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Kant

LA VITA
Di umili origini Kant nacque a Konigsberg il 22 aprile, fu educato nello spirito religioso del
pietismo presso il collegio Fridericianum. Poi studió filosofia, teologia e matematica
all'Università di Konigsberg. Fu precettore privato presso alcune famiglie benestanti. Nel
1755 divenne libero docente dell’università di Konigsberg, nel 1770 professore ordinario di
metafisica e nel 1766 sotto-bibliotecario presso la biblioteca reale. Egli seguiva uno stile di
vita caratterizzato da rigide abitudini. Simpatizzò con la guerra di indipendenza americana e
con la rivoluzione francese. Il suo ideale politico era quello di una costituzione repubblicana
fondata sul principio di libertà, d’indipendenza e di uguaglianza dei cittadini. La II edizione de
“La religione entro i limiti della sola ragione” fu censurata, tuttavia con Federico Guglielmo III
fu ripristinata la libertà di stampa. Negli ultimi anni Kant fu affetto da una debolezza senile.
Morì nel 1804.

GLI SCRITTI
Nell’attività filosofica e produzione letteraria di Kant di distinguono 3 periodi:
1) (fino al 1760) in cui prevale l’interesse per le scienze naturali;
2) (fino al 1781) in cui prevale l’interesse filosofico per l’empirismo inglese e il futuro
criticismo ( gli scritti dei primi 2 periodi sono detti del periodo pre-critico);
3) (dal 1781 in poi) in cui si delinea la filosofia trascendentale.

Gli scritti del periodo pre-critico


- I periodo: Gli scritti di questo periodo rispondono alle tendenze naturalistiche
derivanti dalla sua formazione universitaria. L’opera principale è “Storia naturale
universale e teoria del cielo”, comparsa anonima e descrive la formazione del
sistema cosmico in conformità alle leggi della fisica newtoniana. Nello scritto “Alcune
considerazioni sull’ottimismo” che in futuro egli ripudierà, Kant risolve in favore di un
ottimismo radicale.
- II periodo: In questo periodo critica la logica aristotelica-scolastica e definisce la
metafisica un abisso senza fondo. Kant sostiene l’applicazione del metodo
matematico alla filosofia e riguardo l’ambito etico considera il concetto
dell’obbligazione identificando il bene con la morale. Egli aderisce allo spirito di
ricerca e all’empirismo dei filosofi inglesi, nel “Sogni di un visionario chiariti con i
sogni della metafisica” sono già presenti i capisaldi dell’indirizzo critico. Egli ritiene
che la metafisica sia la scienza dei limiti della ragione umana e i problemi che essa
deve risolvere si limitano ai confini dell’esperienza. Il punto di partenza della
dissertazione “La forma ai principi del mondo sensibile e intellegibile” del 1770 è il
concetto dello spazio come qualcosa di originario negli esseri umani.
Gli scritti del periodo critico
Dopo la dissertazione Kant elabora la sua filosofia critica e nel 1781 pubblica la “Critica della
ragion pura” nella quale raccoglie in pochi mesi 12 anni di riflessioni prestando poca cura
alla forma. Nel 1787 esce la II edizione con rimaneggiamenti e aggiunte. Dopo la critica
escono gli altri grandi scritti di Kant.

IL PROGETTO FILOSOFICO

L’iter filosofico di Kant


1)Inizialmente Kant si avvicina alla filosofia naturalistica dell’illuminismo ispirata a Newton,
basata sulla descrizione dei fenomeni e sulla rinuncia ad ammettere cause e forze che
vadano al di fuori di tale descrizione; ciò porta a una metafisica su criteri limitativi e che si
avvale del metodo della ragione fondante.
2)Poi gli empiristi inglesi lo porteranno a una metafisica come scienza limitativa e autocritica
della ragione.
3)Poi con la dissertazione del 1770 il punto di vista critico diventa trascendentale e la validità
della conoscenza viene fondata sui suoi stessi limiti.
4)Dal 1781 il punto di vista critico si estende a tutti gli ambiti della vita umana.

Le basi del criticismo nella dissertazione del 1770


Questo scritto, risolvendo in senso critico il problema dello spazio e del tempo, pone le basi
del sistema di Kant. Kant distingue tra conoscenza sensibile, dovuta alla ricettività e
passività del soggetto e che ha per oggetto il fenomeno, ( la cosa come appare al soggetto
che la conosce) e conoscenza intellettuale, facoltà attiva del soggetto che ha per oggetto la
cosa così come essa è, nella sua natura intellegibile, cioè come noumeno. Nella
conoscenza sensibile si distinguono la materia, oggetto della sensazione, che è una
modificazione degli organi di senso e testimonia la presenza di ciò che la causa; e la forma,
la legge, indipendente dalla sensibilità, che ordina la materia sensibile. Tale forma è
costituita da spazio e tempo che non derivano dalla sensibilità ma la presuppongono.
Questi, procedendo ogni conoscenza sensibile ed essendo indipendenti da essa, sono
intuizioni pure. Quindi non sono realtà oggettive, ma condizioni soggettive, necessarie alla
mente umana per riordinare dati sensibili. La conoscenza sensibile si distingue in apparenza
ed esperienza, che è il confronto tra varie apparenze attraverso l’intelletto, quindi è una
conoscenza riflessa. In sintesi: per passare dall’apparenza all’esperienza attraverso la
riflessione ci si avvale dell’intelletto. Gli oggetti dell’esperienza sono i fenomeni. Mentre la
conoscenza intellettuale, anche se entro dei limiti, coglie le cose uti sunt, come sono nel loro
ordine intellegibile (noumeni), mentre la sensibilità le coglie uti apparent, come appaiono (i
fenomeni). Ma poi insistendo sempre di più sui limiti dell’intelletto, Kant si porrà nella
prospettiva criticistica.
Il criticismo come filosofia del limite
Il pensiero di Kant è detto criticismo perché, contrapponendosi al dogmatismo, fa della
critica lo strumento fondamentale della filosofia. Criticare è interrogarsi sul fondamento di
determinate esperienze umane, chiarendone le possibilità (condizioni che ne permettono
l’esistenza) la validità (legittima o non legittima che le caratterizzano) e i limiti ( confini di
validità). Il criticismo si configura come filosofia del limite, che stabilisce le “colonne di
Ercole” dell’umano, riconoscendo il carattere finito o condizionato delle possibilità
esistenziali, che non garantiscono l’onniscienza e l’onnipotenza dell’individuo. Questa
filosofia differisce dallo scetticismo, perché garantisce la validità di un’esperienza entro il
limite. L’impossibilità per la conoscenza di trascendere i limiti dell’esperienza diventa la base
della validità della conoscenza e si arriva all’interpretazione finalistica del creato, non
potendo subordinare la natura all’uomo.

L’orizzonte storico del pensiero Kantiano


Il criticismo, che si interroga sui fondamenti del sapere della morale e dell’esperienza
estetica e sentimentale, è definito da un lato dalla rivoluzione scientifica e dall’altro dalla crisi
delle materie metafisiche tradizionali. Il Kantismo è la prosecuzione dell’indirizzo critico
dell’empirismo inglese, difeso dall’illuminismo ; ma si distingue dall’empirismo rifiutando gli
esiti scettici e spingendo più a fondo l’analisi critica. Si distingue dall’illuminismo per una
maggiore radicalità di intenti, proponendosi Kant di portare davanti al tribunale della ragione,
la ragione stessa. Kant peró è figlio dell’illuminismo, ritenendo che i confini della ragione
possono essere tracciati solo dalla ragione che è autonoma. Combatte ogni tentativo di
tracciare tali limiti in nome della fede o di qualsiasi esperienza extra razionale, contro ogni
specie di fideismo, misticismo

LA CRITICA DELLA RAGION PURA

Il problema generale
La “Critica della ragion pura” è un'analisi critica dei fondamenti del sapere, ossia la
scienza, sapere fondante e in continuo progresso, e la metafisica, che vuole
procedere oltre l’esperienza. Secondo Kant era necessario un riesame globale della
struttura e della validità della conoscenza, che accertasse la scientificità di questi
due campi del sapere. A differenza di Hume, Kant non dubitava della validità della
scienza, ma ne condivideva lo scetticismo metafisico. L’indagine di Kant si rivolgerà
alla matematica, fisica e metafisica, di qui le domande di Kant:
1) come è possibile la matematica pura?
2) come è possibile la fisica pura?
3) come è possibile la metafisica come disposizione naturale?
4) come è possibile la metafisica come scienza?
(L’ultima è la domanda ultima della “Critica”)
I giudizi sintetici a priori
Individuando il fondamento della scientificità fisica e matematica, sarà possibile
verificare se fondi anche la metafisica. Nella sua riflessione gnoseologica Kant parte
dallo scetticismo di Hume, al quale riconosce di aver mostrato che il principio di
causalità non ha valenza oggettiva e aver distinto le proposizioni della matematica
da quelle della fisica, arrivando però un vicolo cieco: conoscenza che quando è certa
non accresce il sapere, e quando lo accresce non è certa. Kant vuole dimostrare che
la conoscenza umana può essere universale, necessaria e feconda poiché la
conoscenza umana, in particolare la scienza, offre il tipico esempio di principi
assoluti, infatti, pur derivando in parte dall'esperienza, la scienza presuppone alcuni
principi immutabili, che Kant definisce giudizi sintetici a priori.
Giudizi poiché connettono un predicato con il soggetto, sintetici poiché il predicato
dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, e a priori poiché trascendono
dall'esperienza. Questi differiscono dai giudizi analitici a priori e dai giudizi sintetici a
posteriori. I primi sono giudizi che trascendono dall'esperienza, in quanto analitici il
predicato esplicita ciò che è già implicitamente contenuto nel soggetto, Sono
universali e necessari ma non fecondi .Nei secondi anche se il predicato dice
qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, si basano sull'esperienza, sono fecondi ma
non universali e necessari.mentre i giudizi sintetici a priori sono universali, necessari
e fecondi.i giudizi analitici a priori richiamano la concezione razionalistica della
scienza (Vuole partire da principi a priori per derivare tutto lo scibile) contro cui Kant
ritiene che la scienza deriva dall'esperienza; i giudizi sintetici a posteriori richiamano
l'interpretazione empiristica (fonda la scienza solo sull'esperienza) contro chi ritiene
che alla base dell'esperienza vi siano dei principi inderivabili dall'esperienza stessa.
Per Kant e la scienza si basa sull'esperienza e sui principi sintetici a priori.senza
alcun principio di fondo la scienza non potrebbe sussistere. Per Kant e l'errore di
Hume è stato quello di non cogliere la differenza tra principi sintetici e quello di
causalità.

