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SYMBOLON

STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE


Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
Atti del Seminario
Catania, 26-27 settembre 2003
a cura di
R. Loredana CARDULLO e Giovanna R. GIARDINA
Prefazione di
Francesco ROMANO
CATANIA 2005 CUECM
ISBN 88-86673-75-2 14,00 (i.i.)
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STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
Atti del Seminario
Catania, 26-27 settembre 2003
a cura di
R. Loredana CARDULLO e Giovanna R. GIARDINA
Prefazione di
Francesco ROMANO
CATANIA 2005 CUECM
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e[ speiren kata; kovsmon
Or. Ch. Fr. 108 dP
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STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
11. AA.VV., Momenti e Problemi di Storia del Platonismo (1984)
12. Luciano Montoneri, I Megarici (1984)
13. Francesco Romano, Porfirio e la Fisica Aristotelica (1985)
14. R. Loredana Cardullo, Il Linguaggio del Simbolo in Proclo (1985)
15. Concetto Martello, Simbolismo e Neoplatonismo in G. Scoto Eriugena (1986)
16. Francesco Romano e Antonio Tin, cur., Questioni Neoplatoniche (1988)
17. Francesco Romano, Proclo. Lezioni sul Cratilo di Platone (1989)
18. Daniela P. Taormina, Plutarco di Atene. LUno, lAnima, le Forme (1989)
19. Thomas Leinkauf, Il Neoplatonismo di Francesco Patrizi (1990)
10. Daniela P. Taormina, Il Lessico delle Potenze dellAnima in Giamblico (1990)
11. Concetto Martello, Analogia e Fisica in Giovanni Scoto (1990)
12. Eva Di Stefano, Proclo. Elementi di Teologia (1994)
13. Maria Di Pasquale Barbanti, Filosofia e Cultura in Sinesio di Cirene (1994)
14. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. I (1995)
15. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. II (2000)
16. Francesco Romano e R. Loredana Cardullo, cur., Dunamis nel Neoplatonismo (1996)
17. Rosario V. Cristaldi, Saggi (Filosofia, Ermeneutica, Iconologia) (1997)
18. Concetto Martello, Fisica della creazione. La cosmologia di Clarembaldo di Arras
(1998)
19. Maria Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo.
Aspetti psicologici e prospettive religiose (1998)
20. Giovanna R. Giardina, Giovanni Filopono matematico. Commentario a Nicomaco
(1999)
21. Francesco Romano, Domnino di Larissa. La svolta impossibile della filosofia mate-
matica neoplatonica (2000)
22. Concetto Martello, Lanfranco contro Berengario nel Liber de corpore et sanguine Do-
mini (2001)
23. Giovanna R. Giardina, I fondamenti della fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I
(2002)
24. Maria Barbanti e Francesco Romano, cur., Il Parmenide di Platone e la sua Tradi-
zione (2002)
25. Maria Di Pasquale Barbanti, Origene di Alessandria tra Platonismo e Sacra Scrittu-
ra. Teologia e Antropologia del De principiis (2003)
26. Giovanna R. Giardina, Erone di Alessandria. Le radici filosofico-matematiche della
tecnologia applicata (2003)
27. Francesco Romano, Luno come fondamento. La crisi dellontologia classica (2004)
28. R.L. Cardullo e G.R. Giardina, cur., La Fisica di Aristotele oggi (2005)
In copertina: testa di Aristotele, Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Nel frontespizio: Ecate rafgurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies in
Magical Amulets, Michigan Univ. 1950).
Department of Sciences of Culture, Man and Territory
University of Catania
Propriet letteraria riservata
Catania 2005 - Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero
Via Etnea, 390 - 95128 Catania - Tel. e fax 095 316737 - C.c.p. 10181956
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INDICE
Prefazione (Francesco Romano) p. 7
Premessa 15
Le origini della teoria aristotelica delle cause (Mario
Vegetti) 21
Primato della sica? (Enrico Berti) 33
Lanalogia fcvq-qtoi e il nalismo universale in
Aristotele, Phys. II (R. Loredana Cardullo) 51
La causa motrice in Aristotele, Phys. III 1-3 (Gio-
vanna R. Giardina) 111
Le cose mosse da altro per natura (Ferruccio Franco
Repellini) 151
5
PREFAZIONE
Poche parole per presentare questa pubblicazione degli Atti
di un Seminario che poco pi di un anno fa si tenne a Catania su
mia iniziativa, ma per merito soprattutto delle mie due colleghe,
esperte studiose di losoa antica e tardoantica, R. Loredana Car-
dullo e Giovanna R. Giardina, le quali peraltro hanno partecipato
ai lavori del Seminario con due loro contributi che qui trovano
posto e che dimostrano la loro indiscussa competenza anche su
Aristotele. Anzitutto voglio ringraziare ufcialmente, oltre che
queste due colleghe, gli altri tre colleghi, Mario Vegetti, Enrico
Berti e Ferruccio Franco Repellini, che hanno partecipato al Se-
minario con importanti contributi qui contenuti. Si tratta di tre il-
lustri studiosi di Aristotele con i quali si discusso ampiamente
su quello che, a mio parere, uno dei principali trattati aristoteli-
ci, la Fisica, tanto commentato nel corso dei secoli quanto non
adeguatamente analizzato e studiato in tempi recenti, come inve-
ce accaduto e accade ancora oggi nel caso di altri due trattati al-
trettanto importanti, la Metasica e lEtica Nicomachea. Pesa forse
su questa disparit di trattamento la tradizionale difdenza verso
unopera che ha certamente subito le repulse pi feroci n dalla
nascita della scienza moderna. facile constatare come dal punto
di vista storiograco la Fisica soffra di una bibliograa di gran
lunga pi esigua e, sotto certi aspetti, pi prevenuta rispetto alla
Metasica e alle due Etiche, per non parlare degli scritti dellOrga-
non. Ci non toglie che grandi studiosi abbiano consacrato alla
Fisica di Aristotele massicci e meritori studi: basti citare, ad esem-
pio, nomi quali Ross, Mansion, Solmsen e Wieland. stata questa
la ragione che ci ha spinto a tentare di realizzare un incontro tra
specialisti, allo scopo di fornire dei nuovi contributi di studio in
un campo tanto carente.
7
Non entrer nel merito dei singoli contributi che sono conte-
nuti nel presente volume, ma tenter ugualmente di farne una
molto sintetica esposizione di contenuto.
Mario Vegetti affronta il non facile tema delle origini della
teoria aristotelica della causalit, procedendo oltre gli immediati
antecedenti storico-dottrinali in Platone (Phlb. 26e6-8: identica-
zione tra oifiov e oiotv) alla scoperta di quello che egli chiama
lantecedente pi preciso e pi importante, e cio un passaggio
di Antica medicina, dove si dice che causa specica di ciascuna
malattia ci che, se presente, la provoca necessariamente, se as-
sente o alterato la fa cessare. Certamente, soggiunge Vegetti, Ari-
stotele presenta una teoria delle cause molto pi complessa che
quella dei suoi predecessori, non fossaltro perch vale anche in
questo caso il principio squisitamente aristotelico che lessere si
dice in molti modi, e quindi anche la causa oom ccfoi.
Lindagine di Vegetti prosegue nel rintracciare i momenti salienti
della ricerca aristotelica appunto sui vari modi di dire la causa, e
cio sulla valutazione linguistico-dialettica dello stesso concetto di
causa, recuperando interessanti e signicativi addentellati con
gran parte della tradizione non solo losoca (naturalistica), ma
anche storiograca (Tucidide) e soprattutto medica (alcuni testi
quali il De atibus e il Peri tekhnes). Certo, conclude Vegetti, la
complessit storico-teoretica dellanalisi aristotelica della causalit
ne ha impedito una teorizzazione lineare, e al limite meccanici-
stica, ma in compenso ne ha determinato quellimportante
aspetto per cui la Fisica di Aristotele, se estranea alla genealo-
gia della scienza moderna, non lo per alla discussione contem-
poranea sulla struttura della spiegazione causale, cosa che viene
troppo spesso trascurata dagli interpreti.
Enrico Berti affronta il tema del rapporto tra sica e metasi-
ca, allo scopo di rafforzare gli argomenti con i quali Wieland ha
inteso contestare la communis opinio secondo cui spetta alla meta-
sica il ruolo di scienza (o losoa) prima, per restituire il pri-
mato alla sica, fossanche come primato metodico nel senso
spiega Berti che la metasica in Aristotele non risulta com-
prensibile senza la sica, mentre la sica pu essere compresa au-
8 FRANCESCO ROMANO
tonomamente e di per s. In effetti, sostiene Berti, la sica
scienza dei principi, di tutti i principi ovverosia dei principi di
tutta la realt. La sica, in tal modo, possiede per Aristotele un
primato che potremmo denire iniziale, nel senso che essa d
inizio alla ricerca dei principi di tutte le cose, il che proprio di
una losoa prima, ma poi afda il compimento, o lafnamen-
to, di tale ricerca, ma soltanto per una parte di questi principi, al-
la metasica, la quale in tal modo ottiene un primato che potrem-
mo denire nale. La tesi di fondo di Berti che la prima fase
dellevoluzione del pensiero di Aristotele caratterizzata dal fatto
che egli non distingue ancora la sica dalla metasica, identican-
dole entrambe in una scienza prima che egli considera teoretica e
che distinta dalla scienza pratica. Tale fase del pensiero aristote-
lico certamente quella giovanile, e precisamente quella a cui ap-
partengono, da un lato il Protreptico e dallaltro lato i libri o e A
della Metasica. Essi contengono una sorta di Urmetaphysik e
precisamente una sica-metasica, chiamata sica in quanto
scienza della natura, alla quale Aristotele attribuisce il ruolo di
losoa prima, in quanto ricerca delle cause prime della natu-
ra. Tutto ci dimostra conclude Berti anche che, per Ari-
stotele, la metasica non n ontologia, n teologia, n la sintesi
di ontologia e teologia, cio lonto-teologia, di cui parlano Hei-
degger e i suoi innumerevoli ripetitori. La denominazione di -
losoa prima, dunque, spetta a tale scienza, che primariamente
sica. Donde il primato della sica che il titolo di questo con-
tributo di Berti.
Loredana Cardullo tratta dellanalogia tekhne/phusis in fun-
zione di quello che essa chiama il nalismo universale in Aristo-
tele Phys. II. Tale analogia, che Aristotele affronta in polemica
con la nozione platonica della phusis, anche nel suo rapporto
con la tekhne, quale viene esposta nel Timeo e nel X libro delle
Leggi, ha un valore metodologico-conoscitivo, nel senso che la
phusis non pu essere compresa se non attraverso la tekhne. La
Cardullo si diffonde in una sottile e interessante analisi dei due
concetti, condotta, oltre che sui testi menzionati di Platone, sul li-
bro II della Fisica di Aristotele confrontato con alcuni passaggi
PREFAZIONE 9
della Metasica. La tesi di fondo della Cardullo che Aristotele,
in polemica con Platone, attribuisce un primato ontologico alla
phusis e quindi una superiorit di questa sulla tekhne, al contrario
di quel che accadeva in Platone. Tale primato viene giocato sul
campo della nozione di mimesis, a proposito della quale si regi-
stra ancora un contrasto tra Platone e Aristotele. Su tutto ci si
innesta il discorso che la Cardullo dedica alle diverse interpreta-
zioni della teoria delle quattro cause, che da un buon numero di
interpreti viene intesa nel senso che, a parte la causa efciente, in
Aristotele la nozione di causa indica non gi una concreta realt
capace di produrre come suo effetto unaltrettanto concreta
realt, bens un modo di spiegare il perch una certa realt
quello che , lungi, quindi, da ogni signicato moderno del termi-
ne causa intesa come un agente concreto, qualcosa che agisce e
che, attraverso tale azione, produce un effetto. Una tale interpre-
tazione, generalmente sostenuta nel mondo anglosassone, non
convince la Cardullo, che le contrappone una serie di argomenti
critici atti a svalutarla a vantaggio del carattere realistico o prag-
matista o empirista, in una parola ontologico dellaitia aristoteli-
ca. Di qui il passo breve per dimostrare il valore nalistico del-
lanalogia tekhne-phusis in Aristotele. Cosa che la Cardullo fa, ed
efcacemente, nella parte conclusiva del suo contributo.
Giovanna R. Giardina affronta il problema della causa mo-
trice nei primi tre capitoli del libro III della Fisica di Aristotele.
Si tratta di unacuta, approfondita e convincente analisi di una
parte del testo aristotelico che presenta notevoli difcolt di lettu-
ra e di interpretazione. Il discorso della Giardina si muove sulla
direttrice della teoria generale del movimento, che Aristotele trat-
ta nelle sue linee essenziali in quei tre capitoli prima di utilizzarla
secondo modi specici in vari trattati sici particolari, primi fra
tutti il De motu animalium e il De generatione animalium. La tesi
di fondo della Giardina che la dottrina della causa motrice in
Aristotele legata a quella generale del movimento, nel senso che
fo ivotcvov presuppone necessariamente fo ivotv. Il discorso
della Giardina si muove pertanto tra la denizione di movimento
e quella di causa motrice, lungo un percorso criticamente efcace
10 FRANCESCO ROMANO
e metodologicamente rigoroso in cui vengono affrontati in modo
sistematico e organico tutti, dico tutti, i passaggi logici che hanno
guidato la mente di Aristotele dalla prima alla seconda denizio-
ne, cio dal movimento alla causa motrice. Sono analizzate e va-
lutate tutte le proposizioni contenute nelle pagine di Phys. III
1,200b12-2,202a3 e III 2,202a3-3,202b29 rispettivamente dedica-
te al movimento e alla causa motrice. Sono tenuti in gran conto, e
giustamente, tutti gli esempi con cui Aristotele accompagna le sue
argomentazioni e le sue denizioni, perch spesso proprio dagli
esempi possibile ricavare il signicato effettivo del ragionamen-
to aristotelico. Mi sembra buona norma metodologica non trascu-
rare gli esempi concreti che il Filosofo adduce per spiegare no in
fondo ci che vuole dire. A tale proposito interessante lanalisi
che la Giardina fa dei due termini/concetti, molto spesso confusi
o scambiati tra loro, di cvcqcio e cvfcccio. Se non si distin-
guono tra loro questi due termini/concetti non si capisce il di-
scorso di fondo che porta Aristotele a dimostrare il movimento
attraverso la causa motrice in tutte le loro rispettive accezioni. Ri-
sulta infatti e la Giardina lo sottolinea esplicitamente che
lcvfcccio altro non che una cvcqcio ofcq, cio un atto
incompiuto, ed incompiuto perch ancora presente il poten-
ziale, il otvofov. E questo lo si afferra proprio in virt dellesem-
pio della costruzione di una casa oioooqoi con cui Aristo-
tele accompagna il suo ragionamento. Lanalisi del movimento, o,
meglio, degli argomenti con cui Aristotele denisce il movimen-
to, rende necessaria lanalisi della causa motrice, che occupa lul-
timo paragrafo, il pi lungo, del contributo della Giardina. Il mo-
vimento si spiega con il rapporto motore-mosso: il motore, fo
ivotv, causa motrice, perch ci che trasmette una certa for-
ma, cioo fi, che Aristotele spiega secondo quelle che sono le ca-
tegorie del mutamento, cio sostanza, quantit, qualit. Ciascuna
di queste forme detta oqq oi oifiov fq ivqocm, quindi fo
ivotv pu benissimo essere denito o0cv q oqq fq cfopoq,
oppure come o0cv q ivqoi.
Ferruccio Franco Repellini discute la problematica che emer-
ge dalla lettura del cap. IV del libro VIII della Fisica, soprattutto
PREFAZIONE 11
in ordine allaporia sul motore immobile: tutto ci che mosso,
mosso da qualcosa; tutto ci che mosso da qualcosa, o mosso
da altro o mosso da se stesso; nel primo caso impossibile non
risalire a un primo mosso che mosso da se stesso, perch si pro-
durrebbe un regressus in innitum; nel secondo caso ogni motore
di se stesso si articola necessariamente in una parte (o aspetto)
che mossa e in unaltra parte che motrice immobile; la colle-
zione di primi motori immobili cos introdotta deve essere, alme-
no in parte, eterna e nita, ed meglio che sia uno anzich molti.
questo lo schema dellintera argomentazione che Aristotele
svolge nel libro VIII della Fisica, almeno no al cap. 6, dove essa
si conclude con lintroduzione di un primo motore immobile. La
tesi di fondo di Franco Repellini che in tutto questo rimane
estranea la nozione di qtoi, giacch in nessuno di questi passi
dimostrativi la natura presente in modo indispensabile. Tutta-
via la natura appare presente in modo rilevante soltanto nel cap.
4, dove si dimostra che tutto ci che mosso, mosso da qualco-
sa. Aristotele giunge a tale conclusione non mediante una dimo-
strazione diretta, bens con un percorso pi tortuoso: producen-
do una casistica esaustiva delle cose mosse, e facendo vedere in
ciascun caso il qualcosa che assolve il ruolo di motore. Le dif-
colt interpretative del cap. 4 nascono dal fatto che Aristotele, da
un lato non pretende di far derivare la necessit di un motore per
ogni movimento dalla denizione di natura, dallaltro lato per si
esprime scrive Franco Repellini come se non ci fossero pro-
blemi di compatibilit tra la denizione di natura come principio
di movimento e la tesi della necessit di un motore per ogni movi-
mento. Per dissipare ogni aporia, occorre leggere questo cap. 4
solo nellottica generale del libro VIII che quella di riconosce-
re la necessit dellesistenza di un livello di motori immobili eter-
ni, come condizione delleternit della ghenesis, dalla quale a sua
volta dipende lintelligibilit del mondo.
Non voglio andare oltre come ho promesso allinizio que-
ste sintetiche presentazioni dei cinque testi che qui sono raccolti e
pubblicati. Mi premeva soltanto di dare almeno una testimonian-
za dellinteresse che mi ha guidato, prima nel proporre liniziativa
12 FRANCESCO ROMANO
di questo Seminario, e dopo nel trarre protto scientico dalla di-
scussione e dalla lettura dei singoli lavori presentati dai colleghi
Aristotelisti.
Le colleghe che hanno curato il volume forniranno a parte,
nellIntroduzione, i criteri e le ragioni del loro lavoro editoriale e
lo faranno con tanta maggiore efcacia in quanto sono, esse s,
addette ai lavori nel settore degli studi aristotelici.
Giudicher il lettore se sia valsa la pena di concludere la no-
stra iniziativa con la pubblicazione di questi Atti.
Catania, Universit, febbraio 2005
Francesco Romano
PREFAZIONE 13
PREMESSA
Dopo lavvento della sica moderna la Fisica di Aristotele ha
perduto gran parte del suo antico prestigio e della sua credibilit
a ragione del fatto che i principali sici moderni, a cominciare da
Bacone e Galilei, come si sa, la liquidarono come inefcace e su-
perata, giudicandola pi che una scienza vera e propria come
Aristotele laveva considerata una metasica del mondo sensi-
bile. Questo spiega perch gli studi che sono stati dedicati alla
Fisica dopo il XVII sec. sono poco numerosi: una povert che
contrasta con il successo che altre opere di Aristotele hanno gua-
dagnato fra gli studiosi. Il fenomeno prosegue a tuttoggi: gli studi
sulla Fisica pubblicati negli ultimi due secoli sono pochi, anzi ad-
dirittura rari.
Oggi forse non pi possibile sottoscrivere laffermazione di
Heidegger, secondo cui la Fisica di Aristotele il libro fonda-
mentale della losoa occidentale, ma certamente questopera
ha profondamente e durevolmente segnato il nostro modo di pen-
sare e su un punto Heidegger ha ragione: la natura aristotelica,
nella sua opposizione agli altri campi del pensiero, cio la sovra-
natura, larte e la storia, la nostra natura. Se quindi da un lato
impossibile aderire ad una concezione continuista della storia
della sica in cui la Fisica di Aristotele sarebbe la progenitrice di
quelle di Galilei, di Cartesio e di Newton, nondimeno essa non
n estranea n assente nel dibattito contemporaneo, in cui rap-
presenta ancora un oggetto di studio interessante per la storia del-
la scienza e per la losoa. Tuttavia, se i tempi della losoa non
sempre coincidono con i tempi della scienza, la Fisica, pi di tanti
altri trattati aristotelici, continua a far sentire il suo peso, ponen-
dosi a giusto titolo in quella atemporalit che segna le pi grandi
produzioni del pensiero umano. Tutti questi motivi rendono oggi
15
particolarmente urgente e stimolante una riessione sulla Fisica
aristotelica e sul ruolo che essa ha svolto e continua a svolgere nel
dibattito contemporaneo.
La scelta di fare discutere, in due giornate di studio e di ries-
sione critica sulla Fisica di Aristotele, un gruppo di aristotelisti,
alcuni dei quali si segnalano anche per le loro ricerche sulla tradi-
zione neoplatonica alla quale Aristotele non certo estraneo, na-
sce da un autentico interesse sia per la losoa dello Stagirita in
quanto tale, sia appunto per la presenza di essa nella speculazione
degli esegeti neoplatonici. La lettura preliminare, attenta e capil-
lare, del testo di Aristotele e della relativa letteratura critica, che
lo studio dei commentari aristotelici di autori neoplatonici sem-
pre necessariamente comporta, ha fatto nascere in noi, quasi co-
me uno sbocco naturale, un interesse sempre crescente per il pen-
siero dello Stagirita, e il desiderio di dedicarvi pi tempo e pi
energie. Per tale ragione da qualche anno alcuni di noi hanno, per
cos dire, trasgredito agli orientamenti principali del gruppo di ri-
cerca che ha sempre in Francesco Romano il suo cuore pulsan-
te scegliendo di convogliare la propria attenzione verso la loso-
a aristotelica.
Le risultanze del dibattito seminariale sono contenute in que-
sto volume, che raccoglie contributi preziosi che sono altres testi-
monianze della partecipazione degli studiosi italiani al dibattito
internazionale su Aristotele e sulla scienza aristotelica: di ci il let-
tore pu rendersi conto gi leggendo la presentazione che, nelle
pagine precedenti, ha fatto F. Romano disegnando un rapido ma
efcace prolo di ciascun contributo.
Nel curare questo volume abbiamo cercato di rispettare il pi
possibile le scelte redazionali dei singoli autori: abbiamo perci
evitato di uniformare le citazioni degli autori antichi o le sigle di
uso comune, lasciando inalterati i testi che ci sono stati inviati da-
gli autori. Anche le note seguono criteri differenziati, in quanto
per motivi di snellezza adottato il metodo anglosassone nei no-
stri due contributi (che quindi presentano nelle rispettive pagine
nali le indicazioni bibliograche a cui si fa rapidamente riferi-
mento nelle note), e il metodo classico invece nei rimanenti.
16 PREMESSA
Nel licenziare questo volume, ringraziamo i Colleghi che han-
no reso possibile liniziativa e che ci hanno consentito di potere
fruire di un dibattito scientico altamente qualicato e stimolante
su temi di nostro interesse, sui quali ogni giorno ci interroghiamo
anche in vista di nuovi studi aristotelici destinati a prossime pub-
blicazioni.
Catania, Universit, febbraio 2005
Le curatrici
PREMESSA 17
LA FISICA DI ARISTOTELE OGGI
PROBLEMI E PROSPETTIVE
19
LE ORIGINI DELLA
TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE
Mario Vegetti *
1. Vorrei proporre, per cominciare, una sorta di esperimento
esegetico. Se Aristotele si fosse limitato alla denizione riassuntiva
di causa proposta a proposito della sola arche kineseos , nel
capitolo 3 del II libro della Fisica, non sarebbe stato difcile rico-
struire la genealogia di questa posizione. In questo passo si dice
che in generale causa [efciente] ci che produce ci che vie-
ne prodotto e muta ci che viene mutato (194b31 sg.: om fo
oiotv fot oiotcvot oi fo cfopoov fot cfopoocvot)
(e si veda negli stessi termini Metasica Delta 2 1013a sg.). As-
sisteremmo in questo caso ad un passo signicativo del percor-
so concettuale che sarebbe culminato nella teoria di Hume della
causa come antecedente lineare e necessario del relativo effetto. I
precedenti pi vicini ad Aristotele potrebbero venire rintracciati
in alcuni testi platonici: nel Fedone,
1
intanto, almeno laddove la
causa descritta come il perch ogni cosa viene ad essere, peri-
sce ed esiste (96a9: oio fi ivcfoi coofov oi oio fi oot-
foi oi oio fi cofi); ma soprattutto poich il Fedone insiste sul-
la modalit nale della causazione in un importante passo del
Filebo, dove aition e poioun vengono di fatto identicati (26e6-8:
fo oiot v oi fo oifiov o q0m o v ci q co cvov cv).
Ma lantecedente pi preciso e pi importante sarebbe da in-
dividuare in un passo di Antica medicina, un testo ippocratico che
21
* Universit di Pavia.
1
Cf. su questi passi D. Sedley, Platonic Causes, Phronesis 43, 1998, pp.
114-32; F. Fronterotta, Mc0ci. La teoria platonica delle idee e la partecipazione
delle cose empiriche, Scuola Normale Superiore, Pisa 2001, pp. 206-22. Sulla po-
sizione antiplatonica di Aristotele sul tema delle cause, cf. C. Natali, Problemi
della nozione di causa in Aristotele, con particolare attenzione alla causalit nale,
Quaestio 2/2002 (La causalit, a cura di C. Esposito-P. Porro), pp. 57-75.
pu venire datato alla ne del V secolo, e che porta a compimen-
to un lungo e incerto percorso del pensiero medico in direzione
di una concettualizzazione della causalit (senza tuttavia cancel-
larne le oscillazioni, come vedremo pi avanti). Scriveva dunque
lautore ippocratico: dobbiamo certamente considerare che cau-
sa (aitia) di ogni malattia siano quei fattori che quando sono pre-
senti producono necessariamente una malattia di un tipo partico-
lare, che invece cessa quando essi mutano (19. 3: oci fotfo
oifio coofot qcio0oi civoi, mv oqcovfmv foiotfofqoov o -
voq ivco0oi, cfopoovfmv otco0oi). Una causa dunque
tale (1) quando la sua presenza produce un certo effetto, (2)
quando questo effetto determinato necessariamente e in modo
univoco, (3) quando la sua assenza o alterazione determina il ve-
nir meno delleffetto.
Aristotele avrebbe dunque raccolto non solo i precedenti pla-
tonici, ma soprattutto la pi chiara e univoca teorizzazione ippo-
cratica della forma generale della causalit (quella, per inten-
derci, che egli nella Fisica limitava alla sola modalit efciente).
Quanto agli sviluppi successivi di questa posizione, essi pos-
sono venire sicuramente riconosciuti nella teoria stoica di Zenone
e Crisippo, cui si deve la celebre distinzione fra aition come causa
(che necessariamente corporea) e aitia come spiegazione (che
consiste in un logos).
2
Di qui si giunge no alla tesi dogmatica
attestata in Sesto Empirico (Schizzi pirroniani III 14: una causa
ci mediante la cui attivit si produce un effetto) e pi oltre,
come si diceva, appunto no a Hume.
2. Ma, come ben noto, Aristotele non pu venire inserito in
questa linea genealogica perch la sua teoria della causalit, discus-
sa nel II libro della Fisica, e per altro ripresa nel capitolo di Meta-
sica Delta cui mi sono riferito, assai pi complessa, o, come scri-
22 MARIO VEGETTI
2
Zenone (SVF I 89) deniva laition come il diho, e sosteneva che non esi-
ste causa senza il relativo effetto; cf. anche Crisippo, SVF II 336. In proposito
fondamentale il saggio di M. Frede, The Original Notion of Cause, in Essays in
Ancient Philosophy, Oxford, U.P. 1987, pp. 125-50.
ve Sorabji, pi liberale,
3
bench, dal punto di vista della moder-
nit, forse pi arcaica, delle posizioni che ho n qui delineato.
Questa teoria ha al suo centro lanalisi delle modalit con cui
si pu rispondere alla domanda perch (dia ti) (II 7 198a14
sgg.), che sono inevitabilmente plurali e irriducibili, dal momento
che le cause si dicono in molti modi (II 3 195a29: ccfoi oq
oifio oom). Aristotele ne riconosce quattro modalit princi-
pali, ognuna delle quali presenta sei tropoi (il particolare, il gene-
rale, il sumbebekos, il genere del sumbebekos, isolati o combinati
fra loro), che a loro volta possono venir presi in senso attuale o
potenziale: in tutto 48 possibili modi di formulare la risposta a
quella domanda (II 3). A chiunque abbia in mente la teoria linea-
re della causalit cui si fatto cenno, il linguaggio e gli esempi
con cui Aristotele introduce la sua classicazione dei modi della
causazione e della spiegazione causale non possono che risultare
sconcertanti. Il primo tipo di risposta a quella domanda consiste
nellenunciare ci da cui si genera una cosa e che vi permane,
come il bronzo per la statua. Il secondo nellindicare leidos, cio,
platonicamente, il paradeigma (come il rapporto 2:1 per lottava
musicale). Il terzo modo di rispondere riguarda il principio del
mutamento o dellimmobilit, nel senso che ne aitios (causa, o
anche responsabile) chi ha preso la decisione (ho bouleusas),
o il padre del glio. La quarta modalit di risposta rappresenta-
ta dallenunciazione dello scopo, fo ot cvco (alla domanda
perch passeggia? rispondiamo per star bene).
4
A partire da Ross, e specialmente con Wieland, gli interpreti
hanno giustamente sottolineato lassenza di qualsiasi forma di de-
duzione o dimostrazione di questa teoria della causazione, o
meglio della spiegazione causale, di cui per contro chiaro il ca-
rattere di risultato di unanalisi delluso linguistico,
5
e in sostan-
LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 23
3
R. Sorabji, Necessity, Cause and Blame, Duckworth, London 1980, p. 42.
4
R. Sorabji, op. cit., p. 40, parla di four modes of explication; allo stesso
modo R.J. Hankinson, Cause and Explanation in Ancient Greek Thought, Cla-
rendon Press, Oxford 1998, di explanatory categories (o becauses).
5
W. Wieland, La sica di Aristotele (1962), trad. it. Il Mulino, Bologna
1993, p. 331.
za la natura dialettica. Essa deriva quindi dalle opinioni comuni,
anzi, secondo Irwin, proprio in quanto troppo aderente alle
opinioni comuni che dovrebbe spiegare, non riesce a chiarire la
centralit della causa efciente.
6
Noto n dora che questa critica
assume come riferimento valutativo proprio la linea genealogica
che ho prima descritta, e alla quale Aristotele ha deciso di sottrar-
si, non senza, come vedremo, qualche vantaggio teorico.
7
Mi interessa per ora, prima di discutere questo problema, an-
dare oltre il riferimento generico allanalisi linguistica, e allinda-
gine dialettica sulle doxai, per ricostruire unaltra genealogia della
posizione aristotelica, facendola risalire non semplicemente al lin-
guaggio e alle opinioni comuni, bens ad una ricca e complessa
tradizione culturale. Quali sono dunque i linguaggi e le opinioni,
retaggio di questa tradizione, a partire dai quali prende forma la
concettualizzazione aristotelica della causalit?
3. A dire il vero, questa domanda sembra avere una risposta
obbligata, e del resto notissima, perch lo stesso Aristotele a in-
dicarcela nel libro Alpha della Metasica: la tradizione di cui egli
dichiara di essere lerede quella tutta losoca che va da
Talete no a Platone. Ma si tratta di una risposta attendibile? Il ri-
sultato sorprendente di una ricerca sul lessico della causalit nei
frammenti dei pensatori presocratici prescindendo, sintende,
dalle testimonianze di esclusiva origine aristotelica la pressoch
totale assenza di un qualsiasi linguaggio relativo a questo ambito.
8
24 MARIO VEGETTI
6
T. Irwin, I principi primi di Aristotele (1988), trad. it. Vita e Pensiero, Mi-
lano 1996, pp. 121-22.
7
Questa mi sembra anche la posizione di C. Natali, AITIA in Aristotele.
Causa o spiegazione?, in H.C. Gnther-A. Rengakos (hsg.), Beitrge zur Antiken
Philosophie. Festschrift f. W. Kullmann, Steiner Verlag, Stuttgart 1997, pp. 113-
24 (Natali ritiene per che, in luoghi diversi da quelli della Fisica, Aristotele teo-
rizzi la causalit non solo come spiegazione, ma descrizione di connessioni rea-
li di dipendenza che esistono nel mondo).
8
Ho discusso pi ampiamente la questione in Culpability, responsibility,
cause: Philosophy, historiography and medicine in the fth century, in A.A. Long
(ed.), The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, Cambridge, U.P.
1999, pp. 271-89.
Aitia compare una sola volta in Democrito (DK B 83), con il
signicato di ragione o motivo. Prophasis (DK B 119) ha il
valore di scusa, giusticazione che normale, come vedremo,
negli storici e nei medici. In Gorgia aitia, che compare nellElena
e nel Palamede (DK B 11, 11a) mantiene naturalmente il signica-
to di colpevolezza o responsabilit che consueto nel discor-
so giuridico e morale. Basta ricordare, in proposito, la seconda
Tetralogia di Antifonte, dove in questione la responsabilit di
un giovane che lanciando il giavellotto ha ucciso un compagno
entrato per errore nel campo di tiro, o laneddoto di Pericle e
Protagora (DK 80A10), che discutono su chi siano i responsabi-
li (appunto aitioi) delluccisione di un altro giovane in circostan-
ze simili. Si tratta in tutti questi casi di dibattiti sulla responsabi-
lit e la colpevolezza in contesti religiosi, morali e giuridici di-
battiti che raggiungono forse il loro punto pi alto nellEdipo a
Colono di Sofocle, dove Edipo si dichiara moralmente e legalmen-
te innocente perch i suoi crimini erano stati involontari e incon-
sapevoli (vv. 546-8, 266-72). Ma a sua volta Edipo era stato pre-
ceduto dallAgamennone omerico, quando aveva dichiarato non
io sono il colpevole (aitios), bens Zeus, la Moira e le Erinni (Ilia-
de XIX 86).
Pi interessanti sono i risultati della ricerca sul linguaggio re-
lativo ai nessi di dipendenza fra cose ed eventi nei pensatori natu-
ralisti, cui Aristotele fa largamente riferimento nel libro Alpha
della Metasica. Nel pi antico di essi di cui ci sia pervenuto un
frammento forse originale, Anassimandro, il ciclo del cosmo fat-
to dipendere da un avvicendarsi di colpa e punizione (adikia,
tisis) (DK B1), cio in termini giuridico-morali piuttosto che cau-
sali. Pi in generale, il termine ricorrente laddove ci si potrebbe
aristotelicamente attendere aitia quello di arche, che vale certo
principio, punto di inizio di un processo, ma che mantiene
sempre anche il valore politico di potere. Cos ad esempio Em-
pedocle parla di Amore e Odio come archai che dominano
(krateousi) a turno nel volgere del tempo (B 17.28), e Anassagora
descrive il Nous come un autokrates che esercita la sua forza (kra-
teuei, ischeuei) e possiede il potere (arche) di iniziare il movimen-
LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 25
to di rotazione del mondo (B 12). Sembra chiaro, dunque, che
queste forme embrionali di pensiero causale sono del tutto avvol-
te in linguaggi metaforici che derivano dalla sfera politica, oppure
da quella giuridico-morale.
Non dunque dai linguaggi e dalle doxai dei naturalisti preso-
cratici che Aristotele pu aver derivato la sua classicazione dei
modi con cui si risponde alla domanda perch. Evidentemente,
una radicale elaborazione di questo ambito di pensiero poteva
farne emergere le questioni del rapporto fra forma e materia, fra
agente e ne, che in esso erano per tuttaltro che evidenti ed ela-
borate. Ci si pu chiedere perch Aristotele abbia deciso di far di-
pendere da questa tradizione, o meglio dalla sua trattazione dia-
lettica (il cui senso stato perfettamente illustrato da Enrico Ber-
ti)
9
la derivazione doxastica della sua teoria della causalit. Una
risposta possibile pu consistere nella sua intenzione di costruire
unautonomia della tradizione losoca o almeno di quella
che egli istituiva come tale rispetto a un retroterra culturale pi
ampio e variegato che doveva per ora venire per cos dire censu-
rato perch estraneo allautogenesi dello spazio della scienza ri-
cercata, la zetoumene episteme su cui verte Metasica Alpha.
4. Qualche indizio che ci porta nella direzione di questo re-
troterra culturale della teoria aristotelica della causalit afora
tuttavia ancora in alcuni passi signicativi.
In Analitici Posteriori II 11 Aristotele fa un esempio relativo
alla causa (to dia ti) della guerra medica contro Atene. Alla do-
manda perch i Persiani hanno combattuto gli Ateniesi?, la ri-
sposta : perch questi ultimi hanno cominciato per primi le
ostilit effettuando la spedizione contro Sardi. Secondo Aristo-
tele, si tratta qui di una spiegazione basata sulla causa efcien-
te, fo ivqoov qmfov. Ma la fonte certamente extralosoca:
si tratta senza dubbio dellepisodio narrato da Erodoto (V 99-
26 MARIO VEGETTI
9
Cf. E. Berti, Sul carattere dialettico della storiograa losoca di Aristote-
le, in G. Cambiano (a cura di), Storiograa e dossograa nella losoa antica, Tir-
renia, Torino 1986, pp. 101-25.
102), che i Persiani addussero a pretesto per la loro rappresaglia.
Nella stessa Fisica (II 7 198a19 sg.), torna un esempio simile: alla
domanda perch si fatta la guerra?, si pu rispondere per-
ch avevano compiuto una razzia (qui la risposta ancora di ti-
po erodoteo, e in questo caso viene enunciata la causa efcien-
te), oppure per dominare (una risposta che ricorda piuttosto
la spiegazione tucididea della guerra del Peloponneso, I 23.6,
e che ha la forma dellenunciazione della causa nale, fivo
c vco).
Questi esempi indicano con chiarezza il terreno di formazione
di un linguaggio in cui termini come aitia e aition signicano pri-
mariamente responsabilit o imputabilit.
10
Si tratta eviden-
temente del dibattito politico quale viene rappresentato ed elabo-
rato nella storiograa da Erodoto a Tucidide. Lopera del primo
inizia appunto con una discussione della aitia delle guerre fra
Greci e Barbari: le ragioni e i motivi del conitto sono disputati
fra le due parti, che si accusano a vicenda di esser responsabili
dellingiustizia (adikia) che ha motivato la rappresaglia dando ori-
gine alle ostilit. In Erodoto il valore primario di aitia resta quello
di accusa per un crimine commesso, e quindi di colpevolezza
che costituisce motivo di punizione (cf. per esempio I 137.1). Ad
esso si connette strettamente il termine prophasis, che vale giusti-
cazione, pretesto, scusa. Ma ci sono anche in Erodoto segni di
una vaga e incerta transizione dal linguaggio dellimputabilit a
quello della causalit: egli sostiene ad esempio che il sole aitios
delle piene del Nilo, dunque responsabile ma in un certo senso
anche causa.
Linizio della Storia di Tucidide interamente erodoteo: vi si
descrivono le accuse e le dispute (aitiai/diaphorai, I 23.5), cio i
motivi (aitias) pubblicamente addotti dalle parti in conitto per
giusticare lo scoppio delle ostilit fra Ateniesi e Spartani. C in
verit un celebre passo (I 23.6) in cui Tucidide afferma che la
prophasis pi vera, bench occultata nella discussione pubblica,
LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 27
10
R. Sorabji, op. cit., p. 40, denisce aition come what is responsible, or
answerable; cf. anche M. Frede, op. cit., p. 132.
fu la necessit degli Spartani di iniziare la guerra per il timore del-
la crescente potenza ateniese. Ma prophasis non signica, come
hanno creduto molti interpreti, la causa ultima celata dietro i
pretesti addotti. Il termine, che deriva da phaino,
11
vale portare
alla luce, e laffermazione tucididea andr dunque intesa in que-
sto senso: il motivo pi autentico che io posso mostrare, nono-
stante il suo occultamento.
Anche in Tucidide compare tuttavia almeno un passo in cui si
assiste ad unincerta transizione dal linguaggio della responsabi-
lit e dellimputazione a quello della causalit. Si tratta del celebre
resoconto dellepidemia di Atene (II 48.3). Tucidide ritiene che
ognuno, medico o profano, debba esprimere la sua opinione sulle
aitiai che possono aver posseduto una forza (dunamis) tale da
provocare la catastrofe. Interessante qui la connessione di aitia
con dunamis, nel senso di capacit di produrre effetti, che qua-
lica in senso decisamente causale il valore del termine.
Questo passo ci indirizza verso il linguaggio della medicina, di
cui qui Tucidide largamente debitore. Va detto che anche nei
testi ippocratici del V secolo il linguaggio della causalit risulta
tuttaltro che chiaramente denito. Esso per esempio del tutto
assente in testi importanti ed autorevoli come il De locis in homi-
ne e il Prognostico, e anche altrove difcile trovare paralleli alla
posizione di Antica medicina (un testo che anche per questo, co-
me per altri aspetti, risulta anzi piuttosto isolato).
Allinizio del Male sacro troviamo la celebre dichiarazione se-
condo la quale anche questa affezione, lepilessia, non di origine
divina ma possiede una sua natura e una sua prophasis: il termine
non vale qui causa, ma, esattamente come in Tucidide, spiega-
zione pubblicamente enunciabile, al contrario di quelle proposte
da maghi e puricatori, che rendono gli di colpevoli (aitioi)
del male (1.20). Sulla stessa linea, ma anche pi interessante dal
nostro punto di vista, il trattato sulle Arie, acque, luoghi. A pro-
28 MARIO VEGETTI
11
Cf. J. Irigoin, Pralables linguistiques linterprtation de termes techni-
ques attests dans la collection hippocratique, in F. Lasserre-P. Mudry, Formes de
pense dans la collection hippocratique, Droz, Genve 1983, pp. 173-80.
posito dellimpotenza che afigge gli Sciti (22), e di cui essi attri-
buiscono la responsabilit (aitia) agli di, lautore ippocratico so-
stiene che la malattia in effetti dipende da una pluralit di ragioni
apertamente spiegabili (prophaseis), come labitudine di cavalcare
da parte dei ricchi e le stesse incisioni con le quali essi si curano,
cui si aggiungono inoltre labitudine di indossare calzoni e la con-
nessa diminuzione del desiderio sessuale. Questo sistema com-
plesso di spiegazioni del fenomeno (indicato dal ricorso sistemati-
co a preposizioni come apo e dia) non rinvia certo ad una forma
lineare di causalit ma presenta uninteressante variet di punti di
vista esplicativi sulla pluralit di circostanze e ragioni che rendo-
no razionalmente comprensibile il fenomeno.
Ci sono inne due testi probabilmente di matrice iatroso-
stica di particolare interesse per la nostra analisi. Il primo, De
atibus, comincia con lo stile di uninchiesta giudiziaria (cap. 2):
Tutte le malattie hanno la stessa forma e causa (idea/aitia). Qua-
le sia questa causa cercher di mostrarlo nel discorso che segue.
E scrive il nostro autore, a conclusione della sua requisitoria:
chiaro dunque che le arie inspirate (pneumata) sono il fattore pi
attivo in tutte le malattie; tutte le altre cose sono cause concomi-
tanti e secondarie (sunaitia/metaitia). Ho dunque dimostrato che
questa la causa (aition) delle malattie (cap. 15). Il linguaggio,
come si diceva, quello di uninchiesta giudiziaria aperta con
unipotesi accusatoria e conclusa con lindividuazione del colpe-
vole e dei suoi complici. Nellambito di questa arringa di tipo so-
stico o tribunalizio, si disegnano tuttavia i lineamenti di una ri-
cerca causale precisa e n troppo rigorosa nella sua pretesa di in-
dicare un fattore causale dominante rispetto al quale gli altri ap-
paiono al pi concomitanti e secondari. Da questo punto di vista,
il De atibus appare come un diretto antecedente del celebre pas-
saggio del Fedone platonico, considerato come la prima riessio-
ne losoca sul problema della causalit, dove pure si ricorre a
unipotesi di partenza e si distingue la causa principale da quelle
concomitanti (99b-100a).
Il secondo dei testi cui facevo riferimento il Peri technes.
Bench esso impieghi i termini di aitia e aitios nel consueto senso
LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 29
di colpevolezza e responsabilit (cap. 7), assistiamo anche
qui ad un interessante sviluppo epistemologico. Polemizzando
contro chi sostiene che la medicina inutile, perch le malattie se
non letali guariscono spontaneamente, lautore sostiene che non
esistono terapie spontanee, perch nellambito di ci che su-
scettibile di spiegazione causale (dia ti) la spontaneit (automa-
ton) sparisce: e a questo ambito appartiene appunto la medicina,
in cui il dia ti rende i fenomeni spiegabili e perci razionalmente
prevedibili (cap. 6). Anche qui siamo certamente nella direzione
concettuale che conduce al Fedone, e per altri aspetti, come fa-
cile vedere, al II libro della Fisica aristotelica.
5. La sommaria descrizione di questa tradizione di pensiero
pu contribuire a mostrare come Aristotele, nella sua sistemazio-
ne teorica del pensiero causale, abbia in effetti compiuto una scel-
ta o meglio una decisione teorica, che sembra essere stata quella
di accoglierne tutta la complessit, senza sacricarla a quel suo
esito che da un punto di vista moderno pu apparire il pi matu-
ro, cio quello di Antica medicina.
Ci sono certo elementi che provengono dal linguaggio loso-
co (come la materia e la forma) tuttavia rappresentati e
reinterpretati mediante quello tecnico (il bronzo per la statua, il
rapporto dottava). E c soprattutto una ricca variet di punti di
vista causali che provengono dal linguaggio giuridico-politico, e
oltre ad esso medico, della responsabilit e della imputabilit,
per quanto riguarda la modalit efciente della causazione. Lo
stesso linguaggio, mediato dalla storiograa, riguarda la modalit
nalistica, il cui primo esempio lintenzione o decisione
(ho bouleusas). Importante ricordare a questo proposito che Ari-
stotele ne sottolinea, come gli storici, il carattere soggettivo: il ne
comunque il bene, ma non fa alcuna differenza se si tratti del
bene in s o di ci che pu apparire come tale (195a25 sg.).
Non credo che in questa pluralit di punti di vista sulla causa-
zione e sulla spiegazione causale sia da ravvisare una sorta di ar-
caismo teorico da parte di Aristotele, una sua incapacit di com-
prendere la centralit della causa efciente, secondo la critica di
30 MARIO VEGETTI
Irwin. Si tratta piuttosto, a mio avviso, di una consapevole sele-
zione e riorganizzazione dei frammenti di riessione sui temi della
responsabilit, dellimputabilit e della causalit che gli venivano
proposti da una tradizione culturale ricca bench incerta e oscil-
lante. Questa opzione ha certamente impedito ad Aristotele di
imboccare con sicurezza quella via verso una teoria della causalit
lineare, e al limite meccanicistica, di cui si detto allinizio. In
compenso, gli ha consentito di elaborare uno schema dei nessi di
causazione capace di spiegare tanto la struttura di cose, come spe-
cie animali e manufatti, quanto la dinamica di processi, come
quelli produttivi e riproduttivi, e di condotte (fare la guerra, anda-
re al mercato). E di spiegare tutto questo nel contesto di unin-
chiesta e di un dibattito dialetticamente aperti ed insidiosi, come
mostra la sua preoccupazione di non limitarsi ai quattro punti di
vista principali dellesplicazione causale, bens di analizzarli nei
48 tropoi con cui possono venire enunciati in quel contesto. An-
che per questo aspetto, si pu forse dire che la Fisica di Aristote-
le, se estranea alla genealogia della scienza moderna, non lo
per alla discussione contemporanea sulla struttura della spiega-
zione causale. E che deve questo, almeno in parte, a quella tradi-
zione culturale in cui essa affonda, dialetticamente, le sue radici, e
che viene troppo spesso dimenticata dai suoi interpreti.
