Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
VITA
Immanuel Kant nasce a Konigsberg (dove vivrà per tutta la vita) il 22 aprile 1724, da una famiglia umile. Si
forma nello spirito religioso del pietismo, una corrente puritana particolarmente rigorosa del protestantesimo,
dunque ebbe una formazione rigorosa, infatti la sua stessa dottrina morale è particolarmente rigorosa, presso
il Collegio Fridericianum. Studia presso l’università di Konisberg, dove sarà anche insegnante. Tutta la sua
vita è la vita di un professore universitario, si dedica alla ricerca e al suo lavoro accademico. Era un uomo
particolarmente preciso e sistematico, tanto che si racconta che i suoi concittadini regolassero l’orologio in
base alla sua passeggiata, che appunto avveniva ad un’ora precisa. È un vero e proprio rivoluzionario della
filosofia, stravolge la filosofia. Studia filosofia, teologia, matematica, la fisica newtoniana, si occupa di
astronomia. Inoltre parte della sua educazione filosofica deriva da una corrente del pensiero leibniziano, che
si era diffusa in Germania sulla base dell’interpretazione dogmatica di un pensatore che si chiamava
Christian Wolff, che si chiama filosofia leibniziana-wolffiana, una sorta di scolastica leibniziana. Nel 1770
diviene professore ordinario di logica e metafisica. Nel 1766 diventa sotto-bibliotecario alla Biblioteca
Reale. Per quanto riguarda le idee politiche, è dalla parte dei principi di libertà, indipendenza ed uguaglianza
portati avanti dalla rivoluzione francese, scrive infatti anche un importante testo a riguardo Per la Pace
Perpetua nel 1795. In cui si esprime a favore di una concezione repubblicana, anche ad una sorta di
federazione internazionale fondata su questi stessi principi. Scrive anche un importante testo sulla religione
La Religione entro i Limiti della Sola Ragione, per il quale si trovò ad essere accusato di essere in contrasto
con il cristianesimo, in cui Kant ricongiunge i principi fondamentali del cristianesimo ai loro aspetti morali,
al senso del dovere, al senso del comportamento moralmente rigoroso. È un pensatore che interpreta la
religione cercando di liberarla dagli elementi fanatici, superstiziosi e metafisici. Muore nel 1804, il 12
febbraio, mormorando “Es ist gut” “Sta bene”. Sulla sua tomba sono state incise delle parole presenti nella
Critica della ragion pratica: IL CIELO STELLATO SOPRA DI ME E LA LEGGE MORALE DENTRO DI
ME. Frase che riassume il pensiero kantiano: la sua riflessione verso la scienza naturale (Critica della ragion
pura) e quella verso la legge morale (Critica della ragion pratica).
GLI SCRITTI
Si dividono in 3 periodi:
1. Fino al 1760, interesse per le scienze naturali, periodo pre-empirico si occupa anche di fisica e di
astronomia. Tra i quali troviamo Storia naturale universale e teoria del cielo (1755), Nuova
spiegazione dei principi della conoscenza metafisica (1755) e la Monadologia fisica (1756).
2. Fino al 1781, prevale l’interesse filosofico e aderisce all’empirismo inglese, con un’opera pubblicata
nel 1765 (Notizia sull’indirizzo delle lezioni), seppur si era formato alla scuola newtoniana e
secondo la filosofia leibniziana, si distacca dalla metafisica, anzi ne fa una critica in un documento
nel 1765 Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, in cui Kant spiega come la
metafisica cercasse di spiegare tramite incertezze e azzardi le cose che vanno al di là del mondo
fisico, questa convinzione spiega anche, secondo Kant, il perché del successo che aveva a quel
tempo un svedese, Manuel Svedenborg, che diceva di avere visioni. Questa propensione a credere ad
apparizioni, a visioni mistiche è dovuta anche ai sogni della metafisica, propensione che cerca di
spezzare all’interno della Critica della ragion pura, dove ci dice che la metafisica è impossibile come
scienza. Importante da ricordare è un testo del 1770, una dissertazione che lui presenta nel suo
percorso di professore universitario, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis/ La
forma e i principi del mondo sensibile e intellegibile: presenta un aspetto fondamentale che è alla
base del suo periodo critico, infatti Kant scrive che il materiale della nostra conoscenza derivano
dall’esperienza/dall’esterno. Ma dice anche che a differenza del materiale sensibile, qualcosa non
deriva dall’esperienza sensibile e sono le forme di spazio e tempo. Spazio e tempo sono strutture
logiche che organizzano l’esperienza e si trovano all’interno di noi (sono strutture del soggetto).
Strutture soggettive in quanto presenti nel soggetto, ma universali, uguali per tutti quanti noi.
Concetto che poi avrà ampio sviluppo nel periodo successivo.
1 e 2 periodo vengono definiti pre-critici.
3. Dal 1781 in poi, si delinea la filosofia trascendentale, periodo critico, 1781 Critica della ragion pura,
che fu rimaneggiata e nel 1787 pubblica una seconda edizione. 1788 Critica della ragion pratica,
1790 Critica del giudizio. Da ricordare vi è anche i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia
presentarsi come scienza 1783.