La rivoluzione copernicana
Kant, per comprendere da dove derivino i giudizi sintetici a priori, elabora una nuova
teoria della conoscenza intesa come sintesi di materia e forma. La materia della
conoscenza e la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili; la forma
della conoscenza e l'insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana
ordina tali impressioni. Per Kant e la mente filtra attivamente i dati empirici,
attraverso forme a priori innate e comuni a tutti i soggetti pensanti. Le forme a priori
di Kant sono state paragonate a lenti colorate attraverso le quali noi vediamo la
realtà, quindi pur mutando le impressioni sensibili, le forme a priori non mutano mai.
L'esistenza in noi di tali forme spiega perché possiamo formulare dei giudizi sintetici
a priori sulla realtà senza essere smentiti dall'esperienza.questa nuova impostazione
del problema porta importanti conseguenze:
1. Kant ritiene di essere fautore della rivoluzione copernicana in filosofia, come
Copernico per spiegare i moti celesti aveva ribaltato i rapporti tra spettatori e
stelle così Kant per spiegare la scienza ribalta i rapporti tra oggetto e
soggetto, in quanto non è la mente a modellarsi in modo passivo sulla realtà,
ma è la realtà modellarsi sulle forme a priori attraverso cui la conosciamo.
2. La distinzione tra fenomeno (realtà che ci appartiene tramite le forme a priori,
un oggetto reale soltanto in rapporto al soggetto conoscente) e cosa in sé
(realtà indipendente da noi e dalle forme a priori mediante le quali la
conosciamo, è una x sconosciuta che è il necessario correlato del fenomeno).

La facoltà della conoscenza e la partizione della Critica della ragion pura


Kant distingue tre facoltà conoscitive principali:

1. La sensibilità con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente con i sensi e
ordinati con le forme a priori di spazio e tempo.
2. L'intelletto con cui pensiamo i dati sensibili attraverso i concetti puri o 12
categorie.
3. La ragione con cui cerchiamo di spiegare agevolmente la realtà attraverso le
idee di anima, mondo e Dio.

La critica della ragion pura si divide in base a questa ripartizione in:

● La dottrina degli elementi che vuole scoprire gli elementi della conoscenza
puri o a priori, e che si ramifica in:
- estetica trascendentale (studia la sensibilità e le sue forme a priori di
spazio e tema su cui si fonda la matematica)
- la logica trascendentale che si sdoppia in
1. analitica trascendentale (studia l'intelletto e le sue forme a priori
o 12 categorie, su cui si fonda la fisica)
2. la dialettica trascendentale (studia la ragione, le tre idee di
anima, mondo e Dio su cui si fonda la metafisica).
● La dottrina del mondo che studia come devono essere usate le forme a priori.

Il concetto Kantiano di trascendentale


Nel medioevo, trascendentali erano proprietà universali comuni a tutte le cose. Kant
connette il concetto di trascendentale con quello di forma a priori, che non esprime
una realtà ontologica ma una condizione gnoseologica, che permette di conoscere la
realtà fenomenica. Il trascendentale non coincide con gli elementi a priori in quanto
tali ma con il loro studio. Il titolo "la critica della ragion pura" vuol dire esame critico
della validità e dei limiti della ragione umana, in virtù dei suoi elementi puri a priori.è
una critica della ragione sia nel senso che la ragione è argomento di critica, sia che
essa è ciò che mette in atto la critica.
L’estetica trascendentale
L’estetica trascendentale è la sezione della “Critica della ragion pura” in cui Kant
studia la sensibilità e le sue forme a priori. La sensibilità è ricettiva poiché accoglie i
propri contenuti per intuizione, ed è attiva poiché organizza le intuizioni empiriche
tramite lo spazio e il tempo (forme a priori della sensibilità). Lo spazio è la forma del
senso esterno, cioè la rappresentazione a priori, a fondamento di tutte le intuizioni
esterne. Il tempo è la forma del senso interno, cioè la rappresentazione a priori a
fondamento dei nostri sensi interni. Poiché i dati del senso esterno ci giungono solo
attraverso il senso interno, il tempo è anche forma del senso esterno, quindi se non
ogni cosa è nello spazio, ogni cosa è nel tempo. Nell’ “Esposizione metafisica” Kant
confuta la visione empiristica (Locke), oggettivistica (Newton) e concettualistica di
spazio e tempo. Contro la visione empiristica di Locke afferma che spazio e tempo
non possono derivare dall’esperienza, poiché per fare un’esperienza qualsiasi
dobbiamo già presupporre spazio e tempo.
Contro la visione oggettivistica di Newton Kant puntualizza che spazio e tempo non
sono contenitori in cui si trovano gli oggetti, ma quadri mentali a priori entro cui
connettiamo i dati fenomenici; pur rifiutando l’oggettivismo di Newton, Kant gli si
avvicina per la sua dottrina dello spazio e del tempo come coordinate assolute dei
fenomeni, come condizioni a priori del conoscere.
Contro la visione concettualistica Kant afferma che spazio e tempo non possono
essere considerati concetti, poiché hanno una struttura intuitiva e non discorsiva.
Nell’ “esposizione trascendentale” Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo
con considerazioni sulla matematica, vedendola come scienza sintetica a priori per
eccellenza. Sintetica in quanto amplia le nostre conoscenze, a priori in quanto i suoi
teoremi valgono indipendentemente dall’esperienza. Il punto di appoggio delle
costruzioni sintetiche e a priori della matematica risiede nello spazio e nel tempo,
poiché la geometria dimostra sinteticamente a priori le proprietà delle figure
mediante l’intuizione di spazio e tempo e l’aritmetica determina sinteticamente a
priori la proprietà delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e di
successione. In quanto a priori la matematica è anche universale e necessaria.
Kant afferma che le materie matematiche possono essere applicate agli oggetti
dell’esperienza fenomenica, essendo questa intuita nello spazio e nel tempo; quindi
se la forma a priori di spazio con cui ordiniamo la realtà è di tipo euclideo, i teoremi
della geometria di Euclide varranno anche per l’intero mondo fenomenico.

L’analitica trascendentale
La II parte della dottrina degli elementi è la logica trascendentale che studia l’origine
della conoscenza a priori proprie dell’intelletto (studiato nell’Analitica trascendentale)
e della ragione (studiata nella dialettica trascendentale).
Se le intuizioni sono affezioni passive, i concetti sono funzioni , operazioni attive, che
uniscono diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune; essi
possono essere empirici, ricavati dall’esperienza, o puri, contenuti a priori
nell’intelletto, che si identificano con le categorie, le supreme funzioni unificatrici
dell’intelletto e predicati primi entro cui rientrano tutti i predicati possibili.
A differenza delle categorie aristoteliche , quelle kantiane hanno solo un valore
gnoseologico-trascendentale. Poiché pensare è giudicare, ci saranno tante categorie
quante sono le modalità di giudizio. E poiché secondo Kant la logica generale
raggruppa i giudizi secondo la quantità, qualità, relazione e modalità, fa
corrispondere ad ogni tipo di giudizio un tipo di categoria.
Kant si trova davanti al problema della “deduzione trascendentale” riguardante la
validità delle categorie. Egli usa il termine “deduzione” nel senso che allude alla
dimostrazione di legittimità di diritto di una pretesa di fatto, quindi essa riguarda il
quid iuris e non il quid facti di una questione.
La soluzione kantiana può essere articolata nei seguenti punti:
1) l’unificazione del molteplice deriva da un’attività sintetica che ha la sua sede
nell’intelletto;
2) distinguendo tra unificazione e unità, Kant identifica la suprema unità fondatrice
della conoscenza con il centro mentale unificatore che chiama “io penso”, diverso
dalla semplice categoria, senza questa autocoscienza le varie rappresentazioni non
sarebbero mie ma risulterebbero impossibili;
3) l’attività dell’io penso si attiva attraverso i giudizi;
4) i giudizi si basano sulle categorie, le diverse maniere di agire dell’io penso, le
dodici funzioni unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica;
5) quindi gli oggetti non possono essere pensati senza essere categorizzati.

L’io penso è il principio supremo della conoscenza umana, ciò che rende possibile
l’oggettività del sapere. L’io di Kant non è un io creatore, esso ha un carattere
formale e finito e si limita a ordinare una realtà che gli preesiste.
Nella “Confutazione dell’idealismo” sia di Cartesio che di Berkeley, risiede la tesi
secondo cui l’interiorità non può essere concepita senza l’esteriorità. (Analitica dei
concetti).

Per le categorie di qualità lo schema complessivo è la “cosalità” (presenza, assenza,


intensità dei fenomeni nel tempo).

La dottrina dei principi coincide con la teoria dell’io legislatore della natura, massima
espressione della rivoluzione copernicana che Kant attua in filosofia. La natura è
l’ordine necessario e universale alla base dell’insieme di tutti i fenomeni e tale ordine
deriva dall’io penso e dalle sue forme a priori, che però possono rivelare solo la
regolarità dei fenomeni nello spazio e nel tempo. Le leggi particolari contro le quali si
esprime questa regolarità, possono essere desunte solo dall’esperienza.
La gnoseologia di Kant va contro lo scetticismo di Hume, poiché ritiene che
l’esperienza non potrà smentire i principi della scienza.

