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Il Mulino - Rivisteweb

Frédéric Gros
Foucault e la verità cinica
(doi: 10.1414/37737)

Iride (ISSN 1122-7893)


Fascicolo 2, agosto 2012

Ente di afferenza:
Università di Bologna (unibo)

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Foucault e la verità cinica 289

Foucault e la verità cinica


Frédéric Gros

Vorrei discutere in questo articolo alcuni elementi che Michel Foucault


propone nel suo ultimo corso tenuto al Collège de France, il corso del
1984 intitolato Il coraggio della verità1 – e più in particolare ciò che dice
a proposito dei cinici. Vorrei riprendere ma anche prolungare un certo
numero di temi. Mi sembra, infatti, che la ricchezza dei corsi di Foucault
al Collège de France sia legata in modo particolare al loro carattere larga-
mente programmatico: si tratta, come lui stesso ebbe modo di affermare
nel 1982, di formulare enunciati che sono «più di un’ipotesi e meno di
una tesi»2. E Foucault, nella sua analisi del cinismo antico, si lancia in una
serie di proposizioni teoriche che credo sia interessante, allo stesso tempo,
sistematizzare e prolungare.
Consideriamo, per cominciare, la seconda ora della lezione del 7 marzo
1984, e quelli che Foucault presenta, in modo molto generale, come i quat-
tro «valori» o «significati» della verità per il pensiero greco (notiamo che
Foucault non parla di «criteri»). Si tratta, nell’ordine, della non dissimu-
lazione, dell’assenza di commistione, della rettitudine e dell’immutabilità.
La verità, quindi, è ciò che non è nascosto, ciò che è puro, ciò che è diritto
e ciò che è costante3.
In realtà, nel manoscritto preparatorio, Foucault aveva enunciato
anche un quinto carattere: l’identità a sé4 – la verità è dell’ordine del
Medesimo. Ma, alla fine, questa caratterizzazione è stata cancellata sul
manoscritto, e quando Foucault riprende tali significati in modo piuttosto
sistematico per descrivere come si configuravano, classicamente (ovvero:

1
M. Foucault, Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres II. Cours au
Collège de France. 1984, a cura di F. Gros, Paris, Seuil/Gallimard, 2009, trad. it. Il corag-
gio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Milano,
Feltrinelli, 2011.
2
M. Foucault, L’herméneutique du sujet. Cours au Collège de France. 1981-1982, a
cura di F. Gros, Paris, Seuil/Gallimard, 2001, trad. it. L’ermeneutica del soggetto. Corso al
Collège de France (1981-1982), Milano, Feltrinelli, 2003, p. 434.
3
M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 212-213.
4
Cfr. ibidem, p. 213 (nota).
«Iride», a. XXV, n. 66, maggio-agosto 2012 / «Iride», v. 25, issue 66, May-August 2012
290 Frédéric Gros

