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LUISS School of Government

Master di secondo livello in:


“Economia e Istituzioni dei Paesi Islamici”

“La teoria del Califfato e dell’Imamato nella dottrina islamica”

Candidato: Relatore:
Carbonari Andrea Prof. Massimo Papa

Direttore del Master: Francesca Maria Corrao


Direttore della SoG: Sergio Fabbrini

Anno Accademico 2013-2014


Introduzione

Il nuovo Califfo del mondo islamico Abu Bakr Al Baghdadi ha fatto il suo primo discorso
dopo l’instaurazione del Califfato, per ora esteso nei territori di Siria ed Iraq, ma con
l’ambizione, in cinque anni, di tornare all’estensione di quello dell’età d’oro dell’Islam,
dall’India alla Spagna. Al Baghdadi ha trasmesso un audio in cui giustifica il combattimento
per la “diffusione dell’islam” durante il Ramadan e incita tutti i musulmani alla jihad per
realizzarla. Il Califfato proclamato dalla Stato islamico dell’Iraq e della Siria (ora
ribattezzato semplicemente Stato islamico, Is), spiega, “appartiene a tutti i musulmani e non
solo a coloro che vivono in Iraq e Siria”1. Affermando inoltre di aver realizzato il sogno di
creare quell’unico stato islamico arabo postcoloniale, il neo Califfo gioca su alcuni elementi
innegabili quali l’arretratezza del mondo islamico e lo spirito di rivalsa verso un occidente
che li ha invasi, sfruttati e privati persino della forma di governo ereditata dai Califfi ben
guidati (rashidun).

Ebbene, questa tesi ha l’obiettivo di gettare luce sull’istituzione califfale – e anche sulla
teoria dell’imamato – da un punto di vista della dottrina giuridica, in modo tale da far
rinvenire elementi utili alla comprensione dell’attualità dalla visuale islamica su un istituto
scomparso ormai da quasi 100 anni. La fine del Califfato risale difatti a Mustafa Kemal
Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. Egli depose il 1° novembre 1922 il sultano
Mehmet VI e, diciotto giorni dopo, fu eletto Califfo Abdulmecid Efendi, ma per poco
tempo. Ataturk fondò la Repubblica il 29 ottobre 1923 e dopo essere stato eletto presidente,
proclamò l'abolizione definitiva del Califfato islamico il 3 marzo 1924.

Così, se nel primo capitolo ne esamineremo i meccanismi di funzionamento fondamentali –


condizioni di capacità, procedimento di elezione e successione, fasi storiche -, nel secondo
capitolo sposteremo la visuale alla confessione sciita duodecimana, analizzandone
brevemente i fondamenti giuridico-teologici e vedendone l’applicazione pratica nel Velayat
e-faqih realizzato da Khomeini dopo la rivoluzione in Iran del 1979.

Nel terzo capitolo cercheremo poi di affrontare più in dettaglio lo Stato islamico sulla base
dei primi due capitoli ed anche da un punto di vista del diritto internazionale, tenendo in
1
G. Stabile, Il “califfo” Al Baghdadi minaccia gli Usa “Un attacco peggiore dell’11 settembre”, LaStampa, 1/07/2014,
http://www.lastampa.it/2014/07/01/esteri/il-califfo-al-baghdadi-minaccia-gli-usa-un-attacco-peggiore-dell-settembre-
NoKxdQg3xTPKC6eWXibDMO/pagina.html
2
considerazione che in questo ultimo secolo di vacuum califfale quello dello Stato islamico
non è, e probabilmente non sarà, né il primo né l’ultimo tentativo di realizzare quella forma
di governo associata ai fasti antichi dell’Islam.

Cap. I : L’istituto califfale

3
Il diritto musulmano comprende tutte le branche che il sistema occidentale ingloba nelle
categorie di diritto pubblico e privato ma non si esaurisce con esse, comprendendo difatti
anche le regole di culto, i principi d’igiene ed il saper vivere. Questa vasta area inoltre non è
ancora tutta la materia del fiqh, ma ne è solo una parte, la scienza dei rami (furù al-Fiqh);
l’altra (usùl al-fiqh), consiste nello studio delle fonti del diritto: il Corano, la Sunna (le
tradizioni del profeta), l’igma’ (consensus2) e il Qiyas (l’analogia). L’istituzione del
Califfato appartiene alla scienza dei rami e dentro essa alla branca del diritto pubblico, ma i
giureconsulti non hanno mai formulato una separazione netta tra questo e la sfera del diritto
privato; distinzione fatta semmai tra diritto di Dio e dell’uomo. Ciò che importa è rimarcare
il fatto che l’istituzione del Califfato (khilafat) appartiene in parte al diritto costituzionale ed
in parte a quello amministrativo e finanziario.

Ragionando da un punta di vista occidentale, inoltre, il diritto musulmano non considera il


potere giudiziario come indipendente dal potere esecutivo, subordinando il primo al
secondo; non vi è cioè una completa separazione dei poteri ma effettivamente ciò ha poca
rilevanza dal momento che sia il Califfo (i vicari dell’inviato di Dio, khulafa’ rasul Allâh)
che i giudici, dovranno sottostare al potere legislativo, alla Legge, a Dio, tramite la sua
volontà rivelata in primo luogo nel Corano ed indirettamente nella Sunna. È la terza fonte
del diritto, il consensus, che permette agli uomini di vestirsi da intermediari della volontà
divina in conformità a quanto espresso dal Profeta in un celebre hadit: “ la mia Comunità
non si troverà mai d’accordo sopra un errore”. Perciò il Califfo non è detentore del
legislativo, che invece sarà affidato alla comunità musulmana intera, in un sistema che
teoricamente è pienamente democratico3 alla stregua dei moderni sistemi parlamentari. La
differenza essenziale risiede più che altro nel fatto che in quello musulmano i rappresentanti
della nazione non sono eletti bensì designati per le loro capacità nella scienza giuridica: il
governo musulmano è difatti un governo dei dotti. Per ciò che riguarda il consensus, chi vi
partecipa dev’essere sapiente, praticante ed ortodosso4 e non vi sono né limiti temporali né
in quanto al luogo: in qualsiasi epoca i dotti possono riunirsi e mettersi d’accordo su una

2
Abbreviazione di igmà’ al-umma, cioè accordo di opinione della Comunità in fatto di credenze religiose, di fiqh e di
etica, accordo che rappresenta la verità dalla quale non è lecito discostarsi, in F. Castro, Il Modello Islamico,
Giappiccheli Editore, a cura di G.M. Piccinelli, Torino, 2007, pp. 17-19.
3
Non vi è unanimità nella dottrina sulla validità e la portata del consensus, per approfondire vedere: A. al-Sanhùrì, Le
Califat, son Èvolution Vers une Société des Nations Orientals, Librairie Orientaliste Paul Geuthner, Paris, 1926, pp. -10
4
Ibidem
4
soluzione giuridica5. Una volta che una soluzione giuridica viene decisa dall’igmà’ essa
diviene definitiva6 ed obbligatoria, alla stregua delle regole stabilite dal Corano e dagli
hadits. Per non essere nulla la decisione presa dal consensus deve però avere un appoggio
dentro le fonti e non c’è unanimità nel dire se questa base debba essere trovata in fonti
inconfutabili o in una qualunque, come può essere l’analogia.