Quindi Kant scopre la garanzia ultima della conoscenza nella mente umana,
fondando le istanze dell’oggettività nella soggettività; l’originalità di tale soluzione
consiste nell’intendere il fondamento del sapere in termini di possibilità e limiti,
conformemente al modo d’essere dell’uomo. Le categorie sono funzionanti solo in
relazione al fenomeno cioè l’oggetto della conoscenza umana e considerate di per
sé sono vuote. Quindi per Kant il conoscere non può andare oltre l’esperienza, ciò
implica che l'unico uso delle categorie è empirico. La delimitazione della conoscenza
al fenomeno rimanda alla nozione di “cosa in sé" che costituisce il presupposto del
discorso gnoseologico di Kant che affermando che l’essere si dà a noi attraverso
forme a priori, deve distinguere tra fenomeno e cosa in sé. La cosa in sé, il
noumeno, che non è oggetto di esperienza, in senso positivo è l’oggetto di
un’intuizione non sensibile; in senso negativo è il concetto di una cosa in sé, che più
che una realtà è per noi un concetto limite atto ad arginare le nostre pretese
conoscitive.

La dialettica trascendentale
Nella dialettica trascendentale Kant si domanda se la metafisica possa costituirsi come
scienza. Per dialettica trascendentale Kant intende l'analisi e lo smascheramento dei
ragionamenti fallaci della metafisica. La metafisica nasce dalla ragione che è l'intelletto, il
quale è portato a voler pensare anche senza dati, il che deriva da una nostra tendenza
innata all'incondizionato e alla totalità. Questa spiegazione fa leva su tre idee trascendentali,
proprie della ragione che è portata a unificare i dati del senso interno mediante l'idea di
animo, quelle del senso esterno mediante l'idea del mondo e i dati interni ed esterni
mediante l'idea di Dio. L'errore della metafisica sta nel voler trasformare queste 3 esigenze
di unificazione dell'esperienza in altrettante realtà, dimenticando che non non abbiamo a che
fare col noumeno ma col fenomeno. Per dimostrare l'infondatezza della metafisica, Kant
prende in considerazione la psicologia razionale che studia l'anima, la cosmologia razionale
che studia il mondo e la teologia razionale o materiale che specula su Dio.

La critica della psicologia razionale della cosmologia razionale


Kant ritiene che la psicologia razionale o metafisica è fondata se un paralogismo cioè un
ragionamento errato che applica la categoria di sostanza all'io penso, trasformandolo in una
realtà permanente chiamata anima. Ma l'io penso è soltanto un'unità formale e sconosciuta
a cui non possiamo applicare alcuna categoria. Anche la cosmologia razionale che fa uso
della nozione di mondo inteso come la totalità assoluta dei fenomeni cosmici, per Kant è
destinata a fallire poiché la totalità dell'esperienza non è mai un'esperienza, l'idea di mondo
cade al di fuori di ogni esperienza possibile. Infatti quando i metafisici fanno un discorso sul
mondo nella sua totalità cadono nelle 4 antinomie, conflitti della ragione con sé stessa,
coppie di affermazioni opposte tra le quali è impossibile decidersi potendo entrambe essere
razionalmente dimostrate, due antinomie sono dinamiche e due matematiche. Il problema
sta nell'idea di mondo che non aiuta a decidere per l'una o l'altra. Le antinomie dimostrano
quindi l'illegittimità dell'idea di mondo poiché le loro tesi presentano un concetto troppo
piccolo per l'intelletto e le antitesi un concetto troppo grande. A ciò Kant aggiunge che le tesi
sono proprie del pensiero metafisico e del razionalismo mentre le antitesi dell'empirismo e
della scienza. E per la III e IV antinomia le antitesi valgono per il fenomeno mentre le tesi
potrebbero valere per il noumeno.
La critica alle prove dell'esistenza di Dio
La teologia razionale risulta priva di valore conoscitivo, per Kant Dio è la ragione pura, il
supremo modello di ogni realtà e perfezione, denominato dai filosofi ens realissimum
concepito come l'Essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri, che però lasciandoci
nella totale ignoranza circa la sua effettiva realtà ha spinto i filosofi della tradizione a
elaborare le prove della sua esistenza che Kant divide in:
1. la prova ontologica (Anselmo d'Aosta e Cartesio) vuole ricavare l'esistenza di Dio dal
concetto di Dio come perfettissimo che in quanto tale non può non esistere. Ma Kant
obietta che non non si può passare dal piano della possibilità logica a quello della
realtà ontologica. La prova ontologica o è impossibile se vuole derivare da un idea
una realtà o contraddittoria se nell'idea del perfettissimo presuppone l'esistenza di
ciò che vorrebbe dimostrare.
2. la prova cosmologia afferma che se qualcosa esiste deve esistere un essere
assolutamente necessario e poiché io esistono tale essere esiste. Secondo Kant
questo argomento ha dei limiti: a) l'uso illegittimo del principio di causa che essendo
una regola con cui connettiamo i fenomeni tra loro non può connettere i fenomeni
con qualcosa di extra-fenomenico; b) la prova cosmologia implica la logica di quella
ontologica che da puri concetti vuol far scaturire presuntuosamente delle esistenze.
3. la prova fisico-teologica fa leva sull'ordine, la finalità è la bellezza del mondo per
innalzare a una mente ordinatrice, Dio creatore, perfetto e infinito. Ma anche questa
ha dei limiti: a) essa partendo dall'esperienza dell'ordine del mondo pretende di
elevarsi all'idea di una cosa ordinatrice trascendente dimenticando che l'ordine
naturale potrebbe derivare dalla natura stessa e dalle sue leggi. Per asserire che tale
ordine non deriva dalla natura deve identificare la causa ordinanze con l'Essere
necessario creatore ricadendo nelle due prove precedenti; b) la prova fisico-teologica
vuole stabilire sulla base dell'ordine cosmico, l'esistenza di una cosa infinita e
perfetta proporzionata all'ordine stesso. Ma non possiamo arrogarci il diritto di
affermare che la causa sia tale cosa che facciamo perché a questa associamo l'idea
della realtà perfettissima dell'argomento ontologico. In queste critiche Kant non nega
mai l'esistenza Dio, essendo agnostico ritiene che in si possa dimostrare né
l'esistenza né la non esistenza di Dio.

La funzione regolativa delle idee


Le idee della ragion pura devono avere una funzione regolativa, ognuna è una regola che
spinge la ragione a dare al suo campo d'indagine, l'esperienza, la massima estensione e
unità sistematica. Le idee cessano di valere dogmaticamente come realtà varranno
problematicamente come condizioni che impegnano l'uomo nella ricerca naturale.

La nuova concezione della metafisica


Respinta nella sua forma classica, la metafisica è accettata da Kant nella forma di una
scienza dei principi a priori del conoscere o dell'agire.
LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

La ragion “pura” pratica e i compiti della seconda critica


Kant distingue tra ragion pura pratica che opera indipendentemente dall'esperienza
e una ragione empirica pratica che si basa sull'esperienza e sulla sensibilità. La
critica della ragion partica serve a distinguere in quali casi la ragione è pratica e pura
o pratica senza essere pura. La ragione pratica non deve essere criticata anche
nella sua parte pura che si comporta in modo legittimo. Ma la ragion pratica nella
sua parte non pura e quindi empirica può darsi delle massime dipendenti
dall'esperienza, illegittime nella morale. La ragion pura pratica ha però dei limiti infatti
la morale è segnata dalla finitudine dell'uomo il cui condizionamento è costituito dal
fatto che la ragione nel campo morale incontra la resistenza della natura sensibile
dell'uomo.

La realtà o l’assolutezza della legge morale


Alla base di questa critica c'è la convinzione umana che esista una legge morale a priori
valida per tutti che il filosofo non ha il compito di dedurre ma di constatare e accettare; se
esiste la morale deve essere incondizionata e presupporre una ragione pratica "pura"
indipendente dalla sensibilità e che guida la condotta in modo stabile. L'assolutezza o
incondizionatezza della morale fa si che la legge morale sia universale e necessaria e che la
libertà dell'agire diventi il primo presupposto della vita etica poiché essendo incondizionata la
morale implica la possibilità umana di autodeterminarsi. Questo è il fulcro dell'analisi etica di
Kant. La morale è sciolta dai condizionamenti istinuali perché è in grado di de-condizionarsi
rispetto a essi. Essa è infatti in una tensione tra ragione e sensibilità: se l'uomo fosse solo
sensibile la morale non esisterebbe se l'uomo fosse solo ragione la morale non servirebbe in
quanto l'uomo sarebbe in uno stato di santità etica, perfetta adeguatezza alla legge. La
bidimensionalità dell'essere umano fa si che l'agire morale sia una lotta permanente tra
ragione e gli impulsi egoistici. Nella “Critica” c’è una forte polemica contro il fanatismo
morale: l’idea di poter superare i limiti della condotta umana, sostituendo alla virtù la
presunzione della santità, possesso della perfezione etica.
Kant non nega la forza condizionante che gli impulsi e i desideri possono esercitare sulla
volontà umana, ma nega che tale forza possa essere considerata un movente morale.
Quella di Kant è un etica prescrittiva o deontologica e non descrittiva: non concerne l’essere
(il modo in cui gli uomini si comportano di fatto) ma il dover essere (come dovrebbero
comportarsi). La morale Kantiana riguarda la forma del dovere e non la sua materia o
contenuto.

L’articolazione dell’opera
La “Critica della ragion pratica” si divide in due parti fondamentali:
1. La dottrina degli elementi tratta dagli elementi della morale e si divide in analitica,
l’esposizione della regola della verità (etica), e in dialettica, che affronta l’autonomia
della ragion pratica legata al sommo bene.
2. La dottrina del metodo tratta del modo in cui le leggi morali possono accedere
all’animo umano.