ITER FILOSOFICO
FENOMENO, la nostra conoscenza si ferma ai fenomeni, noi conosciamo la realtà per come viene
organizzata dalle strutture a priori della nostra mente.
COSA IN SE/noumeno (ciò che è pensato, che è reale, ma che noi possiamo solo pensare che oltre
ciò che conosciamo, c’è qualcosa che non conosciamo), noi non conosciamo la cosa in sé
indipendente da noi. La nostra conoscenza si ferma ai fenomeni, cioè noi conosciamo le cose per
come ci appaiono con questi filtri, non come sono, eventualmente, in sé. Le cose al di fuori di queste
strutture sono x sconosciute, è a noi ignota, che potenzialmente esistono, ma che noi non possiamo
conoscere.
Nell’analizzare la conoscenza all’interno della critica della ragion pura, Kant distingue tre facoltà conoscitive
principali:
La sensibilità, di cui si occupa una disciplina che si chiama estetica, dal greco aistesis (sensazione),
la parte della gnoseologia di Kant che si occupa della sensibilità, trascendentale, che si occupa di
spazio e tempo.
L’intelletto, caratterizzato da 12 categorie, tra cui la casualità, che caratterizza le conoscenze
scientifiche, di cui si occupa una disciplina che si chiama analitica trascendentale che assieme alla
dialettica trascendentale costituisce la logica trascendentale.
La ragione, in cui troviamo 3 idee fondamentali: quella di anima, di mondo e di dio, che Kant
dimostrerà che non ci portano ad una conoscenza vera/certa. È la facoltà che si occupa della
metafisica, di cui si occupa una disciplina che si chiama dialettica trascendentale, una parte della
teoria della conoscenza di Kant che si occupa delle illusioni della nostra mente.
La critica della ragion pura si divide in due dottrine:
La dottrina degli elementi, dove troviamo sia l’estetica che la logica trascendentale,
La dottrina del metodo, che consiste nel determinare il metodo della conoscenza, ovvero come sia
possibile e legittimo utilizzare le forme a priori della conoscenza.
Perché si parla di trascendentale in Kant?
Trascendentale è la filosofia in quanto si occupa della facoltà della conoscenza, non è lo studio degli oggetti
della conoscenza, ma del soggetto conoscente/modo in cui conosciamo. Si occupa della nostra sensibilità,
non delle cose che conosciamo tramite essa, si occupa del nostro intelletto, non delle cose che conosciamo
tramite esso. È lo studio filosofico degli elementi della nostra conoscenza. Il trascendentalismo kantiano è lo
studio delle forme a priori che rendono possibile la nostra conoscenza: spazio e tempo per quanto riguarda la
sensibilità, i concetti per l’intelletto.
Perché si chiama critica della ragion pura? Kant porta di fronte al tribunale della ragione la ragione stessa,
quindi si tratta di un esame critico della validità e dei limiti della ragione umana. Esame che richiede la
conoscenza delle sue strutture a priori.
L’ESTETICA TRASCENDENTALE
È quella parte della critica della ragion pura che si occupa della sensibilità, che è in parte ricettiva, riceve
informazioni dall’esterno, ed in parte attiva, in quanto caratterizzata da forme a priori, lo spazio e il tempo,
con cui l’esperienza viene organizzata. Sono forme universali e necessarie.
LO SPAZIO è la forma del senso esterno, cioè organizza le intuizioni che vengono dall’esterno.
IL TEMPO è la forma del senso interno, cioè organizza le intuizioni interne in una successione, le
cose non sono esternamente in successione. Siamo noi che temporalizziamo il mondo. Per Kant la
forma più importante è il tempo, in quanto tutte le cose sono nel tempo, ma non nello spazio.
ESEMPIO: i corpi sono nello spazio, quindi anche nel tempo, al contrario le nostre rappresentazioni
mentali sono nel tempo (ho detto una cosa prima, adesso un’altra, etc…), ma non nello spazio, così
come le emozioni, le sensazioni, l’amore, la paura, etc…
Queste due forme sono alla base di due discipline: lo spazio è il fondamento della geometria, mentre il tempo
quello dell’aritmetica. Le verità geometriche e aritmetiche sono valide in quanto costruite a partire dalle
forme a priori della mente umana. Per quanto riguarda l’aritmetica, noi sappiamo che fino a questo momento
le verità matematiche venivano considerate verità analitiche (contenute nei giudizi analitici, in cui il
predicato è contenuto nel soggetto), relazioni tra idee per Hume, verità di ragione in Leibniz, che
rispondevano soltanto al principio di non contraddizione. Kant è convinto che l’aritmetica sia costituita da
giudizi sintetici, secondo Kant 7+5=12, non è un giudizio analitico, nel 7+ 5 non troviamo già il 12, per Kant
12 rappresenta un accrescimento della nostra conoscenza rispetto al 7+5. L’aritmetica è dunque fondata sul
tempo in quanto i calcoli richiedono una successione temporale, la successione numerica richiede una
successione temporale.
