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Le prove dell’esistenza di Dio in Descartes

Discorso sul Metodo (1637)

Descartes fornisce 3 prove


1) La prima prova parte dall’idea di perfezione:
Descartes dubita e si rende conto che il dubitare non è una perfezione. Se fossi perfetto, infatti, non
dubiterei. Tuttavia, per poter dire che sono imperfetto devo avere nella mia mente l’idea della
perfezione. Se ho nella mente questa idea di essere perfetto, da dove l’avrò presa? Non da me
stesso, perché sono imperfetto. Ma neanche dalle cose che stanno fuori di me perché di queste non
ho nemmeno la certezza che esistano veramente (infatti di queste cose dubito). Allora questa idea
deve venire da un essere perfetto, Dio.
N.B. Sono presenti alcune analogie con la prova di Anselmo: anche l’insipiente dice nel suo cuore
Dio non c’è ma, per poter dire che Dio non c’è, deve sapere che cosa significa la parola Dio (ciò di
cui non si può pensare nulla di maggiore) dunque anche l’insipiente ha l’idea di Dio. È lo stesso
ragionamento che fa Descartes, solo che ricava la soluzione dal dubbio.

2) II prova parte dalla constatazione della mia imperfezione:


Descartes dice di essere imperfetto perché dubita e, allora, se è imperfetto vuol dire che non si è
fatto da sé perché se si fosse fatto da sé, si sarebbe fatto perfetto, si sarebbe dato tutte quelle
perfezioni che sa di non avere. Se, dunque, non ha queste perfezioni, vuol dire che non si è fatto da
sé e che c’è dunque qualcun altro che lo ha fatto e questo qualcun altro è Dio.
N.B. 1: la prova è simile alla precedente, solo più profonda: mentre la prima parte dall’idea di
perfezione (che non posso aver ricavato da me), questa non parte da un’idea ma da un dato di fatto,
la constatazione della mia imperfezione (in termini scolastici: sono un essere finito, contingente,
posso essere ma anche non essere).
N.B. 2: la prova ha delle analogie con le 5 vie di San Tommaso perché parte da un dato di
esperienza (la mia imperfezione) e ne ricava la necessità di un principio assoluto. Ma mentre
Tommaso parte dall’esperienza esterna (cioè il movimento, la causa, i gradi dell’essere, l’ordine),
Descartes parte dall’esperienza interna.

3) La III prova parte dall’idea di Dio come essere perfetto:


Tutte le figure della geometria si presentano con la massima evidenza, ma in nessuna di esse c’è
qualcosa che assicuri l’esistenza dell’oggetto (es. possiamo immaginare un triangolo e costruire un
teorema con cui si dimostra che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli
retti ma questo non implica però che il triangolo esista realmente). Invece per quell’essere che è
oggetto dell’idea di perfezione l’esistenza è necessariamente compresa. Se egli è l’essere perfetto,
che vuol dire che non manca di nulla, deve esistere, perché se non esistesse, gli mancherebbe
qualche cosa, cioè precisamente l’esistenza e quindi non sarebbe più perfetto. E, se è perfetto, deve
avere anche l’esistenza. Quindi Dio esiste.

N.B. Questa terza prova è una riformulazione della prima ma, mentre la prima parte dall’idea di
perfezione questa parte dall’idea di Dio come essere perfetto e concluden che una idea tale di essere
perfetto deve necessariamente includere anche l’esistenza.

4) La IV prova che Descartes presenta, in realtà non è una prova:


Nella nostra mente esistono delle verità innate. Queste non possono provenire dai sensi perché i
sensi ingannano, dunque possono provenire solo da Dio. Dunque Dio esiste (e dobbiamo fidarci di
queste verità perché Dio è buono e non ci inganna, è verace)..
N.B. Questa prova è un circolo vizioso (un ragionamento logico fallace in cui le premesse derivano
dalle conseguenze e queste da quelle, dove la dimostrazione è solo apparente).
Infatti:
- dopo aver provato che Dio esiste mediante l’idea chiara e distinta della sua esistenza (A);
- proviamo che le idee chiare e distinte sono vere perché Dio esiste ed è verace e dunque non
mi inganna (B).
B quindi è giustificato da A. C’è dunque un circolo vizioso: la premessa (A) dimostra la
conclusione (B) e la stessa conclusione (B) giustifica la premessa (A).

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