LE ORIGINI DELLA TEORIA ARISTOTELICA DELLE CAUSE 31
PRIMATO DELLA FISICA?
Enrico Berti *
Di primato della sica in Aristotele ha parlato Wolfgang
Wieland, il quale lo ha inteso come primato metodico, nel sen-
so che la metasica in Aristotele non risulta comprensibile senza
la sica, mentre la sica pu essere compresa autonomamente e
di per s. A sostegno di questa tesi Wieland cita i seguenti passi:
1) in Top. I 4, 105 b 20 ss., Aristotele divide le premesse e i
problemi in logici, sici ed etici, includendo nei problemi sici
lintero ambito del sapere teoretico;
2) in An. Post. I 33, 89 b 7 s., rimanda per lanalisi di concetti
come dianoia, nous, epistm, tekhn, phronsis, sophia alla sica e
alletica, considerando di nuovo la sica come lintero sapere teo-
retico;
3) nel Protreptico la parola programmatica per lambito del sa-
pere teoretico phusis (fr. 13 Ross);
4) nella classicazione delle scienze in teoretiche, pratiche e
poietiche (Metaph. E 1 e K 7) solo la sica presentata senzaltro
come scienza teoretica, mentre lesistenza della metasica condi-
zionata alla soluzione del problema della sostanza immobile;
5) Metaph. A rimanda, per la dottrina delle cause, alla Fisica;
6) Metaph. o fa coincidere la scienza teoretica con la sica;
7) la prima met di Metaph. A presenta come premessa neces-
saria alla teologia una ricapitolazione della dottrina dei principi
sviluppata nella Fisica;
8) la teologia di Metaph. A trova il suo fondamento in Phys.
VIII (dimostrazione del motore immobile);
9) in Phys. VIII 3, 253 a 35 ss., tutte le scienze sono impegna-
te nello studio del movimento.
33
* Universit di Padova.
Perci Wieland afferma che lesistenza della metasica risul-
ta questione di conne di una sica concepita da Aristotele co-
me scienza generale dei principi e che la distinzione tra sica e
metasica cade dunque per cos dire allinterno stesso della si-
ca.
1
Ritengo che Wieland abbia ragione e che a conferma della sua
tesi possano essere addotti i seguenti ulteriori argomenti.
La sica nasce come scienza della natura. Ma che cosa cerca
della natura? Le cause e i princpi primi. Scrive infatti Aristote-
le allinizio della Fisica:
Poich il sapere e lavere scienza derivano, in tutte le trattazio-
ni che hanno a che fare con princpi, cause ed elementi, dalla cono-
scenza di questi allora infatti riteniamo di conoscere ciascuna cosa,
quando ne abbiamo conosciuto le cause prime e i princpi primi, e
siamo giunti no agli elementi chiaro che anche la scienza della
natura dovr sforzarsi di determinare anzitutto ci che riguarda i
princpi.
2
Dunque anche la sica conoscenza delle cause prime e dei
princpi, come risulter essere secondo la celebre denizione di
Metaph. A 2 la losoa prima, detta poi metasica. Nel caso
della sica si tratta, naturalmente, delle cause prime e dei princpi
della natura, perch questo loggetto della scienza in questione.
Ma le cause prime e i princpi della natura non sono diversi da
quelli dellintera realt, come risulta dallo stesso libro I della Fisi-
ca, dove essi vengono individuati nei due contrari, cio nella for-
ma (eidos o morph) e nella privazione di essa (stersis), nonch
nel sostrato di entrambe (hupokeimenon), cio nella materia
(hul).
3
Sempre nel I libro della Fisica Aristotele afferma che
possibile dire le stesse cose, cio indicare gli stessi princpi, mate-
ria, forma e privazione, facendo riferimento alla potenza e allatto
34 ENRICO BERTI
1
W. Wieland, La Fisica di Aristotele, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1993, pp.
16-17, nota 2 (I ed. tedesca 1962). In una lettera del 15.08.2003 Wieland mi ha
comunicato di professare ancora questa convinzione.
2
Phys. I 1, 184 a 10-16.
3
Phys. I 7, 190 b 24-29.
(kata tn dunamin kai energeian).
4
A questo proposito egli rinvia
ad una precedente trattazione, nella quale avrebbe trattato della
potenza e dellatto con maggiore accuratezza, e gli interpreti in
genere concordano nellidenticare questa trattazione col libro A
della Metasica, il famoso dizionario dei termini losoci, il quale
considerato uno dei primi scritti di Aristotele. Ora, in questo li-
bro la potenza e latto sono presentati come due signicati gene-
rali dellessere, coestensivi a tutte le categorie, e quindi a tutti gli
enti.
5
Dunque gi nella Fisica, identicando i princpi con la ma-
teria, la forma e la privazione, o con la potenza e latto, Aristotele
avrebbe indicato i princpi dellintera realt.
Che questi siano per Aristotele princpi dellintera realt pro-
vato dal fatto che, a proposito di essi, il losofo confronta la sua
posizione con quella dei pensatori a lui precedenti, cio sia con
quella dei presocratici che con quella di Platone. Ora, che i preso-
cratici cercassero i princpi dellintera realt, certo, anche se essi
identicavano lintera realt, secondo Aristotele, con la natura
(phusis), e perci erano da lui chiamati sici (phusikoi). Ancor
pi certo che i princpi dellintera realt erano loggetto, sempre
secondo Aristotele, della ricerca di Platone, poich nelle dottrine
non scritte, testimoniate proprio da Aristotele, Platone ricondu-
ceva le Idee e i numeri ideali, che a loro volta sono cause di tutte
le realt sensibili, a due princpi supremi, lUno e il Grande e pic-
colo, detto anche Diade indenita, che in tal modo venivano ad
essere princpi dellintera realt.
6
Ebbene, nella Fisica Aristotele
confronta i suoi princpi con quelli di Platone e critica precisa-
mente il Grande e piccolo, affermando che il principio opposto al-
la forma duplice, ma non in quanto grande e piccolo, bens in
quanto materia e privazione.
7
Inne conclude che lindagine sul
principio inteso come forma, se esso sia uno o molti, e quale sia o
quali siano, spetta per la sua esattezza alla losoa prima.
8
PRIMATO DELLA FISICA? 35
4
Phys. I 8, 191 b 28-29.
5
Metaph. A 7, 1017 b 1-9.
6
Metaph. A 6.
7
Phys. I 9, 192 a 10-25.
8
Phys. I 9, 192 a 35-b 1.
Dunque la sica indica quali sono, in generale, i princpi di
tutte le cose, cio materia, forma e privazione; essa la dottrina
dei princpi (la Prinzipienlehre, per usare lespressione degli stu-
diosi delle dottrine non scritte di Platone) di Aristotele, alternati-
va alla dottrina dei princpi di Platone, riferita dallo stesso Aristo-
tele come dottrina non scritta. Lindagine pi precisa sulla for-
ma, a causa della sua immaterialit, attribuita da Aristotele ad
unaltra scienza, che prima, cio prima rispetto alla sica, e
coincide con quella che poi sar chiamata metasica. Questa at-
tribuzione ulteriormente chiarita in seguito, cio nel II libro del-
la Fisica, dove si dice che anche lo studio della forma, come quello
del ne, spetta alla sica, ma si tratta della forma che non sepa-
rabile dalla materia. Lo studio, invece, di ci che separato dalla
materia (khriston), del suo modo di essere e della sua denizione,
spetta alla losoa prima.
9
Troviamo qui un residuo, peraltro
conservato da Aristotele, come vedremo, anche nella sua maturit,
della concezione platonica della losoa, secondo la quale la vera
scienza conoscenza delle Idee, cio delle realt separate dalla
materia, che in Aristotele si congura per come scoperta della
necessit che, tra le cause della natura, ne esista almeno una che
separata dalla materia, cio quello che sar il motore immobile.
La sica, in tal modo, possiede per Aristotele un primato che
potremmo denire iniziale, nel senso che essa d inizio alla ri-
cerca dei princpi di tutte le cose, il che proprio di una losoa
prima, ma poi afda il compimento, o lafnamento, di tale ri-
cerca, ma soltanto per una parte di questi princpi, alla metasica,
la quale in tal modo ottiene un primato che potremmo denire
nale.
Anche in Metaph. N, criticando le dottrine dei princpi di Pla-
tone e degli Accademici, Aristotele contrappone ad esse la stessa
dottrina di Phys. I, secondo cui i princpi di tutte le cose, sia sen-
sibili che immobili, sono i contrari, cio la forma e la privazione, e
il sostrato di essi, cio la materia. Egli attribuisce infatti allUno,
posto dai Platonici, la funzione della forma, e alla Diade indeni-
36 ENRICO BERTI
9
Phys. II 2, 194 b 10-15.
ta la funzione della materia, rilevando tuttavia vari difetti nella
formulazione platonica di questi princpi e contrapponendovi la
propria concezione della materia, o del non essere, come poten-
za.
10
Si tratta della stessa dottrina della Fisica, ma impiegata chia-
ramente in un contesto che dovremmo denire metasico, riguar-
dando la critica alla dottrina dei princpi formulata da Platone e
dagli altri Accademici.
La stessa dottrina, inne, si incontra nella prima met del li-
bro A della Metasica, dove, accanto allindicazione, come prin-
cpi, della materia, della forma e della privazione, ovvero della
potenza e dellatto, e alla critica di pensatori presocratici come
Anassimandro, Empedocle, Anassagora e Democrito,
11
si trova
anche lindicazione della causa motrice,
12
e la critica a coloro che
pongono come elementi lEssere e lUno, cio ai Platonici.
13
Eb-
bene, Aristotele presenta questa parte del libro come una ricerca
dei princpi e delle cause delle sostanze sensibili, quindi come
unindagine di sica, ma i princpi e le cause a cui essa approda
sono gli stessi che incontriamo nel libro N della Metasica, cio in
un contesto chiaramente metasico.
Inne non bisogna dimenticare, come ha notato anche Wie-
land, che la famosa dottrina delle quattro cause, materiale, forma-
le, efciente e nale alla luce della quale, nel libro A della Meta-
sica, Aristotele critica tutti i tentativi a lui precedenti di indivi-
duare le cause prime dellintera realt, cio di realizzare quella
che per lui la sapienza (sophia), ovvero la losoa prima, e
che dunque egli sembra considerare come la sua principale sco-
perta , viene formulata per la prima volta nella sua interezza nel
II libro della Fisica.
14
A questo infatti Aristotele rinvia nel libro A
della Metasica, affermando che tali cause sono state da noi trat-
tate adeguatamente (hikans) nei libri sulla natura.
15
Dunque la
PRIMATO DELLA FISICA? 37
10
Metaph. N 1, 1088 b 1-2; 2, 1089 a 28-29.
11
Metaph. A 2.
12
Metaph. A 3, 1070 a 21-22; 4, 1070 b 34-35; 5, 1071 a 35-36.
13
Metaph. A 4, 1070 b 7-9.
14
Phys. II 3.
15
Metaph. I 3, 983 a 34-b 1. Cf. Phys. II 3.
pi importante dottrina metasica di Aristotele, quella delle
quattro cause, nata nella Fisica e quivi ha trovato la sua tratta-
zione pi adeguata. Come non parlare, allora, di un primato,
sia pure soltanto iniziale, della sica?
A ci non si oppone minimamente laffermazione, compiuta
in Phys. I 2, che lindagare se lessere uno e immobile non fa
parte della sica, perch la discussione con chi nega i princpi di
una scienza spetta a una scienza diversa o ad una comune a tut-
te. Ecco le parole di Aristotele:
Indagare se lessere uno e immobile non indagare sulla na-
tura; come infatti il geometra non ha alcun argomento contro chi
nega i princpi, ma ci spetta a una scienza diversa o ad una comune
a tutte, cos neppure colui che si occupa dei princpi. Infatti non vi
pi alcun principio, se lessere solo uno ed uno in questo modo,
poich il principio di qualche cosa o di alcune cose.
16
In questo passo, infatti, per princpi Aristotele non intende
i tre princpi-elementi, di cui la sica sicuramente si occupa, ma
lesistenza della molteplicit e del movimento, che la condizione
dellesistenza della stessa sica e che la sica ammette sulla base
dellesperienza.
17
La scienza diversa e quella comune a tutte,
a cui Aristotele attribuisce la discussione di tali princpi, potreb-
bero essere rispettivamente la metasica e la dialettica, ovvero,
poich la dialettica per Aristotele non una scienza, una metasi-
ca strutturata dialetticamente, come ho cercato di mostrare altro-
ve.
18
Tuttavia la discussione con coloro che negano i princpi, cio
la confutazione delleleatismo, si trova poi allinterno della stessa
Fisica, giusticata nel modo seguente:
Dal momento che, se anche non sulla natura, ad essi tuttavia
accade di sollevare problemi di tipo sico (phusikas aporias), forse
38 ENRICO BERTI
16
Phys. I 2, 184 b 25-185 a 5.
17
Ivi, 185 a 12-14.
18
E. Berti, Physique et mtaphysique selon Aristote, Phys. I 2, 184 b 25-185 a
5, in I. Dring (Hrsg.), Naturphilosophie bei Aristoteles und Theophrast, Verhand-
lungen des 4. Symposium Aristotelicum, Heidelberg, Stiehm, 1969, pp. 18-31.
sta bene discutere per un poco a proposito di essi; tale discussione
presenta infatti un interesse losoco (ekhei philosophian).
19
Dunque la sica discute anche con coloro che negano i suoi
stessi presupposti, vale a dire lesistenza della molteplicit e del
movimento, cio svolge essa stessa quel tipo di indagine che Ari-
stotele ha appena attribuito ad una scienza diversa e comune a
tutte. A conferma di ci sta il fatto che allinterno della sica si
trova anche il famoso argomento con cui Aristotele confuta la ne-
gazione eleatica del movimento e con ci stesso ne dimostra lesi-
stenza:
Se dunque (il movimento) opinione falsa, o interamente opi-
nione (doxa), il movimento esiste ugualmente, e anche se frutto di
immaginazione (phantasia), e anche se talora sembra essere cos e ta-
lora diversamente, poich sia limmaginazione che lopinione sem-
brano essere anchesse forme di movimento.
20
C poi un passo famoso del libro A della Metasica, il cui si-
gnicato stato chiarito soltanto di recente, dove Aristotele affer-
ma che lo studio delle sostanze mobili, corruttibili o eterne (corpi
terrestri e corpi celesti), spetta alla sica, mentre quello delle so-
stanze immobili spetta ad unaltra scienza solo se non c alcun
principio comune ad esse e agli altri due generi di sostanze.
Le sostanze sono di tre generi: una di genere sensibile della
quale luna eterna e laltra corruttibile, cio questa che tutti am-
mettono, ad esempio le piante e gli animali, e quella eterna e di es-
sa necessario cogliere gli elementi, sia che siano uno sia che siano
molti; laltra di genere immobile, e di questa certuni dicono che
separata, alcuni dividendola in due, altri ponendo in una stessa natu-
ra le forme e gli oggetti matematici, altri ancora ammettendo fra tali
cose solo gli oggetti matematici. Le prime due spettano alla sica,
poich hanno movimento, mentre questultima spetta a una scienza
diversa, se (eiper) non vi alcun principio comune ad esse.
21
PRIMATO DELLA FISICA? 39
19
Ivi, 185 a 17-20.
20
Phys. VIII 3, 254 a 26-30.
21
Metaph. A 1, 1069 a 36-b 2.
Tutti i commentatori interpretano il se (eiper) dellultima ri-
ga non come ipotetico, ma come giusticativo, cio come se equi-
valesse a poich, dal momento che, se vero che, dando in
tal modo per scontato che non vi alcun principio comune ai tre
generi di sostanza e che pertanto lindagine sul terzo genere, la so-
stanza immobile, spetta ad una scienza diversa dalla sica. Ma dal
seguito del libro A risulta che non solo tutte le cose hanno gli
stessi princpi per analogia (di nuovo materia, forma e privazio-
ne), ma anche hanno la stessa causa motrice, cio il primo moto-
re, che comune non per analogia, ma individualmente. Di esso,
che poi risulta essere la sostanza immobile, non si cercano i prin-
cpi perch, come ha notato giustamente Frede, esso stesso
principio.
22
Se ci vero, allora vi sono alcuni princpi, o almeno
uno, comuni ai tre generi di sostanze, quindi, come ha giustamen-
te osservato Donini, non c bisogno che il terzo genere, vale a di-
re la sostanza immobile, sia oggetto di una scienza diversa dalla -
sica, e la sica stessa assume il ruolo di losoa prima.
23
La scienza diversa dalla sica, cui spetterebbe lo studio del-
le sostanze immobili, se non vi fosse alcun principio comune tra
esse e le sostanze sensibili, probabilmente la metasica dei Pla-
tonici, ai quali appartengono le tre diverse concezioni delle so-
stanze immobili riferite nel passo appena citato (Platone, Speusip-
po e Senocrate), che ovviamente non sarebbe stata da questi chia-
mata metasica, perch essi non riconoscevano alla sica il va-
lore di scienza, ma che costituiva per essi la scienza, o la losoa,
tout court.
24
I Platonici, infatti, cercavano le cause e i princpi del-
le sostanze immobili, cio delle Idee e dei numeri ideali (o, nel ca-
40 ENRICO BERTI
22
Cf. M. Frede, Introduction e Metaphysics L 1, in M. Frede and D. Charles
(eds.), Aristotles Metaphysics Lambda. Symposium Aristotelicum, Oxford,
Oxford University Press, 2000, pp. 1-52 e 53-81.
23
P. Donini, Il libro Lambda della Metasica e la nascita della losoa pri-
ma, Rivista di storia della losoa, 57, 2002, pp. 181-199.
24
A questo proposito mi permetto di rinviare al mio saggio Il libro Lambda
della Metasica di Aristotele tra sica e metasica, in G. Damschen, R. Enskat
und A. Vigo (Hrsgg.), Platon und Aristoteles sub ratione veritatis. Festschrift
fr Wolfgang Wieland zum 70. Geburtstag, Gttingen, Vandenhoek & Ruprecht,
2003, pp. 177-194.
so di Speusippo, dei numeri matematici), e li ravvisavano nelluno
e nella Diade indenita (o, nel caso di Speusippo, nel Molteplice).
A questo proposito il sopra citato Donini si dichiara daccor-
do con unipotesi avanzata da me una ventina di anni fa, cio che
nella fase giovanile del suo pensiero, di cui espressione il Pro-
treptico, Aristotele ancora non avesse distinto la sica e la meta-
sica, ma avesse adottato soltanto la distinzione tra losoa teoreti-
ca e losoa pratica, identicando la prima con una scienza che
insieme sica e metasica, e la seconda con una scienza che in-
sieme etica e politica. C infatti un frammento del Protreptico
opera sicuramente composta da Aristotele nel suo periodo acca-
demico, cio prima della morte di Platone, perch legata allAnti-
dosis di Isocrate che del 353 a. C. in cui si dice:
Che noi abbiamo la possibilit di apprendere le scienze con-
cernenti le cose giuste e giovevoli (peri tn dikain kai tn sumphe-
rontn), ed inoltre quelle concernenti la natura e la rimanente verit
(peri phuses te kai ts alls altheias), facile mostrare.
25
Il fatto che qui Aristotele parli di scienze (epistmas) al plu-
rale signica solo che egli vuol fare delle considerazioni di caratte-
re generale, ma la scienza a cui egli pensa solo la losoa, alla
quale il Protreptico vuole esortare. Questa divisa in due parti,
quella che poi sar chiamata losoa pratica, la quale si occupa
delle cose giuste e giovevoli, che poi risultano essere lanima e
le sue virt, e quella che poi sar chiamata losoa teoretica, la
quale si occupa della natura e della rimanente verit, cio ricer-
ca le cause e gli elementi della natura, che poi risultano essere il
fuoco, o laria, o il numero o alcune altre realt, cio le realt
supreme (ta akra) o le realt prime (ta prta).
26
Come si vede,
tra queste ultime ci sono sia i princpi della natura, ammessi dai
presocratici, sia altri princpi, quali i numeri e altre realt, pre-
PRIMATO DELLA FISICA? 41
25
Aristot. Protr. fr. 5 Ross, 32 Dring. Il brano tratto dal Protreptico di
Giamblico, che per questa parte era costituito da estratti del perduto Protreptico
di Aristotele. Cf. Aristotele, Protreptico. Esortazione alla losoa, a cura di Enri-
co Berti, Torino, Utet-Libreria, 2000.
26
Ivi, fr. 5 Ross, frr. 34-36 Dring.
sumibilmente le Idee, ammessi dai Platonici. Queste ultime sono
probabilmente la rimanente verit, cio una verit diversa da
quella che si raggiunge mediante la conoscenza della natura, una
verit non sica, bens diremmo oggi metasica. Dunque
in questa fase della losoa di Aristotele sica e metasica non
sono ancora distinte e formano ununica e medesima scienza.
A questa stessa fase evolutiva appartiene, a mio avviso, anche
il libro o della Metasica, il famoso alpha elatton, cos chiamato
perch originariamente era anchesso un libro alpha, cio un libro
I, unintroduzione, probabilmente lintroduzione a unedizione
della Metasica precedente a quella a noi pervenuta e che si inizia
col libro A, detto alpha meizon perch pi lungo di alpha elat-
ton.
27
In questultimo, infatti, Aristotele presenta la losoa come
ricerca della verit (per ts altheias theria) o scienza della
verit (epistm ts altheias), e la distingue in teoretica e pra-
tica,
28
esattamente come nel Protreptico. Inoltre, descrivendo il
metodo della losoa teoretica, egli si esprime nel modo seguente:
Perci bisogna essere stati istruiti su come ciascuna scienza de-
ve dimostrare, perch assurdo cercare nello stesso tempo la scienza
e il modo di procedere della scienza, n facile apprendere luna e
laltra cosa. Lesattezza matematica non deve essere richiesta in tutte
le cose, ma solo in quelle che non hanno materia. Pertanto questo
modo di procedere non sico, perch forse la natura tutta intera
ha materia. Di conseguenza si deve indagare anzitutto che cos la
natura; cos infatti sar chiaro intorno a quali cose verte la sica e se
spetta a una sola scienza o a molte studiare le cause e i princpi.
29
Qui, come si vede, la scienza della verit, cio la losoa,
identicata con la sica, cio col modo di procedere sico (phu-
42 ENRICO BERTI
27
Ho sviluppato questa tesi in E. Berti, Note sulla tradizione dei primi due
libri della Metasica, Elenchos, 3, 1982, pp. 5-38; e La fonction de Metaph.
alpha elatton dans la philosophie dAristote, in P. Moraux-J. Wiesner (Hrsg.),
Zweifelhaftes im Corpus Aristotelicum, Akten des 9. Symposium Aristotelicum,
Berlin-New York, de Gruyter, 1983, pp. 260-294; con cui Donini si dichiara
daccordo.
28
Metaph. o 1, 993 a 30, b 20-21.
29
Ivi, 3, 995 a 12-20.
sikos ho tropos), e si dichiara che essa deve indagare anzitutto
che cos la natura (ti estin h phusis), e che in tal modo risul-
ter chiaro intorno a quali cose verte la sica, e se spetta a una
sola scienza, cio presumibilmente alla sica stessa, o a molte,
cio anche ad una scienza diversa, studiare le cause e i princpi.
lo stesso problema che Aristotele formula alla ne del cap. 1 di
Metaph. XII. Per queste ragioni ho sostenuto che il Protreptico, il
libro o della Metasica, il libro A della stessa (e presumibilmente
anche il libro N) appartengono ad una fase evolutiva anteriore
agli altri libri, e formano quella che, con linguaggio jaegeriano, si
potrebbe chiamare la Urmetaphysik di Aristotele. La mia tesi
che in questa Urmetaphysik Aristotele non aveva ancora distinto
la sica dalla metasica, e dunque attribuiva alla sica-metasi-
ca, chiamata sica in quanto scienza della natura, il ruolo di
losoa prima, in quanto ricerca delle cause prime della natura.
Di questo primato iniziale della sica, del resto, rimane trac-
cia anche nei libri pi maturi della Metasica, dove si attribuisce
esplicitamente il primato tra le scienze teoretiche alla metasica.
Un primo passo in cui ci si pu notare si trova nel libro I, quello
che introduce la nozione di losoa come scienza dellessere in
quanto essere, del tutto assente nei libri pi antichi, anzi in tutti
gli altri libri di Aristotele, fatta eccezione per il libro E, che la
continuazione diretta di I (il libro A infatti il famoso dizionario,
introdotto nella posizione in cui si trova dagli editori), e per il libro
K, il quale non che un riassunto, probabilmente post-aristotelico,
dei libri BIE. Esaminando a chi spetta discutere, cio stabilire se
siano veri o falsi, gli assiomi, vale a dire il principio di non contrad-
dizione e quello del terzo escluso, Aristotele afferma che ci spetta
al losofo, cio a colui che studia lessere in quanto essere, perch i
suddetti assiomi sono coestensivi allintero essere. E poi aggiunge:
Perci nessuno di coloro che compiono indagini particolari si
sforza di dire alcunch intorno ad essi, se cio sono veri o no, n il
geometra n laritmetico, ma solo alcuni dei sici lo hanno fatto, fa-
cendo questo a buon diritto (eikots). Essi pensavano infatti di esse-
re i soli a indagare sullintera realt e sullessere. Ma poich vi
qualcuno che ancora pi in alto del sico (la natura infatti solo
PRIMATO DELLA FISICA? 43
un genere dellessere), a colui che indaga in universale e sulla so-
stanza prima spetter anche lindagine intorno a questi. Anche la -
sica una sorta di sapienza (sophia tis), ma non la prima.
30
La sica dunque una sorta di sapienza, cio di sapere su-
premo, perch la natura, su cui essa verte, stata ritenuta costitui-
re lintera realt, ad esempio da parte dei presocratici; ma, dal
momento in cui si scoperto che la natura non lintera realt, in
particolare ad opera dei Platonici, la sica ha dovuto cedere il suo
primato ad una scienza diversa, che qui Aristotele qualica come
la scienza dellessere in quanto essere. chiaro, tuttavia, che la
nuova scienza dellessere in quanto essere, introdotta da Aristote-
le, assorbe in s, per cos dire, sia le funzioni che aveva la sica
per i presocratici, sia quelle che aveva la scienza delle Idee, cio la
dialettica, per i Platonici.
Un altro passo in cui si conserva traccia del primato iniziale
della sica contenuto nel libro E della Metasica e fa parte della
celebre classicazione delle scienze teoretiche:
Se c qualcosa di eterno, immobile e separato, chiaro che
spetta a una scienza teoretica conoscerlo, non tuttavia alla sica, per-
ch la sica si occupa di alcune cose mobili, n alla matematica, ma
ad una scienza anteriore a entrambe. La sica infatti si occupa di
realt separate ma non immobili, mentre alcune parti della matema-
tica si occupano di realt immobili, ma forse non separate bens in
qualche modo esistenti nella materia. Invece la scienza prima si oc-
cupa di realt sia separate che immobili. necessario che tutte le cau-
se siano eterne, ma soprattutto queste, poich queste sono cause di
quelle visibili tra le realt divine. Di conseguenza le losoe teoreti-
che saranno tre, la matematica, la sica e la scienza teologica; non
infatti oscuro che, se il divino esiste in qualche luogo, esso esiste in
una natura di questo tipo, e la scienza pi degna di onore deve ri-
guardare il genere di realt pi degno di onore. Le scienze teoretiche
sono dunque le pi degne di essere desiderate rispetto alle altre, ma
questa lo sar rispetto alle altre scienze teoretiche (corsivo mio).
31
44 ENRICO BERTI
30
Metaph. I 3, 1005 a 29-b 2.
31
Metaph. E 1, 1026 a 10-23.
Qui non c dubbio che il primato tra le scienze teoretiche
spetta alla scienza teologica, cio alla metasica, ma le spetta per-
ch essa si occupa di realt divine, e queste realt divine sono le
realt immobili, le quali sono divine perch sono cause delle realt
divine visibili. Ora, le realt divine visibili non possono essere che i
corpi celesti, cio gli astri, i quali secondo Aristotele sono eterni e
divini. Le cause divine delle realt divine, che sono a loro volta, an-
zi a maggior ragione, eterne e divine in quanto cause di realt eter-
ne e divine, risulteranno essere i motori immobili degli astri, cause
appunto dei loro movimenti. La scienza teologica, cio la metasi-
ca, riceve dunque la sua dignit, e quindi il suo primato, dal fatto di
occuparsi delle cause degli astri, cio delle cause di realt sensibili e
mobili, ancorch eterne, il che esattamente il compito della sica.
Da questo passo insomma risulta che la metasica ha assunto, anzi
pu assumere, essa il compito che inizialmente era della sica,
quello cio di cercare le cause prime delle realt sensibili e mobili, e
lo pu assumere solo nel momento in cui risulti chiaro che fra que-
ste cause ce ne sono alcune, le quali sono immobili, e quindi vanno
oltre lambito della natura, cio oltre lambito della sica.
Ci viene perfettamente confermato dalla continuazione e
conclusione dello stesso passo, dove Aristotele pone la nota que-
stione se la losoa prima, cio la scienza teologica, sia anche uni-
versale, cio coincida con la scienza dellessere in quanto essere:
Qualcuno potrebbe sollevare il problema se mai la losoa pri-
ma sia universale oppure se verta su un qualche genere particolare e
su una qualche natura soltanto. Nemmeno nelle matematiche infatti le
cose vanno allo stesso modo, ma la geometria e lastronomia vertono
su una qualche natura particolare, mentre quella universale comune
a tutte. Se dunque non c alcuna sostanza diversa da quelle costituite
per natura, la sica sar la scienza prima; se invece c qualche sostan-
za immobile, questa sar anteriore e la losoa che se ne occupa sar
prima, e sar universale in questo senso, cio nel senso che prima; e
a questa spetter studiare, a proposito dellessere in quanto essere, sia
che cos sia quali propriet gli appartengano in quanto essere.
32
PRIMATO DELLA FISICA? 45
32
Metaph. E 1, 1026 a 23-32.
Qui Aristotele afferma esplicitamente che, se non ci fosse nes-
suna sostanza diversa da quelle costituite per natura, cio i corpi
terrestri e celesti, sensibili e mobili, la sica sarebbe senzaltro la
scienza prima. Poich allinizio della ricerca delle cause prime
non ancora chiaro se tra queste ve ne siano di immobili, allini-
zio la sica dunque la scienza prima: ecco il primato iniziale
della sica. Solo alla ne della ricerca, se e quando risulter la ne-
cessit dei motori immobili e non bisogna dimenticare che ci
avviene negli ultimi due libri della Fisica, il VII e lVIII allora si
potr dire che la sica non la losoa prima, ma c unaltra
scienza ad essa superiore. Questa sar, come dice Aristotele, uni-
versale in quanto prima, espressione che ha suscitato tante per-
plessit negli interpreti moderni, i quali sono arrivati a parlare al
seguito di Heidegger, sicuramente grande losofo, ma altrettanto
sicuramente non grande esegeta di Aristotele di una metasica
come onto-teologia. In realt, Aristotele vuol dire semplice-
mente che la scienza prima necessariamente universale, in quan-
to conosce le cause prime, le quali, per il fatto di essere prime, so-
no cause dellintera realt. Se tra le cause prime, cio dellintera
realt, ce n una immobile, allora la scienza universale sar la me-
tasica; se invece non ce n nessuna di immobile, allora la scienza
universale sar la sica. Luniversalit attribuita da Aristotele alla
metasica potrebbe valere benissimo anche per la sica, qualora
la scienza prima fosse la sica. Essa non legata al carattere teo-
logico della metasica, ma al sua carattere di scienza prima.
Quando Aristotele presenta come losoa prima la scienza
della sostanza immobile, non intende con questa espressione una
scienza che ricerca i princpi e le cause delle sostanze immobili
(che il modo in cui lintendevano Platone e gli Accademici), ma
una scienza che, nella ricerca dei princpi e delle cause dellente in
quanto ente, approda al riconoscimento della necessit di sostan-
ze immobili. Sono stati i commentatori neoplatonici che hanno
enfatizzato la distinzione tra sica e metasica, nellintento di
teologizzare, cio di platonizzare Aristotele il pi possibile.
Essi hanno presentato il libro A della Metasica come la teolo-
gia di Aristotele e ne hanno fatto il culmine della Metasica,
46 ENRICO BERTI
mentre per Aristotele esso un libro che mette insieme sica e
metasica, e appare del tutto indipendente dal resto della Meta-
sica. Del resto anche Andronico non lo ha collocato allultimo po-
sto tra i libri della Metasica, ma solo al terzultimo, dunque non
lo ha considerato il punto di arrivo dellintera trattazione.
La gerarchia delle scienze di Aristotele si presenta come radi-
calmente diversa rispetto a quella di Platone. In Platone, infatti,
non c una scienza sica, perch la natura, in quanto mutevole,
non pu essere oggetto di scienza, essendo la scienza per deni-
zione conoscenza dellimmutabile. Potrebbe aspirare al titolo di
scienza, per Platone, la matematica, in quanto conoscenza di ve-
rit necessarie, cio eterne, ma, come noto, nel VI libro della
Repubblica Platone afferma che essa solo dianoia, cio ragiona-
mento, perch si fonda su premesse puramente ipotetiche, senza
saperle giusticare. Vera, e unica, scienza per Platone la dialetti-
ca, cio la scienza delle Idee, dei numeri ideali e dei loro princpi.
Essa metasica ante litteram, perch ha per oggetto realt im-
mobili e indica i princpi di queste in realt anchesse immobili,
lUno e la Diade indenita; ed anche universale, si potrebbe di-
re con Aristotele, in quanto prima, se non fosse unica, perch i
princpi delle Idee e dei numeri ideali sono princpi dellintera
realt, sia immobile (vera realt) che mobile (realt dimidiata, via
di mezzo tra lessere e il nulla).
In Aristotele la sica diventa, per la prima volta, vera scienza
per i presocratici essa era scienza, ma non era soltanto sica,
bens insieme anche metasica , in quanto capace di conoscere
verit, se non necessarie ed eterne, almeno valide per lo pi,
cio nella maggior parte dei casi.
33
Anche la matematica, per Ari-
stotele, vera scienza, ma subordinata alla sica, in quanto i suoi
oggetti (numeri e gure) sono misure, o dimensioni, dei corpi si-
ci, cio accidenti di questi.
34
Dunque la sica, se non la scienza
prima, certamente la seconda, ma una scienza che diviene se-
conda solo nel momento in cui, per cos dire, genera da s la me-
PRIMATO DELLA FISICA? 47
33
Phys. II 8, 198 b 35.
34
Cf. Phys. II 2.
tasica, dimostrando lesistenza, tra le cause prime degli enti na-
turali, di realt immobili. E la metasica , s, scienza prima, in
virt della priorit (per s, non per noi) del suo oggetto, ma si
regge sulla sica, senza la quale non potrebbe essere prima. Si
tratta, dunque, di un primato diverso da quello della dialettica di
Platone, cio si tratta di quello che chiamerei un primato nale,
giusticato dal primato iniziale della sica.
Tutto ci dimostra anche che, per Aristotele, la metasica non
n ontologia, n teologia, n la sintesi ibrida di ontologia e teo-
logia, cio lonto-teologia, di cui parlano Heidegger e i suoi in-
numerevoli ripetitori. Non ontologia (parola non greca, ma co-
niata nel Seicento), perch Aristotele le attribuisce come oggetto
lessere in quanto essere solo allo scopo di risolvere la prima apo-
ria di Metaph. B, cio se lo studio di tutti i generi di cause sia pro-
prio di una sola scienza o di pi scienze. Egli risponde infatti che,
poich le cause prime sono cause dellessere in quanto essere,
cio dellintera realt, lo studio di esse spetta alla scienza delles-
sere in quanto essere, cio alla scienza dellintera realt.
35
In tal
modo la metasica viene ad assumere il compito che inizialmente
era proprio della sica, quello cio di cercare le cause prime.
Questa concezione appartiene certamente alla fase pi matura del
pensiero di Aristotele, nella quale egli denisce la metasica non
pi platonicamente come scienza delle realt immobili, contrap-
posta quindi alla sica, ma come scienza dellintera realt, inclu-
dente dunque in un certo senso la sica.
E non si pu nemmeno dire che la metasica, per Aristotele,
sia teologia, perch questo termine, come hanno mostrato pi di
un secolo fa Paul Natorp e pi recentemente Richard Bods, in
Aristotele non appartiene ad una scienza, ma indica soltanto i miti
sugli di narrati dai poeti.
36
Essa scienza teologica, cio avente
48 ENRICO BERTI
35
Cf. Metaph. I 1.
36
P. Natorp, Thema und Disposition der aristotelischen Metaphysik, Philo-
sophische Monatshefte, 24, 1888, pp. 37-65 e 540-574 (trad. it. col titolo Tema
e disposizione della Metasica di Aristotele, a cura di G. Reale, Milano, Vita e
pensiero, 1995); R. Bods, Aristote et la thologie des vivants immortels, St.
Laurent, Qubec, Editions Bellarmin, 1992, pp. 9-14.
a che fare col divino, perch, come abbiamo visto sopra, tra le
cause prime vi sono cause di realt divine, quali gli astri, che dun-
que sono esse stesse divine. Ma essa teologica perch fa proprio
il compito che inizialmente era della sica, cio quello di cercare le
cause prime anche degli astri. Il nome pi appropriato a tale scien-
za dunque quello aristotelico di losoa prima, che essa in un
certo senso eredita dalla sica, ovvero quello posteriore di meta-
sica, che conserva il signicato di discorso ulteriore rispetto alla
sica, ovvero di continuazione, di sviluppo, della sica.
37
PRIMATO DELLA FISICA? 49
37
Anche a questo proposito sono costretto a rinviare, per maggiori giusti-
cazioni, a miei precedenti lavori, cio La Mtaphysique dAristote: onto-tholo-
gie ou philosophie premire?, Revue de philosophie ancienne, 14, 1996, pp.
61-85; Il dibattito odierno sulla cosiddetta teologia di Aristotele, Paradigmi,
21, 2003, pp. 279-297.
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE
IN ARISTOTELE, PHYS. II
R. Loredana Cardullo*
Si manifesta come prima quella che chiamiamo in vista di
qualcosa: questa infatti lessenza, e lessenza principio co-
s nei prodotti della techne come in quelli della phusis.
Aristot. De part. anim. I 1, 639b 11-21
Premessa
1
Lanalogia, per Aristotele, costituisce un importante e privile-
giato modello di argomentazione, uno strumento linguistico-con-
cettuale unicante, atto, cio, a permettere laccostamento e la
considerazione sinottica di fenomeni o di realt apparentemente
diversi tra loro per struttura, statuto ontologico, valore o funzio-
ne, ma collegabili insieme grazie ad una comune struttura analo-
gica fatta di precisi rapporti e proporzioni di ordine matematico.
2
In effetti il termine ovooio (da ovo oov) mantiene il signica-
to originario di proporzione e rapporto di carattere matematico
proprio del sostantivo oo, derivante dalla radice c/o del
verbo cciv, il cui valore etimologico rimanda anzitutto al calco-
51
* Universit di Catania.
1
Desidero ringraziare i colleghi e gli amici che sono intervenuti al dibattito
in occasione del Colloquio, ma un ringraziamento particolare va ad E. Berti,
G.R. Giardina e F. Romano, che hanno letto e annotato con cura il testo, per-
mettendomi di realizzarne una migliore stesura. Degli errori, com ovvio, solo
io sono responsabile.
Una prima stesura di questo contributo apparsa su Annali della Facolt
di Scienze della Formazione dellUniversit di Catania 2003, pp. 37-83.
2
Sulluso dellanalogia come modello di spiegazione e di interpretazione
nel mondo antico cf. G.R. Lloyd (1962; tr. it. 1992). Sulla teoria matematica dei
rapporti analogici o proporzionali, risalente ad Eudosso ed utilizzata in ambito
losoco come concetto operativo sia da Platone che da Aristotele, si vedano,
oltre alle Denizioni 5 e 6 del quinto libro degli Elementi di Euclide, T. Heath
(1981) e A. Szab (2000).
lare e al quanticare, prima ancora che al dire e al parlare. Una
esemplicazione particolarmente chiara del senso e della funzione
che lanalogia in generale, come modello interpretativo, gioca nel
pensiero dello Stagirita ci viene da un brano di Metasica A 4
(1070a 31-33) fra laltro particolarmente polemico nei confronti
di quegli accademici (capeggiati probabilmente da Speusippo)
che avevano posto principi diversi per ciascuno degli ordini di
realt da essi individuato ;
3
vi si legge:
Le cause e i principi in un senso sono diversi per le diverse co-
se, in un altro senso, se si considerano in universale (o0oot) e per
analogia (of ' ovooi ov), sono gli stessi per tutte le cose.
Ci vuol dire che tutta la realt, dai suoi livelli pi bassi no
a quelli pi elevati, fatte salve le debite diversit e peculiarit, ,
per Aristotele, unicabile of ovooiov, ossia in virt di unana-
loga struttura di cause, principi, operazioni, funzioni, processi;
4
52 R. LOREDANA CARDULLO
3
Che il riferimento di Aristotele, in questo contesto, possa riguardare
Speusippo si evince dalla prima delle due citazioni dellAccademico contenute
nella Metasica, precisamente da Z 2, 1028b 21 ss., dove viene posto e affrontato
dialetticamente, attraverso lesame delle opinioni di altri loso (di cui solo alcu-
ni facilmente identicabili: i Pitagorici, Platone, Speusippo, Senocrate) il proble-
ma del numero e della natura delle sostanze esistenti. Di Speusippo vi si legge
che pone un numero di sostanze ancora maggiore [scil. rispetto a Platone, ap-
pena citato]: egli parte dallUno, ma ammette principi diversi per ogni tipo di
sostanza: altro il principio dei numeri, altro quello delle grandezze, e altro an-
cora quello dellanima, e, in questo modo, egli estende il numero delle sostanze.
4
Un altro importante brano in cui vengono accomunati tra di loro tutti i
principi e le cause, perch tutte le cause sono principi (ovfo oq fo oifio
oqoi: Metaph. A 1, 1013a 17), nel senso che, come spiega G. Reale nel suo com-
mento a A 4 (1968, II, p. 270-71), in cui si identicano nuovamente principi e
cause, le cause possono essere tanto principi immanenti, e cio materia (causa ma-
teriale) forma e privazione (cause formale e nale, questultima coincidente con la
forma, considerata per nel suo aspetto dinamico, come principio che orienta il
divenire), tanto principio esterno, il principio motore (la causa efciente o motri-
ce) Metaph. A 1, 1013a 17-23: Comune a tutti i principi di essere il primo
termine a partire dal quale una cosa o o diviene o conosciuta; di questi [princi-
pi], poi, alcuni sono immanenti, altri sono esterni. Perci sono principio anche la
natura, lelemento, il pensiero, la scelta, la sostanza e ci in vista di cui: infatti,
principio del conoscere e del movimento per molte cose sono il buono e il bello.
per cui, data una certa proporzione, e conoscendo uno degli ele-
menti della medesima, possibile pervenire, sia pure analogica-
mente, anche alla conoscenza di quellaltro elemento, che per noi
meno intelligibile. Se ne deduce che le frequenti analogie aristo-
teliche analogie di proporzionalit, le denisce la critica
5
rive-
stono sempre, nellottica del suo sistema, una precisa funzione
metodologico-gnoseologica, ponendo in relazione di afnit due
o pi realt, e permettendo la conoscenza della realt meno nota
attraverso quella, analoga, pi nota. Luso dellanalogia in Aristo-
tele risponde, perci, alla precisa esigenza di trovare una spiega-
zione razionale di pressoch tutti gli aspetti della realt, di formu-
lare almeno unipotesi di spiegazione, anche azzardata o audace,
in merito a phainomena che, altrimenti, rimarrebbero oscuri e in-
comprensibili da un punto di vista empirico. In effetti, in Fisica I
1, nel celebre contesto introduttivo, dedicato alla delineazione del
metodo della scienza sica, quando lo Stagirita spiega che per una
scienza di tal genere, che ricerca principi, cause ed elementi
della realt soggetta a movimento e a mutamento continui, non
possibile impiegare per la contingenza e la mutevolezza che ne
contraddistinguono lambito dindagine lo stesso metodo apo-
dittico che usano le scienze esatte e le scienze che studiano il ne-
cessario, egli sembra assegnare alle scienze induttive modelli di
spiegazione e dinterpretazione meno rigorosi, come appunto pa-
ragoni, metafore, similitudini, analogie.
6
Il metodo della scienza
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 53
5
Ad esempio Aubenque (1962), p. 202 ss. Lo studioso francese denisce
lanalogia in Aristotele un procd de langage qui se fonde sur une relation
mathmatique: la proportion ou galit de deux rapports, e ne individua gli im-
mediati esempi precedenti nel Gorgia e nel Timeo platonici. Non possibile co-
munque ascrivere ad Aristotele anche lanalogia di attribuzione, fenomeno pret-
tamente medioevale, risalente a S. Tommaso e alla sua teoria dellanalogia entis.
Tipicamente aristotelica , invece, la cosiddetta analogia di riferimento, o qo
cv, fenomeno intermedio tra lomonimia e la sinonimia, nota in ambiente anglo-
sassone con la denominazione di focal meaning.
6
Il metodo apodittico viene illustrato in dettaglio nei Secondi Analitici, il
trattato della scienza dimostrativa e del sillogismo. Nella sua introduzione alle
Opere biologiche di Aristotele, Vegetti chiarisce bene come lenciclopedia aristo-
telica delle scienze non sia organizzata sillogisticamente, ossia deduttivamente,
sica, difatti, prende avvio dal mondo dellesperienza dai phai-
nomena e dai pragmata, ossia dai fatti empirici particolari e con-
tingenti, che accadono sempre o per lo pi (oici q m ci fo o-
t) e da questi induce i principi universali a partire dai quali, in
un processo inverso, questa volta deduttivo, la scienza proceder a
dimostrare i suoi assunti. Non un caso, perci, che poco pi
avanti, nel II libro della Fisica, l dove il Filosofo si propone lar-
duo compito di denire la qtoi, oggetto dindagine privilegiato
gi dalle prime correnti losoche, ma mai realmente denito,
compaia una delle analogie pi presenti nelle opere aristoteliche
e non solo in quelle di argomento sico : lanalogia tra techne e
phusis. Inserita in un tale contesto, lanalogia in questione assume
quella chiara funzione metodologico-gnoseologica che abbiamo
riconosciuto in generale a tutte le analogie impiegate da Aristote-
le, nalizzata com, nello specico, a far conoscere la struttura e i
meccanismi che caratterizzano e regolano una realt pi nota in
s, perch ontologicamente primaria, ma meno nota alluomo, os-
sia la phusis, attraverso la struttura e i meccanismi di unaltra
realt, pi vicina e pi nota alluomo, ma ontologicamente in-
feriore e secondaria, che pu fungere da modello analogico ed
esplicativo, la techne. Tuttavia, a parte questa prima e basilare
funzione, lanalogia techne-phusis assume nellopera aristotelica
anche altri sensi, altrettanto, se non pi, importanti, e risponde ad
altri obiettivi; lesame dei numerosi e diversi contesti nei quali es-
sa ricorre da quelli pi propriamente sici e biologici a quelli
etici e metasici, dai pi giovanili ai pi maturi , mi ha con-
dotto, infatti, a vedervi qualcosa di molto pi teoretico e di meno
immediatamente evidente, una vera e propria chiave daccesso al-
le teorie pi importanti dello Stagirita, un ponte gettato tra il re-
gno della generazione e della produzione e il regno della pura
contemplazione.