Perché la matematica vale per la natura? Domanda che si era già posto Galileo Galilei, a cui aveva però dato
una risposta un po’ semplicistica: Dio ha scritto il libro della natura con caratteri matematici, dunque noi lo
leggiamo utilizzando questi caratteri matematici. Kant dice che noi organizziamo il mondo sulla base delle
forme di spazio e di tempo, queste due forme sono però i fondamenti anche dei principi matematici,
aritmetici e geometrici, dunque sarà possibile applicare la geometria e l’aritmetica allo studio dei fenomeni
fisici/naturali. Se la natura è organizzata in forme spazio temporali da noi attraverso le forme a priori della
nostra sensibilità, evidentemente/sarà logico che questa natura può essere letta/studiata sulla base di scienze
che si fondano proprio su quelle forme a priori che organizzano l’esperienza.
L’ANALITICA TRASCENDENTALE
È quella parte della logica trascendentale che si occupa delle conoscenze a priori dell’intelletto. I concetti
dell’intelletto sono necessari, si applicano alle intuizioni empiriche, le esperienze che avvengono e vengono
organizzate da spazio e tempo. Secondo Kant però la nostra conoscenza empirica diviene oggetto
dell’intelletto, che è strutturato attraverso un insieme di concetti, chiamati categorie, che sono 12 e sono
forme a priori. Anche l’intelletto è costituito da strutture logiche a priori che non sono più forme, ma
categorie. I concetti possono essere sia empirici, fondati sull’esperienza, che puri, nell’intelletto vi sono dei
concetti fondamentali, cioè le categorie:
PSICOLOGIA RAZIONALE, quella che precede la psicologia scientifica che nasce verso la 2° metà
dell’800, questa disciplina che si pone domande come: che cos’è l’anima? È immortale, è semplice,
è composta, è unita al corpo, è distinta dal corpo? Secondo Kant questa disciplina è fallace in quanto
ci porta a paralogismi, è l’errore tipico della psicologia razionale, cioè un ragionamento sbagliato,
che nasce dal fatto che applichiamo una categoria, che è quella di sostanza, a qualcosa che esiste, di
cui però non facciamo una conoscenza fenomenica, che è l’io penso. L’io penso è una x ignota che
fa funzionare la nostra mente, ma di cui non facciamo esperienza diretta. Nasce dall’uso improprio
del concetto di sostanza. Noi possiamo conoscere l’io fenomenico, che appare a noi tramite le forme
a priori, ma non l’io noumenico, cioè l’io qual è in sé stesso.
COSMOLOGIA RAZIONALE, è la conoscenza metafisica del mondo nel suo complesso, pretende
di fare quello che non fa la fisica, che si occupa delle singole cause dei fenomeni, non del mondo nel
suo complesso o dell’essenza del mondo. Il tentativo di comprendere l’universo nel suo complesso ci
porta a formulare delle proposizioni contraddittorie, che lui chiama antinomie, cioè tesi e antitesi
sono contraddittorie. Le antinomie sono 4. Noi facciamo esperienza di un singolo fenomeno fisico,
non del mondo nella sua totalità, si dovrebbe uscire fuori dal mondo per comprenderlo. Se cercò
però di dare una spiegazione del mondo nel suo complesso, cadrò in ANTINOMIE.
1 ANTINOMIA: tesi: il mondo ha dei limiti, ha un inizio nel tempo e nello spazio
Antitesi: il mondo non ha inizio né nello spazio, né nel tempo
Il mondo è finito o infinito? Noi non possiamo definirlo, né una né l’altra è sbagliata.
