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IMMANUEL KANT

Kant nacque a Koniberg da una famiglia di origine scozzese nel 1724. Fu educato nello
spirito religioso del pietismo nel collegio Friedericianum e ci rimase fino ai sedici anni. Una
volta uscito studiò filosofia matematica e teologia all’università della sua città e nel 1755
divenne insegnante universitario e nel 1770 fu nominato professore di logica e metafisica
nella stessa università. L’esistenza di Kant è priva di avvenimenti drammatici e di passioni,
con pochi affetti e amicizie, interamente concentrata in uno sforzo continuo di pensiero che si
accompagnava ad uno stile di vita basato su rigide abitudini. Il suo ideale politico era una
costituzione repubblicana e simpatizzo con gli americani nella loro guerra d’indipendenza. Si
trovò incontrato con il governo prussiano dopo la pubblicazione della seconda edizione della
religione nei limiti della semplice ragione. Negli ultimi anni della sua vita fu colpito da una
debolezza senile che lo privò delle sue facoltà e lo uccise nel 1804.
Nell’ attività letteraria di Kant possiamo distinguere 3 periodi:
• Prevale l’interesse per le scienze naturali (fino al 1760)
• Prevale l’interesse filosofico (fino al 1781)
• Filosofia trascendentale.
L’evoluzione di Kant nel “periodo pre-critico”
• PRIMA FASE (1755-1762) Kant è un razionalista leibniziano-wolffiano, ma si confronta
con la scienza newtoniana. Nella Storia naturale universale e teoria dei cieli del 1755 formula
la cosiddetta” Ipotesi di Kant-Laplace”, che fa derivare l’origine dell’universo da una
nebulosa originaria composta di materia rarefatta e soggetta a leggi meccaniche, ispirandosi
alla fisica newtoniana.
• SECONDA FASE (1762-1769) Kant, attraverso lo studio delle opere di Hume (“Hume mi
ha svegliato dal sonno dogmatico”), supera il Razionalismo e si avvicina all’Empirismo.
Particolarmente importante lo scritto del 1765 I sogni di un visionario chiariti con i sogni
della metafisica, in cui la metafisica razionalista viene criticata paragonandola alle visioni
illusorie del “mistico” svedese Swedenborg, alla luce dei risultati rigorosi della scienza
newtoniana.
• TERZA FASE (1770-1781) Nella Dissertazione del 70 Kant comincia a stabilire la
distinzione tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale. La prima che è dovuta alla
ricettività del soggetto ha per oggetto il fenomeno, cioè la cosa come appare nella sua
relazione al soggetto. La seconda che è una facoltà del soggetto, ha per oggetto la cosa cosi
come essa è, nella sua natura intellegibile, cioè come noumeno. Nella conoscenza sensibile si
deve distinguere la materia dalla forma. La materia è la sensazione e testimonia la presenza
dell’oggetto dal quale è causata. La forma è la legge che ordina la materia sensibile. La
conoscenza sensibile si chiama apparenza e la conoscenza riflessa è l’esperienza.
Dall’apparenza all’esperienza di va attraverso la riflessione che si avvale dell’intelletto. Gli
oggetti dell’esperienza sono i fenomeni. La forma è costituita dallo spazio e dal tempo che
non derivano dalla sensibilità ma sono intuizioni pure.
Il criticismo
Il criticismo kantiano – così come in generale tutta quanta la filosofia di Kant - è definito la
rivoluzione copernicana della metafisica.
Per capire a fondo in che cosa esso consista, è opportuno ricordare il contesto culturale cui si
riferisce.
In ambito filosofico esistevano infatti due differenti correnti di pensiero: empirismo e
razionalismo, i quali si distinguono per il concetto di “ragione” che hanno.
Per i primi, infatti, la ragione è la facoltà di rielaborare i dati forniti dall’esperienza, mentre
per i secondi la ragione è la dimensione ontologica (l’essenza) dell’uomo, la realtà nella sua
totalità.
L’empirista Locke analizza le modalità attraverso cui noi conosciamo.
La sua filosofia, sebbene empirista, è stata definita “prudente”, poiché non prescinde mai da
contenuti metafisici.
Hume è invece un empirista “coerente”, poiché ritiene che dall’esperienza derivino sia
oggetti che leggi. Questo limita la conoscenza, perché dall’esperienza non potranno mai
derivare leggi universali a partire da casi particolari.
L’empirismo conclude dunque che non esistono leggi universali. Al massimo teorie
particolaristiche determinate tramite induzione (che è il processo attraverso il quale
analizzando il particolare si trovano caratteristiche identiche che vengono poi generalizzate in
concetti). La scienza è quindi probabile, e i concetti universali sono solo una necessità
umana. Come l’abitudine e il legame causa-effetto.
Hume è dunque uno scettico, al punto da demolire anche le teorie di Newton che, sebbene
empirista, ha una concezione assoluta di spazio-tempo, ovvero indipendente da qualunque
fattore esterno. Secondo Newton, infatti, Dio ha creato il mondo in movimento, le cui
coordinate sono spazio e tempo. Ma questa conclusione è – secondo Hume - dogmatica e
metafisica, e quindi contraria all’empirismo.
Il razionalismo ha invece una concezione armonica della vita, perché vede nel mondo un
ordine matematico (come i pitagorici e Platone). È un atteggiamento filosofico che fa della
ragione lo strumento che ordina e giudica la verità, ed è principio della conoscenza (ambito
metafisico e strumentale). Vi sono, in realtà, due tipi di razionalismo nella storia della
metafisica:
1) quello greco, che pone identità tra intelligibile (ragione) e mondo. La ragione è alla base
del mondo;
2) quello cartesiano, che pone la stessa identità, ma riconosce solo nella “ragione del
soggetto” il principio della conoscenza, e da questo principio deduce anche la struttura del
reale. Per Cartesio, infatti, la dimensione reale del mondo è data dall’attività razionale del
soggetto, ed è questa a fargli intuire anche la propria esistenza (cogito ergo sum). Ed è Dio a
garantire che non viviamo nell’inganno, e che esiste quindi un mondo reale. Cartesio è
dunque deista: Dio ha creato il mondo in movimento sulla base del principio meccanicistico
dell’inerzia.
