l’infinità nel senso della mancanza di limiti riguardo l’io.

La concezione dell’io fichtiana è improntata su alcuni aspetti del romanticismo, sullo streben
romantico, anche perché Fichte visse per alcuni anni a Vienna che costituisce uno dei centri
precursori del romanticismo tedesco. Quindi l’io fichtiano inteso come streben, come azione,
come attività, come dimensione infinita non è altro che il corrispondente di alcuni aspetti
fondamentali del romanticismo tedesco.

In che modo poi la natura dinamica dell’io fichtiana si realizza? Si parla di natura dinamica perché
bisogna risalire alla concezione aristotelica della -diunamis-, lo -iunamei-, l’essere come potenza di
cui parla in metafisica teta 1, libro 9; Aristotele definisce la -diunamis- come principio di
mutamento in altro o in se stesso in quanto altro, quindi la -diunamis- contiene in se stessa la
possibilità di cambiamento.

La natura dinamica dell’io di Fichte si manifesta attraverso quella che Fichte definisce la dialettica
dell’io, di qui il genitivo dell’io va inteso sia come genitivo soggettivo che come genitivo oggettivo,
il che vuol dire che il soggetto e colui che compie l’azione della dialettica è l’io e che l’ oggetto della
dialettica non è altro che l’io stesso perché l’io è definito da Fichte come principio formale e
materiale dell’essere e del pensare nella correlazione di noèin=pensare ed ènai=essere (cioè
pensare ed essere) sulla base di quanto scriveva Parmenide nel frammento secondo il quale
pensare ed essere sono la stessa cosa.

Apriamo una parentesi sulla concezione della dialettica dei greci. La parola dialettica di Fichte è
utilizzata attraverso il confronto critico con a traduzione dei greci che è stata ripresa ed
interpretata da Kant nella dialettica trascendentale.

La Dialettica secondo la concezione greca. La dialettica è costituita dall’arte del dialogo


(dià+leghestai) unire (leghein) ciò che è separato (dià).
Concezione della dialettica socratica.
La dialettica socratica aveva un ruolo maièutico attraverso tre momenti che la caratterizzavano,
cioè: l’erotesìs (si parte dalla domanda), l’extetasis (l’esame accurato delle risposte), l’elenchos
(confutazione), infatti la dialettica socratica è definita come dialettica confutatoria.

Concezione della dialettica platonica.


Frase tratta dal sesto libro della repubblica (537 C) dove Platone scrive: è dialettico chi riesce a
raggiungere e ad esprimere la siunopsìs e cioè la visione di insieme, chi non la esprime e non la
raggiunge non è dialettico, la dialettica coincide con la siunopsìs e cioè la visione di insieme, non
con un tipo di decisione frammentaria, ma la dialettica unisce le varie forme di sapere in un tipo di
concezione olistica, globale.

Concezione della dialettica Kantiana.


Kant dedica una parte della critica della ragione pura alla dialettica trascendentale. La dialettica
della ragione pura si divide in un periodo trascendentale degli elementi e in un periodo
trascendentale del metodo. Il periodo trascendentale degli elementi è a sua volta ripartito in
estetica trascendentale e in logica trascendentale, la logica trascendentale è suddivisa in analitica
e dialettica trascendentale. Per kant la dialettica è l’analisi critica dei tentativi della ragione di
conoscere l’incondizionato, cioè qualcosa che va oltre i limiti e le condizioni che sono date dalla
sensibilità. La dialettica da Kant è intesa in senso critico negativo come logica dell’apparenza a tal
punto che nella dialettica trascendentale Kant dimostra che la ragione esercita il suo ruolo
incondizionato e va oltre i limiti della sensibilità. La dialettica trascendentale era infatti suddivisa in
psicologia razionale, etimologia razionale e teologia razionale.

Concezione della dialettica fichtiana. A pag 294 sono schematizzate le fasi attraverso cui si
sviluppa la dialettica dell’io.

La prima fase è quella dell’identità dell’io, l’io che pone se stesso e che diventa consapevole di se
stesso e di conseguenza della sua attività e della sua dinamicità.

La seconda fase è data dall’antitesi, cioè il contrasto tra l’io e il non io, l’io pone il non io, l’io
scopre la differenza tra sé stesso e il non io. Fichte per non io intende il corrispondente della res
extensa cartesiana, Cartesio per res extensa intendeva l’insieme dei corpi che occupano uno
spazio caratterizzati da materia. 4

L’Io Assoluto e la metafisica del soggetto pag295 (2B)


“Ciò che è posto può essere posto solo dall’Io, unica realtà originaria, e dunque il principio
d’identità dovrà essere riformulato nei seguenti termini: l’Io pone sé stesso”. (rigo 5)
Spiegazione:

 “Ciò che è posto” → nel senso di affermato, pensato, realizzato. Il “pone” qui indica sia la
componente logica, del pensiero, sia quella ontologica, dell’essere, sia la componente del
prattein. Queste tre componenti risultano in stretta relazione.
 “pone in sé stesso” → vuol dire che è consapevole di sé stesso. Qui l’Io non si identifica col
soggetto individuale, ma col genere umano, con la collettività. Quindi la collettività è
consapevole di sé stessa, delle sue possibilità conoscitive, ontologiche, e questa forma di
consapevolezza corrisponde al principio di identità. Questa componente
collettivo/comunitaria poi, si estende anche alla componente individuale. Infatti ciascuno di
noi è consapevole di sé stesso sulla base della frase dei saggi greci “gnoti seu thon” (conosci te
stesso). Ma se il conosci te stesso greco riguardava la conoscenza di sé stessi ma anche dei
propri limiti, qui invece l’autoconoscenza dell’io si estende all’io infinito e quindi illimitato,
dato che l’Io per Fichte è unendlichkeit (unendrich) → infinito, corrispondente quindi
all’infinità romantica.

La dialettica e il rapporto Io/Non io


Di qui la corrispondenza tra infinità dell’io e infinità della natura. Solo che la natura è intesa da
Fichte nel senso cartesiano della res extensa, dei corpi che occupano uno spazio. È definito infatti
l’Io: se l’io è infinito, la natura invece è finita e limitata ed è posta, quindi affermata, pensata,
dall’attività dell’io. Infatti poi dalla dicotomia ontologica, tra l’io e non io → io infinito, non io finito,
io attivo e operoso sulla base della concezione fichtiana dell’idealismo e natura invece inerte
sottoposta a leggi meccaniche, scaturisce poi la necessità del superamento di questa dicotomia
attraverso il terzo momento. L’io pone accanto il non io divisibile, l’io divisibile. Perché si
costituisca una relazione tra non io e io, occorre che i due siano accomunati dalla divisibilità, dato
che l’io originario risulta indivisibile. Quindi la componente comune rende possibile la inter-
relazione tra io e non io. Se non intervenisse la divisibilità dell’io all’interno dell’originalità e
infinità dell’io, allora si rischierebbe di restare nella stessa dimensione antinomica e dicotomica.

Antinomica → da antì nomos,

Dicotomica → da dis témno


Per questo l’io si esprime secondo Fichte attraverso la dialettica. Per cui queste tre fasi, o
momenti, della dialettica dell’io (tesi, antitesi, sintesi) non vanno nella prima introduzione alla
dottrina della scienza, non vanno intesi in senso cronologico, come fasi separate l’una dall’altra,
ma vanno intesi in senso logico e quindi come momenti che avvengono e si realizzano
contemporaneamente, corrispondenti alla physis (natura) dell’io. Di qui quello che è definito
idealismo etico di Fichte:

Radice etica dell’io


Se l’io è infinito la componente etica o la componente del prattein, che comprende anche il poiein,
risultano due componenti originarie e precedenti, la componente intesa come prius, antecedente
rispetto alla componente teoretica. Cioè l’essere dell’io è il derivatum, la conseguenza di quello
che l’io fa. Qui la radice di etica dell’io, che è determinato dal suo fare, agire. L’io è in base a ciò
che fa, ciò che produce. È la dimensione conoscitiva, che nella filosofia precedente costituiva il
prius, a partire da Aristotele la bios theoretikós aristotelico, costituisce il posterius, il conseguente
di ciò che l’io fa e produce. Quindi un altro aspetto importante, l’eudaimonia, la felicità dell’io, il
bene (l’agathon) coincide con l’attività dell’io, con l’autoaffermazione nel superamento del non io
e quindi del mondo naturale. Se quindi il bene, l’agathon, coincide con l’attività dell’io, di qui la sua
felicità, eudaimonia, o corrispondenza con il proprio demone. Invece il male coincide con l’inerzia
e l’inattività dell’io. Quindi un soggetto che passa la giornata a dormire, non solo spreca il suo
tempo ma non realizza l’essenza dell’attività dell’io e quindi è infelice. Per Fichte la radice
ontologica dell’io e del soggetto della comunità non sono altro che la conseguenza del suo fare e
del suo operare2. Invece il male, il negativo e quindi l’infelicità, scaturiscono dall’inerzia o
dall’inattività dell’io. Di qui non si fa altro che tornare all’essenza dell’io che corrisponde allo
streben, la tensione continua dell’io che corrisponde anche all’io inteso come tat handlung, azione
che implica il fatto. Di qui l’idealismo etico di Fichte in cui la componente etica intesa sia come
poiein che si trasforma in prius, indeterminante, e la componente teoretica si trasforma in
posterius perché noi conosciamo facendo, e il nostro essere è dato dal nostro operare. Ad
esempio qualcuno scrive una poesia, un romanzo, qualcuno effettua un importante esperimento
di fisica, anche questo coincide col poiein, dal quale scaturitrà il teorein e quindi scaturisce la
conoscenza e la felicità perché ha realizzato le possibilità, secondo Fichte infinite ed insite nell’io.
Di qui la radice etica, non solo per quanto riguarda il prattein, ma anche per quanto riguarda il
poiein dell’idealismo fichtiano, e di qui poi le conseguenze di questa radice etica della filosofia
fichtiana anche dal punto di vista politico.

La concezione politica 5
Alla base della formazione e della filosofia di Fichte si pongono due componenti, due episodi:

1. La pubblicazione della 2 ͣ critica kantiana (1788)


2. Inizio della Rivoluzione Francese (1789)
La Rivoluzione francese assume un ruolo importante dal punto di vista politico e filosofico perché
per Fichte attraverso la Rivoluzione l’uomo dimostra che cambiando, sovvertendo l’ordine
costituito può garantire completamente la sua libertà e quindi la sua attività infinita. Basti pensare
come conseguenza della Rivoluzione francese ai Decreti del 26 Agosto 1789 che esprimono per
Fichte l’essenza della rivoluzione e l’affermazione dell’io come comunità, la dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino: gli uomini nascono liberi e uguali. Questo per Fichte non è altro che
l’affermazione del liberalismo. Infatti il pensiero politico di Fichte è suddiviso in tre fasi:

1. Liberale o Giusnaturalistica →giusnaturalistica deriva da ius naturale, diritto naturale. I


diritti naturali che corrispondono alla fase liberale del pensiero di Fichte sono: uguaglianza di
ogni cittadino davanti alla legge, stessi diritti per ogni cittadino, diritto di proprietà, diritto alla
vita, diritto alla proprietà privata. Diritti espressi da Fichte già nel 1793.
2. 1796 → fase Comunitaria → corrisponde allo stato commerciale chiuso. In questa seconda
fase Fichte riflette sul ruolo esercitato dalla comunità. Per fase comunitaria si intende che tutti
i cittadini devono trovare piena espressione e soddisfacimento sia per quanto riguarda i diritti
civili (libertà d’espressione ecc.), ma anche per quanto riguarda i diritti economici (diritto: al
lavoro, ad una paga dignitosa, a non essere sfruttati nell’attività lavorativa, a lavorare in
condizioni igieniche che non danneggino la salute ecc.). Fichte fa riferimento alla Prussia del
suo tempo (fine ‘700) e riguarda più che la rivoluzione industriale, la proprietà feudale.
Riguardo questo, infatti, lo Stato aveva il compito di garantire a tutti: diritto di proprietà e al
lavoro.
 Diritto di proprietà → si intende che non solo ciascuno possa contare sui propri beni
senza che questi vengano sottratti, ma che i nullatenenti devono essere soddisfatti
attraverso, per esempio, la distribuzione di terre incolte o che appartengono alla proprietà
del villaggio. Quindi il diritto di proprietà deve essere assicurato a tutti i cittadini dello
Stato. Riferendoci alla Prussia di fine ‘700 per diritto di proprietà intendiamo proprietà
fondiaria.
 Diritto al lavoro → ciascun cittadino ha il diritto di esercitare un’attività lavorativa
corrispondente alle sue inclinazioni e alla politica che ha acquisito mediante determinati
studi e ovviamente ha il diritto a trarne una paga che corrisponda ai suoi bisogni e che
consenta di soddisfarlo pienamente. Tutto questo non fa altro che mettere in discussione la
ripartizione tra chi possiede enormi beni e chi non possiede nulla, ma mette anche in
discussione lo sfruttamento dei lavoratori che avveniva nelle grandi proprietà fondiarie con
la miseria e la fame.
3. La terza fase trova espressione nell’opera del 1808 “Discorsi alla nazione tedesca” →
pubblicati perché nel 1808 la Prussia e tutti i paesi di lingua tedesca erano stati attraversati e
conquistati dall’esercito napoleonico. Fichte con quest’opera intende mobilitare tutta la
popolazione tedesca ad armarsi e a respingere l’occupazione napoleonica, cioè a recuperare la
propria autonomia e indipendenza di carattere politico, militare, religioso e linguistico. Quindi i
Discorsi alla nazione tedesca trasformano un ruolo importante come tentativo di mobilitazione
di popoli che dal punto di vista politico erano frammentati, dato che la Germania era divisa in
tanti piccoli stati, ma la Germania era unita da due aspetti fondamentali:
 Religione luterana → mentre Napoleone voleva diffondere la religione cattolica
 La lingua tedesca
Quindi si impone l’idea di nazione come identità linguistica, culturale di usi e costumi che
non coincide con il nazionalismo, che invece corrisponde alla degenerazione dell’idea di
nazione perché dal nazionalismo scaturirà il tentativo delle nazioni di affermare la propria
autonomia, la propria superiorità (militare, politica e così via) sugli altri paesi e nazioni.
Quindi dal nazionalismo scaturirà l’imperialismo. Qui invece l’idea di nazione assume un
ruolo importante come unità, identità nazionale. Per esempio l’idea di nazione italiana
scaturisce dal fatto che parliamo la stessa lingua, abbiamo gli stessi usi e costumi, abbiamo
le stesse coordinate storiche ecc. Quindi all’idea di nazione corrisponde la definizione di
folk → popolo.
Schelling
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854): (assume un ruolo importante nell’ambito della
filosofia post kantiana) nasce a Leonberg, vicino a Stuttgard (Stoccarda).

Superò la selezione per accedere al collegio teologico di Tubinga (stipt, dal verbo stipten=fondare)

Infatti si trattava di una fondazione con finanziamenti privati e pubblici , riservata ai giovani più
promettenti affinché potessero approfondire gli studi teologici, in seguito gli sbocchi professionali
erano pastore protestante o docente universitario. Allo stipt incontra Hegel e Hölderlin;

Già nel periodo dello stipt, Schelling si interessa alla rivoluzione francese( affermazione della
libertà dei popoli), pianta l’Albero della Libertà, e allo stesso tempo si confronta con la filosofia di
Fichte, confronto destinato a diventare critico, in quanto riteneva la filosofia di Fichte ancora
dipendente alla concezione illuministica della natura come res extensa.

Dopo l’espulsione di Fichte dall’università di Jena, la sua cattedra viene assegnata a Schelling che
diventa docente universitario quando era ancora molto giovane( 23 anni).

Di qui poi comincio a pubblicare opere molto importanti come nel 1798 Sull’anima del mondo e
nel 1799 Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura; l’opera sistematica (nel senso che
sintetizzava tutti gli aspetti fondamentali della sua filosofia) pubblicata nel 1800 è Il sistema
dell’idealismo trascendentale.

In seguito insegnò a Würzburg e durante quest’insegnamento pubblico opere importanti come


Esposizione del mio sistema di filosofia(1801) e il Dialogo Bruno ( giordano bruno filosofo italiano
che venne bruciato vivo a campo de fiori nel febbraio del 1800) o Principio divino e naturale delle
cose nel 1802 e nel 1804 Filosofia E Religione.

In seguito insegnò a Erlangen e nel 1809 pubblica un’altra opera importante Le ricerche Filosofiche
sull’essenza della libertà umana.

Dopo la morte di Hegel, Schelling fu scelto per sostituirlo alla cattedra dell’Universita di Berlino, in
seguito muore in Svizzera mentre era in vacanza, soggiorno, nel 1854.

Fasi della filosofia di Schelling


1 Adesione alla filosofia di Fichte

2 Prende le distanze dalla filosofia di Fichte ed elabora la fisica speculativa e idealismo


trascendentale

3 Filosofia delle identità

4 Filosofia della libertà

5 Filosofia positiva (riferimento alle conferenze di Erlangen)

Ci soffermeremo sulle prime due, le più importanti.


Confronto critico con la filosofia di Fichte
Se da un lato Schelling riconosce a Fichte il merito di aver tentato di superare la componente
dogmatica della filosofia di Kant( della cosa in se) dall’altro individua un limite molto grave di
questa filosofia in quanto essa è fondata sulla dicotomia tra io ( componente attiva, dinamica) e
non io( componente inerte, passiva, identificata con la res extensa cartesiana)

Invece Schelling riteneva ( filosofo del romanticismo) che quello che Fichte definiva il non io, il
mondo naturale, non fosse inerte ma fosse attraversato da una vitalità interna, e in questo senso
la mutata era una manifestazione inconscia dell’Assoluto ( per Bruno e Spinoza manifestazione di
Dio) : infatti per Spinoza nella frase Deus sive natura identificava gli elementi naturali in unica
sostanza (Dio) distinguendoli in natura naturans (causa) e natura naturata (effetto); causa effetto
costituiscono ambedue la natura come spirito inconscio, da ciò scaturisce che il principio della
filosofia per Schelling non si identificava con l’Io Fichtiano ma con l’Assoluto che in quanto
assoluto( dal latino absolutus= sciolto, libero da qualsiasi condizionamento) che comprende in se
stesso in termini fichtiano l’io e il non io e in termini schellingiani la Nature Philosophie
(filosofia della natura) e la Geistes Philosophie ( filosofia dello spirito).

Il principio dell’assoluto è comprensivo, contenente al suo interno soggetto e oggetto poiché se


non contenesse uno dei due non sarebbe assoluto ma condizionato.

Si esprime nella natura intesa come spiritualità inconscia e nello spirito natura autocoscienze: e
infatti dedica una parte consistente della sua filosofia e in particolare del Sistema dell’iDealismo
trascendentale alla Fisica( nel senso analisi della physis e dei fenomeni naturali soggetti al
ghenestai jak apoiustai) Speculativa( dal latino speculum= specchio, la natura nei fenomeni che
la caratterizzano non fa altro che specchiarsi nella sua ?….. inconscia, la natura quindi è irrazionale,
possiede delle leggi intrinseche che spetta alla fisica speculativa individuare, ed è intesa come
organismo unitario

Superamento della concezione della natura di Galileo e Newton: per loro si esprime attraverso
leggi matematiche, attraverso un linguaggio quantitativo, per Schelling attraverso un linguaggio
qualitativo di essenze, quindi tenta di superare attraverso la spiritualità inconscia e insita bei
fenomeni naturali attraverso la manifestazione di questa spiritualità inconscia che schelling
definisce anima del mondo (Wert Zele) che non è altro che la psyché cosmo greca

Fenomeni del magnetismo elettricità e chimismo non sono altro che l’semplificazione della
sipitualitá inconscia dei fenomeni naturali considerati quindi come qualcosa di vivente, mentre
fichte considerava i fenomeni naturali come non io.

Nell’idealismo trascendentale è individuata la geistes philosophie (filosofia dello spirito), per


spirito si intende il genere umano, la comunità umana.

La geistes philosophie è ripartita in


-filosofia dello spirito soggettivo, (riguarda la conoscenza), o spirito teoretico in cui il soggetto
costituisce il prius e l’oggetto il posterius;

-nello spirito pratico vi è il capovolgimento di soggetto (posterius) e l’oggetto(prius)

Spirito teoretico e pratico risultano unilaterali in quanto lo spirito teoretico privilegia il soggetto
sull’oggetto e lo spirito pratico privilegia l’oggetto sul soggetto, se queste componenti risultano
unilaterali vengono superate nella concezione schellinghiana dell’Arte, in cui secondo Schelling da
un lato si esprime la componente conoscitiva e dall’altro la componente pratico-creativa: la
conoscenza si esprime poi in opera d’arte , in cui da un lato le due componenti della filosofia dello
spirito superano la loro unilateralità nel senso che la componente soggettiva e oggettiva diventano
un unicum inseparabile e inoltre si realizza completamente la separazione tra nature philosophie e
geistes philosophie in quanto contiene una componente naturale che è l’ispirazione dell’artista
che poi trova realizzazione nel tipo di arte considerato;

: componente istintiva e riflessiva trovano il loro compimento, realizzazione in quanto l’opera


d’arte non è altro che produzione( si realizza un’opera) estetica ( riguarda l’aisthesis la sensazione
nella quale componente intellettuale e sensibile sono reciprocamente coinvolte: infatti Kant nella
terza critica scriveva che l’opera d’arte non è altro che “ Freies spiuf (gioco) der
verstand( (intelletto) und der Einbildungskraft( skarft= capacità, einbildung= immaginare)

La produzione estetica non è altro che il risultato del libero gioco ( modo in cui l’artista riesce a
sviluppare la facoltà dell’intelletto( ordine) e quella della fantasia, immaginazione).

Spiegazione frase è l’organismo che organizza se stesso:

Quando Shelling parla di organismi non fa altro che individuare la nature un insieme di organi (dal
greco organon = parte che contribuisce all’equilibrio e all’armonia del tutto) e tutto si materializza
negli organi (esempio medico del cuore). L’organismo possiede in se stesso le sue leggi proprie e
realizzando le sue leggi proprie contribuisce all’armonia della natura. (il cuore attraverso le
pulsazioni garantisce l’attività circolatoria)

LA QUESTIONE DELL’ARTE(PAG 315)


L ‘arte non fa altro che esprimersi da un lato la sintesi dello spirito sia nella dimensione conoscitiva
che nella dimensione pratica o poietica, dall’altro lato non fa altro che esprimersi la sintesi tra
naturae philosophi e gaestesis philosophi ( filosofia della natura e filosofia dello spirito) nel senso
che nell’arte risulta presente la componente inconscia della natura, quindi quella che viene
definita anche ispirazione. Questa ispirazione poi si manifesta in un oggetto laddove poi qui
schelling non fa altro che sviluppare quanto kant aveva scritto nella 3 critica (l’arte non è altro che
il prodotto del libero gioco dell’immaginazione) cioè dell’immaginazione = della fantasia e
dell’intelletto attraverso il quale queste componenti immaginative e fantastiche vengono
organizzate in maniera sistematica. In questo modo schelling ribadisce sia la natura dell’arte sia
esprime filosoficamente la componente fondamentale del romanticismo secondo la quale l ‘arte è
la massima espressione dello spirito umano, esprime in questo modo nell’arte la sintesi, il vertice
sia della dimensione conoscitiva che dell’assoluto. L’assoluto, l’arche e il telos della filosofia di
schelling, si manifesta nell’opera d’arte.

HEGEL (pag 350- 351)


Georg Wihelm Friedrich Hegel nasce il 27 agosto 1770 a Stoccarda, dove frequenta il Gymnasium.
Nel 1788 Entra nello stift , un collegio in cui erano ammesse le menti superiori per studiare
teologia a Tubinga. Qui incontra schelling e holderin, con cui stringe una forte amicizia. Nel 1793,
completato il corso di studi, Hegel lavora come precettore fino al 1796 a Berna, poi a Francoforte.
Nel 1799 muore il padre lasciandogli una consistente eredità; così hegel abbandona il lavoro di
precettore e nel 1801 si trasferisce a Jena da schelling, dove si trattiene come libero docente sino
al 1807. Dopo l’occupazione francese hegel lascia Jena e si trasferisce a Bamberga, dove pubblica
la “fenomenologia dello spirito”. Dal 1808 è preside e professore di propedeutica filosofica nel
ginnasio di Norimberga. Nel 1818 viene nominato professore a Berlino presso la nuova università.
Muore il 14 novembre 1831 durante l’epidemia di colera che sconvolge Berlino.

A Jena nel 1801 Hegel pubblica “la differenza del sistema filosofico fichtiano da quello
schellinghiano”, poi “il rapporto dello scetticismo con la filosofia” , poi “fede e sapere”. Nel 1807
pubblica un’opera fondamentale “la fenomenologia dello spirito”.

A Norimberga pubblica una delle due opere più importanti tra il 1812 e il 1816 “l’ascesa della
logica”. Nel 1817 pubblica “l’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio” laddove questa
opera presentava e sviluppava il sistema filosofico comprendente logica, natura e spirito. Essa sarà
ampliata con edizioni successive attraverso le cosiddette “aggiunte”.

A Berlino nel 1821 pubblica “i lineamenti di filosofia del diritto” Muore nel 1831 per colera.

Nel periodo dopo la morte di hegel fanno parte le pubblicazioni delle lezioni che hegel aveva
tenuto nell’università di Berlino: “lezioni sulla storia della filosofia” dove ripercorre tutta la
filosofia occidentale dagli inizi fino alla filosofia tedesca, “lezioni sulla filosofia della prigione”,
“lezioni sull’estetica” e “lezioni sulla filosofia della storia”, che assumono un ruolo importante in
quanto sviluppano altre componenti della filosofia di hegel anche espresse in un linguaggio più
accessibile e divulgativo rispetto ad un linguaggio molto più impegnativo per iniziare la filosofia
delle opere etiche.

SCHEDA pag 352 GLI SCRITTI GIOVANILI 7


Wilhelm Dilthey pubblica un’opera intitolata “vita del giovane hegel”, riguardante il periodo di
formazione di hegel prima della pubblicazione delle opere di Jena. Due anni dopo un allievo di
Wilhelm dilthey, herman nohl, le pubblicò con il titolo “scritti giovanili su hegel”. Gli scritti
giovanili comprendono vari testi che costituiscono un elemento importante riguardo la formazione
del pensiero di hegel. Queste comprendono “il frammento di Tubinga” , “le opere del periodo
bernese” scritte durante la permanenza a Berna mentre effettuava il lavoro di precettore e in
particolare in questo periodo fanno parte “la vita di Gesù” e “la positività della religione
cristiana”, che sono sempre scritti di argomento religioso perché hegel considera l’analisi della
religione come lait faden che consente di comprendere le trasformazioni avvenute tra il mondo
antico e il mondo moderno.

Invece i frammenti del periodo di Francoforte(1796-1799) sono raccolti in un’opera del 1907
intitolata da hermann nohl “lo spirito del cristianesimo e il suo destino” (ha scritto il titolo alla
lavagna)

L’ultimo testo che conclude la raccolta di herman nohl è “il frammento di sistema” del quale però
ci sono pervenute soltanto pochissime pagine, in quanto le altre sono andate perdute. Questo
conclude anche il periodo di Francoforte e avvia il periodo di jena o jenense. Anche nel periodo
jenense sono state pubblicate postume alcune lezioni che hegel aveva svolto in questo periodo,
rimaste inedite, e in particolare nell’ambito della nuova edizione dell’opera di hegel “visione delle
opere complete” “gli avvolsi nel sistema jenensi” in cui hegel cominciava a designare gli aspetti
del sistema, cioè organizzazione complessiva del sapere filosofico, in cui le parti costituiscono
l’intero e l’intero si esprime nelle parti.

FRAMMENTO DI TUBINGA ha per titolo “religione popolare e cristianesimo”. Vuol dire che
hegel attraverso il lait faden della religione, individua come componenti alla base della storia e
dell’umanità, la religione definita oggettiva e la religione soggettiva. Distingue due tipi di religione
alla base della convivenza comune. Religione deriva da religio, relegare, che vuol dire che la
religione circoscrive, comprende determinati dogmi, determinati argomenti di fede, per relegare e
quindi estromettere le paure che caratterizzano il genere umano (paura della morte, componenti
metereologiche come eccessive piogge). Esistono sia religioni politeistiche che monoteistiche ma
entrambe relegano le paure.

SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI DI HEGEL:


Hegel aveva studiato teologia a Tubinga e infatti nei testi vedremo trattati argomenti di carattere
religioso che saranno utilizzati per interpretare il cambiamento ottenuto dal mondo antico al
mondo moderno.

In questo senso gli argomenti di carattere religioso rappresentano il filo conduttore (lait faden)
per comprendere il cambiamento ottenuto nel passaggio dall’età antica all’età moderna.

I testi non sono altro che il riflesso e la conseguenza degli studi che Hegel compiva in questo
periodo e della sua formazione filosofica.

DA CHI FURONO SCOPERTI I TESTI.


I testi giovanili di Hegel furono scoperti da Wilhelm Dilthey, maestro di Hermann Nohl, tra le carte
presenti nella biblioteca reale di Berlino, furono pubblicati solo successivamente poiché erano i
primi documenti che Hegel aveva conservato e che riguardavano gli studi che aveva condotto
durante le varie fasi della sua formazione filosofica (Tubinga, Berna, Francoforte) .

PERCHÉ GLI SCRITTI GIOVANILI VENNERO CRITICATI?


Gli scritti giovanili vennero criticati perché alcuni ritenevano che la componente teologica poi
contenesse al suo interno lo studio o il tentativo di ricostruire i caratteri delle antiche civiltà e in
particolare della civiltà ebraica e cristiana, ritennero quindi che il titolo scritti teologici giovanili
fosse riduttivo rispetto a ciò di cui Hegel aveva trattato.

Queste critiche però furono ritenute infondate perché gli scritti teologici giovanili rappresentano la
testimonianza degli studi religiosi di Hegel.

ANALISI CULTURALE E SOCIALE


Se l’argomento teologico è un argomento fondamentale, è anche importante l’analisi di carattere
culturale e sociale.

FRAMMENTO DI TUBINGA:
Il frammento di Tubinga risale al periodo successivo degli studi teologici di Hegel. Il titolo attribuito
da Hermann Nohl è “religione popolare e cristianesimo”. Hegel infatti analizza la componente
religiosa che era la componente che interessava e accomunava i vari popoli dato che sotto altri
punti di vista non erano unificati, come ad esempio dal punto di vista politico.

Hegel studiando il rapporto tra religione popolare e cristianesimo individua alle origini della
religione che accomunava i popoli due componenti: la religione oggettiva e la religione soggettiva.
Significato di religione( audio di Giacomo ).

La religione oggettiva si basa su determinati dogmi, determinate pratiche e culti che vengono
ripetuti; invece la religione soggettiva implicava il coinvolgimento emotivo e quindi un tipo di
rapporto con la religione non più esterno e dogmatico, ma elaborato è sentito. Infatti la nozione
Hegeliana della religione soggettiva implica quella che Hegel definisce immedesimazione o
coinvolgimento emotivo con la divinità.

Questo tipo di ripartizione Hegeliana implica un’ulteriore riflessione, cioè che, secondo Hegel, ci
sarebbe stata una religione primaria, soggettiva, secondo cui tutti gli uomini sarebbero stati
concordi nel tentativo di liberarsi dalle minacce che incombono sulla vita terrena, trovare
consolazione alla minaccia della morte. Successivamente la religione verrebbe degradata, nel
senso che si sarebbe ridotta a pratiche culturali imposte, senza alcun tipo di interpretazione
mediante l’analisi del fenomeno religioso, che partirebbe dalla fase originaria, positiva, per essere
poi condannata al declino, che corrisponde alla religione oggettiva.

PERIODO BERNESE
Del periodo Bernese ci sono pervenuti due scritti di Hegel, ossia “La vita di Gesù” e “La positività
della religione cristiana”. Questo periodo è definito dagli studiosi come “fase kantiana del
pensiero di Hegel”: fase kantiana nel senso che in questa fase Hegel interpreta il messaggio di
Gesù, il figlio di Dio, con un messaggio basato sull’imperativo categorico (pag. 183), quindi un
messaggio basato sull’Etica kantiana. Dunque Hegel si interroga sul come dal messaggio originario
di Gesù sarebbe scaturita la dimensione “positiva”, laddove il termine positivo è interpretato in
senso negativo, ossia come, attraverso varie fasi, il messaggio originario di Gesù, basato sull’Etica
kantiana, si sia trasformato in una serie di dogmi, in una condizione di esercizio del potere prima
religioso e poi politico.

FASI CHE HEGEL INDIVIDUA NEL PROCESSO DI DECADENZA:


Le prime fasi sarebbero state avviate, secondo Hegel, dagli apostoli, che avrebbero formato una
cerchia ristretta, limitata, staccandosi quindi dalla comunità cristiana originaria; il decadimento
continua con l’uso della religione per l’esercizio del potere sia religioso che temporale; la
decadenza prosegue poi fino a che non rimanga nulla della religione originaria.

QUAL È IL SENSO DELL’ANALISI SVILUPPATA DAL GIOVANE HEGEL?


Il cristianesimo contiene un messaggio valido basato sull’Etica Kantiana e, poiché Hegel scriveva
questi testi tra il 1793 e il 1796, periodo in cui la Chiesa cattolica possedeva il potere temporale, ne
esalta il messaggio originario cristiano che è stato smarrito.