I principi della ragion pura pratica


La categoricità dell’imperativo morale
Per Kant le regole che disciplinano la nostra volontà, si chiamano principi pratici e si
dividono in:
1. Massime: prescrizione di valore soggettivo, valide solo per l’individuo che le fa
proprie.
2. Imperativi: prescrizioni di valore oggettivo, valide per chiunque, si dividono in:
● Imperativi ipotetici, prescrivono dei mezzi in vista di un determinato fine (se…
devi…) si dividono in regole dell’abilità, nuove tecniche per raggiungere un
certo scopo, e in consigli della prudenza, mezzi per ottenere il benessere e la
felicità.
● Imperativo categorico, ordina il dovere in modo incondizionato da qualsiasi
scopo.
Per Kant la legge morale deve risiedere in un imperativo categorico, che ha le caratteristiche
della legge, comando valido per tutti in tutte le circostanze.
Il contenuto della legge etica, che ha la forma di un imperativo categorico per Kant consiste
nell’elevare a legge, l’esigenza stessa di una legge, nell’agire secondo una massima valida
per tutti. Un comportamento risulta morale solo se supera il test della generalizzabilità: se la
sua massima appare universalizzabile.
La seconda formula dell’imperativo categorico, impone di agire rispettando la dignità umana
in noi o negli altri, evitando di ridurre il prossimo a un semplice mezzo del nostro egoismo.
La terza formula dell’imperativo categorico ripete in parte la prima ma sottolinea l’autonomia
della volontà -> il comando morale non è un imperativo esortativo ma il frutto spontaneo
della volontà universale, quindi noi non facciamo altro che obbedire a noi stessi.

La formalità della legge morale e il dovere per il dovere


L’etica kantiana è caratterizzata dalla formalità -> non ci dice cosa fare, ma come farlo. Se la
norma etica fosse “materiale”, prescrivendo contenuti concreti, sarebbe vincolata da essi
perdendo di libertà e universalità, perché nessun contenuto particolare possiede la portata
universale della legge. La legge morale è formale-universale ( quando agisci tieni presenti gli
altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel prossimo). Anche in campo etico come
gnoseologico Kant affronta quindi la contrapposizione tra forma e materia. Spetta ad ogni
singolo individuo poi tradurre la legge morale in concreto. Il vero significato del finalismo
etico kantiano sta nella scoperta della fonte perenne della mortalità. Il carattere formale
della legge morale conviva con il suo carattere anti-utilitaristico. Se la legge ordinasse di
agire in vista di un fine, si ridurrebbe a una serie di imperativi ipotetici e comprometterebbe
la libertà dell’azione e metterebbe in forse la sua universalità. Il cuore della moralità kantiana
sta nello sforzo di attuare la legge solo per rispetto a essa e non sotto la spinta di inclinazioni
personali. Al formalismo etico è legato anche il rigorismo: le emozioni e i sentimenti sono
escluse dall’ambito dell’etica, perché possono sviare la volontà da un comportamento retto,
e inquinano la purezza dei precetti della morale -> nemmeno la felicità può essere il fine del
dovere.
Moralità: dovere-per-il-dovere. Nell’ambito etico è accettabile solo il sentimento= il rispetto
della legge, che si configura come rispetto di sé e nasce dalla capacità umana di umiliare la
propria pulsione egoistica, sottomettendosi alla legge morale. Questo sentimento morale
nasce dalla ragione, per disporre l’individuo all’obbedienza al puro dovere. Per Kant affinché
un’azione sia morale, occorre che sia compiuta con la sola intenzione di obbedire alla legge
morale -> Distinzione tra legalità, che concerne l’azione visibile, e la moralità che concerne
l’intenzione invisibile. Un’azione può essere legale ma non morale.-> La morale implica una
partecipazione interiore.-> Il bene consiste nel volere il bene, nella volontà buona
(l’intenzione della volontà di conformarsi alla legge morale). Il dovere-per-il-dovere e la
volontà buona innalzano l’uomo al di sopra della realtà sensibile, rendendolo partecipe del
mondo intelligibile, in cui vige la libertà.
La noumenicità del soggetto morale non significa abbandono della sensibilità. Partecipe di
entrambi i mondi, l’uomo non può affermare quello noumenico senza quello fenomenico-> la
noumenicità dell’uomo esiste solo in relazione alla sua fenomenicità.

“L’autonomia” della legge morale e la rivoluzione copernicana


L’autonomia (indipendenza della volontà dai condizionamenti) implica e riassume le varie
determinazioni della legge morale. Il fondamento dell’etica è posto nell’uomo e nella sua
ragione, per salvaguardare la propria libertà (rivoluzione copernicana morale) -> L’uomo è al
centro dell’universo morale. La libertà in senso positivo è la capacità della volontà di
autodeterminarsi per questo Kant polemizza contro tutte le morali eteronome, sistematiche
che pongono il fondamento del dovere in forze esterne all’uomo, facendo scaturire la morale
da principi materialisti. Kant analizza i vari motivi etici teorizzati finora dalla filosofia e ne
individua i limiti. Se i motivi della morale risiedessero:
1. Nell’educazione, nella società, nel piacere fisico o nel sentimento della benevolenza,
l’azione non sarebbe libera e universale in quanto queste realtà sarebbero fattori
mutevoli e determinanti.
2. In un ideale di perfezione o in Dio, cadremmo negli stessi inconvenienti
Ma dire che la moralità consiste nel valorizzare la perfezione è una tautologia (una
definizione illusoria) -> un circolo vizioso -> la moralità risiede nella moralità.
Il modello etico di Kant si allontana dal razionalismo, che, basando la morale sulla ragione,
l’aveva fatta dipendere dalla metafisica, l’aveva connessa al sentimento. Contro il
razionalismo Kant afferma che la morale si basa sull’uomo e la sua dignità di essere
razionale finito e non dipende da conoscenze metafisiche; contro l’empirismo, sostiene che
la morale si fonda sulla ragione, perché il sentimento è troppo fragile per fungere da edificio
etico. L’autonomia morale sceglie il paradosso della ragione pratica, secondo cui non sono i
concetti di bene e di male a creare la legge etica, ma la legge etica a fondare le visioni di
bene e male.

La teoria dei postulati pratici e la fede morale


Kant prende in considerazione l'assoluto morale e sommo bene, a cui la nostra
natura tende irresistibilmente questo è l'unione tra felicità e virtù, che è il bene
supremo. Nel nostro comando felicità e virtù non si congiungono perché essere
virtuoso e cercare la felicità sono due azioni diverse → Virtù e felicità sono
l'antinomia etica per eccellenza, oggetto specifico della " Dialettica della ragion pura
pratica ". Per Kant l'unico modo per uscire dall'autonomia etica consiste nel
postulare un mondo nell' aldilà dove si può realizzare ciò o che nell' aldiquá risulta
impossibile: l'approvazione virtù= felicità. I postulati della ragion pura pratica di Kant
sono proposizioni non di mostrabile, che sono però condizioni di esistenza della
legge morale. Tali postulati sono:
1. l’immortalità dell’anima: perché solo la santità (conformità completa della
volontà della legge) rende degni del sommo bene; poiché la santità non è mai
realizzabile nel nostro mondo, si deve ammettere che l’uomo disponga di un
tempo infinito grazie a cui progredire verso la santità;
2. L’esistenza di Dio: la credenza in una volontà santa e onnipotente che faccia
corrispondere la felicità al merito;
3. La libertà: condizione stessa dell’etica, che prescrivendo il dovere,
presuppone che uno possa scegliere se agire o meno in conformità ad esso,
e tale scelta comporta la nostra libertà.
A differenza degli altri postulati della libertà, pur non sapendo cosa sia, abbiamo la
certezza che esista, mentre dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio non
possiamo sostenere né cosa siano né che siano, essendo unicamente bisogni pratici
dell’essere morale finito. → i postulati in senso forte sono solo quelli religiosi. Ma
Kant definisce “postulato” anche la libertà, perché secondo la “Critica della ragion
pura” non può essere scientificamente provata. Il mondo dell’esperienza si basa su
una legge necessaria che regola gli eventi, che non potrebbero essere diversi da
come sono, ma al contempo l’uomo compie azioni che avrebbe potuto non
compiere, in ciò consiste l’aporia della libertà, un’azione può essere determinata, in
quanto avviene nel mondo sensibile, ma libera in quanto atto morale, questa
duplicità è sostenibile solo postulando la libertà della volontà umana. Se nel mondo
fenomenico si trova il determinismo, in quello della cosa in sé si trova la libertà, ogni
azione umana compiuta contro la legge morale, avrebbe potuto essere evitata,
poiché la decisione di compierla non è determinata; così la libertà e determinismo
possono convivere.
Romanticismo
IL ROMANTICISMO COME PROBLEMA CRITICO E
STORIOGRAFICO
Con il termine “Romanticismo” si indica il movimento filosofico, nato in Germania a
fine ‘700 e sviluppatosi in tutta Europa ad inizio ‘800. La spiegazione del concetto di
Romanticismo è complessa ed è difficile definire l’ambito storiografico. A tal
proposito ci sono 2 interpretazioni:
1- Il Romanticismo è quel indirizzo culturale che si basa sull’esaltazione del
sentimento. Questa concezione divenuta di uso comune, risulta ora riduttiva, con il
rischio di privilegiare esclusivamente l’aspetto letterario e artistico, tralasciando le
componenti filosofiche;
2- Il Romanticismo è un’atmosfera storica, una situazione mentale generale, che si
riflette nella letteratura come nella filosofia, e di cui è parte integrante la corrente
dell’idealismo post-kantiano. Questa concezione riconosce nel Romanticismo idee
ed atteggiamenti che sorgono in relazione a determinate situazioni socio-politiche.
Detto ciò, il Romanticismo è pieno di ambivalenze, ad esempio in esso convivono il
primato dell’individuo e quello della società, l’esaltazione del presente e l’attesa del
futuro ecc. Ma tutti questi motivi antitetici convivono in un orizzonte complessivo e in
un’aria comune. Ad esempio, l’esaltazione del sentimento e la celebrazione
hegeliana della ragione scaturiscono entrambe dalla polemica contro l'illuminismo e
mirano al ritrovamento di una via per l’Assoluto. Il vero problema storiografico del
Romanticismo consiste nell’incapacità di delineare uno schema capace di
raccogliere alcune note ricorrenti nella visione del mondo della cultura romantica. I
tratti caratteristici del Romanticismo, atmosfera culturale caratterizzata da una
comune forma mentis, sono da cercare sia negli artisti che nei filosofi →La stretta
connessione tra filosofia e poesia è uno dei tratti fondamentali del Romanticismo.