nei testi di Platone), il vero amore o la vera vita, continua a barrare nel
seguito del manoscritto la menzione all’identico. Ritornerò più tardi sul
senso di questo abbandono.
In un primo tempo, l’andamento generale della dimostrazione consiste
nel ricostruire come si configuri, nei testi platonici, una «vera vita», nel
senso di una vita non dissimulata, pura, diritta e sovrana. Poi, in un secon-
do tempo, nel descrivere la sovversione cinica, poiché la vita non nascosta
del cinico si sostanzierà in un’esistenza impudica, svergognata; la sua vita
senza mescolanze sarà una vita di povertà e infamia; la sua vita conforme
sarà un’esistenza animalesca, da bestia; e la sua vita sovrana assumerà la
forma di una monarchia derisoria e militante5. Questo per quanto riguar-
da l’andamento della dimostrazione, nel suo disegno più generale.
Consideriamo ora i quattro caratteri della verità individuati da Fou-
cault, e precisiamoli meglio. Il principio di non dissimulazione si sostanzia
nell’idea che il vero possa e debba esporsi nella sua nudità, senza maschera
e senza belletti. Il principio di purezza nell’idea che il vero non debba es-
sere mischiato ad elementi estranei che rischierebbero di introdurvi falsità
o errori. Il principio di rettitudine nell’idea che il vero sia conforme a una
o più leggi, a certe regolarità. Infine, il principio di sovranità nell’idea che
il vero, dal momento che regge in e grazie a se stesso, permanga.
Credo allora che sia assolutamente possibile mostrare come
l’applicazione di questi valori di verità al logos ci consegni ciò che po-
tremmo chiamare, precisamente, quattro grandi criteri dell’alethes logos,
del discorso vero (una conclusione che Foucault non trae in modo diretto,
ma che comunque evoca). Il primo criterio è la chiarezza: il discorso vero
è chiaro, poiché nulla in esso nasconde qualcosa che non sia mostrato
nel discorso stesso. Il discorso vero non dissimula alcunché. Il secondo
criterio è la semplicità: il discorso vero è semplice, cioè non complicato
da sottigliezze retoriche che ne alterino il significato. Al contrario, è lim-
pido e senza commistione, e nulla lo offusca. Il terzo criterio è il rigore
dimostrativo: il discorso vero è interamente conforme a regole logiche e
deduttive. Infine, troviamo il criterio della necessità: il discorso vero non
varia ma permane, è immutabile. Chiarezza, semplicità, rigore e necessità:
sono questi, senza dubbio, i quattro grandi criteri di verità del logos.
È necessario fare, a questo proposito, due considerazioni importanti,
che ci saranno utili anche nel seguito dell’articolo. Prima considerazione:
questo logos chiaro, evidente, dimostrativo e necessario, è un logos che ha
la forma generale dell’identità a sé. Con ciò, dunque, intendo sostenere che
l’identità non sarebbe un valore di verità tra gli altri, quanto piuttosto lo
«stile» della verità allorché questa si applica al logos, determina il logos (cir-
costanza che spiegherebbe le cancellature di Foucault sul manoscritto).

5
Cfr. ibidem, pp. 215-221, 241-274.
Foucault e la verità cinica 291

La seconda considerazione, invece, concerne non tanto la forma


generale dei criteri di verità, quanto la forma generale dei valori di verità
che Foucault ha rintracciato e che possono essere applicati al logos, ma
anche ad altri àmbiti come l’eros o il bios. Vorrei introdurre qui il tema
della resistenza. In effetti, per esempio, l’alethes logos è un discorso che,
per la sua chiarezza, resiste all’esposizione – «resistere» non nel senso di
«opporsi» o «rifiutare», ma nel senso di reggere e superare la prova con
successo. Il discorso vero non teme di rivelare i propri significati (potrem-
mo rimandare a quello che Foucault, nel 1983, definisce «logos etumos»
a partire dal Fedro6). Questo discorso vero resiste anche a un’espressione
semplice, povera e senza belletti (potremmo pensare all’insistenza di Fou-
cault, sempre nel 1983, sulla caratterizzazione da parte di Socrate del pro-
prio discorso, nell’Apologia, in quanto opposto a quello dei propri avver-
sari: la mia parola è semplice, senza retorica, perché non so dire altro che
la verità7). L’alethes logos resiste inoltre al confronto con le regole logiche
e altre norme dimostrative; e infine resiste alle vicissitudini del cambia-
mento e alla corruzione.
Per rendere evidente che qui l’orizzonte non è propriamente politi-
co, bisognerebbe forse parlare di una «resistenza eidetica». Impiegherò
quest’espressione molto volentieri, specie perché permette di collegare la
seconda considerazione alla prima: se l’alethes logos resiste all’esposizione,
alla semplicità dell’espressione, alla logica e al cambiamento, è proprio
perché ha come oggetto e fondamento le essenze, le Forme intelligibili
– la sua resistenza non è altro, dunque, che il riflesso in esso dell’identità
perfetta delle Idee.
Ora, giacché la resistenza è la forma generale dei valori di verità e si
esprime, quando questi valori informano il logos, come resistenza del
Medesimo, sarà evidentemente necessario domandarsi quale altra re-
sistenza sia in gioco quando i cinici pongono il problema dell’alethes bios,
della vera vita – questa vera vita che Foucault definirà anche, sempre a
proposito dei cinici, come una «vita altra». Ma prima, dato che Foucault
stesso ne traccia il ritratto, bisogna evocare almeno sommariamente il bios
philosophikos, ovvero la vera vita per come si costruisce in quanto con-
seguenza, deduzione, testimonianza, attestazione del logos alethes. Con
simili espressioni, un po’ vaghe (conseguenza, deduzione, ecc.), vorrei
semplicemente indicare la dipendenza del bios philosophikos dal logos
alethes, poiché credo sia un altro asse che troveremo nei cinici – dove si
passerà dal bios alethinos (la vera vita) alla parrhesia.

