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Immanuel Kant

Nasce a Königsberg nel 1724 da una famiglia di artigiani. Viene educato secondo i principi morali
del pietismo (religiosità interiore, severo rigore morale). Studia filosofia, fisica, matematica e
teologia all’Università di Königsberg. Svolge l’attività di precettore privato dal 1755 e dal 1770
ottiene una cattedra nella sua città natale per l’insegnamento della metafisica.

In tema politico, Kant manifesta idee liberali e simpatizza con la rivoluzione francese: nello scritto
Per la pace perpetua (1795) auspica la costituzione di una federazione di repubbliche, con lo scopo
di respingere per sempre la guerra come strumento di risoluzione delle controversie
internazionali.
La vita di Kant è trascorsa interamente a Königsberg ed è tutto sommato priva di avvenimenti
significativi: Kant fu un uomo straordinariamente abitudinario, tanto che si dice che gli abitanti
della città fissassero l’orologio quando Kant passava davanti alla loro casa, per la passeggiata
pomeridiana.

Ebbe uno scontro con il re di Prussia Federico Guglielmo II a causa dello scritto La religione nei
limiti della pura ragione, nel quale Kant tese a svalutare i riti religiosi: per Kant la religione si basa
solo sulla fede razionale e l’unica forma di culto possibile è la vita morale. Il re gli impedì di
diffondere queste sue idee in sede di insegnamento.
A 72 anni lascia l’insegnamento, e muore nel 1804, a 80 anni.

L’ATTIVITÀ FILOSOFICA DI KANT


Questa può essere suddivisa in tre periodi:
- Periodo naturalistico (fino al 1760): prevale nel filosofo l’interesse per la natura; Kant si
occupa di cosmologia e ipotizza l’origine del sistema solare e degli altri corpi celesti. In
questo periodo è influenzato dalla metafisica di Leibniz e del suo discepolo Christian Wolff.
- Periodo pre-critico (fino al 1781), nel quale diviene predominante l’interesse filosofico.
Kant riconosce la validità del pensiero empirista e si distacca da Leibniz, oltre ad attaccare
la metafisica Wolffiana.
- Periodo critico: inizia con il 1781, anno di pubblicazione della Critica della ragion pura. Tra
le opere fondamentali di questo periodo vi sono anche la Critica della ragion pratica, nella
quale Kant allarga la prospettiva critica alla morale, e la Critica del giudizio, dedicata al
problema estetico e al sentimento. Altra opera fondamentale di questo periodo è
l’opuscolo Che cos’è l’Illuminismo, dove Kant sostiene che il carattere fondamentale
dell’illuminismo sia la capacità di far uso del proprio intelletto, senza sottostare a nessuno.

L’ITINERARIO FILOSOFICO KANTIANO


Nella parte della Dottrina trascendentale del mondo nella prima Critica, Kant specifica i tre
problemi filosofici fondamentali che si pone l’uomo: “Che cosa posso sapere?” (problema
conoscitivo o gnoseologico, Critica della Ragion Pura), “Che cosa devo fare”, “Che cosa ho diritto di
sperare” (problema morale, problema religioso, Critica della Ragion Pratica).
Prima di esaminare la Critica della Ragion Pura è necessario ripercorrere il suo percorso filosofico.
Kant, come detto, esordisce con i suoi scritti di carattere scientifico, tra cui Storia universale della
natura e teoria del cielo, nella quale Kant formula una teoria della formazione del cosmo, per anni
passata inosservata ma poi ritenuta molto simile alla teoria del fisico francese Lapalace.
Pur basandosi su principi ispirati alla meccanica di Newton, l’opera è un passo avanti rispetto alle
teorie del fisico inglese in quanto non viene più citato l’intervento di Dio nella regolazione dei
movimenti celesti, ma si afferma che questi siano il prodotto delle leggi naturali.
Negli anni Sessanta iniziano a prevalere gli interessi filosofici, con una serie di scritti che
testimoniano l’insoddisfazione di Kant per la metafisica, definita un “abisso senza fondo”.
Kant, nella Critica della ragion pura, affronterà il classico problema della dimostrazione
dell’esistenza di Dio, respingendo la prova a priori di Anselmo d’Aosta.
Nel saggio Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica è evidente l’insofferenza per
questa dottrina filosofica: quivi si scaglia contro Emanuel Swedenborg, ma anche contro la
metafisica di Wolff. Kant manifesta sfiducia nelle indagini metafisiche perché ritiene che l’unico
saldo terreno su cui muoversi debba essere il mondo dell’esperienza, pur affermando che un
tempo egli anche era affascinato dalla metafisica (teorie di Hume).
La metafisica che egli ama, tuttavia, non va intesa come conoscenza delle realtà ultrasensibili,
bensì come scienza dei limiti della ragione umana, volta a stabilire come il nostro sapere possa
giungere a risultati sicuri.