2 ANTINOMIA: tesi: ci sono soltanto sostanze semplici
Antitesi: ci sono soltanto sostanze complesse
Va al di fuori delle nostre capacità conoscitive
3 ANTINOMIA: tesi: non esistono soltanto cause necessarie nel mondo, ma anche cause libere
Antitesi: esistono solo cause necessarie, non esiste la libertà
4 ANTINOMIA: tesi: esiste un essere assolutamente necessario, Dio
Antitesi: non esiste un essere assolutamente necessario, tutte le cose sono solamente contingenti
TEOLOGIA RAZIONALE, gli esseri umani si sono sempre posti domande sull’esistenza di Dio e
hanno cercato prove, metafisiche, per accertarne la sua esistenza, per Kant ovviamente queste prove
sono infondate. Critica la prova ontologica di Anselmo d’Aosta, non è possibile passare dal piano del
concetto al piano della realtà, in quanto dovrebbe dimostrare l’esistenza di Dio a partire da un
concetto, ma l’esistenza è qualcosa che si può constatare solo per via empirica, non è un predicato,
non è una qualità, ma è una posizione nella realtà. Essendo Dio al di là del mondo fenomenico non è
possibile affermarne l’esistenza tramite la prova ontologica. La prova ontologica è inficiata dal fatto
che non è possibile ricavare l’esistenza da un concetto. Poi vi è la prova cosmologica, che ripete
anche Locke, tipica tomistica, per cui se tutte le cose sono contingenti, risaliamo ad un qualcosa che
deve essere una causa necessaria di tutte le altre, ma per fare ciò bisogna applicare il concetto di
causa al rapporto tra Dio e mondo fisico. Ma i concetti possono essere applicati solo all’esperienza,
ai fenomeni empirici, non si possono applicare a qualcosa di noumenico, di cui non facciamo
esperienza. Dunque si tratta di un altro uso illegittimo di una categoria. Poi vi è la prova fisico-
teologica/teleologica (Kant la chiama teologica, in realtà teleologica, anche questa di derivazione
tomistica), gli enti naturali, anche se non hanno razionalità, sembrano avere tutti un fine, se tutte le
cose naturali hanno un fine, vi deve essere un Dio che lo ha infuso in esse, come un arciere che punta
una freccia in una determinata traiettoria. Per Kant non funziona perché in questo modo arriviamo a
teorizzare un essere ordinatore del mondo, non necessariamente un essere creatore, dunque questa
prova rinvierebbe alla prova ontologica o cosmologica. Inoltre per Kant non per forza se esiste un
ordine della natura, si deve presupporre un ordinatore, potrebbe essere un ordine spontaneo. Kant
non è ateo, è cristiano, scrive anche libri sul cristianesimo. Ma sul piano teoretico è agnostico,
a+gignosco=non so se Dio esiste o meno, ma ci crede. Kant dice che non possiamo conoscere
teoreticamente Dio.
Per Kant queste idee non producono conoscenze certe-scientifiche, ma ci spingono ad ampliare sempre di più
il nostro orizzonte conoscitivo, perché l’idea di anima ci spinge a conoscere sempre più i fenomeni del senso
interno, l’idea di cosmo ci spinge sempre più ad ampliare la nostra conoscenza del mondo fisico, aspirando
ad una conoscenza totale della natura, l’idea di Dio ci spinge a cercare qualcosa di incondizionato anche se
non la troveremo mai. Sono degli orizzonti verso cui ci dirigiamo, che ci danno un senso di direzione, hanno
un senso importante, ma gli orizzonti si spingono sempre in avanti, quindi non ci si arriva mai. Hanno una
funzione euristica, promuovono la conoscenza. La metafisica, come dice nei Prolegomeni, esiste come
disposizione naturale che ci induce a conoscere, la nostra volontà di conoscere è incondizionata, la metafisica
è reale nella nostra anima, ma è anche ingannatrice ed illusoria, ma risponde a qualcosa nella nostra anima
che è molto profondo, che sono appunto le idee della ragione.
LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA
È una morale del dovere, una morale molto rigorosa e dell’autonomia. Siamo soggetti ad un dovere molto
rigido, ma chi ci dà questa legge? Noi la troviamo in noi stessi, una legge pura, a priori, assoluta ed
incondizionata, obbedendo alla legge morale il soggetto non fa altro che obbedire a sé stesso. Da una parte
dobbiamo obbedire rigorosamente alla legge morale, d’altra parte la legge morale è espressione della nostra
autonomia, siamo noi come soggetti a riconoscere in noi stessi l’esistenza di una legge assoluta,
incondizionata che Kant considera un fatto della ragione. Non bisogna dimostrarlo, guardando dentro di noi
troviamo la legge morale, troviamo dunque anche qualcosa che sul piano teoretico non possiamo dimostrare:
l’esistenza della nostra libertà, perché non possiamo dire sul piano teoretico che esistono o non esistono
cause libere, però dice Kant che la tesi nella cosmologia razionale per cui esistono cause libere, non è valida
sul piano teoretico, ma è valida sul piano morale. Sul piano morale è come se scoprissimo qualcosa del
mondo noumenico, delle cose metafisiche, che non possiamo conoscere teoreticamente, ma di cui facciamo
esperienza in qualche modo sul piano morale. Se esiste una legge morale dentro di noi che ci dice DEVI,
questo farà sì che noi comprendiamo che siamo liberi, perché non avrebbe senso una legge che ci dice devi
se poi non avremmo la possibilità di farlo. DEVI perché PUOI, scoprendo dentro di noi la legge morale,
scopriamo anche la nostra libertà.
L’esperienza morale ci pone dinanzi ad una legge morale che però come creature sensibili, finite, corporee a
cui tendiamo a resistere, perché noi tendiamo a comportarci in maniera non morale, allora la morale è anche
il luogo in cui si esprime una vera e propria lotta tra ragione e sensibilità, tra razionalità e la nostra natura
corporea/materiale. Per Kant, questa lotta è molto profonda, uno degli aspetti della morale di Kant è anche
un certo dualismo, ha una visione piuttosto scissa-complessa dell’uomo. Perché l’uomo da una parte è
razionalità e moralità, dall’altra è sensibilità, che ci spinge a non essere morali, e questo vuol dire che non
possiamo giungere la certezza in vita di essere pienamente morali, la santità, che per Kant significa la piena
adesione della nostra volontà alla legge morale. Fare il dovere sempre per il dovere, una santità laica ed
impossibile, non è possibile raggiungere questo obbiettivo. L’etica di Kant è un’etica prescrittiva (prescrive
cosa dovremmo fare), deontologica, e non descrittiva, la legge morale esiste anche se nessuno la segue, è un
principio di dovere che vale anche se nessuno lo realizza, è un dover essere.