6
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France. 1982-
1983, a cura di F. Gros, Paris, Seuil/Gallimard, 2008, trad. it. Il governo di sé e degli altri.
Corso al Collège de France (1982-1983), Milano, Feltrinelli, 2009, pp. 300-307, 311-319.
7
Cfr. ibidem, pp. 297-300.
292 Frédéric Gros

Questo bios philosophikos può essere sommariamente caratterizzato


come una vita «degna». Anche se tale termine non è utilizzato nel corso,
si adatta bene, in ragione della sua generalità, alle nostre quattro deter-
minazioni, nonché allo stile generale dell’identità. Una vita in primo luogo
onesta, soprattutto nel senso che si espone senza posa al proprio stesso gi-
udizio (qui Foucault considera l’esempio di Epitteto e del suo daimon in-
teriore8), e non dissimula affatto vizi nascosti sotto una rispettabilità solo
esteriore. È un’esistenza che non nasconde nulla, che non ha lati oscuri.
In secondo luogo, una vita caratterizzata da una certa austerità, poiché la
vita filosofica rinuncia alla ricerca sfrenata delle ricchezze, dei piaceri e
degli onori (la vita senza commistione, precisa Foucault, può rinviare sia
al distacco platonico, sia all’autosufficienza stoica o alla semplicità epicu-
rea). Una vita che, in terzo luogo, si sottomette alle leggi della città e alle
convenienze sociali (pensiamo qui al famoso paradigma dell’obbedienza
socratica nel Critone, ma anche alla rispettabilità del saggio stoico). Infine,
una vita che coltiva l’indipendenza e la felice padronanza di sé.
Non insisto oltre su questo ritratto del filosofo, un po’ scialbo e dav-
vero troppo generale; vorrei soltanto sottolineare che Foucault non
esita, qui, a sovrapporre i bioi philosophikoi platonici, epicurei e stoici,
per opporli in blocco al bios kunikos, all’esistenza cinica. Si può riconos-
cere, in questo, uno spostamento significativo se confrontato a una ten-
denza di fondo del corso del 1982, che opponeva piuttosto facilmente
il platonismo e lo stoicismo (da una parte, una cura di sé che prende la
forma di una visione delle essenze; dall’altra, una cura di sé connessa
alla costruzione etica di un sé forte9). Durante le ultime lezioni del 1984,
Foucault sembra molto più interessato a elaborare una dissimmetria es-
tremamente squilibrata tra il bios kunikos da una parte, e dall’altra un
bios philosophikos che abbraccia contemporaneamente il platonismo,
l’epicureismo e lo stoicismo. Di questa dissimmetria possiamo proporre
la spiegazione seguente: che si tratti, in effetti, del saggio platonico che
si impegna a fissare gli occhi della propria anima sull’eternità delle Idee
(o ancora, che lavora per instaurare in sé la giusta armonia tra le pro-
prie potenze); del saggio epicureo «come un dio tra gli uomini», la cui
serenità è dolce tanto quanto impeccabile; del saggio stoico che con-
quista, a forza d’esercizi, un’ataraxia, una tranquillitas impermeabili alle
aggressioni del mondo; o che si tratti perfino di Socrate il quale, secondo
l’espressione del Lachete commentata lungamente da Foucault10, ha sa-
puto far vibrare tra i propri discorsi e i propri atti una consonanza per-
fetta – ebbene, tutte queste figure sono e rimangono figure dell’identità,