Nella Dissertazione, scritto kantiano più importante prima delle critiche, Kant introduce vari
concetti che saranno ripresi nella prima critica: introduce la distinzione tra conoscenza sensibile e
conoscenza intelligibile. La sensibilità ci fa conoscere le cose non come sono davvero, ma come ci
appaiono, ossia come fenomeni (dal greco apparire), sulla base di forme conoscitive che sono
proprie della nostra mente, quali lo spazio e il tempo. L’intelletto, invece, ci consente di conoscere
il noumeno (cioè la realtà pensata, dal greco pensare), cioè le cose come sono in sé stesse.
Kant nella prima critica arriverà ad escludere che il nostro intelletto possa penetrare il mondo
noumenico, eliminando così ogni possibilità residua di conoscenza metafisica della realtà in sé.

LA CRITICA DELLA RAGION PURA

L’INFLUENZA DI HUME
Kant ammette apertamente il ruolo della filosofia di Hume sul suo percorso filosofico: Kant
sostiene infatti di essere stato “destato dal suo sonno dogmatico” (le teorie metafisiche) proprio
grazie alla conoscenza della filosofia di Hume. Kant perde quindi fiducia nella metafisica intesa
come studio delle realtà soprasensibili. Kant afferma che la storia stessa della metafisica giustifica i
dubbi sulla sua validità: se sui principi matematici e scientifici c’è accordo universale, non c’è per
nulla accordo sulle proposizioni della metafisica: il fatto che esista più di un sistema metafisico fa
dubitare che si possa costituire la metafisica come scienza.
Kant tuttavia, pur concordando con le teorie di Hume sulla metafisica, va in contrasto con le sue
teorie sulla scienza: il filosofo scozzese ritiene che le leggi della fisica newtoniana non abbiamo
valore assoluto, in quanto si basano sul principio di causalità che, per Hume, non è valido in modo
necessario. Kant ammette invece la validità assoluta della fisica newtoniana.

LE TRE DOMANDE DELLA CRITICA DELLA RAGION PURA


1. Su che cosa si fonda la validità universale e necessaria della matematica (aritmetica e
geometria)?
2. Su che cosa si fonda la validità universale e necessaria della fisica?
3. È possibile la metafisica come scienza?
Per rispondere a questi quesiti Kant intuisce una critica della ragione che stabilisca le possibilità e i
limiti della ragione stessa, le sue capacità conoscitive e i suoi limiti invalicabili.
La filosofia di Kant è detta criticismo (critica da crino, “valuto”), dove la parola critica significa
etimologicamente “giudizio”, in questo caso “valutazione” del nostro modo di conoscere, allo
scopo di determinarne le leggi, i valori e i limiti.
Rispetto al lavoro svolto da Locke sulle facoltà conoscitive, di tipo descrittivo in quanto esamina di
fatto ciò che la ragione conosce e non conosce, il lavoro di Kant è teso a stabilire ciò che di diritto
la ragione può o meno conoscere e il suo obiettivo è dimostrare perché la ragione ha certe
possibilità e perché possiede certi limiti (come mai scientifica si e metafisica no).