Secondo Kant, noi studiando i principi pratici in base a cui agiamo, scopriamo che essi sono di tipo diverso,
ci sono diverse regole che presidiano il nostro comportamento e che orientano la nostra volontà. Kant
distingue 2 tipi di regole:
LE MASSIME, la nostra volontà agisce in base a principi pratici, le massime, sono prescrizioni che
hanno valore soggettivo, se voglio tenermi in forma, devo fare sport, questa è una massima del mio
comportamento. Non è una prescrizione/un dovere che vale per tutti, sono principi in base a cui si
muove la nostra volontà. È una regola comportamentale.
GLI IMPERATIVI, ha valore oggettivo, ma all’interno degli oggettivi distinguiamo:
- Imperativi ipotetici, prescrizioni di tipo condizionato, se voglio prendere un buon voto a scuola,
devo studiare, ha una dimensione però più oggettiva rispetto alle massime. Assume una sua
oggettività, perché potrebbe essere un obiettivo comune, che se si vuole perseguire si deve
rispettare una certa regola. Prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini.
- Imperativi categorici, ordinano il dovere in modo incondizionato, principi incondizionati,
indipendenti dall’esperienza, che si devono perseguire. Hanno le caratteristiche di un ordine
perentorio che vale per tutte le persone e in tutte le circostanze specifiche, per agire moralmente.
Sono incondizionati e universali, tutti devono agire in quel modo per seguire la morale in quella
determinata circostanza. La legge morale si presenta agli uomini come un ordine, un imperativo
perché secondo Kant noi siamo da una parte dei soggetti morali, ma dall’altra creature sensibili
che tendono a sottrarsi al proprio dovere, soprattutto se è spiacevole.
La morale consiste in un “devi”, Kant ci presenta 3 formule in cui si presenta:
1 FORMULA DELL’IMPERATIVO CATEGORICO: Bisogna agire in modo che la
massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una
legislazione universale, che possa dunque valere per tutti coloro che si trovano nella stessa
situazione. (test dell’universalizzabilità)
- 2 FORMULA DELL’IMPERATIVO CATEGORICO: Bisogna rispettare la dignità umana
che è in te e negli altri, bisogna trattare le persone sempre come fine della nostra azione e
mai come mezzo, non soltanto verso gli altri, ma anche verso sé stessi. Bisogna avere cura e
tutela morale nei nostri stessi confronti. Kant delinea un ideale morale che si chiama il regno
dei fini, una sorta di repubblica in cui agiamo moralmente ed ognuno di noi tratta gli altri
rispettandone la dignità, trattandoli come fine e non mezzi.
- 3 FORMULA DELL’IMPERATIVO CATEGORICO: in base alla mia massima, la mia
volontà deve potersi considerare universalmente legislatrice (ricalca la prima), inoltre
sottolinea l’autonomia della volontà, mettendo in evidenza quanto il comando morale non
debba essere esterno e schiavizzante, ma il frutto spontaneo della volontà razionale. La trovo
nella mia soggettività trascendentale. Infatti nel regno dei fini idealizzato dal filosofo,
ognuno è suddito e legislatore al tempo stesso. Oltre all’autonomia, Kant insiste anche su un
altro aspetto della legge morale: la formalità della legge morale.