PERIODO FRANCOFORTESE
I testi del periodo francofortese sono stati raccolti da Hermann Nohl, il quale gli ha attribuito il
titolo “Lo spirito del cristianesimo e il suo destino”.

I testi francofortesi documentano la filosofia di Kant come filosofia della scissione e della
separazione tra spontaneità, attività, inclinazione e dovere, autonomia della legge morale.

Se i testi della fase bernese coincidevano con la kantiana del pensiero di Hegel, i testi del periodo
Francofortese coincidono con la fase della critica complessiva e il distacco tra Hegel e Kant
secondo la teoria della separazione.

SCHICKSAL E LIEBE NELL’ HEGEL FRANCOFORTESE


La visione di schicksal(destino) è importante poiché Herman Nohl ha attribuito ai frammenti
francofortesi il titolo “Lo spirito del cristianesimo e il suo destino” un’annotazione importante
poiché Hegel in questo testo ripensa alla storia ebraica alla luce della nozione di schicksal
(destino). In particolare l’analisi Hegeliana è articolata in:

● giudizio universale: con il diluvio si sarebbe interrotto l’equilibrio tra uomo e natura, la
natura sarebbe diventata nemica a tal punto che distrugge tutti gli esseri viventi. (episodio
riportato da Hegel)Noè nella sua arca era riuscito a salvare se stesso e le altre specie animali
riuscendo così ad assicurare la sopravvivenza del genere umano e le vari specie animali; secondo
quanto scritto sull’antico testamento. Con questo episodio, secondo Hegel si sarebbe scissa
l’armonia tra uomo e natura. Se la natura in precedenza è considerata come natura ‘amica’ in
seguito la natura si trasforma in nemica a tal punto che minaccia la stessa estinzione del genere
umano. Sarebbe così intervenuta una condizione che Hegel definisce di entzweiung=lacerazione
(pronuncia=enzeuaiung) tra uomo e natura ma anche tra uomo e uomo(rapporti interpersonali,nei
rapporti di solidarietà che si trasformano in rapporti di odio, ostilità).

significato filosofico:
l’uomo ormai sta attraversando progressivamente una condizione di lacerazione sia rispetto al
mondo naturale che al mondo umano, a tal punto che questo tipo di lacerazione/separazione ha
richiesto per il popolo ebraico l’intervento di un dio, inteso come giudice implacabile ovvero un dio
che punisce coloro che non rispettano le tavole della legge(i 10 comandamenti). Attraverso i 10
comandamenti dio ha imposto la sua legge, coloro che trasgredivano la legge divina erano
condannati a una condizione senza appello(senza una possibilità di perdono e quindi di salvezza).

⇒la religione ebraica è caratterizzata da un lato dalla separazione tra uomo e natura dall’altro
dalla separazione tra uomo e uomo, inoltre è caratterizzata dall’individuazione di un dio creatore
che ha dato agli uomini, in particolare al popolo ebraico, le tavole della legge da applicare; un dio
giudice, severo che non perdona. Tutto ciò trova la sua espressione nella nozione di destino inteso
come un fato, una moira ineluttabile alla quale nessuno può sfuggire o evitare. il superamento di
questa separazione avviata dalla religione ebraica avviene con il messaggio di Cristo. Dio ha
tentato attraverso suo figlio di superare la religione ebraica sul destino ineluttabile attraverso
l’amore(liebe, si pronuncia libe). Per Hegel l’amore inteso come liebe non è altro che il
corrispondente dell’agape(carità) cristiano, intesa come superato dell’eros greco. La nozione di
agape viene recuperata nel senso hegeliano di liebe come tentativo di superare la religione ebraica
e la separazione tra uomo e natura. Secondo Hegel, attraverso l’amore, si supera qualsiasi
lacerazione, scissione poiché contiene la possibilità dell’unificazione ,la possibilità di superare
qualsiasi componente negativa sia riguardo al rapporto tra uomo e uomo sia il rapporto con la
natura. Nella concezione dell’amore è implicita quindi sia la componente di superamento dello
schicksal(destino) ebraico sia una componente filosofica poiché attraverso l’amore non si fa altro
che superare qualsiasi scissione all’interno di una componente unitaria di quello che Hegel
definisce intero. Quindi se avviene una componente di separazione questa componente di
separazione come uomo come natura contiene in se stessa come separazione nell’ambito di una
prospettiva olistica, la possibilità della ricostituzione dell’armonia originaria perduta.

Hegel scrive : “die liebe entholt die moglichkeit der vereinigung als ganzes” “l’amore
contiene la possibilità dell’unificazione come parti di un intero” destinate a ricostituirsi e a tornare
nell’intero da cui scaturiscono [poiché le parti in quanto parti sono parti dell’intero e l’intero non
può prescindere dalle parti perché se l’intero prescindesse dalle parti sarebbe solo una parte].

IL BISOGNO DELLA FILOSOFIA NELLA ‘DIFFERNZ’

Nello scritto pubblicato nel 1801,sul giornale critico di filosofia, ‘ differenz’, differenza del sistema
filosofico fichtiano da quello schellinghiano. primo scritto edito di Hegel del 1801 dopo che si era
trasferito a Jena(pronuncia: iena) e aveva iniziato a tenere i suoi corsi come docente straordinario
di filosofia e dove avevo incontrato l’amico dello stift→ Schelling.
Lo scritto sulla Differenz è importante per 2 motivi :

1. Hegel, nelle prime pagine, chiarisce da dove proviene il bisogno della


filosofia. Esso sorge quando interviene una condizione di lacerazione (entzweiung) nell’uomo
moderno, quindi da una ferita intesa dal punto di vista filosofico come separazione tra finito e
infinito universale ma anche una ferita intervenuta nell’ambito socio-politico tra l’individuo e la
comunità. La comunità non soddisfa pienamente gli individui che vivono al suo interno, a sua volta
i singoli non si sentono realizzati dalle leggi, dal potere o dalle condizioni di benessere o malessere
che la comunità realizza. Secondo Hegel interviene quindi la filosofia per ricomporre questa
scissione, individuando “l’infinito nel finito come vita” individuando la componente universale
all’interno degli aspetti singoli individuati (es. individuando un’unica legge presente nella natura,
un’unica legge presente nella comunità) e come vita, non nel suo divenire non in modo stabile ma
attraverso delle informazioni che avvengono nel rapporto tra finito e infinito o tra individuo e
comunità, la ricerca individuale non è mai risolutiva ma costituisce un tipo di ricerca in divenire
continuo.

2. Confronto delle filosofie tra Fichte e Schelling, nelle pagine successive, Hegel
ritiene che la filosofia di Schelling abbia superato la filosofia di Fichte. Se da un lato la filosofia di
Fichte aveva dimostrato l’infondatezza della cosa in sé Kantiana dall’altro la filosofia di Fichte è
definita da Hegel come jchlechte unendlichkeit (cattiva infinità). La filosofia di Fichte parte dalla
separazione tra io e non io e si risolve sempre nella separazione tra io divisibile e non io divisibile
allora l’io fichtiano non è infinito perché se fosse infinito comprenderebbe in se stesso il diverso da
sé e comprenderebbe in sé stesso il non io. Invece è un io finito perché esclude il non io perciò
l’infinità dell’io fichtiano è cattiva perché è un’infinita che esclude il non io, risulta finita perché
non comprende il non io. La buona infinità comprende in sé stessa sin dall’avvio l’io e il non io,
conferma poi, l’armonia di io e non io anche nella parte conclusiva. La vera infinità secondo Hegel
è realizzata dall’assoluto schellinghiano, in quanto assoluto comprende in sé stesso sia le
dimensione della natura che dello spirito poiché sono inseparabili.

Tutto ciò testimonia la condizione filosofica Hegeliana in sintonia con quella Schellinghiana poiché
l’assoluto schellinghiano garantisce la vera infinità in quanto contiene la natur filosofia e la
chaestes philosophie(filosofia dello spirito). A sua volta Hegel nella prefazione “fenomenologia
dello spirito” critica anche Schelling a tal punto che la critica della filosofia schellinghiana segnerà
una rottura sia dal punto i vista filosofico sia dei rapporti interpersonali. 8

TESTO PAG 384: I TRE MOMENTI DELLA LOGICA, fonte: Enciclopedia


delle scienze filosofiche 1817
Dal rigo 6 Paragrafo 79: Per intellettuale fa riferimento al verstand, intelletto, il quale spara
ciascun momento, ciascuna determinazione dall’altra, e Hegel precisa la distanza tra intelletto e
verità. Questo aspetto non fa altro che sottolineare la differenza tra dialettica Hegeliana e
l’intelletto kantiano che secondo Kant costituiva l’unica fonte di verità, mentre per Hegel tra verità
e intelletto si pone una separazione netta nel senso che l’intelletto in quanto separante risulta
distante, lontano dalla verità.
Della sua divisione= della sua partizione, le parti in cui questa viene suddivisa da Hegel.
Finisce il paragrafo 79 nel quale abbiamo visto riguarda la parte introduttiva in cui Hegel suddivide
la dimensione logica e ontologica, l’astratto o intellettuale, il dialettico o il negativo-razionale e lo
speculativo o positivo-razionale. Nei paragrafi successivi 80-81-82 Hegel analizza in maniera
dettagliata ciascuno di questi tre lati, partendo dal primo lato ovvero quello dell’astratto o
intellettuale.

Paragrafo 80: L’intelletto è una facoltà che compie delle determinazioni rigide, separate, fisse in
quanto non individua la relazione tra una determinazione e l’altra. Hegel intende per astrazione
che ciascuna determinazione prescinde dal suo opposto, la luce prescinde dal buio, la vita dalla
morte…ciascuna determinazione è un’astrazione in quanto prescinde e non tiene conto del suo
opposto. L’astrazione è astratta perché presenta o definisce ciascuna determinazione come
separata dal suo opposto. Eraclito scriveva nel frammento 67 (Il dio è giorno notte, inverno estate,
guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando si mescola ai profumi e prende nome
dall’aroma di ognuno di essi). Il giorno non può prescindere dalla notte, il giorno che prescinde
dalla notte è un’astrazione perché il giorno in quanto giorno implica degenerazione della notte,
come la notte non può prescindere dal giorno perché una volta consumata la sua componente
ontologica, la notte è costretta a cedere al giorno.

Paragrafo 81: Hegel chiarisce cosa intende per negativamente razionale o lato dialettico. Nel
momento dialettico ciascun lato perde completamente la sua astrazione e rinvia al suo opposto. Il
momento dialettico la metabasis come dirà Hegel “fluido” (scorrevole) dal momento all’atto come
componenti imprescindibili dell’essere e della fase logica, quindi dall’opposto, per esempio dal
sonno alla veglia, dalla fame alla sazietà come componenti imprescindibili, Hegel precisa che la
dialettica non va intesa come esercizio formale per prevalere sull’interlocutore, ma non è altro che
il cuore pulsante della filosofia, non c’è filosofia senza il superamento di una determinazione fissa
e rigida. Attraverso la dimensione dialettica che Hegel recupera da Eraclito dal frammento 67,
interviene una nuova facoltà che Hegel individua come facoltà superiore, ulteriore rispetto
all’intelletto e alla ragione. In questo modo si realizza quella che è definita “ umkehrung”,
capovolgimento, rispetto a Kant nel rapporto tra intelletto e ragione. Se in Kant nella Prima Critica
l’intelletto costituiva la facoltà che contribuiva alla legittimità dei giudizi sintetici a priori e la
ragione costituiva la facoltà che produceva conoscenze infondate, in Hegel il rapporto tra intelletto
e ragione risulta capovolto (umkedreht, participio passato del verbo umkehren). L’intelletto
costituisce una facoltà limitata, finita perché sviluppa determinazione fisse, rigide, ciascuna
separata dall’altra, la ragione costituisce la facoltà che supera un tipo di sapere astratto, separato
e individua la relazione stretta tra determinazioni opposte, in quanto imprescindibili. In questo
modo la dialettica in Hegel si trasforma in momento o attività fondamentale della filosofia, perché
soltanto attraverso la dialettica ciascuna determinazione perde la sua astrazione, sulla base anche
della frase spinoziana che Hegel ricorda: “Omnis determinatio est negatio”. La determinazione
dell’assenza è negazione della presenza; questa frase non è altro che la conferma del modo in cui
Hegel intende, sviluppa la dialettica definita negativamente-razionale, negativamente sulla base
della negatio spinoziana e razionale nel senso che è la facoltà che supera le rigide separazioni
dell’intelletto e la ragione. 9

Hegel scrive che “ la dialettica viene considerata come arte  estrinseca del discorso che produce
apparenza di convinzioni “ vuol dire che abitualmente la dialettica viene interpretata come arte
estrinseca (indipendente da qualsiasi contenuto) ,dal punto di vista del prevalere della propria
argomentazione su quella degli altri. Quindi in un certo senso viene intesa come dialettica da un
lato antinomica perchè dialettica costituita dal rapporto di due posizioni contrapposte e dall’altro
viene considerata come arte del discorso,arte del fare prevalere le proprie tesi rispetto alle
antitesi. Attraverso cui Hegel si riferisce mediante la dialettica formalistica antinomica
( antinomica=  tesi contrapposte) e con questo tipo di concezione formalistica della dialettica si
tende a far prevalere la propria tesi indipendentemente dalla validità o dal contenuto che viene
sostenuto. Infatti Hegel prosegue affermando che spesso la dialettica viene considerata come
“altalena di ragionamenti” (altalena vuol dire andare su e giù nei ragionamenti) sempre in un
senso normale senza in alcun modo prendere in considerazione i contenuti che sono oggetto del
confronto dialettico. Hegel successivamente “nella sua determinatezza peculiare” asserisce che
nella dialettica si risolvono le determinazioni fisse e rigide ,ognuna separata dall’altra,
dell’intelletto ( se io dico giorno nella dialettica esso si contrappone con la notte , se dico fame la
fame si pone in relazione alla sua contrapposizione con la sazietà) e quindi continua “ nella
natura  Finito generale” perché il finito ontologicamente implica la sua negazione che corrisponde
all’infinito, l’infinito in quando infinito implica la negazione del finito. Poi Hegel chiarisce che
l’abilità della dialettica come movimento è immanente oltrepassare (passare oltre). Quindi la
dialettica non è altro che questo passaggio tra la dimensione alla sua dimensione opposta e in
questo senso Hegel non fa altro che ribadire quanto scritto da Eraclito nel frammento 67 ( il Dio è
giorno e notte, fame e sazietà, guerra e pace) .Hegel fa anche riferimento a quanto scritto da
Spinoza ( ogni determinazione è negazione del suo opposto) es. la Luce è negazione del buio, la
fame della sazietà.

Conclusione Testo pag 384 (spiegazione terzo lato)


Allora la novità introdotta da Hegel nella dialettica coincide con questo terzo lato del documento
che è quello razionale o speculativo cioè in senso lato sono contenuti i due lati precedenti, non nel
senso della negazione ma nel senso della risoluzione del contrasto che caratterizzava il lato
negativamente razionale. Quindi la novità introdotta da Hegel coincide con il lato speculativo
negativamente razionale. Quindi la dialettica conduce ad un risultato cioè a risolvere in contrasto
le contrapposizione del secondo lato. E quindi se nel primo lato si costituiva la tesi, nel secondo
lato l’antitesi, nel terzo lato c’è la sintesi o la risoluzione quindi contraddittoria con il secondo lato.
Definita razionale perché la facoltà del terzo lato è la ragione, la quale unisce  i momenti
contrastanti e quindi unisce la luce e il buio attraverso la loro risoluzione. Ad esempio se prevale la
sazietà sulla fame non vuol dire che la fame venga annullata ma che la sazietà costituisce poi
l’inizio di un ulteriore movimento ,attraverso cui spiega ed elenca laddove la sazietà da sola
implica un momento astratto,laddove la sazietà insieme alla fame indica il momento o dove la
fase razionale e la risoluzione di queste due non è altro che l’affermazione della sazietà o della
fame che costituisce il momento del divenire. (continua a leggere il testo..)
Hegel per pensieri formali intende un tipo di determinazione separata rispetto al suo
opposto ,quindi al contrario. In questo contesto i termini astrazione e formale assumono un
significato negativo, laddove assumono un significato positivo i pensieri concreti (che hanno un
contenuto) il cui contenuto si sviluppa nel movimento dialettico. (continua a leggere..)
Il contenuto dell’intelletto come fase destinato ad essere superato sia dal negativamente razionale
che dal positivamente razionale.(continua a leggere…)
Istoria vuol dire un racconto/una narrazione delle varie fasi attraverso cui si sviluppa il momento
dialettico ( che verrà sviluppato nell’opera del 1807 “fenomenologia dello spirito).

Quindi questi sono i tre momenti della logica ,ora Hegel sviluppa la sua logica attraverso sia
l’articolazione del sapere che viene articolato dalla logica ,nell’antitesi dalla natura e nella
sintesi dallo spirito. Nella trattazione del sapere indica quale itinerario occorre percorrere per
giungere a questo tipo di sapere e poi articolarlo e svilupparlo, Hegel descrive questo itinerario
nell’opera del 1807 “ la fenomenologia dello spirito”. I termini chiave alla base di
quest’opera sono : fenomenologia, esperienza (Erfahrung) e bildung (formazione). Fahren =
viaggiare quindi l’esperienza non è altro che un viaggio costituito da varie tappe in cui il punto di
arrivo si distingue da quello di partenza, il punto di arrivo ci insegna qualcosa rispetto al punto di
partenza. Hegel infatti non fa altro che analizzare il viaggio compiuto dalla coscienza individuale
nella prima parte della fenomenologia dello spirito per superare la dicotomia da soggetto a
oggetto. Poi ancora questo viaggio prosegue nella seconda parte della cronologia dello spirito in
cui Hegel passa dalla coscienza individuale alla coscienza collettiva o comunitario, quindi il viaggio
individuale nella seconda parte vedremo si trasforma in viaggio storico. il titolo dell’opera è
fenomenologia dello spirito (fainomenon) quindi il modo in cui appaiono le tappe del viaggio in cui
lo spirito genitivo è inteso sia nel senso di genitivo soggettivo ( lo spirito è colui che compie il
viaggio) laddove Hegel intende per spirito la dimensione sia individuale che collettiva. Si intende
quindi sia la componente soggettiva che quella collettiva del genere umano, ma viene inteso
anche come genitivo oggettivo nel senso che poi il contenuto di questo viaggio non è altro che il
manifestarsi dello spirito sia individuale che collettivo. L’altro termine chiave è bildung, la parola è
sostantivo del verbo bilden che vuol dire formare, quindi Hegel individua le varie tappi in cui si
forma  il soggetto della dimensione comunitaria per giungere al sapere assoluto. Ora il termine
bildung è importante perché la fenomenologia dello spirito non è altro che il tentativo di
esprimere filosoficamente un genere letterario che si stava diffondendo nella cultura tedesca in
quel  periodo definito romanzo di formazione (bildung Roman). Sapete infatti che Goethe ha
scritto varie redazioni del romanzo di formazione a partire dalla visione teatrale , il diario di
apprendistato e il diario di viaggio.  Quindi il romanzo di formazione costituiva un genere letterario
che Hegel poi sviluppa/amplia dal punto di vista filosofico, in questo senso la fenomenologia dello
spirito non è altro che il romanzo di formazione; non più inteso come genere letterario narrativo
ma come romanzo di formazione  filosofica.
(Pg 368 libro.)
Ora attraverso le esperienze della coscienza o dello spirito ,perché in alcuni casi per Hegel
coscienza e spirito diventano sinonimi.( però nello sviluppo della cronologia vedremo che Hegel
porrà un determinato significato alla coscienza). Hegel individua quello che definisce figure che
non sono altro che le tappe attraversate dallo spirito per superare quella che Hegel definisce
coscienza naturale/immediata ,secondo la quale il vero consisterebbe nella certezza sensibile.
Successivamente si passa dalla coscienza naturale alla percezione e all’intelletto in ambito della
coscienza. pag 368 ci sono le varie tappe attraversate dallo spirito nel percorso
fenologico.
Il percorso è scaturito da Hegel in coscienza, ragione e autocoscienza. Questi tre momenti
appartengono alla coscienza individuale per poi proseguire nello spirito,in cui si supera la
coscienza individuale e si passa alla coscienza collettiva del genere umano. In ciascuna di queste
figure o tappe sono contenute delle sottotappe attraverso cui si sviluppa il divenire dell’esperienza
dello spirito. Per coscienza (beunstzein) si intende quella parte del percorso in cui il vero è dato
dall’oggetto e il non vero è dato dal soggetto. Hegel dimostrerà la contraddittorietà di questa
definizione di coscienza a tal punto che poi si giungerà alla seconda tappa del percorso cioè
all’autocoscienza ( selbotbanunstzein ) .
Fenomenologia dello spirito
Quest’opera costituisce per Hegel l’introduzione all’argomento filosofico e quindi la
“Fenomenologia dello spirito” è stata definita un’opera propedeutica cioè da cui prende avvio il
sapere filosofico. La “Fenomenologia dello spirito” costituisce l’avvio alla filosofia attraverso un
determinato percorso che Hegel definisce “umkehrung”, la cui traduzione comune è “esperienza”
tuttavia la radice di umkehrung è il verbo fare, viaggiare; la vita non è altro che un viaggio quindi in
questo senso la parola “viaggio” costituisce una delle parole chiave della “Fenomenologia dello
spirito” da cu deriva “umkehrung”.
Quindi Hegel espone il viaggio compiuto, nel senso di esperienza, sia a livello individuale che a
livello collettivo, del percorso filosofico.

Per quanto riguarda l’articolazione dell’opera la prima parte comprende : coscienza, autocoscienza
e ragione.

 Per coscienza Hegel intende che il prius, il vero è costituito dall’oggetto e invece il
posterius è costituito dal soggetto.
 Nell‘autocoscienza invece per Hegel avviene l’umkehrung ovvero il capovolgimento o
l’inversione del rapporto tra soggetto e oggetto nell’autocoscienza in cui il soggetto
costituisce il prius o la componente consapevole e il posterius è dato dall’oggetto quindi
l’oggetto è il derivatum e il prius è costituito dalla dimensione soggettiva.
 Invece nella ragione viene superata la dicotomia tra coscienza e autocoscienza in cui una
privilegia l’oggetto e l’altra il soggetto quindi costituiscono due componenti antinomiche e
infatti la ragione costituisce il superamento della conservazione di coscienza e
autocoscienza cioè la sintesi di queste due componenti che precedentemente risultavano
separate in quanto non si compone un soggetto senza un oggetto e non si compone un
oggetto senza un soggetto che lo identifichi e che lo definisca.

Per quanto riguarda l’approfondimento dialettico:

 Coscienza corrisponde all’astrazione o in altri termini alla tesi.


 Autocoscienza corrisponde al negativamente irrazionale o in altri termini all’antitesi.
 Ragione corrisponde al positivamente razionale o in altri termini alla sintesi delle
precedenti due componenti.

Poi Hegel individua varie fasi nello sviluppo del divenire di coscienza e autocoscienza come l’
indipendenza e dipendenza dell’autocoscienza: signoria e servitù.

La dialettica tra signore e servo si sviluppa in questi termini:


L’autocoscienza in quanto autocoscienza, Hegel scrive che, diventa consapevole di se stessa
soltanto in relazione a un’altra autocoscienza. Quando qui Hegel utilizza la parola autocoscienza
ovviamente si riferisce alla soggettività e di qui allora l’autocoscienza o soggettività si confronta
con un’altra autocoscienza perché anche noi per natura ci rapportiamo con gli altri ; questo
confronto poi è destinato a sfociare in un vero e proprio contrasto tra le due autocoscienze e
questo contrasto non può risolversi con l’annientamento di una autocoscienza rispetto all’altra
perché se un’autocoscienza annientasse l’altra autocoscienza allora verrebbe meno quello che
Hegel definisce (umkehrung) cioè il riconoscimento di un’autocoscienza rispetto ad un’altra;
di conseguenza il rapporto tra le due autocoscienze è destinato a risolversi con un’autocoscienza
dominante che si identifica nella signoria ed un’autocoscienza dominata che si identifica nella
servitù. Quest’analisi può
sembrare astratta filosoficamente invece non è altro che l’espressione o il resoconto in termini
filosofici dei rapporti dal punto di vista socio-economico che si costituiscono per esempio tra il
signore feudale e il servo della gleba per quanto riguarda il feudalesimo oppure il contrasto tra le
classi sociali nel mondo romano o nel mondo orientale.

Quindi Hegel analizza i contrasti socio-economici in termini filosofici attraverso questa figura:
signoria-servitù. Per Hegel il punto di arrivo si trasforma in punto di partenza perché non si arriva
mai una posizione statica.
Infatti il rapporto tra signoria e servitù non è destinato secondo Hegel a restare statico in quanto è
destinato a modificarsi, a “fluidificarsi” cioè a trasformarsi per via della diversa relazione che le
due autocoscienze stabiliscono con la cosa, il morto essere con la terra per esempio da cui si
traggono i frutti dal lavoro. Il signore si rapporta con la terra godendo dei frutti del lavoro del
servo quindi il rapporto tra il signore e la cosa è determinato dal godimento, quello che Hegel
definisce “gheinus”; si tratta però di un rapporto sterile perché il godimento produce altro bisogno
e quindi riguarda un rapporto determinato da rapporti biologici. Invece il rapporto tra il servo e la
cosa cioè la terra è determinato dal lavoro. Hegel infatti scrive:” Albeit bildet” = il lavoro forma
significa che attraverso il lavoro si stabilisce un processo di formazione sia oggettivo che
soggettivo, processo invece totalmente estraneo al signore che gode dei frutti .
Questo processo è oggettivo perché attraverso l’attività lavorativa il servo trasforma il terreno per
ricavarne i frutti durante tutto l’anno, ma anche in senso soggettivo perché attraverso il lavoro il
servo diventa consapevole delle sue abilità psico-fisiche e si rende conto che dal suo lavoro
dipende il sostentamento del servo ma se dal lavoro del servo dipende la sopravvivenza del
signore, allora il servo si trasforma in signore e il signore si trasforma in servo; quindi attraverso
questo rapporto differente tra il servo e il signore riguardo il morto essere si realizza l’ umkehrung
o capovolgimento delle due figure iniziali.

Se all’inizio il signore signoreggiava e il servo era destinato a morire poi attraverso l’attività
lavorativa del servo , il servo diventa consapevole del suo ruolo vitale in quanto dalla sua attività
lavorativa deriva la sopravvivenza del signore. Di conseguenza il signore diventa servo perché ha
bisogno del lavoro del servo e il servo diviene signore perché la sua attività lavorativa tiene in vita
il signore. In questo modo si ha così il capovolgimento cioè l’umkehrung del rapporto iniziale.

La valenza formativa del lavoro


Il lavoro è importante perché attraverso l’attività lavorativa ciascuno diventa consapevole di sè
stesso, delle sue qualità, delle sue abilità e del ruolo che esercita nella società. Il lavoro forma
perché attraverso il lavoro ciascuno diventa consapevole delle sue abilità.

Attraverso il ruolo fondante del lavoro Hegel ne riconosce la dimensione fondamentale dello
sviluppo del genere umano ma per quanto riguarda l’articolazione cronologica attraverso il lavoro
si realizza il capovolgimento rispetto le figure iniziali (signore dipende dall’attività lavorativa del
servo e il servo diviene signore perché dalla sua attività lavorativa dipende il signore).

l’ulteriore fase della prima parte individuale viene definita da hegel stoicismo e scetticismo.

qui hegel fa riferimento alla ‘scuole’ filosofiche post aristoteliche e in particolare lo stoicismo per
hegel è caratterizzato dalla indipendenza nei confronti del mondo esterno (lo stoico riesce a
costituire un tipo di vita che lo rende indifferente e indipendente nei confronti del mondo esterno)
questa posizione stoica di indifferenza del mondo esterno è una posizione ‘bilaterale ‘ perché
privilegia l’autonomia del ‘mercato filostoico’ rispetto all’ambiente circostante.

e di conseguenza questa posizione bilaterale è destinata ad essere superata dallo scetticismo.

questo invece considera il mondo esterno come inaffidabile, infondato a tal punto che non fa altro
che negare producendo come conseguenza l’epochè ( la sospensione) da cui deriva l’apasia
(impossibilità di dire o esprimere qualsiasi tipo di verità)

[da cui deriva la parola apatico]

il superamento dell’apasia di stoicismo e dello scetticismo è dato da quella che definisce hegel
coscienza infelice.

la coscienza infelice è una coscienza tormentata destinata a una condizione perenne di infelicità
perché basata sulla separazione tra aldiquà e aldilà.
(mondo terreno e mondo ultraterreno)

il mondo terreno è un mondo destinato alla morte, il mondo ultra terreno è un mondo eterno.

la coscienza è infelice perché consapevole della distanza superabile tra trasmutabile e


intrasmutabile e vive nella condizione di separazione.

questo tipo di coscienza infelice che hegel analizza corrisponde a un punto cardine del
cristianesimo in cui si era consapevoli della distanza tra dimensione terrena e dimensione
ultraterrena, consapevoli dei limiti insuperabili dell’uomo.

e la consapevolezza dei limiti insuperabili dell’uomo ha prodotto secondo hegel la coscienza


infelice.

invece con la ragione si supera la dicotomia tra coscienza e coscienza, sia signoria servitù che
stoicismo coscienza infelice erano annoverate per hegel nella parte relativa alla conoscenza invece
con la ragione la dicotomia tra oggetto e soggetto che produceva questo tipo di contrasto è
superata perché la ragione individuando l’attività razionale non può non comprendere l’oggetto e
l’oggetto in quanto venga pensato è inserito o prodotto dall’attività razionale.

in questo modo non si può porre una ragione senza oggetto e un oggetto senza ragione e quindi la
ragione costituisce il superamento della dicotomia tra coscienza e autocoscienza.

Fenomenologia di Hegel
Con la ragione si conclude il percorso alla coscienza singola, individuale e si supera la dicotomia tra
coscienza, in cui l’oggetto costituiva il prius e il soggetto del posterius, e autocoscienza in cui il
soggetto costituiva il prius e oggetto posterius. Nella ragione invece non si può costituire
un'attività razionale senza progetto a cui si riferisce l'attività razionale, non si può comprendere e
individuare l'oggetto senza la ragione che si riferisca a questo. Quindi con la ragione si supera la
dicotomia tra coscienza e autocoscienza e di conseguenza nella terminologia hegeliana coscienza e
autocoscienza vengono superati dalla ragione nel senso della “aufhebung” ovvero "superamento
nella conservazione”. Quindi la ragione supera la unilateralità della conoscenza e autocoscienza
ma ne conserva nella sua memoria l’esperienza compiuta e i contenuti. Cioè la sintesi (terzo
momento del divenire dialettico) supera l'antinomia dei due lati precedenti però li conserva,
mantiene il loro contenuto all'interno della sua nuova configurazione che si costituisce come
superamento della dicotomia in coscienza e autocoscienza, della “einseitigkeit” ovvero
“unilateralitá”. Se quindi la ragione supera coscienza e autocoscienza nel senso della aufhebung
costituisce l’ultima tappa del percorso a livello individuale perché poi si procede per quanto
riguarda la componente comunitaria, del genere umano, presente nella cronologia dello spirito. lo
spirito vero che per Hegel coincide con le digita da cui deriva da sinincrat ovvero la dimensione
comunitaria in cui l'individuo si realizza nella collettività e in cui la comunità comprende l'individuo
come parte integrante, insostituibile. a tal punto che la condizione dell'eticità secondo Hegel è
stata individuata in maniera compiuta, perfetta, soltanto nel mondo greco I greci definivano
"idiotes" colui che si distaccava o si poneva in antitesi con la dimensione comunitaria, e che
affermava la superiorità della propria componente individuale, soggettiva rispetto alla comunità.

Per quanto riguarda lo spirito vero, Hegel si sofferma in particolare sulla legge umana e la
legge divina. la legge umana è espressa secondo Hegel dall'uomo (Mann) mentre la legge divina
è espressa dal elemento femminile (weibliches). Questa antitesi, qui corrisponde la legge naturale
e la legge spirituale, Hegel ne individua la maggiore espressione nella tragedia di Sofocle:
l’Antigone. L’opera racconta la storia di Antigone, che decide di dare sepoltura al fratello Polinice
conto la volontà del nuovo re, Creonte. Ma appena viene scoperta, viene imprigionata dal re per il
resto della sua vita in una grotta. Creonte però in seguito alle profezie dell’oracolo decide di
liberarla, ma è troppo tardi perché Antigone nel frattempo decide di impiccarsi. Questo porta al
suicidio anche il figlio di Creonte, e anche sua moglie, lasciando così Creonte a maledire la sua
stoltezza.

Quindi tra Antigone e Creonte si sviluppa la dicotomia tra legge civile, legge del re che lascia
insepolti il fratello, e leggi emana, naturale secondo la quale i corpi vanno sepolti e sottratti alle
bestie feroci e intemperie naturali punto di cui si avvia il contrasto tra le due leggi e cioè: è
superiore la legge del re o la legge naturale che assicura degna sepoltura ai morti?