8
Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 242-243.
9
Cfr. M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, cit., passim.
10
Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 147-149.
Foucault e la verità cinica 293

vale a dire figure di un’esistenza ordinata e armoniosa. E se una simile


identità è, a seconda delle scuole e dei testi, diversamente collegata, di-
versamente dipendente da un alethes logos, essa resta tuttavia il carat-
tere dominante di un bios philosophikos contro il quale Foucault potrà
far valere, precisamente, la discordanza insolente o il disordine beffardo
del bios kunikos.
È giunto dunque il momento di prendere in considerazione la grande
replica cinica che Foucault costruisce nel corso del 1984. In modo molto
chiaro, Foucault spiega che i cinici applicano direttamente al bios i nos-
tri quattro valori di verità11. Non posso fare altro se non rimandare alle
lezioni del mese di marzo 1984, tanto sono ricche di esempi truculenti
e aneddoti assolutamente farseschi. Ne traccerò soltanto il movimento
generale. La vita dei cinici è non dissimulata, nel senso che essi rifiutano
persino l’insulsaggine della distinzione tra pubblico e privato, esponendo
agli occhi di tutti – contemporaneamente – la loro indignazione, la loro
sessualità, il loro disgusto, la loro denuncia, ecc. La vita dei cinici è senza
mescolanze, perché perseguono aggressivamente una spoliazione che mi-
rano a portare alle sue estreme conseguenze, sbarazzandosi di tutto ciò
che potrebbe rappresentare un ostacolo al raggiungimento di una povertà
completa. I cinici si sottomettono poi, certamente, alla rettitudine delle
leggi, ma le prescrizioni che seguono alla lettera sono quelle della Natura,
poiché le convenienze umane sono decisamente troppo mutevoli, e per
vivere preferiscono quindi trarre ispirazione dal comportamento degli
animali. Infine, la loro esistenza è sovrana, perché il loro combattimento
è senza limiti.
Quest’ultimo punto è un po’ più delicato degli altri e merita dunque
una spiegazione supplementare. Comprendiamo perfettamente gli altri
passaggi al limite: l’esistenza non dissimulata come vita impudica, sver-
gognata; la vita senza commistione come povertà radicale; la vita diritta
come vita animale. L’ultimo valore di verità è quello della sovranità, nel
senso di ciò che non dipende da altro se non da se stesso. Ora, il cinico
è sovrano non solo in questo primo senso, piuttosto ovvio, secondo il
quale i monarchi rimangono in fin dei conti dipendenti dalle contingenze
storiche, mentre lui non ha bisogno di nulla; il cinico è sovrano anche
perché la sua sovranità è militante. Il che significa due cose: innanzitutto,
che il vero re non è esattamente il sovrano circondato dalla propria corte,
bensì questo atleta dell’esistenza, questo eroe filosofico (per riprendere le
espressioni usate da Foucault). Inoltre, che ciò che fonda la regalità auten-
tica è il combattimento, non come conquista di territori o vittorie militari,
quanto piuttosto come postura fondamentale: una maniera aggressiva di
essere al servizio degli altri, pungolandoli senza tregua con le proprie pro-