Il consensus comunque, seppur non accettato da tutti, rimane per molti versi un istituto
fondamentale ed innovativo, dato il fatto che Corano e Sunna sono il prodotto di un periodo
limitato che ha bisogno in qualche modo di un essenziale adattamento ai tempi. Questa fonte
poi ha risposto a vari bisogni nel tempo: in primo luogo ha permesso di dar spazio nelle
fonti al costume, in quanto i medinesi hanno sempre seguito scrupolosamente l’esempio del
Profeta; in secondo luogo per sanzionare giuridicamente le decisioni scaturite dai Compagni
del Profeta; in terzo luogo è servito per dare forza obbligatoria a soluzioni giuridiche
elaborate scientificamente dalla maggioranza dei giureconsulti in relazione a problemi nuovi
non affrontati dalle fonti classiche, fenomeno sempre più crescente data la sempre più
complessa società in cui ci troviamo. Il consensus quindi è stato usato come consacrazione
di un accordo sia cosciente che incosciente anche se mai è stato raggiunto come accordo
deliberante alla stregua dei Concili cattolici, bloccando quindi un possibile istituto pratico e
trasparente di adattamento per il diritto musulmano7 ed elevarsi esso stesso a meccanismo
democratico-rappresentativo.

Ritornando al principio della separazione dei poteri, come detto, nell’Islam il giudiziario e
l’esecutivo sono raccolti nelle mani del Califfo, mentre per quel che riguarda il potere
legislativo la nozione di sovranità, nel senso di un potere illimitato nelle mani del popolo e
dei suoi rappresentanti, è totalmente assente in quanto il potere umano è per natura limitato;
Dio solo è sovrano e dopo la morte di Muhammad le decisioni umane devono rispecchiare e
rappresentare la volontà divina. Vi è in verità una sorta di diritto divino accordato, ma non
verso una monarca assoluto bensì alla comunità intera; la sovranità, in quest’accezione, pur

5
La scuola hanbalita ad esempio sostiene che valga solo per i Compagni del Profeta o al più alle prime tre generazioni
di musulmani; gli sciiti invece o non la ritengono una fonte, come gli akhabari fra gli imamiti o la restringono ai soli
discendenti diretti di Muhammad come gli zayditi.
6
Muhammad al-Shàfi’ì sostiene che l’igmà’ è sunna ed essa diviene definitiva alla fine della generazione dei dotti che
hanno deliberato, in Castro, cit., p.17.
7
A. Rahim, The Principles of Muhammadan Jurisprudence, S.P.C.K. Press, Madras, 1911, pp. 135-137,
https://archive.org/stream/principlesofmuha031574mbp#page/n9/mode/2up
5
risedendo in Dio, è delegata alla Nazione e non ad un individuo o un’assemblea
privilegiata8: siamo dinanzi ad una sovranità divina nazionale 9 ed il Califfo ne diviene il
rappresentante, non di Dio ma della Nazione stessa10.

Ma detto tutto ciò, come definire l’istituzione del Califfato? Al Taftazani la definisce
un’autorità generale negli affari religiosi e temporali in sostituzione del Profeta 11; il
Califfato si differenzia da ogni altra forma di governo per 3 caratteristiche essenziali: in
primo luogo riunisce su di sé sia attribuzioni religiose che politiche, in secondo luogo,
rimpiazzando il Profeta, è tenuto ad osservare strettamente i principi del diritto musulmano;
infine, avendo un’autorità generale su tutti i musulmani, deve assicurare l’unità dell’Islam.
È importante inoltre sapere se il Califfato è considerato obbligatorio e su che base ciò si
fonda. Gli ortodossi sostengono il carattere obbligatorio del Califfato e lo basano sul
consensus: immediatamente dopo la morte del Profeta i Compagni furono unanimi sulla
necessità di eleggere un capo che lo sostituisse, senza aspettare l’inumazione del Profeta,
indicando con ciò il carattere di urgenza e gravità della questione 12; per quanto riguarda la
base giuridica sul quale il consensus si basi, le tesi sono discordanti13 ma la maggior parte
degli studiosi concorda che la base giuridica possa esser trovata nella sunna e nello stesso
Corano. Tesi differente è quella dei mutaziliti 14 i quali non trovano il sostegno al Califfato
dentro altre fonti ma dentro la ragione: in effetti a differenza degli ashariti 15 e dei

8
L’Islam non riconosce il clero e tutti, in via teorica, possono diventare dotti.
9
A. al-Sanhùrì, cit., p.19.
10
A. Rahim, cit., p.384.
11
Al-Taftazani, Taqrib al-Maram (Introduction to the logic), p.321, in al-Sanhùrì, cit., p. 22.
12
Questa questione è stata confermata da tutte le generazioni successive e quindi, come accennato in precedenza, è
un accordo che non può essere più annullato, in al-Sanhùrì, cit., p.24.
13
Vi è chi pensa che si basi sul Corano e la sunna, come al-Taftazani, che cita l’hadith :”Colui che è morto senza
conoscere l’imam della sua epoca, muore della morte degli incoscienti”, in al-Taftazani, Shar al-Aqaid al-Nasafiyah, al-
Maṭbaʻah al-Azharīyah al-Miṣrīyah, Cairo, 1913, p.142; o ancora al-Mawardi cita vari hadits tra cui: “O voi che credete,
obbedite ad Allah e al Suo Messaggero e a quelli di voi che detengono il comando!”, in al-Mawardi, al-Ahkam as-
Sultaniyyah, The Laws of Islamic Governance, tr. Asadullah Yate, Ta-Ha Publishers, London, p.3,
http://www.kalamullah.com/Books/Al-Ahkam%20as-Sultaniyyah.pdf; per la tesi contraria vedere al-Razik, Islam and
the Principles of Government, Cairo, 1925, p.15; l’autore argomenta che il messaggio principale del Profeta era
religioso e non politico.
14
Scuola tra le più vecchie nello studio della teologia (kalam); nata nel XI nell’Iraq è favorevole all’uso della ragione e
della logica, oggi rimasta influente in alcuni aspetti solo tra gli zayditi.
15
Nati nel X sec. sono difensori della via ortodossa contro il razionalismo dei mutaziliti.
6
maturitidi16 le prescrizioni legali17 possono essere conosciute grazie alla razionalità; così per
indicare l’obbligatorietà del Califfo sostengono la tesi che l’uomo debba organizzarsi sotto
un’autorità per evitare l’anarchia18ma così facendo più che porre un fondamento al Califfato
lo pongono allo Stato, alla stregua di quanto affermato da Rousseau qualche secolo più
tardi. Gli ortodossi replicano difatti che qualsiasi tipo di governo eviterà uno stato di
anarchia e che questa situazione è espressamente vietata nella legge in quanto si ordina di
non esporsi a pericoli attuali od eventuali. Una terza tesi, di qualche mutazilita e di al-
Taftazani19, combina le prime due sottolineando la necessità di una base giuridica ed una
razionale. Tutte le scuole comunque sostengono l’obbligatorietà dell’istituto, ad eccezion
fatta dei kharigiti20, i quali la vedono come un’istituzione facoltativa argomentando che gli
uomini possono organizzarsi e raggiungere i propri interessi conformemente ai loro istinti
ed alla loro religione senza bisogno di un’autorità; in secondo luogo argomentano che non
vi è sempre la possibilità di trovare un Califfo che risponda ai requisiti della Legge e perciò
ci sarà la possibilità di incorrere in una violazione di questa. Infine la stessa istituzione è,
secondo loro, causa di problemi e guerre civili.