Hegel individua nelle due leggi le due componenti destinati ad essere superati in una sintesi in cui
la legge dello stato deve riconoscere il diritto alla sepoltura e se Antigone e Creonte costituiscono
due componenti unilaterali, che nel loro contrasto producono gli eventi tragici, vanno superate
attraverso la sintesi e quindi la dimensione della aufhebung. Hegel successivamente partendo dal
mondo greco procede attraverso le tappe in cui si è sviluppato il genere umano mediante il
riferimento sia alla Riforma, all’illuminismo e alla rivoluzione francese sino aggiungere al secondo
momento dello spirito nella religione, in cui prevale la componente interiore e quindi quella
trascendente che genera delle divinità che superano, sono superiori al genere umano: La
componente interiori trascendente risulta superiore rispetto a quella esteriore di un Dio in cui
secondo Hegel la religione non è altro che oggettivazione da parte del genere umano delle paure,
delle minacce che incombono sulla sua vita quotidiana ovvero: morte, fammi, malattie, calamità
naturali. Attraverso quindi questa introspezione della religione si pongono le condizioni perciò che
affermerà uno degli allievi di Hegel: Ludwig. Ricordiamo che i migliori allievi sono quelli che
uccidono il maestro con il parricidio spirituale come aveva fatto Platone nel Sofista.

Sapere Assoluto
La dimensione individuale (è il punto finale del percorso cronologico (trova un punto stabile e
quindi il sapere assoluto costituisce il punto finale (endounkt), ma se il sapere assoluto costituisce
il punto finale allora costituisce anche il punto iniziale del sapere filosofico (anfangspunkt). il
sapere filosofico consiste nel sistema hegeliano tripartito in logica, natura e spirito.

Domanda sulla lezione precedente:


Hegel, nella Scienza della Logica, si pone il problema su che cosa si deve incominciare la Scienza.
Come risolve questo problema?

Il problema dell’inizio è dato dal fatto che, almeno apparentemente, sembra che ci si trovi in una
condizione iniziale di assenza di sapere o di fondamento. L’inizio della filosofia è dato sia dal
percorso fenomenologico sia dalle domande che questa (filosofia) pone. L’inizio della filosofia è
dato dalla domanda riguardante “con che cosa, con quale argomento si deve cominciare”, ma
porre la domanda vuol dire già delineare la risposta. Infatti, l’inizio della filosofia è dato dalla
attività pensante e dal linguaggio mediante cui si pongono le basi per l’avvio del percorso
filosofico. Quindi, nella domanda “con che cosa si deve cominciare” già si avvia il percorso
filosofico in quanto la domanda, da un lato contiene il linguaggio e il pensiero attraverso cui si
articola la domanda, e dall’altro la domanda genera un contenuto che riguarda sia il percorso
fenomenologico sia l’avvio del sapere filosofico. L’inizio è dato dal percorso filosofico e dalla
domanda che, in quanto domanda, già avvia il percorso filosofico. La risposta è data quindi dal
percorso filosofico fenomenologico, infatti la logica implica proprio il percorso della
fenomenologia, ovvero il percorso in cui si attraversa l’esperienza mediante la Bildung
(formazione), e il punto di arrivo è dato dal sapere assoluto. Ma il punto di arrivo costituisce il
punto di partenza del sapere filosofico. Perciò, il punto di arrivo e il punto di partenza si
congiungono come due momenti imprescindibili della filosofia. Infatti, solo dopo aver effettuato il
percorso fenomenologico si può passare alla Logica.

Argomento del giorno: LOGICA DELL’ESSENZA, (Wesen), inteso come per sé, che coincide
con il negativamente razionale.

Quantità e qualità

Molto importante per Hegel è l’Etwas, ovvero il qualcosa, da cui scaturisce la qualità dell’ente,
che è una caratteristica propria di un ente specifico. Perciò, se la qualità costituisce una
determinazione propria e specifica di un ente, allora viene definita da Hegel come prima
dimensione, ovvero quella immediata, o l’in sé, destinata a essere superata per il procedere
dialettico hegeliano dalla quantità. La qualità di un ente deve essere integrata dalla quantità
dello stesso ente. Quindi, se la qualità costituiva l’in sé, o l’immediatezza, la quantità costituisce il
per sé, ovvero la mediazione, e ambedue le dimensioni risultano
Einseitig, unilaterali, e sono destinate a essere superate attraverso la concezione hegeliana dell’
Aufhebung dalla misura. Questa per Hegel non è altro che il quanto qualitativo e la qualità
quantitativa. Con la misura, Hegel conclude la logica dell’essere, che è destinata a essere
superata con il per sé, che è identifcato con la Logica dell’essenza.

La Logica dell’essenza
Questa costituisce la dimensione propria e intrinseca dell’ente e, infatti, l’essenza prima appare, o
si manifesta in maniera incerta, quindi il primo momento dell’essenza è lo Schein, cioè la
parvenza, il secondo momento dell’essenza è l’Erscheinung, il fenomeno o l’apparenza, e il terzo
momento è la Wirklichkeit, cioè l’effettualità o la realtà in atto. L’essenza prima si manifesta
nello Schein, nella sua parvenza, e quindi in modo incerto, incompleto e superficiale, poi si
manifesta nel fenomeno, ovvero in ciò che appare. La concezione hegeliana dell’apparenza e del
fenomeno risulta un tipo di concezione completamente distante rispetto a quella kantiana. Se Kant
distingueva fenomeno ed essenza o fenomeno e cosa in sé, per Hegel, che supera qualsiasi
dualismo e supera la concezione dell’intelletto astratto separante, il fenomeno contiene l’essenza
dell’ente, il fenomeno dell’alba, del tramonto, e così via, nel senso greco di Phainomenon, e
l’essenza si manifesta nel fenomeno, come due componenti strettamente interdipendenti. Di
conseguenza, la concezione hegeliana dell’Erscheinung costituisce un’ulteriore testimonianza del
superamento sia della filosofia kantiana che di quello che Hegel definiva intelletto astratto, che
in quanto astratto astrae e separa le varie determinazioni. Al contrario la ragione non fa altro che
unire le determinazioni nel loro nesso reciproco sulla base della frase spinoziana “Omnis
determinatio est negatio”. Perciò, il fenomeno contiene l’essenza e l’essenza si manifesta nel
fenomeno.

Concezione della Wirklichkeit

La Wirklichkeit segna l’Aufhebung, ovvero il superamento nella conservazione di Schein ed


Erscheinung e costituisce la realtà in atto in cui si manifesta l’essenza pienamente, laddove la
concezione hegeliana della Wirklichkeit non è altro che l’affermazione della concezione aristotelica
dell’atto. Aristotele scrive nella Metafisica, zeta, 6 “non occorre sempre ricorrere a definizioni, in
certi casi bisogna procedere per induzione” e attraverso degli esempi descriveva l’atto come il
costruire rispetto alla possibilità di costruire, lo studiare rispetto alla possibilità di studiare e così
via. Aristotele utilizzava due termini specifici per quanto riguardava l’essere in atto, ovvero
Energheia, inteso come atto in senso dinaminco (infatti la realtà in atto hegeliana corrisponde
all’energheia aristotelica in cui si manifesta l’essenza come dinamicità, ovvero che possiede in sè
stessa anche la possibilità di un ulteriore atto. Perciò non è un atto compiuto e definitivo) e
Entelkeia, ovvero atto compiuto e definitivo, laddove l’ente conclude l’essere in atto in quanto ha
raggiunto il suo Thelos, cioè il suo fine. L’essere in atto costituisce il compimento della
logica dell’essenza ma costituisce anche il superamento della Einseitigkeit, cioè
unilateralità, della parvenza e del fenomeno, che si manifestano in maniera compiuta
nell’essere in atto e quindi nell’essere in atto l’essenza si manifesta pienamente ma intendendo
l’essere in atto come Energheia, come atto in senso dinamico che possiede in sè stesso la dynamis,
potenzialità, di un ulteriore atto. La Dynamis greca corrisponde al tedesco Möglichkeit.

LOGICA DEL CONCETTO


Il concetto (Begriff) è considerato da Hegel come l’aufhebung di essere ed essenza, quindi risulta
ontologicamente e logicamente superiore rispetto all’essere e all’essenza perché contiene in sé
stesso sia l’essere che l’essenza, però si contiene attraverso la dimensione del pensiero e quindi
della consapevolezza. Se Hegel poi tratta nella logica del concetto e discute il sillogismo
aristotelico, noi ci soffermiamo sull’Endpunkt, il punto finale della logica del concetto, che secondo
Hegel corrisponde all’idea. Quando Hegel definisce l’idea come la componente o il punto di arrivo
della logica del concetto, e quindi la logica sia dell’essere che dell’essenza, non intende l’idea
platonica separata dal mondo sensibile, ma intende l’idea nel senso olistico come uno, non come
intero, comprendente sia la componente ideale che reale, sia l’astratto che il concreto. Però
sempre dal punto di vista logico, che costituisce la dimensione dell’immediatezza e dell’in sé. Alla
dimensione dell’immediatezza e dell’in sé della logica, succede secondo Hegel la dimensione
dell’immediazione che è costituita dalla natura, o Nature philosophie.

Concezione hegeliana della Nature philosophie


La Nature philosophie costituisce per Hegel la dimensione dell’oggettivazione e alienazione
dell’assoluto. La dimensione della Nature philosophie per Hegel è la dimensione ontologica della
Entfremdung, estraneazione, e Entausserung, alienazione. L’utilizzo di questi termini rimanda alla
differenza ontologica (per quanto riguarda l’essere) tra logica e natura. Mentre la
dimensione logica è quella dell’aion, eterno, la dimensione della natura è quella del divenire,
quindi del chronos. Quindi la dimensione della Nature philosophie in quanto alienazione ed
estraneazione dell’assoluto, è una dimensione in cui l’assoluto si manifesta negli ordinamenti,
negli eventi naturali soggetti al tempo, al divenire, (esempio: le stagioni che cambiano, i fenomeni
che mutano) nel senso quindi del cambiamento. Se da un lato poi riceve dall’assoluto la
dimensione della sua organizzazione, del suo senso, del suo significato, e quindi la dimensione
unitaria, però l’assoluto nella dimensione naturale risulta alienato o estraniato per la differenza
ontologica tra la dimensione logica e naturale. Però la dimensione dell’assoluto è ancora la natura
e quindi questa differenza ontologica consiste nella condizione della Nature philosophie definita
da Hegel come Entfrenmdung, estraneazione, e Entausserung, alienazione. L’assoluto è alienato o
estraniato nel mondo naturale per la differenza ontologica tra dimensione dell’assoluto e della
logica, e invece la dimensione della natura che è soggetta al tempo, al cambiamento. Se l’assoluto
si aliena o si estranea, però assicura natura, il suo senso, la sua dimensione unitaria; altrimenti
sarebbe ridotta ad un insieme di fenomeni frammentari ciascuno separato dall’altro. Però
assicurando l’assoluto, quindi il principio del sapere, alla natura, questa dimensione unitaria,
organica; l’assoluto alla natura è estraniato, alienato perché la dimensione naturale non
corrisponde alla dimensione propria, alla natura specifica dell’assoluto che è quella dell’eterno,
dell’aion, della compattezza o immediatezza o identità con sé stesso.

Tripartizione della filosofia della natura (pag 389)


La Nature philosophie è tripartita da Hegel in:

 Meccanica → riguarda il rapporto causa-effetto dei fenomeni, inerte


 Fisica → comincia ad affiorare la natura che agisce attraverso i fenomeni di magnetismo,
elettricità
 Organica → è superata come aufhebung sia la componente della meccanica, che della fisica,
in cui il singolo fenomeno non fa altro che esprimere la legge del tutto, e il tutto si esprime in
qualsiasi fenomeno naturale (esempio: quando spuntano i fiori o le foglie in primavera, questo
non fa altro che esprimere la legge del tutto, il fatto che sia cambiata stagione).
Noi non ci soffermeremo su questa tripartizione, ma sulla trattazione specifica hegeliana della
questione dello spazio e del tempo, che appartengono alla physis (anche Aristotele trattava dello
spazio e del tempo nella Fisica).

Questione dello spazio e del tempo


Hegel prima si confronta con la concezione a lui precedente e contemporanea dello spazio e del
tempo, e poi ne delinea e ne definisce un nuovo significato alla luce della sua filosofia.

Nell’ambito della Nature Philosophie si trova la tripartzione hegeliana, la dicotomia ontologica tra
natura e logica. Questa dicotomia è data dal fatto che mentre la logica concerne l’aeion(ciò che è
sempre),la natura riguarda il divenire. Quindi in termini di tempo la logica riguarda e concerne
l’aeion, ciò che è sempre, la natura riguarda il cronos, il divenire. La tripartizione della nature
philosophie secondo Hegel in meccanica,fisica,organica. La meccanica riguarda gli elementi della
natura caratterizzati dalla causa efficiente(ES.se soffia il vento la causa efficiente,il vento,fa cadere
le foglie dagli alberi).Invece con la fisica si ha il passaggio dalla causa efficiente,quindi
inconsapevole,alla natura che agisce. Ovviamente agisce nel senso della fisica e della natura. Con
la fisica quindi Hegel individua una metabasis da meccanica nel senso che all’interno delle leggi
fisiche vi sono componenti attrattive e repulsive. Riguarda quindi sia la chimica che la fisica.
Questa componente della fisica viene poi superata dall’organica. Nell’organica questa componente
fisica è ritenuta imperfetta a tal punto che nell’organica emergono gli organismi viventi. Negli
organismi viventi poi,nelle prime forme cellulari scaturisce la coscienza. Hegel intende comunque
la dimensione organica come coappartenenza di ciascuna parte degli organismi all’interno delle
leggi della physis e come manifestazioni di tali leggi,in ciascun singolo essere vivente. Vivente
all’interno della vita biologica, delle varie forme di vita.

Dopo queste tripartizioni analizziamo la concezione hegeliana dello spazio e del tempo.
Ovviamente le dimensioni spazio-temporali coincidono o si identificano con le componenti
naturali. Hegel prima di definire ed individuare la sua concezione dello spazio e del tempo,si
confronta criticamente con la filosofia,a lui contemporanea, e in particolare si confronta
criticamente con la concezione kantiana in materia. Oltre a Kant, si confronta anche con le
concezioni di Newton e Leibniz. Kant definisce spazio e tempo come intuizioni pure della
sensibilità, secondo Hegel la concezione Kantiana finisce per svuotare o per smarrire la concezione
oggettiva o di contenuto dello spazio e del tempo. In Kant prevale la componente soggettiva,come
intuizioni pure della sensibilità,rispetto alla componente oggettiva o di contenuto. La concezione
Kantiana risulta così parziale o incompleta. Invece Hegel differisce criticamente da Newton per
quanto riguarda il tempo( concezione esposta nelle philosophie naturalis principiae matematica
del 1687).Newton individua invece come descrizione di spazio e tempo,uno spazio e un tempo
assoluti,liberi da qualsiasi condizionamento sensibile. Anche questo tipo di concezione risulta
secondo Hegel incompleta e parziale perché lo spazio e il tempo si esprimono nel mondo sensibile
e non sono assoluti. Sono componenti che caratterizzano il divenire. Anche quella Leibniziana
risulta incompleta in quanto Leibniz identifica la natura nella monade. La monade contiene tutte le
determinazioni spaziali,quindi lo spazio nella sua totalità,però nella prospettiva propria,specifica
di ciascuna monade. Così la monade possiede in se stessa tutte le dimensioni del tempo
passato,presente e futuro .Quindi l’identificazione dello spazio e del tempo leibniziane risulta per
Hegel un tipo di identificazione incompleta e limitata perché Hegel non individua la concezione
dello spazio e del tempo in senso universale,separata dalla monade. Invece Hegel intende lo
spazio come “Nebeneinander” e il tempo come “Nacheinander”. Neibeneinander vuol dire di
ciascun essere che si trova accanto agli ambienti(sopra,sotto,al lato).

CONCEZIONE TEMPORALE DI HEGEL


Hegel indica la concezione leibniziana del tempo, poiché Leibniz assorbe il tempo nell'ambito della
natura della monade. La monade contiene in sé stessa sia tutte le coordinate spaziali, che tutte le
coordinate temporali, quindi, passato, presente e futuro. Ad esempio una foglia contiene tutte le
sue coordinate temporali, a partire da quando le foglie sono spuntate, il presente, momento in cui
osserviamo la foglia, e il futuro, nel senso che poi la foglia è destinata a cadere. Secondo Hegel
questa concezione Leibniziana del tempo, costituisce un tipo di concezione limitata alla monade e
che non distingue tra la concezione del tempo come aion e la concezione di tempo come chronos.
Nel senso che il tempo leibniziano limitato alla monade, non è altro che il tempo che contiene
nella monade passato, presente e futuro, e quindi una triplice ripartizione temporale, allora il
tempo che si costituisce all'interno delle mondi, create dalla monade delle mondi, che è dio, e che
sono poi destinate ad essere annichilite, distrutte, al momento della fine  della creazione, deciso
dalla monade delle monadi. Quindi, Leibniz non distingue tra il tempo come chronos e il tempo
come aion, nel senso attribuisce alla monade il tempo come chronos e viene separato il tempo
come chronos dal tempo come aion, o dal tempo della monade delle monadi. Allora, questa
concezione della distinzione tra tempo come chronos e tempo come aion, per Hegel non è altro
che la conseguenza della componente dell'intelletto che separa e distingue e quindi non contiene
una prospettiva olistica. Invece, la concezione del tempo hegeliana risulta una concezione globale
del tempo, nel senso che il tempo della natura non è altro che la conseguenza del fenomeno del
tempo come eternità dell'assoluto o della logica, laddove però il tempo della natura è alienazione
ed esternazione rispetto al tempo della logica o dell'assoluto, il tempo allora si esprime attraverso
le nozioni di, per quanto riguarda il tempo, spaziale (spazio=raum=nebeinander) (si dice come è
scritto) e il tempo, invece, nella sua natura intrinseca della nature philosophie corrisponde a
zeit=nacheinander (zait=tempo, nacainander), o alla successione del prima e del poi. Nella filosofia
occidentale già Aristotele definiva nella fisica libro 4 capitolo 11 come 'aritmos kineteos katà to
chroteon aiusteron', quindi definiva il tempo secondo il prima e il poi. Nella filosofia successiva
non si è fatto altro, riguardo la concezione del tempo, che ribadire quanto Aristotele aveva scritto
sempre nella Fisica nella sua trattazione del tempo, quindi nei capitoli dal 10 al 14 del libro 4.

Quindi con necheinander non si fa altro che scandire il tempo secondo, il passato, che il quanto
passato non c'è più, il presente, che in quanto presente è destinato a non essere più, perché come
scriveva anche Agostino d'Ippona nel libro 11 delle confessioni, 'se il presente non passasse,
diventerebbe eternità', e il futuro che corrisponde al non ancora.

Quindi Hegel definisce le coordinate spazio-temporali in ambito della filosofia della natura
secondo la sua terminologia specifica che utilizza nella enciclopedia delle scienze filosofiche del
1817, lo spazio (raum) che corrisponde a nebeinander, ciascun ente accanto all'altro, e il tempo
(zeit) che corrisponde a necheinander, o alla successione del prima e del poi, che corrisponde
proprio alla definizione Aristotelica del tempo sviluppata nella fisica libro 4 capitolo 11. A queste
due terminazioni corrisponde, per quanto riguarda lo spazio, che Hegel definisce stoff=materia,
perché ciascuna materia occupa uno spazio, quindi ad esempio una penna corrisponde al
materiale di cui è costituita, per quanto riguarda il tempo bewegung=movimento, perché il tempo
implica sempre la kinesis(movimento), ad esempio proprio mentre stiamo parlando il tempo
continua a scorrere.

Secondo Hegel la definizione newtoniana dello spazio e del tempo assoluto è anch'essa
terminazione dell'intelletto, perché separa lo spazio e il tempo assoluti dallo spazio e il tempo
empirici. Mentre queste due componenti secondo la prospettiva hegeliana della ragione sono
inseparabili perché la ragione secondo Hegel supera ciascuna terminazione isolata, ciascun
sentimento di sapere, attraverso il suo divenire fluido. Fluido vuol dire come relazione o
interdipendenza con il suo opposto, quindi lo spazio e il tempo assoluti diventano fluidi, secondo
Hegel, nella determinazione del tempo empirico. A sua volta lo spazio e il tempo empirico, non
sono altro che manifestazioni del tempo assoluto, invece in Newton queste due componenti
risultavano separate.

TERZO MOMENTO DEL SAPERE HEGELIANO =GAIST


Lo spirito non è altro che il risultato dello sviluppo, del divenire del genere umano. In questa
tripartizione del sapere, lo spirito costituisce l'eufeghung (aufegung) , superamento nella
conservazione di logica e natura e quindi contiene in sé stesso il contenuto sviluppato sia nella
logica che nella natura. Quindi, lo spirito poi si ripartisce in spirito soggettivo, che riguarda la
concezione individuale, non nel senso di individuo separato dalla collettività, ma nel senso di
individuo che inizia a prendere coscienza di sé stesso. Poi, spirito oggettivo, che riguarda la
dimensione interdividuale, nella quale ciascuno di noi è destinato a vivere, e infine lo spirito
assoluto con cui si conclude non solo il percorso dello spirito, ma anche il sapere filosofico
hegeliano, e quindi le due componenti di spirito oggettivo e soggettivo vengono superate nella
conservazione dei momenti precedenti.

Nello spirito soggettivo, Hegel individua tre componenti :antropologia, in cui la dimensione
individuale comincia ad affermarsi nella componente naturale è l'anima, ripartita in anima
naturale, anima sensiente e anima reale, e non è altro che corrispondente della tripartizione
Aristotelica, di anima vegetativa, nel senso che si assicuri che gli organi continuino a compiere le
loro funzionalità, di anima sensitiva, quindi al piacere, al dolore, al caldo e al freddo, e di anima
razionale.
Poi, all'antropologia la fenomenologia dello spirito, qui Hegel ripercorre in maniera sintetica
rispetto all'opera omonima del 1807, le tre esperienze fonomenologiche della coscienza,
dell'autocoscienza e della ragione.

E infine la psicologia, che riguarda invece la dimensione collettiva e universale dell'anima umana, o
lo studio della Psiche, dell'anima umana, è suddivisa da Hegel nello spirito teoretico che
corrisponde al bius teoreticos Aristotelico, che costituisce l'atanatizein, quindi l'immortalità
dell'uomo secondo Aristotele. Poi lo spirito pratico che riguarda il practein, l'agire, per cui lo spirito
soggettivo è libero nel senso che è liberato da qualsiasi condizionamento sia dalla componente
sensibile sia dal condizionamento della componente teoretica e pratica.

Nello spirito soggettivo prevale la componente individuale, mentre nello spirito oggettivo si passa
alla componente comunitaria, cioè la componente degli uomini che vivono insieme agli altri (come
diceva Aristotele: "Zon Politicon" : l'uomo è un animale politico).

In questa dimensione politica-comunitaria Hegel individua 3 componenti: DIRITTO, MORALITÀ


ED ETICITÀ.
Per quanto riguarda il diritto intende l'insieme delle leggi su cui si basa qualsiasi convivenza.
Attribuisce al DIRITTO il significato di "diritto astratto", cioè l'insieme delle leggi che
caratterizzano la convivenza civile tra i cittadini che molto spesso risulta astratta, separata,
imposta, subita dai cittadini.

Hegel considera il diritto come una dimensione immediata, esteriore in cui si incomincia a
configurare l'aspetto comunitario.

X quanto riguarda la MORALITÀ intende una legge interiore, che possediamo interiormente, che
ci viene trasmessa attraverso l'educazione, attraverso la quale nessuna legge può risultare
difforme dalla legge interiore che ci impone x esempio di rispettare il prossimo. (Riprende la 2*
critica kantiana: "TRATTA IL PROSSIMO COME FINE E MAI COME MEZZO": devono
esistere dei rapporti interpersonali, ma disinteressati).

Per quanto riguarda L’ETICITÀ si intende L'AUFEBUNG, il superamento del diritto e della
moralità, anche se l'eticità conserva tali componenti.

Si intende una realizzazione piena e completa della dimensione comunitaria. La denominazione


attribuita da Hegel all'eticità è: SITRICAT. L'eticità per Hegel corrisponde alla polis greca, in cui è
presenta una dimensione comunitaria.

Nell'eticità è presente un'altra tripartizione:(pag.393)

Famiglia, società civile e stato.

Famiglia: ognuno nasce all' interno di una famiglia, viene educato, alimentato ed accudito
nell'ambito della famiglia. Infatti le componenti secondo Hegel di famiglia sono:
-matrimonio

-patrimonio (possesso di beni)

-educazione dei figli

In seguito ci sarà un abbandonamento della famiglia e un passaggio alla società civile.

Società civile: costituisce il SISTEMA DEI BISOGNI.

In principio veniamo mantenuti dalla nostra famiglia, ma poi bisogna cercare un lavoro e quindi si
eserciterà un'attività lavorativa per soddisfare eventuali bisogni.

Ciascuno persegue il proprio interesse individuale, ma perseguendo tale interesse individuale non
fa altro che contribuire ai bisogni della collettività. Quindi con il lavoro sosteniamo un bisogno
individuale, famigliare e collettivo.

Per stato civile si va a intendere in seguito, anche la corporazione derivante dalla società feudale.
(Corporazione Italia comunale: associazione che tutela gli interessi dei lavoratori).

Ci fu un cambiamento dalla società feudale alla società industriale.

(Metabasi dalla corporazione alla società divisa in classi).

La società si divide in Industriali (capitalisti/classe dominante) e Proletari (classe dominata).

{[Definizione Marxiana di classe: ruolo o posizione esercitato dal punto di vista di produzione]}

Con la 1* rivoluzione industriale ci fu un superamento della società feudale e una formazione della
società industriale, con un'esemplificazione delle classi sociali:

Capitalisti e Proletari.
(Classe sociale corrispondente alla condizione socio-economica).

L'Aufebung della famiglia e della società civile è dato secondo Hegel dallo Stato.

Lo Stato costituisce il punto di arrivo di tutto il percorso tracciato da Hegel nello spirito oggettivo e
ne costituisce anche il punto di partenza.

Da Hegel scaturisce un contrasto verso il Giusnaturalismo.

Secondo il Giusnaturalismo, ciascun individuo (cittadino) possiede diritti inalienabili e quindi lo


Stato dovrebbe tutelare tali diritti:

Diritto alla vita, libertà e proprietà.


Secondo Hegel non esistono diritti separati dalla compagine Statuale.
È lo stato ad introdurre tali diritti perché il Giusnaturalismo, che individua diritti separati dallo
stato, si poneva in una prospettiva astratta, nel senso che senza compagine Statuale non esiste
nessun tipo di diritto e prevale La legge del più forte

Hegel individua inoltre la miglior forma di Stato, cioè lo Stato costituzionale: stato che possiede la
forza coercitiva, all'interno di leggi scritte che tutti devono rispettare.

Filosofia Post Hegeliana( a partire dalla morte di Hegel nel 1831)


significato cronologico e tematico-argomentativo
I suoi discepoli si dividono sull'interpretazione di alcuni punti essenziali del suo pensiero
costituendo due orientamenti (opposizioni) denominati Destra e Sinistra Hegeliana, espressioni
introdotte da uno dei principali esponenti della Sinistra, David Friedrich Strauss (1808-1874) che le
conia dalla distinzione politica esistente nel Parlamento Francese.(Inglese?)

La Destra rappresenta la componente conservatrice e la Sinistra la componente critico-negativa e


rivoluzionaria nell'ambito della filosofia:

1 aspetto che divide Destra e Sinistra: interpretazione della causa hegeliana:” ciò che è
razionale e reale ,ciò che è reale è razionale” ( FILOSOFIA DEL DIRITTO)

La Destra hegeliana intendeva tale frase in senso conservatore ovvero la Destra celebra lo Stato
prussiano in quanto razionalità realizzata nella storia; lo stato prussiano è reale dunque è
manifestazione del razionale e quindi costituisce il migliore degli stati possibili ed è impossibile
proporre uno stato alternativo.

La Sinistra Hegeliana interpreta tale frase in un senso completamente opposto nel senso che non
tutto ciò che è reale corrisponde all'idea della ragione di miglioramento, progresso e garanzia per i
cittadini dei diritti fondamentali, allora se uno stato reale non corrisponde a queste idee , occorre
cambiarlo attuando un tipo di filosofia negativa critica in modo da rendere corrispondete il reale al
razionale, dunque la frase hegeliana dalla sinistra hegeliana viene intesa in senso critico negativo
rivoluzionario, quando lo stato prussiano non corrisponde ai principi della ragione allora occorre
intervenire per cambiarlo e rendere dunque il reale corrispondente al razionale.

2 aspetto che divide Destra e Sinistra: interpretazione del rapporto tra religione e filosofia:
-mentre la Destra hegeliana identifica la religione nella filosofia in quanto hanno lo stesso
contenuto, l'Assoluto, ovvero il compimento del sapere dell'essere e quindi religione e filosofia
costituisco un unicum,

-la Sinistra Hegeliana sottolinea la differenza tra religione e filosofia in quanto Hegel scriveva che
se religione e filosofia sono accomunate dallo stesso contenuto, sono divise/si differenziano dalla
forma in cui esprimono il contenuto e in particolare la religione esprimeva l'Assoluto attraverso la
rappresentazione (forstellung? Nella differenza tra rappresentante=uomo e il rappresentato=Dio)
mentre la filosofia lo esprimeva attraverso il concetto (beigfrippe?) Fondamento della Scienza
della logica,)

La differenziazione tra religione e filosofia nella forma legittima la filosofia a mettere in


discussione le narrazioni religiose e quindi il rapporto tra religione e filosofia e la rivisitazione?
delle narrazioni religiose costituisce la base attraverso cui si sviluppa la sinistra hegeliana e in
particolare i due esponenti più importanti sono Feuerbach e Strauss il quale nel 1835
pubblicherà un'opera su quest' argomento “La vita di Gesù elaborata criticamente”

Secondo Strauss quanto narrato nei vangeli non è altro che espressione in forma mitica inventata
di determinate verità filosofiche( unione tra infinito e finito, divino e umano e così via) Quanto
narrato nei vangeli sono episodi immaginari di determinate verità filosofiche

Attraverso la filosofia individua la componente mitica presente nei vangeli (Matteo Marco Luca e
quello di Giovanni che costituisce in chiave neoplatonica il messaggio cristiano infatti vi è
riferimento al logos psyché e così via)

Quindi l’ulteriore abbattimento della religione viene attuata anche da Ludwig Andreas Feuerbach
(1804-1872) che nasce a Landshut, Baviera. Sì iscrive alla Facoltà di Teologia prima a Heidelberg e
poi a Berlino dove segue le lezioni di Hegel e umane fedele al pensiero del maestro fino al 1838 ma
in seguito comincerà ad avviare un percorso di critica alla filosofia di Hegel che pubblicherà
nell'opera del 1839 “La Critica della filosofia hegeliana” poi nel 1841 pubblica la sua opera più nota
“L’essenza del Cristianesimo” nel 42-43 pubblicherà altre brevi opere “le tesi provvisorie della
riforma della filosofia” e “i principi della filosofia dell'avvenire”

Essenza del Cristianesimo(1841)  Critica della Religione


Secondo Feuerbach l'essenza del Cristianesimo o meglio l’essenza di qualsiasi religione è data dal
fatto che la verità della teologia è data dall'antropologia: secondo Feuerbach non è Dio ad aver
creato l'uomo ma è l'uomo ad aver creato Dio; quindi Feuerbach realizza sul piano religioso quella
che anche Hegel aveva definito umhkerung(capovolgimento) soggetto predicato non è Dio
creatore e l'uomo creatura l'uomo è creatore e Dio creatura: quando l'uomo si è reso conto delle
sue fragilità e dei suoi limiti ha creato le varie religioni politeistiche e ha creato un Dio immortale
dalla sua consapevolezza di essere mortale.

Oggettivazione e Alienazione si identificano in senso negativo  Dio Parassita dell'Uomo nel caso
che Dio si è nutrito della capacità umane in una maniera perfetta  secondo Feuerbach l'uomo si
deve impadronire di queste capacità che ha alienato oggettivato in un Dio superiore a tal punto
che occorre realizzare questo capovolgimento del rapporto soggetto predicato.

Quest'analisi radicale dell'alienazione e oggettivazione è applicata anche all'esame critico


Feuerbachiano della Filosofia di Hegel.

Critica alla filosofia di Hegel(1839)  Filosofia di Hegel=Filosofia Mascherata nel senso che
se Hegel esprime dal punto di vista filosofico determinate verità, queste non sono altro che il
mascheramento di verità religiose nel senso come nella religione viene realizzato il
capovolgimento della filosofia di hegel, anche nella filosofia vi è un capovolgimento soggetto
predicato in cui l'Assoluto o Infinito costituisce il soggetto ( nella terminologia aristotelica
ypokemenon= sostrato) e il Relativo O Finito costituisce il predicato (epifenomeno=conseguenza)
stesso capovolgendo che Feuerbach avevo realizzato nell'analisi critica della Religione

A queste due componenti critiche si associa anche la componente positiva della filosofia di
Feuerbach definita UMANISMO NATURALISTICO  dunque alla base di quella che Feuerbach
definisce filosofia dell’avvenire o filosofia della natura? Vi è l'uomo inteso come Gattung(genere
umano) non considerato nel senso hegeliano ovvero come manifestazione dell'assoluto ma l'uomo
considerato in base ai suoi bisogni naturali( bisogno di alimentarsi l'uomo è ciò che mangia) e
oltre a questo bisogno naturale che gli assicura la sopravvivenza, l’altro bisogno fondamentale è
quello che Feuerbach definisce il rapporto io-tu in cui il soggetto si realizza nel rapporto con l'altro
e l’altro si realizza con il diverso da sé.