Il dibattito tra empiristi e razionalisti risveglia Kant dal suo “sonno dogmatico” (come egli
stesso lo definì), e lo aiuta così ad elaborare le sue nuove teorie metafisiche.
Anche Kant usa infatti il termine “razionalismo” per definire le proprie ideologie, ma in
accezione diversa, contraria ad entrambi i razionalismi, che considera dogmatici.
Tant’è vero che Kant critica i razionalisti ricorrendo ad una metafora: “Cartesio fa assumere
alla ragione quel comportamento assurdo di una colomba che per volare meglio va oltre
l’atmosfera terrestre.”
L’atmosfera rappresenta, nella metafora di Kant, l’esperienza. Però, sostiene Kant, non è
possibile neanche restare nel campo della sola esperienza, come ritengono gli empiristi,
altrimenti si nega la validità universale della scienza.
Da questo momento si parla dunque del razionalismo critico (criticismo) kantiano.
Kant afferma inoltre che “L’illuminismo è l’uscita della ragione dalla minorità”. Si allontana
però anche dall’illuminismo, contestando le sue teorie relative ai fondamenti con cui la
ragione conosce in modo universale, necessario ed estensivo.
La filosofia di Kant è dunque chiamata criticismo poiché esamina la ragione con la ragione
stessa. Questa posizione permette a Kant di stabilire i limiti – ma anche le modalità - della
conoscenza come dato di fatto.
L’esperienza resta comunque la condizione per eccellenza, che rende possibile la conoscenza.
In altre parole, prima di Kant si riteneva che il soggetto dovesse solo rilevare quelle
caratteristiche che l’oggetto rifletteva sul soggetto, il quale le doveva pertanto codificare.
Kant dice invece che non è l’oggetto a mostrarsi, ma è il soggetto a definire le modalità
mediante le quale l’oggetto gli appare.
Ciascun soggetto ha leggi della conoscenza soggettive, a priori, ma universali e necessarie,
perché uguali in ogni uomo. Sono modi (modalità) attraverso cui noi conosciamo.
L’importanza della filosofia di Kant sta dunque anche nell’aver “ribaltato” la conoscenza
dall’oggetto al soggetto, ed ecco il perché essa viene definita rivoluzione copernicana della
conoscenza.
La rivoluzione kantiana
Kant afferma di aver compiuto una vera e propria rivoluzione copernicana, ovvero una svolta
nell’ambito della teoria della conoscenza, come due secoli prima aveva fatto il grande
Copernico nel campo dell’astronomia. Infatti, fino a poco tempo prima di Kant, si pensava
che ogni conoscenza si dovesse regolare sugli oggetti. Però, tutti i tentativi di stabilire
qualcosa a priori, attraverso i concetti, con i quali si sarebbe potuta estendere la conoscenza,
non produssero alcun risultato. Secondo Kant invece gli oggetti devono regolarsi sulla nostra
conoscenza: la conoscenza è così sintesi tra una materia del conoscere che il soggetto riceve
dall’esterno e una forma con cui l’individuo la organizza, generando la rappresentazione del
mondo naturale. Dunque, al centro delle conoscenze vi è l’uomo, insieme alle sue capacità e
attività mentali. La conoscenza non è più una ricezione passiva di dati dell’esperienza, ma
un’attività di classificazione, elaborazione e unificazione.
La critica della ragion pura è un’analisi critica sui “fondamenti” della conoscenza: quindi il
problema della “fondazione” viene applicato all’indagine gnoseologica, allo scopo di
“fondare” una conoscenza che abbia valore “universale e necessario”, cioè scientifico, e nel
contempo stabilire i limiti di questa conoscenza.
In breve, è un’indagine sulle “capacità conoscitive” e sui “limiti” della ragione.
- Kant paragona la Critica della ragione pura ad un “tribunale”, in cui la ragione è “giudice e
imputata”, in quanto la ragione giudica sé stessa, ossia le proprie capacità conoscitive e i
propri limiti. La Critica da un lato “limita” l’uso conoscitivo della ragione, dall’altro “fonda”,
“garantisce” (entro i limiti fissati), la validità delle conoscenze.
Le quattro domande fondamentali a cui l’opera intende rispondere:
a) “come è possibile la matematica pura?” (problema dell’Estetica)
b) “come è possibile la fisica pura?” (problema dell’Analitica)
c) “come è possibile la metafisica in quanto scienza?” (problema della Dialettica) d) “come è
possibile la metafisica in quanto disposizione naturale della mente?”.
Perciò Kant inizia la ricerca confrontando le scienze (matematica e fisica) e la metafisica:
➢ da un lato constata che matematica e fisica sono già scienze e intende dare loro una
fondazione filosofica (cioè giustificare una situazione “di fatto”: trovare i principi a
priori che giustificano la loro scientificità),
➢ dall’altro rileva che la metafisica è ancora un terreno di dispute senza fine e si chiede
se anch’essa sia fondabile come scienza (per capire se la sua pretesa di scientificità sia
legittima o no).
Significato di “a priori” e “puro” e “trascendentale”
“A priori” e “Puro” sono in parte simili: “a priori” indica una conoscenza che “precede”
l’esperienza ed è indipendente da essa; “puro” indica una conoscenza “assolutamente” a
priori, ossia “in cui non è mescolato niente di empirico”.
“Trascendentale”: Il significato kantiano è diverso da quello tradizionale della Scolastica (S.
Tommaso), in cui “trascendentale” si identificava con “trascendente” ed aveva un significato
ontologico, perché indicava le caratteristiche fondamentali e generalissime comuni a tutti gli
enti e si riferiva a ciò che sta al di là della realtà sensibile. Invece il “trascendentale” kantiano
ha un significato esclusivamente gnoseologico: non si riferisce alle strutture dell’essere ma
solo a quelle della mente.