Le obiezioni degli ortodossi sono molteplici e dimostrano come le tesi dei kharigiti non
sono idonee a svalutare l’istituto del Califfato: in primo luogo che gli uomini possano
organizzarsi da soli è pura speculazione e gli stessi beduini presi ad esempio dai kharigiti 21
rispettano una qualche autorità; poi, paventando la possibilità di trasgredire la Legge,
dimenticano che un Califfo, pur irregolare, è pur sempre legittimo 22; infine per evitare

16
Essi seguono la via ortodossa come i mutaziliti ma aprono alla ragione; Goldziher pone questa domanda: su quale
base si deve credere in Dio? I mutaziliti risponderanno per la ragione, gli ashariti diranno che si crede in Dio perché
così è scritto mentre i maturiditi perché ciò si basa sul comandamento divino anche se questo è aperto alla ragione; in
I. Goldziher, Le Dogme e la Loi de l’Islam, Libraire Orientaliste, Paris, 1920, p. 89,
https://archive.org/details/ledogmeetlaloide00golduoft.
17
Ortodossi ed ashariti sostengono che per conoscerle occorra attenersi al comandamento divino posto nelle fonti;
per le altre due scuole il bene ed il male si può conoscere anche grazie alla ragione, con la differenza che per i
mutaziliti la ragione si impone anche a Dio portando ad una venerazione della ragione stessa mentre per i mutariditi è
Dio che ha creato tutto e perciò anche la ragione, in al-Sanhùrì, cit., pp. 27-28.
18
Al-Mawardi, cit., p.3.
19
Al-Taftazani, cit., p. 143; l’autore sostiene la validità del consensus su basi razionali, affermando che l’Islam abbia
bisogno di un’autorità universale e che questa mantenga allo stesso tempo le prerogative temporali e religiose, cosa
che solo il Califfato può ottenere.
20
Essi sostengono che il Califfo non debba necessariamente appartenere ad una tribù privilegiata, ossia i Quraish, e
non necessariamente vi è il bisogno di un Califfo. Al-Sanhùrì spiega infatti che sono i più anarchici e repubblicani, con
una forte tendenza alle rivolte contro i governi stabiliti, in al-Sanùrì, cit., pp. 32-35.
21
Al-Mawaqif, t. 8, pp. 345-349, in al-Sanhùrì, cit., p. 35.
22
Approfondiremo più avanti questo punto.
7
guerre e conflitti, dicono gli ortodossi, occorrono regole certe e, in una certa misura, meglio
guerre civili che l’anarchia.

Altra tesi che scioccò il mondo arabo23, fu quella di al-Razik: per lui difatti il Califfato non
ha alcun fondamento né in base alla legge né in base alla ragione – come anche il consensus,
considerato la base giuridica – e, dopo i primi tre Califfi l’istituzione ha trovato spazio solo
grazie alla forza armata ed alla violenza e perciò manca dell’appoggio della comunità
musulmana24 mentre, in base alla ragione, qualunque istituzione è qualificata a governare.
L’autore inoltre pone il dito sulla vaghezza delle disposizioni del Profeta in relazione a
giustizia, amministrazione, finanza ecc. e perciò dubita che l’intermediario di Dio abbia
voluto veramente fondare anche uno Stato e non solo una religione, cosa che verrebbe
confermata dal fatto che la maggioranza dei versetti rivelati siano stati emessi alla Mecca,
dove l’intento apostolico era predominante, e che le consuetudini giudiziarie ed
amministrative preislamiche di ogni tribù furono lasciate intatte. Al-Sanhùrì 25 risponde che
lo stato primitivo dell’Arabia di quei tempi non permetteva un sistema complicato di
governo e che comunque il Profeta aveva posto le grandi linee di uno Stato islamico – come
ad esempio un regime d’imposte, un sistema giuridico, istituzioni amministrative e militari
ecc. – e che, grazie proprio alla loro semplicità hanno permesso un’evoluzione ed un
adattamento ai tempi pur rimanendo ancorate ai precetti islamici; le stesse funzioni del
Profeta avevano carattere temporale, come le sanzioni a chi avesse derogato alla legge
islamica o come la nomina degli agenti amministrativi, pur non negando che nel periodo
meccano la missione principale fu quella religiosa.

Esposte le varie tesi favorevoli o meno in relazione all’obbligatorietà del Califfato,


passeremo di seguito all’analisi dei modi di investitura, delle funzioni e delle cause che
fanno cessare il potere del Califfo.

23
Il Gran Consiglio degli Ulema lo radiò dall’albo dei giudici.
24
L’autore fa leva proprio sulla resistenza dei kharigidi stessi per negare una sorta di unanimità sulle questioni
dibattute; al-Sanhùrì dice chiaramente che non basta un piccolo gruppo di dissidenti a poter rompere le decisioni della
maggioranza e che in secondo luogo questa setta è apparsa solamente all’epoca del quarto Califfo, momento in cui già
varie generazioni di dotti avevano confermato il consensus su tale argomento, sancendone di fatto l’impossibilità di
abrogarlo, Al-Sanhùrì, cit., p.39.
25
Ivi, p. 46.
8
I.1 Modelli d’investitura

Ci sono due modi d’investitura riconosciuti dalla dottrina: l’elezione da parte della comunità
musulmana e la nomina da parte del Califfo predecessore. La prima è quella che
teoricamente costituisce il mezzo normale per designare il Califfo; per quanto riguarda le
condizioni che gli elettori devono avere queste sono la giustizia 26, la scienza e la saggezza
essere inoltre musulmano, pubere e di sesso maschile. Per quanto riguarda la giustizia ve ne
sono due gradi, quella di minor grado che consiste nel non essere empio – praticare i doveri
religiosi, non commettere peccati capitali ed astenersi il più possibile da quelli veniali -, e
quella di pieno grado che consiste nel non essere empio negli atti né eretico nel suo
pensiero. Per quanto riguarda la scienza un certo grado è necessario anche se non è
necessario che abbia raggiunto il grado di mujtahid, colui che può dare interpretazione
originale della legge islamica 27. Per ciò che riguarda la saggezza l’elettore deve avere un
discernimento sufficiente per eleggere tra i candidati quello che meglio si adatta alle
responsabilità del Califfato. In questo processo vi è una doppia elezione in quanto infatti gli
stessi elettori sono scelti dalle masse, in un procedimento simile ai grandi elettori
statunitensi.

Per ciò che riguarda le condizioni che i candidati al Califfato debbono soddisfare, ce ne
sono alcune evidenti, altre certe ed altre contestate. Le evidenti sono il sesso maschile – le
donne non sono ritenute idonee ad esercitare alcune funzioni quali ad esempio essere il capo
delle forze armate in tempo di guerra -, l’essere uomo libero – va da sé che lo schiavo non
ha l’autorità necessaria ad essere a capo di un governo -, essere maggiorenne 28, sano di
spirito e musulmano. Per quanto riguarda le condizioni certe queste si occupano dello stato
fisico e della morale del candidato. Per ciò che riguarda la prima categoria egli deve avere
il pieno godimento dell’udito, vista e parola come anche uno stato di salute tale da non
26
L’uomo giusto (àdl) è l’uomo virtuoso e praticante che si allontana dai vizi e dai peccati e che non fa atti contrari
all’onore, Ivi, p.53.
27
Ne basta uno soltanto nel corpo elettorale, R. Rida, Al-Khilafa aw al-Imama al-‘Uzma, Il Cairo, 1922, trad. fr. Henri
Laoust, Le Califat dans la dotrine de Rachid Rida, Libraire d’Amérique et d’Orient Adrien Maisonneuve, Paris, 1938 p.
16.
28
Secondo Al Sanhùrì oltre ad essere evidente il fatto che il minore è incapace fisicamente e giuridicamente di dirigere
i propri affari, questa condizione esalta lo spirito del Califfato nel senso che è un chiaro divieto alla monarchia
ereditaria, al-Sanhùrì, cit,p.57.
9
impedire libertà29 e prontezza dei movimenti. In riguardo alla morale si tratta della giustizia
nella pienezza delle sue condizioni che si differenzia da quella degli elettori in quanto si
aggiunge una terza condizione: il Califfo dev’essere giusto anche nel senso che dev’essere
in stato di manifestare lo spirito di giustizia nell’esercizio delle sue funzioni, cosa comunque
impossibile da accertare ex ante.