MARX( pag.139)

VITA E OPERE
Karl Marx nasce a Treviri, in Renania, nel 1818. Prima si iscrive a giurisprudenza seguendo le orme
del padre e poi si laurea in filosofia nel 1841 con la tesi sulla ‘Differenza tra la filosofia di
Democrito e di Epicuro’. Marx si forma come filosofo, le componenti politico-economiche
costituiscono il posterius del suo pensiero. Si forma come filosofo nell’ambito della cosiddetta
sinistra hegeliana, il suo punto di riferimento era Bruno Bauer ma a causa delle posizioni
radicaliche dal punto di vista filosofico e politico fu escluso dall’università in cui Marx riteneva o
sperava di avviare una carriera universitaria. Marx dovette rinunciare alle sue speranze e collaborò
per alcuni mesi alla ‘Nuova Gazzetta Renana’(Neue Rheinische Zeitung= noie raiestaiung) dove
denunciava alcuni soprusi da parte dei grandi proprietari terrieri a tal punto che questa rivista
venne chiusa. Marx dovette rinunciare al ruolo di giornalista e si trasferisce a Parigi, nel frattempo
si era sposato con Jenny von Westphalen. Il 1844-1845 vengono definiti gli anni parigini, questa
breve permanenza a Parigi fu dovuta dall’espulsione dalla Francia di Marx perché ritenuto
pericoloso. Marx durante la permanenza a Parigi ebbe l’occasione di leggere e studiare sia i
pensatori politici francesi sia gli economisti. Il risultato di questo studio è documentato da
un’opera postuma del 1932 nell’ambito della MEGA(Marx-Engels-Gesamtausgabe= edizione
completa delle opere di Marx ed Engels) ‘ I manoscritti economico-filosofici’ è un testo molto
importante poiché costituisce un documento dello sviluppo ulteriore della filosofia di marx e del
confronto critico sia con Hegel che con Feuerbach e con gli economisti classici(Adam smith e David
Ricardo). Nel 1931, fu pubblicata un’opera postuma e incompleta, la ‘Critica della filosofia del
diritto di Hegel’ , attraverso la lettura di alcuni paragrafi dei ‘Lineamenti di filosofia del diritto di
Hegel’, Marx applica alcuni aspetti della critica feuerbachiana ad Hegel ma li sviluppa anche nelle
conseguenze storico-politico. Nel 1844 vennero pubblicate due trattazioni nell’ambito degli annali
franco-tedeschi il cui direttore era Arnold Ruge(si legge rughe): il primo sulla questione ebraica
dove Marx partiva dalla questione ebraica di Bruno Bauer e criticava lo stato moderno, il secondo
l’introduzione alla critica della filosofia di Hegel. Fu espulso da Parigi e trovò rifugio a Bruxell dove
si trattenne tra il 1845-1846 in seguito fu espulso anche da Bruxell. Questa vita da esule gravava
anche sulla famiglia poiché ebbe 4 figlie. Marx poi si trasferì a Londra dove rimase fino alla sua
morte nel 1883. Durante il periodo di Bruxell, Marx che nel frattempo aveva conosciuto Friedrich
Engels e in particolare ne aveva apprezzato lo studio sulla situazione della classe operaia in
Inghilterra, aveva scritto un testo che era destinato ad essere pubblicato postumo ‘L’ideologia
tedesca’, doveva essere pubblicato ma la casa editrice fallì e come scrive Marx nell’autobiografia
intellettuale sviluppata nello scritto del 1859 della ‘Critica dell’economia politica’, scrive
testualmente ‘fu lasciata questa opera alla critica roditrice dei topi’, è stata pubblicata postuma
nel 1932 come manoscritti economici filosofici del 1844 sempre nell’ambito della MEGA. Nel 1848
pubblica insieme ad Engels l’opuscolo del ‘Manifesto del partito comunista’ che contiene in
maniera sintetica la condizione della storia e dell’economia che Marx ed Engels avevano elaborato
nel percorso dei loro studi. Dal 1846 si trasferì a Londra, non aveva un lavoro stabile addirittura
scrive in alcune che lettere che per alcune settimane lui e la sua famiglia si nutrivano solo di
patate; riuscì a sopravvivere grazie alle donazioni dell’amico Engels, che era figlio di un industriale
e inoltre, collaborava con una rivista statunitense ma fu scoperto in seguito che queste
collaborazioni erano state scritte da Engels e firmate da Marx poiché egli era completamente
assorbito dagli studi economici, passava le giornate al British museum. Questi studi furono
documentati in un’opera anche questa postuma, i ‘Lineamenti fondamentali della critica
dell’economia politica’ del 1857-1858. nel 1859 pubblica ‘Per la critica dell’economia politica’ e nel
1867 pubblicherà il primo libro del Capitale. Gli altri due libri il secondo e il terzo saranno
pubblicati postumi grazie all’amico Engels. Il secondo libro del capitale nel 1885 e il terzo libro nel
1894. Marx muore nel 1183 a causa di un enfisema polmonare causato dal fumo.

PENSIERO
La novità che si impone nel pensiero di Marx, è data dal fatto che filosofia e politica costituiscono
un unicum, nel senso che il filosofo non deve limitarsi solo ad individuare le leggi del mondo di
produzione capitalistico ma deve anche impegnarsi per produrre le condizioni per l’abbattimento
della società capitalistica. Marx fu tra i promotori della Prima internazionale (associazione
internazionale dei lavoratori), convocata a Londra nel 1864. Marx sviluppa una concezione olistica
della filosofia che non riguarda il senso della filosofia tradizionale pur comprendendolo al suo
interno ma integra la concezione della filosofia tradizione attraverso l’economia, lo studio della
società, della storia attraverso anche l’impegno e le opere di carattere politico. Scrisse varie opere
sulla situazione politica in Francia ad esempio sulla comune di Parigi e sul 18 brumaio di
Napoleone Bonaparte, poichè Marx riteneva che la Francia fosse il paese più avanzato dal punto di
vista politico, in quanto la rivoluzione era avvenuta in Francia. Questi opuscoli non fanno altro che
confermare sia la presenza della componente politica sia della componente filosofica. Marx
intenderà la filosofia in modo diverso, ciò si può notare nelle ‘Tesi su Feuerbach’ del 1845,
pubblicate postume nel 1888, che sintetizzano alcuni aspetti fondamentali del confronto critico di
Marx con Feuerbach ma anche con Hegel e della sua concezione della filosofia, pubblicate da
Engels nel testo ‘Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca’ nel 1845. Marx
abbozzava le opere che poi avrebbe approfondito ma sopraffatto da problemi di sopravvivenza
non aveva modo di approfondire queste opere e perciò vengono pubblicate postume. La filosofia
di Marx è definita “come un cantiere”, un’opera in costruzione; Marx non ha elaborato un sistema
compatto come aveva fatto Hegel, l’opera di Marx costituisce un’opera in progresso perché il
pensiero marxiano è in continuo cambiamento a seguito dei suoi studi e inoltre trae la sua origine
dalla situazione politica del suo tempo come le periodiche crisi di sovrapproduzione del modo di
produzione capitalistico generano un ulteriore elemento di conferma delle tesi marxiane.

LA CRITICA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI HEGEL


La Kritik del 1843, pubblicata postuma e rimasta incompiuta, ‘la critica della filosofia del diritto di
Hegel’ o kritik der Hegelschen rechtsphilosophie. In quest’opera Marx critica in maniera dettagliata
alcuni paragrafi dei ‘Lineamenti di filosofia del diritto di hegel’. Marx concentra la sua analisi critica
su un’opera hegeliana di argomento politico, il che fa intendere che la tematica politica costituisce
un argomento dominante rispetto alle altre tematiche(metafisiche, logiche,estetiche, della
religione…). Marx criticando in maniera dettagliata i lineamenti di filosofia del diritto di Hegel, non
fa altro che applicare il procedimento critico sviluppato da Feuerbach nell’opera del 1839 ‘per la
critica della filosofia Hegeliana’; laddove Feuerbach individuava nella filosofia di Hegel
l’umkehrung(capovolgimento) di soggetto e predicato. L’astratto diventa il soggetto e il concreto il
predicato occorreva invece capovolgere la filosofia di Hegel individuando come hypokéimenon(si
legge iupochemenon=sostrato)il concreto e come posterius l’astratto. Marx applica alla filosofia
del diritto di Hegel lo stesso procedimento Feuerbachiano, se secondo Hegel il prius è costituito
dallo Stato e il posterius dalla società civile occorre capovolgere la filosofia di Hegel ponendo come
prius la società civile, il sistema dei bisogni, l’attività economica produttiva perché lo Stato,
secondo Marx, non è altro che espressione di determinati interessi per quanto riguarda la società
civile. La società civile, quindi, determina lo Stato, non più come Hegel lo Stato determinava la
società civile e di conseguenza bisognava utilizzare anche nella filosofia del diritto lo stesso
capovolgimento che Feuerbach aveva sostenuto riguardo alla logica e alla metafisica di Hegel.

Marx aggiunge riguardo a Feuerbach un’osservazione importante nel senso che se lo Stato
costituisce il migliore degli stati possibili come manifestazione di idea ne deriva per quanto
riguarda la filosofia di Hegel il conservatorismo, un tipo di filosofia politica tesa a conservare
l’ordinamento esistente e il crasso positivismo, acritica accettazione di ciò che è o dello stato
esistente senza mettere in discussione il fatto che costituisca uno stato che esprime interesse per
una classe parziale limitata e che quindi giunge poi a sottomettere a questi interessi parziali, gli
interessi della comunità. Il risultato del capovolgimento soggetto predicato presente nella filosofia
politica di Hegel, non è altro che la conservazione dell’ordine esistente, quindi un tipo di
prospettiva politica conservatrice e l’accettazione di ciò che è esistente senza mettere in
discussione quello che Marx definisce crasso positivismo. 2
TESI DI LAUREA
Prima di quest’opera Marx aveva scritto la sua tesi di laurea, anch’essa pubblicata postuma, sulla
differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, non a caso Marx sceglie due
filosofi materialisti, l’atomista Democrito e Epicuro secondo il quale tutto ha inizio e fine attraverso
l’aggregazione e la separazione degli atomi. Marx ritiene che la filosofia di Epicuro costituisca un
progresso rispetto all’atomismo di Democrito, mentre Democrito intendeva il movimento degli
atomi in maniera meccanica, Epicuro inseriva il diunamai, la deviazione degli atomi rispetto al
movimento prestabilito. Ciò costituiva non solo il passaggio dalla necessità alla libertà nell’ambito
della physis (si legge fiusis) ma anche per quanto riguarda l’uomo nel senso che l’uomo non è più
soggetto a leggi meccaniche dell’ordinamento esistente ma deve affermare la sua libertà, nel
senso che quando l’ordinamento politico-economico esistente non corrisponde ai suoi bisogni
fondamentali è legittimato ad abbatterlo attraverso la rivoluzione.

ANNALI FRANCO-TEDESCHI
Marx scrive due articoli negli annali franco-tedeschi:

Sulla Questione Ebraica: Marx scrive che la società moderna è costituita sulla bipartizione tra
bourgeois(borghesia) e citoyen(cittadino). La dimensione del bourgeois riguarda la società civile
dove domina la legge del più forte, di chi afferma il suo potere economico sul più debole. La
dimensione del citoyen è la dimensione dello stato in cui si afferma che tutti i cittadini nascono
liberi e uguali e che lo stato gli garantisce gli stessi diritti. 4 Questa dimensione dello stato è
formale perché realmente i cittadini non sono né liberi né uguali, non sono liberi perché sono
costretti a cercarsi un’attività lavorativa per sopravvivere e laddove vengono licenziati si trovano in
condizioni tali da rischiare di morire di fame e non sono eguali perché la società civile è
caratterizzata dalla diseguaglianza. Marx scrive “ciascun individuo vive in due tipi di mondi, nel
cielo della politica, in cui almeno formalmente viene riconosciuta l’uguaglianza tra tutti i cittadini e
sulla terra della società civile in cui questa uguaglianza viene completamente annullata perché la
società civile è caratterizzata dalla disuguaglianza da chi possiede i beni e chi non possiede nulla.
Quindi l’uguaglianza politica nell’ambito della società civile è un’uguaglianza illusoria tesa a coprire
la disuguaglianza reale. Chi esercita, poi, il potere nell’ambito dello stato non fa altro che
effettuare la disuguaglianza presente nella società civile. quindi, Marx critica lo stato moderno in
quanto individua queste due componenti separate: l’uguaglianza nella dimensione del citoyen e la
disuguaglianza nella dimensione del bourgeois. Marx critica inoltre la nozione di rappresentanza
che implica la separazione tra rappresentante e rappresentato. Il rappresentante è colui che viene
eletto periodicamente durante le consultazioni elettorali. Il rappresentato sono i cittadini che
vengono periodicamente convocati in libere elezioni.

CRITICA STATO MODERNO

Nella questione ebraica Marx sviluppa la critica allo stato moderno. L’opera da considerare è del
1844 che Marx non concluse ed è rimasta inedita perché se non era soddisfatto completamente
delle sue opere non le pubblicava. Poi è stata pubblicata postuma “i manoscritti economico
filosofici “ nel 1932.  Marx non pubblicò anche perché aveva problemi “pratici “: era perseguitato
da vari governi, era considerato pericoloso, doveva provvedere alla famiglia composta da quattro
figli e non aveva un lavoro stabile. I manoscritti sono importanti perché:
 Marx si confronta in maniera critica con gli economisti classici come Adam smith  e David
Ricardo che per primi aveva studiato e analizzato gli aspetti fondamentali della prima
rivoluzione industriale. In maniera critica perché hanno messo in discussione alcuni aspetti
fondamentali.
 Costituisce un ulteriore documento del confronto critico di Marx sia con Hegel che con
Feuerbach. Hegel e Feuerbach rimarranno un punto di riferimento fondamentale.
Feuerbach almeno fino al 1845 quando Marx poi scriverà le tesi su Feuerbach, destinate a
rimanere inedite e pubblicate nel 1888, invece Hegel verrà considerato sempre un punto di
riferimento successivo per Marx a tale punto che ne tratterà anche nel post scritto della
seconda edizione del Capitale. 
 Marx applica la concezione di alienazione presente sia nella filosofia di Hegel che in quella
di Feuerbach riguardo al modo di produzione capitalistico. Marx la utilizza per individuare
la componente alienata dell’operaio all’interno della fabbrica. 

SVILUPPO PRIMO ARGOMENTO:

Marx critica gli economisti classici ( Adam Smith e David Ricardo) perché questi partono dal
presupposto che il modo di produzione capitalistico costituisca un modo di produzione eterno
( sorto durante la prima rivoluzione industriale e destinato a rimanere finché la civiltà umana non
finirà definitivamente).Mentre secondo Marx il modo di produzione capitalistico ha un carattere
storico ( ha un inizio poi raggiunge un suo vertice ma come tutti i modi di produzione o le varie
epoche storiche è destinato al declino). Questa componente (secondo cui il modo  di produzione
capitalistico è transitorio quindi destinato a concludersi attraverso poi la formazione di un modo di
produzione alternativo) non è altro che la riaffermazione della concezione Hegeliana della storia
(secondo Hegel la storia non è altro che lo sviluppo dello spirito del mondo e dello spirito degli
uomini e quindi la storia non è altro che un succedersi di civiltà che hanno avuto un loro inizio,
hanno raggiunto il loro vertice e poi hanno avuto un declino) così allora Marx ritiene che anche il
modo di produzione capitalistico sia soggetto  alla stessa legge della storia con la sua affermazione,
la sua ascesa, il punto massimo di sviluppo e poi l’irreversibile processo di decadenza. Quindi il
modo di produzione capitalistico non è eterno ed è solamente un modo di produzione storico e
per questo è destinato a finire mentre gli economisti classici ritengono che il modo di produzione
capitalistico sia eterno. 

SVILUPPO SECONDO ARGOMENTO:


Per quanto riguarda Hegel va aggiunto quanto Marx scrive nel post scritto della seconda edizione
del capitale del 1873 (sempre riguardante il confronto critico tra Marx ed Hegel). Laddove Marx
difende Hegel da coloro che lo consideravano dal punto di vista filosofico “toten Hund” (cane
morto) cioè un filosofo completamente superato. Invece si dichiara continuatore della filosofia di
Hegel perché ne individua gli aspetti presenti nel suo pensiero a tal punto che Marx scrive di aver
civettato (tentato di imitare) il modo di esprimersi Hegeliano. Marx infatti distingue il nocciolo
razionale da guscio mistico. Il nocciolo razionale costituisce la parte ancora valida del pensiero di
Hegel invece il guscio mistico costituisce la parte con la componente superata. Il nocciolo razionale
consiste nello studiare ed individuare nel divenire della società la componente della continuità che
si esprime mediante la logica dialettica e quindi dalla contraddizione ( tra positivo e negativo...) ne
consegue che il nocciolo razionale coincide nella concezione hegeliana della storia o del divenire
dell’umanità come un percorso continuo caratterizzato da contraddizioni dialettiche. Invece il
guscio mistico costituisce la parte superata della filosofia di Hegel, mistico ovviamente nel senso in
cui tutto quanto è espresso in maniera mistica nel senso del capovolgimento del soggetto
predicato (come nella religione Dio è considerato creatore della creatura quindi occorre ribaltare
la relazione in cui uomo è creatore e Dio è creatura). 3 Nella dimensione mistica occorre ribaltare
il rapporto ragione reale e infinito finito. Marx manterrà l’impronta hegeliana a tal punto che uno
studioso (Umberto Cerroni) di Marx definì il rapporto del filosofo con Hegel come patricidio
mancato. Il termine non è nuovo nel pensiero occidentale ( il primo fu Platone nei confronti di
Parmenide nel sofista dimostrando che il non essere è). Umberto Cerroni definisce il rapporto
Hegel/ Marx come patricidio mancato nel senso che se Marx tenta di uccidere il suo padre
filosofico Hegel questo patricidio non è attuato completamente perché nella filosofia di Marx
continuano a permanere componenti tratte dalla filosofia di Hegel. 
Laddove nei “manoscritti economico filosofici” secondo quello che ha scritto un altro importante
studioso di Marx ( Ernest Mandel ) in una monografia dal titolo “la formazione del pensiero
economico di Marx” Marx critica Hegel attraverso Feuerbach e critica Feuerbach attraverso Hegel.
Marx critica Hegel attraverso Feuerbach vuol dire che utilizza gli argomenti critici di Feuerbach
quello dell’inversione sovgetto predicato per individuare l’infondatezza o la necessità del
capovolgimento della filosofia di Hegel  invece critica Feuerbach attraverso Hegel vuol dire che
Marx critica Feuerbach perché l’analisi è completamente astorica dell’uomo (laddove intende
l’uomo come genere uguale in tutte le epoche storiche) traendo invece da hegel contenuti  di
carattere storico politico e quindi suddividendo l’umanità secondo le varie epoche e ordinamenti
politici ,quindi critica Feuerbach attraverso Hegel individuando in Hegel elementi e contenuti  di
carattere storico-politico completamente assenti nella filosofia di Feuerbach che invece risultano
sviluppati nel pensiero di Hegel sia riguardo al sistema sia alla filosofia del diritto sia sulla filosofia
della storia mentre la filosofia di Feuerbach è astorica perché considera l’uomo in maniera astratta
uguale in tutte le epoche storiche. 

SVILUPPO TERZO ARGOMENTO:


Marx utilizza le definizioni di Hegel e Feuerbach di alienazione e le applica nell’analisi del modo di
produzione capitalistico. Se Hegel intende l’alienazione dal punto di vista del sistema come
metabasis dalla dimensione logica alla dimensione della natura del chronos, se Feuerbach applica
la concezione di alienazione sul piano religioso a tal punto che l’uomo tanto più trasferisce in Dio
determinate qualità di cui si ritiene privo tanto più si impoverisce. Marx applica la concezione di
alienazione hegeliana e di Feuerbach al modo di produzione capitalistico distinguendo
oggettivazione ed alienazione. 
(Lettura)
Quanto più gli uomini producono le merci tanto più si impoveriscono quindi alla maggiore
produzione di merci corrisponde  il maggiore impoverimento dell’operaio. Lo stesso procedimento
inversamente proporzionale che Feuerbach applicava dal punto di vista religioso qui Marx lo
applica per quanto riguarda il modo di produzione capitalistico. 

Rousseau aveva teorizzato nel contratto sociale il superamento della separazione tra
rappresentante e rappresentato laddove lui teorizzava la democrazia diretta. Dal punto di vista
esecutivo però ci sono delle difficoltà a garantire la democrazia diretta. Marx non fa altro che
individuare i limiti o le illusioni liberali e democratiche presenti nello stato moderno. Lo stato che
almeno formalmente dovrebbe garantire tutti i diritti dei cittadini non fa altro che effettuare i
privilegi della classe dominante nella società civile; quindi il carattere dello stato è un carattere
formale sia dal punto di vista legislativo sia dal punto di vista dell’amministrazione della giustizia.
Questo tipo di potere esercitato dalla classe dominante nella società civile riguarda il potere sia
politico sia quello economico.

RELIGIONE “OPPIO DEI POPOLI”


Nell’introduzione alla critica della filosofia del diritto di hegel, Marx definisce la religione “oppio
dei popoli”. Quindi la religione esercita il ruolo che esercitava l’oppio come droga ai tempi di Marx.
L’oppio serviva da un lato per sopportare il dolore durante gli interventi chirurgici: infatti con la
religione si invitano tutti coloro che sostengono una determinata presenza religiosa a sopportare
lo sfruttamento e la miseria della vita reale e dall’altro l’oppio serviva per proiettarsi nei cosiddetti
paradisi artificiali e quindi fuggire o abbandonare la situazione esistente e così l’occhio della
religione è utilizzato anche per persuadere coloro che sostengono una determinata credenza
religiosa che nel paradiso avranno il premio, la ricompensa per le sofferenze e gli sfruttamenti
sopportati nella vita reale. Quindi oppio dei popoli nel senso che attraverso la religione il potere
dominante riesce a controllare i dominati e poi promette invece il paradiso per chi non si è
ribellato e ha sopportato la condizione di dipendenza, di sfruttamento e così via. 5

In questo senso Marx si confronta con feuerbach riguardo la questione religiosa. Feuerbach aveva
analizzato l’alienazione religiosa ma non si era interessato della causa dell’alienazione religiosa.
L’alienazione religiosa non è altro che la conseguenza dell’alienazione reale, della condizione
quindi di sfruttamento, di miseria, cui è stata soggetta l’umanità. E quindi basterebbe secondo
Marx la disalienazione, ovvero la liberazione dell’alienazione reale per abbandonare o liberarsi
dall’alienazione religiosa. In questo senso secondo Marx l’analisi feuerbachiana della religione è un
tipo di analisi incompleta. La causa dell’alienazione religiosa è l’alienazione reale. La religione
costituisce il tentativo di trovare un rimedio a questa condizione mediante l’illusione religiosa che
invita a sopportare la miseria configurando il premio nella vita ultraterrena.

I MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI DEL 1844


Vengono pubblicati postumi e vengono individuate tre tematiche, tre argomenti in quest’opera
incompleta, inedita di Marx anche questa pubblicata nel 1832 nell’ambito della MEGA (Marx
Engels Gesamtausgabe). I tre argomenti più importanti trattati nei manoscritti economico-filosofici
sono: il confronto critico con quelli che vengono definiti economisti classici, quindi coloro che
avevano posto le basi dell’analisi del modo di produzione capitalistico Adam Smith e David
Ricardo; il confronto critico con le filosofie di hegel e feuerbach e l’analisi dell’alienazione nel
modo di produzione capitalistico. Il primo argomento, riguardo gli economisti classici. Gli
economisti classici se analizzano le leggi che sono alla base del modo di produzione capitalistico, il
loro tipo di prospettiva secondo Marx è astorica, ovvero partono dal presupposto che il modo di
produzione capitalistico sia eterno, ci sia sempre stato e sia destinato a perpetuarsi. Invece il modo
di produzione capitalistico dice Marx è un modo di produzione storico. Come tutti i modi di
produzione nelle varie civiltà, è destinato alla formazione, alla sua ascesa, al massimo vertice e poi
destinato al declino. Questa componente storica che Marx attribuisce al modo di produzione
capitalistico deriva dal filosofo, che lo stesso Marx aveva studiato, hegel, che aveva dimostrato
nella filosofia della storia che lo spirito del mondo si realizza negli spiriti dei popoli però attraverso
varie civiltà destinate all’affermazione, al massimo grado di sviluppo e al loro declino.

Il capitalismo, come il feudalesimo, è definito capitalesimo perché è basato su un tipo di struttura


di potere destinato a perpetuarsi per secoli. Nel manifesto del partito comunista Marx affronta il
rapporto tra forza lavoro e rapporti di produzione.

I significati di alienazione
pag.150 del libro.

In che senso la concezione dell’alienazione di Marx si distingue rispetto a quella di


Hegel e di Feuerbach?
Nel senso che mentre la concezione di Hegel dell’alienazione riguardava dal punto di vista del
sistema, il passaggio dalla logica alla natura e quindi la dimensione della logica dell’assoluto
naturalizzandosi, si alienava perché si manifestava diversa da sé.

Logica e natura, opponendosi, nella dimensione dell’aion mentre la dimensione della natura
costituiva la dimensione del chronos e di conseguenza la concezione dell’ alienazione hegeliana è
negativa malgrado poi l’assoluto della logica e della natura si oggettivi nel senso che si manifesti
in modo concreto in fenomeni naturali assicurando alla natura il suo senso, il suo significato e il
legame o collegamento tra i vari fenomeni naturali.

Per quanto riguarda Feuerbach estende la concezione dell’alienazione all’oggettivazione; quanto


più l’uomo oggettiva qualità che non ritiene di possedere tanto più se ne priva (se Dio è infinito
l’uomo è finito). Quindi la concezione di Feuerbach di alienazione da un lato è applicata sulla
dimensione religiosa, dall’altro si risolve in una dimensione completamente negativa.

Invece la concezione di alienazione di Marx è data dal fatto che Marx applica le definizioni di
alienazione di Hegel e di Feuerbach nel modo di produzione capitalistico e in particolare
nell’attività dell’operaio o lavoratore in fabbrica.

Ora all’interno di questo nuovo modo di identificare la concezione di alienazione Marx distingue i
quattro significati:

1) Rapporto tra operaio e prodotto del lavoro

A proposito della nozione di alienazione nel modo di produzione capitalistico Marx applica
non solo la nozione di alienazione ma il procedimento hegeliano dell’ umkehrung , del
capovolgimento, cioè quanto più esprime o produce oggetti tanto più se ne priva.
Quindi al processo produttivo esorbitante ed eccessivo del modo di produzione
capitalistico corrisponde l’impoverimento dell’operaio; alla valorizzazione del capitale,
scrive Marx, corrisponde la svalorizzazione del lavoratore o operaio e di conseguenza le
due componenti risultano in rapporto inversamente proporzionali.
L’operaio quindi è considerato una merce, come oggetto che il capitalista utilizza trarre
profitto, e quindi Marx anche in questo caso utilizza il procedimento di inversione; all’
oggettivazione dell’operaio considerato come oggetto corrisponde poi la soggettivazione
delle merci cioè sono più importanti le merci dei lavoratori; sono più importanti gli oggetti
rispetto ai soggetti.

Da attento lettore di Hegel, Marx applica ad alcune categorie gli aspetti della filosofia di
Hegel non nell’ambito della filosofia astratta, ma nell’ambito del modo di produzione
concreto capitalistico. Marx dunque è importante in quanto è il primo che applica le
nozioni filosofiche all’interno del modo di produzione capitalistico, all’interno della
fabbrica.

Quindi Marx nel primo significato di alienazione riguardante il rapporto tra operaio e
prodotto del lavoro, distingue oggettivazione e alienazione. Oggettivazione:
l’operaio oggettiva e manifesta nel prodotto le sue qualità psico-fisiche, ma i prodotti del
lavoro invece di appartenere all’operaio appartengono al capitalista; quindi alienazione nel
senso che vengono sottratti all’operaio che li ha prodotti ed arricchiscono il capitalista.

Qui nella nozione di Marx di oggettivazione si individua un diretto riferimento ad Hegel in


quanto Marx non fa altro che ribadire quanto Hegel aveva scritto nella “ Fenomenologia
dello spirito” e in particolare nel rapporto tra signoria e servitù, laddove Hegel scriveva che
il lavoro forma nel senso oggettivo e soggettivo. Il lavoro
forma in senso oggettivo nel senso che trasforma l’oggetto, la materia mediante l’attività
lavorativa (il falegname che dopo una giornata lavorativa trasforma il legno in finestre);
cioè cambia il materiale circostante. Il lavoro
forma anche in senso soggettivo perché attraverso il lavoro, il lavoratore o operaio diventa
consapevole delle sue qualità psico-fisiche e quindi quando Marx definisce il lavoro come
oggettivazione non fa altro che ribadire quanto aveva scritto Hegel nella “Fenomenologia
dello Spirito” e in particolare nella nozione che il lavoro forma.

Vi è un riferimento diretto di Marx rispetto ad Hegel; mentre però per quanto riguarda
Hegel tutto avveniva nell’ambito in questo caso dell’autocoscienza e tutto avveniva sul
piano esclusivamente filosofico, invece in Marx tutto viene applicato per quanto riguarda
il significato storico- economico del modo di produzione capitalistico.
Di conseguenza l’alienazione è una conseguenza del modo di produzione capitalistico in
quanto sottrae ai lavoratori i beni che ha prodotto (esempio: i bambini in Cina
producono i telefonini ma essi non appartengono a loro, ma appartengono agli
occidentali).
Dunque il lavoro per natura è oggettivazione ma l’attività lavorativa nel modo di
produzione capitalistico poi si trasforma in alienazione perché il prodotto non appartiene
all’operaio ma al capitalista .
Tanti più oggetti l’operaio produce, tanto meno egli ne può possedere; alla maggiore
quantità di oggetti corrisponde la minore utilizzabilità da parte dell’operaio.

L’operaio tanto più lavora e logora completamente la sua condizione psico-fisiche, tanto
più diventa succube dei prodotti che sono stati oggetto della sua attività lavorativa e quindi
dei prodotti realizzati dall’operaio nel modo di produzione della fabbrica.
Ovviamente Marx sta realizzando queste considerazioni filosofiche alla luce delle
conseguenze della Prima Rivoluzione Industriale.
2) Rapporto tra operaio e attività lavorativa

Marx inizia dunque a trattare il secondo significato di alienazione che riguarda il rapporto
tra operaio e attività lavorativa. Il lavoro alienato nella società
capitalistica riduce l’operaio a ente infelice perché il lavoro non lo soddisfa, malgrado il
lavoro costituisca la determinazione, l’aspetto e la componente che distingue gli uomini
dalle bestie. Le bestie consumano quanto trovano spontaneamente nell’ambiente
circostante, gli uomini invece mediante il lavoro mutano l’ambiente circostante per
soddisfare determinati bisogni. L’uomo è insoddisfatto del lavoro perché è un lavoro
costrittivo, nel quale le ore in cui si è impegnati risultano talmente pesanti e insopportabili
che dopo non riesce a trovare le energie psicofisiche per dedicarsi ad altre attività.
( esempio:leggere un libro o fare una passeggiata)

Il lavoro e l’attività lavorativa sono paragonati da Marx al famoso vampiro che succhia il
sangue cioè l’energie del lavoratore che non riesce a dedicarsi ad altre attività ed una volta
tornato a casa riesce solo ad andare a dormire.

Dunque il lavoro alienato rende l’uomo, l’operaio infelice, insoddisfatto del lavoro e
inappagato a tal punto che, scrive Marx, il lavoro viene fuggito come la peste; come la
peste viene evitata altrimenti incorrerebbe nel contagio, così il lavoro viene evitato perché
costrittivo, infelice e pesante.
Laddove invece il lavoro dovrebbe costituire la massima espressione, oggettivazione delle
nostre qualità psico-fisiche; a tal punto poi, scrive Marx, l’uomo si sente realizzato nelle
attività bestiali quali mangiare, bere e procreare e si sente invece alienato nelle attività
umani cioè quelle dell’attività lavorativa.
Quindi il bestiale diventa umano e l’umano diventa bestiale; anche in questo caso non si fa
altro che applicare il procedimento dell’umkehrung di Hegel.

Il bestiale diventa umano cioè l’uomo si sente realizzato a mangiare, ubriacarsi e generare
come le bestie, e l’umano nell’attività lavorativa si trasforma in bestiale a tal punto che gli
operai sembrano come schiavi incatenati alla catena di montaggio.
Quindi il lavoro non è più il soddisfacimento del bisogno di esprimere le proprie qualità
psico-fisiche, ma un mezzo per soddisfare la necessità di sopravvivere e di procurarsi il
necessario per il sostentamento; anche in questo caso Marx quindi sottolinea il
capovolgimento soggetto-predicato.

Psyche e Techne
Pubblicata nel 1999, è l’ opera più importante di Galimberti riguardo l'uomo nell'età della tecnica,
quindi sul rapporto tecnica-uomo. Secondo galimberti il ragionamento di Marx secondo
l'alienazione è corretto solo storicamente: se rapportato al periodo in cui marx scrive queste
osservazioni risulta valido ed indiscutibile (XIX secolo) . Questo periodo è definito
pretecnologico-umanistico.

1) pretecnologico poiché è l’orizzonte ancora precedente all'età della tecnica che sarebbe
cominciata per galimberti durante la seconda guerra mondiale.