Evidenti sono anche i rapporti di Kant con l’Illuminismo: Kant condivide la fiducia nella ragione e la
consapevolezza dei suoi limiti: la ragione, sia secondo Kant che secondo gli illuministi, non può
oltrepassare l’esperienza per costituire una metafisica.
Ma Kant non vuole “criticare” il mondo alla luce della ragione, come gli illuministi, ma vuole
portare davanti al tribunale della ragione la ragione stessa, in modo che possa essere giudicata
per comprenderne possibilità e limiti.

I GIUDIZI IN KANT
Un “giudizio” è una proposizione che attribuisce un predicato ad un soggetto. Kant distingue fra
tre tipi di giudizi: i giudizi analitici a priori, quelli sintetici a posteriori e quelli sintetici a priori.

GIUDIZI ANALITICI a priori


I giudizi analitici a priori, tipici dei razionalisti, sono quelli in cui il predicato è contenuto nel
soggetto, per cui “analizzando” il soggetto è possibile trarre il predicato. Essi sono veri a priori,
cioè indipendentemente dall’esperienza, in virtù del solo significato dei termini usati e dal
principio di identità (per cui A è uguale ad A), dato che in essi il predicato è sostanzialmente
identico al soggetto. A priori significa “a partire da ciò che precede” e sta quindi ad indicare una
conoscenza che proviene da ciò che è prima dell’esperienza.

Un esempio di enunciato analitico a priori fornito dallo stesso Kant è “Tutti i corpi sono estesi”.
Si tratta di un giudizio analitico perché il concetto di “estensione”, che funge da predicato, è
contenuto nel concetto di “corpo”, che funge da soggetto, in quanto è implicito nella sua
definizione.
Il giudizio è poi a priori perché quando lo enuncio non ho bisogno di controllare caso per caso
nell’esperienza la verità di tale enunciazione. Sono certo della sua verità in virtù della parola
“corpo”, dato che per corpo si intende “ciò che è esteso”.

In quanto giudizi analitici sono dotati di universalità e necessità, ma non ampliano la conoscenza,
in quanto il predicato che viene attribuito al soggetto è contenuto nel soggetto stesso.

GIUDIZI SINTETICI a posteriori


I giudizi sintetici a posteriori, tipici degli empiristi, sono le proposizioni il cui predicato non è
contenuto nel soggetto, ma si “aggiunge” ad esso (la parola sintesi significa aggiunzione).
È una proposizione estensiva del sapere, in cui il predicato non è incluso nel soggetto. Si tratta di
un giudizio a posteriori poiché la sua verità è attestata dall’esperienza.

Un esempio di questo tipo di giudizio è “Tutti i corpi sono pesanti”.


È sintetico poiché il concetto di pesante (predicato) non può essere ricavato per pura analisi dal
soggetto (corpo), poiché il concetto di corpo contiene in sé stesso solo il concetto di estensione,
non quello della pesantezza.
Tale giudizio è a posteriori perché non ho altro modo se non quello di ricorrere all’esperienza per
stabilirne la veridicità.
Questi giudizi ampliano la nostra conoscenza, ma essendo basati sull’esperienza non risultano
universali e necessari, dato che un sapere esclusivamente empirico non può condurre
all’universalità e alla necessità, come dimostrato da Hume.

GIUDIZI SINTETICI a priori


I giudizi sintetici a priori sono gli unici in grado di costituire una vera scienza, in quanto uniscono in
sé l’universalità e la necessità dei giudizi analitici a priori (in virtù della loro forma a priori) con
l’estensione della conoscenza data dai giudizi sintetici a posteriori (In virtù del loro carattere
sintetico).