Infine le condizioni contestate, che sono quattro; le prime due riguardano la capacità
intellettuale: il Califfo deve avere il grado di scienza necessario per praticare l’ijtihad in
materia decisionale o per pronunciare sentenze. In secondo luogo deve avere il grado di
saggezza necessario per il governo delle persone e degli affari. La terza condizione
concerne la capacità militare, essendo richiesto il coraggio necessario per difendere il paese
contro i nemici; infine la quarta condizione si attiene alla discendenza, deve far parte cioè
della tribù dei Quraish30. L’idea di fondo che risiede sotto questi requisiti è che si debba
avere la giusta attitudine derivante dalla capacità personale e dall’autorità familiare. Per
quanto riguarda la scienza i dotti esigono un grado molto elevato, con il Califfo che
necessita il grado di mujtahid nei principi e nelle branche del diritto in modo tale da esser
capace di assicurare l’esecuzione della legge islamica, di risolvere i dubbi sui dogmi, di
emettere fatwas nelle questioni da dirimere o nelle sentenze, appoggiandosi su un testo
(naçç) o sulla deduzione (istinbat’), in quanto lo scopo essenziale del Califfo è quello di
conservare i dogmi e risolvere le controversie 31. Detto questo vi è da specificare che l’ijtihad
è di due tipi, assoluta (mutlaq) e relativa (muqayyad): la prima consiste nel dedurre
soluzioni giuridiche dalle fonti fondamentali del diritto islamico (usul al-Fiqh) seguendo un
metodo personale (ijtihad fil Sharia), - come ad esempio i dotti che hanno fondato le varie
scuole - o applicando il metodo di una scuola determinata (ijtihad fil Madhhab). Il secondo
tipo di ijtihad consiste in un lavoro di spiegazione sia per il takhrij – trarre conclusioni su
questioni dubbie o vaghe – che per il tardjih – scelta tra due opinioni in conflitto sulla stessa
questione, sanzionando la migliore, la più esatta o la più conforme all’interesse generale –
che per il taçhih – valutazione di una certa opinione per vedere se è sostenuta da autorità

29
Ibn Khaldoun aggiunge che questa si possa perdere anche per via dell’interdizione o della violenza, in I. Khaldoun,
Prolégomènes, tr. Fr. W. Mac Guckin, Librairie orientaliste Paul Geuthner, Paris, 1934 (réimpression de 1996), pp. 370-
378, http://classiques.uqac.ca/classiques/Ibn_Khaldoun/Prolegomenes_t1/ibn_pro_I.pdf
30
Al-Mawardi, cit., p.4.
31
Al Sanhùrì, cit., p. 62.
10
eminenti o deboli – che infine per una semplice dichiarazione di diritto nel caso in cui una
questione è dibattuta per via dell’analogia e le circostanze sono cambiate32.

In base a questa classificazione ci sono dunque sette ranghi di mujtahid, tre appartenenti alla
prima classe e quattro alla seconda e, secondo autorevoli dotti, il Califfo dovrà appartenere
alla prima ed essere mujtahid sia nel metodo che nelle branche; essendo questa
combinazione altamente improbabile, l’opinione prevalente è che debba avere nell’ijtihad
un grado molto alto. Difatti, a testimoniare la vaghezza di questa affermazione vi è una parte
della scuola hanafita che vede come sufficiente una buona conoscenza del diritto e la
possibilità di chiedere avviso ai mujtahid33. Per quanto riguarda la saggezza si tratta qui di
maturità nel giudizio e di perspicacia di spirito; è chiaro che non esistano dei parametri
esatti e così l’opinione è che si acquistino tramite la pratica e l’esperienza. Per quanto
riguarda il coraggio si tratta qui di qualità militari in quanto il Califfo è capo dell’armata e
deve avere perciò le virtù dell’uomo di guerra e con fermezza deve rispondere alla
responsabilità della sicurezza interna ed esterna dell’Islam. Anche per ciò che riguarda i
punti suddetti, è difficile che una singola persona riunisca contemporaneamente questi
attributi perciò i dottori si limitano a dire che siano requisiti desiderabili34.

Per quanto riguarda la discendenza, i Quraish erano la tribù che aveva come antenato
comune Al-Nad’r Ibn Kinanah, soprannominato Quraish 35. Prima dell’avvento dell’Islam
questa tribù godeva di grande influenza tra gli arabi sotto un punto di vista religioso e
letterario, cosa cresciuta esponenzialmente dopo la caratura divina data da Muhammad alla
tribù ed il “sigillo umano” apposto da Abu Bakr 36. Come è noto sulla discendenza del
Califfo si aprono le controversie maggiori tra sciiti e sunniti e non mancano tra l’altro voci
discordanti anche dentro il campo sunnita-ortodosso. Gli ortodossi basano l’obbligatorietà

32
Ivi, pp. 63-66.
33
Attualmente con l’espansione della conoscenza e della scienza in vari campi del sapere, la cosa si complica visto che
il Califfo può dover esser a conoscenza di questioni non prettamente attinenti al diritto musulmano ma che svariano
dalle relazioni internazionali alla scienza politica fino al diritto internazionale moderno. Secondo Rachid Ridà è ora
necessario che il Califfo ed il suo gruppo di consiglieri, considerati il sostegno dell’imamato, siano a conoscenza delle
branche del sapere necessarie per un buon governo, in Le R. Rida, cit., pp. 16-17
34
Al-Mawaqif, cit., p.249, si spiega come il Califfo potrà ricorrere ai lumi dei mujtahid per la scienza, ai consigli degli
uomini esperti per la saggezza e ai generali per la guerra.
35
Al-Nad’r è il terzo antenato del Profeta, il nono di Abu Bakr – il primo Califfo -, il quattordicesimo di Omar – il
secondo Califfo - ed Otsman – il terzo Califfo - ed il tredicesimo di Ali – il quarto Califfo -; in al-Sanhùrì, cit., p.67
36
I primi quattro Califfi, i ben guidati, e le due grandi dinastie arabe, gli omayyadi e gli abbasidi, appartenevano ai
Quraish.
11
dell’ascendenza Quraish su due fonti, gli hadith37 ed il consensus38 formatosi dai Compagni
successivamente alla morte del Profeta. Va da sé che un Califfo che non adempie a tutti i
requisiti può sempre riuscire ad applicare la legge e ad eseguire le sentenze penali, ma le
condizioni preliminari mancanti ne fanno un Califfo irregolare, che esamineremo più avanti
in dettaglio. Per essere un Califfo regolare non basterà né una discendenza cognatica, né far
parte di una tribù alleata, come nemmeno esser stato precedentemente schiavo.