2) umanistico poichè nell'analisi marxiana non sono altro che due soggettività in contrasto:
dell'imprenditore e dell'operaio o lavoratore. Nell'orizzonte della tecnica, queste due soggettività
ormai sono diventate oggetti e il soggetto è diventato la tecnica. Quindi è avvenuto un
cambiamento radicale in cui le due soggettività non sono altro che mezzi, strumenti per realizzare
lo sviluppo tecnico; il cambiamento dei mezzi in grado di assicurare maggior profitto, di qui
differenza tra sviluppo e progresso.
Il progresso riguarda un cambiamento qualitativo: dal punto di vista dei valori, relazioni
interpersonali. Invece lo sviluppo riguarda un aumento quantitativo in cui non corrisponde un
miglioramento qualitativo. Anche in molti casi allo sviluppo corrisponde un peggioramento
qualitativo del tenore di vita, dei valori, dei rapporti interpersonali, politica, arte..ecc

Quindi con l'avvio dell'età della tecnica la dimensione umanistica è stata completamente
emarginata perché il soggetto non è più l'operaio o il capitalista ma è la tecnica che tende a
produrre sempre maggiori fini, con l’autoproduzione di se stessa, utilizzando il minimo dei mezzi,
in cui sia il capitalista che l'operaio risultano emarginati, in secondo piano rispetto allo sviluppo
tecnico.
È avvenuta una trasformazione radicale rispetto all'analisi marxiana basata dell'età pretecnologica
e umanistica. Si è passati al dominio completo della tecnica, a tal punto che poi produce come
conseguenza il fatto che il capitalista non sia più interessato al profitto ma esclusivamente
all'amministrazione della fabbrica per realizzare il massimo dei fini con il minimo dei mezzi.

Altro testo pubblicato postumo nel 1888 di Engel dal titolo " Liduig Fouerbach è il punto di
approdo della filosofia classica tedesca" in cui c’è il confronto critico con la filosofia di Fouerbach,
poiché c'erano solo poche pagine di appunti, furono conferite nelle 11 tesi in cui marx chiarisce
anche in che senso intende il materialismo storico. Infatti è presente l'ontologia della prassi.

1 tesi: marx per materialismo volgare o crasso intende la concezione in base alla quale l'oggetto
costituisce il prius e il soggetto il posterius. Da questo materialismo volgare, quindi acritico,
scaturisce una componente opposta: quella dell’idealismo, psicologico o ontologico, in cui l’idea
costituisce il prius, il ground (fondamento). Secondo marx invece ambedue queste componenti
filosofiche risultano Unseiting (unilaterale).

TESTO PAG 146-147


Le tesi su Feuerbach risultano essere molto importanti in quanto costituiscono un’esposizione
sintetica, ma allo stesso tempo molto chiara ed esplicita, da un lato sempre per quanto riguarda la
critica alla filosofia di Feuerbach e in particolare il materialismo, che Marx definisce volgare, un
materialismo di basso contenuto filosofico, espresso talvolta senza alcuna articolazione.
-PRIMA TESI:
Marx esprime in una nota osservazione critica riguardante non solo il materialismo feuerbachiano,
ma ogni materialismo che ha attraversato il pensiero occidentale. Per materialismo si intende la
componente filosofica secondo la quale la materia, l’oggetto, il sensibile, costituiscono il prius e il
soggetto, invece, o il pensiero umano costituiscono il posterius. Il limite del materialismo è dato
dalla sua unilatelarità, dalla separazione tra oggetto e soggetto, questo tipo di separazione ha
prodotto come conseguenza il fatto che l’oggetto venga considerato staccato dal soggetto, mentre
secondo Marx, quindi secondo la sua ontologia della prassi l’oggetto a sua volta si costituisce in
quanto risultato dell’attività del soggetto. Se secondo il materialismo il prius è costituito dalla
cattedra e il posterius è costituito dal soggetto che la percepisce o che la definisce, a sua volta però
all’interno di un materialismo critico, come quello di Marx, l’oggetto, in questo caso la cattedra,
non è altro che il risultato, il prodotto dell’attività umana, sia nel singolo soggetto, ma anche nel
genere umano. Attraverso quindi il materialismo critico di Marx o la sua ontologia della prassi
l’oggetto non è altro che il risultato della critica del soggetto. Quindi il materialismo critico di Marx
segna da un lato la separazione tra soggetto e oggetto propria del materialismo volgar, dall’altro
poi una concezione dell’oggetto come prodotto, risultato dell’attività umana. Attraverso quindi il
materialismo critico marxiano, attraverso l’ontologia della prassi si supera la separazione tra
soggetto e oggetto, in cui l’oggetto non è altro che il risultato dell’attività umana. Ma se il soggetto
è risultato il prodotto dell’attività umana allora l’oggetto viene soggettivizzato e il soggetto viene
oggettivizzato.
L’idealismo costituisce la versione opposta rispetto al materialismo che privilegiava l’oggetto
rispetto al soggetto, mentre l’idealismo privilegia, pone come prius il soggetto e come posterius
l’oggetto. Anche l’idealismo, nella prospettiva critica kantiana viene superato nel senso che
l’attività mentale lo costituisce oggettivizzandosi, per esempio io penso a qualcosa, ma se penso a
qualcosa o a qualcuno non faccio altro che riferirmi a questo qualcosa o qualcuno e quindi la mia
attività mentale risulta oggettivizzata o si esprime in un oggetto, come l’oggetto non è altro che il
prodotto dell’attività umana. Quindi alla prospettiva dicotomica di separazione di soggetto e
oggetto Marx contrappone un tipo di prospettiva in cui soggetto e oggetto diventano, utilizzando
un termine hegeliano, fluidi, cioè perdono la propria rigidità. L’oggetto di conseguenza risulta
soggettivizzato come prodotto dell’attività umana e il soggetto risulta oggettivizzato in quanto si
esprime in relazione con l’oggetto. Qui Marx non fa altro che enunciare il suo materialismo critico
o quella che è stata definita anche da altri studiosi la sua ontologia della prassi. Ontologia vuol dire
essere, della prassi nel senso che l’oggetto non è altro che prodotto e risultato del poiein, l’attività
umana. 8

UNDICESIMA TESI SU FEUERBACH


“I filosofi sinora hanno diversamente interpretato il mondo, si tratta di cambiarlo”

Questa tesi è molto importante sia in riferimento alla filosofia precedente, sia per il nuovo modo di
intendere marxiano: per quanto riguarda la filosofia precedente, Marx la critica perché tutti i
filosofi precedenti non hanno fatto altro che tentare di interpretare le leggi del mondo sulla base
della comprensione di questo mediante sistemi o categorie filosofiche, ma questo tipo di
interpretazione che si è succeduta riguardo al mondo non è altro che una prospettiva, secondo
Marx, limitata, incompleta. Incompleta nel senso che non ha prodotto nessun tipo di conseguenza
per quanto riguarda l’ordinamento storico sociale esistente, anzi, secondo Marx, la filosofia molto
spesso è stata utilizzata per sanzionare e giustificare l’ordinamento storico-politico esitente.
Occorre quindi un cambiamento completo di prospettiva da quella interpretativa, giustificativa o
giustificatrice dell’esistente, a un tipo di filosofia rivoluzionaria: vuol dire che occorre passare,
secondo Marx, dal punto di vista filosofico, dal TEOREIN al PRATTEIN, che comprenda anche il
POIEIN, ossia produrre un tipo di società alternativa che finalmente segni una discontinuità netta
rispetto alle società precedenti attraverso l’attività rivoluzionaria. Marx stesso nella sua vita si è
impegnato dal punto di vista politico per cambiare l’ordine esistente. Dunque questa tesi segna la
METABASIS da una concezione della filosofia contemplativa (nel senso del TEOREIN), a un tipo di
filosofia che interviene, si impegna con l’attività rivoluzionaria per cambiare il mondo e in cui
quindi pensiero e azione costituiscono due componenti interdipendenti: un pensiero senza azione
è pensiero sterile, che non produce nessun tipo di risultato; invece un pensiero che passa per la
critica della società esistente e che poi si impegna attivamente per cambiarla, risulta un pensiero
radicale, funzionario e corrisponde alla concezione della filosofia Marxiana, destinata a superare la
prospettiva teorica delle filosofie precedenti. Quindi l’ultima tesi segna da un lato il superamento
delle filosofie precedenti, ma dall’altro avvia una nuova concezione della filosofia attiva,
rivoluzionaria, che attraverso l’interpretazione del modo di produzione capitalistico produce le
premesse per un suo cambiamento radicale, dunque per la società alternativa, che non avviene in
maniera pacifica, ma attraverso la rivoluzione e l’intervento violento. La classe dominante infatti
non è disposta a cedere potere e privilegi e quindi, affinché il cambiamento avvenga, deve essere
costretta con la forza, attraverso l’intervento sia dei lavoratori, sia dei sottoproletari disoccupati
uniti in un tipo di mobilitazione per cambiare l’ordine socio-politico ed economico esistente.
Questo tipo di concezione della filosofia costituisce un impegno, una promessa, un distacco
marxiano rispetto agli aspetti fondamentali della filosofia occidentale.

IDEOLOGIA TEDESCA (1845-1846)


Opera importante perché contiene nelle prima 100 pagine le lavorazioni, l’enunciazione della
concezione materialistica della storia, quella che è definita dagli studiosi “ontologia della
produzione”, di conseguenza se le tesi su Feuerbach contengono l’ontologia della prassi (filosofia
della prassi in base alla prima tesi su Feuerbach, riguardo al superamento delle due componenti
contrastanti materialismo e idealismo), l’Ideologia Tedesca, nella prima parte fondativa,
propositiva, contiene l’ontologia della produzione: vuol dire che l’essere degli uomini si identifica
con l’attività produttiva. Marx scrive che gli uomini si distinguono dagli animali, non perché
parlano o pensano (componenti accessorie), ma perché producono i loro mezzi di sussistenza: gli
animali consumano quanto trovano spontaneamente dalla natura; gli uomini trasformano
l’ambiente circostante per soddisfare i loro bisogni, ad esempio il contadino zappa la terra per
seminare e trarre dalla semina il grano. 9
Testo pag. 173

INTRODUZIONE: la variabile indipendente costituisce la componente che varia secondo i vari


periodi storici: vuol dire che l’economia antica è diversa da quella feudale, l’economia feudale si
distingue dall’economia della prima rivoluzione industriale, l’economia della seconda rivoluzione
industriale si distingue dall’economia della terza rivoluzione industriale e così via; economia deriva
dal greco oikos nomos, e costituisce le regole che sono alla base dell’oikos (componente collettiva,
società); i greci distinguevano l’economia dalla crematica, infatti nell’economia ciascun ente
appartenente alla società collabora al soddisfacimento dei bisogni collettivi (pane, pasta, frutta,
vestiti ecc.) e si assicura l’armonia una condizione di collaborazione tra tutti gli individui, mentre
nella crematistica il punto di partenza e il punto di arrivo è dato dall’assicurazione della ricchezza,
indipendentemente dai bisogni vitali e accessori degli individui che compongono la società, da cui
deriva lo squilibrio all’interno della società fra coloro che posseggono i beni e coloro che non
posseggono nulla (degenerazione della economia)

RIGHE 1-5: i presupposti da cui parte l’analisi marx-engelsiana non sono arbitrari, cioè non
risultano opinabili e non sono neanche dogmi, ossia accettati per fede, ma sono reali ed empirici
nel senso che sono osservati direttamente dal modo di produzione che ha attraversato l’attività
lavorativa e produttiva del genere umano.

RIGHE 6-10: la storia umana è in primo luogo dovuta al fatto che esistano individui umani
viventi: umani vuol dire che possiedono le caratteristiche proprie dell’uomo (ZOON, TROPON,
EKON); l’organizzazione fisica vuol dire il modo in cui stabiliscono i vari tipi di società, perché
occorre che da un alto ci siano gli spazi, dall’altro delle relazioni in modo tale che si stabiliscano
delle leggi e poi il rapporto con l’ambiente circostante, con la natura (se hanno deciso di vivere sui
monti non possono zappare o seminare, perché sui monti non c’è il terreno adatto, quindi la
dimensione fisica del suolo è importante per l’attività produttiva).

RIGHE 11-15: le condizioni oro-idrografiche riguardano le montagne e i fiumi, infatti il fiume era
ed è vitale nella società (acqua che beviamo, che usiamo per cucinare e lavarci ecc.).

RIGHE 16-20: la parola “produrre” è la parola chiave di questo testo marxiano (produrre sulla
base della IULE, del materiale preesistente); se gli uomini non producessero i loro mezzi di
sussistenza non potrebbero sopravvivere, infatti “vita materiale” vuol dire che riescono a
soddisfare i loro bisogni di sopravvivenza. !NON LEGGERE! *Fare collegamento con l’Ideologia
Tedesca al paragrafo precedente*

RIGHE 21-25: “riproduzione dell’esistenza fisica” vuol dire riprodurre il genere umano nel senso
che gli uomini hanno continuato a vivere soltanto perché hanno prodotto i loro mezzi di
sussistenza, quindi le varie generazioni si sono succedute proprio perché erano disponibili i mezzi
di sussistenza; gli uomini esprimono la loro vita attraverso l’attività lavorativa, l’attività
dell’immaginazione, l’attività politica e così via, quindi il loro essere è dato dal modo in cui
esprimono la loro vita, ma esprimere la vita vuol dire produrre i mezzi di sussistenza perché senza
questi il genere umano sarebbe destinato all’estinzione; “Ciò che essi sono coincide con la loro
produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono”: questa frase è
molto importante per l’identificazione dell’essere con la produzione, quindi qui in modo diretto si
ribadisce l’ontologia della produzione; poi Marx precisa in cosa consiste l’essere produttivo, che si
identifica con ciò che producono (quanto deriva dall’attività produttiva: oggi automobili, cellulari
ecc.); il come riguarda i mezzi, gli strumenti che vengono utilizzati dal punto di vita produttivo, ma
il come riguarda anche le relazioni di produzione (nel manifesto del partito comunista sono liberi e
schiavi, signori feudali e sevi della gleba, patrizi e plebei), cioè le relazioni che si stabiliscono
nell’ambito produttivo, quindi nella relazione di produzione odierna il capitalista possiede il
capitale e i proletari, che non possiedono nulla, vendono la forza lavoro in cambio di un salario se
effettuano un’attività manuale, di uno stipendio se effettuano un’attività intellettuale, infatti
quando le fabbriche chiudono in lavoratori restano senza credito.

TESTO di Marx
Il primo motivo, costituisce l'unico testo in cui Marx ripercorre la propria autobiografia
intellettuale. Traccia le basi attraverso il quale ha effettuato la sua elaborazione della filosofia e
della storia. Secondo aspetto, è che individua le forze motrici della storia, che coincidono con la
struttura. Molto importante è la prefazione che costituisce una critica all'economia politica del
1859. Marx scrive in tedesco, sia perché è la sua lingua madre, sia perché indirettamente si
confronta con la filosofia tedesca che costituisce sempre il punto di riferimento del suo pensiero.

Nel testo Marx fa riferimento alla società civile hegeliana, l'anatomia della società civile è
rappresentata dall'economia e dai rapporti di produzione, mentre per Hegel la base della società
civile era lo stato.

[la parola del testo in tedesco vuol dire annali franco-tedeschi]>>Fa introduzione alla critica della
filosofia del diritto di Hegel pubblicata nel 1844.

I rapporti giuridici, o leggi, non sono astratte, ma qualcosa di concreto e quindi sono l'emanazione
delle condizioni materiali di vita della società feudale rispetto tutte le altre componenti della
società, esprimono l'interesse della classe dominante, ovvero il capitale. Ovviamente in questo
modo, le leggi vengono definite universali, invece non fanno altro che esprimere gli interessi
sociali della classe dominante a svantaggio degli altri cittadini.

Marx individua nell'economia politica la componente che chiarisce le dinamiche socio-economiche


della società. Marx aveva appreso l'idea del sistema capitalistico storico che ha avuto un inizio, il
suo apice ed è destinato al declino da Hegel.

Infatti Hegel poi individua le varie civiltà caratterizzate dall'avvio, dal punto massimo di
espressione e dal declino (storia del mondo hegeliana). Marx ha il vantaggio di confrontarsi
filosoficamente con l'economia classica e individuarne le contraddizioni.

Marx risiedette a Parigi per pochi mesi poi venne espulso per un provvedimento firmato dal
ministro degli esteri, si stabilì a Bruxelles, malgrado questo continuò gli studi, in seguito si stabilirà
a Londra fino alla morte.
Marx anche ha individuato il suo filo conduttore, la componente comune riguardante lo studio
della politica e dei rapporti giuridici. Segna la metabasis da un tipo di approccio ciascuno separato
dall'altro a un tipo di pensiero globale, infatti segna il passaggio da un tipo di sapere alla
concezione tedesca di sapere, che Marx riprende da Hegel e fichte, di Winsenshapt. La differenza
tra scienza e Winsenshapt, è che la scienza riguarda argomenti incomunicabili, invece la
concezione della scienza tedesca, individua l'elemento comune per raggiungere un tipo di sapere
olistico.

Nella loro esistenza gli uomini stabiliscono rapporti di produzione, tra chi comanda e chi è
comandato, stabiliscono i livelli delle forze produttive, che comprendono coloro che lavorano, le
conoscenze tecniche e gli strumenti che vengono utilizzati. Quindi la componente marxiana delle
forze produttive, è intesa in questo triplice senso.

Marx poi individua quello che gli storici hanno definito statica-sociale, ovvero le componenti stabilì
e immodificabili dello sviluppo della società, ovvero struttura e sovrastruttura.

La struttura riguarda i rapporti tra forze produttive e rapporti di produzione, la sovrastruttura non
è altro che la conoscenza della struttura. Ovvero la struttura riguarda le leggi e lo stato, la
sovrastruttura riguarda la conseguenza della loro emanazione. 10

Brano “Il rapporto tra struttura e sovrastruttura” di Marx, pag 156/157


In tale brano, Marx sviluppa sia la concezione, definita dalla statica sociale, della struttura e della
sovrastruttura come componenti statiche e fisse per qualsiasi divenire storico, dall’età asiatica a
quella greco-romana, a quella feudale e così via, e tratta della dinamica sociale, ovvero in che
senso avvengono i cambiamenti, partendo dalle due componenti che Marx individua come agenti
e determinanti del divenire storico, ovvero la struttura e la sovrastruttura.
(Il paragrafo 1 l’ha spiegato nella lezione precedente)

Paragrafo 2:
Marx, per produzione sociale della loro esistenza, intende, riferendosi all’Ideologia tedesca, il
modo in cui producono socialmente, in ambito della società, i mezzi di sussistenza. Infatti,
nell’Ideologia tedesca Marx e Engels avevano scritto che “gli uomini si distinguono dagli animali
perché producono i loro mezzi di sussistenza”: si ritorna, quindi, all’Ontologia della produzione,
produzione anche sociale nel senso che ciascuno effettua l’attività produttiva e così, non solo
contribuisce a soddisfare i propri bisogni, ma anche quelli della società.9 Inoltre, secondo Marx, le
varie epoche storiche si distinguono per ciò che producono e per come lo producono, ovvero per
quali strumenti utilizzano: ad esempio, la nostra età si distingue dal feudalesimo per ciò che
produce: oggi siamo in grado di produrre automobili, dispositivi elettronici, che nel feudalesimo
non erano neanche in grado di immaginare e se il contadino utilizzava nel feudalesimo utensili
manuali, adesso sfrutta strumenti meccanici. Tuttavia, il “come” indica anche le relazioni di
produzione: nel feudalesimo, queste erano tra il feudatario e il servo della gleba, invece oggi sono
diventate tra il proprietaria agrario, e quindi il capitalista, e i lavoratori salariati che vengono,
quindi, retribuiti. Questi rapporti, scrive Marx, sono determinati e necessari, nonché indipendenti
dalla volontà, in quanto quando si nasce ciò avviene in determinati rapporti di produzione, già
predeterminati rispetto alla singola esistenza individuale. I rapporti sociali dipendono dalle forze
produttive, che il filosofo intende come i mezzi, gli strumenti che vengono utilizzati per produrre,
le conoscenze tecniche che vengono applicate per incentivare l’attività produttiva e coloro che
sono coinvolti nell’attività produttiva, finendo con l’assumere un triplice significato. Queste
componenti stabili e immodificabili costituiscono la struttura di qualsiasi periodo storico.10 A tale
base, Marx associa la sovrastruttura, che costituisce l’epifenomeno, e cioè la conseguenza, dei
rapporti stabiliti dal punto di vista produttivo. Perciò, Marx intende per sovrastruttura le leggi, le
interazioni giuridiche, la politica e tutto ciò non è altro che la manifestazione dei rapporti di
produzione: infatti, se nei rapporti di produzione prevale la classe feudale, le idee e le leggi non
faranno altro che tutelare gli interessi della classe feudale. Si stabilisce così un rapporto causa-
effetto, in cui la causa è data dalla struttura che comprende i rapporti di produzione e le forze
produttive, e l’effetto è dato dalla sovrastruttura, che contiene come significato le leggi, la cultura,
la politica, il tutto in funzione della classe dominante.

Il modo attraverso cui producono i mezzi di sussistenza condiziona e determina sia la vita sociale, e
quindi la convivenza dei cittadini, sia le idee e la componente spirituale: il prius per Marx è
costituito dalla struttura, ovvero dai rapporti tra mezzi di produzione e forze produttive, e il
posterius dalla sovrastruttura. Nel periodo “Non è la coscienza degli uomini […] la loro coscienza”
è possibile individuare una critica alla filosofia di Hegel, laddove per Hegel la coscienza costituiva il
prius e l’essere costituiva il posterius, invece per Marx l’essere, non inteso come essere astratto
ma come essere sociale, determina la coscienza e le idee degli individui. Il capitalista è un tipo di
coscienza prodotta dal fatto che si è capitalista, interessato a far aumentare il proprio capitale,
mentre il lavoratore, il dipendente, ha una coscienza differente in quanto è interessato a
mantenere il proprio posto di lavoro e a esercitare i propri diritti.

Paragrafo 3:
Marx tratta la componente della sua concezione della storia: la prima componente è la statica
sociale ma molto importante è anche la dinamica sociale. Questa coincide con il modo in cui
avvengono i cambiamenti sia dal punto di vista della struttura sia da quello della sovrastruttura10.
I cambiamenti avvengono quando i rapporti di produzione risultano un ostacolo e si trasformano
in catene rispetto allo sviluppo delle forze produttive: quando è avvenuta la prima rivoluzione
industriale, i rapporti di produzione che sussistevano nel feudalesimo si erano trasformati in limiti
e catene rispetto ai cambiamenti intervenuti nelle forze produttive. Infatti, ad esempio, il rapporto
tra feudatario e servo della gleba si era trasformato in un elemento ostacolante rispetto alle
aziende agricole a carattere capitalistico e l’industria ha prodotto dei cambiamenti enormi tanto
da generare l’abolizione dei rapporti di produzione feudale della manifattura e lavoratori a
domicilio, che costituivano rapporti di produzione inadeguati. Tutto ciò produce dei cambiamenti
sia nella struttura e sia nella sovrastruttura, ovvero che nel passaggio da feudalesimo al
capitalismo la classe dominante non è più quella feudale basata sulla rendita ma diviene la
borghesia, che utilizza il proprio capitale per trarne ulteriore vantaggio. Quindi, quando si afferma
la borghesia, le leggi, la cultura e la politica non fanno altro che esprimere gli interessi della classe
dominante: al cambiamento nella struttura corrisponde un cambiamento di carattere
sovrastrutturale. Secondo Marx, inoltre, i cambiamenti nella struttura possono essere descritti con
la stessa precisione delle scienze naturali, in maniera incontrovertibile e certa, e a tali
cambiamenti si accompagnano anche cambiamenti nell’ambito letterario, politico, artistico e così
via.

LA CONCEZIONE DELLA STORIA SECONDO MARX


In base al testo letto Marx individua quelle che gli storici hanno definito statica sociale e dinamica
sociale.

La statica sociale riguarda le componenti statiche, ferme che caratterizzano tutta la storia del
genere umano (dalle antiche civiltà mesopotamiche fino al capitalismo della prima rivoluzione
industriale, poiché Marx si confronta con esso).

Essa è caratterizzata da due componenti: le forze produttive e le relazioni di produzione che


costituiscono la struttura.

Le forze produttive sono i mezzi, gli strumenti, le conoscenze e coloro che utilizzano l’attività
lavorativa; i rapporti di produzione sono i rapporti stabiliti nell’ambito del processo produttivo
( secondo Marx gli uomini si distinguono dagli animali perché producono i mezzi di sussistenza ).

I rapporti di produzione sono caratterizzati nella società asiatica da liberi e schiavi, nella società
romana da patrizi e plebei, nella società feudale dal signore feudale e contadino o servo della
gleba, nell’ambito della produzione da maestro artigiano e apprendista o lavorante, nell’ambito
del moto di rivoluzione capitalistico dal capitalista che possiede il capitale e il proletario che
possiede solo la prole e che vende la prole e sé stesso in cambio di un salario.

Questa è in sintesi la statica sociale cui corrisponde poi rispetto alla struttura la sovrastruttura, che
è l’emanazione e conseguenza dei rapporti e relazioni che si stabiliscono nella struttura, quindi la
classe che domina e che esercita il potere dal punto di vista produttivo nell’ambito lavorativo non
fa altro che esercitare questo dominio nella componente sovrastrutturale, quindi la componente
sovrastrutturale riguarda le leggi, cioè la componente giuridica, emana prova delle leggi che
garantiscono i privilegi, riguarda la politica, il potere ( nelle società antiche il potere era esercitato
dai patrizi, dai signori feudali…) , cioè il controllo dello stato e quindi la politica interna, estera,
economica…, riguarda la cultura controllata sempre dalla classe dominante. La cultura non fa altro
che esprimere i valori della classe dominante.

La cultura dell’età omerica ad esempio descrive la classe dominante dei migliori, di coloro che
possedevano terre, grandi residenze, denaro necessario per garantirsi un elevato tenore di vita.
Questa componente è estesa alle varie forme in cui si sviluppa la storia, quella asiatica, quella
greco romana, espressa ad esempio nell’ Eneide di Virgilio (V. nell’Eneide non fa altro che esaltare
le origini di Roma, la civitas romana e indirettamente l’impero augusteo).
La dinamica sociale, sempre individuando le due componenti del testo di riferimento, non fa altro
che individuare nel contrasto tra forze produttive e rapporti di produzione la componente che
segna i cambiamenti dal punto di vista storico e in particolare quando lo sviluppo delle forze
produttive risulta di gran lunga superiore rispetto ai rapporti di produzione a tal punto che questi
si trasformano in impedimenti o ostacoli, ad esempio quando è avvenuta la prima rivoluzione
industriale ormai i rapporti di produzione del feudalesimo risultavano inadeguati rispetto ai
cambiamenti ottenuti dal punto di vista produttivo, allora i rapporti di produzione sono destinati di
conseguenza a trasformarsi in ostacoli e quindi sono destinati ad essere modificati in relazione
alle trasformazioni intervenute nelle forze produttive attraverso l’epoca di rivoluzione.

Marx qui individua le componenti che intervengono nelle rivoluzioni e nei cambiamenti radicali sul
tema produttivo, in queste rivoluzioni i rapporti di produzione vengono completamente
trasformati in corrispondenza dei cambiamenti intervenuti nelle forze produttive, questi
cambiamenti poi producono delle ripercussioni necessarie anche dal punto di vista
sovrastrutturale.

I valori del feudalesimo una volta abbattuto il feudalesimo dalla società capitalistica sono sostituiti
dai valori della società borghese, valori propri della borghesia e quindi della ricchezza: liberismo,
capacità dell’imprenditore di utilizzare il denaro per garantire il profitto, di non temere un denaro
spropositato in banca ma utilizzarlo per avviare attività produttive. I nuovi valori sono quelli della
libera iniziativa, del liberismo, dal punto di vista culturale gli eroi sono gli eroi della borghesia e
ovviamente anche dal punto di vista politico è abbattuta la classe feudale e si insedia la borghesia
che attraverso le varie forme di suffragio, prima più ristretto e poi più universale, non fa altro che
utilizzare la partecipazione dei cittadini al voto per tutelare e mantenere il gran potere
economico, sostenendo che i valori proclamati da questa siano universali.

La dinamica sociale è l’interpretazione da parte di Marx dei cambiamenti storici sulla base della
contraddizione tra forze produttive, destinate a cambiare e a modificarsi progressivamente e
rapporti di produzione che si trasformano in catene o ostacoli e in quanto catene devono essere
demoliti in modo tale che la nuova società si costituisca con rapporti di produzione corrispondenti
alle forze produttive.

DIFFERENZA DEL CONCETTO DI ALIENAZIONE

1) l’alienazione in Hegel
Il primo filosofo ad aver utilizzato il concetto di alienazione è Hegel all’interno del suo sistema e
quindi della sua organizzazione del sapere laddove Hegel intende alienazione come la metabasis
dalla dimensione della logica o dell’assoluto alla dimensione della natura, dove la natura risulta
alienata ed estraniata rispetto all’assoluto.
Perché la dimensione dell’assoluto risulta estraniata ed alienata rispetto alla dimensione della
natura?

Perché mentre l’assoluto è eterno e perfetto, la dimensione della natura risulta soggetta al tempo
e quindi imperfetta, quindi l’assoluto e la natura risultano alienati in quanto si manifestano
attraverso una dimensione completamente estranea.

Alla base della concezione Hegeliana di alienazione si trova la differenza ontologica tra natura e
assoluto o logica.

Questa differenza ontologica deriva dal fatto che mentre la logica o l‘assoluto risultano eterni e
perfetti, la natura invece è caratterizzata dal cambiamento, ghenestai cai apollustai, quindi
l’assoluto o la logica sono alienati rispetto alla natura perché si manifesta una dimensione
completamente estranea e differente dalla natura a tal punto che poi questa relazione è destinata
ad essere risolta con la metabasis dell’assoluto dalla natura allo spirito.

In Hegel la concezione dell’alienazione è di carattere sistematico, logico, filosofico.

AUDIO 14/02

SCHOPENHAUER
Vita e opere

Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da una famiglia agiata, suo padre era un ricco mercante
che però si suicidò nel 1805. Quindi Schopenhauer resta orfano del padre ma risulta comunque
agiato dal punto di vista economico a tal punto che non ha bisogno di lavorare per vivere, i beni
ereditati dal padre gli consentono di esercitare la vita intellettuale in maniera libera e
indipendente; la madre intanto si trasferisce a Weimar, dove trovò modo di frequentare il circolo
intellettuale di Goethe. Però ben presto Schopenhauer matura interessi filosofici a tal punto che
poi si laurea all’università di Jena nel 1813 con la tesi dal titolo “Sulla quadruplice radice del
principio di ragion sufficiente” contenente già gli aspetti fondamentali della sua filosofia che avrà
poi modo di rielaborare negli anni successivi, a tal punto che già nel 1818 ha scritto la sua opera
fondamentale “Il mondo come volontà e rappresentazione” che sarà poi pubblicato l’anno dopo,
nel 1819, a spese dello stesso Schopenhauer perché nessun editore voleva rischiare i costi della
stampa per un’opera di un filosofo sconosciuto. La motivazione però de “Il mondo come volontà e
rappresentazione” non suscita alcun tipo di dibattito, di interesse, a tal punto che l’opera giace
nelle librerie senza essere acquistata, gran parte delle copie andranno al macero, saranno distrutte
perché in quest’opera Schopenhauer avviava un tipo di filosofia pessimistica in contrasto con le
filosofie positive, ottimistiche del periodo la cui massima espressione era la filosofia di Hegel. Poi
Schopenhauer ottenne anche la libera docenza, poteva insegnare in università essendo retribuito
dagli stessi studenti senza poter contare sulla retribuzione pubblica. Però ebbe la temerarietà di
fissare le sue lezioni negli stessi giorni e ore in cui le teneva Hegel. Hegel era il filosofo considerato
fondamentale, seguito da tutti gli studenti all’università di Berlino. Invece Schopenhauer non
subiva nessun tipo di considerazione con la conseguenza che le lezioni di Hegel erano seguitissime
e affollate; mentre quelle di Schopenhauer andavano deserte. Questo perché, innanzitutto
Schopenhauer come già detto era agiato e non aveva bisogno del denaro degli studenti per
sopravvivere, ma in questo modo egli intendeva indirettamente contrastare la filosofia
razionalistica, ottimistica, positiva di Hegel con la sua filosofia negativa e pessimistica.
Schopenhauer non si scoraggia, continua per alcuni anni a tentare di tenere lezioni negli stessi
giorni e ore di Hegel, ma poi dopo la morte di Hegel nel 1833 si trasferisce a Francoforte e tre anni
dopo pubblica un saggio “Sulla volontà della natura”. Ma nel 1851 la pubblicazione di “Parerga unt
paralipomena”, che vuol dire “cose trascurate” (sono due parole tratte dal greco perché
Schopenhauer aveva studiato il latino, il greco, le lingue orientali) più accessibile, che comprende
saggi brevi, generò interesse per il pensiero di Schopenhauer a tal punto che diventò il filosofo alla
moda. Era invitato a tenere conferenze, corsi nelle varie università, i suoi libri erano acquistati,
tutto questo poiché era cambiato l’ambiente culturale, da quello della prima metà dell’800
positivo e ottimistico, si era passato ad un ambiente culturale negativo e pessimistico e quindi la
filosofia di Schopenhauer cominciò ad essere letta e studiata, quindi gli ultimi 9 anni della vita di
Schopenhauer furono anni felici per quanto riguarda l’interesse rivolto alla sua opera. Morirà poi
nel 1860 a Francoforte.