Kant afferma che giudizi di questo tipo esistono e sono le leggi della matematica (aritmetica e
geometria) e della fisica newtoniana.
Tutte le operazioni matematiche, per Kant, sono sintetiche a priori: “7+5=12” è sintetico perché il
concetto del soggetto non racchiude altro che l’unione di due numeri in uno solo, senza che però
venga assolutamente pensato quel sia questo numero che raccoglie gli altri due: non contiene in
concetto del predicato (e quindi non è analitico).
La connessine tra i due rimane tuttavia a priori, perché noi abbiamo la certezza interiore che 7+5
farà sempre 12, universalmente e necessariamente, mentre le conoscenze che derivano
dall’esperienza (a posteriori) ci informano solo del passato e non ci possono fornire garanzie sul
futuro.

Sintetiche a priori sono anche le leggi della geometria, come “La retta è la linea più breve fra due
punti”. Questa proposizione è sintetica poiché il concetto del predicato non può essere ricavato
analiticamente dal soggetto (la brevità non è contenuta nella definizione di retta).
Il giudizio è a priori perché non c’è dubbio che valga universalmente e necessariamente.

Sono sintetiche a priori anche le leggi della fisica come “Tutto ciò che accade ha una causa”.
Anche questa legge, sebbene sintetica (nel concetto di qualcosa che accade non è compreso il
concetto di causa), vale necessariamente a priori. Infatti, di fronte a un fenomeno, è vero che io
non so a priori quale sia la causa scatenante, ma sono consapevole che tale fenomeno possiede
comunque una causa.

La spiegazione di come siano possibili i giudizi sintetici a priori, e quindi di come sia possibile che
un enunciato abbia i caratteri di necessità ed universalità nonostante la propria sinteticità, è
spiegata da Kant in quella che lui chiama la rivoluzione copernicana da lui introdotta in ambito
filosofico.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
Conoscere, secondo Kant, non è un puro ricevere i dati sensibili e registrarli passivamente.
Conoscere infatti consiste nel ricevere i dati sensibili, ma anche nell’ordinarli secondo regole (che
Kant chiama forme) proprie del nostro apparato mentale.
Dal mondo esterno ricaviamo la materia (il contenuto della conoscenza), mentre la sistemazione
dei dati sensibili nello spazio e nel tempo e i concetti generali (categorie) per mezzo dei quali
pensiamo l’esperienza e con i quali mettiamo in relazioni i dati sensibili, sono imposti dalla mente
umana.
Per esempio il concetto di causa è una categoria che non è tratta dall’esperienza, ma che
possediamo a priori e grazie alla quale ordiniamo i fenomeni della natura. Spazio, tempo e
categorie sono “forme” proprie della nostra mente, poiché sono la “forma” (ordine) che diamo
alla materia (contenuto) della nostra conoscenza.

Tali forme sono pure, a priori rispetto all’esperienza. Sono definite da Kant “trascendentali”,
termine che nel lessico kantiano va inteso come ciò che risulta indipendente dall’esperienza, ma
che si manifesta solo nell’esperienza.
Lo spazio e il tempo, ad esempio, sono trascendenti in questo senso: non sono ricavate
dall’esperienza, ma tuttavia si manifestano solo nell’esperienza. Indipendentemente dai dati
dell’esperienza, le forme a priori dello spazio e del tempo non sono nulla, essendo queste solo
mezzi operativi tramite i quali si attua l’esperienza.
Le forme di cui parla Kant vanno infine distinte dalle idee innate di Cartesio: queste ultime hanno
un contenuto, sono oggetti di conoscenza, mentre le forme a priori di Kant sono ciò attraverso cui
si conosce, e quindi sono semplicemente mezzi di conoscenza.

Con la sua teoria della conoscenza, Kant ritiene di aver operato in filosofia una rivoluzione
copernicana: prima di Copernico si riteneva che il Sole girasse intorno alla Terra, e Copernico ha
invertito il rapporto Terra-Sole.
Come lo scienziato ha capovolto il rapporto Terra-Sole, allora anche Kant ha capovolto il rapporto
soggetto-oggetto: prima di Kant si pensava che la conoscenza fosse un modellarsi del soggetto
sull’oggetto, mentre invece per Kant la conoscenza è un modellarsi dell’oggetto sul soggetto,
l’oggetto conosciuto che si adatta al soggetto conoscente. I dati sensibili si modellano sulle forme a
priori attraverso cui noi le percepiamo.
[Critica ragion pura -> esame delle forme pure della nostra ragione. Giudizi sintetici a priori di
aritmetica e geometria basati sulle forme pure a priori dello spazio e del tempo, mentre i giudizi
sintetici a priori della fisica fondati sulle categorie.]