11
Cfr. ibidem, lezioni del 14 e del 21 marzo 1984, pp. 223-290.
294 Frédéric Gros

vocazioni. La vera vita del cinico è la costanza di un combattimento senza


limiti e la regalità di una sovranità totalmente indipendente.
Nudità del cinico, quindi, e crudezza, animalità, e per finire quella che
Foucault chiama la «militanza» del cinico. È a questo punto che compare
il tema dell’appello politico alla trasformazione del mondo (il grande «po-
liteuesthai» del cinico, per riprendere l’espressione di Epitteto sulla quale
Foucault si sofferma12). Ma, prima di esplorare tale questione, vorrei sot-
tolineare tre cose.
In primo luogo, ciò che viene messo in atto qui è ancora una resisten-
za come forma generale della verità, ma evidentemente in una modalità
molto diversa da quella evocata in precedenza. Avevamo detto: il logos
alethes resiste – non cede alle imposture, agli artifici, ai paralogismi, alle
variazioni. Ora, la questione che il cinico pone alla propria vita, piuttosto
che al proprio pensiero, è precisamente: cos’è che, in te, resiste? Forse,
per rendere le cose più esplicite, potremmo uscire un istante dal pen-
siero antico. Dopotutto, anche nel dubbio cartesiano si tratta di cogliere
una verità che resiste assolutamente, e di coglierla procedendo per tappe:
posso dubitare dell’apparenza delle cose che vedo o sento perché sono
già stato ingannato dai miei sensi; posso dubitare della mia presenza ef-
fettiva nel mondo perché mi è già capitato di sognare di trovarmi in una
situazione simile, quando invece ero disteso sul mio letto, ecc. Sappiamo
che Descartes, procedendo così, giunge infine al cogito che, al contrario,
resiste assolutamente. Secondo esempio: nel metodo fenomenologico si
tratta di individuare delle essenze, attraverso le cosiddette «variazioni ei-
detiche», mettendole alla prova di questo o quel cambiamento di pros-
pettiva, con lo scopo di scoprire ciò che resiste assolutamente e definisce
quindi un’invariante. In simili esercizi, nei quali ci si dirige verso una «re-
sistenza eidetica», il movimento della verità consiste nel porre al pensiero
il problema di sapere ciò che, tra i suoi contenuti, è in grado resistere a un
esame spinto alle estreme conseguenze.
Mi pare che Foucault legga l’operazione dei cinici come la messa in
opera di ciò che chiamerei una «resistenza ascetica», passando così –
per riprendere un titolo spinoziano – da una emendatio intellectus a una
emendatio vitae. Ho forse bisogno, per bere, di una coppa di cristallo?
Una ciotola di legno basta e avanza! Ma quando Diogene vede un bam-
bino che, sul bordo di una fontana, si serve del palmo delle mani per
bere, è lesto a sbarazzarsi anche della propria misera ciotola, poiché ne ha
provato la futilità, la non necessità assoluta. Analogamente, accettando di
dormire per terra, Diogene dimostra l’inutilità di un letto. O ancora, co-
prendosi solo con il proprio mantello (o riparandosi nella celebre botte),
mette in evidenza il carattere superfluo di un tetto. Sono tutte «variazioni

12
Cfr. ibidem, p. 288.
Foucault e la verità cinica 295

ascetiche» che permettono di individuare il livello, evidentemente rustico,


dell’assolutamente necessario.
Ma bisogna comprendere bene cosa venga raggiunto attraverso tali vari-
azioni. A forza di grattare l’esistenza fino all’osso, a forza di scrostare la
propria vita da tutte le convenzioni artificiali e le ricchezze ingombranti,
il cinico perviene davvero a un elementare che resiste assolutamente. È la
famosa esclamazione cinica riportata da Epitteto: «Non ho casa né patria
né possedimenti né servi; dormo sulla nuda terra, non ho moglie né figli né
pretorio, ma solo la terra, il cielo e un solo logoro mantello. Nondimeno,
che cosa mi manca? Non sono privo di dolori, non sono privo di paure, non
sono libero?»13. Quest’elementare si oppone all’essenziale. Intendo dire
che, se il filosofo classico mette alla prova il proprio pensiero per cogliere
una verità essenziale che resiste assolutamente (e, per farlo, deve attraver-
sare il velo delle apparenze mutevoli e cangianti), il cinico, al contrario,
scava l’immanenza stessa della propria vita fino a conquistare un elementare
che sarebbe dunque lo strato primo, solido e duro dell’immanenza. Ma,
giungendo a tale elementare, vi attinge un’energia senza limiti: potremmo
fare riferimento, qui, ai molti testi di Epitteto, nelle Diatribe, in cui viene
decantata la salute eclatante, solare e insolente di Diogene. Analogamente,
per riprendere un esempio già citato nel quale l’illuminazione del cogito in-
troduce il fuoco nel pensiero cartesiano che, su quest’onda, può dimostrare
la sostanza eterna dell’anima, l’esistenza di Dio, la verità delle matematiche
e la consistenza del mondo fisico, potremmo dire che il cinico attinge,
dall’elementare, una forza immensa che gli permette di proseguire indefini-
tamente il proprio combattimento e le proprie lotte.
La seconda osservazione che vorrei fare è la seguente: questa vera vita,
come conquista di un elementare che resiste, si manifesta attraverso un
certo dir-vero, la famosa parrhesia cinica, che del resto Foucault ha cura
di distinguere attentamente sia dalla parrhesia politica (quella di un De-
mostene all’Assemblea o di un Platone dinanzi al tiranno di Siracusa), sia
dalla parrhesia di Socrate, che infastidiva i propri concittadini con le sue
domande. La parrhesia cinica, questo dir-vero – precisa Foucault – non è
la condizione del modo di vita cinico (non è affatto un discorso di verità
che fonderebbe, darebbe ordine, nutrirebbe tale modo di vivere), quanto
piuttosto una sua conseguenza, o in ogni caso la sua drammatizzazione
verbale. Così come la vita cinica fa valere, nella trama visibile della sua
esistenza, la nudità, la povertà, l’animalità e l’aggressività del vero, questi
stessi valori sono rimessi in scena da una parola che denuncia l’ipocrisia
delle convenienze, la vanità delle ricchezze, l’artificialità dei codici sociali
e l’insulsaggine delle indipendenze. In ogni caso, è importante compren-