1813 “Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente”


Nella filosofia occidentale il primo filosofo ad aver trattato il principio di ragione sufficiente fu
Leibniz. Questo principio fa parte delle verità di fatto ed è inteso in senso monistico. Egli affermava
che esisteva sempre una ragione sufficiente che spiegasse perché una cosa avvenisse in un modo o
in un altro. Quindi per tutto ciò che accade, per tutti gli enti che rientrano nelle verità di fatto e
quindi nel contingente, per Leibniz esiste o si pone ragione sufficiente per cui quest’ente agisca o
subisca una determinata azione rispetto all’altra. In alcuni casi questa ragione sufficiente può
risultare per noi oscura, sconosciuta perché noi non possiamo giustificare tutto, mentre quella che
Leibniz definiva monade delle monadi risulta in grado di individuare la ragione sufficiente per cui
tutto quanto accade.

Schopenhauer ripensa al principio di ragione sufficiente leibniziano individuandone una


quadruplice radice, un quadruplice modo di determinarsi e configurarsi.
Egli individua quattro determinazioni del principio di ragione sufficiente:

1) Fisica: la causalità dei fenomeni naturali. Il fenomeno non è altro che la conseguenza di
una determinata causa e quindi il fenomeno è un effetto, l’effetto poi introduce altri fenomeni
nella rete di conseguenzialità di causa ed effetto. (anche se ho mal di testa, esisterà un motivo per
cui ho mal di testa e quindi queste motivazioni andranno analizzate da un punto di vista medico
dal medico);

2) Logica: riguarda i ragionamenti. Logica nel senso greco di leghein, quindi unire ciò che è
separato attraverso la relazione tra soggetto e predicato. Anche i ragionamenti, e quindi la
dimensione del leghein, del pensare, del discorso, possiede una sua necessità intrinseca, data una
premessa ne scaturisce una conseguenza diversa dalla premessa (se uno chiacchiera ne deriva la
conseguenza il fatto che gli si attribuisca 2).
3) Essere: degli enti matematici. Laddove qui gli enti matematici vanno intesi non solo nella
disciplina propria della matematica, ma nel senso ontologico e quindi nel senso dell’essere degli
enti, quindi nel senso che l’essere in quanto essere implica la negazione del non essere, e il non
essere in quanto non essere implica la negazione dell’essere (affermato da Parmenide).

4) Morale: delle azioni. Quindi le azioni non sono mai casuali, ma avvengono per determinati
motivi (quando uno mangia compie l’azione del mangiare perché ha fame).

1818 “Il mondo come volontà e rappresentazione”


Schopenhauer risolve il mondo, quindi la totalità degli enti, nelle due dimensioni della
rappresentazione e della volontà. Le due dimensioni non sono altro che il corrispondente: la
rappresentazione del fenomeno kantiano, la volontà del noumeno kantiano. Secondo
Schopenhauer, infatti, il primo modo, il primo aspetto attraverso cui ci rapportiamo col mondo è
quello fenomenico, del mondo che ci appare attraverso i sensi. Quindi il punto di partenza della
filosofia schopenhaueriana è data dall’analisi del mondo fenomenico o del mondo come
rappresentazione, laddove la rappresentazione secondo Schopenhauer implica la stretta
corrispondenza tra rappresentante e rappresentato. Rappresentante è il soggetto della
rappresentazione, il rappresentato è l’oggetto. Infatti ne i Parerga 1 e paralipomena è presente
uno dei saggi più importanti dal titolo significativo “Scritto sulla storia della teoria dell’ideale e del
reale”. In questo saggio Schopenhauer individua nel pensiero occidentale la dicotomia tra ideale e
reale, quindi tra i filosofi che hanno posto come prius l’ideale (Platone), e coloro che posero come
prius il reale a partire dall’empiria o dai dati sperimentali. Schopenhauer conclude questo saggio
sostenendo che l’ideale si pone in rapporto al reale e il reale si pone in rapporto all’ideale, come
due componenti inseparabili e imprescindibili della conoscenza. Questo corrisponde al
rappresentante che implica il rappresentato e al rappresentato che contiene il rappresentante,
dove il rappresentante è il soggetto e il rappresentato è l’oggetto.

La dimensione del mondo fenomenico per Schopenhauer contiene tre componenti o aspetti e
viene percepito secondo coordinate spazio-temporali: la dimensione spaziale è la dimensione della
permanenza del fenomeno, la dimensione temporale non è altro che il cambiamento del
fenomeno. Queste coordinate che Schopenhauer individua nel mondo, non sono altro che la
rielaborazione di quelle che Kant definiva nella critica alla ragione pura, in particolare nella
conoscenza fenomenica, come le intuizioni pure, lo spazio e il tempo. I punti di riferimento
filosofici di Schopenhauer sono la filosofia di Kant, di Platone, la concezione romantica dell’arte e
in particolare facendo riferimento a Schelling. La quarta componente fondamentale costitutiva
della filosofia di Schopenhauer è il pensiero orientale.

Per tornare al mondo come fenomeno, che secondo Schopenhauer si costituisce secondo
coordinate spazio-temporali e secondo un’unica categoria, rispetto alle dieci categorie kantiane,
quella della causalità, rapporto causa-effetto, quella che Schopenhauer definisce wirken, agire.
Tutta la natura, tutto il mondo della physis nel senso olistico dei tre, è natura il terreno su cui
poggiano i piedi, lo sono gli animali, le piante, gli uomini, non sono altro che un agire continuo
sulla base di variazioni e implicazioni di causa ed effetto. Quindi di conseguenza Schopenhauer
risolve la sua concezione del mondo come fenomeno attraverso queste tre componenti: lo spazio,
quindi la permanenza dei fenomeni nell’ambito delle coordinate spaziali, il tempo, il
cambiamento, in questo senso la concezione schopenhauriana del tempo non è altro che la
riproposizione della definizione aristotelica del tempo che attraverserà la filosofia occidentale sin
dagli inizi del ‘900. Aristotele definiva il tempo come il numero del movimento secondo il prima e il
poi nella Fisica libro 4 capitolo 11. Quindi il mondo fenomenico per Schopenhauer trova la sua
manifestazione in queste tre componenti: spazio, tempo, nel senso del mutamento, e causalità,
rapporto, relazione causa-effetto che Schopenhauer esprime attraverso il wirken, l’agire, che non è
altro che l’effetto di una causa a sua volta con l’effetto si trasforma in causa. Quindi il mondo in
questo senso si risolve nell’insieme di rapporti di causa e effetto. Se questo quindi costituisce
l’avvio della filosofia di Schopenhauer nella sua concezione del fenomeno, Schopenhauer poi
procede nella sua filosofia confrontandosi con Kant. Se per Kant l’unico modo, o l’unica
dimensione del mondo era quella fenomenica, il mondo non è altro che l’insieme dei fenomeni
che noi percepiamo attraverso i sensi, a tal punto che Kant scriveva che il noumeno non può
essere individuato perché per individuarlo occorre l’intuizione intellettuale. Ma noi non
possediamo l’intuizione intellettuale, non siamo in grado di intendere e definire l’essenza degli
uomini perché possediamo l’intuizione intellegibile. Quindi, infatti, il noumeno era definito da Kant
come dimensione inconoscibile, cosa in sé, quindi se Kant includeva e definiva come accessibile
solo il fenomeno ed escludeva come inaccessibile il noumeno, Schopenhauer invece riteneva e lo
scrive “Nel mondo come volontà e rappresentazione” che rimanere soltanto nella dimensione
fenomenica, vuol dire cogliere o percepire l’apparenza o la superficie del mondo, invece occorre
squarciare il velo di Maya per individuare l’essenza del mondo e quindi il noumeno. Quindi se Kant
escludeva il noumeno e rendeva possibile soltanto il fenomeno, Schopenhauer invece ritiene che
la concezione fenomenica sia incompleta, e di qui la necessità di individuare l’essenza del mondo.
Ma l’essenza del mondo secondo Schopenhauer è la volontà, intesa come determinazione
ontologica, nel senso che la volontà non costituisce solo l’uomo, ma anche le piante, gli animali, la
stessa superficie terrestre, nel senso che la volontà costituisce l’essenza del mondo, non solo
dell’uomo, ma di tutti i fenomeni della physis.

AUDIO 17/02

SCHOPENHAUER
Schopenauer si confrontava con Kant nel senso che mentre per Kant il fenomeno costituiva il
positivo e il noumeno costituiva il negativo, per Schopenauer la conoscenza del fenomeno
costituisce una conoscenza superficiale,parziale, determinata dalle coordinate spazio-temporali e
dalla casualità. La dimensione noumenica risulta accessibile all’uomo che la identifica con la
dimensione della volontà. La volontà di vivere costituisce l’essenza di tutti gli enti. Questa volontà
di vivere è definita senza scopo perché non ha un obiettivo trascendente,assoluto. Questa inoltre è
eterna (tempo come aiòn) e unica.

Pag.52: testo di Schopenauer


La declinazione ontologica del volere è data dal non essere(se voglio qualcosa vuol dire che non ce
l’ho).Il soddisfacimento della volontà non è altro quindi che il passaggio dal non essere all’essere.
La noia non è altro che la condizione effimera del soddisfacimento della volontà destinata a
produrre un altro non essere e quindi un'altra forma di volere. Quindi si ha un’esistenza come
infelicità,il dolore scaturisce dalla condizione ontologica della volontà. La brama però persiste per
tutta la vita perché per ogni desiderio esaudito,almeno altri 10 non lo saranno. Il soggetto è inteso
sia nel senso di coloro che compiono l’azione della volontà ma anche oggetti nel senso di
condizionati,dipendenti dalla condizione della volontà. Si delinea così l’idea del pessimismo di
Schopenauer. Pessimismo filosofico, sociale e storico e cosmico.

1-Egli afferma il suo pessimismo storico,in contrapposizione alla storia come progresso di Hegel.
Per Schopenauer la storia non è altro che il ripetersi degli stessi eventi,sia a livello individuale
(nascita,crescita e morte) sia a livello collettivo con le varie civiltà che si affermano,raggiungono il
loro apice poi scompaiono.

2-Il pessimismo sociale si manifesta in quella che egli definì “guerra di tutti contro tutti”.

3-Il pessimismo è anche cosmico,riguarda cioè tutti gli enti. La condizione umana è quella del
dolore e della sofferenza. Non esiste nessun tipo di esistenza consolatoria a tal punto che
Schopenauer delegittima lo stesso amore. Se l’amore può sembrare una consolazione rispetto alla
sofferenza insita nel genere umano, Schopenauer ritiene che nell’amore si esprima la legge della
natura destinata alla continuazione della specie. Noi non siamo soggetti dell’amore ma oggetti
della natura per conservare il genere umano quindi in qualsiasi atto amoroso non fa altro che
esprimersi la componente della conservazione della propria specie a tal punto che nell’amore due
sofferenze sono destinate a unirsi per generare un’altra sofferenza.

Una forma di liberazione da ciò per Schopenauer è l’arte. Nell’arte, noi ci trasformiamo in pura
contemplazione delle idee,in puro occhio del mondo. Attraverso l’arte si sospende, almeno
temporaneamente la volontà di vivere e il doloro connaturato ad essa .Ha quindi una funzione
catartica (di purificazione) ma effimera, destinata ad essere superata.

AUDIO 19/02

BRANO T5 PAG.52 LIBRO 3A

"IL PESSIMISMO".
Questa successione di dolore che costituisce la determinazione ontologica della volontà e
dell'esistenza di qualsiasi ente che poi per quanto riguarda l'uomo ciascuno nasconde per quanto
possibile perché non intende dare soddisfazione agli altri del suo dolore, perché il suo dolore
quando si impone potrebbe essere non in corrispondenza con il dolore Degli altri e quindi non
potrebbe essere compreso. (Analisi fino al rigo 5 del testo).

Molto spesso, quando qualcuno sta per concludere i soggiorni terreni se fosse schietto e sincero
non avrebbe intenzione di ricominciare una nuova vita perché quella vissuta era costellata da
dolori e sofferenze.

(Analisi da 5 a 7)

Sceglierà il completo non essere, il passaggio da essere a non essere, perché preferirebbe non
vivere un'altra vita costellata di dolore rispetto che viverla.

(Analisi da 8 a metà di 10)

Schopenhauer critica qualsiasi diodicea (concezione del mondo in base alla quale il nostro è il
migliore dei mondi possibili). Dio ha provveduto che si affermi il bene e il male serve per
un'affermazione maggiore del bene. (Ciò deriva da Leibniz, frase francese al rigo 22).

(Analisi da 10 a 22)

L'ottimismo non è altro che un cianciar di parole, cioè ciò che Aristotele definiva nel primo libro
della metafisica, "Ghenologhein", che significa parlare a vuoto.

(Finito il brano).

Volontà di vivere:
Attraverso l'arte possiamo staccarci dalla volontà di vivere e quindi dalla sofferenza e dai dolori.

Ci trasformiamo attraverso l'arte contemplatori di idee le quali assumono una condizione artistica
riguardante una produzione di quadri, poesie etc ..

Quindi le idee riguardano modelli attraverso cui l'artista confeziona la sua visione del mondo nella
sua opera d'arte. Attraverso l'opera d'arte ci trasformiamo in Puro occhio del mondo sia come
artisti che come osservstori dell'opera e c'è una sospensione effimera della volontà di vivere. Per
Schopenhauer le arti principali sono la Tragedia e la Musica.

La tragedia perché in questa si esprime la determinazione negativa dell'esistenza umana. Ha


sempre un esito tragico, si completa negativamente.

Nella musica si esprime l'essenza della volontà di vivere attraverso i suoni e quindi Schopenhauer
recupera il ruolo dell'arte, identificato già da Aristotele nella poetica, cioè un ruolo catartico,
quindi purificatore.

Attraverso queste 2 arti ci dimentichiamo della sofferenza e del dolore di vivere.

Dalla visione estetica dell'arte passiamo a quella Etica.


Nell'etica abbiamo un motivo di sospensione di volontà di vivere, attraverso le componenti che
sono: Giustizia, carità e compassione.

Giustizia nel senso che tutti siamo caratterizzati dalla stessa legge del mondo.

Carità cioè nel senso del soccorso nei confronti di chi soffre.

Compassione: condividere la sofferenza degli altri.

Attraverso la compassione l'individuo si sente parte della sofferenza universale e si riconosce in


ogni essere.

L'ultima dimensione è l'Ascesi, che non è altro che il risultato di un esercizio progressivo.

L'individuo quindi rinnega i propri istinti e se stesso, spegnendo quindi la volontà di vivere.

AUDIO 21/02
Secondo Schopenhauer L'ARTE ha una funzione di liberazione dal dolore, catartica, purificatrice
nel senso aristotelico della parola. (come aveva già scritto Aristotele nella Poetica).

Attraverso l'arte si diventa puro occhio del mondo ovvero diventiamo osservatori disinteressati
per quanto l'arte esprime e quindi attraverso l'opera d'arte interviene una fase, un momento
precario e fuggevole di liberazione dal dolore poiché le opere d'arte ci assorbono a tal punto che
la volontà risulta momentaneamente sospesa e dunque con l'arte l'uomo si limita a contemplare le
idee.(idea del bello, del buono, del negativo=> costituiscono una liberazione dal dolore poiché ci
sollevano dalle implicazioni della volontà).

Mentre le idee platoniche costituivano enti separate dal mondo sensibile, in questo caso le idee
vengono definite o individuate come componenti fondamentali con le quali riusciamo ad
apprezzare nell'opera d'arte.

Tra le varie forme d'arte Schopenhauer privilegia la TRAGEDIA e la MUSICA:

-LA TRADEGIA perché esprime la concezione tragica negativa della vita, ESSENZA dolorosa
DELL'ESISTENZA osservando queste storie di dolore ce ne liberiamo parzialmente perché sappiamo
che si tratta di personaggi non reali;

-la MUSICA per Schopenhauer costituisce la SUPREMA FORMA D'ARTE perché attraverso i suoni
esprime l'ESSENZA DELLA VOLONTÀ ( tale aspetto viene ripreso da Nietzsche, allievo di
Schopenhauer).

L'altro momento del percorso di liberazione dal dolore è costituto dall'ETICA (il suo obiettivo è
definito da Aristotele anthropinon agatòn cioè il bene umano chi non ha questo obiettivo è un
idiotes)

Schopenhauer attribuisce all'Etica l'obiettivo di assicurare l'eudaimonia, liberazione dal dolore


attraverso varie componenti: la giustizia, la carità e la pietà.
- giustizia nel senso della consapevolezza che tutti siamo costretti alla stessa legge del mondo;

- carità soccorso reciproco in caso di difficoltà del prossimo ( quindi secondo Schopenhauer è il
recupero del pensiero cristiano: ama il prossimo tuo più di te stesso) Schopenhauer conferisce
grande importanza alla solidarietà reciproca poiché siamo tutti accomunai dalla stessa legge

- pietà condividere il dolore del prossimo poiché tutti siamo accomunati dalla stessa sorte, dalla
stessa affermazione della volontà di vivere attraverso il dolore.

Il punto di arrivo del percorso di liberazione dal dolore coincide per Schopenhauer con la
NOLUNTAS ovvero la negazione completa della volontà mediante un tipo di vita limitata a
soddisfare i bisogni di sopravvivenza, libera dalla schiavitù dell'istinto sessuale.. quindi attraverso
la liberazione da queste forme di dipendenza si giunge alla NOLUNTAS.

Questo punto di arrivo è riservato a pochi privilegiati che mediante l'Aisthesis sono
progressivamente liberati da queste dipendenze che producono come conseguenza la ricaduta nel
dolore e nella sofferenza.

Poi parla del confronto tra Schopenhauer e Leopardi.

Il primo a segnalare questa sintonia tra i due è stato Francesco De Sanctis che scrisse un breve
dialogo nel 1858 dal titolo “Schopenhauer e Leopardi” in cui confronta la filosofia di Schopenhauer
e il pessimismo Leopardiano.

Schopenhauer non individua, a differenza di Leopardi, un agente catartico nella poesia.

AUDIO 24/02

SCHOPENAUER E LEOPARDI
pagina 44
Il confronto filosofico tra Schopenhauer e Leopardi è stato approfondito da due studiosi italiani:

Francesco De Sanctis→ il suo saggio nel 1858 scritto in forma dialogica “Schopenhauer e Leopardi”
in cui individuava alcune componenti che accumunavano i due filosofi

Emanuele Severino→ uno dei maggiori filosofi italiani del ‘900. Dedicò due monografie alla
filosofia di Leopardi “il nulla e la poesia” nel 1990 e “cosa arcana e stupenda” che scrisse dieci anni
più tardi laddove Severino si concentra sulla filosofia di Leopardi e in particolare sottolinea la frase
di Leopardi ‘senza nessuna illusione ciascun essere umano non riuscirebbe a sopravvivere’ quindi
la necessità delle illusioni per garantire la sopravvivenza individuale e il ruolo marginale dell’uomo
nell’universo che non è altro che la critica alla condizione antropocentrica cristiana. Se per il
cristianesimo l’uomo non è altro che la creatura eletta da Dio, creata a sua immagine e
somiglianza, di conseguenza superiore rispetto alle altre creature; invece per Leopardi l’uomo non
è altro che un ente infinitesimo presente nell’ambiente naturale che qualsiasi evento potrebbe
determinarne l’estinzione. Leopardi scrive nel ‘Dialogo della natura e di un Islandese’ in cui la
Natura afferma: “voi credete inutilmente e follemente che il mondo sia stato creato per il genere
umano, invece siete soltanto una parte infinitesima di questo, destinata quindi a perire laddove
intervenisse un cataclisma naturale o una malattia destinata a sterminare il genere umano” l’uomo
quindi non è più creatura eletta ma ha un ruolo marginale mentre la Natura è indifferente.
Leopardi scrive inoltre “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi
che nelle fatture(creature), negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi
ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità” quindi la natura intesa in
senso greco ovvero come ghenesthai cai apollustai, la natura è indifferente rispetto alle sorti
umane ciò porta all’abbattimento di ogni concezione antropocentrica cristiana. Leopardi sottolinea
quindi la fragilità del genere umano, il loro ruolo accessorio nel processo di nascita e morte e da
qui ne deriva una riflessione più ampia sulla condizione umana che è caratterizzata dal nulla
all’esistenza e dal nulla che ci attende dal passaggio di questa vita, la morte non è altro che la
conclusione dell’esistenza umana che è determinata dal dolore e dalla sofferenza cui sono soggetti
anche tutti gli altri enti. Il pessimismo di Schopenhauer viene ampliato nell’ambito della filosofia di
Leopardi perché l’esistenza umana secondo Schopenhauer non è altro che ‘modo reciproco di
affermarsi di dolore e noia’ il dolore scaturisce da essere la noia costituisce la condizione
successiva al soddisfacimento del desiderio a tal punto che poi si esprimono altri desideri e quindi
la noia non è altro che … del dolore destinato poi a sopravvenire quando interviene un altro
desiderio da qui poi l’attribuzione alla filosofia di Leopardi del Nichilismo.

Il termine nichilismo è stato introdotto da Gorgia, il quale sosteneva l’infondatezza dell’ ontologia
parmenidea ‘nulla è e se anche fosse non sarebbe conoscibile e se anche fosse conoscibile non
sarebbe esprimibile’ ma il nichilismo poi si afferma nella filosofia del ‘800 attraverso Leopardi
come anticipatore del nichilismo che poi troverà la sua massima espressione in Nietzsche.
Leopardi intende il Nichilismo dal punto di vista ontologico e morale. Il nichilismo ontologico si
identifica con il nulla che si impone per tutti gli enti, l’esistenza terrena non è altro che un periodo
temporaneo passeggero come intervallo tra un nulla e un altro nulla. Il nulla costituisce la
propulsione dominante, l’esistenza non è altro che una breve parentesi effimera tra un nulla e un
altro nulla. Dal punto di vista morale invece il nulla è il male, il male non va inteso in senso
cristiano come peccato bensì come condizione di sofferenza e dolore. L’unica alternativa rispetto a
questa condizione sia dal punto di vista ontologico che morale secondo Leopardi è dato dalla
poesia. La poesia assume un ruolo importante perché attraverso questa riusciamo ad attenuare il
male, quindi la poesia ha un ruolo catartico, si può notare ancora un’affinità con Schopenhauer.
Ciò si può notare nella ‘Ginestra’ laddove si fa riferimento al ruolo catartico della poesia ma anche
alla ‘social catena’, l’unione degli uomini accumunati dalla stessa sofferenza in modo da
attenuarne gli effetti. La poesia costituisce una delle illusioni che rendono sopportabile l’esistenza
umana,. Da qui Severino scrive riguardo la poesia come estrema illusione che demestifica le altre
illusioni come la tecnica e il miglioramento dal punto di vista politico, di qui il ruolo della poesia
come illusioni che individua in Leopardi in consonanza con la tradizione greca. Severino cita
Eschilo(V sec. a .C.) in particolare il ‘Prometeo incatenato’ laddove Eschilo affermava che il genere
umano riesce a sopraffare il dolore mediante ‘tyflés elpídes’(cieche speranze) che non sono altro
che le illusioni Leopardiane, che si identificano con il ruolo della poesia e della social catena.
Attraverso la poesia non si fa altro che potenziare la facoltà immaginativa che produce come
definito da Antonio Prete il pensiero poetante. Antonio Prete ha scritto una monografia su
Leopardi “Il pensiero poetante” che si può anche esprimere come poesia pensante laddove poesia
e pensiero costituiscono due componenti inseparabili come avveniva anche in Parmenide tra
poesia poetante e poesia filosofante.

KIERKEGAARD (pagina 86)


Kierkegaard va annoverato come un filosofo dell’età post-hegeliana sia dal punto di vista
cronologico che dal punto di vista argomentativo.

Vita
Søren Aabye Kierkegaard nasce nel 1813 a Copenaghen, il padre era molto severo e subì le
conseguenze dell’educazione austera del padre. Decide di iscriversi alla facoltà di Teologia ma si
trasferì poi a Berlino, in Prussia, dove avrà modo di seguire i corsi di Schelling. Si laurea in filosofia
con la tesi sul concetto di ironia con riferimento costante a Socrate. è importante nel suo percorso
il fidanzamento con Regina Olsen che conosce a diciassette anni nel 1837 e dopo quattro anni
decise di sospendere il fidanzamento perché lo distraeva, sia dagli impegni filosofici sia dal punto
di vista esistenziale, infatti vivrà completamente solo. Per non subire gli attacchi dagli intellettuali
danesi e dall’opinione pubblica pubblicherà le sue opere con uno pseudonimo. Tra le opere
pubblicate vanno ricordate: “Timore e tremore” (1843); “il concetto dell’angoscia”(1844) firmato
Vigilius Haufniensis, “Briciole di filosofia”(1844) , “la malattia mortale”(1849) . Si ammala
gravemente e morirà soltanto nel 1855. Le sue opere rimasero invendute, le pubblicò a sue spese
e verrà scoperto solo nel ventesimo secolo come precursore dell’esistenzialismo.

Confronto con la filosofia di Hegel


Kierkegaard compie due critiche nei confronti di Hegel.

prima critica:
Se la filosofia di Hegel è sviluppata in dimensione catolou (universale) quindi risolvendo il singolo
nelle componenti del genere con conseguenze di panlogismo (risolvere le componenti del logos
nella dimensione universale) invece secondo Kierkegaard la filosofia dell’avvenire (riprendendo
l’opera di Feuerbach) ci si deve basare sul singolo, sull’individuo.

Kierkegaard contrappone alla dimensione universale la dimensione individuale, irripetibile. Alla


base di questa concezione si pone la concezione dell’esistenza (dal latino ex esisto) vuol dire che il
mio essere non è un essere che io vi pongo e determino in maniera libera e indipendente ma il mio
essere è determinato da un altro ente, è quindi è un essere finito , limitato e indipendente.
Kierkegaard contrappone all’ordine necessario Hegeliano una componente libera, basata sulla
scelta, la dimensione umana è indipendente e di conseguenza si differenzia dalla necessità
dell’ordine naturale.

AUDIO 26/02
FILOSOFIA DI KIERKEGAARD
La filosofia di Kierkegaard si muove in direzione contrastante rispetto a quella di hegel ponendosi
come filosofia basata sul singolo, sull’individuo, unico rispetto al catolu, all’universale o al Wesen,
essenza feuerbachiana e marxiana; se la filosofia di Kierkegaard contrappone all’ordine necessario
l’apertura alla possibilità, che Kierkegaard attribuisce all’esistenza (da exsisto che vuol dire
derivare il proprio essere da altro, da un ente superiore) e quindi l’esistenza implica la possibilità,
implica la finitezza. Tutto questo poi produce come conseguenza il fatto che la comunicazione
venga distinta da Kierkegaard in comunicazione personale e comunicazione impersonale. Due
esempi importanti di comunicazione personale Kierkegaard li individua in Socrate e Cristo. In
Socrate attraverso l’ironia a tal punto che la tesi di laurea dell’epistolario di Kierkegaard
riguardava il concetto di ironia socratico: mettere in discussione le false certezze dell’interlocutore
dimostrandone l’infondatezza attraverso il procedimento del dialeghestai e quindi domanda che
genera risposta e risposta che genera domanda; Cristo per quanto riguarda la sua verità che s
esprime nell’individuo, nel singolo sulla base della concezione cristiana secondo la quale ogni
individuo risulta unico e irriducibile. La comunicazione impersonale vuol dire rivolta alla
collettività, estranea, esterna. L’esemplificazione di questa comunicazione impersonale è data dai
giornali e dai mezzi di comunicazione di massa perché questi si rivolgono a una collettività
anonima, quindi a una collettività priva di qualsiasi individualità, a una collettività che poi si
identifica con quella che Kierkegaard aveva definito “universalità astratta”. Quindi indirettamente
la comunicazione impersonale risulta inautentica, perché estranea all’individuo in quanto imposta
dai mezzi di comunicazione di massa.

Se il ruolo dell’esistenza è attribuito da Kierkegaard in questa dimensione della comunicazione


dell’esistenza personale, l’esistenza poi da Kierkegaard è suddivisa in esistenza o vita estetica,
esistenza o vita etica ed esistenza o vita religiosa.

BRANO PAG. 103 VITA ESTETICA


La caratteristica di kierkagaard è quella di esaminare delle vite concrete reali e accertabili da cui
scaturiscono delle verità fiolosofiche. Quindi le verità filosofiche trovano la loro incarnazione in
queste vite concrete. Questa caratteristica sarà ripresa poi da alcuni filosofi del 900.

INTRODUZIONE
Lo stadio estetico è dominato dal godimento, di attimo in attimo, laddove il tempo si configura, si
riduce nell’attimo o il momento in cui vengono soddisfatti questi istinti senza alcun tipo di
continuità e senza alcun tipo di relazione tra questi attimi che lo caratterizzano. Infatti vedremo
che la figura esemplificativa secondo Kierkegaard dello stato estetico è il don Giovanni che passa di
conquista femminile senza poi individuare poi una conquista femminile che costituisca un suo
impegno per tutto il resto della propria vita; anzi l’impegno della propria vita segnerà il passaggio
dallo stadio estetico allo stadio etico, morale. La discontinuità è la componente effimera degli stati
d’animo dell’esteta, costituisce la componente dominante di questa prima fase dell’esistenza
secondo Kierkegaard: la fase estetica.

LE CARATTERISTICHE DELLA VITA ESTETICA


Il godimento non è altro che il passaggio da un nulla ad un altro nulla; l’intervallo tra un nulla e un
altro nulla non è altro che il godimento del piacere immediato. Anche in questo caso si individua
una componente nichilistica nella componente dello stadio estetico kierkegaardiano. Nichilistica
vuol dire in cui il nulla prevale rispetto al momento del godimento. Nello stadio estetico prevale il
momento, l’istante; prevale quindi la componente del soddisfacimento delle pulsioni immediate
infatti nel don Giovanni, l’opera di mozart, prevale lo stadio estetico in cui il don giovanni, come
colui che passa di conquista in conquista, non è altro che la personificazione della realizzazione
della sensualità e della seduzione, laddove poi questa sensualità e questa seduzione sono
destinate ad essere superate da un’altra sensualità, da un’altra seduzione e quindi un percorso in
cui l’attimo, il momento, il passaggio dal nulla precedente , all’attimo, al momento e al nulla
successivo poi all’attimo o al momento, costituisce la scansione dello stadio estetico
kiekregaardiano.

LA VITA ETICA
Nello stato etico gli stati d’animo vengono controllati e quindi si vive superando l’istante, la
discontinuità, cercando di realizzare la continuità della durata riguardo ad impegni che vengono
assunti sul piano etico e infatti l’espressione sul piano etico secondo Kierkegaard non è altro che il
vincolo matrimoniale. Il vincolo matrimoniale implica un rapporto in cui si assume un impegno,
l’impegno cioè di continuare questo rapporto e quindi di conseguenza si rinuncia alla seduzione, si
rinuncia il passaggio da una conquista ad un’altra conquista. Chi vive esteticamente non ha affatto
la memoria perché passa da un’avventura all’altra e quindi dimentica l’avventura precedente. La
dimensione della memoria viene completamente oscurata nella fase estetica mentre nella fase
etica costituisce la componente fondamentale.

STATO D’ANIMO E PERSONALITA’


Signoreggiare vuol dire controllare e dominare il piacere perché nell’attività estetica invece questo
non avviene: si è succubi e quindi diventa un paschein, un subire completamente la dimensione
del piacere della sensualità e quella che poi freud definirà funzionale. Kierkegaard chiarisce che
questo non vuol dire che lo stadio etico segni completamente l’abbandono o la repressione del
piacere, ma segni invece un controllo di questo laddove invece nello stadio estetico si è
completamente succubi: fa l’esempio di chi dipende dal gioco (ludopatia). Chi è ludopatico
dipende completamente dal piacere a tal punto che non riesce ad astenersi; invece chi
progressivamente se ne libera segna il dominio di questa dipendenza a tal punto che può dire “io
questo giorno mi astengo dal gioco e così può dire chi ha superato lo stadio estetico “io in questo
giorno mi astengo dal soddisfacimento delle pulsioni”. Già attraverso questa astensione si è
passati dallo stadio estetico a quello etico. È centralizzato vuol dire ha trovato un punto di
riferimento laddove invece lo stato d’animo e la condizione di vita dello stadio estetico è la
mancanza del punto di riferimento e quindi inquietudine continua. Invece lo stato d’animo dello
stadio etico è quello della quiete. La caratteristica dello stadio etico è la continuità, considerata
come la maestra degli stati d’animo.

AUDIO 28/02

FILOSOFIA DI KIERKEGAARD
- Concetto dell’angoscia corrispondente al titolo di una delle opere più importanti
e la malattia mortale, altro concetto fondamentale.
Qual è la differenza tra angoscia e disperazione connaturati all’esistenza e quindi ineliminabili?
L’angoscia riguarda il rapporto con il mondo; in questo senso Kierkegaard distingue paura e
angoscia , distinzione che verrà poi ripresa dal maggiore filosofo del 900 Martin Heidegger. La
paura identifica e individua una causa determinante, invece l’angoscia non è individuata da una
causa, nel senso che l’angoscia si determina in modo incausato in quanto ciascuno di noi esiste nel
mondo, nel senso di esistenza, ciascuno di noi è stato generato nel mondo derivante da altro, nel
senso che la nostra esistenza è un derivatum e, quindi, non è indipendente, esiste nel mondo, ma
questa esistenza nel mondo non è altro che apertura a infinite possibilità. L’apertura a infinite
possibilità che si schiudono nell’esperienza produce secondo Kierkegaard il sentimento d’angoscia,
che riguarda, dalla significativa definizione di sentimento, non una dimensione intellettuale e
astratta, ma una componente che ci coinvolge a livello emotivo, quindi, l’apertura a infinite
possibilità che si schiudono nella nostra esistenza genera questo sentimento di profonda angoscia
che rischia di bloccarci, di farci rimanere inerti, di risultare controproducente rispetto a queste
possibilità perché poi di fronte a queste possibilità si deve decidere, per esempio per quanto
riguarda quello che uno deve fare il pomeriggio, dopo il liceo, finiti gli studi; quest’apertura a
infinite possibilità genera il sentimento dell’angoscia e poi quando questa possibilità si determina
in una scelta, produce rispetto alla scelta la non scelta rispetto alle possibilità alternative che non
sono state oggetto di scelta, che non sono state oggetto di deliberazione. Quindi, l’angoscia
dipende dall’apertura a infinite possibilità che si schiudono, distinta dalla paura, che ha una causa
determinante.