54 R. LOREDANA CARDULLO
ma secondo modalit analogiche di unicazione (cf. Lanza-Vegetti 1996, p.
13). Sulla differenza di metodo tra matematica, sica e retorica, cio tra scienze
che esprimono tre gradi decrescenti di esattezza e rigore logico, si veda Metaph.
o 3, 995a 6-20. Sul metodo della sica si vedano in particolare gli studi di Wie-
land (1962), Berti (1989), Bolton (1991).
Anzitutto, sottesa a molti contesti interessati dallanalogia te-
chne-phusis, presente una sottile e precisa polemica nei confron-
ti della concezione platonica della phusis, anche nel suo rapporto
con la techne, quale viene esposta nel Timeo e nel X libro delle
Leggi, concezione che Aristotele come sappiamo riuta e ca-
povolge, restituendo, da una parte, al mondo naturale la dignit
ontologica e il valore epistemologico che questo aveva gi in epo-
ca pre-socratica, e assegnando, dallaltra, al mondo della produ-
zione tecnica e artistica in generale un suo statuto scientico, ma
di scienza subordinata, in quanto poietica. Sullo sfondo della no-
stra analogia stanno quindi come tenter di specicare meglio
in ci che segue la consueta critica alla dottrina delle idee, e la
precisa convinzione delleternit del mondo, con il conseguente
riuto del ruolo produttivo del Demiurgo.
7
Ma oltre a questo signicato, per cos dire, polemico e anti-
platonico, che si aggiunge a quello di ordine metodologico-cono-
scitivo, lanalogia tra techne e phusis assume anche, nei testi ari-
stotelici, un preciso valore metasico-teleologico, servendo a di-
mostrare come, tra le quattro specie di aitiai condivise per analo-
gia sia dagli enti da phusis sia dagli enti da techne, la pi impor-
tante in entrambi i domini, e, sempre per analogia, nella realt
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 55
7
Non concordo con la lettura che del rapporto tra fcvq e qtoi in Aristo-
tele d P. Loraux (1996); lo studioso francese mostra, infatti, di non comprende-
re il vero senso della laicizzazione della phusis operata dallo Stagirita rispetto
alla siologia presocratica. Considerando Aristotele il padre di una qtoi tecni-
ca (p. 339), Loraux lo accusa di aver declassato la qtoi, il cui modo di proce-
dere visto come analogicamente afne alle attivit umane, a fenomeno alla
portata di tutti, e di averla cos denitivamente privata di quella potenza divina
che essa aveva con i presocratici, per i quali costituiva lunica legge a cui ogni
creatura che venisse alla luce dovesse attenersi (p. 338). Io ritengo, invece, che
proprio attraverso il paragone con le attivit produttive delluomo emerga piena-
mente la superiorit ontologica e paradigmatica della phusis, che non deve essere
necessariamente superiorit di carattere divino, e che invece tale operazione di
laicizzazione, lungi dal declassare il mondo della natura, ne garantisca una
piena autonomia epistemologica. Platone, piuttosto, aveva morticato il mondo
naturale facendolo dipendere dal divino Artece e dalle Forme intelligibili eter-
ne e separate. Per non dire di Parmenide, il quale aveva annullato come non-es-
sere il mondo sensibile, per averlo considerato come il contrario del vero essere.
tutta, corruttibile e incorruttibile, sia quella che indica il telos o il
to ou heneka (ci in vista di cui). Ora, tale primato, inquadrando
la trattazione aristotelica della causalit della phusis in una pro-
spettiva nalistica, la rende di certo poco moderna, ma in n dei
conti come a me sembra del tutto coerente con gli assunti ge-
nerali della losoa dello Stagirita. Infatti la sica aristotelica non
ha molto in comune con la sica moderna; non vuole essere e non
, come quella, unindagine quantitativa condotta sulla base di
schemi e misurazioni matematiche, tant vero che sistematica-
mente Aristotele insiste nel distinguere lambito dindagine e i
metodi del qtoio da quelli propri del matematico, e sulla diver-
sa teoreticit delle due scienze, sica e matematica, luna volta
al concreto mondo sensibile, laltra ad una realt che esiste per
astrazione. La sica aristotelica si congura, piuttosto, come una
riessione losoca, direi anche meta-sica a volte,
8
sullontologia
del divenire e sulle condizioni che ne permettono lintelligibilit.
Niente di pi lontano dalle prospettive della scienza moderna.
Perch allora non ammettere che la discussione sulla qtoi e sulla
ivqoi nella Fisica si conclude con un chiaro rimando al ne ulti-
mo e primo motore della realt, in una evidente cornice teleologi-
ca? Si tratta, a mio parere, di chiarire il vero senso e il carattere
sui generis di questimpianto teleologico,
9
liberarlo da rischi di
trascendentismo o di provvidenzialismo, per poter dimostrare co-
me lindividuazione di una siffatta struttura teleologica non inci
affatto lautonomia ontologica e lo statuto epistemologico del
mondo naturale.
56 R. LOREDANA CARDULLO
8
La riessione meta-sica sul mondo naturale si ha soprattutto nellopera
dedicata a quella che considerata, tra le scienze del divenire, la scienza archi-
tettonica, ovvero nella Fisica, ed in special modo l dove Aristotele deve formu-
lare quella struttura generale del divenire di cui tutti gli scritti sici e biologici
rappresenteranno particolari conferme e approfondimenti. A tal proposito cf. le
osservazioni di Furley (1999).
9
Vegetti, ad esempio (Opere biologiche, p. 41), nota come il nalismo ari-
stotelico carattere per cui la scienza moderna, da Bacone in poi, ha riutato in
blocco lintera sica di Aristotele sia assai diverso da quello trdito dalla me-
tasica scolastica.
Senza anticipare le mie conclusioni, vorrei solo indicare nel
concetto aristotelico di iqoi unimportante chiave di accesso a
questa struttura nalistica delluniverso, che lanalogia fcvq-qt-
oi contribuisce notevolmente a rivelare.
1. Fuvsi~ e tevcnh in Aristotele
Ho evitato, volontariamente, di tradurre in italiano i due ter-
mini-chiave di questa ricerca; le diverse accezioni, le sfumature di
signicato anche impercettibili che tali termini, come molti altri
nellambito della losoa greca, hanno acquisito nel corso dei
tempi, rendono impossibile una loro resa adeguata in lingua mo-
derna, se non dopo una attenta contestualizzazione. Filologi, lin-
guisti e cultori del pensiero antico mettono in guardia i traduttori
troppo disinvolti, esortandoli alla cautela critica; gi nel secolo
scorso, ad esempio, Heidegger sottolineava limpossibilit di ren-
dere allo stesso modo e con uno stesso vocabolo moderno il ter-
mine qtoi in Aristotele e nei loso aurorali; e ancora pi er-
rato era, a suo dire, tradurre la parola greca qtoi con il latino
natura. Questultimo termine, in effetti, possiede un signicato
totalmente estraneo a quello peculiare alla cosiddetta archi-phusis
delle origini:
10
mentre qtoi, da qt m, denota il processo stesso del
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 57
10
Per questo concetto di archi-phusis si veda ancora P. Loraux (1996), ma
anche, ovviamente, gli scritti che Heidegger ha dedicato al concetto greco, sia
presocratico che aristotelico di qtoi, primo fra tutti Sullessenza e sul concetto
della fuvsi~. Aristotele, Fisica B 1, in Segnavia, ed. italiana a cura di F. Volpi, Mi-
lano 1987 (titolo originale Vom Wesen und Begriff der fuvsi~. Aristoteles Physik
B, hrsg. v. Friedrich von Herrmann). Heidegger aveva apprezzato la teoria sica
di Aristotele, cogliendone tanto gli aspetti di originalit quanto la continuit con
la concezione presocratica; ma non mancava di esprimere una certa preoccupa-
zione per leccessiva attenzione che lo Stagirita aveva dedicato allente a discapi-
to dellessere, e paventava il realizzarsi del totale oblio dellessere. Interessanti e
particolarmente profetiche risultano le considerazioni heideggeriane sul rischio
di un totale sopravvento della tecnica sulla natura, e di unepoca di anti-phusis:
La fcvq scriveva nel 1939 a proposito della techne medica pu soltanto ve-
nire incontro alla qtoi, pu favorire pi o meno il risanamento, ma, come
fcvq, non potr mai sostituirsi alla qtoi e diventare, al suo posto, loqq della
divenire, nel suo stesso farsi e dispiegarsi, natura, da nascor, si ri-
ferisce piuttosto al momento iniziale del processo, indicando lat-
to originario in cui viene allessere qualcosa che prima non era.
Mentre i qtoioooi, quindi, concepivano la qtoi quale oqq
sostanziale del tutto,
11
ma anche quale sostanza eterna, permanen-
te ed immanente al qtoci ov, che da essa traeva origine ed in essa
e con essa si dispiegava in una sorta di magica indistinzione, con il
termine qtoi Aristotele intende anche qualcosaltro: sia, in gene-
rale, il principio generativo dei qtoci ovfo, sia anche i qtoci
ovfo stessi, cio linsieme delle realt naturali autonome e a s
stanti, che nascono, appunto, dalla qtoi ed in qualche modo da
essa si distinguono. Fedelt al senso originario e aurorale del
concetto, ma anche assunzione di quel nuovo signicato di phusis
che ritroviamo nel latino natura e che libera, in un certo senso, la
qtoi da quellalone sacrale e religioso che quasi tutti i qtoioo-
oi le avevano assegnato. In verit, sulla necessit di far luce sul
pieno signicato di qtoi e di denirne la nozione, insistono in
modo prioritario almeno due importanti capitoli dellopera aristo-
telica: Fisica II e Metasica A 4. Un discorso analogo bisogna fare
58 R. LOREDANA CARDULLO
salute come tale. Ci potrebbe avvenire solo se la vita come tale divenisse un ar-
tefatto producibile tecnicamente; ma se ci avvenisse, in quello stesso momen-
to non ci sarebbe pi salute, n nascita e morte. Talvolta sembra che lumanit
corra allimpazzata verso questa meta: che luomo produca tecnicamente se stesso.
Se ci riuscir, luomo avr fatto saltare in aria se stesso, cio la sua essenza come
soggettivit, e lavr fatta saltare in quellaria dove lassoluta assenza di senso vale
come unico senso, e dove il mantenimento di questo valore appare come il
dominio umano sul globo terrestre. In questo modo la soggettivit non su-
perata, ma soltanto sopita nel progresso eterno di una costanza da cinesi.
Questa lopposizione essenziale estrema alla qtoi-otoio (p. 211-12, trad. ci-
tata). Su Heidegger lettore di Aristotele si vedano in particolare gli studi di
DAngelo (1982), Volpi (1984), Cazzullo (1986).
11
Fondamentali ed indicative del senso originario di qtoi come sostanza
primigenia eterna, scaturigine e culla degli enti, sono in particolare la testimo-
nianza aristotelica su Talete (Ci deve essere una qualche sostanza, o una o pi
di una, da cui le altre cose vengono allesistenza, mentre essa permane [],
DK 11 A 12) e il frammento di Anassimandro riportato da Simplicio, in Phys.
(principio degli esseri linnito [] da dove infatti gli esseri hanno lorigine,
ivi hanno anche la distruzione secondo necessit [], DK 12 B 1).
anche per laltro termine interessato dal nostro studio; difatti il
concetto di fcvq ha conosciuto una storia semantica alquanto
complessa, indicando in epoca classica, no a Platone compreso,
qualcosa di simile allciofqq, costituendo una prerogativa,
quindi, anche di saggi e di, ma nello stesso tempo, nel suo senso
precipuo di arte, in Platone soprattutto, la fcvq stata oggetto
di una sistematica e cosciente operazione svalutativa, quando non
del tutto spregiativa; per diventare, inne, in Aristotele, ambito
esclusivo ma dignitoso della produzione umana, scienza poietico-
produttiva, nalizzata alla realizzazione di strumenti tecnici o di
oggetti artistici. Tradurre, quindi, techne automaticamente o in-
differentemente con tecnica o con arte, senza contestualizzare di
volta in volta il termine, ancora una volta operazione incauta e
acritica; posso dire, comunque, che nei brani aristotelici interessa-
ti dallanalogia techne-phusis, la techne riguarda quasi sempre
lambito delle tecniche utili, come la medicina o larchitettura, e
quasi mai le arti belle o le arti tout court. I testi dedicati alla de-
nizione e allillustrazione del concetto di techne vanno da quelli
pi artistici, contenuti nella Poetica, a quelli artistico-tecnici
delle Etiche, a quelli pi propriamente tecnici, contenuti nel
Protreptico, in Fisica II, negli scritti biologici (De partibus anima-
lium, De generatione animalium) nel De anima e in alcuni libri
della Metasica (A e Z soprattutto).
2. Fuvsi~ in Aristotele
Phusis s la materia prima [], ma sono phusis anche la
forma e la sostanza. Questo il ne della generazione.
Aristot. Metaph. A 4, 1015a 7-11
Il grande interesse che Aristotele nutre per il mondo della
phusis testimoniato dal numero veramente ingente di trattati che
egli dedica ai diversi aspetti di questa dimensione dellessere. Al-
linizio dei Meteorologica si trova una presentazione dettagliata
dei diversi problemi di argomento naturale di cui il Filosofo s
gi occupato nelle opere precedenti le cause prime e il movi-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 59
mento naturale nella Fisica, i corpi celesti e le loro caratteristiche
nel De caelo, gli elementi naturali e il movimento di generazione e
corruzione nel De generatione et corruptione e di quelli che si
propone ancora di studiare in opere successive le facolt biolo-
giche vegetali, animali e umane nel De anima, struttura e funzio-
namento della vita animale negli scritti biologici. Ne risulta che
gli scritti di argomento sico occupano circa i due terzi dellintera
produzione acroamatica dello Stagirita. Ovviamente, per la deni-
zione del concetto di qtoi dobbiamo fare riferimento alla Fisica,
ovvero allincipit dellintera trattazione aristotelica del mondo si-
co. Dopo avere delineato, in Fisica I, i caratteri peculiari della qt-
oiq ciofqq loggetto dindagine e il metodo ed affrontato
dialetticamente la questione dei principi della realt sica, Aristo-
tele consacra lintero II libro alla spiegazione losoca del concet-
to di qtoi e allindividuazione delle cause del mondo naturale.
Sebbene per conseguirne la completa denizione lo Stagirita si
avvalga frequentemente del paragone con la techne, tuttavia
ugualmente possibile isolare i tratti peculiari della nozione di phu-
sis attraverso una lettura selettiva del libro. Laltro testo utile per
acquisire la denizione aristotelica di qtoi , ovviamente, il les-
sico losoco costituito da Metasica A, il cui quarto capitolo ci
offre un quadro completo dei signicati del nostro concetto; fra
laltro, trattandosi di un testo pi volte ripreso e rimaneggiato
dallo Stagirita nel corso della sua vita,
12
la sua lettura ci permette,
come si dice, di chiudere il cerchio sulla questione, essendovi
comprese ed elencate sia le concezioni prearistoteliche della phu-
sis, sia quelle squisitamente aristoteliche.
13
Cominciamo, per ovvie ragioni cronologiche, da Fisica II, li-
bro che si presta ad essere estrapolato dallintero trattato e analiz-
zato come uno scritto autonomo;
14
signicativamente, infatti, gi
60 R. LOREDANA CARDULLO
12
Donini (1995, p. 52), per questo motivo, lo considera indatabile.
13
Un agile strumento per avere un quadro dinsieme del linguaggio tecnico
di Aristotele Le vocabulaire dAristote di P. Pellegrin (2001).
14
Di questo parere anche Couloubaritsis, il quale ha pubblicato una tra-
duzione commentata del II libro della Fisica, col titolo Aristote. Sur la nature
(Physique II) (1991); si vedano, alle pp. 14 ss., le considerazioni sul carattere re-
nellantichit esso era stato tramandato, quasi si trattasse di uno
studio a s stante dedicato ad un argomento ben preciso, col tito-
lo di Hcqi qtocm o' (cio come il primo di tre scritti dedicati al
medesimo argomento).
15
comunque lo stesso Aristotele a pre-
sentarcelo come un nuovo inizio della trattazione, quando dice
testualmente, alla ne del I libro, ma proseguiamo il discorso,
assumendo un altro punto di partenza.
16
Conclusa lindagine sui
principi del mondo della qtoi, il discorso si concentra ora sulla
denizione di ci che sintende rispettivamente per qtoi, da una
parte, e per fo qtoci ovfo o fo ofo qtoiv o vfo, dallaltra.
La qtoi viene subito denita come unoqq ed unoifio del
movimento e della quiete, intrinseca ad un certo tipo di enti: gli
animali e le loro parti, le piante e i corpi semplici, i quali, pertan-
to, non sono natura, ma sono per natura (qtoci) o secondo
natura (ofo qtoiv), nel senso che possiedono in s e per s e
non grazie ad altro tale principio (e causa);
17
le altre cose che
sono (ovfo), invece, derivano da altre cause (oi oo oifio),
cio come verr esplicitato pi avanti da fcvq, ftq, o otfo-
ofov. Ecco la prima denizione di qtoi: essa un principio e
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 61
lativamente autonomo del libro II e sul suo legame tematico con gli altri libri
della Fisica.
La letteratura sulla Fisica davvero sterminata, anche per quanto riguarda il
II libro; a parte i classici studi di Mansion (1946
2
), Wieland (1962), Le Blond
(1973), si segnalano qui alcuni lavori collettanei pi recenti sullargomento:
Gotthelf (1986), De Gandt-Souffrin (1991), Judson (1991).
15
Il titolo di Peri; fuvsew~ a viene tramandato da Diogene Laerzio, Vite dei
loso V.
16
Fisica I 9, 192b 4: oiv o o qv o qq v o qo cvoi cmcv.
17
Si vedr, nel corso del II libro, che le cause naturali si sovrappongono ai
tre principi del divenire guadagnati nel I libro: la causa materiale va a coincidere
col sostrato, quella formale con la forma e con la privazione (denita come una
sorta di specie a 193b 19), quella nale ancora con la forma, intesa per nel suo
aspetto dinamico di principio che orienta il divenire. Ovviamente la causa motri-
ce, agendo dallesterno, non si sovrappone a nessuno dei tre principi interni al-
lente naturale descritti nel I libro. Essa viene presentata rapidamente, assieme alle
altre tre cause, in Phys. II 194b 29-32, ma analizzata in tutti i suoi aspetti caratteri-
stici a partire dal III libro. Sulla causa motrice in Phys. III si veda il contributo di
G.R. Giardina, La causa motrice in Aristotele, Phys. III, in questo stesso volume.
una causa dellessere in movimento e dello stare in quiete di ci in
cui essa sussiste primariamente per s e non per accidente.
18
Nel
descrivere la qtoi come principio e come causa delle cose qtoci
o ofo qtoiv, Aristotele si pone in rapporto di continuit con le
teorie degli antichi siologi, ma va oltre, facendo del mondo sen-
sibile una dimensione autonoma dellessere, perfettamente cono-
scibile scienticamente in virt, per lappunto, dei suoi principi e
delle sue cause; scienza , infatti, conoscenza dei principi e delle
cause, e la qtoi, realt studiata dalla qtoiq ciofqq, convo-
glia su di s ciascuno dei tre principi (materia, forma, privazione),
guadagnati in Fisica I, e tre delle quattro cause (materiale, formale
e nale; rimane esclusa la motrice o efciente, come vedremo),
delle quali si discute in questo II libro. Nel seguito del testo, in-
fatti, la qtoi viene presentata sia come sostrato materiale, in ac-
cordo con la maggior parte dei qtoioooi, sia come forma e spe-
cie, in linea con altri loso del passato (pitagorici e platonici),
sia, ancora, come ne e ci in vista di cui. A 193a 28-31 il discorso
si arresta per unaltra denizione di qtoi:
in un senso, dunque, si dice natura la materia prima che fa da so-
strato a ciascuna delle cose che hanno in s un principio del movi-
mento e del mutamento, e in un altro senso [si dice natura] la forma
e la specie conforme alla nozione.
19
Questultima cio la forma e la specie conforme alla nozione
pi phusis della materia, perch ciascuna cosa viene detta na-
tura quando in atto, piuttosto che quando in potenza (Phys.
II 1, 193b 6-8).
Ora, se la prima denizione ha presentato la phusis, in genera-
le, come un certo principio di movimento e di mutamento intrin-
seco allente naturale, questa seconda denizione fa di essa tanto
la causa materiale quanto la causa formale di quellente. In-
ne, laffermazione di 194a 29, dove si legge che la phusis ne e
62 R. LOREDANA CARDULLO
18
Fisica II 1, 192b 21-3.
19
cvo cv otv fqoov otfm q qtoi ccfoi, q qmfq coofm tocicvq
tq fmv covfmv cv otfoi oqqv ivqocm oi cfopoq, oov oc fqoov q
oqqq oi fo ci oo fo ofo fo v o ov.
ci in vista di cui,
20
completa, con la causa nale, il quadro del-
le denizioni della phusis intesa precipuamente come oifio.
Quanto al carattere principiale della phusis, il testo ci permette
di assegnarle tutti e tre i principi aristotelici materia, forma e pri-
vazione; abbiamo gi letto il brano che presenta la phusis sia come
tq che come oqqq e cioo, adesso non ci resta che citare 193b
19, dove si assegna alla phusis, nella sua qualit di forma/specie,
anche la ofc qqoi (privazione, terzo principio del divenire):
ma forma e natura si dicono in modo duplice: difatti anche la pri-
vazione , in qualche modo, specie.
21
I signicati di qtoi illustrati in Fisica II trovano conferma e
ulteriore specicazione in Metasica A 4, 1014b 16-1015a 19, do-
ve allelencazione di cinque diversi sensi della nozione (1. la gene-
razione delle cose che nascono; 2. il principio primo e immanen-
te, dal quale nasce ci che nasce; 3. ci da cui deriva il movimento
primo che esiste in ciascuno degli enti naturali, in esso in quanto
quello che ; 4. il principio primo di cui fatto o da cui deriva
un ente naturale; 5. la sostanza degli enti naturali)
22
segue una de-
nizione riepilogativa e conclusiva, che sancisce la priorit onto-
logica della forma anche nel mondo naturale e limmanenza in es-
so dei suoi principi primi; vi si legge:
Dalle cose dette risulta che la natura, nel senso primario e prin-
cipale del termine, la sostanza (ot oi o) delle cose che hanno in s, in
quanto sono quelle che sono, un principio del movimento (oqqv
ivqocm): la materia (tq), infatti, si dice natura in quanto capace
di ricevere questo principio, e le forme di generazione e di crescita (oi
cvcoci oi fo qtco0oi) [si dicono natura] perch sono movimenti
(ivqoci) che derivano da questo stesso principio (oo fotfq).
23
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 63
20
Sulla causalit nale della physis ritornano in maniera pi specica i capi-
toli 8 e 9.
21
Koi o q q ofcqqoi cioo m cofiv.
22
A 4, 1014b 16-37.
23
1015a 13-17: c oq fmv ciqqcvmv q qmfq qtoi oi tqim cocvq
cofiv q otoio q fmv covfmv oqqv ivqocm cv otfoi q otfo q oq tq fm
fotfq ocfiq civoi ccfoi qtoi, oi oi cvcoci oi fo qtco0oi fm oo
3. Tevcnh in Aristotele
Se il concetto di qtoi, come principio ontologico ed episte-
mologico del divenire naturale, viene guadagnato in opere di argo-
mento teoretico, quali la Fisica e la Metasica, quello di fcvq tro-
va la sua pi chiara denizione negli scritti dedicati alle scienze
pratiche, e il suo specico raggio dazione nelle scienze poietiche.
Che il discorso sulla techne appartenga anche al mondo della
qoi e non soltanto, come si potrebbe erroneamente pensare di
primo acchito, a quello della oiqoi, non deve stupire, perch
luomo, secondo Aristotele, per poter realizzare prodotti artistici o
tecnici, deve prima aver acquisito quella virt della razionalit pra-
tica, in cui consiste per lappunto la techne, che gli permetter di
attuare quelle che sono in lui soltanto delle potenzialit, in senso
lato, produttive. Ed per questo che la pi completa e nota deni-
zione di techne trova la sua espressione nellEtica Nicomachea, pre-
cisamente nella sezione dedicata alle virt della parte razionale del-
lanima o dianoetiche. Queste vengono individuate e distinte, in
Eth. Nic. VI 2, 1139a 1 ss., sulla base delle due parti dellanima ra-
zionale, che sono luna scientica (ciofqoviov), laltra calcola-
trice (oiofiov), entrambe volte alla conoscenza della verit ma
indirizzate su due tipi diversi di realt: luna con la quale cono-
sciamo quel genere di enti i cui principi non possono essere diver-
samente da quelli che sono, laltra con cui conosciamo gli enti che
lo possono. Distinta lanima razionale, si passa ad individuare la
disposizione migliore di ciascuna delle due parti: questa infatti la
virt di ciascuna, e la virt di una cosa relativa allopera che le
propria. Da Eth. Nic. VI 3, 1139b 14-17, si apprende inoltre che
le disposizioni con le quali lanima dice il vero, affermando o ne-
gando, sono cinque []: la techne, la scienza (ciofqq), la sag-
gezza (qqo vqoi), la sapienza (omqi o) e lintelletto (vot ).
24
64 R. LOREDANA CARDULLO
fotfq civoi ivqoci. Dal brano si evince chiaramente come, tra materia, forma
e privazione, Aristotele indichi nella forma e nella privazione questultima in-
tesa come potenzialit e quindi quale punto davvio del processo di acquisizione
della forma il principio/qt oi di movimento, interno allente ofo qtoiv.
24
Anche in questoccasione, preferisco mantenere il termine greco, perch
credo che il discorso valga indifferentemente per ci che i greci dellet di Ari-
Tra queste cinque disposizioni o oqqfoi, lepisteme, la sophia
e il nous riguardano il mondo del necessario, e attengono alle
scienze teoretiche, mentre la techne e la phronesis hanno per og-
getto ci che pu essere altrimenti da quello che ; ora, la phro-
nesis una disposizione pratica accompagnata da ragionamento
vero, laddove la techne :
una disposizione produttiva accompagnata da ragionamento vero
(ci fi cfo oot oq0ot oiqfiq ), e la mancanza di techne, il
suo contrario, una disposizione produttiva accompagnata da ra-
gionamento falso.
25
Sempre nello stesso contesto, nel differenziare la produzione
tecnico-artistica da quella naturale, Aristotele ci fornisce nuovi
elementi per denire il concetto di fc vq:
Ogni techne concerne la generazione (cqi cvcoiv) e usare la
techne considerare in che modo possa generarsi una di quelle cose
che possono sia essere che non essere e il cui principio in chi pro-
duce (cv fm oiotvfi) e non nella cosa prodotta (oo q cv fm
oiotcvm). Infatti la techne non ha per oggetto n le cose che sono
o si generano in modo necessario, n quelle che sono o si generano
per natura: queste infatti hanno in se stesse il loro principio.
26
Ma oltre a costituire uneccellenza (oqcfq) dellattivit razio-
nale produttiva delluomo, la techne per Aristotele anche una
vera forma di conoscenza scientica, che non si limita, come la
semplice empeiria, a comprendere il che delle cose e degli eventi,
ma giunge a conoscerne il perch, cio luniversale. Nella famosa
sezione di Metasica A 1 in cui viene tracciata levoluzione delle
forme di conoscenza, dalla sensazione alla sapienza, la techne
anche qui da intendere in senso greco, sia come arte che come
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 65
stotele intendevano per arte e per tecnica; nei contesti di cui ci occuperemo nel
paragrafo successivo, tradurr il termine con tecnica perch l gli esempi aristo-
telici non riguardano le arti intese strictu sensu, come la pittura o la scultura, ma
le tecniche come la medicina e larchitettura. La traduzione dellEtica Nicoma-
chea qui riportata quella di Zanatta (1986), qua e l modicata.
25
Eth. Nic. VI 4, 1140a 20-23.
26
Eth. Nic. VI 2, 1140a 10-15.
tecnica viene, infatti, collocata ad un livello scienticamente
considerevole, dopo la aisthesis, la mneme e lempeiria, e imme-
diatamente prima dellepisteme, di cui fa parte la sophia, cio la
metasica. La differenza rispetto allepisteme, come gi precisato
nellEtica, a cui peraltro Aristotele qui rimanda espressamente, sta
nellattinenza, rispettivamente, della techne con lutile (tecnica) e
con il piacevole (arte), cio con lambito del fare, e dellepisteme
con la pura 0cmqio. La medesima gerarchia tra i gradi del cono-
scere si ritrova in Secondi Analitici II 19, 99b 35 ss., dove sulla
differenza tra techne ed episteme si dice pi chiaramente che la
prima riguarda il divenire (cqi cvcoiv), laltra lessere (cqi fo
ov).
27
Sicch conclude Metaph A 1 [] lesperto ritenuto
pi sapiente di chi ha una qualunque sensazione, e chi ha la tech-
ne pi sapiente dellesperto, e il dirigente pi del semplice mano-
vale, e le attivit teoretiche pi di quelle pratiche.
28
4. Il valore metodologico-conoscitivo dellanalogia tevcnh-fuvsi~:
comprendere la fuvsi~ attraverso la tevcnh
A questo punto, chiariti, nelle loro linee generali, i concetti
aristotelici di phusis e di techne, entriamo nel cuore del nostro di-
scorso, cercando, se possibile, di enucleare e di differenziare tra
loro i signicati, i livelli e gli scopi dellanalogia techne-phusis in
Aristotele.
Allinizio del trattato di Fisica, cos come in altri contesti ari-
stotelici particolarmente nodali Metasica A 9, 992b 30 ss.; To-
pici VI 4, 141a 26-31; Secondi Analitici I 1, 71a 1 ss.; 34 ss.; Etica
Nicomachea VI 3, 1139b 26-28 viene postulata la necessit che
ogni conoscenza scientica, sia dimostrativa che induttiva, cos
come ogni dottrina ed ogni insegnamento, procedano e si svilup-
pino da una conoscenza precedente. Lobiettivo nale della scien-
66 R. LOREDANA CARDULLO
27
In questo caso traduco cvcoi con divenire e non con generazione, per
evidenziare la contrapposizione con essere.
28
Trad. Russo rivista da Berti (1993). Sulla razionalit della techne in
Aristotele si veda in particolare Berti (1989), cap. quinto.
za , infatti, il coglimento dei principi e delle cause universali,
cio di quanto risulta ontologicamente anteriore e noto in assolu-
to; ma poich, come nota Aristotele in Analyt. Post. I 2, 34-72a 1,
ci che anteriore per natura non risulta la stessa cosa di ci che
anteriore rispetto a noi, n ci che pi noto per natura si iden-
tica con ci che pi noto per noi,
29
allora i principi delle di-
verse scienze, ivi compresi quelli della scienza sica, che, in quan-
to tali, sono primi e noti per natura, ma meno noti per noi, lonta-
ni come sono dalle nostre prospettive e capacit cognitive imme-
diate,
30
non possono essere conosciuti se non dopo una previa in-
dagine che abbia ad oggetto quella sorta di pre-comprensione con-
fusa e indistinta che noi abbiamo della realt naturale.
31
Nella fat-
tispecie, il metodo della scienza sica non pu che prendere avvio
dallesame dei phainomena
32
e da tutto quanto possa contribuire a
costituire la nostra pre-comprensione di questo settore del reale.
In pi occasioni Aristotele stabilisce, per il mondo naturale, la
priorit dellindagine fenomenico-linguistica su quella apoditti-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 67
29
Lo stesso concetto, espresso per in modo pi conciso, in Fisica I 1, 184a
18: Infatti non sono le stesse le cose che sono pi conoscibili per noi (qiv) e
quelle che lo sono in senso assoluto (om ).
30
Importante per la comprensione del nostro discorso anche il seguito
del brano riferito (Analyt. Post. I 2, 34-72a 1-6): Dicendo anteriori e pi no-
ti rispetto a noi, intendo riferirmi agli oggetti pi vicini alla sensazione; dicendo
invece anteriori e pi noti assolutamente, intendo riferirmi agli oggetti pi
lontani dalla sensazione. I pi lontani di tutti dalla sensazione sono gli oggetti
massimamente universali, mentre i pi vicini di tutti sono gli oggetti singoli: gli
oggetti di questi due tipi, inoltre, risultano contrapposti gli uni agli altri.
Ovviamente ci vale per luomo comune, come si evince da un brano analo-
go a questo, tratto dai Topici (VI 4, 141b 12-19): Gli uomini, invero, nella loro
grande maggioranza, conoscono anzitutto ci che pi vicino ai sensi. In realt,
spetta alla mente comune il cogliere gli elementi pi noti a noi, alla mente acuta
ed eccezionale, invece, il cogliere gli elementi pi noti in linea assoluta. allora
senzaltro migliore il tentativo di render noto ci che posteriore attraverso ci
che anteriore: siffatto procedimento difatti pi scientico. Tuttavia forse
necessario, di fronte a coloro che non sono in grado di giungere alla conoscenza
con mezzi consimili, di costruire il discorso con elementi noti a loro.
31
Lespressione in corsivo di Wieland (1993) p. 89 e passim.
32
Uso questo termine nel senso ad esso attribuito da Owen (1961) e con-
fermato da M. Nussbaum (1996).
ca;
33
trattandosi, infatti, di una realt nella quale ci troviamo im-
mersi e coinvolti in modo totale, dobbiamo anzitutto analizzare
i modi linguistici ed endossali attraverso i quali noi stessi
esprimiamo e percepiamo le realt che ci circondano e che ci co-
stituiscono. Quanto noi diciamo sulle cose, ma soprattutto le
opinioni autorevoli che tutti condividiamo (i cosiddetti endoxa),
34
costituiscono quella sorta di sentire comune e immediato che, pur
non essendo ancora scientico, tuttavia punto di partenza di un
percorso induttivo che condurr alle premesse di una vera e pro-
pria dimostrazione. Ora, io credo che quanto Aristotele fa, tanto
in Fisica II che nostro punto di riferimento e di partenza privi-
legiato quanto in altri luoghi determinanti della sua opera dal
Protreptico alla Metasica, dalle Etiche al De anima, sino agli scrit-
ti biologici, come vedremo pi avanti in dettaglio , quando met-
te in relazione lambito della phusis con quello della techne, certa-
mente per evidenziarne le differenze, ma soprattutto per metterne
in luce le numerose afnit strutturali e operative, si inquadri
esattamente e perfettamente in questa prospettiva metodologica.
In effetti, il mondo della produzione tecnico-artistica, nella con-
cezione aristotelica, dipende e deriva, per la sua stessa esistenza,
da quello naturale, che ne costituisce il modello e il referente, da
vari punti di vista. Pi volte, nel Corpus aristotelicum si legge in-
fatti che la techne imita la phusis,
35
e ci da intendersi, come
68 R. LOREDANA CARDULLO
33
Nella sua introduzione al De partibus animalium, Vegetti (Aristotele,
Opere biologiche, 1996) sottolinea questo concetto, chiarendo anche il ruolo di
supporto allosservazione sensibile che lanalogia gioca negli scritti aristotelici
sulla natura: losservazione immediata [espressione con la quale Vegetti tradu-
ce il termine oio0qoi] potr semmai essere integrata dallanalogia, che permette
di individuare le afnit fra le strutture fenomeniche immediatamente rivelanti-
si (p. 501). Sulla priorit del momento empirico nella ricerca sico-biologica
emblematico il seguente brano del De generatione animalium (760b 31-32): si
dovr dare pi credito allosservazione (oio0qoci) che ai discorsi (oov fmv
omv), e ai discorsi qualora indichino cose che si accordano con i fatti che ap-
paiono (qoivocvoi); trad. Vegetti (1996).
34
Sugli endoxa, fondamentali rimangono le riessioni di Berti (1975 e
1989); sullargomento si veda anche il recente studio di L. Seminara (2002).
35
Protrept. ffr. 13 e 23.; Phys. II 2, 194a 21; II 8, 199a 16; Meteorol. IV 3,
381b 6, Poetica I 1447a 16; Eth. Nic. VI.
vedremo meglio pi avanti, sia nel senso che la prima riproduce
processi e strutture della seconda, sia anche nel senso che ne
completa lopera, l dove ce ne sia bisogno. Pertanto i procedi-
menti della techne e la struttura dei suoi prodotti, essendo model-
lati su quelli naturali, possono servire da lente dingrandimento
per una migliore focalizzazione di quei processi e di quelle strut-
ture, ontologicamente primari e pi principiali, di cui essi sono
unimmagine ed un riesso.
A questo punto, tentiamo di mostrare tutto questo con il sup-
porto dei testi aristotelici.
La prima analogia tra techne e phusis viene impiegata gi alle
prime battute di Fisica II 1 per illustrare, con un esempio palese,
la denizione di qtoi, data proprio in questo contesto, alle linee
192b 20 ss., nei termini che abbiamo gi riferito, ossia: [la natura
] un principio e una causa dellessere in movimento e dello stare
in quiete di ci in cui essa sussiste primariamente per s e non per
accidente. Attraverso la distinzione tra le cose che sono ofo
qtoiv (gli animali e le loro parti, le piante e i corpi semplici), le
quali hanno il principio del movimento e del riposo in se stes-
se, e quelle che derivano da altre cause nello specico oo
fcvq (come un letto e un mantello ed ogni altro oggetto di
questo genere, nellesempio aristotelico), le quali non possiedono
in s nessuna tendenza naturale innata al cambiamento (otoci
ov oqqv cci cfopoq cqtfov), Aristotele accosta subito la
phusis alla techne, presentandole come cause del divenire, non
identiche, ovviamente, ma analoghe, in quanto attinenti a due di-
verse specie di divenire: la generazione naturale (cvcoi in senso
proprio), per quanto attiene alla phusis, la produzione (oiqoi),
per la techne.
36
Laccostamento analogico di phusis e techne quali
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 69
36
La difcolt di tradurre sempre correttamente e, soprattutto, in modo
univoco ciascuno dei termini appartenenti al vocabolario del divenire, specie nel
I libro della Fisica, deriva dal modo ambiguo in cui lo stesso Aristotele utilizza
tali termini; il verbo ivco0oi, ad esempio, in I 7, viene usato indifferentemente
per indicare tanto il divenire tout court, in casi che denotano mutamenti qualita-
tivi (come il divenire bianco da nero, o colto da incolto) o quantitativi, quanto
anche il divenire sostanziale, o om, che denota il venire allessere di qualcosa
cause del divenire trova conferma, ma pure una pi estesa tratta-
zione, anche in altri testi aristotelici, alcuni probabilmente ante-
riori a Fisica II, altri sicuramente posteriori. Cominciamo dal Pro-
treptico, il cui fr. 11 contiene un interessante parallelo con questo
brano della Fisica; vi si legge, infatti, che tra le cose che si gene-
rano (fmv ivocvmv),
37
alcune sono generate da qualche proces-
so di pensiero (oo fivo oiovoio) o da techne, per esempio la
casa e la nave [], altre, invece, non sono generate per causa di
nessuna techne, ma per causa della phusis; degli animali, infatti, e
delle piante causa la phusis, e tutte le cose siffatte sono generate
secondo phusis [].
38
Segue la presentazione di una terza causa
del divenire, la ftq, su cui, in Fisica II, si soffermano ex professo
i capp. 4-5-6. Di queste tre cause del divenire (techne, phusis, tu-
che) tratta ampiamente anche Metasica Z 7, 1032a 12 ss., in un
brano che, fra laltro, registra un ampio uso della nostra analogia.
Lesordio del testo del tutto simile a quello del Protreptico appe-
na riportato: Delle cose che si generano (fmv oc ivocvmv) vi
si legge alcune si generano per phusis, altre per techne, altre per
tuche. Ancora pi completo, per laggiunta dellautomaton quale
quarta causa del divenire delle cose, Metasica A 3, 1070a 6 ss.:
[] le sostanze infatti si afferma si generano o per techne o
per phusis o per fortuna (ftq) o per caso (fm otfoofm ). Fin
qui lanalogia tra phusis e techne concerne il loro comune ruolo di
cause del divenire; sia luna che laltra, infatti, danno origine a
70 R. LOREDANA CARDULLO
che prima non era (il cui essere, cio, era in potenza e non ancora in atto: una
statua, una casa, piante, animali, tra gli esempi aristotelici), per cui si dovrebbe
piuttosto usare il termine cvcoi. Il fenomeno stato notato e messo in luce an-
che da Charlton (1970, p. 70, commento a Phys. I 7) e da Pellegrin (2002, p. 39:
le vocabulaire quil [scil: Aristotele] emploie est lui-mme dune dsesprante
ambiguit; il riferimento alla teoria dei tre principi del divenire, sviluppata in
Phys. I).
37
Qui si tratta, ovviamente, di un divenire sostanziale, cio del venire alles-
sere di qualcosa di naturale o di articiale, quindi, propriamente, di generazione,
naturale (cvcoi) o articiale (oiqoi) che sia.
38
Trad. Berti (2000); ho preferito mantenere in greco i termini phusis e te-
chne sia per rendere pi immediatamente evidente lanalogia sia perch ritengo
riduttivo tradurre in questo contesto fc vq con arte.
qualcosa; tuttavia, luna costituisce un principio di movimento
immanente allente generato, laltra un principio motore esterno.
Questa prima differenziazione, che emerge sullo sfondo dellana-
logia, mi pare fondamentale dal punto di vista teoretico, perch
permette di collocare le due realt su livelli diversi: infatti la phu-
sis, che agisce dallinterno, quale forza immanente e intrinseca-
mente connessa alla cosa naturale, rivela unautonomia e quindi
una superiorit ontologica ed epistemologica che la techne, atti-
vit prettamente umana ed iconica, estrinseca al suo prodotto,
non ha. Ma proseguiamo, limitandoci, per ora, soltanto a racco-
gliere elementi, rinviando ad un secondo momento le riessioni
conclusive.
Un altro contesto importante per il nostro obiettivo quello
in cui Aristotele, denita la phusis come principio, ripercorre dia-
letticamente la storia della speculazione sul principio naturale
(Phys. II 1, 193a 10 ss.), ossia sullarch o sostanza originaria, allo
scopo di vericare a quale tipo di principio la phusis possa essere
pi propriamente associata, e accenna, com ovvio trattandosi
del primo problema losoco , ad alcuni dei suoi predecesso-
ri.
39
Ancora una volta, per dimostrare con un esempio particolar-
mente accessibile ai suoi ascoltatori che per phusis sia giusto in-
tendere sia la materia (tq), sia, soprattutto e in modo prioritario,
la forma e la specie (oqqq oi cioo), lo Stagirita ricorre nuova-
mente allanalogia con i prodotti della techne, con queste parole:
E la forma, piuttosto che la materia, natura. Infatti, ciascuna
cosa viene detta essere quando compiutamente in atto, piuttosto
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 71
39
Com noto, il problema della sostanza originaria, o arch, viene posto da
Aristotele, in Metaph. A, come il primo dei problemi che vengono affrontati dal-
la losoa al suo sorgere; anzi, la speculazione razionale sul principio viene a
rappresentare, nella ricostruzione storiograca aristotelica, il punto di snodo e di
distacco tra la cultura pre-losoca, o teologica, e quella, razionale, inaugurata
da Talete. Su Aristotele storico della losoa si rimanda qui a Berti (1985) il
quale ripercorre il dibattito critico sulla questione, in tutte le sue voci contra-
stanti, a partire dai giudizi positivi di Croce e di Mondolfo, passando per la con-
danna espressa da Cherniss, no alle posizioni pi recenti, sostenute sia in Italia
che allestero.
che quando in potenza. Inoltre, un uomo si genera da un uomo,
ma non un letto da un letto.
40
Fin qui il discorso rimane circoscritto alla teoria dei principi,
quale era stata esposta nel I libro; tuttavia, poich la phusis stata
denita sia unarch sia unaitia di un certo tipo di enti, lo slitta-
mento della trattazione dallambito precipuo della teoria dei prin-
cipi a quello della teoria delle cause risulta pienamente giustica-
to; infatti, alla phusis intesa come principio e causa tanto materiale
quanto formale degli enti naturali, segue logicamente, a questo
punto del testo, la sua denizione come causa nale, ed anche in
questo caso Aristotele si servir della nostra analogia. Come, infat-
ti, la techne medica tende a realizzare la salute, cio la forma del-
lorganismo sano, cos la phusis tende a realizzare se stessa come
forma; perch la phusis ne e ci in vista di cui (Fisica II 2, 194a
28-29). E perci, poich per phusis come si detto si pu in-
tendere sia la materia che la forma, al qtoio spetter lo studio di
entrambi gli aspetti delle cose naturali (Fisica II 2, 194a 21-25),
esattamente come il medico conosce sia la salute (la forma) sia lin-
sieme di sangue, bile e egma (la materia), il cui buon equilibrio
genera la salute, e larchitetto ha conoscenza sia della forma della
casa, sia dei materiali mattoni e legna che servono a costruirla.
Tutto questo in virt del fatto che la techne imita la phusis (194a
20). Ma se come si legge pi avanti, in Fisica II 8, 199a 16 ss.
le cose che sono secondo techne sono fatte in vista di un ne,
chiaro che anche le cose che sono secondo phusis lo sono. Infatti il
rapporto tra ci che viene dopo e ci che viene prima opera nello
stesso modo in entrambe. Ne prova il fatto che: se, ad esem-
pio, una casa fosse tra le cose che sono per natura, essa verrebbe
prodotta allo stesso modo in cui ora costruita per mezzo della
tecnica. E se le cose che sono da natura, fossero fatte, non solo da
natura, ma anche fossero prodotte con la tecnica, sarebbero pro-
dotte in quello stesso modo nel quale esse sono prodotte per natu-
ra. Dunque luno in vista dellaltro. In generale conclude Ari-
72 R. LOREDANA CARDULLO
40
Phys. II 1, 193b 6-8: oi oov otfq qtoi fq tq coofov oq fofc
ccfoi ofov cvfccci o q , o ov q ofov otvo ci.
stotele talvolta la techne porta a compimento quanto la phusis
impossibilitata a fare, talaltra imita la phusis (199a 11 ss.).
A conferma di ci si precisa ancora, alle linee 199b 27 ss., che:
se la techne di costruire le navi fosse immanente nel legno, essa
produrrebbe il suo risultato nello stesso modo che per natura.