13
Epitteto, Diatribe, III, XXII, 47-48, in Id., Tutte le opere, Milano, Bompiani, 2009,
p. 703. Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 284-285, 292.
296 Frédéric Gros

dere che, se il logos alethes tentava di sbrogliare la matassa, di attraversare


la nebbia della doxa (degli errori, delle opinioni comunemente accettate,
delle idee prefabbricate) per cogliere le verità pure, la parrhesia, al con-
trario, allontana violentemente lo spinoso groviglio delle convenzioni ar-
tificiali, delle abitudini sociali, delle norme culturali, al fine di raggiungere
un elementare radicale.
La terza e ultima osservazione concerne ciò che Foucault designa come
il «rovesciamento cinico della vera vita in vita altra»14. Il bios kunikos, in-
fatti, non fa altro che applicare alla vita stessa i valori di verità, ma con una
radicalità tale che la vita diviene oggetto di scandalo. Foucault insiste su
questo punto in modo particolare: la vera vita del cinico è un’esistenza scan-
dalosamente dissonante. Troviamo qui, naturalmente, la grande alternativa
allo «stile» generale d’identità che segna il momento in cui i valori di verità
divengono criteri di verità dell’alethes logos (il discorso vero) e informano
un bios philosophikos raccolto e armonioso. Con i cinici, è piuttosto uno stile
generale d’alterità che emerge dall’applicazione diretta e radicale dei valori
di verità al bios. Innanzitutto, perché questa vita stona scandalosamente; e
poi perché nutre una parrhesia che non cessa di denunciare l’ipocrisia e la
corruzione generalizzate, strappando così le maschere di rispettabilità che
nascondono comportamenti contrari ai princìpi rivendicati. Questo movi-
mento è importante: l’alterità del bios kunikos deve spezzare la dinamica di
menzogna delle commedie sociali. Non si tratta quindi di indicare identità,
ma di smascherare contraddizioni.
Riprendendo allora l’insistenza di Foucault sul carattere scandaloso,
provocatorio, dissonante del bios kunikos, potremmo dire che questa vita
produce dell’«inaccettabile». Foucault non introduce direttamente tale
nozione, ma credo sarebbe interessante costruirla. Non voglio intender-
la, in questo contesto, nel senso in cui la usa Luc Boltanski a proposito
di Bourdieu, quando afferma che la sociologia è ciò che deve rendere
inaccettabile la realtà, denunciando per l’appunto i sistemi sociali come
altrettante macchine destinate a rendere accettabile l’inaccettabile (e
l’«inaccettabile» designa qui le ingiustizie sociali, le confische politiche,
ecc.). L’inaccettabile cinico è piuttosto ciò che costituisce una provoca-
zione in rapporto alle norme esistenti, alle convenzioni, alle verità condi-
vise. Tuttavia – e Foucault insiste particolarmente su questo punto – non
si tratta di giocare la carta della trasgressione per far brillare la scintilla
di una marginalità trionfante. L’inaccettabile dei cinici (la loro vita, i loro
comportamenti, le loro prese di parola, i loro atteggiamenti) vale come un
invito, come una messa in mora attraverso la quale ognuno è condotto a
provare e mettere alla prova le proprie stesse contraddizioni. Si tratta di
dire cose inaccettabili, certo, ma solo perché – in qualche modo – sono