- Kant propone due definizioni diverse di “trascendentale”:
a) La prima si riferisce a principi che non trascendono l’esperienza, ma la precedono, perché
sono a priori, e quindi rendono possibile (“fondano”) la conoscenza: quindi sono
“trascendentali” i principi a priori, le “forme” della mente.
b) La seconda si riferisce alle dottrine che studiano non gli oggetti della conoscenza, ma le
sue forme a priori: quindi sono “trascendentali” Estetica, Analitica e Dialettica. In questo 2°
significato, tutto il “Criticismo” è una “filosofia trascendentale”, cioè una filosofia che
centralizza il Soggetto, attribuisce ad esso la capacità “fondativa” e cerca in esso stesso i
principi a priori (che fondano conoscenza, morale ecc.).
La critica della ragion pura
La ragione
La ragione è la “facoltà conoscitiva in generale”, che si determina in tre facoltà specifiche:
“sensibilità”, “intelletto”, “ragione” (propriamente detta).
A queste tre facoltà corrispondono tre tipi di conoscenza, indagati nelle tre parti principali
dell’opera:
a) conoscenza sensoriale (o “intuitiva”), nell’Estetica trascendentale
b) conoscenza intellettiva (o “concettuale”), nell’Analitica trascendentale
c) conoscenza razionale (anch’essa “concettuale”, ma “illusoria”, tipica della metafisica),
nella Dialettica trascendentale.
- “Ragione pura” è la facoltà conoscitiva che applica dei "principi a priori”.
La teoria della conoscenza
La conoscenza è “sintesi di materia e forme”.
Infatti, nella conoscenza la mente unisce due componenti:
a) componente empirica, “a posteriori", derivante dall’esperienza: è la “MATERIA” = le
sensazioni, cioè la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili;
b) componente razionale, “a priori”, che precede l’esperienza ed è indipendente da essa: sono
le “FORME”, cioè le “leggi”, i principi fondativi a priori che appartengono alla mente ed
organizzano-ordinano la materia sensibile. Le forme, essendo universali, cioè comuni a tutte
le menti e applicate da tutte le menti umane allo stesso modo, “fondano” una conoscenza
“universale e necessaria”, cioè scientifica.
NOTA 1: Kant parte dal presupposto che la conoscenza non deriva né interamente
dall’esperienza (come sostengono gli Empiristi) né interamente dalla ragione (come
affermano i Razionalisti): infatti “la conoscenza, sebbene cominci con l’esperienza (cioè con
la ricezione passiva di dati sensibili), non deriva interamente dall’esperienza” (perché la
mente aggiunge all’esperienza le proprie forme a priori).
NOTA 2: le “idee innate” sono “contenuti” conoscitivi (ci dicono “cosa” conosciamo),
mentre i principi a priori sono "forme”, “funzioni” della conoscenza (ci dicono solo "come”
conosciamo)
Le tre facoltà conoscitive e i tre tipi di conoscenza
a) Facoltà della “SENSIBILITÀ” (Sinnlichkeit): è facoltà intuitiva.
- È la facoltà mediante la quale “gli oggetti ci sono ‘immediatamente’ dati”, cioè ci vengono
dati “intuitivamente” attraverso i sensi; quindi, è una facoltà “ricettiva” = “passiva”, in
quanto recepisce materiale sensibile.
- Da essa deriva la CONOSCENZA SENSORIALE (conoscenza intuitiva), nella quale “gli
oggetti sono ‘direttamente’ (=immediatamente) ‘presenti’ alla nostra mente” (perciò è una
conoscenza di tipo “intuitivo”).
- Le “forme” della conoscenza sensoriale sono lo spazio e il tempo (che fondano la
scientificità della matematica).
b) Facoltà dell’“INTELLETTO” (Verstand): è facoltà concettuale.
- È la facoltà mediante la quale gli oggetti non sono più immediatamente (intuitivamente)
“dati”, ma vengono “pensati” concettualmente, ossia elaborati attraverso i 12 “concetti puri”
(categorie). Non è una facoltà passiva come la sensibilità, ma è attiva.
- L’Intelletto produce la CONOSCENZA INTELLETTIVA: è la conoscenza nella quale “gli
oggetti sono ‘pensati’ attivamente dall’intelletto”: quindi non è una conoscenza “intuitiva”
ma “concettuale” (non passiva ma attiva, non “ricettiva” ma “produttiva”; detta anche
“discorsiva”, cioè “dimostrativa”).
- Le sue “forme” sono le 12 “categorie” (che fondano la scientificità della fisica).
c) Facoltà della “RAGIONE”: è la facoltà che tende a oltrepassare (trascendere) l’esperienza
e a interpretare la realtà “come totalità”. Quindi, da essa deriva la metafisica.
- Infatti, la “Ragione” produce la CONOSCENZA RAZIONALE, che è conoscenza di tipo
metafisico: conoscenza su cui Kant indaga per giudicare se sia “fondabile come scienza”. -
Le “forme” che la ragione applica sono le 3 “idee trascendentali” di Io, Mondo e Dio (che
dovrebbero fondare la metafisica).
La teoria dei giudizi e la rivoluzione copernicana
a) “GIUDIZI SINTETICI A PRIORI”:
Sono i giudizi scientifici per eccellenza, cioè principi universali e necessari – non derivanti
dall’esperienza ma dalla mente – che valgono ovunque, sempre e per tutti allo stesso modo, e
pertanto sono i pilastri fondamentali della scienza. Esempi: “7 +5=12”; “La linea retta è la
più breve tra due punti”.
- Sono “giudizi” perché collegano un soggetto e un predicato.
- Sono “sintetici” (cioè “fecondi”, “estensivi”, “accrescitivi di conoscenza”) perché il
predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, quindi aumenta le conoscenze.
- Sono “a priori” perché non derivano dall’esperienza ma la precedono, e quindi sono
“universali e necessari”, non soggetti alla mutevolezza dell’esperienza.
- Quindi: i requisiti fondamentali del giudizio scientifico sono la “sinteticità” (= da cui la
fecondità) e l’“apriorità” (= da cui l’universalità e necessità).
