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La critica della ragion pura 

è un’opera del filosofo tedesco Immanuel Kant.


Essa è un’analisi critica dei fondamenti del sapere per constatare quali ambiti
del sapere siano validi ed escludere tutto ciò che l’uomo non può conoscere.
Kant introduce il Criticismo (dal greco krino = io giudico)che nasce dalla
necessità di superare la tradizionale filosofia.

Il nocciolo del criticismo era criticare la ragione per appurarne la limitatezza. Per
fare ciò Kant parte dalle filosofie precedenti ( razionalismo, empirismo,
scetticismo) estraendone le parti positive.
RAZIONALISMO --- idee innate ; uso della ragione 8che però è limitata
dall’esperienza)
SCETTICISMO --- il dubbio (che però è sano, cioè serve da punto di partenza e
non come punto d’arrivo)
EMPIRISMO ---- l’importanza dell’esperienza (che limita la ragione)
Elimina il dogmatismo. Proprio per mettere in luce la limitatezza della ragione
egli mette in scena un Tribunale della Ragione.
Basandosi sulla filosofia del criticismo egli scrive tre opere molto importanti che
analizzano tutto il suo pensiero:
• CRITICA DELLA RAGION PURA (problema gnoseologico – Che cosa posso
conoscere?)
• CRITICA DELLA RAGION PRATICA (problema della morale – Che cosa devo
fare?)
• CRITICA DEL GIUDIZIO (problema estetico – cos’è il bello?)

Caratteri generali della Critica della Ragion


Pura
Kant cerca in un certo modo di mediare razionalismo ed empirismo nell’ambito del
concetto di giudizio: poiché abbiamo
1-    all’interno del razionalismo (deduzione) giudizi analitici a priori, in cui il predicato
è contenuto nel soggetto (es: il corpo è esteso, la parte è minore del tutto…),
2-    all’interno dell’empirismo (induzione) giudizi sintetici a posteriori, in cui il
predicato è aggiunto al soggetto in base all’esperienza (es.il corpo è pesante),
elabora un giudizio che unisca in un certo modo i primi due: così nasce il sintetico a
priori in cui il predicato è aggiunto al soggetto non in base all’esperienza ma per
opera dello spirito .
Secondo Kant alla base del sapere ci sono alcuni principi assoluti, delle
verità universali e necessarie che valgono ovunque allo stesso modo. Tali
principi sono i giudizi sintetici a priori:
Giudizi perché aggiungono un predicato ad un soggetto; sintetici perché il
predicato dice qualcosa di nuovo; a priori perché non possono derivare
dall’esperienza. Questi giudizi costituiscono la spina dorsale del sapere.
Essi sono possibili grazie ad una nuova teoria della conoscenza teorizzata da
Kant, concepita come sintesi tra materia e forma. Per materia intende la
molteplicità delle impressioni sensibili (attraverso i sensi) provenienti
dall’esperienza. Per forma l’insieme dei modi fissi attraverso cui la mente
ordina la materia sensibile (spazio e tempo).
Con questa nuova teoria della conoscenza Kant applica una
nuova rivoluzione copernicana effettuando un ribaltamento del rapporto
tra soggetto e oggetto. Non è più l’uomo che deve adattare le sue facoltà
percettive per comprendere i fenomeni; bensì è la natura che si modella sulle
strutture mentali dell’uomo.
Kant inoltre fa una distinzione tra fenomeno e noumeno. Il fenomeno è la
realtà che ci appare tramite le nostre forme a priori; il noumeno è la realtà