Sicch, se nella techne presente il ci in vista di cui, allora esso
anche nella natura. In questa medesima direzione va la conclu-
sione del libro: dopo avere descritto il tipo di necessit che, nuo-
vamente, vede accomunati enti naturali ed enti articiali, ossia la
necessit ipotetica, cos detta perch condizionata dal ne che
lente deve realizzare, Aristotele ribadisce limportanza, nel domi-
nio naturale e in quello tecnico-artistico, della causa nale, preci-
sando come allo studioso della natura spetti di indagare su tutte
le cause naturali (ivi compresa la motrice, che, pur agendo dalle-
sterno , in un certo senso, e precisamente in quanto veicolo della
forma, anchessa immanente allente naturale), ma soprattutto su
quella nale, perch spiega questa causa della materia, e
non la materia del ne; e il ne ci in vista di cui, e il punto di
partenza [scil. del divenire] dato dalla denizione e dal concet-
to, come nelle cose che esistono secondo la tecnica.
Dai passi riferiti emerge, quindi, la concezione di una natura-
paradigma dellattivit poietica delluomo; gli esempi tendono in-
fatti a mettere in chiara evidenza le precise analogie strutturali e
funzionali grazie alle quali possibile accostare tra loro fenomeni
naturali e fenomeni tecnico-artistici, allo scopo di rendere pi in-
telligibili i primi attraverso i secondi. Primaria, in questo contesto,
appare inoltre lesigenza, da parte di Aristotele, di dimostrare la
validit, ad ogni livello del reale, di un sistema eziologico che vie-
ne qui presentato come il pi completo e il pi efcace scientica-
mente tra tutti quelli n l concepiti. Il frequente paragone con il
sistema causale della techne sar allora funzionale a far compren-
dere le modalit proprie del divenire naturale; e visto che come
si legge qua e l in Phys. II in merito allo stato di unit indistinta
in cui, nellente naturale, si presentano spesso le cause formale, -
nale e motrice la phusis mantiene unito ci che la techne di-
sgiunge, sar pi facile, attraverso lindividuazione delle cause tec-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 73
niche, cogliere nella loro giusta distinzione ciascuna delle quattro
cause naturali (materiale, formale, motrice e nale), realizzando
cos la piena conoscenza scientica del mondo della phusis.
Ma passiamo, a questo punto, a quella che abbiamo indicato
come la seconda funzione dellanalogia techne-phusis, ossia al suo
utilizzo nel quadro generale della polemica anti-platonica.
5. La funzione polemica (anti-platonica) dellanalogia tevcnh-fuvsi~:
il primato ontologico della fuvsi~ e la legittimazione di una scien-
za sica
Che la natura esista, ridicolo tentare di mostrarlo.
Aristot. Phys. II 2, 193a 3
Come abbiamo visto, una tesi sulla quale Aristotele insiste con
particolare enfasi quella secondo cui la techne imita la phusis.
Ma che cosa si deve intendere, in questo specico contesto, per
imitazione, iqoi? E, soprattutto, che cosa la concezione aristo-
telica della iqoi condivide con quella platonica?
41
Limitazio-
ne, com noto, costituisce nel sistema platonico un elemento
chiave della svalutazione del mondo sensibile, e per questo stret-
tamente legata a concetti negativi, come quelli di doxa (opinione)
e di apate (inganno). La famiglia di iqoi presente, in Platone,
tutte le volte in cui necessario distinguere la falsit dalla verit
ad esempio la falsit del sosta dalla verit del losofo o la realt
sensibile da quella intelligibile, o, ancora, lopinione e il falso sape-
re dalla conoscenza e dalla scienza. Costituendo, assieme alla par-
tecipazione, il principale tipo di rapporto vigente tra le cose sensi-
bili e i loro modelli ideali, limitazione relega lintera realt feno-
menica al mero rango di immagine illusoria ed imperfetta, esisten-
74 R. LOREDANA CARDULLO
41
Tra gli studi pi recenti dedicati al concetto aristotelico di imitazione,
considerato non soltanto nel suo senso estetico, cio nel solo contesto della
Poetica, ma come forma comune di comportamento, condivisa da uomini, ani-
mali ed entit inorganiche, si segnalano in particolare quelli di A. Petit (2000) e
C.W. Veloso (2002).
te solo di riesso, continuamente cangiante e corruttibile. E se il
mondo naturale esiste solo in quanto imita le idee, a maggior ra-
gione, la techne, imitazione dellimitazione, si allontana due volte
dalla verit, secondo la nota espressione della Repubblica. Ora,
questo concetto sembrerebbe concordare pienamente con quanto
Aristotele intende con lespressione la techne imita la phusis. Ma
non cos. In effetti i concetti aristotelici di mimesis, da una par-
te, e di techne, dallaltra, differiscono notevolmente e per diversi
aspetti dai corrispondenti concetti platonici; inoltre la concezione
platonica relativa al rapporto tra phusis e techne che, a mio parere,
lo Stagirita sta qui sottilmente criticando e riutando, capovolgen-
dola, non quella esposta nei dialoghi della maturit, ma piuttosto
quella che trova la sua pi chiara espressione nel Timeo e nelle
Leggi, dove si fa riferimento ad una sorta di techne divina dalla
quale la realt naturale verrebbe prodotta e, per cos dire, mes-
sa in moto in tutti i suoi processi, vitali e cognitivi. Una tale con-
cezione, non solo priva la natura di qualunque autonomia ontolo-
gica, subordinandola ad una intelligenza esterna ad essa e, per di
pi, tecnica, ma, cosa ben pi grave notata e sconfessata, fra
laltro, dagli immediati successori di Platone , antropomorzza il
divino, declassando il Demiurgo a technites, attribuendogli, cio,
un ruolo prettamente umano.
42
La stessa terminologia usata per
descrivere le operazioni del divino Artece viene daltronde signi-
cativamente desunta dalla sfera delle technai umane. Presque
partout ailleurs commenta a tal proposito Luc Brisson , linter-
vention du dmiurge sapparente une activit dordre artisanal.
En plus dtre appel dieu et pre prosegue lo studioso
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 75
42
Su questo aspetto della critica aristotelica si vedano in particolare le os-
servazioni di M. Isnardi Parente (1966). Sullantropomorzzazione del Demiurgo
platonico, interessanti appaiono le considerazioni di L. Brisson, il quale, nella
pregevole Introduction alla sua traduzione del Timeo (1992, p. 21-2), cos affer-
ma: Puisque le dmiurge est bon cest un intellect, la bont tant lie chez Pla-
ton la rationalit. E puisque cest avant tout un intellect, le dmiurge raison-
ne, il calcule et il rchit; il prend en consideration; et il prvoit.
Voil pourquoi il parle. Par ailleurs, le dmiurge fait acte de volont; voil
pourquoi sa responsabilit est engage. Il prouve mme des sentiments. Par
tous ces traits, le dmiurge peut tre assimil un individu [].
francese , le personnage qui fait apparatre lunivers est quali
de dmiurge, de fabricant, de modeleur de cire, de charpen-
tier, et cest un constructeur dont la fonction la plus importante
est lassemblage. Par ailleurs, si on considre les verbes qui dcri-
vent mtaphoriquement son action, on se rend compte que le d-
miurge accomplit un certain nombre doprations typiques de cer-
taines activits artisanales.
43
Quanto di pi lontano dalle prospet-
tive aristoteliche! Qui, infatti, anzitutto la natura va a costituire un
settore particolare dellessere, quello caratterizzato dal movimen-
to, con le sue peculiarit e i suoi principi autonomi ed immanenti,
che la rendono degno oggetto di analisi scientica; ma anche la te-
chne conquista un posto assolutamente decoroso come ambito
proprio della produzione umana, studiato anchesso da una scien-
za, sia pure di livello inferiore: la scienza poietica. Ma ci che pi
importante notare la totale estraneit del Dio aristotelico dalla
sfera, in senso lato, produttiva.
44
Lambito della produzione, infat-
ti, sia che si tratti di generazione naturale (c vcoi), sia che si tratti
propriamente di un fare umano (oiqoi), implica sempre una
mancanza e la conseguente necessit di realizzare una potenzialit;
quindi un movimento. Rivela, cio, quella natura imperfetta, in-
completa, che il Nous aristotelico, Atto puro e Primo Motore im-
mobile, non pu condividere con le entit composte di materia e
forma, siano esse celesti o inorganiche. Lunica soluzione per la
cosmologia aristotelica , perci, la tesi delleternit del mondo, e
lindividuazione di una serie di cause e di principi, specici per
ciascun dominio del reale, che agiscono esplicando funzioni analo-
ghe in tutti i settori dellessere, dal pi elevato al pi inmo. Il Di-
vino, nelleconomia del sistema aristotelico, svolge soltanto, come
sappiamo bene, il ruolo di ne ultimo, muovendo come il dan-
tesco Amor che muove il Sole e laltre stelle.
45
Non Creatore e,
tanto meno, un creatore non onnipotente, che dipende da modelli
e da materiale preesistenti, quale il Demiurgo platonico.
76 R. LOREDANA CARDULLO
43
Brisson (1992) pp. 22-3.
44
Laddove nel Timeo, ad esempio nel celebre 28c, il dio denito oiqfq.
45
Dante, Divina Commedia (Paradiso XXXIII).
Aristotele, quindi, non pu accettare il ruolo di superiorit
che lultimo Platone assegna alla techne nei confronti della phusis.
la techne ad imitare la phusis, secondo Aristotele, non viceversa.
Gi nel Sosta, anticipando le pi note posizioni di Timeo e
Leggi X sul rapporto tra phusis e techne, Platone aveva attribuito
la produzione delle realt naturali allintelligenza e alla scienza di
un dio artece (Soph. 265c 3-4: fivo 0cot ociotqotvfo),
negando alla phusis qualunque autonomia o spontaneit, anzi,
considerando opinione dei pi quella che assegna alla natura
una sua propria ed intrinseca causalit generativa. Le cose che si
dicono essere per natura afferma in modo inequivocabile lo
Straniero di Elea, portavoce del pensiero platonico, in Soph. 265e
3 vengono fatte dalla techne divina (0cio fcvq), e la natura, a
sua volta, lungi dal generare per lazione di una certa causa che
produce da s e senza alcuna razionalit (oo fivo oifio otfo-
ofq oi ovct oiovoio qtotoq) [], genera sulla base di un
discorso razionale (cfo oot), di una scienza divina che proce-
de dalla divinit (ciofqq 0cio oo 0cot ivocvq) (Soph.
265c 7-9). La subordinazione della sfera naturale a quella tecnica
non potrebbe essere pi evidente; in pi, oltre a derivare da una-
zione tecnica quella del divino artece la phusis diviene a sua
volta una sorta di techne, ricevendo dal dio le capacit produttive
e generative, che quello possiede in quanto poietes (Timeo 28c).
Si realizza cos quellarduo accostamento tra phusis, techne e dia-
noia, da cui Aristotele comincer a prendere le distanze come
vedremo tra poco gi allepoca della sua frequentazione dellAc-
cademia, quando scriver il Protreptico, ma che non trover adep-
ti nemmeno tra gli stessi platonici.
46
Ovviamente lesposizione pi ampia e dettagliata di questa
concezione platonica del rapporto techne-phusis trova la sua sede
naturale nel Timeo, dove per lappunto la realt naturale viene fatta
derivare dallopera artigianale del divino Artece, il quale plasma,
sul modello del Vivente intelligibile eterno, una materia informe e
caotica preesistente. Oltre allinferiorit della phusis rispetto alla te-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 77
46
Cf. Isnardi Parente (1966) p. 41.
chne sia pure ad una techne divina e al declassamento del divi-
no a technites, oggetto della critica che Aristotele muove al dialogo
cosmologico anche il ricorso platonico alle idee quali cause for-
mali peraltro trascendenti e separate dei phusei onta. A tal pro-
posito, interessante notare come in alcuni contesti della Metasi-
ca lattacco aristotelico alle forme separate dei Platonici trovi uno
strumento particolarmente efcace proprio nellanalogia tra pro-
dotti della phusis e prodotti della techne: in Metaph. Z 8, 1033b 20
ss., ad esempio, si legge che le cosiddette forme oltre i sensibili
lesempio riportato quello di una sfera e di una casa , indicano
soltanto di quale specie una cosa (fo foiovoc oqoivci) e non
sono un qualcosa di particolare e determinato; ma chi produce
continua il Filosofo trae da questa particolare cosa un qualcosa di
una data specie, e, quando questo sia stato prodotto, allora una
particolare cosa di una data specie, e ogni essere particolare, per
esempio Callia o Socrate, come questa sfera di bronzo particolare
(mentre uomo o animale come sfera di bronzo in univer-
sale). Allora incalza Aristotele evidente che la causalit che al-
cuni loso sono soliti attribuire a queste forme, se tali realt sussi-
stono fuori dagli individui (oqo fo o0coofo), non sar di nes-
suna utilit per spiegare i processi di generazione e per spiegare le
sostanze; ed anche evidente che, per queste ragioni, esse non po-
tranno neppure essere sostanze per s sussistenti. E le medesime
argomentazioni, sempre supportate dallanalogia techne-phusis si
riscontrano anche in Metaph. H 3, 1043b 18-24, dove si legge: la
forma non prodotta da nessuno, quello che si genera solo il par-
ticolare. Per cui si potrebbe pensare che esistano essenze separate
di cose periture: per certo che di alcune cose si possono senzal-
tro escludere, come per esempio della casa e dellutensile, perch
impossibile che esse sussistano al di l dei molti. Meglio ancora
per si pu dire che n queste n le cose secondo phusis hanno es-
senze separate, e che solo la phusis lessenza delle cose periture.
Ma torniamo a Platone, concludendo lesame dei contesti rela-
tivi al rapporto tra phusis e techne con alcuni brani tratti dal X li-
bro delle Leggi. Dopo aver confutato, per bocca dellAteniese, una
teoria che la critica moderna attribuisce a pensatori di area so-
78 R. LOREDANA CARDULLO
stica,
47
ma che, in modo singolare, coincide alla lettera con quanto
Aristotele come abbiamo visto afferma qua e l nel corso della
sua opera,
48
teoria secondo cui tutte le cose che si generano, sono
state generate e si genereranno, sono dovute alcune a phusis, altre
a techne, altre a tuche (Leggi X, 888e), e dopo avere associato la
natura al caso e allirrazionalit, e la tecnica al ragionamento, so-
stenendo la preminenza ontologica di questultima in ragione del
suo carattere razionale, Platone continua la sua confutazione, af-
fermando lassurdit di credere sulla scia di quei pensatori
che le pi grandi e le pi belle cose siano dovute alla phusis e alla
tuche, le meno importanti alla techne (Leggi X, 889a) e che luni-
verso intero e tutto ci che in esso non siano opera n di una
mente, n di qualche dio, n della techne, ma della phusis e della
tuche (Leggi X, 889c). Piuttosto, Platone capovolge la credenza
tradizionale appena riferita, subordinando ontologicamente e cro-
nologicamente la phusis, forza di per s irrazionale e casuale, alla
techne e allintelligenza, e indicando nellanima la vera phusis, os-
sia quel principio primo, generatore e motore, che gli antichi a
suo dire avevano erroneamente chiamato phusis e confuso con
fuoco, acqua, aria, terra et similia. Cos afferma pertanto alle linee
892b 3-8: E dunque lopinione, le aspirazioni, lintelligenza, la te-
chne, la legge sono anteriori al duro, al molle, al peso, al leggero; e
dunque anche le grandi e prime opere, le grandi e prime azioni
sono frutto della techne, avendo avuto luogo in principio (ovfo cv
qm foi), mentre i fatti naturali e la natura stessa (fo oc qt oci oi
qtoi) quella tal natura cos chiamata per sbaglio (ot oq0m)
sono posteriori e governate dalla techne e dallintelligenza.
49
Come si vede, la concezione platonica appena descritta, pur
trovando massima espressione negli ultimi scritti del Filosofo, in
realt pare sia stata da lui professata sin dai tempi dellAccademia,
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 79
47
Cf. la nota al passo nella traduzione di Adorno (1988).
48
Per la medesima triplice distinzione cf. Metaph. Z 7, 1032a 12; alle tre
cause indicate nel passo platonico, si aggiunge anche lautomaton in Aristot. Pro-
trept. fr. 11; Phys. II 6, 198a 10 (dove al posto di techne troviamo nous); Metaph.
K 8, 1065b 3; Metaph. A 3, 1070a 6.
49
Trad. di F. Adorno.
come dimostrano i contesti, del tutto simili a quelli pi tardi, del
Sosta e alcuni frammenti dellaristotelico De philosophia, in cui lo
Stagirita sembra alludere proprio alla dottrina platonica in que-
stione.
50
Ora, nel perduto Protreptico, di poco anteriore al Timeo
ma probabilmente scritto dopo il Sosta,
51
Aristotele prende di
mira la cosmologia platonica, anticipandovi argomenti e teorie
che troveranno ampia espressione nelle sue opere pi mature, a
cominciare dalla Fisica. Infatti, pur essendo stato composto alle-
poca in cui il Filosofo frequentava ancora lAccademia,
52
il Pro-
treptico rivela gi nello Stagirita una notevole maturit speculativa
e posizioni gi lontane da quelle difese dal Maestro; per quanto
attiene al nostro tema, cio al rapporto tra phusis e techne e alla
polemica anti-platonica, sono in particolare i frammenti 11 e 13
del Protreptico a contenere tesi particolarmente interessanti ed
emblematicamente contrarie a quelle propugnate dal Platone del
Sosta, del Timeo, di Leggi X. In decisa opposizione a quanto
contenuto nei Dialoghi, e in netta coincidenza con la teoria criti-
cata da Platone in Leggi X, leggiamo nel frammento 11 del Pro-
treptico che: tra le cose che si generano, alcune sono generate da
qualche processo di pensiero (oo fivo oiovoio) o techne, per
esempio la casa e la nave di entrambe queste, infatti, causa
qualche techne o processo di pensiero altre, invece, non sono
generate per causa di nessuna techne, ma per causa della phusis;
degli animali, infatti, e delle piante causa la phusis, e tutte le cose
siffatte sono generate secondo phusis. Ma alcune tra le cose sono
80 R. LOREDANA CARDULLO
50
Cf. i ffr. 13b, 13c, 19c Ross in cui probabilmente si allude a Platone co-
me sostenitore della tesi della creazione del cosmo da parte di un artece divino.
Per un commento in tal senso si veda Isnardi Parente (1966) p. 76 ss.
51
M. Isnardi Parente (1966, p. 91) afferma che nel fr. 11 del Protreptico,
opponendo alla phusis, teleologia in certo senso inconscia, lopera della techne
che deriva da oiovoio, Aristotele si vale quasi delle stesse espressioni di Soph.
265c-e per sostenere una tesi che a quella del Sosta si contrappone, seguendo in
questo, del resto, un uso comune nella polemica losoca del mondo antico. Per
lo status quaestionis relativo alla cronologia del Protreptico cf. lo studio introdutti-
vo alla traduzione di E. Berti (2000), il quale, daccordo con Jaeger, colloca lo
scritto verso la ne del periodo trascorso da Aristotele nellAccademia platonica.
52
Cf. Berti, trad. Protrept. (2000), p. XIII.
generate anche per tuche []. Qui lo Stagirita, diversamente da
quanto tematizzato da Platone, separa la phusis da qualunque tipo
di razionalit o di operazione consapevole ed intelligente, asse-
gnando solo alla techne, in quanto fenomeno prettamente umano,
la volontariet e la coscienza.
53
Ora, evidente la corrispondenza,
anche letterale, tra quanto si legge in questo frammento e quanto
viene esposto in modo certamente pi esteso e dettagliato in Fisi-
ca II (II 1 per phusis e techne; II 4 ss. per tuche e automaton), cos
com evidente che Fisica II 8, in ordine alla superiorit della phu-
sis sulla techne, riprende esattamente il contenuto del frammento
13 del Protreptico, dove si legge che: invece, ci che generato in
conformit con la phusis generato certamente in vista di qualco-
sa ed costituito sempre in vista di qualcosa di migliore di ci che
generato per causa della techne. Non infatti la phusis che imita
la techne, ma questa che imita la phusis, ed esiste per portarle
aiuto e per completare le cose che la phusis ha trascurato. Analo-
gamente, come in questo frammento giovanile, anche in Phys. II
8, 199a 15 ss. si afferma che in generale, talvolta la techne porta a
compimento quanto la phusis impossibilitata a fare, talaltra imita
la phusis. Se dunque le cose che sono secondo techne sono fatte in
vista di un ne, chiaro che anche le cose che sono secondo phu-
sis lo sono. Infatti il rapporto tra ci che viene dopo e ci che vie-
ne prima opera nello stesso modo in entrambe.
La superiorit ontologica della phusis si gioca quindi sul cam-
po del concetto di imitazione; se infatti, per Platone come ha ef-
cacemente osservato Aubenque il rapporto imitativo si pu
concepire come un movimento rettilineo discendente, dallimitato
allimitante, tendente al peggio, per Aristotele, al contrario, esso
rappresenta un movimento rettilineo ascensivo, dellimitante ver-
so limitato, che realizza il miglioramento dellimitante in virt
della superiorit dellimitato, esprimendo questultimo il modello
pi perfetto, cui guardare e rendersi simile, per quanto possibi-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 81
53
Ibidem, nota al passo): La dottrina in questione rappresenta un progres-
so rispetto a Platone, il quale non riconosceva nella natura una causa originaria,
ma la subordinava allarte divina del Demiurgo.
le. Perci, lespressione q fc vq ici foi fqv qt oiv, contenuta nei
ffr. 13 e 23 del Protreptico, in Phys. II 2, 194a 21; Phys. II 8, 199a
16; Meteorologica IV 3, 381b 6, Poetica; Eth. Nic. VI, nella sua la-
conicit esprime in modo pregnante i tratti pi importanti della
concezione aristotelica della natura e della critica alla cosmologia
platonica. La natura, concepita da Aristotele quale principio auto-
nomo di movimento e di stasi, genera da s i suoi prodotti, sen-
za richiedere interventi esterni, che provengano da unanima o da
un dio, n modelli su cui conformare le sue realizzazioni; essa, co-
stituendo al contempo il principio e la causa materiale, formale,
motrice e nale dei qtoci ovfo, senza tuttavia distinguersi da essi
come se fosse una vera e propria ipostasi superiore e provviden-
ziale, una mente fattrice e ordinatrice, agisce nondimeno come
se fosse dotata di ragione (mocq cotoo oov: Protrept. fr. 23).
Questultima, assieme ad altre massime sulla natura (come quelle,
ad esempio, che attribuiscono il desiderio o limitazione del me-
glio e delleterno agli elementi naturali o ai corpi celesti) , ovvia-
mente, soltanto una metafora, perch anzi la superiorit della na-
tura, la sua imperscrutabilit, derivano proprio dal suo modo in-
conscio, spontaneo, a-razionale di agire e di generare. Se infatti la
natura procedesse razionalmente, ossia alla maniera di una techne,
Aristotele non avrebbe bisogno di guadagnarne lintelligibilit at-
traverso il costante e continuo paragone con il pi noto procedere
tecnico. Inoltre, se la techne fosse, come vogliono Platone ed alcu-
ni interpreti moderni di Aristotele,
54
superiore alla natura, o se la
natura fosse, a sua volta, una sorta di techne, questultima non
avrebbe bisogno di imitarla, come invece Aristotele non cessa di
ribadire. Cionostante, la natura, pur costituendo un modello per
la techne, e pur precedendola, sia ontologicamente che cronologi-
camente, non onnipotente; sebbene non dipenda da modelli o
principi esterni, essa, nondimeno, non del tutto autonoma: ha
infatti a che fare con la materia, e per questo, pur aspirando al
meglio, non sempre riesce a conseguire appieno i suoi obiettivi.
82 R. LOREDANA CARDULLO
54
Per questa interpretazione della critica moderna si veda Follon (1988),
pp. 322 ss.
Ma proprio tale debolezza a rendere indispensabile e prezioso il
ruolo della techne, che non si risolve pertanto nella sola imitazio-
ne del procedere della natura sia pure in una imitazione attiva,
critica e produttiva ma completa lopera di quella, l dove sia
necessario, o la aiuta nelle sue realizzazioni. La superiorit della
natura non comporta, quindi, lasservimento o la totale subalter-
nit della techne, la cui attivit, di imitazione e di supporto, as-
solutamente rispondente alla denominazione di disposizione
produttiva razionale, o di eccellenza (oqcfq) della ragione prati-
ca, che essa riceve, come abbiamo visto, nelle Etiche.
6. La funzione teleologica dellanalogia tevcnh-fuvsi~. Sulla teoria
aristotelica della causalit e la difesa del nalismo naturale
Il frequente paragone tra le due forme di produzione, tecni-
ca e naturale, reso legittimo anche dal fatto che q fcvq icifoi
fqv qtoiv, consente, quindi ad Aristotele, da una parte, di far
emergere la priorit ontologica della phusis, e dallaltra, di indica-
re nei meccanismi produttivi della techne la chiave daccesso al-
lintelligibilit della genesis naturale. Il paragone con la tecnica, lo
abbiamo visto, serve anzitutto a far luce sulla struttura causale de-
gli enti kata phusin e, come vedremo in seguito, a porre in primo
piano quella che, tra le quattro cause presenti sia negli artefacta
sia negli enti naturali, appare come la prima e la pi determinante
in entrambi i tipi di gignesthai, ossia la causa nale o, secondo la
precisa lexis aristotelica, il telos (ne) o il to ou heneka (ci in vista
di cui). Nei capitoli centrali di Fisica II, subito dopo avere preci-
sato che cosa si debba intendere per aitiai, e quali e quante queste
siano, Aristotele, servendosi ampiamente del modello analogico
tecnico, per chiarire con facili esempi il carattere di causa nale
gi assegnato alla phusis in Fisica II 2, 194a 29 (dove si legge te-
stualmente che la phusis ne e ci in vista di cui), dimostra la
rilevanza in natura della causa nale.
Ma a questo punto, prima di entrare nel vivo di quella che ho
denito funzione teleologica dellanalogia techne-phusis, mi
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 83
sembra opportuno aprire una breve parentesi sul concetto aristo-
telico di oifio e sul dibattito che, su questo problema, continua
ad impegnare, e a dividere, gli aristotelisti di tutto il mondo. I
maggiori interventi si registrano da parte di studiosi di area anglo-
sassone, ma le posizioni critiche sullargomento sono talmente va-
rie da rendere assai complicato ogni tentativo di schematizzazio-
ne. Laccordo unanime, comunque, sulla difcolt di considera-
re le aitiai aristoteliche come delle cause nel senso moderno del
termine e, di conseguenza, sulla cautela da usare nel tradurre i ter-
mini greci oifio e oifiov in lingua moderna; difatti la scienza mo-
derna, sia baconiano-galileiana che humiana, intende per causa un
agente concreto, qualcosa che agisce e che, attraverso tale azione,
produce un effetto. Qualcosa di distinto e di cronologicamente
anteriore al suo effetto. Ora, le aitiai di Aristotele ad eccezione
della cosiddetta causa efciente o motrice, che per tale ragione
lunica causa aristotelica ad essere tollerata dalla scienza moder-
na non agiscono; sono, piuttosto, forme di spiegazione, risposte
alla domanda: perch una cosa quella che ; in Fisica II 7, in
effetti, lo Stagirita presenta la ricerca delle cause come una ricerca
del perch fo oio fi di una cosa o di un fatto, ad esempio
quando dice testualmente che il numero delle cause identico a
quello compreso nel perch, o quando, poco pi avanti, indica
per lappunto nella materia, nella forma, nel motore e nel ne i
quattro aspetti riassuntivi del perch del qtoci ov, che spetta al
qtoio indagare. Motivazioni di questo genere hanno indotto gli
studiosi specie quelli di area anglosassone, come dicevo ad in-
tendere la dottrina aristotelica delle quattro aitiai come una dot-
trina dellexplanation o del because, piuttosto che come una dottri-
na delle cause nel senso moderno del termine; anzi tra gli aristote-
listi inglesi unanime il compiacimento per aver trovato in expla-
nation una traduzione pi adeguata di aitia e aition in Aristotele.
55
Tra i principali sostenitori di tale interpretazione ricordiamo, tra
84 R. LOREDANA CARDULLO
55
Julia Annas (1982, p. 319) ad esempio, ritiene che sia un grande progres-
so cessare di pensare ad unaitia come ad una causa e trattarla invece come una
spiegazione, un perch.
gli altri, J. Barnes, J. Annas, R. Sorabji, D. Furley, M. Frede, G.
Vlastos, M. Hocutt.
56
Tutti costoro, inuenzati da unopinione
generale, che potremmo denire humiana, niscono per asse-
gnare un valore riduttivo allaitia aristotelica; infatti, i loso mo-
derni, sia razionalisti (da Bacone a Descartes a Spinoza) che em-
piristi (Hume, in primo luogo), ai quali i critici su menzionati si
ispirano, hanno disprezzato, no ad annullarla, la dottrina aristo-
telica delle aitiai nella misura in cui lhanno interpretata come un
mero prodotto della immaginazione umana, come una forma di
spiegazione soggettiva e aprioristica, quando non misteriosa e del
tutto irrazionale. Voglio dire che laitia aristotelica viene conside-
rata, ad esempio da Hume, come un qualcosa che possiede una
virt pi o meno occulta e incomprensibile, una sorta di potere
magico, grazie a cui un effetto viene prodotto o, in generale, qual-
cosa viene ad essere.
57
Ma come ha osservato giustamente Follon
e con lui altri aristotelisti ,
58
la teoria aristotelica delle quattro
cause era [] ben pi profonda dellimmagine caricaturale che
ne hanno dato i critici moderni,
59
poich, lungi dallindicare una
cosa che possiede un potere pi o meno magico, laitia aristotelica
rappresenta ci che, a diverso titolo, concretamente responsabile
dellesistenza stessa di una realt, secondo il signicato etimologi-
co dellaggettivo oifio responsabile nel senso generale del ter-
mine, ma anche colpevole in senso giuridico-morale da cui tanto
il sostantivo femminile oifio quanto laggettivo neutro oifiov,
utilizzati quasi sempre come sinonimi da Aristotele, derivano. Si
tratta di un signicato condiviso da tutti i pensatori greci di et
classica, che non solo non ha niente in comune con il signicato
moderno, o humiano, del termine causa, ma nemmeno con ci
che laitia diventa in epoca ellenistica, cio con il poioun.
60
Osser-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 85
56
I principali contributi dati da questi autori al problema dellaitia in Ari-
stotele sono indicati in bibliograa.
57
Cf. Follon (1988), p. 327 ss.
58
Tra i quali ricordo qui anzitutto Vegetti, Moravcsik, Furley, Natali.
59
Ho tradotto il passo per comodit di lettura.
60
Cf. Seneca, Ep. LXV 11; Sesto Empirico, Pyrr Hyp. III 14; Simpl. In
Phys. 326, 15 ss.
vazioni di questo genere hanno pertanto spinto altri studiosi del
pensiero aristotelico a dissociarsi dallexplanation approach, e a
sottolineare, invece, il carattere realistico o pragmatista o empiri-
sta, in una parola ontologico, e non certamente soltanto linguisti-
co-concettuale, della teoria aristotelica dellaitia. Per citare unef-
cace osservazione di uno dei principali oppositori dellexplana-
tion approach,
61
Julius M. Moravcsik, caratterizzare le aitiai aristo-
teliche come explanations o becauses (cio come risposte alla do-
manda perch?, why? in inglese) fuorviante (misleading) per-
ch questi (explanations e becauses) sono items mentali o linguisti-
ci, laddove gli esempi addotti da Aristotele ad illustrazione delle
quattro cause, ad esempio in Fisica II, dimostrano chiaramente
che le aitiai non sono concetti della mente o modi di dire, bens
entities in the world. Anche Vegetti, ad esempio, vede nelle aitiai
aristoteliche, soprattutto nel campo biologico, le dimensioni della
struttura essenziale di ogni singola realt naturale, e afferma te-
stualmente che le cause esprimono la struttura multidimensiona-
le di ogni singola realt esistente, una struttura che trova la pro-
pria unit ontologica allinterno di quella realt; allo stesso mo-
do, anche Natali per restare alla critica italiana ha recente-
mente contestato lexplanatory interpretation, sulla base dellindi-
viduazione nella aitia aristotelica di connessioni reali tra cose ed
eventi.
62
vero, quindi, che le cause aristoteliche sono cosa ben
diversa dalle cause moderne, ma anche vero che lexplanation
approach non ne rende appieno il vero signicato.
Ma ritorniamo alla causa nale, che, fra laltro, , tra quelle
aristoteliche, la causa che la critica moderna ha maggiormente at-
taccato. Alcuni aristotelisti, ammettendo ma non approvando il
ruolo preponderante della causa nale nella sica aristotelica,
hanno tacciato di antropomorsmo e di anti-scienticit lintera
trattazione aristotelica del mondo naturale; altri, considerandola
pericolosa per la coerenza e la seriet della scienza aristotelica,
lhanno ridimensionata, negandole una reale applicazione in re-
86 R. LOREDANA CARDULLO
61
Cf. C.A. Freeland (1991) p. 50.
62
Cf. C. Natali (1997, AITIA).
rum natura.
63
Wieland, ad esempio, riduce lapporto della causa
nale, considerando la teleologia aristotelica soltanto una nozione
mentale o riessiva, una sorta di metafora, un ragionamento del
tipo als ob, e non una struttura ontologica.
64
Oggi il dibattito sul-
la causa nale quanto mai aperto e vivace; vengono designati
con le etichette di eliminativismo e riduzionismo i due principali
orientamenti della critica sfavorevole ad assegnare alla causa na-
le un ruolo pregnante nel sistema aristotelico: tra i principali as-
sertori della tesi che tende ad eliminare la causa nale dal sistema
aristotelico, assieme a Wieland, gurano studiosi come Martha
Nussbaum e Richard Sorabji; tra i riduzionisti i quali, appunto,
riducono la causa nale o alla causa efciente o a quella formale
ci sono autori come A. Gotthelf, M. Matthen, J. Cooper, D. Fur-
ley, T. Irwin. In generale latteggiamento contrario alla causa na-
le nasce da una errata associazione tra teleologia e intenziona-
lit:
65
attribuire azioni nalizzate, come quelle tecnico-artistiche e
umane in senso lato, anche agli enti naturali non umani (gli ele-
menti, le parti organiche e i corpi composti) signica infatti, se-
condo questi autori, assegnare loro una mente, una forma di ra-
zionalit o di intenzionalit che questi, ovviamente, non hanno e
non possono avere. In breve, lerrore di fondo a mio avviso sta
nellinterpretare la scienza aristotelica alla luce di parametri e di
argomentazioni moderni, e nellattribuire ad Aristotele preoccu-
pazioni ed inferenze non sue. Se, infatti, il II libro della Fisica in-
tende far luce in generale sulla nozione di phusis e su quanto ren-
de lambito dessere denotato da tale concetto degno di indagine
scientica, cio sui principi e sulle cause della natura, tuttavia a
me pare che lintento di Aristotele lungo tutti e nove i capitoli del
libro sia soprattutto quello di far emergere, tra le quattro cause
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 87
63
Lespressione usata da Charlton (1970, p. 120, commento a Phys. II 8)
per illustrare la posizione di Wieland. Per lo status quaestionis del dibattito criti-
co pi recente sulla causa nale in Aristotele, cf. D. Quarantotto, Ontologia del-
la causa nale aristotelica, in Elenchos 2 (2000) pp. 329-365.
64
A. Petit parla a tal proposito di teleologia soft (cf. sotto, nota 71).
65
Seguo qui e condivido pienamente la recente interpretazione di Cameron
(2002).
che spiegano la costituzione degli enti naturali, il ruolo determi-
nante di quella che noi chiamiamo causa nale e che lui indica
con le espressioni telos e to ou heneka. Il fatto che lintera tratta-
zione, condotta sempre attraverso un sistematico paragone con
lambito della tecnica, si snodi attraverso unaperta e puntuale po-
lemica con le vedute meccanicistiche dei siologi, in particolare
contro le teorie di Empedocle, Anassagora e Democrito, mi pare
un chiaro indizio dellintenzione aristotelica di formulare, di con-
tro ad ogni sorta di materialismo meccanicistico, un tipo di spie-
gazione della natura che non possa prescindere dalla causalit for-
male e, soprattutto, nale. Difatti, a partire dal secondo capitolo
di Fisica II, dopo che alla phusis, denita come principio di movi-
mento immanente agli enti naturali, viene assegnato, in analogia
con i prodotti della tecnica, sia il ruolo di materia (o di causa ma-
teriale, come le lettere per le sillabe, il materiale per le cose fabbri-
cate, le premesse per la conclusione, il fuoco per i corpi, le parti
per lintero), sia quello di principio del movimento (o di causa mo-
trice, come il seme, il medico, colui il quale delibera, ci che pro-
duce), sia, ancora, quello di forma e di specie (o di causa formale,
come le sillabe rispetto alle lettere, le cose fabbricate rispetto al
materiale, i corpi rispetto al fuoco, lintero rispetto alle parti), lat-
tenzione del Filosofo si concentra in modo quasi esclusivo sulla
natura intesa come ne e come ci in vista di cui (dove per ne, in
generale, si deve intendere, sia in natura che nel mondo della pro-
duzione tecnica, lo stato migliore della cosa, la sua piena realizza-
zione, quella che altrove Aristotele chiamerebbe lentelecheia).
Dal terzo capitolo in poi, in un crescendo che si conclude con la
stessa chiusa del libro, attraverso la polemica con i meccanicisti e
largomento a fortiori secondo cui, se la tecnica imita la natura e
se i processi di tecnica sono nalizzati, allora anche in natura sar
presente il ne, Aristotele enfatizza a tal punto il ruolo della causa
nale in natura da giungere a costruire i due noti capitoli sulla for-
tuna e sul caso interamente sul presupposto della teleologia natu-
rale, e a concludere lintera discussione con la precisa indicazione
per il naturalista a privilegiare la causalit nale. Esaminiamo, a
questo punto, i passaggi pi emblematici del nostro testo.
88 R. LOREDANA CARDULLO
Il primo capitolo di Phys. II aveva esordito con lindicazione
della phusis come quellimpulso connaturato di cambiamento, in-
trinseco allente, grazie al quale le cose che sono per natura si di-
stinguono da quelle che derivano da altre cause (tecnica, fortuna
o caso). Ora, dopo avere specicato, sempre attraverso lanalogia
coi prodotti tecnici, quali e quanti tipi di causa necessario che il
phusikos ricerchi per acquisire la scienza delle cose naturali (capp.
2-3), e dopo avere ridotto fortuna e caso, che alcuni siologi ave-
vano privilegiato per spiegare le origini della realt naturale (4-5-
6), a cause accidentali relative allambito umano o naturale
della causa nale, il Filosofo, a partire dal settimo capitolo, d vi-
ta ad una tta polemica contro ogni forma di spiegazione che
metta capo alle sole dinamiche della materia. A 198a 35 ss. egli af-
ferma qualcosa di estremamente importante per la dimostrazione
del nalismo in natura; dice:
due sono i principi del movimento naturale, di cui uno non natu-
rale; infatti non ha in se stesso il principio del movimento. Di questo
tipo qualunque cosa muova senza essere mossa: cos sono sia ci
che assolutamente immobile, che la prima di tutte le cose, sia
lessenza e la forma. Questa infatti il ne e ci in vista di cui. Di
conseguenza, poich la natura in vista di qualcosa, bisogna cono-
scere anche questa causa.
66
Ora, no a questo momento Aristotele ha mostrato che, come
nei prodotti della tecnica cos anche negli enti naturali sono pre-
senti tutte e quattro le cause e che perci in entrambi i settori agi-
sce lo stesso tipo di procedimento causale. Se, per, della casa,
della sega o della salute, facile scorgere e distinguere le quattro
cause (ad esempio della salute, la materia costituita da sangue e
egma, la forma dalla salute stessa, lagente dal medico e il ne
dalluomo risanato e dalla stessa salute, e della casa le quattro
cause sono, rispettivamente: 1) mattoni e calce, 2) la forma di ca-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 89
66
oiffoi oc oi oqoi oi ivotooi qtoim, mv q cfcqo ot qtoiq ot oq
cci ivqocm oqqv cv otfq. foiotfov o cofiv ci fi ivci q ivotcvov, mocq
fo fc ovfcm oivqfov oi [fo] ovfmv qmfov oi fo fi cofiv oi q oqqq
fco o q oi ot c vco mofc cci q qtoi c vco fot, oi fot fqv.
sa, 3) il costruttore e 4) lessere un riparo), negli enti naturali for-
ma, agente e ne spesso si trovano a coincidere. Lesempio pi
noto quello del padre che genera il glio, dove lagente, la forma
e il ne vanno tutti e tre a conuire nelluomo: luomo infatti
nello stesso tempo la causa motrice (il seme del padre, veicolo
della specie uomo), la forma che determina la materia, e il ne
da realizzare. Ma con laiuto del modello analogico della techne il
naturalista riuscir a distinguere e a differenziare anche in natura i
quattro perch (le tre cause appena menzionate, pi la causa ma-
teriale).
A questo punto del discorso lintento del Filosofo appare
chiaro: egli intende distinguere ed accoppiare a due a due, tanto
nella techne quanto nella phusis, due forme contrapposte, anche
se reciprocamente integrantisi, di spiegazione causale: da una par-
te quella propriamente materiale, che implica anche la causa mo-
trice, dallaltra quella nale, che comprende la causa formale.
Ora, il brano che abbiamo appena letto fondamentale a tal pro-
posito: si dice infatti che il primo tipo di spiegazione causale, in
natura, fa capo ad un principio del movimento naturale che muo-
ve muovendosi a sua volta, in quanto naturale, possedendo cio
in proprio quellimpulso a muoversi, che tipico di tutti gli enti
naturali. Il riferimento ai quattro elementi naturali (acqua, aria,
terra e fuoco), ai composti organici, alle piante, agli animali, ivi
compreso luomo, che muovono cos. Si tratta di un movimento
meccanico, determinato dalle propriet sico-chimiche della ma-
teria; una sorta di movimento automatico, quello che, ad esempio,
fa s che sempre qualora non sia presente un impedimento il
fuoco si porti verso lalto e la terra verso il basso, e che alcuni mo-
vimenti dei corpi composti dipendano dallelemento che in essi
prevale.
Ma esiste anche un altro principio del movimento naturale,
che non naturale, e che perci muove senza muoversi. questo
il primo riferimento della Fisica al Motore immobile, il cui tipo di
causalit viene accostato e assimilato a quello formale-nale. Ma
forma e ne non costituiscono per Aristotele ununica e medesima
causa; se cos fosse, avrebbero ragione alcuni tra i riduzionisti.
90 R. LOREDANA CARDULLO
Piuttosto, come emerger ancor meglio dai successivi capitoli di
Fisica II, forma e ne rappresentano per il Filosofo laltra faccia
della spiegazione causale in natura, quella che coglie, al di l dei
movimenti meccanici provocati dalla necessit materiale, quelle
ragioni che fanno dellente naturale una sostanza orientata ad un
ne specico e non soggetta al caso, comerano i vitelli dal volto
umano di empedoclea memoria. Secondo il commento di Ross, in
questo contesto il Primo Motore immobile e la causa formale del-
la cosa naturale sono da considerarsi quali cause nali dei processi
naturali, e, precisamente, la prima come il suo ne trascendente e
remoto, laltra come il suo ne immanente e immediato. Ma a pre-
scindere da questo brano, che mi sembra estremamente chiaro in
ordine alla dimostrazione della teleologia naturale, ma che non fa
ricorso allanalogia techne-phusis, altrettanto nodali in questo stes-
so senso risultano i capitoli conclusivi di Fisica II, l8 e il 9 che
sono anche i pi discussi e studiati dalla critica i quali, peraltro,
sfruttano molto il paragone con la causalit tecnica. Il compito
difcile: dimostrare che anche in natura, come nella tecnica, sia
presente lin vista di cui comporta la dimostrazione, ad esempio,
che la pioggia cade allo scopo di far crescere il grano e non sem-
plicemente perch ci che si sollevato in alto deve raffreddarsi,
e ci che si raffreddato, una volta divenuto acqua, deve venir
gi, e capita che, avvenuto ci, il grano cresca cio a causa dei
processi di rarefazione e condensazione o che i denti crescano al
modo in cui crescono per uno scopo preciso, cio gli incisivi per
tagliare, i molari per masticare, e non per puro caso. Ma per Ari-
stotele, cos come era assurdo far derivare da tuche e da automa-
ton enti che, come quelli naturali, accadono sempre o per lo pi
allo stesso modo, altrettanto inconcepibile ora pretendere di
esaurire la spiegazione di realt naturali, come quelle menzionate,
attraverso le sole cause materiale e motrice. Cos come sono due
gli aspetti del composto naturale, e precisamente quello materiale
e quello formale, altrettanto duplice dovr esserne la spiegazione
scientica: la prima di carattere materiale, essenziale ma parziale
ed insufciente da sola, la seconda di ordine teoretico, facente ca-
po alla forma e al ne, assolutamente necessaria per la piena com-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 91
prensione dei processi naturali.
67
E se ci vale per i prodotti della
tecnica, nei quali facile distinguere da una parte la materia e la-
gente che produce, e dallaltra la forma che deve essere realizzata
nel prodotto ed il ne di questultimo, a maggior ragione ci varr
per la natura. Infatti Aristotele lo ribadisce la tecnica imita e
completa la natura. Se allora giusto dire, come diciamo, che la
casa viene costruita perch serva da riparo agli uomini o che la se-
ga viene prodotta per segare, a maggior ragione sar giusto dire
che le piante affondano le radici nel terreno per trovare nutrimen-
to, che le rondini costruiscono il nido per ripararsi e che i ragni
tessono la tela per catturare insetti e cibarsene. Ci signica che
anche in assenza di deliberazione ogni cosa in natura esiste in vi-
sta di un ne e che questo ne determina lesistenza, nella sua qua-
lit di aspetto dinamico della forma. Nel processo di generazione
naturale, cos come nella produzione tecnica, infatti, allinizio sta
sempre una forma che deve essere realizzata, in mezzo stanno la-
gente e gli strumenti materiali necessari alla realizzazione, a con-
clusione sta ancora la forma da realizzare, ma, questa volta, vista
come ne, cio come fo pcfiofov della cosa stessa.
68
Se quindi la
92 R. LOREDANA CARDULLO
67
Per certi versi tale distinzione ricorda quella operata dal Socrate platoni-
co nel Fedone quando il Maestro, superando la spiegazione meccanicistica pro-
pria dei loso della natura, si rifugiava nel logoi.
68
Si riportano di seguito alcuni tra i testi aristotelici pi signicativi a ri-
guardo: De gen. anim. V 778b 11-14: Ogni cosa dunque esiste in funzione di un
ne, e si produce sia per questa causa sia per le rimanenti, e tutto ci che com-
preso nellessenza di ciascuna o in funzione di un ne o il ne in vista del
quale. Metaph. I 8, 1050a 7-9: Tutto ci che diviene procede verso un princi-
pio, ossia verso il ne, infatti il ne un principio e in vista di esso ha luogo il
divenire. De gen. et corr. B 333b 10 ss. Nessuna cosa nasce da un concorso
fortuito di elementi, come pur sostiene Empedocle, ma ogni cosa nasce secondo
un determinato rapporto razionale. E qual , intanto, la causa di ci? Non di
certo, almeno, il fuoco o la terra; ma neppure sono lAmicizia e la Discordia []
Questa causa la sostanza di ciascuna cosa [] la causa da noi indicata si iden-
tica con leccellenza e col bene di ciascuna cosa.