L’altra componente che risulta connaturata all’esistenza secondo Kierkegaard è la disperazione. Se


l’angoscia riguarda il rapporto con il mondo, con l’ambiente circostante, la disperazione riguarda il
rapporto con noi stessi, ovvero del fatto che prima di nascere non eravamo, quindi deriviamo dal
nulla, e siamo destinati ad un altro nulla e secondo Kierkegaard abbiamo la necessità di superare
sia lo stadio estetico che lo stadio etico attraverso lo stadio religioso, la necessità quindi di affidarci
a Dio perché Dio in quanto ente infinito e infinitamente buono costituisce l’unica alternativa
rispetto alla disperazione. Questo è esemplificato dall’episodio di Abramo e Isacco, nel quale
Abramo non esita a sacrificare il figlio però all’ultimo momento l’angelo gli ferma la mano per poi
sacrificare al suo posto un ariete.
- Lettura del brano pag 104 (Imparare a sentire l’angoscia)
L’animale e l’angelo non trovano angoscia perché l’animale è determinato dalla sua necessità di
sopravvivenza, l’angelo perché è al di sopra della dimensione umana ed è l’unico che abbia un
contatto diretto con Dio e, di conseguenza, l’impossibilità dell’angoscia deriva dal fatto che si
identifichi con l’ordine necessario del tutto e con il Creatore del tutto. Invece l’uomo per sua
sfortuna prova angoscia a differenza degli animali e degli angeli, gli uomini sono destinati a cercare
sempre qualcosa, nella dimensione collettiva e individuale a questa componente di angoscia e
disperazione.

Questa favola dei fratelli Grimm del ragazzo che cerca di sentire l’angoscia è una favola infondata
perché chi esiste è destinato in maniera connaturata e imprescindibile all’angoscia.

L’uomo è una sintesi di animale e angelo perché la condizione dell’uomo è intermedia tra
l’animale e l’angelo perché l’uomo è stato creato da Dio essendo creatura eletta, scelta da Dio
come superiore rispetto alle altre creature è destinata alla salvezza da parte di Dio perché
possediamo un’anima.

Essendo Kierkegaard protestante, quindi cristiano, ritiene che Dio costituisca l’unica possibilità di
salvezza dell’uomo.

Per quanto riguarda la differenza tra paura e angoscia, la paura riguarda qualcosa di esterno,
paura di un insetto, del coronavirus, mentre l’angoscia riguarda qualcosa di interno poiché è
costitutiva dell’esistenza umana.

Il riferimento ai lacci per accalappiare qualcuno è un riferimento esterno, i lacci sono mossi o
utilizzati da qualcuno mentre l’angoscia è interna, ci appartiene.

Di mattina quando ci svegliamo abbiamo tante possibilità ( un sacco di esempi), ma abbiamo scelto
di andare a scuola perché all’interno di varie possibilità abbiamo scelto questa possibilità perché
risulta anteriore e precedente rispetto a tutte le altre possibilità e questo tipo di possibilità genera
secondo Kierkegaard una condizione emotiva di pervertimento e di disorientamento, che è quella
dell’angoscia che risulta inseparabile dal nostro essere.

Kierkegaard capovolge le categorie della filosofia occidentale; se in precedenza la realtà nella sua
necessità precede la possibilità, come sappiamo da Platone, Aristotele in poi, attraverso Hegel e
così via, secondo Kierkegaard la possibilità precede qualsiasi forma di realtà perché mentre la
realtà ci inchioda ad un determinato ruolo, ci costituisce in maniera dipendente, paradossalmente
si deve affermare che l’unica necessità è la possibilità, il che potrebbe apparire come un ossimoro,
ma non fa altro che esprimere la condizione propria ontologica dell’uomo e qui ritroviamo
indirettamente riferimenti critici alla filosofia di Hegel, poiché Hegel nella sua filosofia antepone
l’universale come genere all’individuale perché ciascuno vive l’angoscia in maniera unica e
individuale, ma questa condizione unica e individuale non è altro la componente dell’uomo,
dell’individuo propria del cristianesimo.
La possibilità di fortuna è una possibilità condizionata, mentre la possibilità che tratta Kierkegaard
è una possibilità incondizionata, che si auto-costituisce.

L’apertura alla possibilità genera come conseguenza la consapevolezza del lato terribile della vita
come annientamento, nel senso di sprofondamento nella vertigine del nulla e questo
sprofondamento non è altro che una delle conseguenze del sentimento dell’angoscia che
Kierkegaard tratta come connaturata all’esistenza umana senza trovare più alcun punto di
riferimento, nessun tipo di fondamento e, quindi, affidarsi a Dio perché costituisce l’unica ancora
di salvezza rispetto alla possibilità di questo annientamento.

POSITIVISMO
Il momento filosofico successivo alle filosofie di Feuerbach, Marx, Schopenauer e Kierkegaard è il
momento filosofico del positivismo. Il positivismo si afferma in Francia intorno agli anni 30 del
diciannovesimo secolo e, successivamente, si estende anche agli altri Paesi europei.

La parola positivismo deriva dal francese “positiv”, che assume duplice significato: empirico nel
senso che risulta valido solo per ciò che è provato e dimostrabile, ne deriva che ciò che non risulta
dimostrabile risulta infondato e per quanto riguarda il secondo significato è utile, utilizzabile,
quindi, per migliorare la vita quotidiana.

AUDIO 02/03
Brano sulla vita estetica ed etica pag 104 (ultima parte):
Nello stadio  estetico lo stato d’animo è completamente passivo succube della sensualità in cui
vive istante per istante attraverso la seduzione  ,infatti l’è semplificazione dello stadio estetico di
Kerje riguardava Don Giovanni, invece lo stadio etico segna il passaggio alla scelta e infatti lo stadio
etico è definito attraverso il matrimonio (fra tant’è conquiste decido di seguire il vincolo di
matrimonio e questo implica una scelta) quindi si passa dal punto di vista del tempo dall’istante
alla continuità ( rapporto duraturo). Quindi dall’esistenza irresponsabile (senza responsabilità)
dello stadio estetico si passa ad una vita responsabile (da una vita determinata da ciascun
istante/momento ad una vita duratura). La caratterista dello stadio etico è la continuità. 
(Rigo penultimo significato=Una condizione d’animo stabile dipendente dall’impegno della vita
etica).

Positivismo: 
Il positivismo si afferma in Francia attraverso Auguste Comte e che poi si diffonde negli altri paesi
europei. Alla base del positivismo si pone la parola positiv in due significati:
 utile: cioè che è utile cioè che contiene dei riflessi sul piano dell’applicazione pratiche può
essere accettato. Ciò che è inutile risulta sterile. Utile anche dal punto di vista del sapere
perché il positivismo non è altro che la componente culturale propria dell’affermazione
delle scienze e delle scoperte che intervengono nell’arco del 19esimo secolo nell’ambito
della fisica, della chimica...
 empirico: ciò che trae alimento dall’esperienza va accentuato e sostenuto e ciò che invece
non trova nessun tipo di corrispondenza e di fondamento sperimentale va rifiutato perché
non trova nessuna conferma. In questo senso il secondo significato implica che le prove (la
prova che grimaldi sta parlando) cioè arche e il Thelos sono costituite dall’esperienza , la
base e fondamento di qualsiasi forma di sapere. 

La parola chiave del positivismo è chain metaphousic mear (niente più metafisica= prote filosofia).
Gli argomenti della metafisica esclusi dal positivismo sono:
 Useologia ( se esistono le sostanze sensibili o soprasensibili) 
 Aidelogia ( pensare alle cause) 
 Ontologia 
 Teologia 
Non rientrano nello studio del positivismo perché non fanno parte delle due definizioni di positiv
viste sopra. Se quindi il positivismo esclude la metafisica quale ruolo attribuisce alla filosofia?
Secondo il positivismo la filosofia non è più in grado di produrre un sapere ex novo ( proprio
specifico che lo distingua dalle altre forme di sapere). Allora il positivismo attribuisce alla filosofia il
ruolo di connettere e unire le varie forme di sapere particolare quindi è un tipo di ruolo sintetico
dal momento che il contenuto del sapere è dato esclusivamente dalla fisica, dalla chimica etc...
perchè sono basate sia sull’osservazione empirica e poi le loro scoperte dimostrano la loro utilità
nel senso che trovano la loro applicazione sia nella vita quotidiana sia dal punto di vista produttivo.
Il ruolo della filosofia quindi viene fortemente limitato perché non è in grado di produrre un tipo di
sapere indipendente e si pone la discussione sul confronto tra positivismo e gli altri movimenti
culturali che lo precedono come L’illuminismo e si pone il problema tra filosofia e positivismo. Per
quanto riguarda il primo problema tra il positivismo e l’illuminismo va detto che il positivismo
riprende alcuni aspetti dell’illuminismo laddove attribuisce capacità illimitate alla ragione umana in
grado di sconfiggere definitivamente L’ignoranza, però mentre l’illuminismo manteneva un ruolo
specifico per la filosofia per il positivismo no. Poi mentre l’illuminismo è un movimento culturale
della borghesia in ascesa invece il positivismo è il movimento. Il rurale della borghesia che ormai si
è impadronita il potere sia dal punto di vista economico che culturale. 

AUDIO 04/03
Il positivismo non è altro che la giustificazione del ruolo delle scienze e dell’ottimismo della
borghesia nella prima metà del diciannovesimo (XIX) secolo .

CONFRONTO POSITIVISMO E ROMANTICISMO


Per quanto riguarda il confronto tra Positivismo e Romanticismo; gli storici hanno individuato
alcuni momenti di continuità nella prospettiva di sapere assoluto se il Romanticismo assolutizzava
quindi definiva come forma di conoscenza, come forma di espressione dell’animo: l’arte , invece
il Positivismo assolutizza e definisce come forma suprema d’espressione: la scienza e quindi la
prospettiva assolutizzante unisce o produce un tipo di continuità tra Romanticismo e
Positivismo.

Invece successivamente Edmund Husserl scriverà che il Positivismo decapita la filosofia; con
questa frase Husserl intende che il positivismo non attribuendo alla filosofia nessun tipo di sapere
fondante e costruttivo, priva la filosofia del suo ruolo fondamentale come radice del sapere
(intesa come filosofia prima). Il Positivismo
riducendo la filosofia a sintesi, unione delle varie forme di sapere prodotte dalle varie singole
scienze finisce per decapitare e quindi sottrarre l’attività pensante specifica della filosofia. Oltre
ad Husserl anche Nietzsche reagirà a questa concezione impoverita della filosofia.

FRIEDRICH NIETZSCHE
VITA
Nietzsche nasce il 15 ottobre 1844 in un piccolo paese vicino a Lipsia. Compie gli
studi ginnasiali e successivamente frequenta i corsi di teologia e filologia. All’università di Lipsia
incontra il suo maestro, colui che ne avrebbe indirizzato in maniera più specifica gli studi; Riehl (si
pronuncia Richl). Questo maestro produrrà in Nietzsche l’interesse completo per la filologia cioè
lo studio dei testi greci e latini a tal punto che comincerà a scrivere delle “dissertazioni” in latino.
Con l’intervento di Riehl (si pronuncia Richl) Nietzsche successivamente otterrà la cattedra di
Filologia classica all’università di Basilea all’età di 25 anni.
Una sera mentre passeggiava per le strade di Basilea, osservando la vetrina di una libreria rimase
come folgorato dal titolo e dalla copertina di un’opera di Schopenhauer “ Il mondo come volontà
e rappresentazione” a tal punto che l’acquistò e lo lesse in pochissimi giorni. Il risultato di questi
primi studi è un’opera che pubblicò nel 1872 “ La nascita della tragedia dallo spirito della
musica”. Quest’opera costituisce il tentativo di interpretare il mondo greco alla luce del
pessimismo di Schopenhauer; ma quest’opera non venne accolta favorevolmente dall’ambiente
accademico del tempo perché costituiva un’opera innovativa rispetto al modo esclusivamente
filologico di interpretare il mondo greco. L’opera successiva pubblicata tra il 1873 e 1876 sono le
“Considerazioni inattuali “ ; considerazioni non conformi al proprio tempo. Una filosofia degna di
questo nome, secondo Nietzsche, non può che oltrepassare il proprio tempo. Una filosofia
conforme al proprio tempo è una filosofia mediocre quindi inadeguata laddove egli individua dei
principi trascendenti,ma individuare dei valori trascendenti vuol dire superare i principi
contemporanei. Quindi una filosofia degna di questo nome per Nietzsche è una filosofia che va
oltre il proprio tempo, se rimane schiacciata sul proprio tempo è una filosofia inutile e mediocre
destinata ad essere dimenticata. Infatti Nietzsche non è dimenticato e secondo alcuni studiosi la
filosofia contemporanea comincia con Nietzsche a tal punto che dopo Nietzsche non sarà più la
stessa.

FASE ILLUMINISTICA
Si apre successivamente la cosiddetta “fase illuministica” cioè la fase di demolizione dei valori
tradizionali. Tra le opere di questa fase vi sono: “Umano troppo umano “ , “Aurora” e “La gaia
scienza “. In questo periodo cominciò a subire dei problemi di salute a tal punto che chiese
all’università periodi sempre più lunghi di congedo; problemi di salute derivanti da mal di testa,
malattie nervose. “Aurora “ fu completata da
Nietzsche durante un soggiorno a Sorrento, in quanto durante la sua vita viaggerà moltissimo alla
ricerca di un luogo gradevole di permanenza. “La gaia scienza” (1882) è l’opera che conclude il
periodo illuministico e contiene uno degli aforismi più famosi perché Nietzsche poi
progressivamente scrive le sue opere attraverso il modo di trattazione aforistico vuol dire
composto da frasi brevi e taglienti. Si tratta dell’aforisma 125 che contiene il grande annuncio,
quello dell’uomo folle, riguardante la morte di Dio.

Poi va ricordata l’amicizia con il musicista Wagner perché Nietzsche individua nella musica l’attività
attraverso la quale cercare un sollievo rispetto ai mali e problemi del mondo contemporaneo. Nel
1879 presentò le dimissioni all’università proprio per i suoi problemi di salute. Egli riceverà una
magra pensione e con questa pensione poi dovrà sopravvivere trasferendosi da un luogo all’altro
e molto spesso, poiché non trovava un editore disposto a stampare le proprie opere, pubblicando
le proprie opere a proprie spese. Però era così convinto della validità del suo pensiero che faceva
enormi sacrifici per risparmiare il denaro necessario per la pubblicazione delle proprie opere, le
quali non riscossero successo. Questo è il destino dei filosofi inattuali ovvero quello di essere
ignorati dai contemporanei e di essere apprezzati soltanto successivamente quando ormai
Nietzsche sarà caduto in preda dalla follia. Egli trova una pausa, sempre alla ricerca del luogo più
adatto per le sue sofferenze fisiche in Svizzera, ed è qui che conclude forse l’opera più importante
“Also sprach Zarathustra” in forma di poesia filosofica, opera scritta in linguaggio poetico in prosa.
Poi pubblicò altre opere tra cui “ Al di là del bene e del male” e la “ Genealogia del bene e del
male” e “Il crepuscolo degli idoli”. Va ricordata anche l’opera incompleta “La volontà di potenza”
e “L’Anticristo”. Scrive poi anche “Ecce homo” (come si diventa ciò che si è) un’autobiografia
intellettuale pubblicata postuma dove ripercorre tutte le opere da lui scritte e le inserisce
nell’ambito del suo percorso intellettuale. Nel 1889 Nietzsche ha una crisi di follia e comincia a
scrivere messaggi folli ad alcuni suoi amici, arrivano poi sua madre e sua sorella che lo portano a
Torino in quanto Nietzsche ha sempre apprezzato l’Italia; qui viene internato in una clinica e
rimane preda della pazzia il quale muore nel 1900.

Rapporto tra follia e filosofia


Alcuni hanno ritenuto le sue opere espressione di un pensiero già malato e quindi non degno di
essere preso in considerazione; altri invece hanno ritenuto che soltanto questa condizione di semi
follia ha consentito a Nietzsche di superare le rigide barriere del pensiero della concezione del
mondo occidentale e oltrepassarla ed andare oltre.

Rapporto tra pensiero di Nietzsche e il nazismo


Il nazismo si è appropriato della filosofia di Nietzsche anche attraverso la complicità della sorella,
infatti poi lo stesso Hitler visitò l’archivio di Nietzsche e la sorella donò al Fuhrer il bastone
appartenuto al fratello. Poi è stato dimostrato che risulta del tutto infondato qualsiasi tipo di
legame tra filosofia di Nietzsche e nazismo. Anche perché poi l’interpretazione del pensiero di
Nietzsche che già era sviluppata negli anni Trenta si muoveva in controtendenza rispetto a questo
modo banalizzato di interpretare la filosofia di Nietzsche come manifestazione del nazismo e basta
ricordare le lezioni che tenne Heidegger negli anni Trenta sul pensiero di Nietzsche e che poi
verranno divulgate nel 1961 in cui interpreta Nietzsche come un filosofo che si confronta col
mondo occidentale e risulta arbitraria qualsiasi relazione con il nazismo. La filosofia di Nietzsche
va oltre queste componenti storiche perché appartiene in maniera permanente alla tradizione
occidentale.

QUARANTENA

NIETZSCHE

09/03/2020
Nietzsche, la tragedia greca e lo Spirito Dionisiaco , 3A pagine 289-291. A chiarimento di
quanto riportato precedentemente, basta aprire la 'Nascita della Tragedia' di Nietzsche pagine 31-
32 dove si racconta l'antica leggenda di re Mida che insegue e prende Sileno seguace di Dioniso e
gli chiede quale fosse la cosa migliore è più desiderabile per l'uomo. Silenzi risponde: stirpe
miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, la cosa migliore per voi è non essere nati o in
secondo luogo morire al più presto. I Greci avvertirono gli orrori e le atrocità dell'esistenza umana
e cercarono un riparo, una difesa negli dei dell'Olimpo. Nietzsche applica la concezione
dell'esistenza schopenhauriana al mondo greco capovolgendone l'interpretazione rispetto al
Romanticismo.

11/03/2020

Nietzsche, Testi: da "Crepuscolo degli idoli" (1888): Come il mondo vero finì per diventare
favola, Storia di un errore, pagina 328, qui Nietzsche sintetizza e supera la metafisica occidentale
attraverso 6 momenti: il primo riguarda Platone e la dicotomia oratòn/noetòn, il secondo riguarda
il Cristianesimo che conserva la dicotomia platonica, però il mondo vero è riservato al saggio o
virtuoso, il terzo riguarda l'etica kantiana che mantiene la dicotomia platonica declinata come
mondo vero dell'imperativo categorico, il quarto riguarda il positivismo che conserva la dicotomia
platonica però capovolgendone (il mondo vero è il positivo o sensibile, il non vero è la metafisica),
il quinto riguarda a filosofia del mattino (l'abbattimento di qualsiasi certezza, paragrafo 210 di
"Aurora", non esiste alcuna verità, bello buono giusto sono predicato prestati alle cose), nel Sesto
si afferma che avendo eliminato il mondo vero si elimina anche quello apparente in quanto questo
si costituiva in rapporto col mondo vero. Inizia Zarathustra, ma prima di esaminare cosa intende
Nietzsche con questa frase ci resta da leggere e commentare l'aforisma 125 de "La Gaia Scienza".

13/03/2020
Nietzsche, l'annuncio della morte di Dio, aforisma 125 de "La Gaia Scienza"
intitolato non casualmente "L'uomo folle", esposizione sintetica ma non testuale alle
pagine 297-298 del volume 3A: il protagonista è l'uomo folle perché inattuale, non conforme al
proprio tempo che accende una lanterna alla Chiara luce del mattino perché il chiarore è
apparente, tutti sono immersi nel buio dell'ignoranza in quanto inconsapevoli del fatto che Dio sia
stato assassinato da "voi è da io". Conseguenza, si è spento il sole (riferimento al sole platonico del
VI e VII libro della "Repubblica") ormai è sceso il buio del crollo di qualsiasi punto di riferimento. Il
nostro è un eterno precipitare all'indietro di fianco, in avanti. Ma esiste ancora un alto e un basso
venendo a mancare un punto di riferimento? Il Grund (fondamento) si è trasformato in Abgrund
(abisso o mancanza di fondamento). Alla fine l'uomo folle getta la lanterna e si arrende. "Vengo
troppo presto, non è ancora il mio tempo". Qual è il significato di questo testo? Lo vedremo la
prossima volta.

16/03/2020

Due sono le interpretazioni fondamentali sviluppate riguardo l'aforisma 125 de "La Gaia Scienza":
l'interpretazione heideggeriana contenuta nel saggio "La sentenza di Nietzsche Dio è
morto" all'interno di Holzwege (Sentieri interrotti) e l'interpretazione di Galimberti contenuta in
"Orme del Sacro". Secondo Heidegger "l'espressione Dio è morto significa che il mondo
ultrasensibile è senza forza reale, non dispensa vita alcuna. La metafisica, cioè per Nietzsche la
filosofia occidentale intesa come Platonismo, è alla fine". ( Holzwege, pagina 198).
Nell'espressione “Dio è morto”, il termine Dio, pensato fino in fondo, sta per il mondo
ultrasensibile degli ideali che costituiscono il fine della vita terrena, concepito come sussistenza al
di sopra della vita terrena stessa e come tale da determinarla dall'alto e quindi in certo modo dal
di fuori"(pagina 201). Morte di Dio quindi come fine del Platonismo, della metafisica occidentale,
dell'errore che la ha attraversata da Platone in poi (confronta il testo precedentemente
commentato "Storia di un errore"). Secondo Galimberti invece (confronta "Orme del Sacro" pagina
124), per Nietzsche il problema non è di sapere se Dio esiste o non esiste, ma se Dio è vivo o
morto, se intorno all'idea di Dio ancora si organizza o non si organizza un mondo. E allora se, come
nel Medio Evo, la letteratura è inferno, purgatorio e paradiso, se l'arte è arte sacra, se la donna è
donna-Angelo, Dio esiste, cioè fa mondo. Ma se il mondo si organizza prescindendo dall'idea di
Dio, allora Dio è morto". Se il Medioevo non si può comprendere senza l'idea di Dio, l'età moderna
e contemporanea si può comprendere ugualmente senza l'idea di Dio, mentre sarebbe
incomprensibile senza la nozione di Tecnica.

L’esito dell’annuncio della morte di Dio è il nichilismo. Nietzsche scrive nei frammenti sparsi de
"La volontà di potenza": Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano.
Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?". Heidegger in proposito commenta nel saggio già
citato ieri presente in "Sentieri interrotti": "Questa definizione di Nietzsche presenta il nichilismo
come processo storico, processo che egli interpreta come la perdita di valore di quelli che erano
fino allora i valori supremi". Ancora prosegue Heidegger che "Il nichilismo è il processo
fondamentale della storia occidentale e, in primo luogo, la legge di questa storia". In altri termini il
nichilismo è la conseguenza dell’annuncio della morte di Dio presente dell’aforisma 125 de "La
Gaia Scienza". Consultate anche il libro di testo, pagine 307-308 È la scheda a pagina 312.
Nietzsche distingue nichilismo passivo che subisce l'azzeramento dei valori (Schopenhauer) e
nichilismo attivo che fonda una nuova concezione del mondo basata sull'esterno ritorno
dell'eguale, la volontà di Potenza e l'oltreuomo.

L’ETERNO RITORNO E LA NASCITA DELL’OLTREUOMO


Il brano presente sul libro alle pagine 320-321 (lettere b e c) contiene la più importante trattazione
della concezione nietzscheana dell’esterno ritorno dell’eguale. Dove le parti-chiave vanno
individuate nel riferimento alla porta Carrara in cui due sentieri convengono, uno all’indietro (il
tempo come passato) e una in avanti(il tempo come futuro), l’attimo scritto in alto riguarda il
presente. Queste tre dimensioni del tempo non si contraddicono, perché come borbotta
sprezzante il nano: tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricerca. Ma questo è soltanto l’avvio
della nuova concezione del tempo, destinata ad essere integrata dalla descrizione del pastore che
si rotola soffocato da un serpente. Zarathustra tenta inutilmente da strappare il serpente dalla
bocca e allora grida: Mordi! Staccagli il capo. Il pastore morde e sputa lontano da sé la testa del
serpente. Il pastore allora ride, è trasformato. Il serpente qui indica la ripugnante della concezione
dell’esterno ritorno di cui ci si deve appropriate non dall’esterno, ma individualmente dove, come
ha scritto Emanuele Severino, 'mordere e staccare la testa al serpente vuol dire poter congiungere
la fine con l'inizio, giacché la testa è il compimento, il punto d'arrivo del corpo del serpente'. La
teoria dell'esterno ritorno nietzscheana costituisce il tentativo di naturalizzare secondo la
ripetizione del circolo il tempo umano. Ma cosa significa questo? Lo vedremo la prossima volta.

Prima di proseguire riguardo a Nietzsche è necessario un chiarimento sulla questione del tempo.
Tre sono le concezioni del Tempo che hanno attraversato il pensiero occidentale: il tempo ciclico,
il tempo scopico e il tempo progettuale. Il tempo ciclico ha avuto la sua prima formulazione nel
frammento B 1 di Anassimandro dove tutti gli enti (terra, piante, animali sono soggetti al ciclo di
nascita e distruzione secondo necessità (katà to chreòn). Il tempo ciclico è irreversibile rispetto ai
singoli individui che nel ciclo sono destinati a perire ed uniforme. Il secondo è il tempo progettuale
o scopico (da skopèo che significa "pensare in anticipo", "prevedere", "progettare". Il tempo
progettuale è il tempo dell'individuo rispetto alle sue intenzioni da realizzare dall'oggi al domani
mediante il tempo opportuno o kairòs dove si tratta di unire o annodare il recente passato e
l'immediato futuro. Infine il tempo escatologico da esistono che significa ultimo che, a differenza
del tempo ciclico o ripetitivo, rinvia alla salvezza nella dimensione lineare o rettilinea del Tempo
cristiano caratterizzato da colpa (Il peccato originale), redenzione (il sacrificio di Cristo) e salvezza
(la fine dei tempi). Questa dimensione del Tempo è caratterizzata dall'eschaton o finalità già
inscritta al principio (la salvezza nella linearità del Tempo). La migliore trattazione di questa
problematica è presente nel libro di Umberto Galimberti, Gli equivoci dell'anima, pagine 142-150.
La prossima volta torneremo a Nietzsche.

L'eterno ritorno nietzscheano si inserisce all'interno del tempo ciclico prima delineato
naturalizzando il tempo umano destinato a ripetersi come il divenire naturale e demolendo la
concezione cristiana del tempo basata sulla separazione tra natura e uomo considerato superiore
agli enti naturali. Di conseguenza l'eterno ritorno dell'Eguale è stato interpretato come certezza
cosmologica (dimensione della physis nel senso greco), come nuova certezza etica che prescrive di
amare la vita e di agire in modo libero, indipendente dal passato e dal futuro, come dimensione
destinata ad assicurare la pienezza dell'attimo e quindi la felicità della vita. Heidegger ha scritto nel
"Nietzsche" pagine 386-387 che l'eterno ritorno contiene sia la dimensione parmenidea (l'ente è
nella ripetizione dell'Eguale) che la dimensione eraclitea (l'ente diviene nel suo eterno ritorno). In
altri termini l'ente diviene essendo e divenendo è.

La Volontà di potenza costituisce da un lato il ripensamento della volontà di vivere di


Schopenhauer inadeguata rispetto alla trasvalutazione dei valori nietzscheana e in ogni caso
passiva, impotente e dall’altro riaffermazione della volontà in senso positivo, attivo come
conseguenza della legge del tempo in quanto eterno ritorno dell’Eguale. La volontà di potenza è
intesa come legge di natura o legge cosmica, come affermazione della morale dell’oltreuomo non
più succube dei valori tradizionali ma come realizzazione della Umwertung aller Werte
(trasvalutazione di tutti i valori) dove rispetto alla legge dell’essere si impone la legge del divenire.
Qui da un lato si afferma rispetto ad Aristotele (Metaphysica libro IX capitolo 8) l’anteriorità della
dynamis rispetto alla energheia (della potenza rispetto all’atto, dall’altro, come ha scritto
Heidegger, "la volontà di potenza è il sopraelevarsi nelle possibilità divenienti di un comandare che
si instaura" (Heidegger, Nietzsche, pagina 551), affermazione della volontà di dominio della nuova
umanità (Uebermensch) tesa a controllare e dominare la Terra (aria, acqua, beni naturali) per
usurarli e consumarli. Si annuncia così l’età della Tecnica di cui parleremo in seguito.

BERGSON
Bergson va annoverato nell’ambito della filosofia che si contrappone al positivismo. Vissuto tra il
1859 ed il 1941, ha pubblicato numerose opere, me noi ne analizzeremo due, molto importanti
riguardo il problema del tempo: il "Saggio sui dati immediati della coscienza" del 1889 e "Materia e
memoria" del 1896. Anche Bergson avvia la sua filosofia da una pars destruens e poi prosegue con
la pars construens. Per quanto riguarda la prima, critica la concezione del tempo aristotelico
ridotto a semplici istanti quantitativi, spazializzato; è il tempo della fisica reversibile (si può
ripetere innumerevoli volte un esperimento), omogeneo (ugualmente numerabile) che non
corrisponde in alcun modo al tempo autentico della coscienza qualitativo, unico, irreversibile,
eterogeneo. In altri termini corrisponde ad ogni stato della coscienza così come lo vive nella sua
vita in modo unico ed irripetibile. Solo l’intuizione può comprendere il tempo qualitativo della
coscienza nelle sue differenze corrispondenti ai diversi stati psichici, questa nuova dimensione del
tempo comprende il tempo vissuto come durata. Come si articola questa nuova
dimensione del tempo?
Se la coscienza non può essere ridotta a successione numerabile di atti (temporalità delle scienze
positive, dell’orologio), soltanto attraverso il tempo qualitativo (durata del tempo vissuto) si può
recuperare il tempo interiore. Nella durata reale si compenetrano gli atti della coscienza secondo il
tempo vissuto costituito da istanti qualitativamente irriducibili che si danno simultaneamente. In
"Materia e memoria" Bergson supera la distanza tra simultaneità della coscienza e successione
degli oggetti, tra spirito e corpo. Partendo dalla premessa che la conoscenza è il prodotto
dell’interazione tra immagine delle cose e immagine dell’io, è soltanto la dimensione immaginativa
presente in ambedue le dimensioni a costituire l’elemento di congiunzione tra spirito e corpo,
coscienza ed essere. La percezione non è altro che selezione di immagini, non come attività
contemplativa, ma pratica, nel senso che si seleziona ciò che interessa. Di qui deriva il rapporto
biunivoco memoria- percezione: la memoria orienta la percezione in base ai ricordi, la percezione
permette alla memoria di attivare ricordi di eventi lontani, obliati. Bergson distingue tra ricordi
puri (esperienze all’interno della memoria) e ricordi-immagine (ricordi risvegliati dalla percezione
che si sviluppano in immagini). I ricordi-immagini vengono destati dalla percezione (basti pensare
al dolce, la "madeleine" proustiana nel primo volume di "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust,
"Dalla parte di Swann" ) che casualmente genera in Proust la memoria della infanzia a Combray.
Questa è definita memoria involontaria destinata a risvegliare eventi passati dimenticati per
sempre e che non è una operazione intellettuale, fredda, ma vivida, irripetibile che fa riemergere
in maniera involontaria il flusso dei ricordi. Da questa concezione del tempo come flusso continuo
deriva una parte importante della letteratura del Novecento, da Proust a Joyce.

FREUD

03/04/2020
Sigmund Freud è unanimamente riconosciuto come il fondatore della psicoanalisi ossia della
scienza di indagine della psiche sulla base della scoperta di una nuova dimensione, l’inconscio,
sepolto o nascosto dentro di noi e che affiora, come vedremo nella dimensione onirica o nei sogni.
La dimensione conscia non è altro che la punta di un iceberg o, in termini schopenhauriani, la
dimensione superficiale del nostro io, mentre la dimensione noumenica dell’io è costituita
dall’inconscio. Freud nasce a Freiberg nel 1856, nel 1860 si trasferisce a Vienna dove si stabilirà.
Dopo gli studi liceali, si iscrive alla facoltà di medicina e dopo la laurea ottiene una borsa di studio
che gli consente di approfondire gli studi di psichiatria a Parigi collaborando con Charcot nelle
ricerche sulla isteria. La parola isteria (confronta il "Dizionario di psicologia" di Umberto Galimberti
pagine 963-965) deriva dalla parola greca hystéra già presente negli scritti di Ippocrate che
riteneva l’isteria propria del sesso femminile e la attribuiva a un cattivo funzionamento dell’utero,
infatti hystéra vuol dire utero. Charcot considerava infatti l’isteria malattia esclusivamente
femminile, di origine somatica (derivante dal corpo) con sintomi psico-fisici (disturbi della
percezione, del linguaggio, paralisi, afasie). Freud, insieme a Breuer, applica il metodo catartico,
liberatorio, facendo affiorare il trauma alla origine della malattia, mediante l’ipnosi (condizione
psichica indotta in cui un paziente si libera da un altro pensiero, si rilassa completamente, in una
condizione simile al sonno, costituendo uno stadio intermedio tra veglia e sonno con riduzione
delle capacità critiche). Se l’ipnosi contribuiva alla guarigione della paziente (confronta i Casi clinici
di Freud, in particolare quello relativo ad Anna O.), soltanto con l’abbandono dell’ipnosi Freud
perviene alla scoperta dell’inconscio. In che modo?