- Con il “Giudizio sintetico a priori”, K supera le soluzioni di Razionalismo e Empirismo,
espresse rispettivamente dai “Giudizi analitici a priori” e dai “Giudizi sintetici a posteriori”.
b) “GIUDIZI ANALITICI A PRIORI”:
Kant li collega alla gnoseologia razionalista.
Esempio: “I corpi sono estesi”.
- Sono “analitici” perché il predicato non dice nulla di nuovo rispetto al soggetto, ma
“esplicita” ciò che è già implicitamente contenuto nel soggetto: quindi sono giudizi
“infecondi”, puramente “esplicativi”, non accrescitivi di conoscenza.
- Sono “a priori” in quanto il predicato non viene ricavato dall’esperienza, ma viene dedotto
logicamente (aprioristicamente) dal soggetto: quindi sono giudizi “universali e necessari”,
non soggetti alle variazioni dell’esperienza.
Il valore di questi giudizi consiste nella loro validità universale e necessaria, ma essi hanno il
limite di non accrescere le conoscenze: quindi non sono giudizi scientifici.
c) “GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI”:
sono collegati alla gnoseologia empirista.
Esempio: “I corpi sono pesanti”.
- Sono “sintetici” perché il predicato “aggiunge”, dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto,
in quanto esso non viene dedotto dal soggetto, ma viene ricavato dall’esperienza: quindi sono
giudizi “fecondi” (accrescono le conoscenze).
Sono “a posteriori” perché si basano esclusivamente dall’esperienza: quindi non sono
universali e necessari, perché sono soggetti alle variazioni dell’esperienza.
Il loro valore consiste nella fecondità, ma il limite consiste nel fatto che queste conoscenze
non possono avere valore universale: quindi non sono giudizi scientifici. Da questo confronto
emerge la soluzione di Kant, ossia il “Giudizio sintetico a priori”.
- Ma da dove derivano (cioè, su cosa si fondano) i “Giudizi sintetici a priori”?
d) LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”:
è l’operazione gnoseologica che consente a Kant di:
• superare lo scetticismo humiano (quindi fondare universalmente la conoscenza)
• fondare i “Giudizi scientifici” (“sintetici a priori”), facendoli derivare non dall’esperienza,
cioè dall’oggetto, dalla realtà (nel qual caso non potrebbero avere validità universale e
necessaria), bensì dal soggetto, cioè dalla mente.
Consiste nell’invertire il rapporto tra il soggetto e l’oggetto della conoscenza per collocare il
soggetto al centro della conoscenza.
La tradizionale gnoseologia (“oggettivistico-adeguata”) poneva l’oggetto al centro della
conoscenza; quindi, il soggetto (la mente) doveva “adeguarsi” all’oggetto (alla realtà): perciò
conoscere significava “riprodurre” passivamente l’oggetto. Ma con questa impostazione si
arrivava allo scetticismo: infatti la conoscenza dipendeva dalla mutevolezza dell’esperienza.
Invece Kant intende centralizzare il soggetto e far sì che sia l’oggetto a doversi adeguare ad
esso: quindi il soggetto non è più passivo, ma impone le sue leggi a priori all’oggetto
(gnoseologia “soggettivistico-costruttiva”). Da qui deriva l’impostazione
“trascendentalistica” del Criticismo.
- Le conseguenze dell’operazione: da un lato diventa possibile superare lo scetticismo e
fondare una conoscenza scientifica, ma dall’altro questa fondazione ha un “limite”,
consistente nel fatto che la conoscenza così fondata è esclusivamente “fenomenica”. Cioè:
noi non conosciamo le cose come sono “in sé” (il “noumeno”), ma conosciamo soltanto
l’oggetto che la nostra mente ha costruito applicando le sue forme a priori, cioè il
“fenomeno”: il quale comunque non è un’immagine illusoria e ingannevole, ma ha validità
universale e necessaria, quindi scientifica, perché costruita attraverso forme a priori che
funzionano allo stesso modo in tutte le menti.
• L’ESTETICA TRASCENDENTALE •
È la “scienza dei principi a priori della Sensibilità”. Ed è definibile anche come la “dottrina
della conoscenza sensoriale.
Sensibilità e conoscenza sensibile
L’Estetica indaga sulla facoltà della “Sensibilità” (e sulle sue forme a priori), che è facoltà
“intuitiva” e “ricettiva”, perché non produce i propri contenuti, ma li recepisce
immediatamente (dal mondo esterno o dall’interiorità), cioè per “intuizione”.
Quindi da essa deriva una conoscenza non concettuale, ma “intuitiva”.
Tuttavia, la Sensibilità non è esclusivamente ricettiva, ma è anche attiva: essa, infatti,
organizza il materiale dato dalle sensazioni attraverso le forme a priori di spazio e tempo.
Quindi, la conoscenza sensoriale è una “sintesi” tra:
- la materia, costituita dai dati empirici (che Kant chiama “intuizioni empiriche”), - le forme,
che sono lo spazio e il tempo (chiamate da Kant “intuizioni pure”).
Spazio e tempo
Sono “intuizioni pure”, “forme a priori della Sensibilità”.
a) Lo Spazio è la “forma a priori del senso esterno”, cioè la forma che sta a fondamento di
tutte le “intuizioni esterne” (cioè dei dati che provengono dal di fuori); lo Spazio colloca gli
oggetti in un rapporto di “coesistenza” (“uno accanto all’altro”).
b) Il Tempo è la “forma a priori del senso interno”, cioè la forma che sta a fondamento di
tutte le “intuizioni interne” (cioè dei dati provenienti dalla nostra interiorità); e le colloca in
un rapporto di “successione” (“una dopo l’altra”).
c) Spazio e tempo non sono strutture oggettive, appartenenti alla realtà esterna all’uomo e
ricavate dall’esperienza: Kant giustifica la loro “apriorità” rilevando che spazio e tempo
devono preesistere all’esperienza, in quanto noi non potremmo fare alcuna esperienza senza
spazio e tempo: infatti non ci sono oggetti che non siano già inquadrati in spazio e tempo.