ESTETICA TRASCENDENTALE: LO SPAZIO E IL TEMPO


L’attività della ragione (della nostra facoltà conoscitiva) si esplica in tre gradi: l’intuizione sensibile,
ossia la conoscenza dei dati forniti dai sensi, senza rielaborazione; l’intelletto, cioè il pensare
mediante concetti e infine la ragione.
In corrispondenza dei tre gradi della nostra facoltà conoscitiva è possibile distinguere tre parti
nella Critica della ragion pura:
- Estetica trascendentale, che studia le forme pure dell’intuizione sensibile (spazio e tempo);
- Analitica trascendentale, che studia le forme pure dell’intelletto (categorie);
- Dialettica trascendentale, che studia le forme pure della ragione, ossia le idee di Dio,
dell’anima e del mondo.
L’analitica e la dialettica rappresentano la Logica trascendentale.

L’Estetica trascendentale esamina, come detto, le forme pure dell’intuizione sensibile. La parola
estetica è utilizzata in virtù del suo significato etimologico (sensazione). In questa parte della
Critica Kant afferma che la sensibilità segna l’inizio del conoscere e consiste nel ricevere i dati
sensibili.
All’oggetto è dovuto il contenuto della conoscenza, mentre noi forniamo la sistemazione nello
spazio e nel tempo. Spazio e tempo sono chiamati da Kant intuizioni pure, forme a priori
dell’intuizione sensibile. Lo spazio è la forma a priori del senso esterno e rende possibile la
conoscenza degli oggetti esterni, il tempo è la forma a priori del senso interno e rende possibile la
conoscenza dei nostri stati d’animo.
A giudizio di Kant, spazio e tempo sono un modo nostro di intuire le cose e non hanno realtà al di
fuori di noi: questa è una teoria del tutto in contrasto con quanto affermato da filosofi e scienziati
prima di Kant, i quali ritenevano spazio e tempo realtà oggettive, indipendenti dal soggetto
conoscente.
Secondo Kant queste sono le due forme attraverso le quali siamo programmati a percepire le cose.
Come se portassimo un paio di occhiali con le lenti blu: il blu delle lenti si proietterebbe sulle cose
viste, così che noi saremmo portati a credere nell’oggettività degli oggetti blu.
Analogamente, le cose ci sembrano immerse nello spazio e nel tempo, ma siamo noi a proiettare
su di loro l’ordine spaziale e temporale. Senza gli umani lo spazio e il tempo non sussisterebbero.

LA CONCEZIONE KANTIANA DI SPAZIO E TEMPO


Per Kant lo spazio e il tempo non possono essere delle rappresentazioni empiriche, ricavate
dall’esperienza: essi non sono la conseguenza dell’esperienza, bensì il presupposto.
Non ci si forma la rappresentazione dello spazio osservando gli oggetti esterni e prescindendo
dalle loro caratteristiche qualitative, in modo da conservare solo il concetto delle tre dimensioni.
Infatti, per rappresentarmi un oggetto come esterno devo già possedere l’intuizione dello spazio,
che quindi è un presupposto dell’esperienza.
Allo stesso modo il tempo non può derivare dall’esperienza di fenomeni fra loro successivi,
conservando solo il concetto del prima e del poi, perché la successione presuppone già il tempo.
Spazio e tempo sono quindi condizioni a priori dell’esperienza.