A proposito del primato del ne sulla forma e sulla distinzione tra i due mo-
di causali in Aristotele, condivido in pieno il giudizio di Capecci (1978), il quale,
a p. 91, cos spiega: la forma quale si attua nel divenire che dirige e determina
il divenire stesso; ma la forma colta nella sua funzione dinamica, ossia come te-
los, come risultato e culmine di ogni processo naturale.
forma ed il ne da un certo punto di vista sembrano identicarsi,
da un altro punto di vista costituiscono due cause ben distinte, ed
entrambe anteriori ontologicamente al prodotto realizzato. Ora,
tale concetto trova la sua pi completa esplicazione nel capitolo
conclusivo di Fisica II, il 9, interamente dedicato alla necessit
ipotetica, altro carattere comune a phusis e a techne. Si detto che
la spiegazione scientica dellente kata phusin debba far capo sia
alla materia e alle propriet di questa, sia alla forma, intesa come
la struttura organizzata della cosa. Ora, attraverso la chiaricazio-
ne del concetto di necessit ipotetica Aristotele giunge a dimostra-
re il primato in natura della coppia causale forma-ne sulla coppia
materia-agente e, contestualmente, lassoluta preminenza ontolo-
gica ed assiologica della causa nale. Seguiamo in breve il ragiona-
mento del Filosofo avviandoci alla conclusione della nostra anali-
si. Per Aristotele, dare ragione di un muro afdandosi alla sola ne-
cessit, cio alle cause materiale e motrice, che agiscono sempre
allo stesso modo salvo impedimenti per via della necessit che
le contraddistingue, sarebbe come dire che esso cos com per-
ch le cose pesanti sono naturalmente tali da portarsi in basso e
quelle leggere in cima, e quindi le pietre, cio le fondamenta, stan-
no in basso, la terra sopra per la maggiore leggerezza, e in cima
soprattutto le parti in legno, dato che sono le pi leggere. Ma la
giusta spiegazione dice che il muro stato costruito per riparare
e salvaguardare certe cose. Insomma, il primo tipo di spiegazio-
ne quello tipico di chi, come Empedocle e Democrito, ignora la
causa nale perch non sa che nella tecnica come in natura, la
necessit e cio la materia a dipendere dal ne e non viceversa.
Se ha da esserci una sega (ecco la formula della necessit ipoteti-
ca), se cio dobbiamo poter segare la legna, lo strumento da co-
struire deve esser fatto di ferro e non, ad esempio, di lana; allo
stesso modo, se ha da esserci un uomo, certe condizioni materiali
carne, sangue, ossa devono essere presenti. Perch il necessa-
rio tale in dipendenza da unipotesi, e non sta come ne; infatti
il necessario nella materia, il ci in vista di cui nella denizione
(200a 14-15: cv oq fq tq fo ovooiov, fo o ot cvco cv fm
o m .). Ci vuol dire che il ne causa della materia mentre que-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 93
sta non causa del ne. Forma e ne, pertanto, condizionano la
materia e le sue leggi, orientando in modo specico e non casuale
il processo di produzione e di generazione.
69
Il ne diventa un
principio di movimento superiore e anteriore alla causa efciente,
del tutto simile al Primo motore immobile; come questo, il telos
muove senza contatto, non quindi alla maniera della causa ef-
ciente o motrice, ma come termine ultimo del movimento conti-
nuo dei viventi. Sono per natura afferma infatti il Filosofo in
Fisica II 8, 199b 15-17: tutte quelle cose che a partire da un de-
terminato principio interno ad esse pervengono con un movimen-
to continuo a un determinato ne; ora, un altro elemento che ac-
comuna phusis e techne la possibilit che questo ne non venga
realizzato: gli errori e i fallimenti della tecnica, i mostri in natura
ne sono una prova evidente.
70
Fin qui Fisica II. Ma numerosi altri testi aristotelici conferma-
no e confortano questa interpretazione che io denirei forte
del nalismo naturale;
71
fra laltro, come noto, il trattato di Fisi-
ca costituisce una presentazione generale e complessiva di quelli
che sono la struttura e i processi della realt naturale, vista nel suo
94 R. LOREDANA CARDULLO
69
De part. anim. 641b 23-33: Noi invece dichiariamo che una cosa na-
lizzata ad uno scopo, ogni volta che si manifesta un termine verso il quale tende
il mutamento se nulla lo ostacola. Sicch chiaro che vi qualcosa di tal genere,
ed ci che noi chiamiamo natura (qtoiv). Invero da ciascun seme non si forma
a caso una creatura qualunque, ma questa particolare creatura da questo seme
particolare (oo fooc c fotoc), n un seme qualsiasi deriva a caso da un corpo
qualsiasi. Il seme dunque principio di formazione di ci che da esso deriva
( Aqq oqo oi oiqfiov fot c otfot fo ocqo). Per natura ci avviene: giac-
ch la nascita viene dal seme. Ma va aggiunto che anteriore al seme ci di cui il
seme principio: il seme infatti il processo di formazione, il compimento la
cosa stessa (cvcoi cv oq fo ocqo, otoio oc fo fco). Ancora anteriore a
entrambi ci da cui viene il seme. Vegetti cos commenta queste ultime
espressioni (p. 568, nt. 36): il processo si svolge allinterno dellousia e giunge a
compimento con la piena realizzazione di ci che essa era potenzialmente n dal
principio []; lanteriorit qui non quella dellagente ma quella del telos.
70
Cf. De gen. an. IV 3, 767b 14; Fisica 199b 1-4.
71
Denisco forte linterpretazione pienamente favorevole alla teleologia
nella losoa aristotelica della natura di contro a quella che da A. Petit (2000)
viene denita teleologia soft o minimalista.
complesso. Scritti come De caelo, De generatione et corruptione,
Meteorologica, De anima, ma soprattutto i trattati biologici svilup-
pano, applicandoli alle varie sezioni del mondo naturale da
quello inorganico a quello organico, da quello sub-lunare a quello
sopra-lunare i principi e le teorie della Fisica. Per questa ragio-
ne, ciascuno degli scritti aristotelici di argomento naturale ci for-
nisce numerose e preziose testimonianze sul ruolo assolutamente
pregnante e prioritario che la causa nale svolge in questo settore
della scienza aristotelica. In verit, anche nel giovanile Protreptico,
ed in particolare nei frammenti 12, 13, 14, 15, 17, 23, lo Stagirita
sosteneva e difendeva il nalismo naturale e, anche l, attraverso
lanalogia con loperare tecnico e la contrapposizione rispetto a
tutto ci che procede per caso ; ci conferma che la tesi del na-
lismo naturale rappresentava gi per il giovane Aristotele una cer-
tezza, un punto fermo nella sua speculazione sulla natura. Che la
natura non faccia nulla a caso ma proceda sempre in vista di un -
ne, ossia del meglio per ciascuno degli enti cui essa appartiene di
per s, come principio interno e autonomo di movimento, Aristo-
tele lo ribadisce pressoch in tutti i suoi scritti, e non solo in quel-
li di losoa naturale.
72
Sottolineare la priorit della coppia for-
ma-ne su quella materia-motore nei processi naturali, come in
quelli tecnici, e, di conseguenza, dimostrare linsufcienza della
sola spiegazione meccanica un compito che il Filosofo si preg-
ge e compie in modo sistematico in tutti questi scritti. In questa
direzione vanno, ad esempio, tutte quelle sezioni degli scritti na-
turali dedicate a confutare la maggior parte delle tesi dei qtoioo -
oi. Nel De caelo, ad esempio, l dove in questione il movimen-
to degli elementi naturali, egli ribadisce quanto gi accennato nel-
la Fisica, e precisamente che non si debba pensare che su di essi
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 95
72
Tra i luoghi principali: Protrept. 13, 14, 15, 17, 23; Fisica II passim; De
caelo III 301a 11; De gen. anim. V 778b 1 ss.; De part. anim. I passim; Metaph. I
8, 1050a 7-9; Politica I 2, 1252b 32 ss.; in questultimo testo si dice con estrema
chiarezza che: la natura il ne: per esempio quel che ogni cosa quando ha
compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia dun uomo, dun ca-
vallo, duna casa. Inoltre, ci per cui (in vista di cui) una cosa esiste, il ne, il
meglio e lautosufcienza il ne e il meglio.
agisca un motore esterno o un ne superiore; semplicemente, il
portarsi degli elementi verso lalto o verso il basso dipende dalle
propriet della materia (pesantezza e leggerezza) (cf. De caelo I
268b 27 ss.; 277b 1 ss.; IV 310b 24 ss.). Non cos per i corpi com-
posti, per i quali le spiegazioni che fanno capo alle dinamiche del-
la materia non sono pi sufcienti; come abbiamo visto nella Fisi-
ca, i due livelli di spiegazione scientica trovano la loro motivazio-
ne nella duplice costituzione dei corpi composti (materia e forma)
e nella necessit ipotetica che li contraddistingue assieme ai pro-
dotti tecnici. A questo proposito, i testi aristotelici a parte quelli
estrapolabili dalla Fisica sono davvero ingenti e pregnanti; basti
pensare allintero I libro del De partibus animalium, dove le prin-
cipali dottrine della Fisica trovano piena applicazione e conferma,
anche col supporto del paragone tecnico; soprattutto, la priorit
della coppia causale forma-ne su quella materia-motore e la con-
seguente dimostrazione del carattere nalizzato di tutte le cose
naturali passa attraverso la puntualizzazione del concetto di ne-
cessit ipotetica e la critica ai meccanicisti. Vi sono dunque que-
ste due cause, quella relativa alla nalit e quella relativa alla ne-
cessit, afferma testualmente Aristotele in De partibus animalium
642a 2; e chi non rispetta tale distinzione, pensando che solo la
necessit materiale, che necessit assoluta (om), possa costi-
tuire il principio delle cose naturali, non dice praticamente nulla
sulla natura; questa, infatti, ossia lessenza della cosa, ne princi-
pio pi che la materia.
73
vero che la natura dipende dalla ne-
cessit materiale, ma anche vero che bisogna distinguere, tra i
diversi signicati del termine necessit, quello pi appropriato al-
la natura. Necessit spiega ancora il Filosofo in De part. anim.
642a signica talvolta che se dovr essere un certo ne, neces-
96 R. LOREDANA CARDULLO
73
De part. anim. 641a: chiaro pertanto che il discorso dei siologi non
corretto, e che occorre dichiarare le determinazioni proprie dellanimale, descri-
vendo che cosa sia, quale sia, e ognuna delle sue parti, proprio come si descrive-
rebbe la forma di un letto. [] sicch da questo punto di vista, chi studia la na-
tura dovr parlare pi dellanima che della materia, tanto pi che la materia
natura grazie alla prima, piuttosto che il contrario (in effetti il legno letto o tri-
pode, perch in potenza queste cose). Cf. anche De gen. et corr. B 333b 17-18.
sario che si verichino certe condizioni; talaltra che le cose sono
cos e lo sono per la loro stessa natura. Ora, mentre la necessit
assoluta appartiene a ci che eterno, quella condizionale,
74
in-
vece, [appartiene] anche a tutto ci che soggetto al processo
della formazione naturale e a quello della produzione tecnica, per
esempio una casa o qualsiasi altro oggetto di tal genere. neces-
sario che una determinata materia esista, se vi ha da essere una ca-
sa o qualche altro ne; e deve essere prodotto e trasformato pri-
ma questo, poi quello, e cos continuamente nello stesso modo si-
no al ne, cio sino a ci in vista di cui ogni cosa prodotta ed
esiste; lo stesso avviene nel campo dei processi naturali.
Conclusione. Dal mondo della produzione al mondo della con-
templazione attraverso lanalogia tevcnh-fuvsi~
Non infatti il caso, ma la nalit presente nelle opere della
phusis, e massimamente: e il ne in vista del quale esse sono
state costituite o si sono formate occupa la regione del bello.
Aristot. De part. anim. I 5, 645a 23-26.
Per quanto poco noi possiamo attingere delle realt incor-
ruttibili, tuttavia, grazie alla nobilt di questa conoscenza, ce
ne viene pi gioia che da tutto ci che intorno a noi, cos
come una visione pur fuggitiva e parziale della persona amata
ci pi dolce che unesatta conoscenza di molte altre cose
per quanto importanti esse siano.
Aristot. De part. anim. I 5, 644b 31-35.
Potremmo continuare ancora a lungo a citare testi aristotelici
che dimostrano limportanza della causa nale in natura, ma
giunto il momento di tirare le somme di questa indagine sui sensi
e sui signicati delluso aristotelico dellanalogia tra techne e phu-
sis. La mia riessione, a questo punto, la seguente: se, come
emerso con chiarezza, questa analogia costituisce una costante
nellopera aristotelica sica e non , tanto che lo Stagirita la uti-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 97
74
Lett.: ipotetica (Vegetti)
lizza tutte le volte in cui desidera esprimere in modo particolar-
mente pregnante ed incisivo alcune delle sue pi importanti teo-
rie, allora il suo valore e il suo vero signicato devono andare ben
al di l di quello semplicemente metodologico-gnoseologico illu-
strato in Fisica I. In effetti, lo abbiamo visto, la fondazione della
scienza sica e la dimostrazione dellautonomia della natura e del-
leternit del mondo passano proprio attraverso lanalogia techne-
phusis e la determinazione della struttura causale dei processi na-
turali viene guadagnata con il supporto del modello della produ-
zione tecnica, pi evidente per noi in quanto frutto di ragiona-
mento e agire umani. Tuttavia quello che, a conclusione di questa
ricerca, continua a sembrarmi il motivo principale e forse il senso
pi forte delluso aristotelico dellanalogia techne-phusis lesi-
genza, da parte del Filosofo, di mostrare come tutto nel mondo
naturale, ivi compreso luomo e le sue attivit, che naturali non
sono ma che alla natura si rifanno come al proprio modello, non
soltanto esiste in vista di uno scopo suo proprio ed immediato
(consistente in generale nella piena realizzazione della propria es-
senza, nella propria compiuta entelecheia), ma alla ne trova un
suo ulteriore e comune principio di movimento in qualcosa di tra-
scendente e di perfettamente immobile: il Primo Motore, la causa
nale suprema, che muove luniverso intero, a partire dal primo
cielo, come supremo oggetto damore m cqmcvov (Metasica
A 7, 1072b 3).
75
Il paragone con la tecnica serve quindi, da una
98 R. LOREDANA CARDULLO
75
Metaph. A 7 1072a 21-27: C qualcosa che sempre si muove di moto
continuo, e questo il moto circolare (e ci evidente non solo col ragionamen-
to ma anche come dato di fatto); cosicch il primo cielo deve essere eterno. Per-
tanto c anche qualcosa che muove. E poich ci che mosso e muove un ter-
mine intermedio, deve esserci, per conseguenza, qualcosa che muova senza es-
sere mosso e che sia sostanza eterna ed atto. E in questo modo muovono logget-
to del desiderio e dellintelligenza: muovono senza essere mossi. Metaph. A 7,
1072b 3-4: Dunque <il primo motore> muove come ci che amato, mentre
tutte le altre cose muovono essendo mosse. Unampia letteratura stata pro-
dotta in questi ultimi anni sulla concezione aristotelica del Motore immobile e
sul genere di causalit cui esso propriamente appartiene, ed una particolare at-
tenzione stata prestata dai critici allesegesi (anche di tradizione medioplatoni-
ca, neoplatonica e araba) del brano di A appena riferito; la complessit della
parte, a sottolineare la superiorit ontologica della phusis intesa
come struttura causale immanente allente e autonoma, immedia-
ta nel suo procedere e inconscia su tutto quanto invece frutto
di mediazione razionale e che esiste solo come imitazione o come
supporto della natura; ma anche per dare risalto a ci che soprat-
tutto techne e phusis condividono: loperare in vista di un ne. In
Fisica II detto chiaramente che come gli artefacta, cos anche le
cose naturali, oltre al principio motore mosso, cio alla causa mo-
trice, possiedono altres un motore immobile che coincide con la
loro forma o essenza: la specie da realizzare per i phusei onta, la
loro funzione specica, nel caso dei techne onta. Ci vuol dire
che, se un ente tale solo nel momento in cui ha realizzato le sue
potenzialit, allora lattuazione della forma/specie a determinar-
ne la natura e a consentirne la denizione. Ci equivale a dire che
il telos il logos della cosa, cio la sua essenza, ossia la sua struttu-
ra formale pienamente realizzata e non soltanto potenziale; vuol
dire constatare e sancire la priorit della causa nale anche su
quella formale. Sulla priorit del telos rispetto alla causa motrice
chiarissimo Aristotele, ad esempio, in De partibus animalium I
1, 639b 14 ss., l dove afferma che tra le due cause si manifesta
come prima quella che chiamiamo in vista di qualcosa: questa in-
fatti lessenza (oo), e lessenza principio cos nei prodotti del-
la tecnica come in quelli della natura. Solo dopo aver denito,
mediante il ragionamento o losservazione sensibile, il medico la
salute, larchitetto la casa, essi possono dichiarare le ragioni e le
cause di tutto ci che fanno, e perch debba essere fatto in quel
modo. Ora, vi pi nalit e perfezione nelle opere della natura
che in quelle della tecnica.
76
Dimostrare il nalismo naturale, al
di qua e al di sopra di quello tecnico, non quindi il solo scopo
che lo Stagirita si pregge attraverso lanalogia con la tecnica. An-
che se in Fisica II il riferimento al Primo Motore quale causa pri-
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 99
questione mi impone di limitarmi, in questa sede, alla sola menzione di alcuni
dei contributi pi interessanti: Broadie (1993), Natali (1997, Causa motrice),
Berti (2000 e 2002), Martini Bonadeo (2004). Per la posizione di Berti cf. sotto,
nota 79.
76
De part. anim. I 1, 639b 19-21.
missima e non naturale del movimento naturale poco pi che un
accenno, negli scritti pi maturi e mi riferisco ad ampi brani del
De caelo, del De anima, dellHistoria animalium, del De motu, del
De generatione et corruptione, del De partibus animalium, ma an-
che della Metasica (soprattutto nei libri Z, O, A), della Politica ,
il riferimento di tutto il mondo naturale, inorganico ed organico,
corruttibile ed incorruttibile, inconscio e cosciente, al ne ultimo
e trascendente netto e si avvale spesso di unimmagine che il Fi-
losofo ha gi utilizzato per indicare il rapporto tra la techne e la
phusis: il rapporto di imitazione. Se per imitazione che la tecnica
e cio luomo che realizza questa virt della sua anima dianoeti-
ca procede come la natura, allo stesso modo per imitazione
del movimento circolare che i corpi semplici si trasformano gli
uni negli altri, attraverso rarefazione e condensazione, realizzando
cos unimmagine del movimento eterno (De gen. et corr. 336b 25-
337a 7),
77
e che le specie viventi (vegetali e animali), riproducen-
100 R. LOREDANA CARDULLO
77
In eterno, come abbiamo detto, sar continuo il processo di generazio-
ne e di corruzione (ed esso non verr mai meno per la causa che abbiamo indica-
ta) e questa nostra teoria risultata essere conforme a ragione. Poich, infatti,
noi sosteniamo che in tutte le cose la natura protesa sempre verso il meglio
(oci fot pcfiovo oqcco0oi), e lessere migliore del non essere [] e poich
impossibile che lessere stia presente in tutte quante le cose per il fatto che
queste sono troppo lontane dal principio, il dio ha completato luniverso nella
sola maniera che rimaneva possibile, rendendo cio ininterrorra la generazione;
proprio in questa maniera, infatti, la realt avrebbe potuto avere la massima coe-
sione possibile, per il fatto che il perenne divenire persino della generazione si
approssima pi di ogni altra cosa, alla sostanza. E la causa di questa perennit ,
come abbiamo detto pi di una volta, la conversione circolare, perch essa sola
continua (ovq oq otvcq). Ecco, anche, perch tutte le altre cose che cangia-
no reciprocamente luna nellaltra secondo le loro qualit affettive e secondo le
loro potenze come fanno, per esempio, appunto i corpi semplici , imitano la
conversione circolare (oiov fo oo omofo, icifoi fqv tm qoqov): quando
infatti dallacqua si genera laria e dallaria il fuoco e, in senso contrario, dal fuo-
co si viene a generare lacqua, noi diciamo che la generazione ha completato il
circolo per avere effettuato una conversione sul suo punto di partenza; e da ci
consegue che anche lo spostamento rettilineo acquista una sua continuit, per-
ch imita la conversione circolare ( Oofc oi q ct0cio qoqo iotcvq fqv tm
otvcq cofiv). Trad. A. Russo, corsivi miei. Cf. anche Metaph. 0 8, 1050b 28
ss.: Tuttavia, anche le cose che sono in movimento, come la terra e il fuoco,
dosi con regolarit, si rendono immortali ed eterne (De an. B
415a 26-415b 3);
78
cos come, inne, per imitare leternit del
Primo motore che il primo cielo si muove di un movimento eter-
no e divino, qual quello circolare.
79
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 101
tendono ad imitare gli esseri incorruttibili: infatti sono anchesse sempre in atto,
perch hanno in s e per s il movimento.
78
Infatti la funzione pi naturale degli esseri viventi, di quelli che hanno
raggiunto lo sviluppo e non sono menomati o non derivano da generazione
spontanea, di produrre un altro individuo simile a s: lanimale un animale e la
pianta una pianta, e ci per partecipare, nella misura del possibile, delleterno e
del divino (ivo fot oci oi fot 0ciot cfcmoiv q otvovfoi). In effetti a questo
che tutti gli esseri tendono ed per questo ne che operano gli esseri che opera-
no secondo natura (ne ha due signicati: ci in vista di cui e colui a vantaggio
del quale) (o vfo o q c ci vot oqc cfoi, oi c civot c vco qoffci o oo qoffci
ofo qtoiv (fo o ot cvco oiffov, fo cv ot, fo oc m).). Trad. Movia, corsivi miei.
79
In effetti la spiegazione del movimento del cielo che fa capo allimitazio-
ne da parte di questo delleternit e dellimmobilit del Primo motore risale agli
interpreti di Aristotele e non si trova espressa in questi termini nei testi del Filo-
sofo. Da questa interpretazione, fatta propria anche da Alessandro di Afrodisia
stando alle preziose testimonianze degli esegeti arabi, su cui si sono soffermati
di recente Natali (1997, Causa motrice) e Martini Bonadeo (2004) , deriva
lassegnazione del ruolo di causa nale al Motore immobile, che perci, secondo
lesegesi tradizionale di Metaph. A 7, muoverebbe il primo cielo esattamente co-
me loggetto damore e di desiderio muove lamante (ossia come causa nale; v.
supra, nt. 75), e attraverso il primo mobile, ossia il primo cielo, muoverebbe an-
che tutto il resto. Ora, denendo platonizzante linterpretazione tradizionale e
riprendendo una vecchia tesi di C. Giacon, Enrico Berti (2002) ha recentemente
respinto la tesi della causalit nale del Motore immobile, assegnando, piuttosto,
a questultimo il ruolo di causa motrice o efciente. In sintesi ma premetto che
la questione merita senzaltro uno spazio ben pi ampio di quello che in questa
sede io non possa dedicarle , secondo Berti, il Motore immobile sarebbe s cau-
sa nale, ma solo di se stesso, poich se fosse ne per altro (nei due sensi di ne
indicati da Aristotele, ossia come obiettivo o come beneciario dellazione)
dovrebbe essere un ne (o un bene) praticabile e pertanto si muoverebbe. Allo
stesso modo il Motore primo sarebbe s oggetto damore (anzi, il primo dei de-
siderabili) e di intellezione (, infatti, il primo degli intelligibili), ma di se stesso.
Fino a questo punto, dunque conclude Berti a p. 650 Aristotele ha dimo-
strato che il Motore immobile pensa se stesso ed ama se stesso, cio capace
direbbe Dante di intelletto e damore, ovvero, come diciamo noi nel nostro
linguaggio giuridico, di intendere e di volere. Per questo si pu affermare che
egli persona: la denizione giuridica di persona infatti quella di un essere ca-
pace di intendere e di volere. E, se capace di volere [], anche capace di
In conclusione, ordine e regolarit rivelano sempre, per Ari-
stotele, telos e to ou heneka; tutto in natura, anche lorganismo
apparentemente pi disgustoso, si legge in De partibus animalium,
I 5, 645a 23, ha del meraviglioso perch rivela, per lappunto, or-
dine e regolarit, ossia un ne. Ed in ci sta la sua bellezza. Cia-
scuna cosa che ha una funzione, insegna Aristotele nel De caelo,
80
102 R. LOREDANA CARDULLO
muovere come causa efciente [], una causa efciente del movimento del cie-
lo, la cui azione motrice tuttuno con la sua stessa attivit, che quella di cono-
scere se stesso e amare se stesso. Il riuto di Berti concerne soprattutto, come
tesi non aristotelica, la riduzione del Motore immobile a causa esemplare e para-
digmatica, operata dagli esegeti di tradizione platonica. Ora, a questo preciso
proposito, io mi sento piuttosto di concordare con Natali quando dice parafra-
sando Alessandro apud Averro, Grande commento alla Metasica che lanalo-
gia del desiderio e dellimitazione, da Aristotele usata peraltro molto spesso per
spiegare la struttura teleologica del suo universo, non comporta necessariamente
laccettazione del concetto neoplatonico di imitazione intesa come assimilazione
al Principio, e la sua applicazione al caso aristotelico, perch il ne, o la causa -
nale, del movimento del cielo in Metaph. A non propriamente e immediata-
mente limitazione, bens il Motore stesso in quanto oggetto damore. Che, infat-
ti, lamore in generale comporti come conseguenza limitazione delle azioni mi-
gliori (e, nel caso del cielo, il movimento perfetto, immagine della perfezione
della vita eterna) si pu indurre con evidenza dalla sfera della praxis umana, da
cui peraltro il discorso teologico di Aristotele trae spesso paragoni e metafore.
In tal modo il Motore non viene inteso, platonicamente, come paradigma da
imitare, ma, aristotelicamente, come oggetto damore (m cqmcvov) e quindi co-
me causa nale. Inoltre, affermare che il cielo si muova, analogamente alluomo
amante, per effetto del desiderio del Primo motore trova conferma anche in
quanto si legge in De caelo II 285a 29-30 (o o otqovo cto) e 292a 18-21 a
proposito dellanimazione dei corpi celesti e dellassimilazione della loro attivit
a quella degli esseri terrestri dotati di anima: piante, animali, uomini, tutti tesi,
come il cielo, al raggiungimento della loro perfezione. Inne, come si concilie-
rebbe lincorporeit e limmobilit del Primo motore con quella che la princi-
pale caratteristica della causa motrice, e cio con il muovere per contatto, che
implica sempre, nellatto del movimento, un patire (e quindi un movimento) an-
che da parte dellagente? Questo poi (scil. il motore) si legge infatti in Phys.
III 2, 202a 3-4 agisce per contatto (oici 0ici), sicch contemporaneamente
anche patisce (mofc oo oi ooci). A questo punto, comunque, nonostante
la mia posizione sia rimasta legata alla cosiddetta interpretazione tradizionale,
sento il dovere di ringraziare il Prof. Berti per avermi dato lopportunit di di-
scutere con lui questa ed altre importanti questioni aristoteliche.
80
De caelo II 286a 8 ss.
esiste in vista di questa funzione. Ora, vi pi nalit e bellezza
nelle opere della natura lo abbiamo letto in De part. anim. I 1,
639b 19-21 che in quelle della tecnica; ed , precisamente, alla
bellezza delle cose naturali, alla loro perfezione, tanto pi sublime
quanto pi essa nasce da movimenti inconsapevoli e immediati,
che luomo guarda quando realizza i suoi prodotti, cercando di
emularla e di riprodurne con fatica i processi. Cos come alla
bellezza e alla perfezione del Pensiero puro che egli guarda quan-
do agisce e, soprattutto, quando contempla. questa la cosa in
assoluto pi bella, la prima tra tutte quante, loggetto pi alto di
desiderio e dimitazione, quel motore primo che, sia pur immobi-
le, anzi proprio perch immobile, , per Aristotele, la prima causa
del movimento delluniverso intero,
81
dalla quale Aristotele lo
afferma esplicitamente in Metasica A 7, 1072b 14 e in De motu
700a 5 cielo e natura dipendono.
82
LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 103
81
Affermare che il Primo Motore sia la causa prima, o il primo principio
(diretto per il primo cielo, indiretto per il resto delluniverso) del movimento
delluniverso non signica, a mio parere, assegnargli il ruolo di causa motrice o
efciente; con lespressione oqq ivqocm, infatti, Aristotele intende anche la
causa nale, ad esempio in Metaph. O 8, 1050a 8: oqq oq fo ot cvco. Cf., a tal
proposito, Natali (1997, Causa motrice), p. 112: per Aristotele la causa na-
le una causa del movimento, e quindi egli pu sempre far cenno al movimen-
to che da essa dipende, senza farne con questo una causa motrice. V. anche so-
pra, nt. 79.
82
Fisica VIII 6, 259b 32-260a 3: Ma se davvero esiste sempre qualcosa di
siffatto, che muove alcunch, ma esso stesso immobile ed eterno, anche la pri-
ma cosa mossa da questo necessariamente eterna. Ci chiaro pure dal fatto
che gli enti non avrebbero in altro modo generazione, corruzione e mutamento,
se li muove qualcosa che mosso. Sullargomento si veda anche W. Kullmann
(1986), p. 186: [] the causality of the PM [scil. del Primo Motore] acts not to
override but to complete the immanent causality of the things specic nature:
this nature is always an internal source of motion as such comes from the Prime
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LANALOGIA TEXNH-dTEIE E IL FINALISMO UNIVERSALE 109
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE,
PHYS. III 1-3
Giovanna R. Giardina*
Premessa
Sin dalle prime linee del libro III della Fisica, Aristotele im-
pegnato nellavviare concretamente la trattazione della nozione di
movimento, allo scopo di completare le problematiche affrontate
precedentemente, ovvero quella del divenire del libro I e quella
della qtoi del libro II. Ora, la nozione di divenire, cos come ri-
sulta dalla trattazione del libro I, discende teoreticamente dalla
fondazione dei principi dellente naturale, il quale denito al-
linterno della trattazione della qtoi del libro II come ci che ha
in se stesso il principio del movimento e della quiete.
1
Quindi, do-
po aver discusso dellente naturale come di ci che diviene (fo
ivocvov) e di ci che cresce (fo qtocvov),
2
Aristotele pro-
segue studiandolo come ci che mosso (fo ivotcvov), con
la differenza che questultimo non pu essere sganciato dal suo
correlativo, ovvero da ci che muove (fo ivotv). Ma il movi-
mento con il quale rimane costantemente legata la causa motri-
ce , cos come trattato nei primi tre capitoli del libro III, sem-
bra costituire il cuore stesso della Fisica aristotelica, nella misura
in cui, oltre che perfezionare le argomentazioni che lo precedono,
gioca un ruolo fondamentale nella progressione del trattato, per-
111
* Universit di Catania.
1
Per tutto questo discorso si cf. la premessa di Phys. I 1, 184a10-16 e la
fondazione dei principi del divenire in Phys. I 7; cf. anche Phys. II 1, 192b13-14.
2
Il termine natura (qtoi) precisa quello di generazione (cvcoi) in quan-
to specica che si tratta di una generazione naturale, di una cvcoi qtoiq , poi-
ch la dottrina della generazione e, in generale, del divenire , nella prospettiva
aristotelica, la fondazione di una scienza sica, ovvero di una scienza degli enti
naturali.
ch rende possibile la trattazione del mutamento e si pone come
elemento determinante dei tre studi distinti e annunciati da Ari-
stotele in Phys. II 7, 198a29-31: a) lo studio di ci che immobi-
le,
3
b) quello di ci che mosso ma incorruttibile,
4
c) quello del-
lessere mosso e corruttibile.
5
Lanalisi del movimento in Phys. III
1-3, quindi, ha un carattere tale che la rende applicabile tanto agli
enti del mondo sublunare quanto a quelli del mondo sopralunare
no a giungere a ci che trascende il movimento stesso, il Primo
Motore Immobile. Di conseguenza si pu dire che la Fisica apra
la strada alla losoa prima.
6
Inne, per dovizia di completezza,
occorre non trascurare il fatto che tale dottrina del movimento,
che in Phys. III 1-3 trattata in modo generale, utilizzata secon-
do modi specici nei vari trattati sici particolari, e anzitutto nel
De motu animalium e nel De generatione animalium.
7
La tesi di fondo di questa mia argomentazione che la pro-
blematica del movimento legata a quella della causa motrice,
nella misura in cui ci che mosso (fo ivotcvov), come ho
gi detto, non pu esistere senza ci che muove (fo ivotv).
Parlando del divenire nel libro I, Aristotele ha evitato a ragion ve-
duta di spiegare nei particolari il ruolo che in esso ha il movimen-
to e la stessa cosa avvenuta nel caso della natura, ma, una volta
acquisite le nozioni di divenire e di natura, la progressione dellar-
gomentazione esige la conoscenza precisa di che cosa sia il movi-
mento, come Aristotele stesso ci dice in Phys. III 1, 200b12-15:
poich la natura principio di movimento e di mutamento e la
nostra ricerca riguarda la natura, occorre che non resti nascosto
che cosa sia movimento, perch ignorando questo si ignora neces-
sariamente anche la natura (Eci o q qtoi cv cofiv oqq ivq -
ocm oi cfopoq, q oc c0ooo qiv cqi qtocm cofi, oci q
ov0ovciv fi cofi ivqoi ovooiov oq ovootcvq otfq o -
112 GIOVANNA R. GIARDINA
3
Scil. il Primo Motore Immobile.
4
Scil. gli enti del mondo sopralunare.
5
Scil. gli enti del mondo sublunare.
6
Cf. L. Couloubaritsis (2001), pp. 213 ss.
7
Non un caso che allinizio del trattato De generatione animalium Aristo-
tele affermi che egli tratter il problema avvalendosi della causa motrice.
vocio0oi oi fqv qtoiv). Cos, la causa motrice, che aveva fatto
la sua apparizione nel libro II, trova la sua trattazione dettagliata
nel libro III.
In Phys. II 3 Aristotele affronta il problema delle cause in mo-
do esplicito,
8
teorizzando che le cause sono solo di quattro specie,
e sono cio la causa materiale, la causa formale, la causa motrice e
la causa nale.
9
Tuttavia, di queste quattro cause, solo le cause
materiale, formale e nale trovano posto in questi primi due libri:
la causa materiale in Phys. I 7-9, la causa formale in Phys. I 7-9 e
II 1, e la causa nale in Phys. II 4-8, mentre la causa motrice tra-
scurata: la ragione potrebbe essere che Aristotele considera la
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 113
8
noto che sul concetto aristotelico di causa in atto da diversi anni un
vasto dibattito che continua, no ai nostri giorni, a impegnare e a separare gli
studiosi. Si registrano infatti molte posizioni, provenienti soprattutto dallarea
anglosassone, tali da rendere difcile anche una loro sintesi. Il problema nasce
dal fatto che la dottrina aristotelica delle quattro cause molto lontana dal mo-
do moderno di intendere la causa e i rapporti causali cf. D.J. Allan (1965), pp.
1-18; M. Bunge (1959); W.A. Wallace (1972-1974) , e a questo si aggiunge il
fatto che Aristotele utilizza due termini per dire la causa, e cio oifio e oifiov,
che a mio modo di vedere (e come peraltro ho cercato di dimostrare con una re-
lazione presentata al Colloquio internazionale Aristote et la question de la causa-
lit tenutosi a Bruxelles nei giorni 26-28 agosto 2002) non sono affatto sinonimi.
Una corrente ermeneutica piuttosto corposa, anche questa principalmente di
area anglosassone, tende a comprendere e spiegare la dottrina aristotelica delle
cause come una dottrina dellexplanation o del because, sulla base di quanto Ari-
stotele dice sia in Phys. II 7 sia in APo. I 13. Si vd. a questo proposito J. Annas
(1982), pp. 311-326; M. Frede (1987), pp. 125-150; M. Hocutt (1974), pp. 385-
399, contro il quale si vd. la riessione di G.R.G. Mure (1975), pp. 356-357. Sul-
largomento si vd. ancora i contributi di J.M.E. Moravcsik (1974), pp. 3-17, Id.
(1975), pp. 622-638, Id. (1995); di C. Natali (1997), pp. 113-124.
9
Poich compito del sico conoscere le quattro cause (Phys. II 7, 198a22-
24), si potrebbe ritenere che dei fenomeni naturali il sico debba trovare sempre
tutte e quattro le cause. In realt, come fa notare W. Charlton (Aristotles Phy-
sics I-II, by W. Charlton, Oxford 1971), Aristotele intende che compito del -
sico cercare di conoscere un ente naturale indagandolo sulla base di tutte e quat-
tro le cause, ma ci non signica che per ciascun ente sico ci siano sempre
quattro cause. Ad esempio, le eclissi, che pure non hanno n causa materiale n
causa nale, tuttavia sono fenomeni naturali. Quindi, compito del sico inda-
gare ricercando tutte e quattro le cause, ma il sico non pu essere certo di tro-
varle tutte in ogni fenomeno naturale (cf. anche J. Follon (1988), pp. 330-331).
causa motrice come particolarmente legata al movimento, che
oggetto specico del libro III: infatti, la indica di volta in volta o
come ci che muove o ha mosso (fo ivotv o fo ivqoov), o
come ci da cui ha origine il movimento (fo o0cv q ivqoi), o
come ci da cui ha origine il principio del mutamento o della
stasi (o 0cv q oqq fq cfopoq q ofo ocm).
10
Unultima considerazione per completare questa premessa. I
libri VII e VIII della Fisica accentuano il ruolo della causa motri-
ce, anche se lapparire di un Primo Motore Immobile apre la pos-
sibilit di una causa nale per ci che ultimo. Come noto,
nel libro A della Metasica che questultima causa si manifesta in
modo decisivo, grazie alla denizione di Dio come ci che muove
in quanto amato. Ma, fra lindeterminatezza di questo argomen-
to in Fisica VIII e la sua formulazione denitiva in Metasica A, si
colloca una differenza sottile fra sica e metasica. Tale differen-
za ci permette di supporre che, nella Metasica, la questione della
causalit stabilita nella Fisica deve giocare un ruolo che specico
della losoa prima. Quindi, se per Aristotele non c veramente
scienza se non attraverso la conoscenza delle cause, si comprende
non soltanto il costante ricorso alle cause dei trattati sici che fan-
no seguito alla Fisica, ma anche il ruolo che le cause occupano
nella Metasica: il problema della causalit potrebbe allora costi-
tuire un argomento discriminante fra la sica e la losoa prima
se si comprende quale sia la differenziazione, allinterno di una
medesima dottrina, quella della causalit appunto, che conduce
alla conoscenza sia dellessere in divenire sia dellessere in quanto
essere.
114 GIOVANNA R. GIARDINA
10
Questa prospettiva sfuma un poco la correttezza dellinterpretazione tra-
dizionale che attribuisce una particolare forza alla causa formale, perch se ve-
ro che lente naturale trova la sua spiegazione principalmente grazie alla causa
formale, tuttavia risulta vero anche che tale ente naturale non pu essere spiega-
to nella sua pienezza e completezza soltanto sulla base della causa formale, per-
ch senza la causa motrice non ci possibile conoscere ci a partire da cui un
ente ci che .
Denizione di movimento in Phys. III 1-2, 200b12-202a3
Dopo aver premesso, alle linee 200b12-28, il programma di
studio che intende seguire,
11
Aristotele intraprende immediata-
mente la trattazione del movimento in generale, esponendo quat-
tro assiomi che gettano le basi indispensabili per la denizione
del movimento e per lo svolgimento dellargomentazione su di
esso. Le cose che Aristotele ha interesse di stabilire sono queste
quattro:
1) ci sono enti che sono in potenza e in entelechia insieme
(200b 26-28): questo assioma ci sar chiarito dallesempio di cal-
do-freddo che si legge alle li. 201a19ss.;
2) il movimento possibile soltanto tramite una relazione, che
subito stabilita come la relazione fra ci che capace di agire
(oiqfio v) e ci che capace di patire (o0qfiov), e, in gene-
rale, come fra ci che capace di muovere (ivqfiov) e ci
che mobile (ivqfov) (200b28-32). In questo secondo assioma
la nozione di causa motrice viene ancora presentata allo stato po-
tenziale di oiqfiov-ivqfio v;
3) il movimento non pu esistere fuori delle cose
12
e precisa-
mente fuori da quelle che cadono sotto le categorie di sostanza,
quantit, qualit e luogo. In realt, qui Aristotele non sta pensan-
do al movimento soltanto, ma ha in mente in modo pi specico
il divenire nel suo complesso, cio il nascere e il mutare tramite il
movimento che li attua, e per questa ragione Aristotele:
assume tutte e quattro queste categorie, anche quella di so-
stanza, che invece dovrebbe rimanere esclusa se si trattasse sem-
plicemente di movimento e non anche di mutamento, dal mo-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 115
11
Si tratta, come si pu facilmente notare, della materia trattata nei libri III
e IV della Fisica, poich nel terzo libro Aristotele si occupa del movimento
(capp. 1-3) e dellinnito (capp. 4-8), mentre nel IV libro si occupa del luogo
(capp. 1-5), del vuoto (capp. 6-9) e del tempo (capp. 10-14).
12
Lespressione generica fo qoofo indica ovviamente gli enti naturali,
quindi indagare sugli enti naturali signica immediatamente indagare sul movi-
mento e, viceversa, indagare sul movimento necessario se si vuole conoscere gli
enti naturali.
mento che, secondo Aristotele, non c movimento della so-
stanza;
13
nellusare espressioni quali: infatti ci che muta muta sem-
pre o secondo la sostanza o secondo il quanto o secondo il quale
o secondo il luogo (cfopoci oq oci fo cfopoov q of ot-
oiov q ofo ooov q ofo oiov q ofo foov) (200b33-34); e
sicch non ci sar n movimento n mutamento di nulla oltre i
tipi gi detti (mof otoc ivqoi otoc cfopoq ot0cvo cofoi o-
qo fo ciqqcvo) (201a1-2), mostra di pensare al mutamento cos
come al movimento, se non pi al primo che al secondo;
4) ciascuna di queste categorie che vengono predicate delle
cose in movimento appartiene a queste in un duplice modo: come
forma (oqqq) e come privazione (ofcqqoi), per cui del questo
determinato ci sar la sua forma o la sua privazione, del quale
il bianco o il nero, del quanto il compiuto o lincompiuto, se-
condo la traslazione lalto o il basso oppure il leggero o il pesan-
te. Tutti questi sono esempi di forma e privazione di ciascun mo-
do della suddetta predicazione (Phys. 201a3-9).
Mediante tali assiomi il discorso del movimento impostato
sulla base delle coppie potenza-entelechia e privazione-forma,
impostato cio come un processo che conduce lente da uno stato
di privazione della forma a uno stato il cui termine ultimo il
possesso compiuto della forma: sotto questo prolo il movimento
comincia a delinearsi come un passaggio fra due determinazioni
contrarie.
14
A questo punto Aristotele pu fornire la sua denizio-
ne generale di movimento: lentelechia di ci che in potenza in
quanto tale movimento (q fot otvoci ovfo cvfcccio, q
foiotfov, ivqoi cofiv),
15
denizione che viene specicata se-
116 GIOVANNA R. GIARDINA
13
Cf. Phys. V 2, 225b10-11; si vd. G.R. Giardina (2002), pp. 33 ss.
14
Si tratta invece del passaggio fra due contraddittori nel caso della so-
stanza, della quale secondo Aristotele c mutamento ma non movimento. Cf.
Cat. 6, 6a17-18 e De Interpr. cap. 14 oltre che cap. 6, 17a31-34. Sulla contraddi-
zione si cf. Cat. 9-10, 11b17-23. Si vd. sullargomento J.P. Anton (1957). Sul
problema dei contrari nel mutamento si cf. anche J. Bogen (1992), pp. 1-21.
15
Phys. III 1, 201a10-11, cf. D.W. Graham (1988), pp. 209-215 e, sul signi-
cato cinetico di entelechia, in questo passaggio aristotelico, si vd. Chung-Hwan
condo i quattro modi di predicazione gi enunciati, ivi compresa
la sostanza, di cui c generazione e corruzione, segno questo che
Aristotele ha ancora una volta in mente un movimento di cose co-
me sostanze, cio un movimento-mutamento. Per chiarire la sua
denizione egli propone lesempio del costruibile (fo oioooq-
fov) che, in quanto tale nel suo stato potenziale, mentre quando
in entelechia, ovvero in movimento, si costruisce (oiooocifoi)
e questo costruirsi una costruzione nel senso della costruzione
in corso (oiooo qoi).
Il primo termine dellesempio, fo oioooqfov, con la sua
stessa desinenza di aggettivo verbale, si qualica come ente in po-
tenza, come un otvofov, ma un otvofov con una sua specicit
intrinseca, come avviene sempre in Aristotele, poich questo spe-
cico otvofov si presenta come oioooqfov, cio come una casa
che si pu costruire: evidentemente, diremmo noi, si tratta di
mattoni, di pietre e cose simili. Quando questo ente potenziale,
che possiede una sua specicit, sia in entelechia, ovvero quando
si avvia il suo processo di realizzazione verso ci che esso in po-
tenza, cio verso la forma di cui privo, nella fattispecie verso
una forma di casa, allora si ha movimento, e questo particolare
movimento di cui stiamo discutendo la costruzione della casa,
cio la oioooqoi. Se avessimo ancora il dubbio di come dob-
biamo intendere questo termine, cio se dobbiamo intendere la
costruzione della casa come il processo del suo attuarsi oppure
come momento nale del suo attuarsi, cio come la casa in costru-
zione o la casa gi costruita, il dubbio ci viene subito dissolto da
quanto Aristotele ci dice subito dopo. La stessa denizione, ci di-
ce infatti Aristotele, possiamo dare ad altri movimenti, ad esem-
pio allapprendimento (o0qoi), alla guarigione (iofqctoi), alla
rotazione (tioi), al salto (ooi), alla crescita (ooqtvoi) e al-
linvecchiamento (qqovoi): tutti termini che hanno la desinenza
-oi, la quale indica la processualit, dal momento che lo Stagirita
non dice, ad esempio, iofqcio, che signica pure guarigione, ben-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 117
Chen (1958), p. 14 nota 1. Cf. anche Metaph. K 9, 1065b33, in cui si legge: q fot
otvofot oi q otvofov c vfcccio i vqoi cofiv.
s iofqctoi, che signica lesercizio della guarigione, la guarigio-
ne nel suo farsi, e cos non dice qqo, che signica la vecchiezza
nel suo stato compiuto, ma dice qqovoi che signica il processo
dellinvecchiamento. Allo stesso modo la o0qoi lapprendere
nel processo dellapprendimento mentre la o0qfcio lappren-
dimento come compiuta istruzione. Sulla base di questa termino-
logia potremmo allora dire, insieme ad Aristotele, cos: quando
chi capace di apprendere, cio colui che noi diciamo capace di
apprendere in quanto tale, si trovi in entelechia, allora sta ap-
prendendo, e questo processo lo chiamiamo apprendimento, o-
0qoi (e non o0qfcio). Lentelechia che entra in gioco nella de-
nizione del movimento, allora, non , per forza di cose, atto nel
senso dellcvcqcio, cio nel senso della compiutezza di un ente
che ha completato lacquisizione di una forma determinata, poi-
ch quando c lcvcqcio non c pi movimento e quindi non
c pi entelechia.