Per quanto riguarda le tesi contrarie, sostenute da kharagiti e la maggior parte dei mutaziliti,
essi si appoggiano all’hadith “ascoltate ed obbedite al capo, anche se è uno schiavo
dell’Etiopia ad essere eletto”. Gli ortodossi ribattono affermando che si tratta di
un’esortazione a rispettare tutte le autorità diverse dal Califfo, come i governatori o i
comandanti dell’esercito; questa interpretazione è secondo loro l’unica che si concilia con
gli altri hadits in merito e che comunque rimane il consensus ad eliminare ogni dubbio.
Inoltre, prendendo alla lettera l’altra interpretazione, si avrebbe l’eventualità di un Califfo
schiavo, cosa trasversalmente accettata come inammissibile39.

Un accenno infine agli sciiti, che approfondiremo successivamente; essi in qualche modo
polarizzano la tesi degli stessi ortodossi, dichiarando che non solo il Califfo o l’Imam debba
appartenere ai Quraish ma anche che debba appartenere ad una data famiglia, quella dei
Banu Hashim, la famiglia del Profeta. Ciò prova secondo al-Sanhùrì 40 che essi vedono nel
Profeta non solo il fondatore di una religione e di uno Stato, ma anche di una dinastia
ereditaria; ironia della sorte, nel momento in cui questa dinastia non ha lasciato eredi maschi
si sono aperte grandi divergenze all’interno del mondo sciita. Divergenze che già vi erano
subito dopo la morte del Profeta: tra i sopravvissuti dei Banu vi erano Al-Abbas, zio di
Muhammad, e suo cugino Ali; due fazioni si sono così servite di questi due nomi per
elaborare due teorie alternative: gli al-Rawandiyah per Al-Abbas e gli alauiti per Alì 41.
37
Ad esempio in al-Taftazani, Taqrib al-Maram, cit., p. 323 “la walaya appartiene ai Quraish, fintanto che obbediscano
a Dio ed eseguano gli ordini”.
38
I dotti successivi agli Abbasidi hanno fatto una concessione; Ibn Hazm opina che in caso di necessità, come l’assenza
di un successore degno o per la presenza di usurpatori, si possa accettare una guida non Quraish, in I. Hazm, Al-fiṣal fī
al-milal wa al-ahwa wa al-niḥal, t. 4, al-Tamaddun, p.89, citato in al-Sanhùrì, cit., p. 69.
39
Al-Mawaqif e Ibn Khaldoun interpretano quell’hadit solo come un rafforzativo all’obbedienza al capo. La dottrina
ortodossa è comunque unanime nel vedere i Quaraish come la tribù più potente che ha permesso la nascita dell’Islam
e l’unificazione dell’Arabia, in al-Sanhùrì, cit., pp. 70-72.
40
Ivi, p.73
41
Termine generalmente riferito agli sciiti; questi hanno iniziato, al pari dei kharagiti, come partito politico e la loro
dottrina s’è “potuta” rivelare solo successivamente. Per essi la questione del Califfato è inerente al campo teologico
mentre per i sunniti al diritto propriamente detto. Gli sciiti giudicano l’esistenza di un Imam indispensabile in ogni
12
Ancora, dentro quest’ultimi vi sono due sette: i rafidi 42 che dicono che la successione del
Profeta è stata l’oggetto di un naçç (dichiarazione esplicita) e che i Compagni l’hanno
tenuta nascosto per togliere ad Ali il suo diritto e gli zayditi 43, i quali invece affermano che
l’erede legittimo del profeta era il più degno ed il più meritevole di tutti i Compagni.

I.2 La procedura d’elezione44

In questa sezione cercheremo di trattare il modo di determinare gli elettori, la maggioranza


necessaria, l’obbligo degli elettori di eleggere il candidato più capace e la natura dell’atto di
elezione in sé.

Per ciò che riguarda il primo punto esso ha una rilevanza pratica importante in quanto
permette di definire operazioni formali preliminari per organizzare un’elezione reale e
metodica. Ai tempi del Profeta non si possono rintracciare delle regole precise in quanto gli
elettori semplicemente erano costituiti dai Compagni. Successivamente si dispone che
l’elettore debba riunire determinate caratteristiche evidenti – sesso maschile, libertà,
maggiore età, musulmano, sano spirito; quanto alla giustizia, si agisce presumendo che tutti
i musulmani siano giusti fino a prova contraria 45. La condizione della scienza è facilmente
rintracciabile tramite una prova46 che dimostri gli studi del candidato; infine la saggezza, che
implica esperienza e contatto con l’opinione pubblica47.

epoca; è l’Imam che per diritto divino insegna la religione alla comunità: in definitiva gli sciiti in qualche modo mettono
gli Imam alla stregua di Dio stesso, in I. Goldziher, cit., p. 171. Dopo l’uccisione di Husayn, figlio di Alì, si
sottometteranno ai sunniti aspettando la venuta dell’Imam.
42
Termine usato attualmente dal mondo sunnita, specialmente salafita, in modo dispregiativo verso chi non riconosce
l’autorità dei primi due Califfi. Rafida difatti in arabo significa “colui che rifiuta”.
43
Seguaci di Zayd ibn’Alì, pronipote di Muhammad e quinto Imam sciita, essi hanno abbandonato la teoria dell’imam
infallibile ma si dividono fra loro in Giarudi, i quali dichiarano illegittimi i primi tre Califfi in presenza di un naçç
esplicito, ed i Butri, i quali non accettano che ci sia stato un naçç ma che Alì avrebbe dovuto prendere il potere per
meriti personali; così facendo, comunque, non rifiutano i primi tre Califfi. Ad ogni modo tutti sono d'accordo nel
ritenere che, dopo i due figli di ‛Alī (al-Ḥasan e al-Husain), imam o sovrano non possa essere se non uno della ahl al-
bait cioè un ‛alide faṭimide o, in altre parole, debba appartenere alla discendenza di Alì e Faṭimaa (la figlia di
Muhammad) senza far distinzione tra le due linee di questa. Non ammettono diritti di successione, e quindi men che
mai il legittimismo degli altri sciiti; e neppure ammettono, al contrario dei sunniti, una vera elezione: morto un imam,
gli succede chi presenti la propria candidatura (da‛wah, "appello") per primo; se i candidati spontanei fossero due, uno
di essi cederà il passo a quello che appaia superiore tanto per qualità morali quanto per attitudini guerriere, in C. A.
Nallino, Zaiditi, Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/zaiditi_(Enciclopedia-Italiana)/
44
Questa è una costruzione teorica in quanto il mondo musulmano non l’ha mai veramente conosciuta in forma
stabile e ben stabilita; il Califfato nella pratica è stato più una monarchia ereditaria.
45
Ad esempio l’esistenza di condanne giudiziarie.
46
Come un certificato o la partecipazione a dei corsi.
47
L’elezione sembrerebbe la cosa più ovvia, facendo avvicinare il metodo, come detto, a quello americano.
13
Per quanto riguarda la maggioranza siamo in presenza di avvisi molto diversi e ciò si spiega
principalmente dal fatto che spesso i dotti cercano di giustificare i Califfati irregolari,
iniziati praticamente dopo i “ben guidati”, con delle elezioni fittizie. Il Califfato regolare si
contraddistingue dal fatto che “ in tutte le province, la grande maggioranza delle persone
abbiano la capacità di prendere parte, in modo che si manifesti l’espressione generale del
consenso ed il riconoscimento universale dell’autorità del Califfo”48. In una prima fase è
sufficiente che il candidato sia presentato da una o più persone; nella seconda dev’essere
eletto dalla maggioranza dei voti, nella terza il contratto 49 di Califfato viene reso esecutivo
tramite l’omaggio (ba’ya)50.