Questi 3 principi sono puramente formali, la legge morale stessa è puramente formale: ci presenta una forma,
non dei contenuti. Non ci dice cosa fare, ma come dobbiamo farlo, di agire in un certo modo, un modo che
tutti dovrebbero seguire se vogliono essere morali. La materia poi dell’azione la dobbiamo mettere noi, si
parla dunque di un FORMALISMO ETICO. La legge morale ci dice qual è la forma che deve avere un certo
principio per essere una legge morale. La forma che deve avere la massima della nostra volontà se noi
vogliamo agire moralmente. Da questo punto di vista, Kant esclude qualsiasi contenuto dalla legge morale,
perché secondo Kant se noi, che dobbiamo agire in base ad un principio contenutistico, che può essere il
piacere, o l’utile, la volontà divina (è giusto tutto ciò che è piacevole/utile/che Dio ha comandato di fare nei
10 comandamenti), in questo caso Kant dice che perdiamo la nostra libertà in quanto in questo caso la nostra
legge diventa una legge eteronoma, viene da fuori. (i comandamenti divini vengono da fuori, l’utile nasce
dall’esterno, come il piacevole, in questo caso noi non diamo a noi stessi la legge come soggetti
trascendentali, la riceviamo dall’esterno). Secondo Kant la legge morale è autonoma e formale, ci dice
soltanto la forma che deve avere il principio della nostra azione, e siamo noi poi effettivamente a dover
capire in quella determinata circostanza praticamente che cosa dobbiamo fare. Inoltre è anche anti-
utilitaristica, perché non mira all’utile, dobbiamo fare ciò che dobbiamo, dobbiamo compiere il nostro
dovere, questa visione viene considerata una visione rigoristica, una visione molto intransigente, tant’è vero
che Kant dice che è morale agire soltanto per compiere il proprio dovere. Capita talvolta che noi agiamo
secondo il dovere, ma non per il dovere, magari compiamo un’azione che corrisponde a quella che avremmo
dovuto compiere, ma non per il dovere. ESEMPIO: si studia per il dovere, non per il buon voto, si aiuta un
anziano non per fare bella figura o dire di aver fatto una buona azione, ma perché è giusto. Secondo Kant
l’azione morale è compiuta per il dovere, il dovere-per-il-dovere. Soltanto se agiamo per puro dovere,
agiamo moralmente. La morale kantiana si pone contro ogni tipo di sentimentalismo, l’unico sentimento
accettato è il rispetto per la legge, un sentimento morale, prodotto esclusivamente dalla ragione. Qualsiasi
altro sentimento va combattuto in quanto PATOLOGICO, da pathos, cioè passione, che derivano dalla
sensibilità. Poi distingue l’azione e l’intenzione. Ciò che contraddistingue la morale kantiana, è essere
un’etica dell’intenzione, per Kant compiamo il nostro dovere se agiamo per il dovere, il movente dell’azione
è adeguato alla legge morale, in questo caso conta principalmente l’intenzione, l’azione passa in secondo
piano. Per Kant l’elemento essenziale di valutazione della nostra morale è proprio nell’atteggiamento della
nostra volontà. Per Kant il bene consiste nell’adempimento della legge morale, siamo morali se l’intenzione
della nostra volontà è quella di compiere il bene per il bene, il dovere per il dovere.
Da questo punto di vista, la morale è come se ci portasse al di là del mondo fenomenico, questo non vuol dire
conoscere il mondo noumenico, ma far esperienza di qualcosa che dimostra che noi trascendiamo il mondo
sensibile, abbiamo delle radici nel mondo noumenico. Perché se noi ci comportiamo moralmente,
prescindiamo da ogni fattore empirico/di esperienza, vinco la mia natura fenomenica/psicologica, e invece
dimostro di poter seguire una legge che è incondizionata che non dipende dalla mia psicologia, che non
dipende da nulla. In questo caso gli essere umani dimostrano che hanno delle radici nel mondo noumenico.
Secondo Kant la volontà buona è una volontà che si conforma alla legge morale e questo ci mette in
relazione con un mondo che va al di là del mondo sensibile, questa relazione è di tipo puramente morale,
questa morale, che è una morale dell’autonomia, è una morale che Kant può presentare, giustamente, come
una rivoluzione copernicana (cioè anche sul piano morale, come sul piano conoscitivo, diventa centrale il
soggetto, non riceve la sua legge dall’esterno). È una morale autonoma, per sapere ciò che è giusto devo
chiederlo alla ragion pratica dentro di me, non eteronoma. Elabora una tabella dove inserisci diversi motivi
etici (piacere fisico epicureo, ricerca della perfezione wolffiana, volontà di Dio di Crusius e altri moralisti
teologi, sentimento morale per Hutcheson, dal governo civile per Mandeville, educazione per Montaigne) e
ne individua il limite: non riescono a preservare l’incondizionatezza della legge morale e degli attributi in cui
si concretizza. Kant sul piano della morale, si pone contro sia al razionalismo (in quanto la morale non può
dipendere da preesistenti conoscenze metafisiche, ma si basa unicamente sull’uomo e sulla sua dignità di
essere razionale e finito), sia l’empirismo e le varie morali sentimentalistiche, per Kant la morale si fonda
unicamente sulla ragione, soprattutto poiché i sentimenti risulterebbero troppo fragili e soggetti come
fondamenta dove costruire un edificio etico. Inoltre il tema dell’autonomia morale scioglie quell’apparente
paradosso della ragion pratica per cui i concetti di bene e male sono alla base della legge morale, per Kant è
la legge morale a fondare e a dare senso alle nozioni di bene e di male.
Nella Dialettica della ragion pura pratica, Kant esprime il concetto di sommo bene o assoluto morale, cioè
l’unione tra virtù e felicità, che è ciò a cui tende l’uomo per natura. Per Kant la virtù è il bene supremo, ma
secondo il filosofo in noi c’è il bisogno di pensare che l’uomo, pur agendo per puro dovere, sia anche degno
di felicità. Virtù e felicità costituiscono l’antinomia etica per eccellenza, non è possibile essere virtuosi e
felici allo stesso tempo, in quanto l’etica del dovere esige che l’uomo vinca le sue inclinazioni sensibili.