16
Semmai lcvcqcio presente come fco,
come termine e causa nale del movimento, cio come orienta-
mento del movimento verso una determinata forma gi realizzata.
Poich Aristotele ha denito il movimento nei termini che egli
utilizza per determinare il primo assioma, quello cio degli enti
che sono al tempo stesso in potenza e in entelechia, egli deve
adesso chiarire il suo discorso, il che gli consente anche di passare
118 GIOVANNA R. GIARDINA
16
Credo che sul signicato di cvfcccio e di cvcqcio occorra ancora di-
scutere a lungo, ma non sono daccordo, evidentemente, con chi, come M.L.
Gill (1980), p. 130 e p. 134, ritiene ed afferma che cvfcccio ed cvcqcio siano
sinonimi in Aristotele. Lintendere come sinonimi questi due termini induce a
confusione e imprecisione ermeneutica, come nel caso, ad esempio, del passag-
gio di Aristot., Phys. III 1, 201a27-29. Per quanto concerne il dibattito sul signi-
cato di cvfcccio: tale termine viene inteso nel senso di attualizzazione da
Ross (cf. la sua traduzione della Fisica del 1936, p. 536); J.L. Ackrill (1965), pp.
138-140; T. Penner (1970), pp. 427-433; invece inteso nel senso di attualit da
L.A. Kosman (1969), pp. 40-62 e (1984), pp. 121-149; J. Hintikka (1977), pp.
59-77. Per una discussione dettagliata della differenza che sussiste fra cvfcc-
cio ed cvcqcio si cf. anche L. Couloubaritsis (1997), pp. 266 ss., M.Th. Liske
(1991), pp. 161-179; Chung-Hwan Chen (1956), pp. 56-65 e (1958), pp. 12-17.
Confonde cvfcccio ed cvcqcio R. Brague (1991), pp. 107-120. Legate a que-
sto articolo di R. Brague mi sembrano poi le argomentazioni di B. Besnier
(1997), pp. 15-34.
alla coppia di termini che ci ha introdotto nel secondo assioma,
cio oiqfiov-o0qfiov, che altro non sono che ivqfiov-
ivqfov. Occorre spiegare, infatti, in che senso un ente pu dirsi
in potenza e insieme in entelechia. Ovviamente, un ente, se guar-
dato sotto il medesimo rispetto, non pu possedere contempora-
neamente due determinazioni contrarie, ma per farci comprende-
re la sua espressione Aristotele ricorre allesempio del caldo e del
freddo: uno stesso ente pu essere caldo in potenza e freddo in
entelechia, nel senso che una cosa fredda che sta diventando
calda. Questo provoca una reciprocit di azione e passione, per-
ch nella stessa cosa il caldo agisce sul freddo e questultimo subi-
sce il caldo di modo che nella cosa si va realizzando ci che in
potenza. Se Aristotele, anzich dire 0cqov cv otvoci tqov oc
cvfcccio avesse detto 0cqov cv otvoci tqov oc cvcqcio,
nel senso cio che lente fosse in atto freddo e per nulla caldo, al-
lora la qualit in potenza dellente, cio il caldo, sarebbe stata sol-
tanto in potenza e neppure dinamicamente in atto, cio in entele-
chia, per cui non ci sarebbe stata alcuna reciprocit di azione-pas-
sione fra qualit contrarie e, di conseguenza, non ci sarebbe alcun
movimento. Al contrario, nellente che diventa caldo, il freddo c
ancora, anche se non pi freddo in atto, perch il caldo in po-
tenza comincia a realizzarsi: e questo ci risulter evidente da ci
che Aristotele ci dir fra poco, alle li. 201b5-15. Questo rapporto
di qualit contrarie, che nellesempio sono caldo-freddo, rende
possibile lagire e il patire di uno stesso ente contemporaneamen-
te (oo), perch se vero che uno stesso ente non contempora-
neamente e sotto il medesimo rispetto caldo e freddo, tuttavia la-
gire delluno , contemporaneamente, in esso, il patire dellaltro.
17
Questo ci introduce al rapporto motore-mobile. Nella frase suc-
cessiva, infatti, Aristotele trae la conseguenza del suo ragionamen-
to dicendo: sicch anche ci che muove nellambito degli enti
naturali mobile (mofc oi fo ivotv qtoim ivqfov), perch
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 119
17
Aristotele non avrebbe potuto dirci freddo in potenza e freddo in entele-
chia, perch se freddo in entelechia non lo pi solo in potenza. Ci che lente
in entelechia, in questo caso freddo, lindicazione di un movimento, sia che
sia agito sia che sia subito.
tutto ci che siffatto muove essendo esso stesso in movimento
(ov oq fo foiotfov ivci ivotcvov oi otfo ).
18
Unica avver-
tenza di Aristotele che questo non vale sempre, perch esiste an-
che un motore immobile, il cui studio oggetto di altre trattazio-
ni. La conclusione quindi che: lentelechia di ci che in po-
tenza, quando, essendo in entelechia, opera
19
non in quanto
quello che ma in quanto mobile, movimento (q oc fot otvoci
ovfo cvfcccio, ofov cvfcccio ov cvcqq ot q otfo o q
ivqfov, ivqoi cofiv).
20
Il movimento si realizza quando un
ente in potenza opera non in quanto se stesso, cio in quanto
puramente in potenza ci che pu divenire, ma quando, essendo
in entelechia, sta realizzando la sua potenza, cio mobile o come
ci che si sta costruendo, o come colui che sta apprendendo o co-
me colui che sta guarendo, eccetera. Limportanza del fatto che
lente deve essere in potenza e in entelechia contemporaneamente
risiede in questo: se lente visto in se stesso, cio come atto com-
piuto o come pura potenza, per cui non in fase di attuazione,
non ha movimento alcuno, perch ha movimento solo quando la
potenza si sta realizzando, per cui in entelechia, in quanto, non
essendo ancora del tutto realizzato, ancora in potenza. E se ci
sono contemporaneamente la potenza e lentelechia c, contem-
poraneamente, la reciprocit dellagire e del patire, perci ci sono
tutte le condizioni del movimento, cio il movimento stesso e la
sua causa.
Come se il discorso non fosse gi di per s chiaro, Aristotele
precisa ancora quanto ha detto: la sua preoccupazione quella di
far capire che cosa sia propriamente il potenziale, il otvofov di
cui lentelechia movimento. Innanzi tutto, quindi, egli chiarisce
in che senso dice dellente in potenza in quanto se stesso. Il
bronzo , ad esempio, una statua in potenza, ma il movimento del
bronzo che diviene statua non affatto entelechia del bronzo co-
me bronzo, perch il bronzo in potenza soltanto se stesso e
120 GIOVANNA R. GIARDINA
18
Phys. III 1, 201a23-25.
19
Qui il verbo indica unazione processuale dellente intesa allattuazione
della sua potenza.
20
Cf. Phys. III 1, 201a27-29.
niente altro, cio ci che in atto, cio bronzo, e ci che in
potenza nel senso della pura possibilit di diventare statua: nellu-
no e nellaltro caso non c alcun movimento del bronzo e questo
bronzo, visto in questi termini, non diverr mai una statua, per
cui non ci sar alcun movimento. Al contrario, il bronzo non an-
cora formato come statua diverr bronzo formato come statua
qualora lo si consideri dal punto di vista della sua mobilit speci-
ca di divenire statua, cio se lo si consideri, in ultima analisi, co-
me un potenziale privativo.
21
Infatti, il bronzo in potenza, che al-
tro non che bronzo, e il bronzo come potenziale privativo, ci
che capace di patire il movimento specico di divenire statua,
non sono la stessa cosa:
22
allora lentelechia di un potenziale-pri-
vativo movimento, cio movimento il realizzarsi verso una for-
ma compiuta di statua di un bronzo che non considerato sotto
laspetto del fatto che bronzo, bens sotto laspetto di ci che
capace di acquisire la forma di statua, quindi come mobile. Se il
bronzo in potenza, cio il bronzo come bronzo, e il bronzo come
mobile, cio il bronzo come ci che capace di patire il movi-
mento specico di divenire statua, fossero la stessa cosa in senso
assoluto e secondo la denizione, allora s, sarebbe movimento
lentelechia del bronzo in quanto bronzo. Ma non cos, ed
chiaro dai contrari, perch il poter essere in buona salute e il po-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 121
21
Cf. anche M.L. Gill (1980), p. 132.
22
Nel De aeternitate mundi contra Aristotelem, anticipando un argomen-
to che riprender nel pi tardo De opicio mundi, Giovanni Filopono attacca
largomento aristotelico delleternit del mondo distinguendo giustamente i con-
trari in contrari propri e contrari privativi. I contrari propri, infatti, come ad
esempio caldo-freddo, umido-secco, bianco-nero, non possono essere considera-
ti alla stessa stregua dei contrari privativi, come ad esempio uomo-non uomo.
Da qui Filopono obiettava ad Aristotele lerrore di avere considerato per il cielo
un contrario proprio al moto circolare, contrario che non esiste, ma di non aver
considerato il suo contrario privativo: limmobilit, cf. G.R. Giardina (1999),
p. 29. In effetti, questa lezione aristotelica abbastanza chiara gi a partire dal I
libro della Fisica, perch nel cap. 7 di questo libro, in cui Aristotele fonda la sua
teoria del divenire, proprio la predicazione privativa che consente di stabilire
che il sostrato, nel divenire di una sostanza, gi qualcosa di sostanziale privo
della forma che acquisir dopo il processo di divenire, cf. G.R. Giardina (2002),
pp. 107-108.
ter essere malato non sono la stessa cosa, e comunque il soggetto
(fo tocicvov), di cui si afferma il sano o il malato, unico e lo
stesso (fotfo v oi c v).
In altri termini, il problema quello di comprendere che cosa
sia il otvofov in questione. Infatti, il bronzo un otvofov, in
quanto in potenza una statua o qualsiasi altra cosa fatta di que-
sto materiale. Se noi pensiamo al bronzo in quanto bronzo, allora
la sua entelechia non sar un diventare statua, perch il bronzo in
quanto bronzo non un otvofov specicamente indirizzato ad as-
sumere la forma di statua, ma o un ente in atto, perfettamente
compiuto in se stesso, perch appunto bronzo, oppure un en-
te che in potenza pu essere qualsiasi cosa e non necessariamente
una statua. Ma se noi pensiamo al bronzo come un otvofov in
funzione di un ne determinato, del fco di statua, allora questo
bronzo in potenza una statua e la sua entelechia di bronzo po-
tenzialmente statua movimento verso la realizzazione della sta-
tua. Allo stesso modo potremo dire, ad esempio, che lentelechia
del legno non in quanto tale, ma in quanto in potenza un letto,
sar il movimento della realizzazione del letto, e cos via. Questo
otvofov , quindi, un mobile nel senso di qualcosa che gi
orientato verso lacquisizione di una forma,
23
che il suo ne e
che potenzialmente contenuta nellente stesso, una forma che,
come vedremo fra poco, ha bisogno di un ente esterno per poter
essere realizzata.
Da quanto si detto appare chiaro che, per comprendere il
discorso che Aristotele fa sul movimento, occorre tenere presente
quanto ci ha insegnato nel libro I della Fisica. Aristotele ha in
mente un divenire dellente che si fonda su tre principi: il sogget-
to, la privazione e la forma. Che con il problema del movimento
egli abbia in mente il problema di come questo divenire, fondato
su questi tre principi, divenga, cio come il soggetto passi dal suo
stato privativo al suo stato di compiuto possesso della forma,
chiaro sia da questi passaggi che ho appena analizzato, in cui Ari-
stotele si preoccupa di denire il otvofov (per cui, ad un certo
122 GIOVANNA R. GIARDINA
23
Cf. R. Brague (1991), p. 117.
punto, utilizzando la terminologia del I libro, ci spiega che il sog-
getto, fo tocicvov, comunque uno e lo stesso anche se si af-
ferma di esso che sano e malato), sia dal secondo capitolo di
questo libro III. Infatti, la critica che Aristotele indirizza ai Pita-
gorici e a Platone,
24
a causa del loro modo di collocare il movi-
mento, gli funzionale a chiarire meglio il discorso, perch gli
consente di mostrare che costoro hanno posto il movimento fra i
principi della seconda otofoiio (dicendo che esso alterit, di-
suguaglianza e non essere),
25
in quanto sembrato loro essere
qualcosa di indenito alla stessa maniera di quei principi, che ap-
paiono indeniti per il fatto che sono privativi (oio fo ofcqqfioi
civoi ooqiofoi).
26
Il problema di Aristotele qui quello di diffe-
renziare la potenza dalla privazione, che sotto certi aspetti potreb-
bero sembrare la stessa cosa, perch lente in potenza una so-
stanza, e quindi composto di materia e forma, e inoltre, in quanto
in potenza, gi orientato verso qualcosa, nella misura in cui,
ad esempio, il legno in potenza un letto o un tavolo o una sedia
eccetera, ma non , ad esempio, in potenza un uomo. La priva-
zione, in quanto privazione, sotto certi aspetti una potenza, per-
ch , ad esempio, il legno che pu divenire un letto, ma non
una semplice potenza, perch il legno che pu essere un letto e
non unaltra cosa, quindi lente visto sotto laspetto particolare
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 123
24
Cf. Plat., Soph. 256d-e e Tim. 57e-58c.
25
Si tratta di unallusione alle due colonne di termini opposti di origine pi-
tagorica, di cui i termini delluna erano quelli positivi e i termini dellaltra erano
quelli negativi o privativi. In Metaph. A 5, 986a22-26, Aristotele riporta le cop-
pie che compongono le due colonne di termini opposti: limite-illimitato, dispari-
pari, uno-multiplo, destra-sinistra, maschio-femmina, in riposo-mosso, retto-cur-
vo, luce-tenebra, bene-male, quadrato-rettangolo. Tuttavia, come fa notare F.
De Gandt (1991), p. 87, in questa lista non c la coppia essere-non essere, come
ci si aspetterebbe dallaffermazione che Aristotele fa in Phys. III 2, 201b15-21,
secondo cui il movimento sarebbe alterit, disuguaglianza e non-essere.
26
Cf. Metaph. O 6, 1048b29-35. Aristotele dice che nessuno dei principi di
questa seconda colonna appartiene ad alcuna delle categorie. alquanto curioso
che Aristotele dica che tutti i termini della seconda colonna non appartengano
ad alcun genere. Filopono, In Phys. 365,10 fa notare questa difcolt. Si pu tut-
tavia comprendere il testo nel senso che lalterit, la disuguaglianza e il non esse-
re non appartengano a nessun genere, ed escludere gli altri principi.
del poter essere specicamente qualcosa e non unaltra, anches-
sa possibile a livello potenziale. allora la privazione che consen-
te il movimento e non la potenza in quanto tale, per cui il movi-
mento sar entelechia del mobile e non di ci che in potenza
tout court.
27
Ma occorre fare un piccolo passo indietro. Dopo aver chiarito
in che senso occorra considerare lente in potenza di cui lentele-
chia sia movimento, Aristotele ritorna a chiarire il senso dellente
che essendo in entelechia opera, di cui aveva parlato alla li.
201a28 (ofov cvfcccio ov cvcqq ) e in cui risiede il senso del-
lentelechia e della compresenza di potenza ed entelechia in un
medesimo ente. Afferma infatti Aristotele: che dunque il movi-
mento sia questo e che accada che, allora c movimento, quando
lentelechia sia questa, e n prima n dopo, chiaro (ofi cv otv
cofiv otfq, oi ofi otpoivci fofc ivcio0oi ofov q cvfcccio
q otfq, oi otfc qofcqov otfc tofcqov, oqov).
28
Quindi, non
solo si ha movimento a certe condizioni dellentelechia, ma non
c movimento n prima n dopo che lentelechia agisca nel modo
che si detto. Il prima e il dopo, infatti, come si scoprir nel cor-
so di Phys. V 1-2, sono i due momenti del mutamento, momento
della privazione il prima e della forma il dopo, mentre il movi-
mento ci che collega questi due momenti realizzando il passag-
gio dalluno allaltro. Ma vediamo meglio che cosa sia questo agi-
124 GIOVANNA R. GIARDINA
27
F. De Gandt (1991), p. 86, nota acutamente che in Phys. III 2 Aristotele
invoca lopinione dei pensatori che lo hanno preceduto (senza nominarli), cosa
che gli perfettamente abituale, ma che questo breve ripasso storico in questo
caso non situato prima del testo in cui Aristotele fornisce la sua visione perso-
nale sullargomento. Al contrario, prima di Phys. III 2, Aristotele ha gi denito
il movimento. Dabitude scrive De Gandt lhistoria est un pralable lta-
blissement correct des principes, ici elle est place aprs la dnition, pour mon-
trer que celle-ci est bien adquate et faire comprendre pourquoi il a fallu formu-
ler une dnition aussi trange et contourne. Cest que le mouvement lui mme
est une entit si trange. Ma la motivazione per cui Aristotele pone a questo
punto il riferimento a Pitagorici e Platonici consiste nel fatto che, proprio a que-
sto punto, lo Stagirita ha di fronte a s la difcolt di far comprendere quale sia
la differenza fra la potenza e la privazione.
28
Phys. III 1, 201b5-7.
re dellente che in entelechia. Infatti ci dice Aristotele cia-
scuna cosa ammette talvolta di operare e talvolta no (cvoccfoi
oq coofov ofc cv cvcqciv ofc oc q ), ad esempio ci che
costruibile e lattuazione di ci che costruibile (oiov fo oio-
ooqfov, oi q fot oioooqfot cvcqcio), in quanto costruibile
(q oioooqfov), la costruzione (oioooqoi cofiv), perch la
costruzione lattuazione di ci che costruibile oppure la casa
(q oq oioooqoi q cvcqcio fot oioooqfot q q oiio), ma
quando c la casa non c pi il costruibile (o ofov oiio q,
otcf oioooqfov cofiv), mentre ci che costruibile si costrui-
sce (oiooocifoi oc fo oioooqfov).
29
In altri termini: dobbia-
mo distinguere ci che costruibile nel senso del otvofo v di cui si
detto cio nel senso di un ente in potenza che, tuttavia, contie-
ne in se stesso lorientamento verso lacquisizione di una forma
possibile piuttosto che di unaltra, la quale rientra ugualmente
nella sua capacit o possibilit , e latto che riguarda questo ente
costruibile che, da una parte la costruzione della casa, oioooq-
oi, e dallaltra parte la casa, oiio. Tuttavia, lcvcqcio nel sen-
so della casa uncvcqcio che ha eliminato totalmente lente po-
tenziale, cio il costruibile, loioooqfov, mentre quando laspet-
to potenziale dellente non stato eliminato, perch non ha anco-
ra compiutamente acquisito la forma che esso acquisir alla ne
del movimento in cui coinvolto, allora c un operare che il co-
struibile nel suo venire costruito, oiooocifoi oc fo oioooqfo v,
quindi c unc vcqcio nel senso di cvcqci v (li. 201b8, cf. cvcqq
di 201a28), cio un processo dellente inteso allattuazione della
sua potenza.
30
Al contrario, quando c la casa, lente non ammet-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 125
29
Phys. III 1, 201b7-12.
30
Ha torto, quindi, A. Stevens che traduce lespressione oiooocifoi oc fo
oioooqfov con le costructible qui est en train dtre construit, perch con
questa traduzione mostra di aderire alla concezione di Couloubaritsis (1997),
pp. 276-279, relativa allentelechia. Questultimo distingue, infatti, in Aristotele,
sulla base del De anima, unentelechia prima e unentelechia seconda esempli-
cate dagli esempi di colui che possiede una scienza e non ne fa uso e di colui che
possiede una scienza e ne fa uso. Per Couloubaritsis, infatti, lo stato in potenza
di questo esempio lignoranza, cio la possibilit pura di acquisire scienza.
Questo tipo di concezione dellentelechia in Aristotele viene intesa da Coulou-
te loperare, cio il caso detto da Aristotele con le parole ofc oc
q. allora in questa processualit che sta il movimento, n pri-
ma n dopo, cio n nel costruibile in quanto pura potenza n
nella casa come forma realizzata di quella potenza, bens nel co-
struibile che si va costruendo.
necessario quindi, conclude Aristotele, che la costruzione
della casa sia atto, oioooqoi = cvcqcio, e che sia un tipo di
movimento, oioooqoi = ivqoi fi, quello cio della costru-
zione. Per la propriet transitiva possiamo dire, allora, che cvcq-
cio = ivqoi, ma con laccorgimento che Aristotele ci ha inse-
gnato proprio in queste linee, e cio non nel senso della casa gi
costruita, che il caso in cui lente non ammette di operare (cvoc-
cfoi oq coofov cvcqciv ofc oc q), ma nel senso della co-
126 GIOVANNA R. GIARDINA
baritsis come lavere in s il telos, e tuttavia mi sembra che lente in entelechia
possieda in s il telos in modo molto potenziale. In altri termini, se prendiamo
lesempio non aristotelico della maternit: una donna madre in potenza quan-
do non ha gli, madre in atto, nel senso dellcvcqcio, quando ha gli nati, e ma-
dre in entelechia, io credo, quando ha in s il telos nel senso di essere gravida del
glio. In questo senso, dal punto di vista della maternit, la donna in ben altro
stato che quello di essere madre in potenza ed esserlo in atto. Inoltre, vero che
per Aristotele la potenzialit non mai pura potenzialit, perch altrimenti la
materia bronzo, ad esempio, potrebbe essere madre. Al contrario, risiede gi
nello stato potenziale dellente una potenzialit orientata, cio la possibilit di
mutare in tutta una serie di cose e non in altre. Per cui, ridurre lentelechia nel
senso di avere in s il telos, come intende Couloubaritsis, mi sembra ridurre len-
telechia alla potenza aristotelica. Allo stesso modo, lo stato di chi possiede una
scienza e la esercita mi sembra lo stato del motore che muove, cio uncvcqcio,
una attuazione compiuta. Se, seguendo il nostro esempio, la donna in potenza
madre fosse in entelechia nel senso di avere semplicemente in s il telos della
maternit, tale donna non sarebbe affatto in movimento. Ma tale donna sar nel
movimento specicamente orientato verso una maternit compiuta quando sar
gravida del glio: questo il movimento volto alla maternit! Del resto, Aristote-
le nellespressione oiooocifoi oc fo oioooqfov usa il verbo che indica lazio-
ne della costruzione e non lo stato immobile della materia, che pu ricevere la
forma di casa in procinto di ricevere tale forma. La nozione di stare per riceve-
re indica un futuro, quindi il movimento non ancora iniziato. Se tale fosse
lentelechia, Aristotele starebbe denendo il movimento mediante uno stato del-
lente che ci mostra lente immobile e questo non avrebbe senso, perch la de-
nizione nirebbe per non dire nulla di ci che vuole denire, ben lungi dal dir-
cene lessenza.
struzione della casa, che il caso in cui lente ammette di operare
(cvoc cfoi o q c oofov ofc c v cvcqciv ).
Quanto segue nel secondo capitolo di questo III libro della
Fisica ci conferma in questa lettura e aggiunge delle sfumature al
nostro discorso. La prova che Aristotele non intende identicare
qui il movimento con lcvcqcio nel senso di atto perfetto e quin-
di lentelechia con lcvcqcio sta, del resto, in unaffermazione
che segue a breve distanza, alle li. 201b27-29. Traendo le conse-
guenze che la sua critica ai Pitagorici e a Platone gli offre, Aristo-
tele ci spiega in che senso il movimento sembri indenito (oociv
ooqiofov civoi): il motivo che il movimento non risiede in senso
assoluto, om,
31
n nella otvoi n nellcvcqcio. Il movimen-
to, infatti, sembra essere un certo atto, ma incompiuto (q fc
ivqoi cvcqcio cv civoi fi ooci, ofcq oc ).
32
Il movimen-
to, quindi, propriamente cvfcccio, che non pi otvoi e
non ancora cvcqcio. Di fatto, lcvfcccio altro non che una
cvcqcio ofcq, cio un atto incompiuto, ed incompiuto per-
ch ancora presente il potenziale, il otvofov, come nelloio-
ooqoi c ancora loioooqfov. Per questo motivo, prosegue
ancora Aristotele, difcile concepire il movimento nel suo che
cos (fi cofiv): proprio perch, aggiungeremmo noi, sta in
qualcosa che non pi e non ancora, perch non pi in poten-
za e non ancora in atto. necessario collocare il movimento
prosegue Aristotele o nella privazione, o nella potenza o nellat-
to puro (ed ecco ancora una volta intervenire la triade dei princi-
pi del divenire, privazione-soggetto-forma), ma nessuna di queste
tre operazioni consentita:
33
qui Aristotele sta mettendo sul tavo-
lo gli stati dellente che corrispondono ai tre principi del primo li-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 127
31
H. Carteron, nella sua edizione della Fisica, ad. loc. presenta in aggiunta
om, cio in modo assoluto. Questa lezione meglio attestata nei manoscrit-
ti, anche se Ross ha scelto la versione che sopprime questo termine. Pellegrin lo
conserva e cos Zanatta e anche a me pare che vada conservato ai ni di una mi-
gliore comprensione del testo.
32
Phys. III 2, 201b31.
33
Phys. III 2, 201b33-35: q oq ci ofcqqoiv ovooiov 0civoi q ci otvoiv
q ci c vcqciov oq v, fot fmv o otoc v qoivcfoi c voco cvov.
bro (privazione-soggetto-forma), ed interessante che citi lo stato
di compiuto possesso della forma con un aggettivo di accompa-
gnamento che ci aiuta a distinguerlo ancora una volta nei suoi
aspetti diversi, perch si tratta qui dellcvcqcio oq e non del-
lcvcqcio ofcq. In altri termini, nellcvcqcio ofcq c movi-
mento, mentre nellcvcqcio oq non c, e questo conferma an-
cor di pi linterpretazione che abbiamo dato dellultimo passag-
gio di Phys. III 1.
Resta quindi il modo che si detto (o ciqqcvo fqoo), ci
dice Aristotele, cio che il movimento una certa cvcqcio, ma
uncvcqcio tale quale si detto, difcile a vedersi ma che tutta-
via sussiste.
34
A questo punto, dopo aver denito il movimento, Aristotele
ce lo mostra in concreto, introducendo il rapporto fra motore e
mobile che, no ad ora, aveva soltanto sorato. In questo passag-
gio nale di Phys. III 2 ci imbattiamo nella causa motrice. Ma,
prima di iniziare questo discorso, utile riepilogare quanto n
qui si detto sul movimento.
Nel libro I della Fisica Aristotele ci ha presentato il mondo
della natura come il mondo degli enti in divenire e ci ha spiegato
questo divenire come un processo fondato su tre principi sog-
getto, privazione e forma , per cui il divenire sarebbe un proces-
so completo che comprende un passaggio di un soggetto, che nel
passaggio permane, da un suo stato privativo di una forma deter-
minata a uno stato di possesso di tale forma. Tale divenire, ivc-
o0oi, ci presentato come un c oot oo o come un c cfcqot
cfcqov. Nel libro III, poi, Aristotele mostra concretamente co-
me il divenire si realizzi, cio come un oo o un cfcqov divenga
c oot o c cfcqot. La denizione completa di che cosa sia
questo come, cio di che cosa sia il movimento, quella di
Phys. III 1, 201a27-29 di cui ho gi parlato: ma <lentelechia> di
ci che in potenza, quando, essendo in entelechia, agisce non in
quanto quello che ma in quanto mobile, movimento (q oc
128 GIOVANNA R. GIARDINA
34
Phys. III 2, 201b35-202a3: cvcqciov cv fivo civoi, foiotfqv o cvcq-
ciov oiov ciocv, ocqv cv i ociv, cvococ vqv o ci voi.
fot otvoci ovfo cvfcccio, ofov cvfcccio ov cvcqq ot q
otfo o q ivqfov, ivqoi cofiv).
35
Chiariti i termini che co-
stituiscono questa denizione, diviene chiaro quello che, secondo
Aristotele, movimento: movimento entelechia di un otvofov
nel senso che agisce in quanto ivqfov. Questo vuole specicare
sia il modo in cui dobbiamo intendere il otvofov sia il modo in
cui dobbiamo intendere lentelechia, cio come una certa cvcq-
cio. Abbiamo visto il primo, cio il otvofov. Dallanalisi dei pas-
saggi Phys. III 1, 201a29-201b5 e Phys. III 2, 201b16-27 abbiamo
visto che non possibile considerare lente in potenza nel senso
di ci che ha capacit di accogliere questa o quella forma, perch
in questo senso esso non ammette alcun movimento (cf. Phys. III
2, 201b34-35), ma dobbiamo vederlo come specicamente predi-
sposto ad accogliere una forma specica, e cio come un poten-
ziale privativo. Esso, quindi, non sar bronzo come otvofov-t-
ocicvov, ma sar bronzo come ivqfov, ad esempio come spe-
cicamente predisposto ad accogliere la forma di statua di cui
privo. Lentelechia di questo il movimento verso la formazione
della statua, che in un certo senso una cvcqcio. Dai passaggi
Phys. III 1, 201b5-13 e Phys. III 2, 201b27-202a3 si appreso
quali siano i due sensi dellcvcqcio e in quale dei due risieda
lentelechia. Lcvcqcio pu essere intesa in due sensi, o come co-
struzione di ci che costruibile, oioooqoi delloioooqfov,
oppure il risultato della costruzione, cio come casa, oiio: in
questo secondo caso c un atto compiuto, cio la casa, e non c
pi laspetto potenziale, loioooqfov, quindi siamo davanti ad
una cvcqcio oq; nel primo caso, invece, abbiamo uncvcqcio
che non ha ancora eliminato il potenziale, loioooqfov, per cui
uncvcqcio ofcq, in questo secondo caso abbiamo il costruibi-
le che si va costruendo, oiooocifoi oc fo oioooqfov, e abbia-
mo quindi la costruzione, oioooqoi, nel senso di movimento
del costruire, cio entelechia. In ultima analisi, il movimento
uncvcqcio ofcq = cvfcccio di un ivqfov specicamente
inteso.
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 129
35
Phys. III 1, 201a27-29.
Causa motrice in Phys. III 2-3: 202a3-b29
Dopo aver denito il movimento e aver chiarito tutte le parti
della denizione di esso, Aristotele passa, alla ne di Phys. III 2, a
mostrare come il movimento avvenga e, anzitutto, come esso na-
sca da una relazione fra motore e mosso: si muove poi, come si
detto (mocq ciqqfoi) scrive Aristotele , anche ci che muove
(ivcifoi oc oi fo ivotv), <e cio il motore che muove> tutto
ci che quando in potenza mobile (ov fo otvoci ov ivqfov)
e la cui assenza di movimento quiete (oi ot q oivqoio qqcio
cofiv), perch lassenza di movimento quiete per quellente per
il quale il movimento sussiste (m oq q ivqoi toqci, fotfot q
oivqoio qqcio).
36
Infatti, in relazione a questo (scil. in relazione
130 GIOVANNA R. GIARDINA
36
Questo passaggio, cio Phys. III 2, 202a3-5, presenta qualche difcolt,
infatti Ross e Carteron, nelle loro edizioni della Fisica, adottano una punteggia-
tura differente, fornendo di conseguenza una propria interpretazione del testo.
Taluni traduttori, infatti, fra i quali lo stesso Carteron, attribuiscono lespressio-
ne ov fo otvoci ov ivqfov al motore, per il fatto che Aristotele, dicendo
mocq ciqqfoi alla linea precedente, si riferisce evidentemente a qualcosa che ha
gi detto, che potrebbe essere identicato verosimilmente con Phys. III 1,
201a23-24, e cio con lespressione fo ivotv qtoim ivqfov. In realt, per,
con il passaggio nale di Phys. III 2, Aristotele sta preparando largomento che
svilupper nel capitolo 3, e cio quello del rapporto tra il motore e il mobile, per
cui, da questo momento in poi, il motore e il mobile sono nettamente distinti e il
motore in potenza viene sempre indicato con ci che capace di muovere e
mai con il mobile. Il motore in potenza quindi ivqfiov e non ivqfov. Non a
caso, infatti, Aspasio propone di cambiare il ivqfov della li. 202a4 con ivq-
fiov. In realt, lespressione che Aristotele ha usato in Phys. III 1, 201a23-24,
cio fo ivotv qtoim ivqfov, ha un senso in quello specico contesto, perch
Aristotele ha necessit l di distinguere un motore mobile da un motore che, pur
essendo motore, tuttavia immobile, mentre nel contesto che stiamo analizzan-
do, cio III 2, 202a3-4, Aristotele ha interesse a mettere in evidenza il rapporto
che sussiste tra motore e mobile. Se lespressione ov fo otvoci ov ivqfov non
si riferisse al mobile, rimarrebbe anche incomprensibile il qo fotfo che segue
alle li. 202a5-6 e che indica proprio il mobile in relazione al quale lagire del mo-
tore movimento. Con lespressione qo fotfo, Aristotele esprime bene la con-
dizione del secondo assioma sul movimento, di cui si occupa da questo momen-
to in poi, e cio che il movimento nasce da una relazione. Quindi, qo fotfo in-
dica lagire del motore sul mobile, cio su ci con cui il motore deve essere in re-
lazione per avviare il movimento.
al mobile)
37
continua Aristotele , loperare in quanto tale il
muovere stesso (fo oq qo fotfo cvcqciv, q foiotfov, otfo fo
ivciv cofi); questo poi (scil. il motore) agisce per contatto, sic-
ch contemporaneamente anche patisce (fotfo oc oici 0ici,
mofc oo oi ooci), perci il movimento entelechia del mobi-
le, in quanto mobile, e questo avviene per contatto di ci che
capace di muovere, sicch contemporaneamente anche patisce
(oio q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otpoivci oc
fot fo 0ici fot ivqfiot , mo0 o o oi o oci).
38
In questo passaggio Aristotele sta traendo le la del discorso
che ha n qui fatto, mostrando al tempo stesso la vera natura del
movimento come relazione fra motore e mosso, e quindi metten-
do sul tappeto direttamente la causa motrice. Il motore agisce su
un otvofov che un ivqfov, come abbiamo gi detto, cio su un
ente la cui potenzialit corrisponde allessere privo di una speci-
ca forma che atto ad acquisire, e loperare del motore su questo
ente in potenza concepito in questo modo, q foiotfov, il muo-
vere stesso. In altri termini, per il motore cvcqci v = ivci v e que-
sto operare avviene per contatto, per cui c anche una compre-
senza di agire e patire, come avveniva nellesempio del caldo e del
freddo che spiegava la compresenza di potenza ed entelechia nel-
lo stesso ente della quale si tratta nel primo assioma (Phys. III 1,
201a19 ss.). Riassumendo, quindi, per quanto concerne il motore
le cose stanno in questo modo:
fo ivotv: cvcqciv = ivciv = oiciv/oociv (la condizione
il contatto).
La denizione del movimento pu essere, quindi, riformulata
in questo modo: il movimento entelechia del mobile in quanto
mobile, ed esso avviene per contatto di ci che capace di muo-
vere, sicch <questultimo> contemporaneamente anche patisce
(q ivqoi cvfcccio fot ivqfot, q ivqfov, otpoivci oc fotfo
0ici fot ivqfiot, mo0 oo oi ooci).
39
Schematizzando an-
cora si ha la seguente formulazione:
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 131
37
Cf. la nota precedente.
38
Phys. III 2, 202a3-9.
39
Phys. III 2, 202a7-9.
ivqoi = cvcqci v = ivci v = oici v/oociv del motore
ivqoi = cvfcccio = ivcio0oi = oociv del mobile
A questo punto la causa motrice, riaforata nella relazione
motore-mosso, ci viene esplicitata ulteriormente nella conclusione
del capitolo. Scrive infatti Aristotele: ma ci che muove (fo i-
votv) porter sempre una certa forma (cioo oc oci oiocfoi fi),
cio o un questo determinato, o un quale, o un quanto (qfoi fooc
q foiovoc q fooovoc), che sar principio e causa del movimento (o
cofoi oqq oi oifiov fq ivqocm), qualora <il motore> muova
(ofov ivq), ad esempio luomo in entelechia crea, dalluomo che
in potenza, luomo (oiov o cvfcccio ov0qmo oici c fot
otvoci ovfo ov0qmot ov0qmov).
40
Questo passaggio estremamente interessante per compren-
dere il pensiero di Aristotele, perch in esso scopriamo che, per
un certo verso, il motore, fo ivotv, causa motrice, perch ci
che trasmette una certa forma, cioo fi, che Aristotele spiega se-
condo quelle che sono le categorie del mutamento, cio sostanza,
quantit, qualit. Ciascuna di queste forme detta oqq oi
oifiov fq ivqocm, quindi fo ivotv pu benissimo essere de-
nito come o0cv q oqq fq cfopoq, oppure come o0cv q ivq-
oi, come Aristotele ha pi volte denito la causa motrice in Phys.
II. Del resto, lo stesso Aristotele ci ha detto della causa motrice
che, in generale, ci che agisce, fo oiotv, nel senso di soggetto
agente.
41
Daltra parte, per, molto contestabile asserire che la
forma stessa ad essere causa motrice, come sembrerebbe evincersi
dal fatto che Aristotele afferma che il motore trasferisce sempre
uncioo fi, che esso stesso principio e causa di movimento, oq-
q oi oifiov fq ivqocm.
42
Questo discorso, infatti, si deve ri-
132 GIOVANNA R. GIARDINA
40
Phys. III 2, 202a9-12.
41
Cf. Phys. II 3, 195a22.
42
Nel libro G.R. Giardina (2002) pp. 133-134, riettendo su Phys. V 1,
224a34-224b8 ho scritto, sottolineando limportanza di questo passo, che occor-
re in primo luogo notare la considerazione di Aristotele secondo cui la forma, il
luogo e la quantit non sono n motori n mossi. Dopo aver distinto, infatti, tre
importanti termini del movimento, e precisamente ci che si muove, ovvero fo
cv o, ci a partire da cui si muove, ovvero fo o c ot, e ci verso cui si muove,
collegare con quanto Aristotele ci ha detto in Phys. II 7, 198a24-
26. In quelle linee, invero, egli ci aveva avvertito che tre delle cau-
se spesso si raccolgono in una sola (cqcfoi oc fo fqio ci [fo] cv
ooi), perch il che cos e il ci in vista di cui sono una
sola causa, e il ci da cui come primo deriva il movimento per
specie identico a queste (fo o o0cv q ivqoi qmfov fm cioci
fotfo fotfoi), infatti un uomo genera un uomo. In questo ragio-
namento la causa motrice appare s specicamente identica a cau-
sa formale e causa nale, ma questo non signica che tutte e tre le
cause siano la stessa identica cosa. Infatti, nellesempio delluomo
che genera luomo, letto come ci viene esposto alla ne di Phys.
III 2, cio luomo in entelechia crea, dalluomo che in potenza,
luomo, luomo in entelechia specicamente identico alluomo
in potenza che diviene uomo in atto, ma fra luno e laltro c una
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 133
ovvero fo o ci o, Aristotele pone la sua attenzione sul ivotv e sul ivotcvov,
cio sul motore e sul mosso. La cosa importante che Aristotele afferma nella
Fisica che il movimento avviene secondo la qualit, secondo la quantit e secon-
do il luogo, termini che in questo passaggio sono espressi quando dice infatti
n muovono n si muovono la forma, il luogo e il quanto determinato, ma non
avviene secondo la sostanza. In altre parole, secondo la sostanza non c movi-
mento, ma c solo mutamento, ossia generazione o corruzione. In questo pas-
saggio noi ne troviamo la spiegazione, perch scopriamo che n la qualit, n la
quantit n il luogo agiscono o subiscono il movimento, mentre ad agire o subire
il movimento ci che si muove (lente), cio il fo cv o di cui Aristotele ha par-
lato qualche linea prima. In altri termini, come ho gi spiegato pi diffusamente
nel volume gi citato, possiamo dire con Aristotele che c movimento nella
sostanza, ma non che c movimento della sostanza. Questo ci spiega meglio
anche il rapporto che intercorre fra movimento e mutamento, dal momento che
della sostanza, secondo Aristotele, c mutamento. Quando un ente nasce o
muore evidente che c un movimento, tuttavia Aristotele sembrerebbe esclu-
dere questa ipotesi, ammettendo soltanto il mutamento come generazione e cor-
ruzione. Ci accade perch, propriamente, generazione e corruzione, sono mu-
tamenti della sostanza. In realt, se ammettiamo che il movimento un pro-
cesso e che quindi, in rapporto al mutamento e, in generale, al divenire, rappre-
senta il loro realizzarsi, cio il dinamismo che realizza il mutamento o il divenire,
possiamo comprendere facilmente come vi sia mutamento della sostanza, e
quindi come Aristotele ammetta che un tipo di cfopoq sia appunto quella se-
condo la sostanza, ossia generazione e corruzione, ma come non vi sia movimen-
to della sostanza, perch la sostanza stessa ad agire o subire il movimento: il
movimento quindi avviene nella sostanza.
bella differenza, perch luomo in entelechia il padre che agisce,
cio luomo come causa motrice, ovvero ancora luomo nel suo
movimento di trasmissione della forma uomo e quindi agente
come padre, mentre luomo in potenza e luomo che si genera,
ovvero luomo in atto, il glio che prima non c e poi c, e che,
per Aristotele, tale da esserci sempre, prima in potenza come
soggetto, tocicvov, e poi in atto, come ente che possiede com-
piutamente la forma uomo, dal momento che Aristotele non con-
cepisce un non esserci in assoluto. Qui interviene unaltra diffe-
renza, cio quella tra fo ivotv come oifiov, in particolare come
causa motrice, e il questo determinato, il quale o il quanto
come determinazioni dellcioo fi che Aristotele ha chiamato
principi e cause del movimento, oqq oi oifiov fq ivqocm,
e che si riducono alle due cause formale e nale. Lo scarto avvie-
ne fra fo ivotv, che causa, e lcioo fi, che principio e causa,
ovvero causa in quanto principio. Infatti, luomo in potenza e
luomo che si genera sono, rispettivamente, la privazione e la for-
ma in atto di un processo di generazione, mentre luomo in ente-
lechia, cio in movimento quale motore, solo causa e non prin-
cipio, intervenendo ad attivare il processo generativo, ma agendo
dallesterno, poich non si pu identicare con nessuno dei tre
principi della generazione di cui Aristotele ci ha ampiamente par-
lato nel libro I. Faccio queste considerazioni a ragion veduta, per-
ch ho in mente la riessione di F. Franco Repellini sulla causa
motrice.
43
Egli appunta la sua attenzione su un passaggio di Phys.
II 3, 195b21-25, in cui Aristotele scrive: Si deve sempre, qui co-
me altrove, ricercare di ciascuna cosa la causa del grado pi alto
(per esempio: un uomo costruisce perch costruttore, il costrutto-
re costruisce secondo la tecnica del costruire; questa dunque la
causa di grado anteriore; del pari negli altri casi) (oiov ov0qmo
oioooci ofi oioooo, o o oioooo ofo fqv oioooiqv
fotfo foivtv qofcqov fo oifiov, oi otfm ci ovfmv) trad. F.
Franco Repellini. Franco Repellini afferma che, in questo esem-
134 GIOVANNA R. GIARDINA
43
Cf. Aristotele, Fisica, Libri I e II, a cura di F. Franco Repellini, Milano
1996, pp. 94-95.
pio, il costruttore causa motrice, ma larte del costruire causa
motrice di grado anteriore. Da qui ricava un concetto di causa
motrice come di ci che trasmette la forma, ma afferma che la
causa motrice vera e propria la forma, che lartigiano ha in men-
te quando realizza una statua, oppure che il padre possiede per
natura e quindi trasmette al glio allatto della generazione. La
causa motrice, quindi, sarebbe lagente di trasmissione di una for-
ma che c gi prima della trasmissione stessa e che governa tale
trasmissione, ma pi ancora la causa motrice la forma. Tutto ci
conclude che la causazione, per Aristotele, resta incentrata sulla
forma.
44
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 135
44
Quando Franco Repellini afferma che la causazione, per Aristotele, resta
incentrata sulla forma, mi sembra che stia pensando a un primato di un tipo di
causa sulle altre. In effetti, per quanto concerne Aristotele, si parla sempre di un
primato di una cosa sullaltra, della Fisica sulla Metasica, o di questultima sulla
prima, o della causa nale nella lettura del mondo della natura, o della forma
nella dottrina della causalit, eccetera. A me tutti questi sembrano discorsi un
poco falsati, anche se nascono su basi veritiere. A me sembra, infatti, che Aristo-
tele, con una lucidit mirabile, riesca a dar ragione e spiegazione della straordi-
naria variet e molteplicit delle cose e della conoscenza di esse, stabilendo rela-
zioni continue fra principi, elementi, cause, strumenti di ricerca che sono tutti
indispensabili alla comprensione e lettura della realt, del mondo fenomenico e
di quello metasico. Ma, in quanto tutti i componenti sono indispensabili a tale
lettura, nessuno di essi ha minore importanza di un altro, al di l di apparenze
che spesso, nel testo aristotelico, sono funzionali allinterno di una determinata
argomentazione, ma che, in un altro passaggio, vengono fugate. Nel caso della
causa motrice, ad esempio, potrebbe sembrare che essa abbia la minore impor-
tanza fra le cause, dal momento che il divenire degli enti naturali, fondato su tre
principi, ci ha mostrato come sia indispensabile avere il soggetto, la privazione e
la forma. Quindi, la materia indispensabile e, ancor pi di essa, la forma. Ma
senza la materia nemmeno la forma avrebbe la sua esistenza, per cui si scopre la
fallacia di un discorso che metta luna a un livello superiore dellaltra. E ancora,
senza la causa motrice nessun divenire avrebbe mai luogo. Secondo unaltra let-
tura, se gli enti della natura sono caratterizzati dallessere perennemente coinvol-
ti nel movimento, allora sembrerebbe che la causa ad esso legata, cio la causa
motrice, sia nellambito della causalit sica quella che pi da vicino debba ri-
guardare gli enti naturali, mentre il primato di altre cause potrebbe spettare ad
esse in altri ambiti che non siano quello della natura. Ad esempio, ci sono dei
luoghi aristotelici in cui la causa motrice sembrerebbe avere un primato sulle al-
tre, mi riferisco a Metaph. B 2, 996b22-23 ed E.E. II 6, 1222b20-22, ma in real-
t si tratta di luoghi in cui Aristotele riprende dialetticamente le opinioni di al-
Il passo in questione, Phys. II 3, 195b21-25, deve essere a mio
avviso letto diversamente. Infatti, vero che luomo costruisce
perch costruttore e il costruttore, in questo caso, la causa mo-
trice, ma tale uomo costruttore, ci dice Aristotele, in virt del-
larte di costruire: lespressione ofo fqv oioooiqv. Questo,
per, non signica affatto, io credo, che occorra intendere che
larte del costruire sia la causa motrice di grado superiore rispetto
al costruttore, ma semplicemente che, la causa motrice, cio il co-
struttore, agisce da causa motrice perch possiede una forma che
egli ha appreso dallarte del costruire, una forma, quindi, che
conforme a tale arte, ofo fqv oioooiqv. Allora, questo po-
trebbe signicare che la causa formale, cio la forma della costru-
zione conforme allarte del costruire, ofo fqv oioooiqv, la
causa pi elevata (fo oifiov fo oqofofov), perch in effetti essa
viene prima, giacch se non ci fosse una forma da trasmettere non
ci sarebbe nemmeno una causa motrice che trasmette tale forma.