14
M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., p. 257.
Foucault e la verità cinica 297

troppo vere, solo perché la parrhesia spinge l’affermazione di verità al di là


di ogni decenza. Sarebbe forse utile fare riferimento al corso pronunciato
nel 1983, e in particolare a quello che Foucault dice a proposito della
parrhesia democratica15. Quando Foucault descrive una presa di parola
autenticamente democratica, lo fa per mostrare che essa non mira tanto
a raggiungere un consenso, a pacificare le controversie, quanto piuttosto
a spezzare la condivisione delle debolezze e il conforto delle maggioranze
silenziose. «Dir-vero» significa obbligare ciascuno a riconoscere di essere
meno d’accordo con se stesso e con gli altri di quanto non ammetta. È
in questo senso che la verità è inaccettabile: essa designa non ciò che ri-
concilia ogni individuo con se stesso, ma precisamente il movimento at-
traverso il quale ogni individuo è chiamato a trasformarsi e a evitare di
riposare nella comoda illusione di un’identità definitiva e stabile. Infine,
l’inaccettabile fa entrare in gioco un’energia di trasformazione. Quest’idea
di trasformazione è ben indicata da Foucault quando spiega che la vita
scandalosamente altra del cinico è un invito alla trasformazione di sé e del
mondo (quello che chiama il «politeuesthai» dei cinici, la grande politica
cinica16). Ciò che è inaccettabile è il Medesimo, ovvero la perpetuazione
indefinita delle ipocrisie e delle compromissioni.
Tutto questo ci conduce a una distinzione fondamentale, con la quale
vorrei concludere, tra due figure opposte dell’«Altro» – distinzione indi-
cata da Foucault alla fine del corso del 1984, quando oppone il platonis-
mo al cinismo17. C’è l’«altro mondo» delle metafisiche platoniche: l’al di
là delle essenze intelligibili, il mondo separato delle essenze e delle verità
eterne (che è altro proprio in quanto separato dall’immanenza sensibile,
ma identico in sé). E poi, c’è il «mondo altro», l’immanenza trasformabile
attraverso le energie politiche – una trasformazione alla quale incita la
vita scandalosamente altra del cinico che apostrofa, urta e disturba. C’è
l’«altra vita» dei platonici, la vita sognata di un al di là scevro da contin-
genze materiali, e la «vita altra» dei cinici: quest’esistenza scomoda che fa
esplodere, nel cuore della città, lo scandalo della verità.

(Traduzione dal francese di Daniele Lorenzini)

Foucault and the Cynic’s Truth

In his last series of lectures at the Collège de France, Foucault offers a completely
new analysis of the Cynic school of philosophy in Ancient Greece. He shows

15
Cfr. M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., lezioni del 2 e del 9 febbraio 1983,
pp. 147-214.
16
Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 285-288.
17
Ibidem, lezione del 28 marzo 1984, in particolare pp. 320-321 (nota).
298 Frédéric Gros

that the Cynic movement inaugurates an innovative characterization of truth as


a test for life, rather than as a criterion for the differentiation of logos. This exam
allows Foucault to trace an original distinction, within philosophy, between two
branches: the Platonic one, which poses the problem of the access to a transcen-
dent world starting from an askesis and knowledge of the soul, and the Cynic
one, which instead poses the question of the transformation of the world, begin-
ning with the proofing of one’s own life and a continuous provocation of others.

Keywords: Foucault, Cynicism, Truth, Parrhesia, Resistance.

Frédéric Gros, Université Paris-Est Créteil, Faculté des Lettres, langues et sciences humaines,
Département de philosophie, 61 avenue du Général de Gaulle, 94010 Créteil (France), fred-
eric.gros@u-pec.fr.

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