Il terzo e quarto punto della teoria tratta l’obbligo degli elettori di eleggere il candidato il
più capace e la determinazione della natura dell’atto di elezione. Per quanto riguarda il
primo, al-Mawardi dice che, una volta riuniti, i giureconsulti debbano offrire l’omaggio a
quello che sorpassa gli altri in virtù e che riunisce con il più alto grado le condizioni di
capacità. Una volta accettato l’omaggio tutta la nazione è legata irrevocabilmente
all’obbedienza al Califfo eletto. In caso di rifiuto dell’omaggio, in quanto il contratto è
basato sulla libertà delle parti, si eleggerà un’altra persona tra quelle che sono in diritto di
pretendere il Califfato. Quando due persone hanno lo stesso merito si eleggerà quello più
anziano, mentre se i due eccellono in qualità diverse allora si deciderà in base alle necessità
dei tempi.51

Per quanto riguarda la portata dell’atto di elezione vi sono due diverse concezioni: al-
Mawaqif ci dice che l’elezione non è la causa efficiente reale dell’autorità del Califfo, ma ne
è solo il segno che ne manifesta la nascita 52. All’opposto l’altra concezione afferma che la
48
Al-Mawardi, cit., pp.107-108
49
Bernard Lewis ci aiuta a chiarire come il Califfo non è in nessun modo al di sopra della legge: “ The bay'a was thus
conceived as a contract by which the subjects undertook to obey and the Caliph in return undertook to perform certain
duties specified by the jurists. If a Caliph failed in those duties—and Islamic history shows that this was by no means a
purely theoretical point—he could, subject to certain conditions, be removed from office”, in B. Lewis, Islam and Liberal
Democracy, Feb. 1993, http://www.theatlantic.com/magazine/archive/1993/02/islam-and-liberal-democracy/
308509/6/
50
Letteralmente “compra-vendita” indicava in generale ogni convenzione, e la conclusione definitiva del contratto
veniva contrassegnata con la stretta di mano, in D. Santillana, Il Concetto di Califfato e di Sovranità nel Diritto
Musulmano, Oriente Moderno, Anno 4, Nr. 5, 15 maggio 1924, p. 343; Ibn Khaldoun lo paragona al contratto di
donazione che si conclude con l’offerta e l’accettazione; nel contratto di Califfato la cosa viene perfezionata con
l’omaggio che simbolizza l’autorità costituita e l’obbedienza ad essa, in I. Khaldoun, cit., pp. 396-397.
51
Ad esempio se si è in un momento di scismi interni che fanno prefigurare una guerra civile, è lecito affidare il
Califfato al più coraggioso, al-Sanhùrì, cit., p.87.
52
Al-Mawaqif, cit., t.8 p.351 afferma che è solo un atto declaratorio con l’intento di respingere la tesi sciita che vede
l’elezione e l’omaggio siano considerate come le cause reali della walaya, ma questa viene solamente da Dio; elezione
14
tesi sostenuta in al-Mawaqif può essere valida solo se vi è un solo candidato che è
incontestabilmente il più capace e che gli elettori lo scoprano infallibilmente per dichiararlo
alla comunità musulmana; quindi si evince che questa concezione sia al di fuori della realtà
sociale e che in verità l’atto di elezione conferisce in maniera chiara il potere al Califfo,
rappresentando un vero e proprio atto d’investitura. Quest’ultima è la tesi più accettata e le
conseguenze logiche sono che il candidato non è Califfo che in virtù dell’elezione e non in
virtù della sua qualificazione personale; l’atto di elezione è poi un vero contratto dove lo
scopo è quello di investire il Califfo dell’autorità suprema ed i vizi del consenso dalla parte
degli elettori – la violenza ad esempio – rendono inoperante e nulla l’elezione. Infine
possiamo, da quanto detto, porre un principio fondamentale nella teoria del Califfato:
essendo il Califfo eletto e investito del potere grazie all’atto di elezione che è un vero
contratto tra lui e la nazione, ne risulta che la sua autorità deriva dalla nazione stessa53.

Vi è poi un’altra via per investire il Califfo, ossia la nomina fatta dal Califfo predecessore ed
ha il suo fondamento nel consensus. Al-Mawaqif ci dice che questo metodo può essere
svolto in virtù di un naçç del Profeta o del Califfo precedente e che questa regola è dentro
l’idjma’54. Al-Mawardi invoca due precedenti storici55: il primo è dato da Abu Bakr che
nominò Omar come suo successore; Al-Tabari56 racconta che il primo Califfo prima di
procedere consultò qualche Compagno, lo fece approvare dalla comunità, fece scrivere la
lettera di nomina da Othman e il tutto fu conclamato dall’omaggio al candidato designato. Il
secondo precedente è fornito da Omar stesso, che designò sei candidati tra i quali scegliere
il futuro Califfo; la rosa dei candidati, comunque, fu affidata all’opinione pubblica 57.
Derivata da questi due precedenti vi è così un’interpretazione diversa da parte di alcuni
dotti, ossia il Califfo non può effettuare una designazione definitiva derivante solo dalla sua
volontà, bensì si può limitare alla semplice presentazione di un candidato determinato –
come il caso di Omar – o da determinare – come il caso di Othman – all’accordo degli

ed omaggio sono solo cause apparenti per cui gli elettori non sono rivestiti di walaya.
53
Non bisogna comunque perdere di vista la differenza essenziale tra il Califfo e il Profeta; l’autorità di quest’ultimo,
sia da un punto di vista spirituale che temporale, deriva direttamente da Dio mentre il Califfo, che non ha autorità
temporale, la riceve dalla Nazione. In al-Sanhùrì, cit., p. 96.
54
A tal proposito, Ibn Hazm, cit., p.169; quest’ultimo s’appoggia al fatto che Abu Bakr è nominato Califfo proprio con
queste condizioni. Ma oltre che dagli sciiti, che ne rifiutano la persona nominata e non il principio, questa tesi è
considerata un’eccezione e per la maggioranza dei dottori e degli storici il primo Califfo è eletto e non nominato.
55
Al-Mawardi, cit., p.7.
56
Al-Tabari t.4 pp.51-53 in al-Sanùrì, cit., p.99.
57
Questa può essere anche tacita, divenendo esplicita con l’accettazione della prestazione d’omaggio.
15
elettori che sono liberi di confermare o di rigettare. Alcuni dotti inoltre farebbero uscire
dalla prima interpretazione una giustificazione legale alla dinastia ereditaria nell’Islam; ma
anche in questo caso lo si cerca di fare per legittimare alcune pratiche distorte nella storia
islamica in cui si sono nominati dei parenti. Ma anche qui occorre fare dei distinguo, vi è
difatti differenza fra la nomina di Omar da parte di Abu Bakr e quella di Yazid per suo
figlio Mo’awiyah: mentre il primo è fatto nell’interesse dell’Islam il secondo è stato ispirato
da delle preoccupazioni familiari e all’interno dell’obiettivo di fondare una dinastia 58. La
prima sola costituisce una nomina reale nel senso giuridico della parola; tra i due
procedimenti ci sono delle differenze essenziali: innanzitutto in quella reale il Califfo non
può nominare suo successore un parente molto prossimo mentre in quella fittizia sono di
solito questi i beneficiari; in secondo luogo nella reale il beneficiario deve raccogliere su di
sé , al momento della nomina, le condizioni di capacità necessarie per esercitare le funzioni
di Califfo mentre, nell’altro caso quest’esigenza non è necessariamente compiuta ed anzi vi
è la possibilità che persino un minore possa usufruire della successione.