Ora, occorre non confondere la causa motrice con la forma come
causa formale e come ne, perch questo ci condurrebbe a con-
fondere o0cv q oqq fq cfopoq o ivqocm, che la causa
motrice, con oqq oi oifiov fq ivqocm, che sono le cause for-
male e nale.
45
In effetti, per certi versi, queste due ultime coinci-
dono, perch nella dinamica del divenire il soggetto acquisisce la
forma di cui esso era privo e che anche il ne del processo che
lo conduce da una condizione potenziale-privativa ad una acqui-
sizione completa di forma, mentre la causa motrice ci che at-
tiva questo processo rimanendo sempre esclusa dallarticolazio-
ne dei principi del divenire. Intendo dire che, una lettura del di-
venire di cui Aristotele ci ha parlato nel I libro, si imposta in que-
sto modo: nel divenire espresso con la formula un uomo non
musico diviene uomo musico, la forma, cio musico, compare sia
nel momento iniziale in cui si presenta in stato privativo, sia nel
136 GIOVANNA R. GIARDINA
tri. Anche stabilire una superiorit della causa motrice sulle altre , quindi, uno-
perazione che falsica e incia la comprensione della losoa aristotelica, nella
misura in cui, per Aristotele, tutto necessario al vericarsi della molteplice va-
riet del mondo.
45
Cf. anche J. Follon (1988), pp. 331-332.
momento nale in cui si presenta come attualmente acquisita.
Quindi, la forma come principio, tradotta nei termini delle cause,
si presenta sia come causa formale sia come causa nale. La causa
motrice assente dai principi, perch esterna rispetto al proces-
so generativo che essa attiva. Per comprendere appieno il discor-
so di Aristotele, occorrerebbe, semmai, comprendere meglio che
cosa fa somigliare e che cosa fa differire i principi dalle cause,
perch, se si fa lerrore di confondere gli uni con le altre, allora si
dovr concludere che anche la natura causa motrice, dal mo-
mento che Aristotele usa per la natura espressioni che sarebbero
ancor pi signicative e suscettibili di questa interpretazione di
quanto non lo siano le espressioni discusse precedentemente. Ari-
stotele, infatti, ci dice che gli enti naturali appaiono avere in se
stessi il principio di movimento e di quiete, tra laltro specicati
secondo i tre modi del movimento, cio secondo il luogo, secon-
do la quantit e secondo la qualit (cv cotfoi oqqv cci ivq-
ocm oi ofoocm, fo cv ofo foov, fo oc of otqoiv oi
q0ioiv, fo oc of ooimoiv) (Phys. II 1, 192b13-14), e che la
natura un certo principio e causa del muoversi e dello stare in
quiete in ci a cui appartiene primariamente per se stessa e non
per accidente (otoq fq qtocm oqq fivo oi oifio fot i-
vcio0oi oi qqcciv cv m toqci qmfm o0 otfo oi q ofo
otpcpqo) (Phys. II 1, 192b21-23). Da quanto ho detto prece-
dentemente si comprender facilmente che non un caso, invece,
che la natura venga considerata da Aristotele, nel corso di Phys.
II, principalmente come forma e come causa nale, che sono det-
te luna e laltra oqq oi oifiov fq ivqocm. Sembrerebbe,
quindi, che delle cause aristoteliche, tre si possano riscontrare fra
i principi del divenire, e cio la causa materiale, principalmente
nel soggetto, la causa nale nella privazione, e la causa formale
nella forma compiutamente acquisita. Il collocare la causa nale
nella privazione signica individuare nel punto di partenza del
processo lorientamento del processo stesso, per cui linizio con-
terrebbe gi la ne, ma nessun processo avviene se non per lin-
tervento di una causa che sfugge a queste tre, perch sfugge ai
principi, e cio della causa motrice. Questultima rientra nei prin-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 137
cipi, diciamo cos, solo dalla porta di servizio, nella misura in cui
la causalit, per Aristotele, non mai disconnessa dallente, e an-
che la causa motrice un ente che, a prescindere dalla sua funzio-
ne di motore, anchesso costituito secondo i tre principi del di-
venire e coinvolto nel divenire esso stesso, al punto che risulta
mobile anche nellatto di muovere.
Unultima considerazione. Quando Aristotele, alla ne di III
2, ci dice che il movimento apportatore di una certa forma, ci
parla sulla base delle categorie di sostanza, qualit e quantit,
mentre noi sappiamo bene che non esiste movimento della so-
stanza ma solo mutamento della sostanza.
46
In questo senso, quin-
di, la causa motrice giustamente denita da Aristotele o 0cv q oq-
q fq cfopoq, perch essa attiva un processo di mutamento
di cui il movimento non altro che la componente dinamica, ov-
vero la realizzazione del processo.
Il rapporto motore-mosso, con linizio di Phys. III 3, ci appare
subito presentato da Aristotele a partire da unaporia, di modo
che accade che lo Stagirita, contemporaneamente, ci dica qual la
sua posizione e le soluzioni delle obiezioni che potrebbero essere
sollevate. Laporia nella sua forma iniziale espressa in questi ter-
mini: e ci che fa difcolt afferma Aristotele chiaro (Koi
fo ooqotcvov oc qovcqov): cio il fatto che il movimento nel
mobile (ofi cofiv q ivqoi cv fm ivqfm).
47
Le parole che inte-
ressano laporia sono queste ultime tre: cv fm ivqfm, e soprattut-
to la preposizione cv, perch questo potrebbe essere inteso nel
senso che il movimento appartiene solo al mobile. Ci che inte-
ressa, infatti, ad Aristotele la preposizione in, al punto che an-
che nellaporia che Aristotele chiama logica, si chiede cv fivi;,
in che cosa? stanno le due forme di cvcqcio che comporta il
movimento, cio quella del motore e quella del mobile. In realt,
138 GIOVANNA R. GIARDINA
46
Questa una lezione che Aristotele insegna in Phys. V 1-2 (cf. G.R. Mor-
row (1969), pp. 154-167, ma soprattutto p. 158). Per un confronto fra movimen-
to e mutamento e per il problema del mutamento (non movimento) della sostan-
za rimando a quanto ho gi scritto in G.R. Giardina (2002), principalmente pp.
133-134.
47
Phys. III 3, 202a13-14.
laffermazione secondo cui la difcolt evidente che il movimen-
to risieda nel mobile, deve essere presa insieme a quel che segue
e, per comprenderla appieno, utile riproporre uno schema che
ho gi discusso e che deriva dalla lettura di Phys. III 2, 202a3-9:
ivqoi = cvcqci v = ivci v = oici v/oociv del motore
ivqoi = cvfcccio = ivcio0oi = oociv del mobile
Il movimento nasce dalla relazione fra un motore e un mobile
ed uno solo il movimento che nasce da tale relazione. Tuttavia,
se guardiamo al movimento dal punto di vista del mobile, vedia-
mo che esso entelechia del mobile, ma nasce ad opera di ci che
capace di muovere, per cui cvcqcio di questultimo, cvcqcio
fot ivqfiot, la quale per non cosa diversa dallentelechia del
mobile, per cui occorre che sia entelechia per entrambi. Aristotele
sta ragionando in un modo che ci perfettamente chiaro a partire
dal senso dellcvcqcio che egli ci ha spiegato in Phys. III 1,
201a5-15. Occorre, infatti, notare che nel passo suddetto di Phys.
III 3 relativo allaporia, egli non dice che questo movimento c-
vcqcio fot ivotvfo, bens cvcqcio di un ente che mantiene il
suo aspetto potenziale, ed quindi realizzazione nel suo farsi e
non nella sua compiutezza: in questo senso, questa cvcqcio
unentelechia. Non a caso, infatti, Aristotele aggiunge, con un
esplicativo oq, che il motore pu essere visto sotto due aspetti,
come ci che capace di muovere a livello potenziale e come mo-
tore a livello attuale (ivqfiov c v oq cofiv fm ot voo0oi, ivotv
oc fm cvcqciv), mettendo in gioco ancora una volta il movimento
come lo stato di ci che non pi in potenza, ma non ancora in
atto, cio come lo stato in cui il suo aspetto potenziale specico,
cio privativo, non si ancora del tutto realizzato, perch lente
non ancora compiutamente in atto. Se guardiamo, invece, al
movimento dal punto di vista di ci che capace di muovere,
fo ivqfiov, vediamo che questo agisce sul mobile, sicch simil-
mente una sola deve essere lcvcqcio per entrambi,
48
per ci che
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 139
48
Su questo argomento cf. A. Edel (1969), pp. 59-64. Questo stesso discor-
so conduce M.L. Gill (1980), pp. 129-147 a sviluppare la tesi secondo cui Phys.
III 3 mostrerebbe che ci che agisce muta cos come ci che patisce.
capace di muovere e per il mobile. In altri termini, se guardiamo
sia al motore sia al mosso nella condizione in cui non scomparso
il loro stato potenziale-privativo, per cui si mostrano ancora come
ci che capace di muovere e come mobile, lentelechia del mo-
bile identica allcvcqcio di ci che capace di muovere, e il
movimento che nasce dalla relazione fra i due uno solo. La solu-
zione di questa aporia ci viene fornita subito dopo da Aristotele:
per il motore e il mosso le cose stanno cos come stanno per lin-
tervallo da 1 a 2 e da 2 a 1, che uno solo, sebbene non sia unica
la denizione delluno e dellaltro, o come la strada in salita e in
discesa, che una, mentre la denizione non una sola.
A questa aporia si aggiunge, come dicevo, una difcolt logi-
ca,
49
la cui soluzione risolver in modo pi chiaro anche laporia
precedente. Tale aporia logica consiste nel fatto che, forse, ne-
cessario che lcvcqcio di ci che capace di agire, fot oiq-
fiot, debba essere diversa dallcvcqcio di ci che capace di
patire,
50
fot o0qfiot : da un lato c lazione, oiqoi, e dal-
laltro lato la passione, o0qoi, ambedue nel loro svolgimento;
dei quali opera e ne sono rispettivamente lazione e la passione
compiuti.
51
La domanda allora : se sono movimenti entrambi,
140 GIOVANNA R. GIARDINA
49
P. Pellegrin traduce difcult dialectique e spiega in nota che si tratta
di una argomentazione che procede da opinioni comuni (endoxa), che non
convincente se non a livello del ragionamento e che non si fonda sui fatti. Oppu-
re, sulla base di Simplicio, In Phys. 440,22, potrebbe trattarsi di unargomenta-
zione che non riguarda una scienza particolare, ma solo un proposito generale,
per cui non effettivamente scientica.
50
oiqfiot e o0qfiot hanno il sufsso potenziale, quindi non oppor-
tuno, soprattutto data la sottigliezza del discorso di Aristotele, tradurre oiq-
fiot come se fosse oiqfot e o0qfiot come se fosse o0qfot .
51
Traduco cos, perch chiaro che la desinenza -oi di oiqoi e o0qoi
indica la processualit del loro signicato. Hoiqoi e o0qoi si distinguono,
quindi, nettamente da oiqo e o0o, i quali hanno il medesimo signicato di
oiqoi e o0qoi, ma non nel loro realizzarsi, bens nello stato concluso e com-
piuto. La stessa cosa era avvenuta quando Aristotele aveva espresso la dimensio-
ne potenziale di oiqfio e o0qfio, sempre ricavati dai verbi di agire e pati-
re. P. Pellegrin mi d ragione della mia interpretazione, infatti egli traduce: Il
est en effet sans doute ncessaire quil y ait un certain acte de ce qui peut agir et
un autre de ce qui peut ptir, lun tant laction, lautre la passion, le produit -
cio lcvcqcio di ci che capace di agire e lcvcqcio di ci che
capace di patire (che tradotti nei termini del movimento sono
ci che capace di muovere e il mobile), in quale di questi due
sono? (c v fivi;). Le possibilit che si offrono sono le seguenti:
a) entrambi i movimenti sono in ci che patisce e che mosso,
c v fm ooovfi oi ivotcvm ;
52
b) lazione nel suo svolgimento in ci che agisce, q cv oiq-
oi cv fm oiotvfi; la passione nel suo svolgimento in ci che
patisce, q oc o0qoi c v fm ooovfi.
Aristotele non esamina queste due possibilit nellordine, per-
ch prende anzitutto in esame la seconda di queste due possibi-
lit, anche se non lo dichiara esplicitamente. La prima, infatti, vie-
ne presa in considerazione successivamente. Se lazione nel suo
svolgimento in ci che agisce e la passione nel suo svolgimento
in ci che patisce, e occorre in qualche modo chiamare anche la
passione nel suo svolgimento azione nel suo svolgimento, cio oc-
corre chiamare la o0qoi oiqoi, allora o0qoi e oiqoi sa-
ranno omonimi. Aristotele non spiega chiaramente come si possa
vericare logicamente questa ipotesi, ma io ritengo che si possano
trovare almeno due possibili spiegazioni. La prima questa:
possibile chiamare oiqoi anche la o0qoi nella misura in cui
possibile chiamare oiqoi ogni attivit, anche quella che viene
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 141
nal de lune tant un fait accompli, de lautre une affection. Egli distingue, giu-
stamente, come anche segnala in nota, i termini che hanno la stessa radice verba-
le, e cio oiqfio, oiqoi, oiqo, oiotv, con il signicato di ci che pu
agire, azione, fatto compiuto, agente. Allo stesso modo distingue i termi-
ni che derivano dal verbo oom, per cui si avr ci che pu patire, passio-
ne, affezione. Ho0qoi, come fa notare Filopono, In Phys. 377,10, termine
non tipico del greco ma, si pu dire, forgiato da Aristotele e poi entrato nelluso.
Un buon utilizzo ne fa, ad esempio, Plotino, nellEnneade VI 1.
52
Io credo che Aristotele non prenda in considerazione la possibilit che
entrambe le cvcqcioi siano in ci che agisce e che muove, cio nel motore, per-
ch ha gi detto che il motore patisce e si muove, per cui la prima possibilit in-
clude gi sia il motore che il mosso. Inoltre, la riduzione del secondo caso ad
uno solo, cio a ci che agisce e muove, fa diventare il secondo caso esattamente
il contrario di questo primo caso, quindi aggiungere al primo caso la possibilit
che i due movimenti siano in ci che agisce e muove diverrebbe pleonastico.
subita. Infatti, anche se il mobile subisce lazione del motore, esso
comunque il soggetto del suo movimento. Ma sembra pi con-
vincente la seconda delle due possibili spiegazioni: alle li. 202a14-
15 Aristotele ci ha detto che lcvcqcio
53
di ci che capace di
muovere non cosa diversa dallentelechia del mobile su cui si
esercita lagire del motore, e alle precedenti li. 202a3-9 ci aveva
gi detto che per il motore cvcqciv = ivciv = oiciv/oociv.
La conseguenza di queste premesse ovvia: se nellelemento atti-
vo insieme al oiciv c anche il oociv, allora il movimento
nel motore e non nel mosso, contrariamente a ci che Aristotele
aveva detto nella aporia iniziale. Lo stesso discorso che si fatto
per ci che agisce e che patisce si pu applicare, infatti, a ci che
muove e a ci che mosso, sicch o tutto ci che muove si muo-
ver, il che avrebbe gravissime conseguenze in campo teologico e
contraddirebbe laffermazione di Aristotele secondo cui esiste an-
che un motore immobile (cf. Phys. III 1, 201a27), oppure il moto-
re, pur avendo movimento, non si muover. In termini pi chiari:
q cv oiqoi cv fm oiotvfi/q oc o0qoi cv fm ooovfi, se o -
0qoi = oiqoi perch sono omonimi, allora tutto si risolve c v fm
oiotvfi, che nei termini del movimento diventa cv fm ivotvfi.
Consideriamo adesso la prima possibilit, e cio che entrambi
i movimenti cio ancora il movimento come cvcqcio di ci che
capace di agire e il movimento come cvcqcio di ci che capa-
ce di patire siano in ci che patisce e che mosso (ci o oqm cv
fm ivotcvm oi ooovfi). Se le cose stanno in questo modo,
allora lazione e la passione nel loro svolgimento, q oiqoi oi q
o0qoi, o, se si vuole specicare un agire e un patire determina-
ti, linsegnamento e lapprendimento nel loro svolgimento, q oi-
ooi oi q o0qoi, pur essendo due movimenti, sono entrambi
in colui che apprende (oto otooi cv fm ov0ovovfi). Le conse-
guenze sono: in primo luogo che lattivit, cvcqcio, di ciascuna
cosa non sar in ciascuna cosa (qmfov cv q cvcqcio q coofot
ot cv coofm toqci), ad esempio linsegnamento non sar in
142 GIOVANNA R. GIARDINA
53
Evcqcio qui signica loperare del motore, che il muovere (cf. Phys.
III 2, 202a5-6).
chi insegna ma in chi apprende, e in secondo luogo cosa assur-
da due movimenti si muoveranno contemporaneamente (cifo
ofoov oto ivqoci oo ivcio0oi): infatti ci dice Aristotele,
mostrando di tenere docchio sempre un processo che si svolge
sulla base dei tre principi del divenire , quali saranno le due alte-
razioni di ununica cosa e verso ununica forma? Ma impossibi-
le! (fivc oq coovfoi ooimoci oto fot cvo oi ci cv cioo
o ootvofov).
54
Colte le assurdit che conseguono da una simile impostazione
del problema, Aristotele ci fornisce la sua soluzione: c una sola
attivit (oo io cofoi q cvcqcio). Tuttavia, occorre usare degli
accorgimenti nel comprendere questa soluzione, perch lo stesso
Aristotele ci mette in guardia da fraintendimenti, proponendo al-
tre assurdit. Egli ci dice, infatti, che illogico pensare che ci sia
ununica identica attivit di due cose diverse per la forma, cio
ununica identica cvcqcio di chi insegna e di chi apprende, e sa-
rebbe assurdo anche se linsegnare e lapprendere, e, in generale,
lagire e il patire, fossero la stessa cosa, per cui la conseguenza sa-
rebbe che chi insegna apprende tutto ci che insegna e nel mo-
mento stesso in cui lo insegna, e che chi agisce quindi patisce. In
realt, le cose stanno in modo diverso e, con una serie di precisa-
zioni, Aristotele risponde alle singole assurdit che sono derivate
dal ragionamento n qui fatto.
Alle li. 202b5-8 Aristotele risponde a quanto aveva detto alle
li. 202a31-36: lcvcqcio una sola, ma attuazione di una cosa
in unaltra cosa diversa da essa, e dico attuazione perch il ter-
mine cvcqcio deve essere qui inteso nel senso della processuali-
t che Aristotele ha precisato, tant che egli chiarisce nellesem-
pio che linsegnamento nel suo svolgimento, oiooi, lcvcqcio
di colui che capace di insegnare, fot oiooooiot, e che tale
cvcqcio, pur non essendo separata da colui che lesercita, cio
dalla causa motrice, tuttavia risiede in qualcosaltro (q oiooi
cvcqcio fot oiooooiot, cv fivi cvfoi), per cui attuazione
di questa cosa in questaltra cosa (oo fotoc cv fmoc). Se questa
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 143
54
Phys. III 3, 202a34-36.
cvcqcio fosse intesa nel senso di atto compiuto dellente, queste
condizioni non sarebbero comprensibili, perch allora ogni cvcq-
cio dovrebbe stare solo nellente di cui appunto atto, mentre
Aristotele ci dice che lcvcqcio dellagente ma nel paziente,
quindi entelechia e movimento.
Alle li. 202b8-10 Aristotele risponde a ci che aveva detto al-
le li. 202a36-b2: nulla impedisce, ci dice Aristotele, che la stessa
cvcqcio appartenga a due cose, a condizione che questo non si
intenda nel senso che lessere di queste due cose sia lo stesso,
bens nel senso della relazione che sussiste fra ci che in potenza
e ci che opera, cio fra lente e la sua causa motrice.
Alle li. 202b10ss. Aristotele risponde a quanto aveva detto alle
li. 202b2-5: non necessario, come prima si era concluso assurda-
mente, che chi insegna apprenda, perch si deve intendere che
lagire e il patire sono la stessa cosa non nel senso che sia una sola
la denizione che ce ne dice lessenza, ma come noi diciamo che
la stessa cosa la strada che da Tebe porta ad Atene e da Atene e
Tebe,
55
perch tutte le propriet uguali che fanno lidentit vera e
propria di due enti appartengono soltanto alle cose la cui essenza
sia identica. Quindi, noi non dobbiamo intendere che linsegna-
mento nel suo svolgimento sia la stessa cosa dellapprendimento
nel suo svolgimento, come se la loro essenza fosse la stessa, cos
come, se vero che unico lintervallo fra due punti, noi per
dobbiamo intendere che una e la stessa la distanza da qui a l e
da l a qui. In generale, precisa Aristotele, non dobbiamo dire che
linsegnare e lapprendere, oppure lagire e il patire siano la stessa
cosa in senso proprio (fo otfo tqim), ma a ci a cui apparten-
gono entrambe queste cose, cio lagire e il patire, appartiene an-
che il movimento. Quindi, in conclusione e in termini pi chiari,
lentelechia di ci che in potenza capace di agire e di patire, in
quanto tale, sia in senso assoluto che, ancora, in modo particola-
re, la costruzione della casa nel suo farsi e la guarigione nel suo
procedere, e cos per gli altri movimenti specici. In ultima ana-
lisi, allora, il movimento il procedere verso un ne di un ente
144 GIOVANNA R. GIARDINA
55
Questo si aggiunge agli esempi gi fatti alle li. 202a18-20.
che nel suo aspetto potenziale e anche nella sua entelechia come
cvcqcio non compiuta e che, in quanto in movimento, capa-
ce di compiere il suo movimento e di patire tale movimento da
una causa motrice, per cui le due determinazioni contrarie sono
compresenti nello stesso ente, e nel procedere del movimento lu-
na agisce sullaltra che patisce. Nella costruzione della casa, ad
esempio, le pietre e i mattoni e quantaltro possono divenire casa,
patiscono via via la perdita del loro essere materiali da costruzio-
ne (e quindi solo costruibile in potenza) per divenire sempre pi
compiutamente casa, e nella guarigione la malattia dellindividuo
patisce sempre pi, lasciando via via il posto alla salute.
Conclusione
Per concludere brevemente, allora, occorre dire quanto segue.
Aristotele, con una lucidit mirabile, riesce a dar ragione e spiega-
zione della straordinaria variet e molteplicit delle cose, sia ricor-
rendo alla distinzione fra principi, elementi e cause, sia avvalen-
dosi della relazione dinamica fra potenza e atto, eccetera. Egli
adopera strumenti di ricerca che gli risultano validi per la com-
prensione e la conoscenza della realt, sia del mondo fenomenico
che di quello metasico. Ma in quanto tutti questi strumenti sono
indispensabili alla lettura della realt al di l di apparenze che
spesso, nel testo aristotelico, sono funzionali nel contesto dellar-
gomentazione, ma che in un altro passaggio vengono fugate ,
nessuno di essi ha minore importanza di un altro. Nel caso della
causa motrice, ad esempio, potrebbe sembrare a qualcuno che es-
sa abbia la minore importanza fra le cause, dal momento che il di-
venire in cui sono coinvolti gli enti naturali fondato su tre prin-
cipi (soggetto, privazione e forma), che servono a individuare co-
me fondamentali la materia e la forma vista ora come privazione e
ora come ne del divenire stesso. Ma senza la causa motrice nes-
sun divenire avrebbe mai luogo e, quindi, la dottrina dei tre prin-
cipi del divenire degli enti naturali ha bisogno di tale causa per
essere vera, ed di per s impostata da Aristotele in modo dina-
LA CAUSA MOTRICE IN ARISTOTELE, PHYS. III 1-3 145
mico se vero che, permanendo il soggetto, tuttavia la forma co-
me privazione e la forma come ne si fronteggiano in attesa che
una causa motrice attivi un processo di realizzazione che conduca
lo stato privativo dellente a divenire uno stato di attuale possesso
di forma. Se gli enti della natura sono caratterizzati dallessere pe-
rennemente coinvolti nel movimento, allora si comprende facil-
mente il ruolo che la causa motrice, legata al movimento, debba
occupare nellambito di una dottrina della causalit che riguarda
gli enti naturali.
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150 GIOVANNA R. GIARDINA
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA
Ferruccio Franco Repellini *
I Nel Libro VIII della Fisica Aristotele produce, come ben
noto, una grande argomentazione, il cui intento fondamentale
quello di dotare il campo costituito dalla collezione dei mobili di
un primo motore immobile, nel ruolo di principio, causa e garan-
te del suo ordinamento complessivo. Lasse portante, per cos di-
re, dellargomentazione dato dalla relazione mosso-motore (co-
me convengono si pu dire tutti gli interpreti). Questa operazione
aristotelica riguarda immediatamente il campo delle cose naturali,
come ovvio, visto che i due campi coincidono. Tuttavia la no-
zione di natura presente in questo libro in misura comparativa-
mente assai pi ridotta. Di fatto, essa ha un ruolo rilevante soltan-
to nel cap. 4, in parte in quanto fonte di unaporia. In questo con-
tributo la mia attenzione sar rivolta essenzialmente ad un esame
di tale problema e del suo rilievo.
Premetter tuttavia una delineazione in molti punti del tutto
sommaria del decorso centrale dellargomentazione, al ne di si-
tuare tale problema allinterno del libro. Modicher in certa mi-
sura la sequenza dei passi.
1) Esiste il movimento.
2) Dunque esiste ci che mobile: il movimento lattualit
di ci che mobile in quanto mobile.
1
3) necessario che tutto ci che mosso sia mosso da
qualcosa.
2
Si tratta dellassunto centrale dellintera argomenta-
151
* Universit di Milano.
1
Questa denizione del movimento formulata quasi allinizio del Libro
VIII (cap. 1, 251 a 8 - 9), ed ripresa alcune volte in seguito.
2
Lassunto formulato, in posizione enfatica, allinizio del Libro VII (cap.
1, 241 b 34), ed ripetuto pi volte nel corso del Libro VIII (tra cui alla ne del
cap. 4: 256 a 2 - 3).
zione del Libro VIII. Si ammetta, in effetti, che valga la sua nega-
zione: non necessario che tutto ci che si muove sia mosso da
qualcosa. In tal caso, e data lesistenza del movimento, si do-
vrebbe ammettere per un movimento la possibilit di un inizio
assoluto; la possibilit cio per un mobile non in movimento di
essere origine di un proprio movimento in un modo totalmente
indipendente da ci con cui esso si trova in relazione. Unimmagi-
ne aristotelica consente di illustrare come lo Stagirita pensasse
una tale origine assoluta del movimento: come un passaggio dal
sonno alla veglia, un destarsi, senza che accada nulla che causi
questo destarsi (nulla fuori, che provochi il destarsi, e nulla den-
tro, come garantito, nellimmagine, dallo stato di sonno). Un ta-
le inizio del movimento da parte di una cosa da sola, per cos di-
re, e senza nessuna connessione escluso; sarebbe un movimen-
to senza causa, senza motore. Dunque in tutti, senza eccezione, i
casi di movimento data la concatenazione mosso-motore.
3
4) Il movimento esiste eternamente. Questo passo deriva-
bile dai precedenti. Infatti, data lesistenza del movimento, la sua
non-eternit comporterebbe un passaggio iniziale da una condi-
zione di non movimento ad una condizione di movimento. Ora,
dato che ogni movimento richiede un motore, un tale passaggio
iniziale di un mobile richiederebbe il cambiamento preliminare
della relazione del mobile con il motore del suo movimento, in
modo che tale motore pervenga alle condizioni che lo fanno mo-
tore di quel movimento; ma questo diventare motore per qualcosa
di qualcosaltro richiede gi un movimento, e questo movimento
richiede a sua volta un movimento precedente, e questa necessit
si riproduce sempre.
4
Non pu dunque esserci un primo movi-
mento in un mondo popolato da mobili in quiete (quasi come un
152 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
3
In queste righe non si esposta la dimostrazione dellassunto aristotelico,
ma soltanto la ragione di tale assunto. Una sua effettiva dimostrazione non viene
mai compiuta nel Libro VIII. Ci che pi si avvicina ad una dimostrazione da-
to dalle prime righe del Libro VII: cap. 1, 241 b 35 242 a 49. Per un esame ed
una discussione di questo passo si rinvia a R. Wardy, The Chain of Change. A
Study of Aristotles Physics VII, Cambridge, 1990, particolarmente alle pp. 93-99.
4
Cf. Phys., VIII, 1, 251 a 8 b 10.
destarsi del movimento in un mondo dormiente). Leternit del
movimento sar importante nellultimo passo.
5) Una volta assicuratosi che, per tutti i casi di movimento,
si d la concatenazione mosso-motore, Aristotele produce una di-
stinzione entro la relazione tra il mosso e il motore distinzione
chiave per lo svolgimento complessivo dellargomentazione. Le
cose che si muovono o0 otfo dice si dividono in quelle che
sono mosse da altro (t oot) e quelle che si muovono esse
stesse da se stesse (otfo tq otfmv ivcifoi) o con unespres-
sione trattata come equivalente che muovono esse stesse se
stesse (otfo cotfo ivotoiv).
5
Si noti che anche nel secondo ca-
so le cose sono mosse da qualcosa (come indispensabile, ai -
ni dellargomentazione complessiva). Uno schema rende imme-
diatamente visibile la divisione delle cose mosse introdotta dallo
Stagirita:
mosse da qualcosa
mosse da altro mosse esse stesse da se
stesse = che muovono esse stesse se stesse.
6) Considerando il lato sinistro di questa divisione: non
possibile che ci che mosso da altro, sia in tutti i casi mosso da
un altro che a sua volta mosso da un altro, perch si produrreb-
be un regressus in innitum nelle concatenazioni mosso-motore.
6
7) Di conseguenza, in tutte le concatenazioni mosso-motore
risalendo si perviene prima o poi a un termine mosso esso stesso
da se stesso.
7
Tale termine rende nita ogni concatenazione, e co-
stituisce il primo motore di tutti i termini successivi della concate-
nazione. Se vista dallalto, per cos dire, ogni concatenazione
inserita in una sorta di complesso unitario di motori e mossi.
dunque ci che si trova sul lato destro dello schema qui proposto
ci con cui si compiono i passi intermedi della dimostrazione.
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 153
5
Phys., VIII, 4, 254 b 12 - 13.
6
Phys., VIII, 5, 256 a 13 - 18.
7
Phys., VIII, 5, passim.
8) Ogni termine primo di ogni concatenazione ogni moto-
re di se stesso si articola necessariamente in una parte, o
aspetto, o componente, mossa ed una motrice immobile.
8
9) La collezione di primi motori immobili cos introdotta
deve essere almeno in parte eterna, in virt della funzione cui
essa deve assolvere di causa del non venir meno del nascere e
del perire.
9
Tale parte eterna deve essere nita; pu essere uno o
molti; meglio che sia uno.
10
Con questi passi si data una delineazione sommaria dellar-
gomentazione del Libro VIII della Fisica, no allintroduzione di
un primo motore immobile eterno (cio, no al cap. 6) a partire
dalla necessit della concatenazione mosso-motore. La seconda, e
terminale, parte del libro, che inizia con il cap. 7 (ed centrata
sulla priorit del movimento locale e sulla possibilit di un moto
eterno, quello circolare), pu essere qui tralasciata, dato che non
serve allinquadramento del punto che qui si intende trattare. In
questa delineazione i punti 6, 7, 8 e 9 rendono lo svolgimento ar-
gomentativo di Aristotele molto pi concisamente di quanto esso
sia, ed evitano di far emergere le difcolt. Peraltro, proprio in
questa sezione che si sono prodotte le maggiori controversie in-
terpretative, riguardanti la chiusura in alto delle concatenazioni
mosso-motore (a mio giudizio, la difcolt maggiore data dal
fatto che al motore immobile si perviene articolando internamente
ci che motore di se stesso, ma poi tale motore si mostra come
altro ed esterno rispetto al suo mosso; un motore immobile sem-
bra appartenere e insieme non appartenere al suo mosso). Tutta-
via laffrontare queste controversie uscirebbe dallintento di que-
sto contributo; la mia attenzione sar su una difcolt che si in-
contra nella parte iniziale, per cos dire, di tali concatenazioni.
II La delineazione sommaria qui prodotta dello svolgimento
della dimostrazione aristotelica che sfocia nella posizione di un
154 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
18
Phys., VIII, 5, 257 b 2 ss.
19
Phys., VIII, 6, 258 b 26 ss.
10
Phys., VIII, 6, 259 a 6 - 13.
primo motore immobile stata volutamente formulata in modo
che in nessun suo punto sia indispensabile il ricorso alla nozione
di qtoi, natura (in accordo con la prospettiva accennata alli-
nizio). In effetti, data la relazione mosso-motore e la sua necessit
per tutti i movimenti, i passi decisivi sono poi compiuti in base al
divieto del regressus in innitum, alla chiusura verso lalto di
tutte le concatenazioni mediante un motore di se stesso, allartico-
lazione di tale motore in un mosso e in un motore immobile (e al-
lintroduzione di motori immobili eterni, il cui numero in linea di
principio limitato); in nessuno di questi passi dimostrativi la na-
tura presente in modo indispensabile.
Ovviamente, questo ruolo minore della natura motivo di un
certo imbarazzo interpretativo. Nel suo lessico losoco Aristote-
le formula la seguente denizione di ci che inteso primaria-
mente con qtoi negli usi correnti di questo termine: la sostanza
delle cose che hanno un principio di movimento in se stesse in
quanto esse stesse (q otoio q fmv covfmv oqqv ivqocm cv ot-
foi q otfo ).
11
Una denizione un poco diversa, e un poco pi
elaborata, formulata, in un contesto teoreticamente pi impe-
gnativo, allinizio del Libro II della Fisica: una sorta di principio
e causa del muoversi e dello stare in quiete in ci cui essa appar-
tiene primariamente di per s e non per accidente (oqq fi oi
oifio fot ivcio0oi oi qqcciv cv m toqci qmfm o0 otfo
oi q ofo otpcpqo).
12
Ci che importa notare qui che, al
di l delle differenze tra le due denizioni, in base ad entrambe la
collezione delle cose che hanno un principio interno di movimen-
to (collezione di cui quindi qtoi pu fungere da nome) appare
coincidere con la collezione delle cose di per s mobili. Di conse-
guenza, nellassegnare allambito delle cose di per s mobili un
primo motore immobile Aristotele assegna eo ipso un tale motore
allambito complessivo delle cose naturali. Daltra parte, visto che
il punto pi sottolineato, e pi rilevante, nella denizione di qt-
oi quello che la pone come principio di movimento (o di com-
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 155
11
Metaph., V, 4, 1015 a 14 - 15.
12
Phys., II, 1, 192 b 21 - 23.
portamento quanto al movimento e alla quiete), sembra evidente
la contiguit di tale nozione con quella di motore; e visto che il
punto critico, per quanto riguarda la differenza delle due nozioni,
risiede nel fatto che certamente la qtoi un principio interno al-
la cosa mobile, mentre non necessario che sia tale nel caso del
motore, ci si aspetterebbe che nello svolgere la propria argomen-
tazione, centrandola su ci che muove se stesso da se stesso, Ari-
stotele mettesse in gioco e sfruttasse in qualche modo la sua no-
zione di qtoi. Tuttavia non ci che si legge nel testo del libro.
Una considerazione di ordine grezzamente quantitativo gi
indicativa sotto questo prolo. Termini derivati dalla radice iv-
occorrono con molta frequenza nelle 18 pagine Bekker del Libro
VIII (alcune centinaia di volte), come del resto c da aspettarsi,
in un discorso che ruota intorno al mosso, al motore e alla loro re-
lazione. Per contro, qtoi occorre molto pi raramente; se si pre-
scinde dal cap. 4, occorre 17 volte. Di queste, 12 precedono il
cap. 4 e fanno parte in genere di sezioni, nelle quali vengono cita-
te e rigettate opinioni altrui relative al movimento.
13
Quanto alle 5
occorrenze successive,
14
nessuna si trova nei passi argomentativi
che intendono dimostrare la necessit teorica di un primo motore
immobile.
Si pu dunque dire che la dimostrazione del Libro VIII pre-
suppone la nozione di cosa naturale e lesistenza del campo delle
cose naturali; si innesta qui e prende le mosse qui. Tuttavia essa
non si serve, in nessuno dei suoi passi dimostrativi decisivi, della
denizione di natura. Aristotele dimostra che per tutto ci che
naturale (cio che appartiene di per s a una cosa che soggetto
di un principio interno di movimento e quiete) il suo essere in
movimento implica un motore, cio un qualcosa che produce tale
156 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
13
Phys., VIII, 1, 250 b 13; b 15; 251 a 6; 252 a 11 - 19 (6 volte, in un argo-
mento contro Anassagora); 252 a 34; 3, 253 b 5; b 8; 254 a 10. In nessuna di
queste occorrenze qtoi entra mai in argomenti volti a sostenere lassunto, che
tutto ci che mosso mosso da qualcosa.
14
Phys., VIII, 6, 259 a 11; 7, 261 a 14; a 19; 9, 265 a 22; b 25. In generale, in
questi passi la qt oi serve a giusticare attribuzioni di priorit, le quali sono neu-
tre, quanto al problema dellesistenza di un motore (come si vedr pi avanti).
movimento in virt di una sua azione sul mosso; non ricava per
questa implicazione dalla denizione di natura e di cosa naturale.
In altre parole, la dimostrazione riguarda il campo delle cose na-
turali, ma non deriva dalla nozione di natura. Lassunto fonda-
mentale, tutto ci che mosso mosso da qualcosa, non dato
con la nozione di natura.
III Come si detto, la natura presente in modo rilevante
nel decorso argomentativo del Libro VIII soltanto nel cap. 4. La
funzione di questo capitolo entro lintero libro quella di stabili-
re che tutte le cose mosse sono mosse da qualcosa, come Ari-
stotele dice con tono conclusivo nella sua ultima frase (cio, il
passo 3 della mia delineazione dellargomentazione complessiva).
Tuttavia, a questa conclusione si giunge qui non mediante una di-
mostrazione diretta, bens con un percorso pi tortuoso: produ-
cendo una casistica esaustiva delle cose mosse, e facendo vedere
in ciascun caso il qualcosa che assolve il ruolo di motore.
Il capitolo inizia con la distinzione, entro le cose che muovo-
no e sono mosse o0 otfo , tra quelle che sono mosse da altro e
quelle che sono mosse da se stesse; si tratta, come gi notato,
del passo da cui prende le mosse lo sviluppo decisivo della dimo-
strazione del primo motore immobile. Qui per lo Stagirita pro-
cede coordinando immediatamente a questa divisione unaltra e
differente, sempre relativa alle cose che muovono e sono mosse:
le une dice compiono movimenti per natura (qtoci), le al-
tre movimenti per violenza e contro natura (pio oi oqo qt-
oiv).
15
Questa divisione, come la precedente, intesa come esau-
stiva. Una lettura naturale della giustapposizione di queste due
divisioni potrebbe essere quella che ne ricava, in base a una com-
binatoria elementare, quattro tipi di movimenti:
A movimenti compiuti da una cosa per lazione di un moto-
re altro ed esterno ad essa + per natura;
B movimenti compiuti da una cosa per lazione di un moto-
re altro ed esterno ad essa + per violenza e contro natura;
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 157
15
Phys., VIII, 4, 254 b 13 - 14.
C movimenti compiuti da una cosa motrice di se stessa +
per natura;
D movimenti compiuti da una cosa motrice di se stessa +
per violenza e contro natura.
Peraltro Aristotele, nella discussione che fa seguito allintrodu-
zione di questa doppia divisione non contempla neppure il caso
D; anzi, lo elimina implicitamente subito, visto che dice subito che
ci che mosso esso stesso da se stesso si muove per natura.
Merita di essere osservato che non immediatamente evidente che
il caso D debba essere immediatamente eliminato perch contrad-
ditorio. Si consideri infatti la caratterizzazione oqo qt oiv da sola,
cio indipendentemente dalla caratterizzazione pio; si dia al oqo
non il senso di contro, che molto raramente ha in Aristotele,
16
ma quello del latino praeter; si faccia prevalere la connotazione
normativa di natura. Allora non inconcepibile che qualcosa
muova da s se stesso in modo non conforme alla propria natura;
anzi, il paragone aristotelico della natura a un medico che cura se
stesso consente di pensare a qualcosa che muove da s se stesso in
modo non conforme alla propria natura come a un medico che cu-
ra se stesso in modo inappropriato. Se invece si tiene stretto il le-
game di oqo qtoiv con pio, e si intende oqo come contro, il
caso D certo pi difcile da concepire: la nozione di qualcosa
che muove esso stesso se stesso per violenza contro la propria na-
tura non sembra ammissibile entro il pensiero di Aristotele.
Qui importa notare che il caso D meriterebbe qualche discus-
sione, e tuttavia Aristotele lo ignora. Ci mostra abbastanza chia-
ramente che lottica nella quale operata la coordinazione delle
due divisioni non quella di esplorare la ammissibilit dei casi ge-
nerabili mediante questa combinatoria. Il modo di procedere del-
lo Stagirita qui un altro: egli espone il suo assunto fondamentale
(tutto ci che mosso mosso da qualcosa) ad una aporia, dis-
solve laporia e su questa base considera il suo assunto come con-
validato. Laporia generata dallincrocio delle due distinzioni,
che sembra generare un caso di mosso senza motore. Si noti come
158 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
16
Cf. lIndex Aristotelicus di Bonitz, 562 a 31 ss.
Linsieme delle cose mosse (rappresentato dalla linea orizzon-
tale) diviso in due modi differenti dalle due divisioni. Dei tre
segmenti, nei quali tale linea risulta cos divisa, quello che rappre-
senta il caso critico quello centrale, quello dato dalle cose mosse
da altro e insieme mosse per natura.
IV Fin qui lesposizione stata condotta in termini alquanto
astratti, conformemente al modo aristotelico di formulare le que-
stioni. Tuttavia, entrambe le divisioni hanno dei riferimenti molto
chiaramente riconoscibili entro i lineamenti pi primitivi e irrecu-
sabili del mondo aristotelico. La divisione tra le cose mosse esse
stesse da se stesse e quelle mosse da altro si riferisce a quella
tra le cose in animate e non animate: le prime hanno un motore
interno, le seconde non lhanno. Questo riferimento esplicito
nel cap. 4; tuttavia si pu dire che esso sia presente in tutto il Li-
bro VIII. Va notato anzitutto che questa divisione distingue cose
mosse, sotto il prolo per cui il loro motore appartiene o non ap-
partiene ad esse.
Aristotele risolva laporia in modo da poter conservare tutto ci
che lha generata: sia il suo assunto fondamentale, sia le due di-
stinzioni. Ci che egli fa mostrare come il caso di un mosso ap-
parentemente senza motore non realmente tale. Una volta fatto
questo, alla ne del capitolo si esprime come se leliminazione del
caso critico valesse come una dimostrazione del suo assunto fon-
damentale.
Se questo vale, allora il modo in cui si compongono qui le due
divisioni messo in luce pi chiaramente dal seguente schema,
che ha il vantaggio di generare soltanto tre casi (come effettiva-
mente avviene in Aristotele). Le cose in movimento si dividono in:
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 159
mosse da altro
mosse esse stesse da se stesse =
che muovono esse stesse se stesse.
mosse pio oi
oqo qtoiv
mosse qtoci
Quanto alla seconda divisione quella tra per natura e per
violenza e contro natura , va anzitutto notato che essa si colloca
su un piano differente: non divide cose. Invero, il modo di espri-
mersi di Aristotele tende ad occultare questa differenza: infatti,
nellintrodurre in successione immediata le due divisioni egli si
serve in entrambi i casi della medesima espressione per indicare
ci che distingue: fo c v fo oc . Si tratta di unespressione poco
impegnativa, e forse anche per questo Aristotele la usa molto di
frequente. Tuttavia, una traduzione che intendesse i due fo con-
trapposti del testo aristotelico come rinvianti a due tipi di cose di-
stinti e contrapposti andrebbe bene soltanto per la prima divisio-
ne, ma non potrebbe andare bene per la seconda: infatti, una stes-
sa cosa pu essere in movimento per natura e per violenza. Ci
che con la seconda distinzione contrapposto dato piuttosto
dai movimenti o (pi in generale e includendo nella considerazio-
ne anche la quiete) dai comportamenti delle cose rispetto al moto,
sotto il prolo per cui tali comportamenti sono conformi o con-
trari alla natura delle cose che li compiono. Di nuovo, come evi-
dente dal cap. 4, il riferimento principale di questa distinzione a
un fenomeno primitivo e irrecusabile del mondo aristotelico,
quello dato dal comportamento dei corpi pesanti e leggeri, i quali
normalmente vanno rispettivamente verso il basso e verso lalto,
ma in condizioni particolari sono spinti contro natura nelle di-
rezioni rispettivamente opposte.
possibile allora tratteggiare larticolazione grezza delle cose
naturali e dei loro moti presupposta da questo capitolo del Libro
VIII nel modo seguente. Le cose mobili naturali (proprietarie cia-
scuna di una natura, cio di un principio interno di mutamen-
to/movimento e quiete) sono fondamentalmente di due tipi: il ti-
po delle cose animate tali cio da possedere la capacit di muo-
vere esse stesse se stesse e il tipo delle cose non animate tali
invece da non possedere tale capacit . Tra i movimenti effettiva-
mente compiuti dalle cose naturali ce ne sono, accanto a quelli
conformi alla natura di ci che li compie (cio conformi al dettato
dato ad esse con lo specico principio natura che costituisce e
distingue ciascuna di esse), altri che non sono conformi a tale na-
160 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
tura. Perch avvengano movimenti non conformi alla natura della
cosa mossa necessario (ma non sufciente) che qualcosa di al-
tro rispetto alla cosa mossa agisca sulla cosa mossa, in modo da
farle compiere un movimento diverso da quello dettatole dalla
sua natura, dunque un movimento per violenza (pio ).
Il tipo di cose nel quale si alternano movimenti effettivi secon-
do natura e movimenti effettivi contro natura (o comportamenti
effettivi secondo natura e comportamenti effettivi contro natura
quanto al movimento e alla quiete) dato anzitutto dalle cose non
animate, ed esemplicato nel modo pi chiaro e sicuro dalle co-
se pesanti e leggere (nelle quali si osservano moti secondo natura
rispettivamente in basso e in alto e moti contro natura i ri-
spettivi opposti). Le cose del tipo animato invece, in quanto muo-
vono esse stesse se stesse, non compiono movimenti contro natu-
ra e per violenza. In quanto, muovendo se stesse, muovono le loro
parti, possono far compiere per violenza movimenti contro natura
alle loro parti (per esempio, sollevando un braccio, che un cor-
po pesante); ma, appunto, sono le loro parti che compiono movi-
menti per violenza contro natura, e tali parti lo fanno in quanto
mosse da altro rispetto a loro stesse; nel muovere le proprie parti
contro la loro natura una cosa animata non muove se stessa con-
tro natura.
17
Uno dei tratti che pi merita di essere sottolineato di
questa fenomenologia, da cui Aristotele prende le mosse, da-
to del fatto che nellanimato si combinano, in un modo che appa-
re ovvio, lessere motore di se stesso con il muoversi per natura.
In effetti, in potere dellanimato (c otfm) dice Aristotele il
suo muoversi di moto locale, e dipende dalla natura costitutiva
dellanimato il dettato allorigine del suo muoversi. La natura det-
ta allanimato il comportamento proprio, comportamento che in
certa misura e in certo modo in suo potere realizzare mediante il
potere che egli ha sui suoi moti locali.