ATTEGGIAMENTI CARATTERISTICI DEL ROMANTICISMO


TEDESCO
I tratti fondamentali del Romanticismo tedesco costituiscono le coordinate di fondo di
tutto il movimento ma non è detto che questi si trovino tutti contemporaneamente in
ciascun autore o filosofo.
Il rifiuto della ragione illuministica e la ricerca di altre vie d’accesso alla
realtà e all’Assoluto
I Romantici respingono la ragione illuministica, ritenuta incapace di comprendere la
realtà profonda dell’uomo, dell’universo e di Dio. Di conseguenza i romantici creano
altre vie d’accesso alla realtà e all’Assoluto, quindi le strade percorse anche se
anti-illuministiche, sono molteplici:

L’esaltazione del sentimento


Per alcuni il sentimento è l’organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per
prenotare nell’essenza dell’universo. Nel Romanticismo il sentimento acquista un
valore predominante, soprattutto in virtù dello Strum und Drung, che denuncia
l’incapacità della ragione finita umana di cogliere gli aspetti più profondi della realtà.
Il sentimento appare come un’ebbrezza indefinita di emozioni. Il sentimento apre a
nuove dimensioni della psiche e risale alle sorgenti primordiali dell’essere. Esso
appare come l’infinito nella forma dell’indefinito.

Il culto dell’arte
l’esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell’arte, vista come ciò
che precede ed anticipa il discorso logico e nello stesso tempo lo completa. L'artista
e il poeta vengono considerati degli esploratori invisibili dotati di poteri di intuizioni
superiori a quelli degli uomini comuni.

L’amore come anelito di fusione totale e cifra dell’infinito


l’amore è un altro tema fondamentale del Romanticismo tedesco. L’amore è per i
Romantici il sentimento più forte, l’estasi suprema e la vita della vita stessa. L’amore
è un fatto globale, si pone come sintesi tra anima e corpo, spirito ed istinto,
sentimento e sensualità. La sua seconda caratteristica consiste nella ricerca
dell’unità degli amanti, cioè la completa fusione delle anime e dei corpi (in modo che
ciò che è due possa diventare uno). La terza caratteristica dell’amore romantico è la
sua tendenza a caricarsi di significati simbolici e metafisici (l’amore è inteso
panteisticamente nella forma dell’Uno-Tutto e interpretato trascendentalmente nella
forma di Dio Creatore).

La filosofia politica
inizialmente i Romantici passano attraverso una fiamma filo-rivoluzionaria e sono
portatori di istanze individualistiche e anti-statalistiche che si traducono in forme di
radicalismo repubblicano e ribellismo anarchico o amorale. Questa fase trova un
riscontro nel tema della lotta dell’individuo contro la società. In una seconda fase i
romantici tedeschi elaborano schemi politici e sempre più statalistici e conservatori,
credendo che l’individuo sia tale solo in una comunità storica sovrapersonale e in
virtù dell’apparenza alle istituzioni tradizionali, e che il disordine delle forze umane
generi solo caos ed anarchia. Il Romanticismo perviene nel culto dell’autorità,
leggittimizzando le istituzioni assolutistico-feudali ed ergendosi contro le tendenze
riformatrici e liberaleggianti; ma il Romanticismo non può essere ridotto ad ideologia
della Restaurazione europa, infatti soprattutto fuori dalla Germania l’anima libertaria
e individualistica romantica ha continuato ad essere attiva. Uno dei concetti più
originali dello stoicismo romantico è quello di “nazione”, che è definito in termini di
elementi tradizionali come la razza, la lingua, il costume, la religione ecc. Se nel ‘700
il popolo è l’insieme di individui che vogliono vivere insieme, nell’ ‘800 la nazione è
l’insieme di individui che devono vivere insieme (non possono non farlo senza tradire
se stessi).
Dalla “Volontà generale” di Rousseau si passa allo “spirito di popolo” un principio
creativo inconscio ed extra-razionale, genio dell’evasione, che sottostà alle molteplici
manifestazioni sociali e politiche. L’universalismo degli enciclopedisti viene sostituito
da un richiamo storicistico e concreto alla pluralità irriducibile delle nazioni e delle
espressioni culturali dei popoli. Al cosmopolitismo dell’illuminismo e di Kant viene
contrapposto un nazionalismo giuridico e politico che esalta il diritto “storico” e la
politica “specifica” degli Stati; all’universalismo religioso degli illuministi viene
contrapposta la molteplicità delle religioni positive e dei loro culti; e, al
cosmopolitismo linguistico dell’illuminismo e al suo progetto di una lingua universale,
viene contrapposto il nazionalismo linguistico.

L’amore per la natura e il nuovo modo di concepirla


Un altro grande tema del romanticismo tedesco è l’amore per la natura e il fascino
da essa esercitato, che affondano le loro radici nello Sturm und Drang e nella
“riscoperta di Spinoza”. tra i documenti più significativi spiccano: un frammento che
si trova tra le carte di Goethe, che si intitola “La Natura”, e un passo dell”Iperione” di
Hölderlin.
Fichte
L’ORIGINE DELLA RIFLESSIONE FICHTIANA
La speculazione di Fichte nasce dalle riflessioni dei “critici medievali di Kant”, che
avevano criticato il concetto di “noumeno”. Partendo dalla contraddizione di base di
Kant che aveva dichiarato esistente e non conoscibile la cosa in sé, (?)
filosoficamente inammissibile. Per i criteri immediati di Kant ogni realtà di cui siamo
consapevoli, esiste come rappresentazione della coscienza, che funge da
condizione indispensabile di conoscere. Ma se l’oggetto risulta concepibile solo in
relazione al soggetto, come può essere concepita e dunque esistere la cosa in sé?
La cosa in sé quindi si configura come concetto impossibile. Quasi sicuramente
questo non era veramente il pensiero di Kant, che in realtà identificava il fenomeno
con “l’oggetto della rappresentazione”, e il noumeno come concetto-limite.

LA NASCITA DELL’IDEALISMO ROMANTICO

Il termine “idealismo” e i suoi significati


Nel linguaggio comune “idealista è colui che è attratto da determinati ideali e valori
per i quali può perfino sacrificare la propria via. In filosofia “idealismo” è la visione del
mondo che privilegia la dimensione “ideale” rispetto a quella “materiale”. Il termine
“idealismo” fu introdotto nel linguaggio filosofico per le idee platoniche, ma questa
accezione non ebbe molta fortuna, tanto che il termine è utilizzato ora in filosofia per
alludere all’idealismo gnoseologico (termine con cui si indicano tutte quelle
prospettive che riducono l’oggetto della conoscenza a rappresentazione o idea), o
all’idealismo romantico assoluto, espressione che indica la corrente filosofica
post-Kantiana, sviluppatasi in Germania nel Romanticismo.
Questo idealismo fu definito “trascendentale”, collegandolo al pensiero kantiano,
che aveva fatto dell’io penso il fondamento della conoscenza; “soggettivo”
contrapponendolo al pensiero di Spinoza, che aveva inteso la sostanza in termini di
oggetto “assoluto” sottolineando la tesi che l’io è il principio unico di tutto e fuori di
esso non c’è nulla.

L’infinitizzazione dell’io e i caratteri generali dell’idealismo romantico


In Kant l’io era finito in quanto non creava la realtà ma la ordinava secondo forme a
priori. L’idealismo sorge quando Fichte sposta il discorso dal piano gnoseologico a
quello metafisico e abolisce lo spettro della cosa in sé, cioè qualsiasi realtà estranea
all’io, che in Fichte è un’entità creatrice e infinita. Da ciò la tesi “tutto è spirito”. Fichte
con il termine “spirito” (sinonimo di “io” “assoluto” “infinito”) intende la realtà umana,
cioè attività conoscitiva e pratica e libertà creatrice. Ma sorgono delle domande: °In
che senso lo spirito è la fonte creatrice di tutto ciò che esiste? °Che cosa è per gli
idealisti la natura o la materia? Per rispondere bisogna approfondire il concetto di
dialettica: non essendoci nella realtà il positivo senza il negativo, lo spirito ha
bisogno della sua antitesi vivente: la natura. Lo spirito crea la realtà nel senso che
l’uomo è la ragione d’essere dell’universo e della natura che esiste per l’io e in
funzione dell’io. Essendo la ragione dell’universo, l’uomo è l’assoluto e l’infinito,
quindi Dio stesso. La figura classica di un Dio è inaccettabile, perché
presupporrebbe l’esistenza del positivo senza il negativo. L’unico Dio possibile è lo
spirito dialetticamente inteso, soggetto che si costituisce tramite l’oggetto. abbiamo
quindi una sorta di panteismo spiritualistico.