Nell’Estetica trascendentale Kant distingue poi tra una sensibilità esterna, che consiste nella
conoscenza dei dati sensibili esterni, e una sensibilità interna, che consiste della conoscenza dei
dati sensibili a noi interiori, come le emozioni.
Lo spazio è la forma a priori della sensibilità esterna, mentre il tempo lo è di quella interna, in
quanto non possiamo percepire nessun fatto psichico senza collocarlo in un determinato
momento.
Il senso interno è più ampio di quello esterno in quanto anche ciò che si conosce con il senso
esterno viene vissuto nel senso interno e quindi collocato nel tempo.
Le cose del mondo esterno sono dunque collocate sia nello spazio che nel tempo.

Sulla forma a priori dello spazio si fondano i giudizi sintetici a priori della geometria, sulla forma a
priori del tempo si fondano i giudizi sintetici a priori dell’aritmetica, che esprime le relazioni
temporali (la successione di numeri a seconda di un prima e di un poi).

ANALITICA TRASCENDENTALE: LE CATEGORIE


All’Estetica segue l’Analitica trascendentale, che analizza le forme pure dell’intelletto.
Secondo Kant, dopo che il materiale sensibile è sistemato nello spazio e nel tempo, esso viene
pensato dall’intelletto (facoltà con la quale il pensiero elabora i dati dell’intuizione sensibile già
spazializzati e temporalizzati), che lo ordina secondo le dodici categorie.

Le categorie sono modi nostri di pensare i dati sensibili già spazializzati e temporalizzati. Vengono
chiamati concetti puri poiché si tratta di concetti a priori, in quanto i concetti, ad esempio, di
“causa”, “necessità” non derivano dall’esperienza, ma la precedono.
Kant elenca 12 categorie, divise in 4 gruppi di 3 (quantità, qualità, relazione e modalità).
Pensare significa mettere sempre in funzione una o più categorie.
Kant riprende il termine “categorie” dalla tradizione aristotelica, attribuendogli tuttavia un
significato esclusivamente gnoseologico e non ontologico. Per Aristotele le categorie costituiscono
i concetti generali a cui si possono riportare tutti gli altri concetti pensati dall’uomo, ma sono
anche proprietà delle cose, non soltanto modi nostri di pensare.
Per Kant, invece, le categorie sono esclusivamente concetti puri dell’intelletto, non esistono come
aspetti della realtà.
Le categorie kantiane sono 12 perché riprese dalla filosofia del tempo: i modi di pensare saranno
ricavati dai tipi fondamentali di proposizioni, che nella logica scolastica erano 4: quantità, qualità,
relazione e modalità, con tre possibili forme di enunciati a testa.

Partendo dagli enunciati, Kant deduce le categorie, ad esempio, della modalità dalla classificazione
degli enunciati: il giudizio problematico “A può essere B” diventa la categoria della possibilità, il
giudizio esistenziale “A è B” diventa la categoria dell’esistenza e quello apodittico “A dev’essere B”
diventa la categoria della necessità e così via.

Sulle categorie della relazione (sostanza, causa e azione reciproca) si fondano i giudizi sintetici a
priori della fisica.

Per quanto riguarda la causalità, per Kant è l’antecedente necessario di un fenomeno: secondo
Kant, conosciamo i fenomeni inquadrati causalmente non perché il legame causa effetto sussista
nelle cose stesse, ma perché è il nostro intelletto a collegare in questo modo i fenomeni quando li
conosce.
Il nesso causale risulta per Kant oggettivamente valido perché la causalità è una categoria che gli
uomini applicano ai fenomeni necessariamente e universalmente. In questo modo Kant pensa di
aver superato la critica radicale di Hume, che invece ha negato il valore universale e necessario
della causalità, ritenendola il frutto di un’associazione dettata dall’abitudine.

L’IO PENSO
Dopo aver distinto le 12 categorie, Kant osserva che, attraverso di esse, si manifesta un’unica
attività fondamentale dell’uomo, ovvero la funzione del pensare, che egli chiama Io penso.
L’Io penso si può identificare con la razionalità umana, che si articola nelle 12 categorie. È la
razionalità comune a ogni essere pensante: l’io penso è quindi una funzione intersoggettiva,
comune a tutti gli uomini in quanto capaci di pensare.

