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DE RERUM NATURA
DESTINATARIO E PUBBLICO:
Il pubblico di Lucrezio è, come quello di Cicerone, colto ma non elitario. Il
destinatario, Gaio Memmio, incarna l’ideale (mai astratto) di lettore-discepolo a cui spesso
Lucrezio si rivolge come a una persona colta ma bisognosa dei suoi insegnamenti.
LA FORMA POETICA:
Lucrezio sceglie la poesia come veicolo per la dottrina epicurea per rendere l’opera più
attraente al pubblico colto, nonostante l’avversione di EPICURO stesso per questo genere,
visto come un traviamento di una resa chiara e disadorna.
Lo stile poetico non è però semplicemente subordinato al contenuto: il messaggio
filosofico è inscindibile dalla sua veste letteraria. Lo stile è ora più solenne, ora più “duro”,
per esprimere il messaggio scientifico. La poesia epica è scelta dall’autore anche per la sua
potenza espressiva atta a narrare la grandezza e la solennità dell’ispirazione lucreziana.
Il genere didascalico non aveva avuto una vera tradizione romana, come c’era stata in
Grecia. Nella lotta di Epicuro per affermare la sua dottrina, Lucrezio trova un argomento
abbastanza “avvincente” per istruire i lettori attraverso un linguaggio epico che riprenda
quello narrativo. Egli vuole toglierlo dal suo ambito di distacco con il grande pubblico. Nel
rispecchiare la natura, Lucrezio usa stili diversi ma ben amalgamati tra loro.
FINALI E PROEMI:
Lucrezio si avvale del principio alessandrino per cui ogni libro è un’entità in sé compatta e
perfettamente inquadrata nell’architettura complessiva. Ogni libro si apre con un proemio
e ha un finale che si riallaccia al libro che seguirà.
PROEMIO II LIBRO:
Qui troviamo un nobile esempio della varietà di stili di Lucrezio. Si parte con lo
spettatore che guarda le navi travolte dalla tempesta ed è felice di non parteciparvi.
L’immagine si fonde con il saggio che, dall’alto della sua dottrina, guarda con
compiaciuto distacco la lotta degli uomini per i beni effimeri (la ricchezza, la
politica). Poi c’è un abbassamento di tono, con l’invettiva contro gli errori degli
uomini, stemperato dalla visione quasi “idillica” della vita secondo natura, dei piaceri
moderati, dell’amicizia.
PROEMIO AL V LIBRO:
Viene ripetuto quasi parola per parola un pezzo del libro I che contiene le
dichiarazioni di poetica di Lucrezio. E’ un segno evidente del carattere incompiuto
del poema.
Finali in “crescendo”: i finali non appaiono come nettamente distinti dalla narrazione,
come i proemi, ma culminano con un “crescendo” che si sviluppa mano a mano che il libro
procede.
“PESSIMISMO” E “ANGOSCIA”:
In Lucrezio abbondano immagini tragiche, disastri naturali, distruzione e morte. Vi sono
anche immagini di vivo entusiasmo, tuttavia sembra dominare un senso di sfiducia verso
gli stessi rimedi che vengono proposti. La natura è MATRIGNA che non ascolta i lamenti
dell’uomo, un essere impotente i cui lamenti sono paragonati a vagiti. Egli deve accettare
le leggi della natura e cercare, quanto più può, di sottostare e accettarle per vivere in pace.
Il finale del VI libro presenta la follia di uomini ridotti a figure allucinate di paura e di
morte, che lottano come bestie per dar sepoltura ai corpi dei loro cari uccisi dalla peste e
quindi ormai del tutto insensibili.
STILE E LINGUA
Lucrezio ha uno stile solenne, rigoroso e severo, mai veramente ampolloso, per cui attinge
all’epos di Ennio e al ricco patrimonio di figure di suono della poesia arcaica.
Non sono estranei spunti alessandrini, ad esempio la ricerca di una poesia perfettamente
adatta al tema filosofico da tradurre.
Il tema stesso ci riporta i primi poeti-filosofi greci, come Parmenide e
soprattutto Empedocle. Lucrezio si trova a fare i conti con la povertà del linguaggio latino
e, come farà poi Cicerone riscuotendo una grande eco tra i posteri, conia nuovi termini e
prende numerose parole direttamente dal greco, e privilegia in questa operazione ricerche
di onomatopee e spiegazioni etnografiche che potremmo avvicinare a quella della scuola
di Pergamo: la corrispondenza tra realtà e linguaggio.
Nello stoicismo lo scopo della filosofia è quello di raggiungere una
sapienza che permetta di vivere una vita moralmente retta, guidata
dalla ragione. La filosofia stoica si divide in tre parti: la logica, la fisica e
l’etica.
«[In Orazio] , due tendenze si possono nettamente rilevare: l’epicurea, che culmina nel
“carpe diem” e nel “lathe biosas”, e la stoica col suo culto della virtù e del dovere
sociale.Infatti Epicuro consiglia di tenersi lontano dalla politica e vivere
appartato: "vivi nascosto" è il suo motto. Ma anche in tale isolamento va
sempre perseguito l'ideale dell'amicizia e dello scambio con gli altri, che
allarga gli orizzonti e appaga i sentimenti.
VIRGILIO-Le Bucoliche furono, il frutto caratteristico e geniale
dell'influenza esercitata sul suo spirito dall'epicureismo: quasi la
sublimazione e la trasfigurazione in linguaggio poetico, in forma
fantastica, dei genuini precetti di vita insegnati dalla scuola ("vivi
privatamente", "vivi in segreto"), per cui egli era tratto a evadere fuori
dal cerchio della realtà dolorosa, fuori dalla vita sociale, in un mondo
isolato, individualistico ed egoistico, esente da bisogni e da ambizioni,
come appunto è quello dei pastori da lui immaginati, cioè il mondo
fittizio dell'"Arcadia".