La dottrina della scienza


Per Kant il principio di tutta la conoscenza era l’io penso che supponeva già data l’esistenza,
era quindi attività limitata dell’intuizione sensibile. I critici immediati di Kant avevano
dimostrato impossibile la derivazione del materiale sensibile dalla cosa in sé, che avevano
definito “efimerica”. Da tali conclusioni Fichte trae che, se l’io è l’unico principio formale e
materiale del conoscere, esso è finito e infinito.

I principi della dottrina della scienza


Fichte vuole costruire un sistema con cui la filosofia diventi un sapere assoluto. Una
scienza della scienza, un sapere che metta in luce il principio su cui si fonda la
validità di ogni scienza. Tale principio è l’io o l’autocoscienza, noi possiamo dire che
qualcosa esiste solo rapportandolo alla nostra coscienza, facendone un essere per
noi. La coscienza è quindi il fondamento dell’essere e l’autocoscienza è il
fondamento della coscienza. L'esposizione della “Dottrina della scienza” è il tentativo
di dedurre dal principio dell’autocoscienza (io) il complesso della vita teoretica e
pratica dell’uomo. E’ una deduzione diversa da quella Kantiana, che era
gnoseologica, poiché questa è assoluta o metafisica, che fa derivare dall’io sia il
soggetto che l’oggetto del conoscere. Quindi la “Dottrina della scienza” voleva
dedurre dall’io l’intero sapere del mondo.
I principi della deduzione Fichtiana sono tre. Il primo è ricavato da una riflessione
sulla legge di identità (A=A) che la filosofia tradizionale aveva considerato base del
sapere. Ma per Fichte questa legge non è il primo principio poiché presuppone il
principio superiore dell’io.
E se A è dato deve essere uguale a se stesso, ma l’esistenza di A è data dall'io
poiché senza identità dell’io (io=io) l’identità logica (A=A) non si giustifica. L’io non
può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza. Quindi il
principio supremo del sapere è l'io stesso che si pone da sé e la cui caratteristica è
l’autocreazione. Tale autocreazione coincide con l’intuizione intellettuale che l’io ha
di se stesso in quanto attività in virtù della quale conoscere qualcosa si identifica con
il produrre qualcosa e con l’esserne consapevole. La nuova metafisica idealistica
afferma che “esse sequitur operari”, l’essere dell’io è il frutto della sua stessa attività
creatrice e libertà. Tale prerogativa dell’io è denominata da Fichte TATHANDLUNG;
con questo termine insieme a STREBEN (sforzo) Fichte intende indicare che l’io è
attività agente e prodotto dell’azione stessa. L’io quindi è assoluto essendo
incondizionato, cioè non dipendente da altro. Così Fichte
estrema la concezione rinascimentale dell’uomo che costruisce e inventa se stesso
tramite la libertà.

I tre principi: i tre principi della dottrina della scienza quindi sono:
1) L’io pone se stesso: io= attività auto creatrice e infinita
2) l’io pone il non io: l’io non solo pone se stesso ma oppone anche a se stesso
qualcosa che è un non-io (oggetto, mondo, natura)
3) L’io avendo posto il non io è limitato da esso. Con il terzo principio perveniamo
alla situazione concreta del mondo in cui abbiamo una molteplicità di io finiti che
Fichte chiama “divisibili”, esprimendo quindi il principio con la formula “L’io oppone
nell’io all’io divisibile un non-io divisibile”.

Puntualizzazioni: I tre principi capisaldi della dottrina di Fichte stabiliscono:


- L’esistenza di un io finito e di un io infinito al tempo stesso perché limitato dal non
io e infinito perché il non-io esiste solo in relazione all’io e dentro l’io;
- la realtà di un non io che si oppone all’io finito ma è ricompreso nell’io infinito
- i tre principi vanno interpretati non in modo cronologico ma logico, esiste l’io che
per essere tale deve presupporre di fronte a sé un non io; la natura esiste soltanto
come momento dialettico della vita dell’io, dai singoli individui che la compongono.
- L’io infinito non è diverso dall’insieme degli io infiniti come l’umanità non è diversa
- L‘io infinito è la meta ideale degli io finiti. L’io infinito è libero, uno spirito vittorioso
sui propri ostacoli privo di limiti. Dice che l’io infinito è la missione dell’io finito:
significa dire che l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà contro il limite.
Questa missione non è mai conclusiva perché se l’io superasse tutti i suoi
cesserebbe di esistere.
- i tre principi rappresentano la deduzione fichtiana delle categorie, infatti il porsi
dell’io ( tesi), l’opporsi del non io ( antitesi) e il limitarsi reciproco dell’io e del non-io (
sintesi) corrispondono alle tre categorie kantiane di qualità, quantità e relazione.

La struttura dialettica dell’io


L’io presenta una struttura triadica e dialettica articolata nei tre momenti di tesi,
antitesi, sintesi, incentrata su una sintesi degli opposti.la dialettica sembra un vano
gioco di concetti ma rifusa nell’esperienza viva di ognuno di noi, essa coglie l’intima
essenza della nostra vita spirituale.
Per caratterizzare la vita spirituale, bisogna specificarla come attività ritmica che si
rivolge in virtù dell’opposizione.qualunque atto mentale senza opposizione è
destinato a esaurirsi e disperdersi. La natura del nostro spirito esige a ogni dice un
contraddice, ogni tesi suscita un antitesi. Lo spirito vive e di opposizione e lotta e le
affermazioni per essere tali devono essere vittorie. Questo processo è simboleggiato
dallo schema triadico che legge nella tesi l’esordio è spontaneo ma ancora malcerto;
nelle antitesi il dubbio, la negazione e il diritto allo spirito di godere di una pausa e un
riposo, momenti di tregua chi prevedono un nuovo slancio, stati di equilibrio instabile
in vista di un nuovo squilibrio.

LA MORALE

Il primato della ragione pratica


L’io pone il non io ed esiste come attività conoscente solo per poter agire, quindi il motivo è
di natura pratica e riguarda la morale. In Fichte il primato della ragion pratica corrisponde al
fatto che la conoscenza e l’oggetto della conoscenza esistono solo in funzione dell’agire. Da
ciò il pensiero di Fichte viene denominato “ idealismo etico“ che fa dell’io il principio da cui
tutto deve essere dedotto, concependo l’azione morale come chiave di interpretazione della
realtà. Questo pensiero si può sintetizzare nella doppia tesi secondo cui noi esistiamo per
l’agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione. Agire significa imporre al
non-io la legge dell’io= forgiare (?) noi stessi e il mondo alla luce di liberi i progetti personali;
il carattere morale dell’agire consiste nel fatto che esso assume la forma di un imperativo
volto a far trionfare lo spirito sulla materia, sottomettendo i nostri impulsi alla ragione, e
plasmando la realtà esterna secondo il nostro volere. L’io deve trionfare sul limite del non-io
con un processo di auto-liberazione dell’io dai propri vincoli.
Fichte ha riconosciuto il vero significato dell’infinità dell’io nell’ideale etico. L’io è infinito
poiché si rende tale svincolandosi dagli oggetti che egli stesso pone.

La missione sociale dell’uomo e del dotto


Per Fichte l’io finito può realizzare il dovere morale solo con gli altri io finiti, arrivando a
delineare filosoficamente l’esistenza di altri io in base al principio per cui la sollecitazione e
l’invito al potere possono venire soltanto da esteri fuori di me, che sono come me nature
intelligenti.
Ammessa l’esistenza di altri esseri intelligenti, devo riconoscere loro lo stesso scopo della
mia esistenza: la libertà.
Il senso sociale dell’io è farsi liberi e rendere liberi gli altri in vista della completa unificazione
del genere umano. Per questo scopo è necessaria la nobilitazione di coloro che ne sono più
consapevoli, cioè i dotti. Per Fichte gli intellettuali non devono essere individui isolati ma
persone pubbliche con precise responsabilità sociali. Il sotto ( che deve essere l’uomo
moralmente migliore del suo tempo) deve diventare maestro ed educatore del genere
umano.
La proposta di fondo dell’idealismo fichtiano è: “ il fine supremo di ogni singolo uomo è il
perfezionamento morale di tutto l’uomo”.
Schelling
OBIETTIVI E PERIODI DEL SUO PENSIERO

La speculazione di Schelling accetta il principio dell’infinità che sta alla base del
soggettivismo assoluto di Fichte e del razionalismo assoluto di Hegel, ma cercando
di garantire ad esso un carattere di oggettività capace di renderlo adatto a spiegare il
mondo della natura e dell’arte. Poi dopo la svolta religiosa Schelling prende ancora
di più le distanze dai presupposti dell’Hegelismo. In generale gli studiosi individuano
nella sua filosofia più fasi: 1) iniziale momento fichtiano; 2) fase della filosofia della
natura; 3) periodo dell’idealismo trascendentale; 4) filosofia dell’identità; 5)periodo
teosofico e della filosofia della libertà; 6) filosofia positiva e della ragione.

L’ASSOLUTO COME INDIFFERENZA DI SPIRITO E NATURA


(CRITICHE A FICHTE)

Mentre la filosofia di Kant era una filosofia del finito, quella di Fichte era una filosofia
dell’infinito e apriva l’epoca del Romanticismo. Schelling fin dalla prima accettazione
del fichtismo cerca di volgerlo all’illustrazione e alla difesa degli interessi
naturalistico-estetici. Egli porta l’io assoluto alla sostanza di Spinoza: la sostanza
spinoziana è il principio dell’infinità oggettiva, mentre l’io di Fichte è il principio
dell’infinità soggettiva. Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di Assoluto,
che non sia riducibile né al soggetto nè all’oggetto, essendo il fondamento dell’uno e
dell’altro. Il principio supremo è un Assoluto o Dio che è insieme oggetto e soggetto,
ragione e natura. Se per Fichte la natura è solo il teatro dell’azione morale, per
Schelling la natura ha vita, razionalità e valore in sé stessa; deve avere in sé un
principio che la spieghi in tutti i suoi aspetti, tale principio è l’Assoluto, che spiega
anche il mondo della ragione. Il valore autonomo della natura e l’Assoluto come
natura e spirito portano Schelling ad ammettere 2 possibili direzioni della ricerca
filosofica:
1- filosofia della natura: mostra come la natura si risolva nello spirito
2- filosofia trascendentale: mostra come lo spirito si risolva nella natura.
LA FILOSOFIA DELLA NATURA è una costruzione romantica che si
nutre di suggestioni disparate, che provengono sia dalla scienza dell’epoca sia dalla
cultura e filosofia del passato.