Essi sono, quindi, condizioni a priori dell’esperienza.
d) Spazio e tempo appartengono a tutte le menti umane, in senso universale: essi hanno
“idealità trascendentale” (=sono soggettivi rispetto alla realtà in sé) e “realtà empirica”
(=sono oggettivi rispetto all’esperienza fenomenica).
e) Kant attribuisce una “priorità” al tempo rispetto allo spazio: infatti i dati del senso esterno
arrivano alla nostra mente attraverso il senso interno, e quindi i dati spaziali, per essere da noi
acquisiti, devono essere anche temporizzati. Quindi il tempo non è solo la forma a priori del
senso interno, ma anche, indirettamente, la forma a priori del senso esterno. Tutti gli oggetti
sono percepiti attraverso il tempo.
La fondazione della matematica
Nell’Estetica Kant “fonda” (giustifica) la scientificità dell’aritmetica e della geometria, che
egli considera come “scienze sintetiche a priori” (e quindi basate su “giudizi sintetici a
priori”), dotate di validità universale e necessaria e valide indipendentemente dall’esperienza.
La scientificità dell’Aritmetica è fondata sull’intuizione pura del Tempo, in quanto
l’aritmetica, per determinare le proprietà delle serie numeriche, ha bisogno del tempo e
dell’ordine di “successione” derivante dal tempo.
La scientificità della Geometria è fondata sullo Spazio, in quanto la geometria, per dimostrare
le proprietà delle figure, ha bisogno dello spazio e dell’ordine di “coesistenza” degli oggetti
nello spazio. La geometria “fondata” da K. è la euclidea (Nota: si tratta sempre e solo di una
conoscenza “limitata” al “mondo fenomenico”).
• L’ANALITICA TRASCENDENTALE • la logica trascendentale
È la scienza della conoscenza “discorsiva”, cioè concettuale e dimostrativa, mentre la
conoscenza sensibile era “intuitiva”.
Kant differenzia la propria Logica dalla logica tradizionale di origine aristotelica (detta
“logica generale o formale”), perché essa:
a) studia le leggi a priori in rapporto ai contenuti, cioè studia “l’origine, l’estensione e la
validità oggettiva delle conoscenze a priori proprie dell’Intelletto e della Ragione”;
b) indaga su forme a priori che sono soltanto strutture della mente (strutture logico-
gnoseologiche), non anche strutture della realtà (strutture ontologiche).
- La “Logica trascendentale” comprende sia l’Analitica che la Dialettica.
L’analitica trascendentale
È la “scienza dei principi a priori dell’Intelletto”. È definibile anche come “dottrina della
conoscenza intellettiva”.
Sezioni: “Analitica dei concetti” (“Categorie”, “Deduzione trasc.”, “Io penso”), e “Analitica
dei principi” (“Schematismo trascend.”, “Principi dell’intelletto puro”).
L’intelletto e conoscenza intellettiva
L’Analitica indaga sulla facoltà dell’“Intelletto”, che è una facoltà “attiva” (“spontanea”), nel
senso che non recepisce passivamente le rappresentazioni, ma le “produce”. L’intelletto è la
facoltà mediante la quale gli oggetti vengono “pensati concettualmente”, cioè elaborati
attraverso i 12 “concetti puri”. E poiché “pensare” significa “giudicare” (cioè collegare
concetti nei giudizi), l’intelletto è “facoltà di giudicare”.
L’intelletto produce la conoscenza intellettiva, che non è “intuitiva”, ma “concettuale”. E
poiché “sensibilità” e “intelletto” sono entrambi indispensabili alla conoscenza (“i concetti
senza intuizioni sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”), la “conoscenza
intellettiva” è una sintesi tra:
- la materia, costituita dalle “intuizioni” (fornite dalla sensibilità)
- le forme, che sono le 12 “categorie” (chiamate anche “concetti puri”).
Le categorie o concetti puri
I “concetti puri”, a differenza dei “concetti empirici” ricavati dall’esperienza, sono “forme a
priori” che appartengono all’Intelletto. Sono detti anche “categorie”, cioè predicati di un
giudizio: ma a differenza delle categorie aristoteliche, che erano principi logico-gnoseologici
e ontologici, quelle kantiane sono solo principi logico- gnoseologici.
Esse sono:
1) “Supreme funzioni unificatrici dell’intelletto”, perché hanno la funzione di “unificare” le
molteplici “intuizioni empiriche” date dalla “sensibilità” in una rappresentazione unica e
comune, permettendo all’Intelletto di formulare un giudizio.
2) “Predicati primi”, cioè i predicati fondamentali di un giudizio, che per la loro generalità
possono essere attribuiti ad ogni soggetto.
- Kant ricava le 12 categorie dagli altrettanti giudizi della tradizionale “logica generale”.
Infatti, poiché l’intelletto è “facoltà di giudicare”, e poiché giudicare significa attribuire un
predicato a un soggetto, ad ogni giudizio corrisponde una categoria. Come i giudizi, sono
classificate per quantità-qualità-relazione-modalità.
- le categorie di quantità
a) unità – b) pluralità – c) totalità (perché dal punto di vista quantitativo, una cosa o è una
sola, o una molteplicità di cose, o una totalità di cose).
- le categorie di qualità
a) realtà – b) negazione – c) limitazione (perché o si afferma che una cosa è reale, o si nega la
sua realtà, o si delimita e si specifica la sua realtà).
- le categorie di relazione
a) inerenza e sussistenza (=relazione tra una “sostanza”, che rimane identica a sé stessa, e gli
“attributi "mutevoli che ineriscono ad essa) –
b) causalità e dipendenza (= relazione di causa ed effetto) –
c) reciprocità di azione (=relazione tra due cose che agiscono e reagiscono l’una sull’altra).
- le categorie di modalità
a) possibilità – b) esistenza – c) necessità (perché o si afferma che una cosa è solo possibile, o
che esiste di fatto, o che esiste necessariamente).