L’Io penso è detto da Kant anche appercezione trascendentale, cioè autocoscienza trascendentale
poiché è un’attività consapevole di sé stessa: in ogni nostro pensiero abbiamo la piena
consapevolezza di essere noi a pensarlo.

L’appercezione trascendentale garantisce l’unità della mia esperienza interna, in quanto tutti i
pensieri che concepisco, pur essendo diversi, sono unificati dal fatto che sono miei.
Allo stesso modo garantisce l’unità dell’esperienza esterna: l’Io penso, tramite le categorie, unifica
in un unico oggetto i molteplici dati sensibili esterni. È sempre l’Io penso che collega fra loro i vari
oggetti nel sistema della natura, per esempio attraverso la categoria di causa ed effetto.

L’Io penso è definito da Kant legislatore della natura, perché impone le sue leggi ai dati sensibili,
dando ordine ed unità all’esperienza. Tutti i filosofi e gli scienziati precedenti a Kant affermavano
che la natura avesse le sue leggi e fosse compito dell’uomo scoprirle, mentre ora Kant ritiene che
lo scienziato crede di scoprire leggi della natura, ma in realtà non sono altro che leggi del nostro Io,
che trasferiamo sulla realtà nell’atto in cui la conosciamo
L’Io penso tuttavia non è creatore, perché riceve i dati sensibili e non li crea.

Rispetto alla res cogitans cartesiana l’Io penso non è una realtà trascendente, in quanto in assenza
dell’esperienza questa non sussiste, a differenza della res cogitans che sussisteva al di fuori
dell’esperienza come fosse un’anima immateriale.

LA DEDUZIONE TRASCENDENTALE DELLE CATEGORIE


La dottrina dell’Io penso si trova al centro di quella che Kant chiama deduzione trascendentale
delle categorie, dove il significato di deduzione è tratto dal lessico giuridico: deduzione significa
“giustificazione di un certo diritto, di una certa pretesa”.
Il problema che si pone Kant è: perché le categorie pretendono di valere anche per gli oggetti
dell’esperienza, che cosa ci assicura che la natura obbedirà ad esse, manifestandosi,
nell’esperienza, secondo le nostre maniere di pensarla?
La risposta che da Kant è che senza le categorie, e l’unità dell’Io penso, i dati sensibili
risulterebbero così caotici che non costituirebbero affatto oggetti d’esperienza. Le categorie,
quindi, saranno sempre confermate dall’esperienza perché sono indispensabili al suo stesso
costituirsi.
La deduzione trascendentale, oltre a questo compito di giustificazione, svolge anche il compito di
indicare quale sia il corretto ambito di applicazione dei concetti puri: l’analisi si conclude con
l’affermazione che le categorie possono essere impiegate in maniera produttiva solo in riferimento
ai dati sensibili intuiti spazialmente e temporalmente e mai al di là dell’esperienza.

Nell’Analitica Kant si pone anche il quesito: in base a quale criterio una certa categoria viene
applicata a determinate intuizioni sensibili (lampo tuono causa effetto e non cinguettio tuono).
Secondo Kant deve esistere un ponte fra le intuizioni sensibili e le categorie, un termine
intermedio che, rielaborandole, predisponga le sensazioni in un certo modo e che orienti
l’applicazione dei concetti puri in un certo modo.
Questo termine è costituito dagli schemi trascendentali, rapporti temporali frutto della cosiddetta
immaginazione produttiva, una facoltà inconscia che Kant ritiene intermedia fra la sensibilità e
l’intelletto. Quest’ultima predispone i dati sensibili in successione irreversibile nel tempo, o li
predispone come permanenti nel tempo o in simultaneità.
Questi rapporti temporali sono gli schemi trascendentali e costituiscono una preparazione alle
categorie.
La categoria di causa si applica ai dati sensibili attraverso lo schema della successione irreversibile
nel tempo (causa precede sempre effetto). A seguito della schematizzazione in successione
irreversibile del lampo e del tuono ad opera dell’immaginazione produttiva io posso applicare a
questi due fenomeni la categoria di causa ed effetto.