08/04/2020
Saranno le due opere pubblicate rispettivamente nel 1900 (L’interpretazione dei
sogni, Die Traumdeutung) e nel 1901 (La psicopatologia della vita quotidiana) ad
avviare e porre le basi della psicoanalisi o analisi della psiche che non coincide con la coscienza, ma
che contiene vari strati o dimensioni tutte determinate da quello che Freud definisce inconscio
(Unbewusste): Galimberti, sempre nel "Dizionario di psicologia", pagine 519-520, individua un uso
descrittivo dell’inconscio inteso come un aggettivo che si riferisce a tutti quei contenuti psichici che
non compaiono nell’orizzonte attuale della coscienza ed un uso topico (da topos greco che vuol
dire luogo) inteso come luogo dell’apparato psichico dove si trovano tutti quei contenuti a cui è
stato rifiutato l’accesso al sistema conscio tramite la rimozione. Scrive a sua volta Freud: "Il nucleo
dell’inconscio è costituito da rappresentanze pulsionali che aspirano a scaricare il loro
investimento, dunque da moti di desiderio". Va precisato che Freud distingue istinto (Instinkt)
inteso come schema di comportamento ereditario simile all’istinto animale, soddisfacimento
rigido del bisogno di mangiare, bere e Pulsione (Trieb) intesa come forza propulsiva indeterminata
che può trovare soddisfacimento non solo nella dimensione sessuale, ma anche in altri aspetti, qui
il termine appropriato è sublimazione (spostamento della pulsione sessuale in altre attività come
l’arte, l’aiuto per il prossimo, l’impegno politico). Dopo questo preliminare chiarimento
terminologico-concettuale, la prossima volta esamineremo in dettaglio le due opere citate sopra.

15/04/2020

Le due opere citate (L’interpretazione dei sogni e la Psicopatologia della vita


quotidiana) costituiscono l’avvio della psicoanalisi freudiana perché nei sogni e negli atti
mancati, quando il controllo della psiche si attenua, affiora il territorio inesplorato che Freud
definisce inconscio (Unbewussten). Infatti Freud definisce il sogno come la via regia per accedere
all’inconscio: il sogno non è altro che espressione di un desiderio insoddisfatto (se abbiamo
mangiato un cibo salato a cena sogniamo di bere), infatti contiene un contenuto manifesto che
corrisponde a quel che ricordiamo al risveglio e un contenuto latente reso irriconoscibile dalla
censura onirica che avviene attraverso un processo di condensazione in cui componenti diverse si
fondono in un’unica immagine ed un processo di spostamento, dove contenuti fondamentali
diventano secondari e contenuti accessori si ingigantiscono. L’interpretazione del sogno consiste
nel risalire dal contenuto manifesto al contenuto latente mediante il metodo introdotto da Freud
che segna il definitivo abbandono dell’ipnosi, delle libere associazioni dove stesi sul lettino davanti
allo psicoanalista si invita il paziente a parlare di episodi della sua vita, anche quelli
apparentemente insignificanti, dove si annida la nevrosi o desideri insoddisfatti oppure episodi
traumatici rimossi. Lo psicoanalista riesce progressivamente a individuare la tessitura, il Leitfaden
che li unisce individuando l’episodio rimosso che ha generato la nevrosi. Anche gli atti mancati
analizzati nella seconda opera citata, non sono casuali: lapsus, dimenticanze, amnesie infatti non
sono altro che conseguenze dell’attività dell’inconscio (se abbiamo dimenticato un libro di
matematica o di italiano vuol dire che il nostro inconscio è intervenuto come atto di rifiuto, di
negazione).

17/04/2020
Freud chiarisce la cosiddetta "Topica della psiche" considerata come un insieme molteplice di
dinamiche contrastanti nel capitolo 31 della "Introduzione alla psicoanalisi" e nel saggio del
1923 "L’Io e l’Es". La nostra psiche infatti contiene l’inconscio che Freud definisce "Es", pronome
impersonale neutro della lingua tedesca definita ’la parte oscura, inaccessibile della nostra
personalità, il poco che ne sappiamo l’abbiamo appreso dallo studio del lavoro onirico e della
formazione dei sintomi nevrotici, riguarda i bisogni pulsionali, la libido’ e contiene due pulsioni
vitali ( la pulsione sessuale per la prosecuzione della specie e la pulsione aggressiva per la difesa
della prole). Nell’ Es le leggi del pensiero non valgono, impulsi contrari sussistono l’uno accanto
all’altro, le coordinate spazio-temporali si confondono. L’Es non conosce giudizi di valore, né il
bene né il male, né la moralità, è determinato solo dal Lustprinzip (principio del piacere). All’Es
Freud contrappone il Super-Io che è la dimensione dei divieti, degli obblighi imposti sin
dall’infanzia attraverso il processo educativo familiare, perché se l’Es fosse lasciato a se stesso ne
scaturirebbe l’autodistruzione. Queste due dimensioni della psiche comprendono ciascuna il 40 %,
mentre il restante 20 % riguarda l’Io che si trova a gestire quotidianamente l’equilibrio precario e
conflittuale tra queste due componenti, la libido o principio del piacere e il suo contenimento
determinato dal Super-Io. L’Io di conseguenza secondo Freud è schiavo di questi due padroni, il
suo equilibrio psico-fisico deriva dal soddisfacimento-contenimento di queste due componenti cui
si aggiunge il mondo esterno (rapporti interpersonali nell’ambito familiare, nella scuola, nel
lavoro). Freud inoltre individua il complesso di Edipo (dalla omonima tragedia di Sofocle), l’amore
per il genitore di sesso opposto e l’odio per il genitore dello stesso sesso, considerato
dall’inconscio come rivale, nemico.

22/04/2020

"L'avvenire di una illusione" (1927) e "Il Disagio della civiltà" (1929) costituiscono le
opere fondamentali di Freud relative alla filogenesi o analisi della psiche collettiva, mentre le
opere precedenti che abbiamo analizzato riguardavano la psiche individuale. Nella prima Freud
definisce le varie religioni come 'insieme di rappresentazioni, nate dal bisogno di rendere
sopportabile l'umana miseria, edificate con il materiale dei ricordi dell'impotenza sia della propria
infanzia che di quella del genere umano'. In altri termini, prosegue Freud, 'mediante il benigno
governo della Provvidenza divina, l'angoscia di fronte ai pericoli della vita viene calmata,
l'istituzione di un ordine morale universale assicura l'appagamento dell'esigenza di giustizia, che
nella civiltà umana è rimasta inappagata, il prolungarsi dell'esistenza terrena mediante una vita
futura istituisce la struttura spaziale e temporale in cui questi appagamenti di desideri devono
trovare il loro appagamento'. Mentre nella seconda opera Freud definisce la civiltà come
l'imposizione progressiva di una serie di sacrifici, limitazioni alle due pulsioni (aggressività e
sessualità) mediante determinate regole, per garantire sicurezza sia al singolo che alla collettività.
Freud scrive: 'L'uomo ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un pò di sicurezza'.
Jung, invece, maggiore allievo di Freud, individua negli archetipi e non nella libido la componente
determinante sia a livello individuale che collettivo. Gli archetipi sono per Jung modelli di
comportamento innati intesi come contenuto dell'inconscio collettivo, arcaici, identificati con una
serie di miti, rappresentazioni sedimentate alla base della nostra psiche o inconscio collettivo
(difesa del gruppo, serie di miti che identificano e distinguono una comunità rispetto all'altra).
Ognuno di noi (sia maschio che femmina) possiede l'animus (in cui prevale la ragione) e l'anima in
cui prevale il sentimento o la dimensione istintiva o passionale.

HUSSERL

24/04/2020
Edmund Husserl (1859-1938) è il fondatore della fenomenologia, una corrente filosofica
fondamentale della prima metà del Novecento, basata sulla parola-guida (Leiwort) 'alle cose
stesse' (zu den Sachen selbst) superando la coscienza ingenua o immediata e la separazione
soggetto-oggetto attraverso la teoria della intenzionalità in base alla quale ogni coscienza è diretta
o intenzionata verso l'oggetto (intentio) ed ogni oggetto si pone o costituisce come intenzionato
dalla coscienza (intentum). In altri termini la penna o il libro corrispondono all'intenzione della mia
coscienza nella inseparabilità soggetto-oggetto, la prima per scrivere, il secondo per leggere. Nel
1935-36 Husserl tenne due conferenze a Vienna e a Praga sulla crisi delle scienze europee che
rielaborò ed ampliò sino alla morte nel 1938 e il cui contenuto venne pubblicato postumo nel 1954
col titolo 'La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale'. Husserl riflette sul
contrasto tra gli enormi sviluppi delle scienze, culminati in fisica nella teoria della relatività ristretta
(1905) e nella teoria della relatività generale (1916) e invece la crisi della filosofia. Questo deriva,
secondo Husserl, dallo svuotamento del ruolo della filosofia introdotto dal positivismo ('Il
Positivismo decapita la filosofia'). Di qui l'impossibilità per la scienza di rispondere alle domande
proprie della filosofia sul senso o significato della vita. Altra conseguenza osservata da Husserl del
sapere identificato esclusivamente nelle scienze, è che 'le mere scienze di fatti creano uomini di
fatto' (paragrafo 2 della ' Krisis'), vuol dire che gli uomini vengono ridotti a cose, a res extensa
cartesiana, così 'nella miseria della nostra vita questa scienza non ha niente da dirci, perché astrae
da qualsiasi soggetto, astrae dai problemi del senso o non senso dell'esistenza umana'. Queste
riflessioni, poi sviluppate attraverso una analisi critica della storia della scienza da Galileo a
Cartesio, costituiscono un documento importante di ridimensionamento dell’ottimismo
dominante sulle scienze e sulle conseguenze derivanti di impoverimento critico-spirituale. Sarà
Heidegger, maggiore allievo di Husserl, a proseguire queste analisi. Testi, La 'crisi' della scienza
come perdita del suo significato per la vita, 3 B pagine 291-292..

HEIDEGGER

27/04/2020
Heidegger, come si scriveva prima, costituisce il maggiore allievo di Husserl e, per la maggior degli
studiosi, il più importante filosofo del Novecento. Nato a Messchirch nel 1889, dopo aver
conseguito la libera docenza nel 1915, soltanto nel 1919 è nominato assistente presso il seminario
di filosofia a Friburgo, conosce e frequenta Husserl col quale collabora a tal punto che lo stesso
Husserl affermerà che 'la fenomenologia siamo io e Heidegger'. Dal 1923 al 1928 insegna
all'università di Marburgo dove tiene corsi di importanza fondamentale destinati ad essere
pubblicati postumi sulla base del testo approntato da Heidegger e degli appunti degli allievi. La
pubblicazione nel 1927 di 'Sein und Zeit' (Essere e Tempo) segna una svolta nella filosofia, ma
anche nella carriera accademica di Heidegger, a tal punto che viene nominato professore di
filosofia a Friburgo dopo il pensionamento di Husserl per raggiunti limiti di età. L'iscrizione al
partito nazionalsocialista e la nomina a rettore dell'università nel biennio 1933-34 costituisce una
fase destinata a suscitare critiche indignate dopo il 1945, però va precisato che già nel 1934
Heidegger prende le distanze dal nazionalsocialismo, si dimette dalla carica di rettore e sviluppa
critiche implicite al sistema politico del nazionalsocialismo sia nelle lezioni che nelle opere
pubblicate postume, di questo parlerà anche nelle intervista al settimanale tedesco 'Der Spiegel'
pubblicata subito dopo la morte. Dopo la guerra subisce l'interdizione dall'insegnamento perchè
considerato compromesso col nazismo e verrà integrato nel corpo insegnante soltanto nel
semestre invernale 1951-52. Intanto nel 1947 aveva pubblicato la 'Lettera sull'umanismo', negli
anni '50 'Cosa significa pensare', 'L'abbandono', nel 1961 in due volumi il 'Nietzsche'
comprendente il testo delle lezioni su Nietzsche degli anni '30-40, 'Saggi e discorsi', di cui risulta
molto importante il saggio sulla questione della Tecnica, nel 1967 pubblica 'Segnavia' e dal 1975,
un anno prima della morte, viene avviata la pubblicazione delle Opere complete comprendente
102 volumi, di cui risultano molto importanti i 'Beitraege zur Philosophie' (Contributi alla filosofia),
scritti tra il 1936-38, pubblicati nel centenario dalla nascita, nel 1989.

29/04/2020

'Essere e tempo' di Heidegger si apre con una citazione dal "Sofista" di Platone (244 a),
riguardante la problematicità della risposta alla domanda 'che cosa è l'essere', che costituisce il
cercato (Gefragte), il ' ricercato' (Erfragte) come senso dell'essere e l'interrogato (Befragte)
attraverso il 'Dasein' (l'esserci) ovvero l'uomo definito così, oltre ogni umanismo, perchè
costituisce quell'ente, proprio, specifico che si interroga sull'essere perchè gli coappartiene, gli
risulta connaturato rispetto invece alle rocce definite in un ciclo di lezioni del 1929-30 (I concetti
fondamentali della filosofia: mondo, finitezza, solitudine) 'weltlos' (senza mondo), agli animali
definiti 'weltarm' (poveri di mondo), mentre l'esserci è definito 'weltbildend' (colui che forma,
trasforma il mondo). Infatti secondo Heidegger l'Esserci risulta costitutivamente aperto al mondo
come possibilità che gli si schiudono quotidianamente, mediante una serie di progetti o
programmi definiti però gettati (entgeworfene Geworfenheit), vuol dire condizionati dalla propria
finitezza, dalla situazione storico-politica, socio-economica. Tutto questo è sviluppato da
Heidegger nella Analitica esistenziale che, a differenza della Analitica trascendentale kantiana,
riguarda le determinazioni della esistenza dell'Esserci intesa in senso kierkegaardiano, come
esistenza finita e condizionata. La sua apertura (Erschlosennheit) si determina come Besorgen
(prendersi cura) o preoccupazione di quanto si schiude quotidianamente nell'ambito dell'Umwelt
(mondo-ambiente) attraverso i tre esistenziali: Befindlichkeit (situazione emotiva), Verstehen
(comprensione) e Reden (discorso o linguaggio).

04/05/2020
Per quanto riguarda il primo, Heidegger scrive che il nostro 'in der Welt sein' (essere nel
mondo) non è mai asettico, ma caratterizzato dal nostro coinvolgimento o non coinvolgimento
emotivo attraverso i 'pathe' (passioni) o l'apatia, mentre per quanto riguarda il secondo, Heidegger
scrive che 'la comprensione è la visione dell'Esserci attraverso cui diventa trasparente
(durchsichtig) a se stesso (paragrafo 31 di 'Sein Zeit', Essere e Tempo). La comprensione è sempre
situata, nell'ambito di determinate circostanze e del coinvolgimento emotivo e non avviene mai
senza presupposti che Heidegger individua nel 'Vorhabe' (possesso di una lingua, di un particolare
ambiente culturale), 'Vorsicht' (visione antecedente della sua particolare prospettiva) e 'Vorgriff'
(possesso antecedente delle sue premesse o condizioni). Il Linguaggio risulta la conseguenza di
situazione emotiva e comprensione. Heidegger inoltre distingue esistenza inautentica ed esistenza
autentica. Nella prima l'Esserci risulta succube della curiosità, della chiacchera e dell'equivoco
subiti dagli altri, mentre nella seconda l'Esserci si rapporta alla sua possibilità più propria, attiva,
individuale e non subita, individuata nell'Essere per la morte definita la possibilità dell'impossibilità
dell'Esserci, sovrastante le altre possibilità (come quella di un temporale, di un esame, della
riparazione di una casa), perché questa possibilità (quella della morte), rende impossibili le altre
possibilità (confrontate il paragrafo 50 di 'Essere e Tempo').

06/05/2020

La riflessione heideggeriana sulla Tecnica (da distinguere dalla Tecnologia, come automobili,
frigoriferi, telefonini, perché questa riguarda un cambiamento epocale riguardo l'essenza
dell'uomo e il suo rapporto con l'ambiente naturale), prende avvio all'inizio degli anni '30, dopo la
pubblicazione di alcune opere fondamentali di Ernst Juenger (La mobilitazione totale del 1930, Il
Lavoratore del 1932). Juenger ritiene che dopo la prima guerra mondiale sia avvenuta una
metamorfosi industriale-antropologica, conseguenza della invasione tecnologica, come
disponibilità dell'uomo alla logica della produzione inesauribile di lavoro, completa riduzione al
modo di essere della macchina. L'uomo si è trasformato sia in uomo Krieger (combattente anche in
tempo di pace) che uomo Arbeiter (Lavoratore), con la guerra tecnologica si forma un popolo di
soldati, nessuno si può permettere di essere 'in pace', è avvenuta l'estinzione di una tipologia
umana a favore di un tipo d'uomo idoneo al lavoro continuo. L'Arbeiter si specchia nella Tecnica
che è il suo mondo, ancora l'Arbeiter non è né figura politica, né di tipo socio-economico, ma un
atteggiamento mentale disposto ad una assoluta meccanizzazione. Con l'Arbeiter è avvenuta la
fine dell'umanesimo borghese, risulta infranta la regola aurea del mondo borghese, la sicurezza.
Sempre secondo Juenger , la Tecnica raccoglie e unifica il mondo, con questa scompare la 'volontà'
del valore (la distinzione tra bene e male, bello e brutto), l'importante è che il mondo funzioni. Il
Tempo è ordinato da Tecnica e Lavoro, questo (il Lavoro) non si riferisce, come per il borghese, ad
una parte dell'esistenza o porzione di tempo, ma 'è' il Tempo. Si costituisce la coappartenenza di
Tecnica e Lavoro, la Tecnica decreta la realtà del lavoro totale, la Tecnica risulta attiva grazie alla
disponibilità dell'uomo eternamente al lavoro. Di conseguenza all'uomo non resta che una scelta:
o accettare gli strumenti propri della Tecnica e parlare il suo linguaggio, o affondare. Heidegger
sviluppa queste analisi juengeriane in alcune opere che esamineremo la prossima volta.

08/05/2020
Il primo testo importante deriva da una conferenza tenuta da Heidegger nel 1946 nel ventennale
dalla morte di Rilke dal titolo ’Perchè i poeti?,’ tratto da un verso di Hoelderlin e inserito nella
raccolta dal titolo ’Holzwege’ (’Sentieri interrotti’ nella prima traduzione di Pietro Chiodi, ’Sentieri
erranti nella selva ’ nella più recente traduzione). Commentando l’elegia di Hoelderlin ’Pane e
vino’ (Brot und Wein) Heidegger individua l’imporsi nell’età moderna della notte del mondo
(Weltnacht), proseguendo: ’nel mezzo di questa notte, la povertà del tempo giunge al suo apice.
Allora il tempo misero non si rende neppure più conto della propria indigenza. Questa incapacità
per cui la stessa indigenza della povertà è dimenticata, è ,la vera e propria povertà del tempo. La
notte del mondo va intesa come un destino che sopravviene al di fuori dell’alternativa di
ottimismo e pessimismo’. La notte del mondo costituisce da un lato la conseguenza della morte di
Dio annunciata da Nietzsche e della fuga degli dèi o punti di riferimento individuata da Hoelderlin,
dall’altro il risultato dell’affermazione incondizionata del volere, con cui l’uomo moderno si rivela
produttore incontrollato della totalità di oggetti disponibili che costituisce il mondo. ’Per questo
volere, tutto diviene forzatamente materiale della produzione, la Terra e la sua atmosfera
divengono materie prime, persino l’uomo stesso diviene materiale umano, impiegato secondo
piani prestabiliti. L’organizzazione incondizionata dell’imposizione integrale della produzione
progettata secondo i voleri dell’uomo, è un processo che scaturisce dall’essenza ancora nascosta
della Tecnica’. In altri termini la Tecnica non è altro che l’estrema affermazione della ’volontà di
potenza’ nietzscheana, dove ogni ente di natura si trasforma in materiale da sfruttare e
trasformare modificando in modo irreversibile l’ambiente naturale (boschi, acqua, aria) e in cui lo
stesso uomo è ridotto a materia prima da modellare sottraendogli progressivamente le sue
proprietà millenarie, anzi, secondo Heidegger l’uomo si trasforma in materia prima più importante
(der wichtigiste Rohstoff). Anche dieci anni prima Heidegger aveva avviato queste analisi in
un’opera rimasta inedita e pubblicata postuma nel 1989, in occasione dei cento anni dalla nascita,
i ’Beitrage zur Philosophie’ (Contributi alla filosofia).

11/05/2020

Sono i 'Contributi alla Filosofia', scritti tra il 1936 ed il 1938 e, come riportato prima, pubblicati
postumi nel 1989 a costituire la prima opera che documenta il confronto heideggeriano con la
Tecnica. In particolare nel paragrafo 58 Heidegger individua gli occultamenti dell'abbandono
dell'essere e come si manifestano: la Tecnica impone l'occultamento o nascondimento dell'essere
sia attraverso il calcolo (Rechnung) come dominio del quantitativo dove tutto deve essere
misurabile, anche i sentimenti o la dimensione emotiva, sia attraverso il dominio della celerità
(Schnelligkeit) da cui deriva l'incapacità di resistere nel silenzio del crescere latente e dell'attesa, il
rapido dimenticare e smarrirsi in ciò che è prossimo, ancora, l'irrompere di ciò che ha il carattere
di massa, dove l'eccellente risulta ciò che è comune a molti e a tutti, in contrasto con ciò che è raro
e unico. Da qui deriva il modo in cui si giunge al sapere e la diffusione, calcolata, rapida e di massa,
di conoscenze mal comprese tra il maggior numero di persone possibile e nel più breve tempo
possibile. Altra conseguenza è il depotenziamento della parola (Entmachtung des Wortes) con cui
la parola si riduce a suono e chiassosa esortazione finendo per banalizzarsi e svuotarsi. Infine,
sempre nel paragrafo 58, da tutti questi segni scaturisce l'epoca della totale assenza di domande
(gaenzlichen Fraglosigkeit), dove tutto è accettato passivamente e in modo inerte, senza chiedersi
quali conseguenze produce riguardo l'essenza dell'uomo. Nel paragrafo 61 individua l'imporsi della
macchinazione (Machenschaft) intesa come essenziale allontanamento dalla physis e dominio
dell'enticità o degli enti considerati come cose da consumare e buttare via, da cui deriva l'essere
stregati dalla Tecnica e dal suo sviluppo che supera costantemente se stesso, il suo completo
dominio sottraendo l'uomo all'essere e alla verità e producendo l'usura dell'ente o della terra e il
massimo pericolo per la sopravvivenza del genere umano.

13/05/2020

 L'altro documento importante, riguardo alla determinazione heideggeriana della


Tecnica è costituito dal testo di una conferenza tenuta il 18 novembre 1953 nella
'Technische Hochschule' di Monaco di Baviera e inserita nella raccolta di saggi
'Vortraege und Aufsaetze' (Saggi e discorsi). Secondo Heidegger la Tecnica non è
semplicemente un mezzo, produzione di tavoli, automobili, libri, ma è un modo del
disvelamento nel senso greco di alethéia, cioè della verità: 'La techne è un
aletheuein', si rivela nascondendosi e si nasconde rivelandosi. Il disvelamento alla
base della Tecnica moderna non è un produrre nel senso della poiesis (produzione)
come per il falegname, il fabbro, ma è una pro-vocazione (Herausforderung) che
pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa essere estratta e
accumulata. 'Ma questo non vale per l'antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì
spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci
mette a disposizione le energie delle correnti aeree perchè le accumuliamo'. Questo
vuol dire che, mentre la Tecnica precedente si attivava in armonia e concordanza con
l'ambiente naturale, quella moderna e contemporanea agisce come impiego
(Bestellung) accumulando risorse ed energie e modificando sino ad alterare in modo
irreversibile l'habitat naturale. Anche l'uomo si trasforma in impiego ed impiegato
finendo per diventare oggetto e risorsa da consumare e logorare, anzi, è definito da
Heidegger 'la materia prima più importante'. Si costituisce così il 'Gestell' (impianto,
imposizione), destinato a utilizzare la natura e l'uomo come 'fondo' da consumare, con
la conseguenza che natura o ambiente circostante, l'uomo nelle sue caratteristiche
originarie vengono alterati in modo irreversibile: questo, per Heidegger, costituisce il
pericolo supremo, l'uomo di oggi non incontra più la sua essenza. Conclude Heidegger
che la minaccia per l'uomo non viene anzitutto dalle macchine e dagli apparati tecnici,
che possono anche avere effetti mortali, ma la minaccia vera ha già raggiunto l'uomo
nella sua essenza. A questo punto la situazione sembra irreversibile, anche se
Heidegger cita i versi di Hoelderlin 'Ma là dove c'è il pericolo cresce / Anche ciò che
salva', come è testimoniato dall'intervista data al settimanale tedesco 'Der Spiegel':
'soltanto un dio ci può salvare'.

15/05/2020

L’altro testo importante relativo alla Questione della Tecnica è compreso in ’Was heisst
Denken?’ (Che cosa significa pensare?), in particolare il saggio ’Chi è lo Zarathustra di
Nietzsche’, dove Heidegger scrive che ’il più considerevole nella nostra epoca
preoccupante è che noi ancora non pensiamo’. In un’epoca in cui la Scienza si è
trasformata in una fede, in una superstizione, si deve invece riconoscere che ’la
scienza non pensa’, che l’assenza di pensiero costituisce il suo modo di procedere.
Anche se questa affermazione è scandalosa, si deve riconoscere l’evidenza che tra
scienza e pensiero si pone un abisso insuperabile. ’Qui non ci sono ponti, ma soltanto
un salto’, per questo risultano dannosi ed inutili tutti i ponti di emergenza che
intendano instaurare un comodo rapporto d’affari tra il pensiero e le scienze. Le
scienze procedono di scoperta in scoperta secondo il metodo ipotetico-deduttivo,
senza prendere in considerazione le conseguenze delle loro scoperte, in termini di
peggioramento delle condizioni di vita, inquinamento dei corsi d’acqua,
avvelenamento dell’aria, peggioramento delle relazioni interpersonali. Nella scienza
viene cancellata la memoria, intesa come ’il raccoglimento del pensiero volto
all’indietro’, memoria, madre delle muse, infatti la scienza non ha memoria, il passato
è un cumulo di errori ed il futuro promessa di salvezza. In una conferenza dello stesso
periodo, 'Gelassenheit' (L'abbandono), Heidegger distingue il Pensiero calcolante
proprio della scienza e il pensiero meditante proprio della filosofia e prosegue: 'Ciò che
è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della
Tecnica. Di gran lunga più inquietante è che non siamo capaci di raggiungere,
attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente
emergendo'. L'uomo dell'era atomica potrebbe trovarsi sgomento ed inerme, in balia
dell'inarrestabile strapotere della Tecnica, se rinuncia a contrapporre il pensiero
meditante al pensiero calcolante'.

GUNTHER ANDERS

18/05/2020
Il Filosofo che prosegue l’analisi heideggeriana della Tecnica è indubbiamente Gunther Anders,
nome originario Gunther Stern, cambiò cognome all’inizio degli Trenta in Anders (Diverso), perché
quello originario rivelava la sua appartenenza alla razza ebraica, nato a Breslau nel 1902, formatosi
con Husserl e Heidegger, emigrò negli Stati Uniti dopo l’avvento del nazismo per sfuggire alle
persecuzioni razziali, dove per sopravvivere lavorò come operaio alla Ford, rientrò in Europa dopo
la Seconda Guerra mondiale e si stabilì a Vienna sino alla morte nel 1992. La sua opera più
importante è ’L’uomo è antiquato’, il cui primo volume è pubblicato nel 1956, col sottotitolo
’Considerazioni sull’anima nell’era della seconda rivoluzione industriale’, mentre il secondo
volume è pubblicato nel 1980, col sottotitolo ’Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza
rivoluzione industriale’. Anders individua tre fasi nella rivoluzione industriale: la prima fase è
definita ’produzione di macchine per mezzo di macchine’, dove il meccanismo è dato dalla
produzione di prodotti che mirano alla produzione di altri prodotti, che devono ’essere consumati
attraverso il loro essere usati, pane o granate che siano’ e dove gli esseri umani compaiono solo
all’inizio del processo produttivo (come inventori o come lavoratori manuali) e alla fine (come
consumatori). La seconda fase è definita dalla frase ’Dacci oggi la nostra fame quotidiana’, perché
affinché i conti tornino e la produzione non si interrompa, deve essere introdotto a forza tra
prodotto e uomo un prodotto ulteriore, e questo prodotto si chiama ’bisogno’. Per poter
consumare prodotti, è necessario che ne abbiamo necessità’. Di qui i bisogni indotti, attraverso la
pubblicità’, infatti ogni messaggio pubblicitario, scrive Anders, è un invito alla distruzione: è un
invito a sbarazzarci o, per usare un termine orrendo oggi di moda, a rottamare un prodotto
antiquato, automobile, televisore, telefonino, per comprare l’ultimo, più aggiornato modello. La
terza rivoluzione industriale è avvenuta nel 1945 (6 e 9 agosto con l'utilizzo della bomba ad
Hiroshima e Nagasaki, con effetti nefasti, da questi giorni siamo diventati completamente
impotenti, perché in ogni istante possiamo essere distrutti. Da allora viviamo in un'era nella quale
gestiamo la produzione della nostra distruzione. L'energia nucleare non è il simbolo della terza
rivoluzione industriale per il fatto che è una novità fisica, ma perché il suo possibile effetto è di
natura metafisica. 'Chiamo metafisico l'effetto dell'energia nucleare, dal 1945 viviamo in un'epoca
che è 'una scadenza', nel corso della quale il nostro essere non è più altro che 'un esserci-ancora-
appena'.

20/05/2020

Secondo Anders nel mondo contemporaneo ormai noi siamo trasformati in ’eremiti di massa’,
consumiamo in solitudine immagini che contemporaneamente vengono consumate da milioni di
altri consumatori, scambiando i fantasmi, le immagini, per realtà e trasformando la realtà in
immagine evanescente, di qui siamo trasformati in uomini senza mondo. Questo avviene
attraverso il dominio incontrastato delle immagini (eichones), nella televisione e negli altri mezzi di
comunicazione. Oltre a questo Anders individua la discrepanza tra l’uomo e gli apparecchi tecnici,
ormai ciò che è prodotto sovrasta l’orizzonte fisico, psichico e morale dell’uomo. ’Noi siamo
utopisti al contrario, noi siamo più piccoli di noi stessi, incapaci di produrre un’immagine di ciò che
è fatto da noi stessi, mentre gli utopisti non realizzano ciò che immaginano, noi invece non
possiamo immaginare le conseguenze di ciò che produciamo’. Questo è il motivo centrale della
filosofia di Gunther Anders: la discrepanza diventata irrimediabile attraverso lo sviluppo tecnico
tra produrre (herstellen) e rappresentare (vorstellen). La tendenza di ogni Tecnica a liquidare
l’uomo, Anders l’aveva vista all’opera in quell’evento costituito da Auschwitz. Anders è stato uno
dei pochi che ha sostenuto la tesi, che le incomprensibili atrocità del nazismo non sono state un
deragliamento isolato della storia, né un delitto come un altro, ma l’affermazione di una
’razionalità’ economica e tecnica: ’Il mostruoso di ieri è il precursore del mondo mostruoso di ieri e
domani’. Il ’mostruoso’ era la categoria con cui Anders ha definito filosoficamente il grande delitto
del nazismo. Con lo stesso concetto trattò anche quell’evento che forse come nessun altro ha
determinato il suo pensiero e la sua azione dopo il 1945: il lancio della prima bomba atomica su
Hiroshima. In ambedue i luoghi (Auschwitz ed Hiroshima), anche se in modo differente, avvenne
l’orrore, il ’Mostruoso’, dove è avvenuto il passaggio dall’agire, in cui ciascuno è responsabile di
quello che fa e delle sue conseguenze, al fare, dove si eseguono ordini e non ci si ritiene
responsabili delle conseguenze delle proprie azioni, di qui la meraviglia e indifferenza di Eichmann
durante il processo riguardo alle imputazioni delle atrocità commesse. La società moderna
produce degli analfabeti emotivi, l'incapacità di confrontarci col 'sovraliminale', con ciò che è
troppo grande per la nostra percezione, col mostruoso sul piano cognitivo ed emozionale.
Auschwitz in confronto ad Hiroshima è definito da Anders tecnicamente arretrato, perché questo
consentiva ancora un contatto tra esecutori e vittime in quanto esisteva il luogo dell'azione, con la
bomba invece si rinuncia ad ogni relazione tra esecutori e vittime.

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