Deduzione trascendentale
Consiste nel problema della “giustificazione” (= legittimazione) dell’”uso oggettivo” delle
categorie, ossia il problema della giustificazione della validità universale e necessaria (=
scientifica) delle conoscenze che l’iintelletto elabora applicando le categorie. Infatti, Kant usa
il termine “deduzione” in senso giuridico, cioè come “giustificazione della legittimità di
diritto di una pretesa di fatto”.
La “deduzione” non riguarda il “quid facti”, cioè il “fatto” che le categorie vengono
applicate, ma il “quid iuris”, cioè la giustificazione del “diritto” dell’intelletto di applicare le
categorie per una conoscenza scientifica: perché le categorie, pur essendo forme “soggettive”,
pretendono di avere un valore “oggettivo”, e quindi di essere applicate alla conoscenza della
natura?
La SOLUZIONE del problema della “Deduzione trascendentale” è l’”Io penso”: le categorie
appartengono a un “centro mentale” unico, universale ed autocosciente – l’”Io penso” – che
le unifica e le applica in tutte le menti umane allo stesso modo: quindi scetticismo e
relativismo sono superati, perché la conoscenza elaborata dalle categorie ha valore
“oggettivo”, sebbene limitato alla dimensione “fenomenica”.
l’io penso, Kant lo definisce:
1) “Suprema unità fondatrice della conoscenza”: le categorie “unificano” (= “sintetizzano”) il
molteplice dei dati empirici, ma sono a loro volta “unificate” dalla funzione unificatrice
suprema dell’Io. Quindi l’Io, essendo il punto di riferimento unico delle categorie, costituisce
il “principio fondativo supremo” della conoscenza.
2) “Unità sintetica originaria dell’autocoscienza”: l’Io penso è la “coscienza di sé” del
Soggetto, che quando pensa, applica le 12 categorie, unificando la loro attività. Kant dice:
“L’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, altrimenti la
rappresentazione di un oggetto sarebbe impossibile”: infatti, se io non avessi consapevolezza
di me stesso, non potrei cogliere le rappresentazioni come “mie”, e quindi non avrei nessuna
rappresentazione. In breve: non può esserci la rappresentazione di un oggetto, se non c’è un
io consapevole di produrla.
3) “Appercezione trascendentale: termine desunto da Leibniz, per il quale “appercezione” =
“autocoscienza”, ossia “percepire di percepire”. Quindi l’Io penso è “la coscienza di sé
dell’io”; “trascendentale” indica che l’autocoscienza non è quella dell’ “io empirico”, cioè
della mente del singolo individuo, ma è una struttura mentale unica e universale che è
comune a tutti gli uomini e in tutti applica le stesse categorie. Inoltre, l’Io penso non è né una
“sostanza spirituale” né un’”anima”, cioè non è un principio metafisico o religioso, ma è solo
una “funzione” gnoseologica.
In breve, il ruolo dell’”Io penso” è quello di:
1) unificare l’attività delle categorie,
2) dare alla mente la consapevolezza di sé,
3) conoscere universalmente.
Lo schematismo trascendentale
È la soluzione data da Kant al problema del “modo in cui le categorie (forme) possono essere
applicate alle intuizioni (materia)”: se le categorie e le intuizioni sono “eterogenee” (perché le
prime sono pure mentre le seconde hanno origine empirica), come può l’intelletto applicate le
sue categorie alle intuizioni?
Soluzione: Occorre un terzo termine, che abbia funzione mediatrice: cioè lo “schema
trascendentale”. L’intelletto, non potendo agire direttamente sugli oggetti della sensibilità,
agisce indirettamente su di essi tramite il tempo: e poiché il tempo è la forma a priori che
filtra tutti i dati dell’esperienza, quando l’intelletto “condiziona” il tempo, “condiziona”
anche gli oggetti che sono nel tempo.
L’intelletto, mediante la facoltà dell’”immaginazione produttiva”, “determina” il tempo
producendo gli “schemi”, corrispondenti ognuno ad una categoria.
L’IMMAGINAZIONE PRODUTTIVA è “la facoltà di rappresentare un oggetto, anche senza
la sua presenza nell’intuizione”. Essa produce “a priori” gli “schemi”.
Lo schema trascendentale li può definire come:
1) “Rappresentazione mediatrice” tra sensibilità e intelletto, ossia tra intuizioni e categorie;
non è l’immagine particolare di un oggetto, ma è una regola generale e a priori, un “modello”
(archetipo) per costruire l’immagine generale di un oggetto.
2) “Rappresentazione intuitiva di un concetto”, cioè la regola universale e a priori con cui
l’intelletto determina (condiziona) l’intuizione in base a una categoria.
3) “Determinazione a priori del tempo”: è la categoria tradotta in termini temporali.
Tavola degli Schemi, corrispondente alla Tavola delle Categorie:
1) Schema unico delle Categorie di Quantità: il “numero”, che è “la successiva addizione di
omogenei (cioè di unità) nel tempo”.
2) Schema unico delle Categorie di Qualità: la “cosalità”, specificata rispettivamente come
“presenza”, “assenza” o “intensità” dei fenomeni nel tempo.
3) Schemi delle Categorie di Relazione:
- “permanenza nel tempo "per la cat. di“Inerenza e sussistenza” (la sostanza permane); -
“successione nel ttempo” per la cat. di“Causalità e dip.” (l’effetto segue alla causa); -
“simultaneità nel tempo” per la cat. di “Reciprocità” (tra fenomeni simultanei).
4) Schemi delle Categorie di Modalità:
- “esistenza in un tempo qualsiasi” (il “possibile” può esistere in un tempo qualsiasi) -
“esistenza in un tempo determinato” (l’”esistente” esiste in un tempo determinato) -
“esistenza in ogni tempo” (un ente “necessario” esiste in ogni tempo)
I principi dell’intelletto puro e la fondazione della fisica
I “Principi dell’intelletto puro” sono le “regole dell’uso oggettivo delle categorie”, cioè le
regole a priori generali in base alle quali l’intelletto applica le categorie. Quindi sono anche le
leggi fondamentali e più generali della scienza della natura, corrispondenti ai principi
generali della fisica newtoniana: non sono leggi particolari, che derivano dall’esperienza, ma
la struttura basilare della fisica. Pertanto, risolvono il problema della fondazione della
scientificità della fisica (newtoniana).