considerata indipendentemente da noi e dalle nostre forme a priori, esso è il
limite della conoscenza umana. Kant fa un esempio per rendere
comprensibile questa differenza. Se avessimo degli occhiali con delle lenti
colorate (ad esempio blu), tutto ciò che vedremmo ci apparirebbe in
sfumature di blu. Questo sarebbe il mondo del “fenomeno”, il mondo visto
attraverso delle forme che dipendono dalla nostra “limitatezza”.
Conoscenza
Kant articola la conoscenza in tre facoltà
principali: sensibilità, intelletto e ragione:
La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono pervenuti passivamente
grazie ai sensi; ed ordinati tramite le forme a priori di spazio e tempo.
L’intelletto è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite le forme
a priori delle  12 categorie (o concetti puri). In ultimo, la ragione è la facoltà
attraverso cui cerchiamo di spiegare la realtà mediante le idee di dio, anima e
mondo.
Su questa tripartizione si divide la critica della ragion pura: estetica
trascendentale che studia la sensibilità e logica trascendentale, che a sua
volta si divide in analitica trascendentale che studia l’intelletto e
la dialettica trascendentale che studia la ragione. Per Kant il
termine trascendentale significa il modo in cui avviene la conoscenza.
ESTETICA TRASCENDENTALE
L’estetica trascendentale, o conoscenza sensibile è il  primo livello di
conoscenza individuato da Kant: essa consiste in un sintesi a priori tra
l’impressione empirica e le intuizioni di spazio e di tempo dando origine al
fenomeno. 
L’estetica studia la sensibilità e le sue forme a priori (spazio e tempo). Kant
considera la sensibilità come passiva perché accoglie i dati sensibili dalla
realtà esterna; tuttavia essa è anche attiva perché ordina il materiale delle
sensazioni tramite le forme a priori di spazio e tempo.
Lo spazio è la forma del senso esterno, che sta in fondamento di tutte le
intuizioni esterne, dell’avere presenti le cose l’una accanto all’altra;
il tempo invece è la forma del senso interno che sta a fondamento dei nostri
sensi interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro. Tuttavia solo attraverso il
senso interno ci giungono i dati del senso esterno dunque il tempo si
configura anche come la forma del senso esterno. Inoltre lo spazio è
giustificabile grazie alla geometria, infatti solo grazie alla geometria
sappiamo che la distanza più breve tra due punti è una retta. Invece il tempo
è giustificabile grazie alla matematica.
ANALITICA TRASCENDENTALE
 L’analitica trascendentale o conoscenza intellettiva consiste in una sintesi
a priori tra intuizione empirica e le categorie secondo una struttura logica,
dando origine all’esperienza.
L’analitica trascendentale studia l’intelletto e le dodici categorie (o
concetti puri).
Sensibilità e intelletto sono indispensabili alla conoscenza. Poiché senza
sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato e senza intelletto nessun oggetto
sarebbe pensato. Ma cosa sono i concetti? Essi consistono nell’ordinare o
nell’unificare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. I
concetti puri sono quelli contenuti nell’intelletto a priori. Essi sono quei
concetti basilari della mente che rappresentano le supreme funzioni
unificatrici dell’intelletto.
Cosa ci garantisce ora che la natura obbedisca alle categorie?