L’unico modo per uscire da questa antinomia etica è quello di POSTULARE che ci sia un mondo dell’aldilà
dove sia possibile l’unione tra virtù e felicità
Alcune cose che abbiamo escluso dall’ambito della conoscenza, perché superavano il mondo fenomenico,
ricompaiono sul piano morale, come dei postulati, cioè proposizioni che pur non essendo dimostrabili, sono
condizioni necessarie dell’esistenza e della pensabilità della morale stessa. Kant ci dice che la morale
richiede che vi siano 3 postulati fondamentali:
1. la libertà dell’uomo, abbiamo visto sul piano della cosmologia razionale che non è possibile
dimostrare la libertà dell’uomo, ma la morale impone di postulare che siamo liberi. La libertà è la
condizione stessa della morale: devi dunque puoi. Se c’è la legge morale che prescrive il dovere,
deve esserci per forza libertà. Nel momento in cui prescrive il dovere, presuppone anche che si possa
o meno agire in conformità alla legge morale. La libertà viene classificata come postulato, in quanto
l’uomo è soggetto al determinismo tipico del mondo fenomenico, soltanto nel regno della cosa in sé,
dunque nel mondo noumenico, può trovare posto la libertà.
2. L’immortalità dell’anima, poiché la santità, cioè la conformità totale alla legge morale, non è
possibile nel nostro mondo, per Kant bisogna postulare l’esistenza di un mondo di un tempo infinito
dove è possibile progredire all’infinito verso la santità/il sommo bene. Dunque si tratta di un vero e
proprio dualismo della dottrina kantiana: l’uomo è sia parte del mondo fenomenico della scienza,
l’uomo del mondo fenomenico è l’uomo delle inclinazioni naturali, e sia parte del mondo noumenico
della morale, e si tratta dell’uomo della libertà e del dovere.
3. L’esistenza di Dio, per far sì che appunto si realizzi l’unione tra virtù e felicità, bisogna presupporre
l’esistenza di una volontà santa ed onnipotente che faccia corrispondere la felicità al merito. Dio
dunque non sta alla base o all’inizio della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo
possibile completamento.
Non rientrano come verità scientifiche, ma come postulati necessari a che sia possibile la nostra esperienza
morale. I postulati non hanno valenza conoscitiva.
LA CRITICA DEL GIUDIZIO
Così come nella Critica della ragion pura aveva analizzato la conoscenza e nella Critica della Ragion pratica
aveva analizzato la morale, così nella Critica del giudizio Kant analizza il sentimento. Tra le prime due
critiche, dunque tra i due mondi, quello fenomenico e deterministico conosciuto dalla scienza e quello
noumenico e finalistico postulato dalla morale, si era creato un abisso. Per colmarlo Kant studia il
sentimento, introduce oltre al pensare e all’agire una 3° facoltà fondamentale, che permette l’incontro tra i
due mondi, autonoma rispetto alle altre due facoltà, che identifica con il giudizio, cioè il sentimento del
piacere e del dispiacere. Mediante cui l’uomo fa esperienza di quella finalità che si esclude sul piano
fenomenico e si postula sul piano etico. È un’esigenza umana, non ha alcun valore teoretico e conoscitivo.
La critica del giudizio è l’opera del sentimento, tema centrale nelle filosofie del 600 (Cartesio e Spinoza),
ancor più nel 700 (empiristi inglesi e moralisti francesi). Kant si convince di dover studiare anche questa
facoltà, escludendo che essa possa avere un valore conoscitivo, cioè quello della ragione scientifica, essendo
convinto che sul piano del sentimento possa avvenire l’incontro la dimensione sensibile e quella intellettuale,
per quanto questo incontro valido soltanto soggettivamente, sul piano del soggetto trascendentale. Kant
distingue due tipi di giudizi:
GIUDIZI DETERMINATI, quelli presenti nello studio avvenuto nella Critica della ragion pura, sono
quelli in cui si applicano le categorie per determinare gli oggetti dell’esperienza. Li chiama
determinati per distinguerli dai seguenti.
GIUDIZI RIFLETTENTI, in noi c’è una facoltà che ragiona, pensa e riflette sulla natura come già ci
è presentata dall’esperienza comune e dalla scienza, che non produce un nuovo tipo di conoscenza
ma una riflessione. Il soggetto trova un’armonia, una corrispondenza, un’affinità, tra la natura, come
gli viene presentata nel suo aspetto sensibile dall’immaginazione/facoltà della nostra mente che
hanno rapporto con la sensibilità. Più che altro nella Critica del giudizio non parla di estetica
trascendentale, ma di immaginazione, che ci presenta i dati sensibili/ il mondo naturale, ma il
giudizio riflettente ci mostra proprio come la nostra immaginazione, ovvero la natura come ci è
presentata, e le esigenze universali di armonia, che possa essere un’affinità, un equilibrio, una
sintonia. Kant nella Critica del giudizio ragione su una possibile sintonia che il soggetto sente in sé
stesso, una sintonia tra facoltà del soggetto. Scopriamo nei giudizi riflettenti un’armonia, una
sintonia tra la nostra immaginazione e il nostro intelletto, ma questo vuol dire un’armonia, una
sintonia tra la facoltà che ci mostra i dati sensibili del mondo della natura e l’intelletto.