In base ai 4 gruppi di categorie, Kant li divide in 4 gruppi:
1) “Assiomi dell’intuizione” (per la Quantità), dicono che “Tutti i fenomeni intuiti
costituiscono delle quantità estensive”, cioè sono delle “quantità” composte di “parti”
sommabili. Quindi è giustificata l’applicazione della matematica alla fisica.
2) “Anticipazioni della percezione” (per la Qualità), dicono che “Tutti i fenomeni percepiti
hanno una quantità intensiva”, cioè un’intensità suddivisibile in gradi. Quindi anch’essi
servono a giustificare l’applicazione della matematica alla fisica.
3) “Analogie dell’esperienza” (Relazione), dicono che “L’esperienza è una connessione
necessaria di fenomeni basata sui principi della permanenza della sostanza, della causalità e
dell’azione reciproca”. Quindi servono a giustificare a priori la possibilità della fisica di
formulare leggi universali e costanti.
4) “Postulati del pensiero empirico in generale” (Modalità), dicono che:
- “Un oggetto che si accorda con le condizioni formali dell’esperienza è “possibile”
- “Un oggetto che si accorda con le condizioni materiali dell’esperienza è “reale”
- “Un oggetto che si accorda con le condizioni universali dell’esp. è “necessario”. Servono a
descrivere il tipo di oggetto conosciuto dalla scienza della natura.
Dai Principi deriva la concezione della “Natura” come “conformità a leggi dei fenomeni” e la
concezione dell’“Io legislatore della natura”: la natura è un ordine universale e necessario di
fenomeni, strutturato in base a leggi generali che non derivano dall’esperienza, ma sono a
priori e quindi derivano dall’”Io penso”.
La mente non ricava le leggi dalla natura, ma impone le sue leggi alla natura (“Rivoluzione
copernicana”).
Quindi l’Io è il fondamento della scientificità della fisica: esso, applicando Spazio, Tempo,
Categorie, Schemi e Principi, formula quei “giudizi sintetici a priori” sui quali si fondano i
principi basilari della fisica newtoniana : esso ci garantisce che le leggi della scienza non
possano essere smentite dalla mutevolezza dell’esperienza, come invece sosteneva Hume.
Naturalmente Kant, dopo aver “fondato” la scienza, la “delimita” affermando che la sua
validità è circoscritta entro la dimensione “fenomenica”. Tale delimitazione avviene
distinguendo due usi delle categorie e definendo il “noumeno”.
L’uso empirico e uso trascendentale delle categorie
Questa distinzione consente a Kant di “delimitare” la conoscenza ottenuta mediante le
categorie.
• L’ “uso empirico” consiste nell’applicare le categorie all’esperienza, cioè al “fenomeno”: è
l’unico uso “legittimo” delle categorie, perché esse funzionano solo in rapporto al materiale
empirico.
• L’ “uso trascendentale” consiste nella pretesa di “trascendere il fenomeno” e applicare le
categorie alle “cose in sé stesse”, cioè là dove manca il materiale empirico: è un uso
“illegittimo” (e dà luogo solo al “pensare”, non al “conoscere”). Il limite della conoscenza è
insuperabile: essa (richiedendo sempre materia e forma) non può estendersi al di là
dell’esperienza.
La definizione del noumeno
Kant non ha mirato a ridurre tutta la realtà al “fenomeno”: infatti, nella seconda edizione
della CRP chiarisce che se esiste una realtà “per noi”, ossia fenomenica, dobbiamo ammettere
anche l’esistenza di una realtà “in sé”, altrimenti non potremmo spiegare la provenienza della
materia empirica della conoscenza. Tuttavia, questa realtà non è “conoscibile" ma solo
“pensabile” (perciò la chiama “noumeno”).
Kant distingue tra un significato “positivo” e uno “negativo” del noumeno:
a) Significato “positivo”: “il noumeno è l’oggetto di un’intuizione non sensibile ma
intellettuale”, dove “intuizione sensibile” è l’intuizione propria dell’uomo (che può cogliere
gli oggetti solo attraverso i dati empirici), mentre “intuizione intellettuale” è l’intuizione che
può appartenere solo a un’ipotetica Mente divina (che non ha bisogno dell’esperienza per
conoscere gli oggetti perché è essa stessa a crearli). Quindi questo significato “positivo” è
inaccessibile per l’uomo.
b) Significato “negativo” (l’unico legittimo per l’uomo): “il noumeno è ciò che non è oggetto
di alcuna esperienza umana”, ossia un’incognita meta-fenomenica: non tanto un oggetto
reale, quanto un “concetto-limite” costruito dalla mente per “delimitare” le pretese
conoscitive dell’intelletto (un “promemoria critico”, secondo Abbagnano, per ricordare
all’uomo la sua impossibilità di conoscere l’essenza della realtà).
Rimane irrisolta l’alternativa tra interpretazione “realistica” e interpretazione
“concettualistica” del noumeno (il noumeno è realtà o solo concetto mentale?), che porrà le
basi per il passaggio dal Criticismo all’Idealismo.
L’Idealismo, infatti, a partire da Fichte, mirerà ad “abolire” l’esistenza del noumeno come
realtà esterna all’Io e a ricondurre tutta la realtà all’attività creativa dell’Io, inteso come
Principio universale ed assoluto.
• LA DIALETTICA TRASCENDENTALE •
La Dialettica (seconda parte della Logica trascendentale) è l’indagine sulla “conoscenza
razionale”, cioè la conoscenza alla quale la ragione aspira quando “pretende” di trascendere
l’esperienza e conoscere la realtà come “totalità assoluta e incondizionata”.
Quindi è un’indagine sulla Metafisica, per comprendere se anch’essa possa essere “fondata”
come scienza.
