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Dio è un atto di fede

Come si pone Kant di fronte all'esistenza di Dio? In conseguenza del dualismo


fenomeno/cosa in sé, Dio è di fatto "cosa in sé". Dio non è dimostrabile
ne indimostrabile, Egli è semplicemente al di là delle possibilità
conoscitive umane. Non si manifesta a noi come fenomeno sensibile, se
esiste, esiste come entità a sé, e quindi "relegato" al mondo oltre-sensibile,
inconoscibile ai sensi.
Per Kant, Dio rientra nella categoria dei postulati della ragione pratica: il
primo postulato è l'esistenza di Dio, il secondo è l'anima immortale, il
terzo la libertà di scelta. Questi postulati sono atti di fede, verità
indimostrate. Kant, accertato che la ragione umana non può provare
l'esistenza di Dio con i soli sensi materiali, riconduce Dio e la religione ad
una verità del cuore, ad una necessità morale (conviene credere in Dio
per utilità morale).
Da tenere presente che Kant, soffermandosi sull'argomento ontologico di
Sant'Anselmo, per cui Dio esiste in quanto essere perfetto, afferma che quella
del Santo non è altro che un'idea, la quale non deve avere per forza una sua
valenza reale. Nell’opera del periodo precritico L'unico argomento possibile per
una dimostrazione di Dio (1763) che segna anche il distacco di matrice
humeana dalla metafisica. Qui Kant distrugge la classica argomentazione
ontologica di Anselmo da Aosta: Anselmo aveva dimostrato l'esistenza di Dio
partendo dal concetto stesso di Dio, inteso come l'essere perfettissimo, e
spiegando che Dio, la cosa più perfetta di ogni altra, per essere tale non può
mancare di esistenza; l'esistenza, in quanto perfezione, per Anselmo fa parte
dell'essenza, e un concetto (pura essenza) privo di esistenza, non può essere
perfetto. Ma Kant confuta quest'argomentazione, sostenendo che l'esistenza
non può a nessun titolo far parte dell'essenza; il concetto di una cosa, sia che
essa esista sia che non esista, non varia e l'esistenza è come se si aggiungesse
dall'esterno: il concetto di giraffa è perfetto di per sé, anche se le giraffe non
esistessero. Kant si avvaleva di un esempio: certo i 100 talleri che ho in tasca
sono diversi dai 100 talleri che io penso, già solo perché con quelli in tasca
posso fare acquisti, ma non è una differenza di essenza, non è, come credeva
Anselmo, che i 100 talleri esistenti siano più perfetti e abbiano più valore dei
100 talleri pensati; non è vero che una cosa esistente è più grande della
medesima cosa pensata come se inesistente. L'esempio dei 100 talleri rende
bene l'idea perché, se come dice Anselmo ciò che esiste vale di più ed è più
grande di ciò che è solo pensato, avendo 100 talleri in tasca, pensando quei
talleri, dovrei averne in mente meno, solo 90, ad esempio, perché una cosa
solo pensata vale meno di una esistente. Così facendo, Kant smonta la prova
anselmiana e mostra che i 100 talleri, sia che esistano sia che non esistano,
hanno la stessa essenza. L'esistenza è invece qualcosa che si aggiunge
dall'esterno, è la posizione (l'essere posto) di qualcosa: esiste ciò che è dato o
può essere dato nell'esperienza di qualcuno: l'essenza di libro non cambia a
seconda che il libro esista o meno, e posso dire che il libro esiste perché mi è
dato all'esperienza (visiva, tattile, etc.). Ne consegue che all'esistenza di
qualcosa si arriva sempre dall'esperienza, mai dall'essenza, e quindi Anselmo
ha sbagliato credendo di poter dimostrare l'esistenza di Dio partendo dalla sua
essenza. In L'unico argomento possibile per una dimostrazione di Dio, Kant,
smontata la prova ontologica, spiega che vi è un solo argomento per
dimostrare l'esistenza di Dio, e tale argomento si basa appunto sull'esperienza:
si tratta della dimostrazione ('del principio di ragion sufficiente') data a suo
tempo da Leibniz. Non vi è nulla che avvenga senza un motivo: ne consegue
che si deve trovare un qualcosa che si spieghi da solo, che sia motivo di se
stesso e che faccia derivare da sé tutto il resto: si tratta di Dio.
Successivamente Kant rifiuterà quest'argomentazione, ma manterrà valida la
critica alla prova di Anselmo, spiegando anzi, nella Critica della ragion pura,
che tutte le prove dell'esistenza di Dio sono riconducibili alla prova di Anselmo;
ma se essa è falsa, anche tutte le altre (che da essa derivano) lo sono. In
effetti la prova della dimostrazione dell'esistenza di Dio addotta da Kant in
quest'opera è molto discutibile, e lui stesso se ne rende conto, a tal punto che,
sul finale dell'opera sull'unico argomento possibile, troviamo scritto: «se è
necessario convincersi dell'esistenza di Dio, non è altrettanto necessario che la
si dimostri».
Secondo Kant, dunque, non si può provare l'esistenza di Dio, e in particolare:

1. Indimostrabilità della prova ontologica: Dio non è dimostrabile


ontologicamente perché il suo essere è chiuso alla conoscenza umana in
quanto cosa in sé (Dio è pensato in quanto noumeno);

2. Indimostrabilità della prova cosmologica: nel dire Dio è “ex


contingentia mundi”, cioè è privo di causalità che è causa prima di tutte le
cose, si fa un uso improprio del concetto di causa, apportandolo ad una
dimensione fuori dal contingente, inoltre anche se si arrivasse ad una causa
prima perché questa esista ci sarà bisogno della prova ontologica già confutata
in precedenza;

3. Indimpostrabilità della prova fisico-teologica: Questa prova ha validità


solo nell’ambito pratico, e lì non c’è prova dell’esistenza di Dio, in quanto il
fenomeno è altro rispetto alla cosa in sé.
Come si può notare, quindi, nemmeno il concetto di Dio resiste alla critica della
ragion pura, la quale si rispecchia nel giudizio etico della ragion pratica. Ecco
perché occorre credere in Dio per utilità morale: ammettere l'esistenza di un
Dio che guida il mondo (anche se non raggiungibile attraverso il mondo),
permette comunque di fondare la società su principi etici giusti e rispettosi
della morale.

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