V In base a queste considerazioni il cap. 4 pu essere inseri-
to nel contesto del Libro VIII della Fisica nel modo seguente. Lo
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 161
17
Phys., VIII, 4, 254 b 18 ss.
svolgimento dimostrativo complessivo del libro imperniato sulla
relazione mosso-motore e ha come assunto fondamentale e irri-
nunciabile che tutto ci che mosso mosso da qualcosa, da
cui dipende la distinzione tra mosso da altro e mosso da se
stesso. Tale svolgimento dimostrativo riguarda, ovviamente,
lambito delle cose naturali, presuppone perci la nozione di na-
tura, tuttavia non si vale di essa; in particolare, lassunto che tut-
to ci che mosso mosso da qualcosa non derivabile dalla
denizione di natura (n Aristotele appare mai pretendere che
sia derivabile). Invero, potrebbe sembrare che tale assunto sia
messo in questione ed invalidato dalla concezione, sviluppata in-
dipendentemente, di movimento per natura e dalla connessa di-
stinzione dei movimenti in per natura e per violenza. Il capi-
tolo risolve questa aporia, senza rigettare niente di quanto Aristo-
tele ha detto altrove; lassunto cos pu essere riaffermato, e la di-
mostrazione cos pu riprendere, continuando a non far ricorso
alla nozione di movimento per natura.
Perch la concezione di un movimento per natura, e quella as-
sociata di cosa naturale come costituita essenzialmente da un
principio interno di movimento, rischia di essere aporetica in
questa dimostrazione? Il principio natura esiste (in modo di-
stribuito) nelle unit corporee, proprio di ciascuna unit corpo-
rea. Un mosso un corpo naturale. I corpi naturali nel loro
complesso costituiscono dunque sia il piano cui si applica (distri-
butivamente) il principio natura, sia il piano delle cose mobili e
mosse, i cui movimenti richiedono in ciascun caso un motore tale
da agire sul mosso. Ora, il qualcosa in posizione di motore, che
in tutti i casi deve esserci, si riveler essere, al termine di tutte le
risalite di tutte le concatenazioni mosso-motore, immobile, e dun-
que distinto dal mosso di cui motore. La natura per contro il
principio del movimento e della quiete del mobile, ci che per
ciascun mobile costituisce il principio di spiegazione del compor-
tamento quanto al moto e alla quiete, in senso largo la sua essenza
certamente interna al mobile, essendone il costituente primo.
Ma in questa dimostrazione il motore deve essere altro dal mosso.
La tensione teorica data dunque qui da un mobile che si muove
162 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
da un lato per natura (la quale rientra essenzialmente nella sua co-
stituzione), dallaltro (come qui deve) per lazione di un motore, il
quale non coincide con esso.
Evidentemente, questa possibile tensione teorica superabile,
a condizione che la natura da un lato e il motore dallaltro possa-
no essere insieme mantenuti distinti, come due distinti fattori
causali di un movimento, e tuttavia coordinati, come due fattori
causali che si integrano in un complesso esplicativo unitario. In-
vero, sembra abbastanza naturale intendere la denizione di natu-
ra nel senso, per cui essa costituisce una spiegazione sufciente
del muoversi di una cosa, quando ci siano le condizioni per la rea-
lizzazione del suo dettato; ma se intesa in questo senso, la natu-
ra aristotelica sembra contenere una latente invalidazione dellas-
sunto qui irrinunciabile, perch laddurre come fattore causale un
motore esterno sembra ridondante. dunque indispensabile, per
Aristotele, una messa a punto precisa del differente apporto cau-
sale della natura e del motore.
Questa la coesistenza difcile, che potrebbe intralciare lo
svolgimento argomentativo del Libro VIII, e che Aristotele af-
fronta nel cap. 4. Si noti come lo Stagirita, mentre da un lato non
pretende certo (come si detto) di derivare la necessit di un mo-
tore per ogni movimento dalla denizione di natura, dallaltro si
esprime come se non ci fossero problemi di compatibilit tra la
denizione di natura come principio di movimento e la tesi del-
la necessit di un motore per ogni movimento, nonostante la pos-
sibilit di intendere la natura in modo da rendere non indispen-
sabile il motore almeno per certi casi di movimento. Il suo pro-
cedimento in questo capitolo non , come si gi accennato,
quello di dimostrare la necessit teorica del motore in tutti i ca-
si, bens, ferma restando tale necessit teorica, quello di far ve-
dere il motore l dove non sembra visibile; laporia cos elimi-
nata mediante una coordinazione delle due concezioni. Se c sta-
ta una evoluzione nella sua concezione di natura (come alcuni
hanno supposto), Aristotele in questo capitolo non mostra di ri-
conoscerla.
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 163
VI parte essenziale della concezione dei movimenti per na-
tura la distinzione (presente in questo capitolo) tra movimenti per
natura e movimenti per violenza e contro natura. I movimenti con-
tro natura in effetti per Aristotele non solo ci sono in natura, ma
anche ci devono essere: sono in effetti indispensabili per la funzio-
ne esplicativa del principio natura rispetto a regolarit non ne-
cessarie, come caratteristicamente sono quelle dei processi biologi-
ci. La natura ci che spiega tale regolarit coesistente con la pos-
sibilit che i processi si compiano altrimenti, e dunque con le effet-
tive irregolarit. Essa in effetti costituisce per ciascuna cosa natura-
le una tendenza, un indirizzo proprio, senza che daltronde ci sia,
o possa esserci, una garanzia del conseguimento della condizione
cui la tendenza rivolta; ogni cosa si muove in mezzo ad altre co-
se, le quali sono sempre possibili impedimenti. Il valore esplicativo
del principio natura consiste effettivamente nello spiegare le
connessioni normali di comportamenti l dove sono possibili com-
portamenti differenti. Leliminazione dei movimenti contro natura
(cio lassegnazione di pari naturalit a tutto ci che accade tra le
cose) sarebbe dunque la distruzione della natura aristotelica come
principio esplicativo esistente in modo distribuito nelle cose mobi-
li, e la ridurrebbe a nome generico di una collezione.
Ma la presenza di movimenti contro natura non , per largo-
mentazione complessiva del Libro VIII, un problema (e non
neppure parte della soluzione del problema), perch essi sono se-
condari. Aristotele espone questo aspetto della sua concezione
nel modo pi netto nel cap. 2 del Libro III del De caelo. inne-
gabile che i corpi semplici abbiano ciascuno un moto proprio se-
condo natura dice Aristotele perch altrimenti tutti i loro moti
dovrebbero essere per violenza, ma i moti per violenza coincido-
no con quelli contro natura, e contro natura presuppone se-
condo natura, rispetto a cui esso si denisce.
18
(Notiamo tra pa-
rentesi che la ricusazione di questo argomento richiederebbe la ri-
cusazione preliminare della distinzione stessa tra moti naturali e
moti violenti, e il riconoscimento di pari naturalit a tutti i moti.)
164 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
18
Cael., III, 2, 300 a 21 - 27.
A questo argomento Aristotele ne fa seguire uno a sostegno della
primariet dei moti secondo natura:
Perci Leucippo e Democrito, che dicono che i corpi primi si
muovono sempre nel vuoto e nellinnito, dovrebbero dire di quale
movimento si muovono e qual il movimento secondo natura di es-
si. Infatti, [1] se tra gli elementi luno mosso dallaltro per violenza
[pio ], tuttavia necessario che ciascuno abbia anche un determinato
movimento secondo natura, rispetto al quale quello violento con-
tro. E [2] bisogna che il movimento che per primo muove [fqv
qmfqv ivotoov scil. ivqoiv] muova non per violenza; infatti si va
allinnito, se non ci sar un primo che muove secondo natura, e in-
vece a muovere sar ogni volta ci che mosso in precedenza per
violenza [ci q fi cofoi ofo qtoiv ivotv qmfov, o oci fo qo-
fcqov pi o ivotcvov ivq oci].
19
Il passo chiave quello qui indicato con [2], ricostruibile nel
modo seguente. O c un primo movimento per natura, oppure c
il regressus in innitum dei moti violenti; ma la seconda possibilit
esclusa; quindi c un primo movimento per natura. Ci che
rende inammissibile la seconda possibilit il regressus in inni-
tum che essa contiene. Ma tale regressus in innitum generato
dallimpossibilit di porre un primo nelle concatenazioni di moti
violenti. Questo argomento dunque equivale a porre che il primo
e il secondo natura coincidono, come condizione perch la na-
tura conservi il suo valore di base esplicativa. Dunque le cose na-
turali entrano in gioco, per cos dire, nel movimento con la loro
natura, e poi eventualmente si muovono anche contro natura.
VII I comportamenti per violenza dunque non costituiscono
motivo di aporia, data la loro secondariet; di conseguenza, lin-
nesto della teoria dei motori sulla concezione della natura, che si
tratta di compiere per assicurare la validit dellassunto fonda-
mentale di questo libro, va compiuto non tanto in riferimento ai
comportamenti in generale delle cose naturali, quanto piuttosto ai
comportamenti per natura delle cose naturali. Posto che lassunto
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 165
19
Cael., III, 2, 300 b 8 - 16.
fondamentale tutto ci che mosso mosso da qualcosa non
in questione, si tratta allora di mostrare per tutti quei casi, nei
quali un movimento per natura per ci che lo compie, il qual-
cosa che assolve al ruolo di motore. Come si gi detto, la via
che percorrer Aristotele per pervenire al primo motore immobi-
le passer per quel tipo di cose che possiedono la capacit di
muovere da s se stesse, cio le cose viventi. Ma non questo il ti-
po di cose che allorigine dellaporia affrontata in questo capito-
lo, e che ne determina la redazione. Infatti, dice Aristotele,
entro le cose che si muovono secondo natura [scil. chiaro che so-
no mosse da qualcosa] quelle che sono mosse esse stesse da se stes-
se, come gli animali; infatti non oscuro questo: se sono mosse da
qualcosa, bens in che modo si deve distinguere ci che di esse muo-
ve e ci che mosso.
20
Loscurit evocata in queste parole sar in effetti affrontata
nel cap. 5, e costituisce, come si accennato allinizio, il punto
forse pi controverso dellintero libro.
Nel cap. 4 peraltro il problema affrontato quello dato dalle
restanti cose naturali, quelle che come tali hanno movimenti per
natura, per i quali si pone il problema del motore; le cose cio
che, nel muoversi per natura, occupano il segmento centrale dello
schema che si proposto sopra. Vale la pena di notare come Ari-
stotele imposta il problema. La due divisioni (mosso da altro
da se stesso e mosso per violenza per natura) non sono in
questione, n in questione la loro esaustivit; di conseguenza,
non discutibile che il caso dei corpi semplici debba essere collo-
cato entro una delle caselle generate dallincrocio delle due di-
visioni. Ci posto, se i corpi semplici potessero essere collocati
nella stessa casella dei corpi animati quanto al loro motore (se
cio fossero mossi da se stessi), allora non costituirebbero una dif-
colt distinta da quella relativa in generale a ci che mosso da
se stesso, e una loro trattazione ricadrebbe nellambito della di-
scussione svolta nel cap. 5. Ma impossibile dice Aristotele
che essi siano mossi da se stessi; quindi, dato che certamente sono
166 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
20
Phys., VIII, 4, 254 b 27 - 30.
mossi da qualcosa, devono essere mossi da altro, in virt dellirre-
cusabilit della doppia divisione iniziale. Allora la questione non
, se ci sia per essi un motore, bens, posto che c ed altro da
essi, quale sia questo loro altro che ne il motore; pi precisa-
mente, in quale rapporto stia con essi. Questa impostazione esclu-
de demble la possibilit di un inizio assoluto di un movimento.
Che questa sia limpostazione aristotelica del problema, ben
riconoscibile. Lo Stagirita in effetti dice che ci che produce pi
difcolt (oiofo ooqcifoi) dato dai corpi semplici; e nel col-
locarli entro le sue divisioni si esprime con un tono che, se da un
lato tradisce una qualche insoddisfazione, dallaltro mostra come
egli si ritenga vincolato al suo schema: delle cose che sono mosse
da altro abbiamo posto che le une si muovono contro natura;
quanto alle altre, non resta che porre allopposto (cicfoi ovfi-
0civoi) che si muovono per natura.
21
Ancora pi rilevante che
egli contempli la possibilit di collocare i corpi semplici entro le
cose che sono mosse esse stesse da se stesse, per escluderla; ed
proprio questa impossibilit a costringere Aristotele alla deviazio-
ne del cap. 4. Altrimenti, il livello primario dei mobili sarebbe
composto totalmente ed esclusivamente da entit quali le anima-
te. In tal caso, lo svolgimento argomentativo rivolto alla posizione
di motori immobili eterni ne risulterebbe facilitato: non dovrebbe
fronteggiare la complicazione derivante dal fatto che il livello pri-
mario dei movimenti, quello naturale, composto anche di movi-
menti, il cui motore altro da ci che li compie.
Aristotele rigetta questa possibilit (rigetto che a noi sembrer
presumibilmente motivato dal primitivismo scientico di una teo-
ria che animi gli elementi, ma che fa pensare alle tesi platoniche del
Libro X delle Leggi). Produce due argomenti in questo senso. Il
primo che nelle cose animate lessere motrici di se stesse asso-
ciato con lavere un certo dominio sul proprio moto locale; ma se
fosse in potere (c otfm) del fuoco il suo portarsi in alto, lo sa-
rebbe anche un suo portarsi in basso; e questo assurdo.
22
Il se-
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 167
21
Phys., VIII, 4, 254 b 34 - 255 a 1.
22
Phys., VIII, 4, 255 a 5 - 11.
condo pi collegato con la logica complessiva dellargomentazio-
ne aristotelica. Un corpo semplice non pu muovere da s se stes-
so, perch in tal caso dovrebbe essere articolabile internamente, in
modo che una sua parte possa agire, laltra patire; ma ci esclu-
so immediatamente dal suo carattere di corpo semplice.
23
Di con-
seguenza, i corpi semplici, che certamente si muovono primaria-
mente per natura, sono mossi da altro. Si deve allora mostrare
questo motore altro e dire come coesista con il carattere per natura
del movimento dei corpi semplici; si tratta dunque di produrre una
riformulazione pi precisa della teoria, tale da dissolvere laporia.
A questo scopo Aristotele formula per la prima volta nel capi-
tolo con precisione che cosa intenda con mobile per natura:
mobile per natura ci che potenzialmente un quale o un quanto
o in un luogo [fo otvoci oiov q ooov q ot ], qualora abbia tale
principio in se stesso [fqv oqqv fqv foiotfqv cv otfm ] e non per
accidente.
24
Linterpretazione corretta di questa formulazione , a mio giu-
dizio, la seguente. Mobile ci che potenzialmente altro rispetto
a ci che esso . Il movimento lattualit di ci che mobile in
quanto mobile; il movimento dunque lattualit di ci che po-
tenzialmente altro rispetto a ci che esso . Questo altro , per cia-
scun mobile, determinato; in questa formulazione aristotelica tale
determinatezza data con le espressioni oiov, ooov, ot, che
consentirebbero anche la traduzione un certo quale, un certo
quanto, in un certo luogo. Il punto di questa formulazione ari-
stotelica peraltro denire mobile per natura; ci ottenuto me-
diante la clausola introdotta da qualora, la quale mette in con-
trasto ci che mobile per natura con ci che mobile non per
natura. Il contrasto chiaramente non concerne la mera potenzialit
ad essere una certa qualit o una certa quantit o in un certo luo-
go; infatti una cosa pu essere soggetto di tali potenzialit anche
non per natura. Il contrasto riguarda il modo in cui le potenzialit
168 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
23
Phys., VIII, 4, 255 a 12 - 15.
24
Phys., VIII, 4, 255 a 24 - 26.
stanno a ci che ne soggetto. Se esse appartengono alla cosa, co-
me parte della sua costituzione propria come rientranti nel prin-
cipio natura che costituisce lessenza della cosa ( questo il senso
qui dellespressione fqv oqqv fqv foiotfqv cv otfm ) , allora la
cosa mobile per natura relativamente ad esse; se invece la cosa
ha tali potenzialit, ma non avendole in se stessa come un princi-
pio, ma solo per accidente, allora essa non mobile per natura re-
lativamente ad esse. Detto in altro modo, se il conseguimento di
una certa qualit o quantit o localizzazione rientra nella tendenza
naturale di una cosa, allora il suo movimento in questo senso per
natura e la cosa sotto questo prolo mobile per natura. Il termi-
ne oqq, collegato a potenzialit determinate, rinvia chiaramente
qui alla natura come principio specico di movimento e quiete.
Su questa base Aristotele pu riformulare quel contrasto che
qui fonte dellaporia:
Il fuoco e la terra dunque sono mossi da qualcosa [1] per vio-
lenza, qualora siano mossi contro natura, [2] per natura, qualora
siano mossi verso le proprie attualit, essendole potenzialmente [ci
fo otfm v cvcqcio otvo ci ovfo].
25
del tutto chiaro che queste attualit proprie sono il corre-
lato delle potenzialit il cui principio era avuto internamente dalla
cosa, nel passo citato appena sopra. E dunque il motore altro
delle cose inanimate che si muovono per natura ci dalla cui
azione dipende che le cose naturali pensate come connessioni di
potenzialit, organizzate in tendenze, o indirizzi, naturali com-
piano i movimenti conformi alla propria tendenza, nello spazio
stesso delle potenzialit, no al conseguimento dello stato cui esse
sono indirizzate naturalmente; nel compimento di questi movi-
menti consister la realizzazione della natura del mosso.
VIII Per ripetere dunque le parole di Aristotele, i corpi
semplici sono mossi da qualcosa per natura, qualora siano mossi
verso le proprie attualit. Cos dicendo, lo Stagirita caratterizza
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 169
25
Phys., VIII, 4, 255 a 28 - 30. Il corsivo, ovviamente, mio.
astrattamente un motore, come qualcosa che agisce su una cosa
costituita da una connessione di potenzialit indirizzate e congu-
ranti una tendenza. Ma non ancora ben visibile, come nota lo
stesso Aristotele, in che cosa consista il motore, proprio nel caso
dei corpi semplici che si muovono per natura; soprattutto non
ancora ben chiaro in che cosa consista lazione del motore sul
mosso. Invero, in base al modo, in cui il motore pensato agire
su una cosa naturale (qui, su un corpo semplice e inanimato), che
pu emergere in che modo Aristotele intende un motore.
Qui proceder in un modo un poco insolito. Produrr tre co-
struzioni possibili della spiegazione causale dei moti naturali dei
corpi semplici, ignorando anzitutto la complicazione, in Aristote-
le importantissima, apportata dal quinto corpo semplice, letere,
procedendo cio come se tali costruzioni fossero intese come rife-
ribili allo stesso modo a tutti indiscriminatamente i corpi sempli-
ci, e letere non esistesse (si noti che in questo capitolo non si fa
cenno alletere). Mi varr di interpretazioni gi proposte, ignoran-
do, nel servirmene, che esse hanno tenuto conto della complica-
zione apportata dalletere. La prima e la seconda costruzione non
sono mai state proposte per il cap. 4 di questo libro, perch sono
immediatamente incompatibili. Tuttavia esse sono intese a rende-
re, per contrasto, pi chiara la terza e le sue difcolt.
Un movimento per natura qualcosa di un corpo naturale
(qui un corpo semplice) che lo compie. Ci posto, ci sono due
elementi strutturali dei movimenti per natura dei corpi che so-
no comuni a tutte le costruzioni e che sono fuori questione. Essi
sono:
a) la tendenza, o indirizzo, o dettato, naturale proprio del cor-
po;
b) linsieme delle circostanze esterne in cui il corpo si muove,
che possono essere favorevoli oppure impedienti, rispetto alla sua
tendenza naturale.
Ora, possibile pensare che questi due elementi, da soli, sia-
no sufcienti a fornire un complesso esplicativo adeguato per i
moti effettivi: le cose si muovono secondo il dettato che proviene
ad esse dalla loro natura, a meno che le circostanze esterne siano
170 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
impedienti. Per questo quadro esplicativo basta la natura, per co-
s dire; non c bisogno del fattore esplicativo ulteriore dato dal
motore, perch la natura assolve gi essa a tutte le funzioni espli-
cative cui potrebbe assolvere il motore. immediata lincompati-
bilit di questa spiegazione con il cap. 4 di Fisica VIII. Va aggiun-
to un rilievo, che va oltre quanto dice Aristotele: per questo qua-
dro esplicativo una cosa naturale dispone, oltre al dettato naturale
che la costituisce, di una certa forza, cui essa fa ricorso nel muo-
versi. Invero, una tale forza non pu coincidere con la specica
tendenza naturale che costituisce la cosa: due cose specicamente
identiche avranno la stessa tendenza, possono daltronde avere
una forza differente. Questo aspetto delle cose naturali, per cui la
forza di cui esse dispongono (e bisogna che dispongano) irridu-
cibile alla tendenza, non peraltro in primo piano, ma presente
piuttosto come unovviet implicita: Aristotele in effetti pensa
tendenzialmente la forza come subordinata a, serva de, la tenden-
za, come qualcosa di cui il soggetto della tendenza dispone; la
tendenza indirizza luso della forza; e dunque, per la teoria, suf-
ciente ammettere che, quando la cosa si muove secondo la ten-
denza, c in essa forza quanto basta. Il cambiamento di compor-
tamento di una cosa quanto al moto e alla quiete spiegato nor-
malmente dal cambiamento delle circostanze esterne.
Questa costruzione (la prima delle tre astrattamente possibili)
della concezione dello Stagirita non pu, come si detto, essere
riferita al Libro VIII della Fisica, visto che per essa allorigine del
movimento si trova la qtoi da sola, per cos dire, cio senza il
concorso ulteriore di un motore. La concezione di una natura
esplicativamente sufciente da sola stata in effetti vista da alcuni
interpreti come presente (in misura prevalente) nel De caelo e nel
Libro II della Fisica. Lovvia implicazione di questa lettura che
ci sia stata unevoluzione nel pensiero aristotelico, e che lultimo
libro della Fisica costituisca una fase pi elaborata delle sue con-
cezioni in proposito. Qui tuttavia non affronter la questione (in-
sieme scivolosa e spinosa) dellevoluzione del pensiero di Aristo-
tele; ho citato il quadro esplicativo dei movimenti visto da alcuni
interpreti in altri libri di Aristotele solo allo scopo di rendere pi
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 171
evidente, per contrasto, linterpretazione di questo capitolo del
Libro VIII.
La seconda costruzione possibile introduce, accanto ai due
elementi basilari (la tendenza naturale e le circostanze esterne), il
motore come terzo elemento. Caratterizzante il modo in cui lo
connette agli altri due. La natura di un corpo naturale costituisce
in tale corpo il dettato, lindirizzo, a muoversi che gli specica-
mente proprio; dunque la natura di un corpo spiega come esso si
muove. Non spiega ancora che si muova. Neppure le circostanze
esterne sono sufcienti a spiegare (in base al loro essere favorevoli
o impedienti rispetto alla tendenza naturale) il fatto che ci sia il
movimento della cosa, invece di non esserci. Una cosa naturale ha,
originariamente collegato con il dettato specico, ma distinguibile
da esso, un impulso interno a muoversi; questo ci che fa s che
la cosa si muova, a meno che le circostanze non lo impediscano.
Questo impulso richiede di essere attivato, destato; in assenza di
un tale fattore destante, la cosa naturale non si muoverebbe. Tale
fattore attivante, destante, il motore; questo il ruolo causale ed
esplicativo di un motore. Si noti che limpulso, che questa costru-
zione pone nella cosa, essenzialmente altro dalla forza; limpulso
direttamente attivato dal motore, e, una volta attivato, fa s che
il movimento ci sia; la forza invece qualcosa di cui la natura di-
spone e a cui essa ricorre al destarsi dellimpulso, e che necessa-
rio, perch il movimento sia possibile (la prima costruzione, espo-
sta poco sopra, non aveva bisogno di una distinzione quale quella
qui formulata tra limpulso e la forza, perch nelle circostanze fa-
vorevoli la cosa naturalmente e immediatamente fa ricorso alla
propria forza).
Dunque la relazione tra il motore e il mosso in questa (secon-
da) costruzione quella di attivazione. Detto metaforicamente,
quella di destare a muoversi una cosa naturale gi costituita quan-
to al suo dettato a muoversi; spingendo ancora oltre la metafora,
ci che dormiente, e destato dal motore, sono le potenzialit
proprie del mobile. Il movimento avviene, inoltre, a meno che le
circostanze lo impediscano (e se la cosa naturale dispone di una
forza sufciente). In questa costruzione il motore presente al suo
172 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
mosso, allorch questo si muove. Lattivazione dellimpulso sem-
bra richiamare in qualche misura lattivazione del desiderio (an-
che se si tratta di corpi inanimati), e la causalit del motore, se co-
s intesa, sembra essere del tipo nale: limpulso che muove la
tendenza naturale non pu che essere rivolto a un bene.
26
IX Come ho gi detto, queste due costruzioni non possono
essere valide per il cap. 4 di questo libro; sono state formulate per
rendere pi chiaramente, per contrasto, la terza. nella connes-
sione del motore con il mosso che sta la differenza essenziale.
Mentre nella seconda costruzione il motore attivava il mosso
agendo sul suo impulso, qui il motore produce la natura, la quale
poi si muover (a meno che le circostanze esterne lo impediscano)
in base alla tendenza, in cui essa consiste. Aristotele procede pro-
ducendo anzitutto un modello, nel quale linsieme degli elementi
della sua costruzione sono ben distinti, e poi invita a trasferire
questa struttura nei casi dove pi difcilmente visibile. Il mo-
dello dato dal processo di apprendimento e di esercizio della
conoscenza. Egli dice anzitutto:
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 173
26
Questa esposizione di ci che ho chiamato la seconda costruzione del-
la spiegazione causale dei moti naturali dei corpi semplici si rifatta principal-
mente allarticolo classico di W.C.K. Guthrie, The Development of Aristotles
Theology, I e II, Classical Quarterly, 1933, pp. 162-171 e 1934, pp. 90-98. Una
citazione permette di rendere evidente la misura in cui mi sono rifatto ad esso:
All change and motion is to be regarded as the actualization of a potency. The ac-
tualization takes place because the fuvsi~ of thing is something dynamic, an inward
urge towards the realization of the form. [Ma] this inward urge would remain
dormant unless there were actually existent some external perfection to awaken it,
by instilling the desire of imitation, in so far as that was possible for each thing in
its own particular mode of being (p. 171). Come si vede, c qui lisolamento
dellimpulso (linward urge), la funzione destante del motore, la connessione con
il desiderio e limitazione. Sottolineo nuovamente che nellarticolo di Guthrie
lattenzione al caso del movimento dei cieli in primo piano (come gi indica-
to dal titolo stesso), mentre nella mia esposizione lho ignorato. Tra gli studiosi
recenti mi sembra ancora assai vicino allimpianto teorico della costruzione di
Guthrie larticolo di L. Judson, Heavenly Motion and the Unmoved Mover, in
M.L. Gill-J.G. Lennox (a cura di), Self-Motion. From Aristotle to Newton, Prin-
ceton, 1994, pp. 155-171.
Chi sta apprendendo in un altro senso potenzialmente cono-
scitore rispetto a chi ha gi [qoq] la conoscenza e non la sta eserci-
tando [q cvcqmv]. In tutti i casi, in cui ci che ha la capacit di
produrre [fo oiqfiov] e ci che ha la capacit di subire [fo o0q-
fiov] sono insieme, ci che in potenza diviene attualmente; per
esempio: chi sta apprendendo diviene, dallessere potenzialmente
qualcosa, soggetto di una differente potenzialit (infatti chi ha la co-
noscenza, ma non contempla [q 0cmqmv], un conoscitore poten-
ziale in un certo senso, ma non nel senso in cui lo era prima di aver
appreso), e, quando si trova in questa condizione, se nulla lo impe-
disce, esercita, cio contempla.
27
Laspetto decisivo introdotto da questo modello la scompo-
sizione in due fasi dellazione del motore sul mobile che effettiva-
mente si muove. Il motore in questo modello rappresentato dal
maestro, indicato astrattamente con lespressione fo oiqfiov
propriamente agisce sul mobile (fo o0qfiov) soltanto nella pri-
ma fase, producendo con la sua azione nel discepolo labito cono-
scitivo, cio la disposizione consistente nella potenzialit ad eserci-
tare lattivit conoscitiva (cio la potenzialit che in seguito sar
chiamato potenza seconda); in questo modello il discepolo rap-
presenta il mobile, labito conoscitivo la tendenza naturale e leser-
cizio della potenzialit conoscitiva (della potenza seconda) il movi-
mento. Che lesercizio della potenza seconda si compia non dipen-
de, nel modello, dallazione ulteriore del maestro; correlativamen-
te, che il movimento si compia dipende dalle circostanze esterne
(da che siano non impedienti). Dunque nella fase del compimento
del movimento non necessario che il motore sia presente al mos-
so; lazione del motore sul mobile in questa costruzione appartie-
ne essenzialmente al passato del mobile che si sta muovendo.
In questa costruzione dunque un motore trasforma un sogget-
to di potenzialit producendo in esso un indirizzo determinato
una tendenza e disposizione entro il suo insieme di potenzialit,
generando in senso largo una natura. Questa poi esercita in certo
senso autonomamente dal motore la potenza seconda acquisita
174 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
27
Phys., VIII, 4, 255 a 33 - b 4.
per lazione del motore. Si noti come questo modello rispetti uno
dei requisiti della causazione aristotelica: la causa agisce trasmet-
tendo ci che essa possiede gi (qui, labito conoscitivo). Si noti
anche come il motore in questo modello sia di per s immobile
(anche se certamente mobile per accidente): il maestro in quanto
maestro non cambia nel trasmettere labito conoscitivo. Si noti in-
ne come la causalit del motore, in questo modello, sembri esse-
re piuttosto di tipo efciente: il motore produce in altro il princi-
pio del movimento di cui il motore.
28
Rifacendoci al modello ben scomposto, si vede facilmente
quali siano le differenze con la costruzione precedente. Qui il mo-
tore produce la natura, cio la cosa naturale costituita dalla sua
tendenza specica, e non presente quando tale cosa si muove se-
condo la propria tendenza; l il motore agiva su una cosa che esso
trovava gi costituita, agiva attivando e dunque era presente quan-
do la cosa si muoveva secondo la propria tendenza. Qui, data la
cosa naturale con la sua tendenza, dipende solo dalle circostanze
esterne che essa si muova effettivamente; l le circostanze esterne
favorevoli non erano sufcienti a spiegare che la cosa si muovesse
effettivamente. Qui la causalit del motore di tipo efciente; l
sembrava essere piuttosto di tipo nale (lisolamento dellimpulso
rispetto alla tendenza, come ci che richiede di essere destato,
sembra introdurre inevitabilmente un riferimento al bene).
Se poi introduciamo nel confronto anche la prima costruzione
esplicativa, vediamo che questa terza e ultima le assai pi prossi-
ma dellaltra. Si pu dire che la struttura della prima viene a costi-
tuire, rimanendo intatta, la seconda fase della terza, dove una na-
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 175
28
Nellesposizione di ci che ho chiamato la terza costruzione della spie-
gazione dei moti naturali dei corpi semplici ho tenuto conto in particolare del-
larticolo di I.M. Bodnar, Mover and Elemental Motions in Aristotle, in Oxford
Studies in Ancient Philosophy, 1997, pp. 80-117. Bodnar peraltro presenta qua
e l formulazioni che tendono ad oscurare le difcolt; per esempio a p. 102 di-
ce: In the Physics Aristotle illustrates the motion of the elements with the alle-
gedly parallel case of a teacher who induces knowledge in her student, and is re-
sponsible both for the state of knowledge these students have and for the actual
performance of the students as well. Ma linsegnante non la causa dellactual
performance della scolara, ma soltanto del modo in cui si realizza.
tura si muove secondo la propria tendenza, a meno che le circo-
stanze esterne non siano impedienti, senza necessit della presen-
za di un motore; la terza costruzione esplicativa premette sempli-
cemente la prima fase, nella quale la natura prodotta dal moto-
re, e in questo modo introduce il motore. Per contro, come si
gi notato, assai maggiore la modicazione introdotta con la se-
conda costruzione esplicativa, dove il motore attiva la natura a
muoversi essendo presente.
X Ho compiuto questa analisi riferendomi al modello pro-
posto da Aristotele quello dellapprendimento e dellesercizio
della conoscenza perch in esso tutti gli elementi sono ben
scomposti, dunque chiaramente visibili. Ora, lo Stagirita, subito
dopo averlo esposto, procede come se in base ad esso divenissero
visibili gli stessi elementi anche nel caso pi opaco dei movimenti
per natura dei corpi semplici; in questo modo diviene visibile in
questo caso il motore. In realt, c qui una sorta di progressione,
con la quale Aristotele si avvicina poco per volta al caso pi opa-
co. Dice infatti, nelle righe immediatamente successive:
Le cose vanno nello stesso modo [ooim] anche nel caso dei
corpi naturali: ci che freddo potenzialmente caldo; qualora sia
cambiato, ormai [qoq] fuoco, e brucia, se nulla impedisce. Le cose
vanno nello stesso modo [ooim] anche nel caso del pesante e leg-
gero: ci che leggero nasce dal pesante, per esempio laria dallac-
qua (lacqua infatti il potenzialmente leggero pi prossimo), ed
ormai [qoq] leggero, e immediatamente eserciter [cvcqqoci ct0t
scil. la sua leggerezza], se nulla impedisce. Attualit [cvcqcio] di
ci che leggero essere in un luogo [ot], cio in alto; impedita,
qualora esso sia nel luogo opposto.
29
I tre qoq gi, ormai scandiscono nei tre casi le due fasi,
quella trasformativa e produttiva che precede, e quella attiva
che segue. Il motore nei due casi dei movimenti dei corpi semplici
sar dunque lanalogo del maestro nel processo di apprendimento
176 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
29
Phys., VIII, 4, 255 b 5 - 12.
e di passaggio dalla condizione di potenza prima a quella di poten-
za seconda; in entrambi i casi, si tratter di un oiqfiov; ci che
rende caldo nel primo caso, ci che rende leggero nel secondo.
Si noti che oiqfiov resta lunico termine per indicare il motore,
senza che siano dati elementi per una sua identicazione pi preci-
sa; se nel modello il maestro pu essere facilmente identicato co-
me il motore per il processo di apprendimento, non altrettanto fa-
cile la corrispondente identicazione del motore nei processi di
formazione del caldo e del leggero. Peraltro, se vale lanalogia, il
motore comunque identicato in termini funzionali: ci che di
volta in volta assolve alla funzione di generare la cosa naturale. E si
pu assumere che c sempre ci che ha assolto a tale funzione.
A sua volta, il movimento corrisponder allesercizio della po-
tenza seconda; nel primo caso consister nel bruciare (transitivo).
Il secondo caso per meno chiaro. Infatti, lesercizio della po-
tenza seconda del leggero indicato come essere in un luogo;
ora, essere in un luogo non compiere un movimento. Il moto-
re cos diviene causa di un esercizio di una potenza seconda, che,
strettamente parlando, non movimento (anche se richiede un
movimento preliminare per realizzarsi). Questo potrebbe colle-
garsi bene con lidea che lesercizio della potenza seconda non
implica di per s un cambiamento: come lesercizio della potenza
seconda di contemplare non comporta un cambiamento in chi lo
compie, cos il leggero esercita la sua potenza seconda essendo in
alto, senza cambiare (in particolare senza muoversi). Ma certo ab-
biamo in questo modo un motore che causa molto indirettamente
un movimento: lo causerebbe in quanto produce una natura, le-
sercizio della cui potenza seconda (cio, la cui attualit) consiste
nellessere in una condizione, che richiede un movimento prelimi-
nare distinto dallesercizio. Questo movimento preliminare (quel-
lo di cui Aristotele allinizio del capitolo diceva non esser chiaro il
motore) non appartiene pi alla fase in cui il motore produce (in-
fatti il corpo quando si muove verso lalto gi leggero), e dal-
tronde non appartiene ancora alla fase dellesercizio della poten-
zialit propria. Inoltre, la presenza dellimpedimento in base a
questo modello dovrebbe essere il fattore, che determina che il
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 177
movimento non avvenga; ma, visto che Aristotele dice che limpe-
dimento qui consiste nel trovarsi nel luogo opposto, qui il darsi di
una condizione iniziale di impedimento la condizione perch il
movimento (come distinto dallesercizio della potenzialit pro-
pria) avvenga. Insomma, nel caso del movimento verso lalto del
leggero il motore di tale movimento sembra essere ci che ha pro-
dotto quel corpo il cui esercizio della potenzialit propria essere
in alto, purch lo abbia prodotto l dove tale esercizio impedito;
in questo casi tale movimento avviene, purch le circostanze im-
pedienti per lesercizio della potenzialit propria siano non impe-
dienti per il movimento, che porta al conseguimento delle condi-
zioni favorevoli allesercizio della potenzialit propria.
30
XI Secondo questa laboriosa analisi, il moto locale dei corpi
semplici sembra collocarsi in modo alquanto sfuggente tra la pri-
ma e la seconda fase del modello proposto da Aristotele. Peraltro,
al di l di questo punto di opacit, sembra davvero essere questa la
concezione complessiva dello Stagirita, visto che i suoi ingredienti
si trovano anche in un passo del De caelo, in cui non chiaramen-
te delineata la sfasatura tra lazione del motore e il movimento.
In De caelo, IV, 3 il problema di Aristotele : perch i corpi
non si comportano nel moto tutti allo stesso modo, ma sempre se-
condo natura gli uni vanno in alto, gli altri in basso?
31
La risposta
fondamentalmente sar che in questo consiste la natura rispettiva
dei leggeri e dei pesanti. In questo contesto, come parte della pro-
tasi di un lungo periodo ipotetico, Aristotele dice:
capaci di muovere [ivqfiov] verso lalto e verso il basso sono ci
che capace di rendere pesante [fo poqtvfiov] e ci che capace
di rendere leggero [fo otqiofiov], e mobile ci che potenzial-
mente pesante e leggero.
32
178 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
30
I. Bodnar (art. cit., n. 28) osserva (p. 103, n. 33) che un aspetto indi-
spensabile dellazione del motore, in questo caso, che produca il mosso fuori dal
suo luogo; non si esprime per come se ci potesse costituire un problema.
31
Cael., IV, 3, 310 a 17 ss.
32
Cael., IV, 3, 310 a 31 - 33. Sebbene parte dellantecedente di un condi-
zionale, questa frase esprime certamente la concezione di Aristotele.
I due termini poqtvfiov e otqiofiov meritano di essere
sottolineati; entrambi sono infatti dai con linguistici di Aristotele
e sono degli hapax legomena; non ricorrono altrove nel corpus del-
lo Stagirita; n saranno mai pi usati, se non nella tarda antichit
(e con signicati molto differenti).
33
La ragione di un tale conio
terminologico, alquanto articioso, che Aristotele sente il biso-
gno di caratterizzare con pi precisione, dotandoli di nomi distin-
ti, i motori specici dei movimenti dei pesanti e dei leggeri; e,
chiaramente, la loro azione specica quella di produrre corpi pe-
santi e leggeri. Si tratta chiaramente della stessa azione sul mosso
del cap. 4 del Libro VIII della Fisica; il motore di un movimento
ci che fa ci cui per natura tale movimento.
Poco pi avanti Aristotele tocca il problema dellapparente
origine interna dei movimenti di questi corpi, e, dopo aver detto
che anche per gli altri tipi di movimenti i corpi sembrano talora
originare da s il proprio movimento, in quei casi in cui sia acca-
duto fuori un piccolo movimento, dice:
Pi di questi [scil. altri corpi] il pesante e il leggero sembrano
avere in se stessi il principio [scil. del movimento], perch la loro
materia la pi vicina alla sostanza [oio fo ctfofo fq otoio
civoi fqv fotfmv tqv]; ne una prova il fatto che il moto locale
proprio di corpi che risultano distaccati [ooctcvmv] ed per
nascita [cvcoci] lultimo dei movimenti; di conseguenza questo
movimento sar primo secondo la sostanza.
34
Ci che importa osservare di questo passo che il moto locale
il moto specico di ci che pesante o leggero collocato nel
piano di passaggio, per cos dire, tra le due fasi; ha luogo alla ne
del processo di formazione, che lo precede, e nel quale attivo
ci che rende pesante (o leggero), cio il motore; daltra parte,
la massima prossimit alla sostanza della materia di ci che
compie tale moto non pu essere interpretata altrimenti che come
la condizione, nella quale si tratta di compiere un solo movimento
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 179
33
poqtvfiov in contesti musicali, otqiofiov in contesti medico-farma-
cologici.
34
Cael., IV, 3, 310 b 31 - 311 a 1.
per pervenire alla compiutezza. Il movimento del pesante e del
leggero lultimo e il pi prossimo. Si noti che una massima vici-
nanza ancora una distanza, seppure di un passo solo.
Aristotele prosegue immediatamente con una formulazione
non molto nitida:
Qualora dunque da acqua nasca [ivqfoi] aria, e dal pesante
leggero, laria va verso lalto. Insieme leggera, e non pi diviene,
bens l [o o o c ofi ot qov, oi ot c fi i vcfoi, o c ci c ofiv].
35
La prima frase sembra contenere la scansione in due fasi,
quella del nascere e quella successiva del muoversi: il pesante di-
venta leggero, poi laria va in alto. La seconda frase sembra invece
connettere immediatamente alla ne del processo di trasformazio-
ne la condizione nale del movimento, se, come sembra, lcci in-
dica il luogo in cui il leggero va a stare; il tempo in cui il leggero
gi nato, ma non ancora l, sembra come saltato, e con esso il
movimento. Invero, non si pu ricavare troppo da una breve frase
come questa. Sembra per potersi dire che anche qui presente il
punto di opacit precedentemente notato. Ci depone a favore
della sostanziale identit di concezione tra questo capitolo del De
caelo e quello qui studiato del Libro VIII della Fisica; e sembra
suggerire che nella Fisica ci sia soltanto una formulazione pi ela-
borata (che quindi la Fisica sia successiva), senza che per le opa-
cit vengano meno nel passaggio da un testo allaltro.
XII Il contenuto del cap. 4 del Libro VIII sembra dunque
essere il seguente. Tutto ci che mosso mosso da qualcosa.
Questo non in discussione; ma va affrontato il caso dei movi-
menti per natura dei corpi inanimati, dove non chiaro in che co-
sa risieda il motore. Laporia risolta, ponendo come motore ci
che nel passato del mobile in movimento ha prodotto (dunque
come causa efciente) quella cosa naturale che il mobile , la cui
natura spiega causalmente il movimento presente, dato che nel
suo compierlo consiste la propria realizzazione, e spiega causal-
180 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
35
Cael., IV, 3, 311 a 1 - 3.
mente anche quei movimenti compiuti in funzione di tale propria
realizzazione, anche quando non coincidono con la propria realiz-
zazione (come sembra il caso per i moti del pesante e il leggero,
anche se certamente Aristotele non distingue nettamente le due
attivit). Il motore non necessariamente presente al movimento
del mosso; ne determina tuttavia la sua forma, visto che lo ha ge-
nerato come cosa naturale. Indirettamente, determina anche che il
mosso si muova, visto che il movimento del mosso dipende da
che le condizioni esterne siano non impedienti, ma questo carat-
tere relativo alla natura del mosso. In un senso pi remoto, svol-
ge una certa funzione di motore anche chi operando sulle circo-
stanze esterne, le cambia da impedienti a favorevoli; tuttavia, que-
sta eventuale funzione di motore di un agente esterno eterogeneo
al mosso rientra in ci che dipende dal motore vero e proprio, la
causa efciente della cosa naturale, per poter giocare una tale fun-
zione: che la sua azione sia efcace, dipende dalla natura della co-
sa, quindi dal motore di questa.
Nel momento in cui compie il proprio movimento, un corpo
leggero che va in alto appare privo di motore. Non appena si pen-
sa il movimento in termini dinamici, e quindi si richiede per il
motore una componente dinamica, la concezione aristotelica, che
pone un motore non necessariamente presente, appare del tutto
insoddisfacente. Se la funzione del motore consiste nel produrre,
accanto alla cosa naturale, direttamente il movimento, mediante
unazione che in qualche modo si vale di una forza, e in mancanza
di una tale azione non si pu legittimamente parlare di un moto-
re, allora la concezione presentata da Aristotele in questo capitolo
lascia senza motore le cose inanimate che si muovono per natu-
ra.
36
Si detto sopra come la concezione di Aristotele implichi,
senza trattarlo tematicamente, che una cosa naturale disponga di
una certa forza, della quale essa si serve in funzione della sua ten-
denza. Si pu allora dire che, data la dipendenza delluso della
LE COSE MOSSE DA ALTRO PER NATURA 181
36
Questo rilievo, che risale a Simplicio (cf. In phys., 1220, 10 ss.), stato
fatto pi volte dagli interpreti. Lultimo che lo ha compiuto D. Graham, Ari-
stotle. Physics. Book VIII. Translated with a Commentary by, Oxford, 1999, par-
ticolarmente alle pp. 83-89.
forza dalla natura, e data la dipendenza della natura, per quanto
riguarda la sua formazione, dal motore, il ruolo causale del moto-
re arriva a coprire anche gli aspetti propriamente dinamici del
movimento: un motore nel produrre una natura produce ci che
ricorre alla propria forza in funzione della propria tendenza. Ma,
evidentemente, altro dire che cos pensato il motore ha anche
un ruolo dinamico, seppure indiretto, altro dire che una tale
dinamica sia soddisfacente.
Lottica di Aristotele in questo libro non peraltro quella di
produrre una dinamica; , credo, quella di riconoscere la necessit
dellesistenza di un livello di motori immobili eterni, come condi-
zione delleternit della ghenesis, dalla quale a sua volta dipende
lintelligibilit del mondo. Ma leternit della ghenesis incompa-
tibile con la possibilit del destarsi di una cosa al movimento del
tutto indipendentemente da qualsiasi sua relazione con il suo al-
tro. Ma perch questa impossibilit sia mantenibile, per ciascun
movimento deve poter essere assegnabile una causa fuori da ci
che il soggetto di tale movimento. Se letto in questottica, questo
capitolo di Aristotele soddisfacente: istituisce il collegamento ri-
chiesto dal movimento con il motore, mediante la produzione, da
parte del motore, della natura, o del corpo naturale, del mosso.
Alcune pagine addietro ho dichiarato che avrei condotto le-
same di questo capitolo del Libro VIII come se non esistesse la
complicazione data dal moto dei cieli (cosa che il contenuto del
cap. 4 autorizza a fare). Lo ripeto ora, per segnalare che molto
problematico il trasferimento degli esiti di questo esame alla rela-
zione mosso-motore nel caso dei cieli (basti pensare al carattere
produttivo dellazione del motore in questo capitolo).
37
Ma af-
frontare questo problema potrebbe essere soltanto il contenuto di
un altro studio.
182 FERRUCCIO FRANCO REPELLINI
37
Per una rassegna del dibattito pi recente su ci che ho chiamato la chiu-
sura verso lalto delle concatenazioni mosso-motore, rinvio allarticolo di E.
Berti, Il dibattito odierno sulla cosiddetta teologia di Aristotele, in Paradigmi.
Rivista di critica losoca, 2003, pp. 279-297 (particolarmente le pp. 288-297).
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