Kant introduce l’io penso che è il principio supremo della conoscenza


umana. Esso è il centro mentale unificatore, che non è identificato con la
“psiche” di una singola persona; bensì con la struttura mentale che
accomuna tutti gli uomini. Ora com’è possibile collegare le categorie ai
fenomeni?  Quale sarà l’elemento mediatore il quale fa sì che l’intelletto
condizioni gli oggetti sensibili?
Kant afferma che l’intelletto non potendo agire direttamente sugli oggetti
agisce indirettamente su di essi tramite il tempo. Il tempo condiziona gli
oggetti, l’intelletto condizionando il tempo condizionerà gli oggetti.  Gli schemi
trascendentali sono quelle regole grazie alle quali l’intelletto condiziona il
tempo in conformità alle proprie categorie.
DIALETTICA TRASCENDENTALE
Il termine dialettica per Kant sta a significare “l’arte sofistica di dare alle proprie
illusioni l’aspetto della verità”; lascia intuire l’approccio del filosofo in questa
sezione della Critica della Ragion Pura. Ovvero: l’analisi e lo smascheramento
dei ragionamenti fallaci della metafisica, andando oltre la realtà. Kant ritiene che
questo voler procedere oltre i dati esperienziali derivi dalla nostra innata
tendenza all’incondizionato e alla totalità.
La dialettica agisce tramite le idee che sono i concetti puri della ragione. Le tre
idee fondamentali sono quella di anima, mondo e di Dio. Egli fonda su di esse
tre pseudo-scienze: la psicologia razionale che studia l’anima; la cosmologia
razionale che indaga sul mondo e la teologia razionale che specula su dio.
Kant ritiene che la psicologia razionale sia fondata su un ragionamento errato.
Esso consiste nell’applicare la categoria di sostanza all’ “io penso” noumenico;
ciò è impossibile poiché non è possibile applicare tale categoria a una “x”
sconosciuta che è l’io penso noumenico.
Anche la cosmologia razionale è fondata su un ragionamento errato poiché
pretende di conoscere la totalità assoluta dei fenomeni cosmici. Però, la totalità
dei fenomeni non è conoscibile in quanto noi possiamo sperimentare solo
questo o quel fenomeno, e non tutti.
Teologia razionale
La teologia razionale raggruppa le prove dell’esistenza di dio in tre
classi: prova ontologica, cosmologica e teologica.
La prova ontologica risale a sant’Anselmo il quale pretendeva di ricavare
l’esistenza di dio dalla sola affermazione della sua perfezione. Kant, invece,
pensa che non è possibile saltare dal piano della possibilità logica a quello della
realtà concreta.
La prova cosmologica si fonda su una delle “vie” tomistiche ovvero su quella
degli esseri necessari e contingenti. San Tommaso affermava che se esistono
esseri contingenti (mortali) è implicita l’esistenza di un essere necessario. Kant
credeva che egli utilizzasse in modo illegittimo il principio di causa. Inoltre esso
ricade nella prova ontologica, in quanto afferma che è necessario e dunque
perfetto. Anche questa prova è smascherata.
La prova teologica è identificata con l’esistenza un dio creatore e infinito. Essa
ricade inevitabilmente nella prova cosmologica (come principio di causa) e poi
nella prova ontologica anche quest’ultima dunque è fallace.
Kant non si definisce ateo bensì agnostico poiché secondo lui la ragione
umana non può dimostrare l’esistenza di Dio.
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Nella Critica della ragion pura l’oggetto delle sue riflessioni non è più la conoscenza ma il
comportamento dell’uomo: la ragione, infatti, è una guida sia per l’attività
conoscitiva (ragione teoretica) sia per l’attività pratica (ragione pratica). L’intento di Kant,
stavolta, è criticare la ragion pratica nella sua dimensione empirica, ovvero quando
rimane troppo legata all’esperienza e non prevale la sua parte pura. Semplificando il
concetto, Kant vuole criticare il comportamento dell’uomo quando risulta troppo condizionato
dall’istinto e della sensibilità (il contesto, i sentimenti, gli scopi ad esempio) e non segue,
invece, la morale.  Secondo il filosofo, in ogni uomo esiste una legge morale a priori (cioè
che non dipende dall’esperienza ma deriva direttamente dalla ragione dell’uomo). Una
morale che sia, dunque: 
 Universale (cioè valida per tutti)
 Necessaria (cioè sempre valida, in ogni momento della storia e in ogni luogo)
 Incondizionata (cioè che sia sciolta dai condizionamenti dell’istinto e della
sensibilità)
Una morale di questo tipo si deve fondare su 2 principi pratici:

-Soggettivi, e prendono il nome di massime

-Oggettivi, e prendono il nome di imperativi.