Esaminato il fondamento e la natura della nomina andremo di seguito a vedere le condizioni


e gli effetti che questo tipo di nomina comporta. Innanzitutto per essere valida, la nomina
deve ottemperare a certe condizioni sia in rapporto al Califfo che dispone sia rispetto a
quelle che beneficia. Nel primo caso il Califfo dev’essere al potere in quanto può disporre
della sua nomina in base alla sua walaya (autorità) generale e non eventuale; parallelamente
il successore non può cedere ad un terzo il suo diritto di successione, sempre in base al
medesimo principio59. In secondo luogo colui che dispone deve ispirarsi unicamente
all’interesse generale e deve ricercare il candidato più degno per la carica. Questa
disposizione è un’aperta condanna alla dinastia ereditaria; nemmeno difatti il candidato più
idoneo, se parente prossimo, potrà usufruire della successione 60. Spostandoci invece alle
condizioni del beneficiario, se questo nomina come successore un minore o una persona
ingiusta la disposizione è nulla. Il beneficiario inoltre non dev’essere né il padre né il figlio
del Califfo, pena anche qui della nullità. È vero però che se il Califfo si rende conto che il
più capace di coprire la sua funzione è un suo parente prossimo vi è un escamotage a cui si
può ricorrere, ottenere cioè la sanzione degli elettori per approvare la nomina, senza la quale

58
R.Rida, cit., p.345
59
Al-Mawardi, cit., pp.8-9.
60
In questo caso saranno gli elettori successivamente alla morte ad affidargli l’incarico, in Al-Sanhùrì, cit., p. 103.
16
non sarebbe valida. La regola dell’esclusione del padre e del figlio non mette comunque
d’accordo tutti i dotti. Si oppongono ad esso due altri sistemi: il primo vieta solo la
successione al figlio; la seconda, appoggiata da Ibn Khaldoun, afferma che non si possa
escludere nessuno in quanto il Califfo può disporre in favore di tutti in virtù della sua
walaya generale61. C’è invece la pressoché unanimità sul fatto che il Califfo possa cedere la
sua autorità in favore di tutti gli altri parenti. Inoltre il beneficiario dovrà accettare la
disposizione fatta in suo favore prima della morte del Califfo in carica visto che la nomina
non è un atto unilaterale bensì un contratto che si forma per l’offerta e l’accettazione; si
applicano cioè i meri principi contrattualistici e l’accettazione spesso non deve avvenire
solo prima della morte del Califfo ma anche prima di alcuni eventi che mettono fine
all’autorità califfale. Vi è comunque una parte della dottrina che non accetta
quest’interpretazione in quanto secondo questa è solo con la morte del Califfo in carica che
si apre il Califfato al beneficiario; questa soluzione cambia la natura della nomina che si
trasformerebbe cioè in un contratto tra il beneficiario e la Nazione intera che rappresenta il
Califfo precedente. In altri termini non avremo un contratto di successione con effetto
limitato ad un diritto eventuale, ma un contratto di Califfato effettivo tra la Nazione e la
persona nominata con un diritto attuale ed immediato.

Per ciò che riguarda gli effetti della nomina essi si riverberano ad una terza parte, oltre
naturalmente ai due Califfi, ossia la Nazione.

Con rispetto al Califfo cedente, una volta effettuata la nomina, essa non può essere revocata
per sua volontà. Anche qui si ha l’applicazione dei principi generali del contratto; la cosa si
differenzia per la nomina di un agente del Califfo dove vi è delega vera e propria di diritti
appartenenti al Califfo mentre nell’altro caso il Califfo dispone di un diritto appartenente a
tutti i musulmani. Anche la nazione non può revocarla una volta conclusa la ba’ya: la
nomina è difatti un contratto irrevocabile. È evidente che questo carattere di irrevocabilità
durerà fintantoché il beneficiario continua a soddisfare le condizioni di capacità necessarie;
se ne perderà anche una e viene cioè a formarsi un’alterazione di stato, il Califfo che ha
ceduto il diritto può revocarlo in quanto verrebbe a mancare una delle condizioni di validità.

61
Ibn Khaldoun, cit., pp. 397-410.
17
Gli effetti per il beneficiario sono che innanzitutto è legato dalla sua accettazione e difatti
non può rinunciare alla successione per sua sola volontà; il contratto è irrevocabile anche a
suo riguardo. C’è di più, il conferimento rimane irrevocabile anche se le due parti
rimangono d’accordo sulla revoca, a meno che non via sia una persona che abbia le
condizioni di capacità al Califfato.

Gli effetti verso la nazione invece, sono innanzitutto il diritto di esigere che la successione
del beneficiario sia mantenuta fintanto che non si trovi un rimpiazzo; ma l’obbligazione che
essa assume per effetto del contratto è più esteso del suo diritto. In effetti dopo che il
sistema shafiita ha prevalso nella dottrina, la nomina anche senza il consenso degli elettori
conferisce al beneficiario il diritto di divenire Califfo. La nazione non ha così scelta e dovrà
prestare omaggio al nuovo Califfo ed obbedirgli nei limiti della legge; ciò si spiega con il
fatto che la Nazione deve subire l’effetto dell’esercizio regolare della walaya generale del
Califfo deponente. L’altro sistema, quello già presentato da noi precedentemente si forma sì
come contratto tra deponente e beneficiario ma per produrre i suoi effetti dovrà essere
ratificata dalla Nazione; è la concezione più democratica e più conforme alle tradizioni,
visto che i primi Califfi hanno sottoposto l’approvazione dei loro successori all’opinione
pubblica. Non è il sistema che ha prevalso nella dottrina; in quest’ultima si ammette che il
Califfo possa fare la nomina dalla sua stessa autorità e, in caso che si nominino due o più
successori, il diritto di scegliere va agli elettori62. Vi può anche essere l’opzione che il
Califfo deponente disponga più successori in un ordine prestabilito in base al quale essi
dovranno succedersi al potere e quest’ordine s’imporrà anche agli elettori.

Abbiamo così trattato gli unici due modi di trasmissione accettati dai sunniti; ve ne sono
altri63 al di fuori del Califfato regolare e del dominio dell’ortodossia.

I.3 Funzionamento del Califfato

Dal momento che il Califfo è regolarmente designato diviene capo del potere esecutivo e
giudiziario nel governo islamico. È dovere della comunità sapere che l’istituzione funziona

62
Essi stessi possono essere designati, come nel caso del conclave istituito da Umar, in Al-Mawardi, cit., p. 10.
63
Oltre a quella sciita già accennata ve ne sono altre due, la forza e la proclamazione: quanto al primo siamo
nell’ambito del Califfato irregolare che vedremo più avanti; quanto al secondo è ammesso dagli Zaiditi e afferma che,
se una persona è abile ad esercitare il Califfato e vede che il potere è usurpato da degli uomini ingiusti che non
soddisfano le condizioni necessarie, si può proclamare egli stesso Califfo invitando il popolo a riconoscerlo per
permettergli di eseguire la Legge, in al-Mawaqif, t.8, p.352.
18
sotto la direzione di qualcuno che è rivestito della qualità di Califfo senza che però sia
necessario che essi sappiano la titolarità dell’autorità nella persona e nel nome; un buon
grado di conoscenza viene richiesto solo agli elettori i quali sono altamente competenti per
testimoniare l’esistenza e la validità del Califfato di una persona specifica e concludere il
contratto di prestazione d’omaggio64. Di contro, tutta la nazione deve dargli la gestione degli
affari d’interesse generale e guardarsi dal commettere atti separati e di opposizione affinché
il Califfo possa salvaguardare gli interessi complessi a lui affidati e compiere il mandato
governativo65.

È dei risvolti dell’autorità pubblica che ci andremo ad occupare di seguito.