La struttura finalistica e dialettica del reale

Schelling rifiuta i due modelli esplicativi della natura trascendentali: quello


finalistico-teologico e quello meccanicistico-scientifico. Schelling propone un
organismo finalistico e meccanicistico, schema secondo cui ogni parte ha senso solo
in relazione al tutto (organicismo), e l’universo non si riduce a una miracolosa
collisione di atomi, poiché si manifesta una finalità superiore, che non deriva da un
intervento esterno, ma è interna alla natura stessa. La natura è un organismo che
organizza sé stesso. Parlare di organizzazione comporta ammettere che la natura
obbedisce a un concetto. Da qui l’idea di uno spirito, una forza organizzatrice dei
fenomeni, che schelling chiama anima del mondo, che sostiene la continuità del
mondo e unisce tutta la natura in un solo organismo universale. Essendo spirito la
natura ha tutte le caratteristiche che Fichte aveva dato all’Io. Infatti essa è attività
spontanea e creatrice.

La teoria dell’arte

L’unità tra spirito e natura è più postulata che effettivamente dimostrata,e per
Schelling l’unico modo per risolvere questo nodo è rintracciare un’attività nella quale
si armonizzano completamente spirito e natura, tale attività è l’arte. Per Schelling
l’arte rivela l’Assoluto nei suoi caratteri di infinità, consapevolezza e
inconsapevolezza: nella creazione estetica l’artista è in preda a una forza
inconsapevole che lo ispira, facendo sì che la sua opera si presenti come la sintesi
di un momento inconscio (ispirazione) e un momento conscio e mediato
(esecuzione). L’intero fenomeno dell’arte, che un produrre spirituale in modo
naturale o produrre naturale in modo spirituale, è il modo migliore per comprendere
la struttura dell’Assoluto, quindi l’arte è un organo della filosofia. L’artista umano
incarna e concretizza il modo d’essere dell’Assoluto. L’esaltazione romantica del
valore dell’arte trova in Schelling la più significativa espressione filosofica. Per questi
l’idealismo di Schelling prende il nome di “idealismo estetico”.
H egel
I TEMI DELLE OPERE GIOVANILI

In queste opere l’argomento dominante è teologico, ma è molto netto il legame con


la politica. Hegel analizza il tema della rigenerazione morale e religiosa dell’uomo
come fondamento della rigenerazione politica, tema connesso alla Rivoluzione
Francese.

Rigenerazione etico-religiosa e rigenerazione politica


Per Hegel, per realizzare una rivoluzione politica è necessaria una rivoluzione del cuore,
cioè una rigenerazione della persona nella sua vita interiore e del popolo nella sua cultura.
Per questo negli scritti giovanili il tema religioso e politico costituiscono un’unità inscindibile.
Infatti Hegel aveva ricevuto un’educazione legata alla teologia del suo tempo, e
privatamente aveva letto le opere di Rousseau, di Lessing e di Spinoza. Inoltre nei paesi
tedeschi, luogo della Riforma Protestante, religione e politica erano saldamente collegate.
L’idea di fondo è che l’aspirazione di popoli a una vita migliore e alla libertà si può realizzare
grazie a progetti di riforma che spazzino via il vecchio impianto sociale, basato sulla
supremazia del potere nobiliare. Per fare ciò l’ansia di libertà di un popolo deve produrre un
nuovo ordine giuridico esteriore, incarnandosi in istituzioni sociali nuove. Quindi la
rivoluzione nelle istituzioni può avvenire solo come conseguenza esteriore di una
maturazione della coscienza di un popolo.

Cristianesimo,ebraismo e mondo greco


Nelle opere “La vita di Gesù” e “La positività della religione Cristiana” Hegel enuclea
alcuni temi-chiave del suo pensiero successivo e passa da una prospettiva kantiana
a una post-kantiana. Se nella prima opera Hegel condivide l’idea di Kant della
religione come adesione “interiore” ai principi razionali della morale, nella seconda
già si intravede il nucleo della critica hegeliana al kantismo. Nella morale di
Kant(lotta tra dovere e inclinazione) Hegel vede un pericoloso dualismo tra ragione e
natura che trasforma la morale dell’intenzione in un “legalismo” esteriore che
opprime e lacera l’uomo. Kant sembra molto vicino alla chiesa cristiana, affermatasi
dopo la morte di Gesù, contro la quale Hegel polemizza duramente, poiché ha perso
il senso profondo del messaggio religioso di Cristo, che aveva predicato il
superamento della vecchia legge esteriore (Antico Testamento) in favore di una
nuova legge dell’amore, della fratellanza e comunanza di cuori, alla quale l’uomo è
chiamato ad aderire nel profondo del proprio cuore, le Chiese hanno costituito una
religione positiva, fatta di criteri di verità oggettivamente fissati (dogmi) e di leggi
morali rigide, così il sentimento profondo del divino è via via scomparso. Nell’opera
“Lo spirito del cristianesimo e il suo destino” Hegel chiarisce i concetti espressi
nell’opera “positivismo della religione cristiana”. Attraverso una riflessione sulla
Bibbia ripercorre la storia del popolo ebreo. Hegel nota come il racconto biblico del
diluvio universale simboleggia una profonda scissione tra il popolo ebraico e la
natura: leggendo il diluvio come un tradimento della natura nei confronti dei suoi figli,
gli Ebrei, per Hegel sono finiti a concepire Dio come signore salvifico e
trascendentale rispetto a una realtà naturale a lui sottomessa e estranea; Dio(che è
tutto) è contrapposto all’uomo e la natura, che in sua assenza sono niente. Gli Ebrei
si ritengono il popolo “eletto”, hanno scelto di vivere in vicinanza con la natura e in
ostilità con gli altri uomini, il loro Dio, è un Signore che pretende dal suo popolo
dedizione totale. Vi sono stati momenti in cui gli Ebrei convivevano con altri popoli in
una natura pacifica. Ogni volta però questo atteggiamento era considerato un
tradimento verso l’unico vero Dio. Gli Ebrei sono vittima di un destino che essi stessi
hanno provocato.

Il messaggio di Gesù e lo spirito di bellezza dei greci


La scissione ebraica dalla natura e dagli altri popolo è messa in discussione da
Gesù di Nazareth che annuncia la nuova legge dell’amore, che invita al
superamento di ogni ostilità in nome dell’unità di vita che lega tutti gli esseri viventi.
La figura di Gesù è vicina al mondo dei Greci, che vivono il loro rapporto con la
natura nell’armonia e spirito di bellezza, con un sereno accordo con questa: la
morale rispetta i naturali desideri umani e i loro dei sono personificazioni di forze
della natura. La Grecità incarna il momento di armonia tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e
la natura, e degli uomini tra loro; la religione è fattore di conoscenza sociale. La
civiltà greca causa l'ammirazione del giovane Hegel, convinto che la bella eticità
coincida con una perfetta armonia che la modernità ha ormai smarrito.
Successivamente, però, Hegel vedrà nella grecità un’innocenza originaria destinata
a spezzarsi e a passare attraverso l’esperienza dialettica. Il concetto maturo di eticità
sarà il riproponimento della perfezione originaria della polis greca, ma a un livello più
alto. Nella predilezione per il greco si deve però leggere il rifiuto dell’astratto.

La perdita e la nostalgia dello spirito di bellezza


Tanto i Greci quanto Gesù sono stati sconfitti: l’armonia e lo spirito di amicizia tipici
della grecità sono stati superati dalle esperienze della società moderna, mentre
Gesù è stato ucciso dal suo stesso popolo, è morto però perdonando i propri
uccisori. Nonostante le Chiese Cristiane abbiano tradito l'autenticità del messaggio
di Cristo, si può sperare nel recupero di uno spirito di bellezza greco e dell'affermarsi
nella legge dell’amore universale annunciata da Cristo.
Hegel critica la morale kantiana in un saggio intitolata “fede e sapere”, in cui Hegel
polemizza contro la ragione illuministica di Kant, fondata sul contrasto tra l’uomo e
Dio: tra un un intelletto finito e un infinito incomprensibile e inconoscibile. La morale
di Kant è assimilabile alla religione ebraica , religione dell’infelicità in cui gli uomini
temono e venerano un Dio estraneo, oggetto altissimo a cui aspirano invano, come
l’uomo kantiano lacerato tra una ragione che spera nell’infinito e un infinito che non
può raggiungere. La religione auspicata da Hegel deve superare la scissione
kantiana, trasformandola in conciliazione, attraverso la figura di Gesù, profeta
dell’amore,forse unificante tra l’uomo e Dio, tra uomo e uomo, e tra dovere razionale
e natura sensibile. L'amore rivela una forza dialettica in grado di conciliare gli
opposti.

Dalla ragione alla filosofia


Nella fase matura del suo pensiero, che nasce con “Fede e sapere”, Hegel ripone la
propria fiducia non nella religione, ma nella filosofia, il cui compito è quello di
attingere concettualmente la conciliazione tra l’umano e il divino, cioè l’Assoluto,
come totalità vivente in cui tutto va compreso. Hegel si attenderà che la rivoluzione
dello spirito dell’uomo e dei popoli nasca dall’oggettiva evoluzione storica e della
ricerca filosofica.

LE TESI DI FONDO DEL SISTEMA


Le tesi di fondo dell’idealismo di Hegel sono:
-La risoluzione del finito nell’infinito;
-l’identità tra ragione e realtà;
-la funzione giustificatrice della filosofia.