A loro volta, questi possono essere ipotetici quando sono osservati in vista di un
fine; categorici quando sono eseguiti per se stessi.
Per Kant, solamente gli imperativi categorici hanno il valore di un ordine, una legge, che risulta
valida per tutti e in ogni momento. La legge morale kantiana dovrà, dunque, fondarsi sugli
imperativi categorici.
La prima caratteristica della legge morale è che va osservata in quanto tale (come un comando,
appunto), a prescindere dal contenuto. È, secondo Kant, il dovere per il dovere a doverci
guidare, in quanto, altrimenti, la legge morale perderebbe le sue caratteristiche di universalità
e incondizionatezza. Si parla, dunque, di una morale formale (la forma o l’intenzione con cui
compiamo un’azione) e non di una morale materiale (ci prescrive la materia o il contenuto della
nostra azione). Ciò che è morale è l’intenzione con cui compiamo qualcosa e non la cosa in sé. È
in questa ottica che Kant distingue la legalità (rispettare un comando solo in quanto ci è imposto
dall’esterno) dalla moralità (rispettare e condividere l’azione morale). L’imperativo categorico non
potrà dunque che ordinarci di agire pensando sempre che gli altri possano fare lo stesso. Un
comportamento che dobbiamo poter pensare come universalizzabile.
La formula di Kant è: 
Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo
come principio di una legislazione universale. 
Kant ne aggiunge altri due:
Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre
anche come fine e mai semplicemente come mezzo.
Agisci in modo che la tua volontà, con la sua massima, possa considerarsi
come universalmente legislatrice rispetto a se medesima.
L'autonomia della moraleUna legge morale che non deriva da nessun comando esterno
(per esempio la religione) o non è sottoposta a nessun condizionamento (per esempio
l’educazione, la società o la ricerca della felicità) è, dunque, autonoma e solo da essa
deriva ciò che è bene e ciò che è male.
La morale e la libertàL’uomo, con la morale, è libero: pone, cioè, da sé la propria legge
morale e può svincolarsi da tutti i condizionamenti del mondo fisico. È proprio attraverso la
morale che l’uomo scopre la sua libertà, ovvero è solo avvertendo dentro di sé il comando
che potrà scoprire la sua possibilità di scelta (se seguirlo o meno). 
La teoria dei postulati etici
L’osservanza del dovere morale ci rende virtuosi e questa condizione, definita da
Kant bene supremo, non ci conduce però alla felicità, nonostante ne risultiamo degni.
Come potremmo essere felici se, osservando l’imperativo morale, mortifichiamo tutte le
nostre aspirazioni egoistiche? 
Per salvare la morale e eliminare l’assurdità di un essere degno di felicità ma infelice,
Kant postula (cioè accoglie pur non potendo dimostrare) l’esistenza di un aldilà che ci
permetta di raggiungere il “sommo bene” (virtù congiunta alla felicità). 
-I tre postulati etici sono:

L'immortalità dell'animaL’immortalità dell’anima. Poiché solo un “santo” (cioè un uomo


che si comporta in modo sempre morale) è degno del sommo bene e l’uomo, in questa
vita, è sempre influenzato dai suoi istinti egoistici e dalla sensibilità, Kant postula
l’esistenza di un’anima immortale che gradualmente guadagnerà la santità.
L'esistenza di DioL’esistenza di Dio. Solamente un Dio onnipotente può far corrispondere
ai meriti la felicità eterna.
La libertàLa libertà. Questo postulato è in realtà anomalo in quanto la libertà, come visto,
costituisce la stessa condizione della morale. Tuttavia è solo con la morale, dunque attraverso
la sua libertà, che l’uomo può svincolarsi dal causalismo (principio di causa-effetto) del mondo
naturale (fenomeno) e entrare invece nel noumeno.
Critica del Giudizio: spiegazione
2.1I giudizi riflettenti
La facoltà del giudizioNel 1790 Kant sente l’esigenza di scrivere una terza Critica,
la Critica del giudizio, che possa mediare e far incontrare i risultati delle due opere
precedenti. Infatti, mentre nella Critica della ragion pura, il filosofo aveva
rappresentato una realtà fenomenica, dominata dal principio della necessità
meccanica, nella Critica della ragion pratica si postulava l’esistenza di un mondo
noumenico dominato dalla libertà e dal finalismo (in quanto la libertà e
l’esistenza di Dio erano accettate come condizioni della morale). 
Fenomeno e noumeno, mondo della scienza e mondo della morale, necessità e
libertà, determinismo e finalismo sembravano, agli occhi di Kant, divisi da
un abisso.
Tra le due facoltà, dell’intelletto (facoltà conoscitiva) e della ragione (facoltà
pratica), Kant ne concepisce una terza: la facoltà del giudizio, legata al
sentimento. Attraverso il giudizio sentimentale Kant riesce a far dialogare i due
mondi in quanto, mediante il giudizio, l’uomo riesce a “vivere” e “pensare” quella
finalità negata nella realtà della scienza e solo postulata nel campo della
morale. Ma andiamo con ordine, e spieghiamo in modo più chiaro in che modo si
articola tale “finalità”.
I giudizi riflettentiIn primo luogo, i giudizi, per Kant, sono di due tipi:
 Determinanti. Sono i giudizi scientifici e si formano a partire dalle nostre
forme a priori.
 Riflettenti. Sono i giudizi sentimentali, chiamati così perché “riflettono” sulla
realtà dei giudizi determinanti, cogliendo le cose in armonia le une con le altre
e con noi stessi, secondo, cioè, un principio di finalità.

