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CIANCIAFARA GIANLUCA 14/06/20

KHOMEINI E LA REPUBBLICA ISLAMICA D’IRAN

L'Iran è stata una delle poche zone arabe che ha mantenuto la propria area culturale (il
persiano) e l'indipendenza dalle conquiste musulmane. Negli anni '50/'70 l'Iran è governato
dallo shah Pahlavi, il quale attua diverse riforme pro-occidente, attirando numerose critiche
dalla società iraniana. Sia il fronte nazionale e il fronte comunista, sia diversi settori della
società sono scontenti delle azioni dello shah: tra questi i migranti, le associazioni islamiche e i
Suddetti, le università, i commercianti e la borghesia, e alcuni imam. Queste componenti
sociali insieme si oppongono allo shah, che viene così deposto e mandato in esilio in Egitto.
Decisiva in tal senso, l’interpretazione del paradigma di Kerbala data da Khomeini, percepita
non più come un momento di raccoglimento del dolore per il martirio, ma come lotta contro gli
oppressori a favore degli oppressi.
Visto dalla popolazione come l’unico leader iraniano, nel 1979 l’ayatollah Ruhollah Khomeini
sale al potere e trasforma il regime dello shah in una repubblica islamica, trasmettendo un
sistema di governo alternativo al sistema tradizionale sciita che darà vita alla rivoluzione
iraniana del 1978-79. È considerata da molti l'unica vera rivoluzione partita dal basso che ha
colpito il mondo islamico.

Khomeini concepisce il governo nella forma del «vicariato del giureconsulto», ovvero una
caratterizzazione del sistema politico che si basa su uno sciismo divenuto consapevole delle
proprie possibilità e pronto a fronteggiare le sfide della società globale, in contrasto con il
capitalismo occidentale, e soprattutto statunitense, accusato di opprimere i musulmani dei loro
diritti fondamentali e di ostacolare l’istituzione di un governo islamico. Questo ha senz’altro
contribuito a dare una forte motivazione a Khomeini per costituire il primo governo islamico di
matrice sciita.
Lontano dal proporre una restaurazione di uno stato islamico come quello safavide, Khomeini
idealizza una teoria politica che va in antitesi rispetto al pensiero politico sciita tradizionale. La
teoria del vicariato del giureconsulto si dice, rompe da un lato con l’atteggiamento attendista
dello sciismo tradizionale, dall’altro col rifiuto da parte dei dotti religiosi di entrare in politica.
Il risultato è un regime di stampo teocratico, con il clero che detiene un potere tale che va dal
governo della società civile alla difesa delle classi meno abbienti. Non sempre però questo
compito è stato accettato di buon grado dal clero sciita, che ha promosso a più riprese gruppi di
resistenza e opposizione religiosa.
Tuttavia, la repubblica islamica d’Iran non riesce a riprodurre in modo fedele il vicariato del
giureconsulto; il pensiero di Khomeini tende a muoversi piuttosto verso la concentrazione nelle
mani della guida suprema di tutti i poteri dello Stato. Il susseguirsi di eventi storici e l’attivismo
di diverse correnti religiose e laiche nella società iraniana hanno prodotto non un «governo»
islamico, bensì una «repubblica» islamica, in cui si riconosce la sovranità popolare e si mescolano
principi di governo laici con principi provenienti dalla tradizione islamica. La nozione di repubblica
islamica è alquanto rilevante, poiché richiama la legittimazione popolare dal basso delle strutture
gerarchiche del potere.

In generale, la struttura politica della repubblica islamica iraniana dà un’impressione di enorme


complessità: sebbene basata su una gerarchia di poteri con a capo la guida suprema, il sistema
prevede un meccanismo di controlli reciproci tra le autorità dello Stato. Ad esempio, la guida
suprema nomina metà del Consiglio dei Guardiani della Costituzione, che esamina la
compatibilità delle leggi del Parlamento con la sharia, ma quest’ultimo detiene un potere di
controllo sull’operato della guida; il Presidente della Repubblica e il Parlamento vengono eletti a
suffragio universale, ma i candidati vengono selezionati e approvati dall’Assemblea degli Esperti;
il Consiglio per il Discernimento è nominato dalla guida suprema per risolvere le controversie tra
le autorità statali, ma delimita l’autonomia del Consiglio dei Guardiani e l’azione del Presidente
della Repubblica.
Quindi, considerando questo meccanismo di controllo reciproco, il sistema politico iraniano non
è percepito come un qualcosa di assoluto o dittatoriale, e cosa più importante, la religione non
è l’unico fattore dominante, in quanto si controbilancia con altri elementi e si uniscono con
l’obiettivo di fondare una società islamica pura, che non ammette alcuna espressione di laicità,
come scritto nel preambolo della Costituzione. Ciò rende l’Iran a tutti gli effetti uno Stato di
diritto, inteso come uno Stato governato dalla Legge islamica, che viene espressa in una
Costituzione (la sharia), dunque in un documento fondamentale che si impone alla guida
suprema.

Benché teoricamente innovativa, la proposta politica di Khomeini non è riuscita a soddisfare i


bisogni della società civile, attuando una teocrazia chiusa che ha limitato le libertà di molti
gruppi sociali, dai giovani alle donne agli studenti, e soprattutto le minoranze di natura non
religiosa, le quali sono costantemente ignorate e discriminate. Inoltre, Khomeini, anticipando la
venuta del messia attraverso un governo basato sulla legge islamica con a capo una figura
giurista religiosa che fa le veci dell'imam in attesa del suo ritorno, ha in pratica personalizzato
quel ruolo su sé stesso, attirando le critiche di chi vede ancora lo sciismo come attendista e
disinteressato del potere. Khomeini, in questo modo, tradisce il principio di uguaglianza tra gli
uomini, e per questo, è stato contestato, in quanto mette un'unica figura al centro di tutto,
ignorando di fatto l'attesa dell'imam. Comunque, con l’indizione del referendum popolare nel
1979, questa visione di Khomeini viene pressoché accettata da tutti gli iraniani.

NOTE:

Campanini M., Ideologia e politica nell’Islam, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 160-167

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