Finito e infinito
L’espressione "risoluzione del finito nell’infinito” vuole dire che Hegel la realtà non è
un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario in cui tutto ciò che
esiste ne è parte. Questo organismo, ragione d’essere d’ogni realtà, non avendo
nulla al di fuori di sé, coincide con l’Assoluto e con l’infinito, mentre, vari enti del
mondo coincidono con il finito. Il finito, essendo solo un’espressione parziale
dell’infinito, non esiste.Il finito esiste solo nell’infinito e in virtù di esso. L’hegelismo è
una forma di monismo panteistico, cioè vede nel mondo (finito) la manifestazione di
Dio (infinito), potrebbe sembrare una sorta di spinozismo, ma per Spinoza l’assoluto
è una sostanza statica che coincide con la natura, mentre per Hegel è un soggetto
spirituale in divenire. Dire che la realtà non è sostanza ma soggetto vuol dire che
essa non è immobile e già data, ma che è un processo auto-produttivo.

Ragione e realtà
Hegel denomina il soggetto spirituale infinito, che sta alla base della realtà, idea o
ragione, termini che esprimono l’identità di ragione e realtà. Da ciò deriva il noto
aforisma “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”, con la prima parte
Hegel vuole dire che la razionalità non è pura astrazione, ma la forma stessa di ciò
che esiste. Con la seconda invece vuole dire che la realtà non è materia caotica, ma
il dispiegarsi di una struttura razionale, che si manifesta inconsapevolmente nel
mondo e consapevolmente nell’uomo. Con questo aforisma Hegel esprime la
necessaria identità di realtà e razionalità. Quindi la sua dottrina si configura come
una forma di panlogismo. Tale identità implica anche un’identità tra essere e dover
essere, poiché ciò che è risulta anche ciò che deve essere. Le opere di Hegel
insistono sul fatto che il mondo è ragione reale e realtà razionale che si manifesta
attraverso una serie di momenti necessari, che non possono essere diversi da come
sono; da qualsiasi punto di vista vediamo il mondo, troviamo una rete di connessioni
necessarie, che costituiscono l’articolazione vivente dell’unica idea. Hegel ritiene che
la realtà sia una totalità caratterizzata dalla necessità.

La funzione della filosofia


Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel
comprendere le strutture razionali che la costituiscono. La filosofia deve elaborare i
concetti, il contenuto reale, che l’esperienza le offre, dimostrandone con la
riflessione la razionalità. L'autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla
filosofia è la giustificazione razionale della realtà.

Dibattito sul giustificazionismo hegeliano


La filosofia di Hegel implica un atteggiamento giustificazionista nei confronti della
realtà, ma Hegel per evitare che questa venisse scambiata per una banale
accettazione della realtà, esclude dall’accezione filosofica della realtà gli aspetti
superficiali e accidentali dell’esistenza immediata. Un noto filone interpretativo ha
cercato di dimostrare come il pensiero hegeliano possa essere letto in modo
dinamico e rivoluzionario. Secondo questi autori l’aforismo di Hegel significherebbe
che il reale è destinato a coincidere con il razionale, mentre l’irrazionale è destinato
a perire. Questa lettura trova legittimità nella distinzione nel pensiero hegeliano del
metodo del sistema. Quindi ci sembra che i testi di Hegel documentino in modo
chiaro il suo atteggiamento giustificazionista nei confronti della realtà.

IDEA, NATURA E SPIRITO ( PARTIZIONI DELLA FILOSOFIA)


Hegel ritiene che il farsi dinamico dell'Assoluto passi attraverso 3 momenti:
1) L’idea in sè per sè(tesi), o idea pura, è l’idea considerata in sè stessa a
prescindere dalla sua concreta realizzazione nel mondo. Da questo angolo
prospettico l’idea è assimilabile a Dio.
2) L'idea fuori di sé o antitesi, è la natura, cioè l’alienazione dell’idea nella realtà
spazio-temporale del mondo.
3) L’idea che ritorna in sé(sintesi), è lo spirito, cioè l’idea, che dopo essersi fatta
matura, torna nell’uomo.
Questa triade non va intesa in senso cronologico ma ideale. a questi tre momenti
strutturali dell'Assoluto Hegel fa corrispondere le tre sezioni in cui si divide il sapere
filosofico: la logica è la scienza dell'idea in sé per sé; la filosofia dello spirito che è la
scienza dell'idea che torna in sé.

LA DIALETTICA

Per Hegel l’Assoluto è divenire e la dialettica è la legge che regola tale divenire, che
è legge autologica di sviluppo della realtà e legge logica di comprensione della
realtà.

I tre momenti del pensiero


Hegel distingue tre momenti del pensiero:
1) Momento astratto o intellettuale, che consiste nel concepire l'esistenza come
una molteplicità di determinazioni statiche e separate tra loro: è il momento
intellettuale per cui il pensiero si germa alle determinazioni rigide della realtà.
2) Momento dialettico o negativo-razionale: consiste nel mostrare come le
determinazioni del momento astratto … di essere masse in movimento, di
essere relazionate con altre determinazioni. Poiché ogni affermazione
sottintende una negazione risulta indispensabile mettere in rapporto le varie
determinazioni con quelle opposte.
3) Momento speculativo positivo-razionale: consiste nel cogliere l'unità delle
determinazioni opposte, sintetizzandole.

Dalla distinzione dei tre momenti del pensiero si evince la contrapposizione tra
intelletto e ragione.
● L'intelletto è l'organo del finito, un modo di pensare statico, che immobilizza
gli enti considerandoli soltanto nella loro reciproca esecuzione.
● La ragione è un modo di pensare dinamico che coglie la concretezza del
reale. In quanto la dialettica nega le determinazioni astratte dell'intelletto,
relazionandole alle determinazioni opposte, in quanto speculativa coglie le
unità degli opposti realizzandone la sintesi. E’ l'organo dell'infinito, strumento
con il quale l'infinito viene risolto nel finito.

La dialettica consiste:
1) Nell’affermazione di un concetto astratto (tesi);
2) Nella negazione di questo concetto (antitesi);
3) Nell'unificazione di tesi e antitesi in una sintesi che è una ri-affermazione
potenziata della tesi, ottenuta con la negazione dell'antitesi: Hegel chiama
questa ri-affermazione “Aufhebung” cioè “superamento”.
Puntualizzazione sulla dialettica
La dialettica corrisponde alla totalità dei tre momenti, illustra il principio fondamentale
della filosofia di Hegel: cioè la risoluzione dell'infinito nel finito, perché ogni finito non
può esistere in se stesso, ma solo in un contesto di rapporti. La dialettica esprime il
processo con cui le varie determinazioni della realtà perdono la loro rigidezza e
diventano momenti di un'idea unica infinita.
La dialettica ha un significato ottimistico: unifica il molteplice e concilia le opposizioni,
il negativo sussiste solo come momento di farsi del positivo.
A prima vista la dialettica sembra essere un processo aperto, perché ogni sintesi è la
tesi di un’altra antitesi. Ma Hegel ritiene che così si otterrebbe un processo che toglie
allo spirito il pieno possesso di sé medesimo. Per Hegel la dialettica è la sintesi
finale esclusa, cioè ha un preciso punto di arrivo. tutti i filosofi che si rifaranno all’
hegelismo criticheranno questa idea, recuperando quella di un processo aperto.
Hegel scorge nella contraddizione la molla grazie alla quale la realtà si sviluppa.

LA CRITICA ALLE FILOSOFIE PRECEDENTI


I capisaldi dell’hegelismo si contrappongono ad alcune filosofie.

Hegel e gli illuministi


L’hegelismo rifiuta la maniera illuministica di rapportarsi al mondo. Gli illuministi
presupponevano che il reale non fosse razionale. Hegel è convinto che la ragione
illuminista esprima soltanto le esigenze e le aspirazioni degli individui, quindi per
Hegel è una ragione finita è parziale.

Hegel e Kant
Hegel si oppone a Kant, che aveva costruito una filosofia del finito, con un’antitesi tra
essere e dover essere, tra realtà e ragione. Se in Kant l'essere non si adegua mai al
dover essere, in Hegel questa adeguazione è necessaria. Hegel rimprovera a Kant
anche la pretesa di voler indagare la facoltà del conoscere prima di procedere a
conoscere.

Hegel e i Romantici
Il dissenso di Hegel verso i romantici verte su due punti:
1) Contesta il primato del sentimento, dell'arte o della fede poiché l'Assoluto non
può che essere soggetto della filosofia;
2) Contesta gli atteggiamenti individualistici: l'intellettuale non deve ripiegarsi
narcisisticamente sul proprio io, ma tener d'occhio il corso del mondo.
Hegel però risulta partecipe del clima del Romanticismo, ne condivide il tema
dell'infinito, anche se ritiene che ad esso si acceda speculativamente e non per via
immediata.
Hegel e Fichte
A Fichte muove 2 accuse fondamentali:
1) Accusa Fichte di proporre una visione non soggettivistica, incapace di
assimilare adeguatamente l'oggetto al soggetto. Per Hegel Fichte ha violato il
dogma idealistico “tutto è spirito” o “tutto è soggetto”, considerando l'oggetto
(natura) come ostacolo esterno all’Io.
2) Accusa Fichte di aver ridotto l'infinito a semplice metà ideale dell'Io finito.
Secondo Hegel il progresso all'infinito del finito, che non raggiunge mai il suo
termine, è il falso o cattivo infinito o infinito negativo.

Hegel e Schelling
Critica Shelling perché concepisce l'Assoluto in modo a-dialettico, come unità
indifferenziata e statica, da cui la molteplicità deriva in modo inesplicabile. L’Assoluto
di Schelling è un abisso vuoto, un'unità astratta priva di vita e quindi incapace di dare
ragione della realtà molteplice.

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