L’oggetto della Critica del giudizio sono, dunque, i giudizi riflettenti e le domande


centrali nell’opera sono: “Questa cosa mi piace?”,  “Qual è il fine, lo scopo del
mondo che ci circonda?”.
I giudizi riflettenti sono, a loro volta, di due tipi, a seconda del modo in cui viene
espresso il principio di finalità:
 I giudizi estetici: hanno per oggetto la bellezza
 I giudizi teleologici: prendono in considerazione l’ordine della natura
2.2I giudizi estetici
Il bello in KantIl primo dei giudizi riflettenti è il giudizio estetico, ovvero ciò che
reputiamo bello e genera in noi un sentimento di piacere. Questo sentimento di
piacere ci fa vivere in modo immediato (senza che intervenga alcun
ragionamento) il principio di finalità della natura, ovvero sembra che l’oggetto
del nostro piacere sia bello solo per noi, che esista solo per generare in noi un
senso di armonia. 
Ma cos’è precisamente il bello? Kant risponde che il bello è ciò che piace:
 senza interesse, cioè il piacere del bello non è legato a nessun genere di
possesso, o piacere fisico o valore morale. Una cosa è bella solo perché è bella.
 universalmente, cioè il bello è bello per tutti e prescinde dai gusti individuali.
 senza concetto, cioè non riusciamo a spiegare cos’è il bello attraverso concetti
o conoscenze, ma lo intuiamo in modo immediato
 necessariamente, cioè ci sentiamo obbligati a provare piacere davanti ad un
certo oggetto bello.

Il senso comune del gustoMa, com’è possibile che, davanti ad una determinata cosa,
tutti la possano trovare bella? Perché il sentimento del bello è universale? Perché
tutti riteniamo bello un arcobaleno o un particolare quadro?
La risposta di Kant è che in tutti gli uomini esiste un senso comune del gusto:
esiste cioè una identica struttura mentale che ci permette di sentire che l’oggetto
è in accordo con le nostre esigenze, generando in noi un senso di armonia, di
serenità.
La bellezza, infatti, secondo Kant non è una proprietà dell’oggetto ma nasce solo
da un accordo tra il soggetto e l’oggetto. Detto in altro modo: non esiste l’oggetto
bello a prescindere dall’uomo ma è quest’ultimo che, nel rapporto con certi
oggetti, prova un senso di armonia e li giudica belli. 

Il sublimeTra i giudizi riflettenti Kant annovera anche il sublime che è un


sentimento che non genera armonia (come il bello) ma, al contrario, paura e
sgomento. È il sentimento che l’uomo prova al cospetto della grandiosità della
natura (il sublime matematico, ad esempio l’oceano) o della sua potenza (sublime
dinamico, ad esempio i terremoti). Ma l’individuo, dopo gli iniziali sentimenti
negativi, attraverso il sublime scopre la sua grandezza spirituale, in quanto la
visione di tali immagini risveglia in lui l’idea di infinito e lo rende consapevole
della sua enorme statura morale.  
2.3I giudizi teleologici
La finalità soggettivaI giudizi teleologici colgono il principio di finalità interno alla
natura stessa, ovvero l’uomo riconosce in ciò che vede un ordine, uno scopo per
cui è stato creato. Ma tale finalità, che noi consideriamo oggettiva, in realtà
risponde soltanto ad una esigenza soggettiva dell’uomo di trovare un senso, una
spiegazione a ciò che ha intorno.
Il giudizio teleologico è universale, in quanto tutti gli uomini sentono l’esigenza
di scorgere un fine in ciò che esiste e di ricondurlo, in ultima istanza, al disegno
di un Dio creatore.
Il carattere non scientifico della teleologiaMa, la teleologia, ricorda Kant, nonostante
risponda ad un bisogno insopprimibile dell’uomo di colmare la spiegazione
deterministica della realtà (basata unicamente sul rapporto di causa-effetto) e
aiuta l’uomo nella formulazione di teorie scientifiche, in sé non ha nessun
fondamento scientifico.

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