I PRINCIPI DELL’INTELLETTO PURO


L’Io penso, dunque, dispone di 12 categorie che applica all’intuizione sensibile attraverso la
mediazione degli schemi trascendentali: qesta applicazione avviene secondo alcune regole, dette
da Kant principi dell’intelletto puro. Kant li classifica in 4 gruppi, uno per ogni tipo di categoria:
- Gli assiomi dell’intuizione, corrispondenti alla quantità;
- Le anticipazioni della percezione, qualità;
- Le analogie dell’esperienza, relazione;
- I postulati del pensiero empirico, modalità.
Per quanto riguarda le analogie dell’esperienza (relazione), i tre principi sono:
- Il principio della permanenza della sostanza, secondo cui in ogni cambiamento dei
fenomeni la sostanza permane e la sua quantità non muta. È per Kant un concetto sintetico
a priori, e la prova di questo può essere ricavata dalla fisica matematica: se un fisico
volesse accertare il peso del fumo egli lo accerterebbe pesando una certa sostanza prima
della combustione e sottraendo poi il peso delle ceneri. Procedendo in questo modo, il
fisico presuppone implicitamente la permanenza della sostanza e l’indistruttibilità della
massa.
- Il principio di causalità, secondo cui tutti i mutamenti avvengono secondo la legge della
connessione di causa ed effetto: i principi dell’intelletto puro sono formali, generalissimi; lo
scienziato sa a priori che ogni fenomeno è scatenato da una causa, ma per trovare a causa
particolare avrà bisogno di osservare il fenomeno specifico.
- Il principio dell’azione reciproca, secondo cui tutte le sostanze, in quanto percepibili nello
spazio come simultanee, si trovano fra loro in un’azione reciproca universale.

FENOMENO E NOUMENO
Kant conclude l’Analitica trascendentale distinguendo tra fenomeno e noumeno.
Il fenomeno (dal greco ciò che appare, che si manifesta) è per Kant la realtà come ci appare,
l’oggetto conosciuto attraverso le nostre forme a priori.
Il noumeno è, invece, la realtà com’è in sé stessa, al di fuori dello spazio, del tempo e delle dodici
categorie, e dalla quale provengono i dati sensibili.
Analizzando il primo livello della conoscenza, la sensibilità o sensazione, Kant rileva ce, nel
costituire la natura, lo spirito umano non pone di suo che la forma, mentre il materiale della
conoscenza è ricevuto. I dati sensibili, in quanto ricevuti, presuppongono l’esistenza di un oggetto
in sé esistente, da cui partano le azioni che generano la nostra sensazione. Questa realtà distinta
dal soggetto è chiamata cosa in sé o noumeno

Il termine noumeno alla lettera significa “ciò che è pensato”, senza essere per questo
“conosciuto”. Per Kant il noumeno è infatti un’incognita, ipotizzabile ma mai effettivamente
conoscibile, in quanto noi non possiamo conoscere le cose come sono in sé stesse
indipendentemente dalle nostre forme pure.
Il noumeno è quindi un concetto limite, nel senso che limita le nostre pretese conoscitive
restringendole all’esperienza.
Il noumeno limita la nostra conoscenza sensibile, ricordandoci che ciò che viene dato nella
sensibilità non è la realtà in se ma il fenomeno, e limita la nostra conoscenza intellettuale perché
ricorda che l’intelletto può solo pensare la cosa in sé, non conoscerla.

La cosa in sé potrebbe essere conosciuta solo da un intelletto diverso dal nostro, per esempio da
una possibile intelligenza divina, attraverso un’intuizione intellettuale, un tipo di conoscenza
extra-fenomenica che avviene senza la mediazione delle forme trascendentali di spazio, tempo e
categorie.
Quando invece l’uomo pretende di accedere alla cosa in sé con gli strumenti che ha a disposizione,
cade inevitabilmente negli errori della metafisica, trattati da Kant nella Dialettica trascendentale.

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