Kant, ricollegandosi al significato negativo della dialettica usato da Aristotele
(=dimostrazione basata su premesse non vere ma probabili), definisce la dialettica “logica
della parvenza” (“l’arte sofistica di dare allapropria ignoranza, anzi alle proprie volute
illusioni, l’aspetto della verità”): quindi, una conoscenza illusoria (in cui la “sintesi”
conoscitiva non può realizzarsi per la mancanza della “materia” sensibile) che viene spacciata
per verità, e i cui errori devono essere smascherati.
La genesi della metafisica
La Metafisica nasce come un’ “esigenza naturale e insopprimibile della mente umana”: la
ragione umanaha una tendenza innata a non accontentarsi del mondo fenomenico e a sentirsi
attratta dall’ “Assoluto”, quindi tende a trascendere l’esperienza per arrivare a una
conoscenza “assoluta e incondizionata” della totalità della realtà (come la colomba si illude
che potrebbe volare più in alto, se non ci fosse la resistenza dell’aria). Il suo errore è la
pretesa di trasformare questa “esigenza naturale” in una conoscenza “fondata
scientificamente”.
Le idee trascendentali e i settori della metafisica
Le “idee trascendentali” sono le tre forme a priori applicate della “Ragione”.
Kant usa “idea” in senso platonico, cioè come un concetto che trascende l’esperienza. Le tre
“idee” corrispondono a tre tipi di “totalità”:
1. L’idea dell’Io o anima, che comprende la totalità assoluta dei fenomeni interiori e su cui si
fonda il primo settore della metafisica, cioè la “Psicologia razionale”.
2. L’idea del mondo, che comprende la totalità assoluta dei fenomeni esterni e su cui si fonda
la “Cosmologia razionale”.
3. L’idea di Dio, che si riferisce alla totalità per eccellenza, cioè al fondamento di tutto ciò
che esiste, e da essa deriva la “Teologia razionale”.
La critica della psicologia razionale
Essa si fonda su un “paralogismo”, cioè su un “ragionamento sbagliato”, che consiste
nell’applicare la categoria di “sostanza” all’”Io penso”, trasformandolo da semplice funzione
logica “formale” o “attività pensante”, in una “sostanza” permanente, immateriale e
incorruttibile chiamata “anima”.
La conclusione di Kant è l’“agnosticismo”: noi non possiamo conoscere il nostro io “in sé”,
nella sua essenza (l’”io noumenico”), ma solo l’io come “appare” a noi mediante le forme a
priori (l’“io fenomenico”).
La critica della cosmologia razionale
Poiché la “totalità” dei fenomeni naturali non può mai essere per noi oggetto di esperienza, la
“Cosmologia razionale” approda a delle “antinomie” insolubili, cioè coppie di proposizioni
opposte, di cui la “tesi” afferma e l’”antitesi” nega, senza che la ragione possa decidere e
scegliere, perché manca la “pietra di paragone” dell’esperienza.
- Kant elenca 4 antinomie:
Tesi: “Il mondo ha un inizio nel tempo e un limite nello spazio”; Antitesi: “Il mondo è
infinito-illimitato nel tempo e nello spazio”.
Tesi: “Nel mondo ogni sostanza è composta di parti semplici e indivisibili”; Antitesi: “Nel
mondo tutto è divisibile all’infinito”.
Tesi: “Nel mondo, oltre alla necessità del determinismo causale, esiste la libertà”; Antitesi:
“Nel mondo non esiste la libertà, ma tutto è soggetto alla necessità”.
Tesi: “Nel mondo, oltre agli esseri contingenti esiste anche un Essere necessario”; Antitesi:
“Nel mondo non esiste un Essere necessario, ma tutto è contingente”.
La critica della teologia razionale
Kant critica le tradizionali dimostrazioni razionali dell’esistenza di Dio, classificandole in tre
gruppi:
1) Prova ontologica (S. Anselmo e Razionalisti): per K. l’”esistenza reale” non si può dedurre
dall’”esistenza logica”, perché essa non è un semplice “attributo” logico ma un “fatto
esistenziale” concreto, che può essere colto solo attraverso l’esperienza.
2) Prova cosmologica (ex-causa ed ex-contingentia di S. Tommaso):
Kant afferma che questa prova deriva da un uso “illegittimo” della categoria di causalità,
consistente nell’applicarla arbitrariamente ad una realtà meta-fenomenica.
3) Prova fisico-teleologica (ex-fine di S. Tommaso), Kant afferma:
• l’ordine della natura potrebbe derivare dalle leggi della natura stessa anziché da un Ente
assoluto;
• l’ordine della natura può autorizzarci, al limite, a pensare a un dio “architetto” (ordinatore)
del mondo, ma non a un dio “creatore”;
• l’ordine della natura deriva dall’applicazione delle nostre categorie, quindi riguarda solo la
realtà fenomenica.
Agnosticismo
È la conclusione a cui Kant arriva riguardo alle presunte certezze della metafisica: non è
agnosticismo “volgare”, come incapacità di decidersi o indifferenza, ma “agnosticismo
critico”, in quanto fondato sulla “dell'imitazione” delle capacità conoscitive della mente.
È l’unica soluzione applicabile in sede gnoseologica, che però non preclude a Kant la
possibilità di arrivare all’esistenza dell’anima e di Dio per altre vie, non conoscitive (cioè le
“postulazioni” morali della seconda Critica).
La funzione regolativa delle idee
Sebbene le tre “idee trascendentali” non possano avere una “funzione costitutiva di
conoscenza”, Kant attribuisce loro un’utile “funzione regolativa”, come “guida” per la
conoscenza: noi dobbiamo continuare ad usarle “come se” potessero produrre conoscenza,
perché ci permettono di far progredire le nostre conoscenze, di unificarle e organizzarle
sistematicamente.
La nuova metafisica critica
Kant non intende sopprimere la Metafisica, perché essa rimane un’”esigenza insopprimibile”
della mente umana, radicata nella sua “vocazione” all’Assoluto. Perciò vuole sostituire alla
vecchia Metafisica “dogmatica” una Metafisica “critica”, intesa come “scienza dei concetti
puri”, articolata in:
• una “Metafisica della natura” (indaga sui principi a priori della conoscenza fisica) • una
“Metafisica dei costumi” (indaga sui principi a priori della morale).

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