Avvertiamo questa sintonia in due esperienze fondamentali: da una parte quando sperimentiamo l’esperienza
della bellezza e quando sperimentiamo nella natura una finalità, questa finalità è l’armonia che la natura
presenta come nostra esigenza spirituale. Esistono due tipi di giudizi riflettenti, entrambi giudizi sentimentali
a priori:
GIUDIZI ESTETICI, sintonia tra le nostre esigenze spirituali e la natura tramite il bello, ad esempio
alla vista di un bel paesaggio.
GIUDIZI TELEOLOGICI, Kant è particolar mente attratto dagli studi biologici, in generale la
seconda metà del 700 è il periodo in cui avvengono una serie di progressi nel campo della chimica e
della biologia, appare una scienza diversa dalla fisica meccanicistica newtoniana, che si occupano
dell’organico/della vita. In quanto scienze rimangono scienze meccaniche/fenomeniche, ma allo
stesso tempo ragionano su oggetti/realtà che sono più complessi dell’ente fisico. Kant dice: “Con il
meccanicismo non possiamo spiegare neanche la vita di un filo d’erba”, la scienza del tempo
dimostra che la spiegazione di alcuni enti non si può ridurre all’aspetto puramente meccanico, senza
tener conto del fine o dello scopo delle varie parti del vivente, come l’essere umano.
Sia nel giudizio estetico sia nel giudizio teleologico si parla sempre di giudizi soggettivi, ma nel senso di
giudizi del soggetto trascendentale.
I GIUDIZI ESTETICI
Il bello non è ciò che piace, ma è ciò che piace nel giudizio estetico. Facciamo esperienza del bello non alla
ricerca di una sorta di piacere sensibile, ma siamo sempre soggetti trascendentali che fanno esperienza di
qualcosa che va al di là della loro natura fenomenica. Bello soggetto di un piacere privo di alcun interesse. Il
bello è ciò che piace universalmente senza concetto. È bello ciò che piace, vale sul piano psicologico, ma
quando facciamo esperienza del bello, in questa esperienza sentiamo anche una pretesa di valore universale.
La bellezza è una finalità senza scopo, nella bellezza si presenta un’armonia delle parti, come se tutte fossero
fatte per collaborare con le altre, non si trova alcun scopo preciso in qualcosa che sembra averne uno. Il bello
è concepito come oggetto di un piacere necessario, in tutti produrrà quel sentimento.
Perché giustificare l’universalità dei giudizi estetici? Perché per Kant, anche sul piano estetico avviene una
rivoluzione copernicana, il bello è nel soggetto, la bellezza non è un dono che ci fa la natura, ma al contrario
la bellezza è un dono che il soggetto fa alla natura. Il soggetto riconosce un’armonia in sé fra dati sensibili e
l’io penso/ esigenze di proporzioni ed equilibrio della mente. La bellezza è nel soggetto trascendentale, in
tutti noi è presente un senso comune del gusto, dunque universale.
I GIUDIZI TELEOLOGICI
In questi giudizi Kant riflette sulla finalità della natura, non quella finalità che immediatamente percepiamo
nel bello della bellezza, ma quando riflettiamo invece nel comprendere la natura dobbiamo fare riferimento
anche alla finalità in essa. La spiegazione scientifica della natura è comunque meccanicistica, ma questa
spiegazione in fondo è una spiegazione che percepiamo come una spiegazione limitata. Questa spiegazione
però non può essere trasformata in una scienza costituita da giudizi determinanti, come abbiamo visto
fondare nella critica della ragion pura. La finalità della natura come noi la percepiamo la si può pensare ma
non può nascere da questi giudizi riflettenti una scienza. Per Kant che tra le varie prove dell’esistenza di Dio
quella tomistica teleologica era quella che maggiormente preferiva. Da una parte abbiamo il giudizio
riflettente che ci fa pensare la natura, dall’altra però sappiamo che le uniche conoscenze scientifiche che noi
abbiamo, sono deterministiche e non finalistiche. Per evitare l’antinomia del giudizio teleologico, bisogna
considerare il finalismo il limite del meccanismo, che dunque viene visto come una sorta di promemoria
critico. Mi ricorda dei limiti che non bisogna superare, diversamente dalla concezione di base dell’idealismo
tedesco con cui si va oltre ogni e qualsiasi limite.
Prima del meccanicismo seicentesco, la natura era ancora filosofica, e la conoscenza della natura stessa si
ricollegava alle cause finali, quelle che Spinoza chiamava asynium ignorantiae, quando non si riesce a
spiegare qualcosa si dice che avviene in vista di un fine. Al posto di spiegare il meccanismo secondo il quale
qualcosa accade, iniziate a fantasticare sulle sue finalità.
Nella Metodologia del giudizio teleologico, inoltre, Kant ci dice che la teleologia non appartiene né alla
teologia, né alla scienza della natura. È una riflessione filosofica critica che apre la nostra mente alla prova
morale dell’esistenza di Dio, una prova morale non metafisica: in fondo la finalità della natura ci fa pensare
che effettivamente esiste un Dio. Ciò non costituisce però la fondazione di una nuova teologia.