Il Califfo innanzitutto è detentore di una walaya generale, opposta alla walaya parziale dei
governatori e degli altri agenti del Califfato; impiegando invece una terminologia giuridica
diremo che questa walaya è originaria nel senso che essa non deriva da una persona
determinata bensì dalla comunità tutta mentre la walaya degli altri agenti è derivata,
emanata dal Califfo stesso. Il carattere generale dell’autorità del Califfo può essere
considerata con riguardo al luogo ed alle persone. In quanto al luogo essa si estende a tutta
la terra dell’Islam66 (dar al-Islam), ossia tutto il territorio dove l’autorità pubblica dei
musulmani è riconosciuta e dove vi è una sola autorità legittima, quella del Califfo. È un
principio fondamentale del diritto pubblico musulmano che il mondo dell’Islam forma
un’unità dove il governo è assicurato tramite il Califfato. È un fatto storico che il Califfato
ha perso la sua unità e che contemporaneamente al Califfato abbaside di Baghdad ve ne
siano stati altri due che si sono mantenuti per lungo tempo: quello omayyade a Cordoba e
quello fatimide al Cairo. Al-Mawardi afferma che quando il contratto del Califfato viene
concluso con due Califfi in due province differenti questa doppia conclusione non è valida 67.
64
Al-Mawardi, cit., pp. 156-157.
65
La Nazione è tenuta a rispettare due doveri verso il Califfo: il dovere d’assistenza e quello di assistenza, Ivi, pp.169-
170; da rimarcare che il primo è intransitivo in quanto il musulmano si limita ad obbedire mentre il secondo è
transitivo ossia obbliga il musulmano ad assistere il Califfo contro i recalcitranti, ossia coloro che non adempiono il
primo dovere.
66
In base al diritto internazionale musulmano il mondo si divide in tre parti: a) la terra dell’Islam dove l’autorità diretta
dei musulmani è riconosciuta e la Sharia è applicata; b) la terra di pace che ingloba i paesi che vivono in pace coni
musulmani in virtù di trattati che li pongono in una sorta di zona d’influenza musulmana; c) la terra di guerra contro la
quale la guerra santa è prescritta, in al-Sanhùrì, cit., p.120
67
Al-Mawardi, cit., p.121-127. Vi sono varie opinioni in merito: alcuni giureconsulti sostengono che vi debba essere un
accordo tra i due Califfi per prevenire disordini e lasciando agli elettori la facoltà di decidere; altri affermano che si
debba tirare addirittura a sorte; la buona dottrina spiega invece che il Califfato spetterà al primo che abbia concluso il
contratto e prestato omaggio e perciò il secondo si dimetterà dall’incarico per obbedire all’unico costituito
legalmente. Se invece il contratto è stato stipulato contemporaneamente i due contratti sono nulli e se ne dovrà
19
L’unità islamica è difatti un principio rigoroso, adattabile alle necessità dell’evoluzione
sociale, ma in qualche modo dev’essere presente e incontestata. Difatti i vari Califfati
presenti nel corso della storia sono la testimonianza del Califfato irregolare. In Al-
Mosayarah di Al-Kamalayn si cita la frase del Profeta: “se si presta omaggio a due Imam,
bisognerà uccidere il secondo”68. Anche Al-Taftazani si pronuncia allo stesso modo, in
quanto due Califfi indipendenti potrebbero far incorrere a degli ordini contradditori 69. Al-
Ghazali sulla stessa lunghezza d’onda dice che in caso di elezione di due o più Califfi sarà
donata preferenza a quello eletto dal più grande numero di elettori 70. In effetti il consensus
durante tutto il periodo del Califfato regolare è andato affermando il principio dell’unità del
Califfato e della comunità ed è solo più tardi con la divisione dell’impero che i dotti
cercarono di far combaciare teoria e pratica affermando tesi differenti dalla buona dottrina;
in al-Mawaqif71 ad esempio si arrivò a giustificare la pluralità dei Califfi con l’aumentare
del territorio da governare. Più tardi Al-Fanari 72 si pronuncerà a favore di più Califfi dove
essi siano socialmente necessari; è proprio l’idea di necessità difatti che sarà alla base della
nuova concezione, ma così facendo si devia dal Califfato regolare per entrare in quello
irregolare. Abbiamo così visto che il Califfato regolare deve essere unico; ora vedremo se
esso dovrà essere anche esclusivo, ossia se questo Califfo unico estende la sua autorità su
tutti i paesi musulmani o è permesso che qualcuno di questi resti indipendente. Ci sono due
precedenti storici: il primo è l’indipendenza dell’Egitto e della Siria sotto il Califfato del
quarto Califfo Ali. All’epoca si era dinanzi ad un Califfo unico in quanto Mo’awiyah non
aveva ancora avanzato pretese al Califfato accontentandosi di stabilirsi come principe
indipendente in Siria. Il secondo precedente proviene dall’indipendenza della Spagna sotto
gli Omayyadi. L’unicità del Califfato non ammette che una parte dell’impero scappi dalla
sua autorità e così le guerre che Ali intraprese nei confronti di Talhah, Al-Zobair e Aisha,
contro i kharagiti ed infine contro Mo’awiyah, pur non essendo lecite in base al principio
che la guerra tra musulmani è vietata, si possono giustificare per il fatto che l’autorità del
Califfo deve estendersi in maniera identica alle frontiere dell’impero; chi non si sottomette

stipulare un nuovo, o a favore di uno dei due Califfi o a favore di un terzo. Rimane il fatto che fino a quando non cessa
l’indagine su chi abbia la priorità, le facoltà dei Califfi saranno sospese.
68
Al-Kamalayn, Al-Mosayarah, in in R. Rida, cit., p.18
69
Al-Taftazani, cit., p.145
70
Al-Ghazali, in R. Rida, cit., p.48
71
Al-Mawaqif, t.8 p.353
72
Ibidem
20
al Califfo è considerato un ribelle, contro il quale la guerra è prescritta. Chi si trova dentro i
confini del Califfato regolare dovrà unirsi a Lui, chi ne è al di fuori dovrà abbandonare il
ribelle ed unirsi al regolare73. Occorre però fare delle riserve ed avere una certa flessibilità:
se l’evoluzione sociale e politica del mondo musulmano esige delle modifiche non si deve
esitare ad adattare la dottrina ai fatti; ciò che è importante è l’unità, in quanto alla forma è
una questione di circostanze74. In secondo luogo ciò che importa è che sia la terra dell’Islam
sotto l’autorità unica mentre è eccessivo pretendere che essa si estenda anche ai musulmani
che vivono all’estero, come ad esempio nei Balcani o gli Uiguri in Cina.

Per quanto riguarda invece l’estensione sulle persone, la walaya comprende tutti i
musulmani come anche i non musulmani nell’impero. Per ciò che riguarda i primi la walaya
del Califfo è completa, il popolo deve Lui obbedienza ed assistenza nei limiti della Legge.
Ma questa walaya non è un diritto appartenente al Califfo come proprio in quanto esso si
costituisce nell’interesse dei musulmani. Tutti i musulmani in principio sono liberi e ciò
comporta l’indipendenza in ciò che concerne la libertà individuale ed il libero uso sulle
cose; l’organizzazione della libertà individuale è assicurata dalla walaya del Califfo,
permettendo a tutti di usufruire di questa libertà , mentre per ciò che concerne le cose è il
diritto di proprietà ad assicurare questo diritto75. Il rispetto della libertà individuale ed il
diritto di proprietà sono dunque due principi fondamentali del diritto pubblico musulmano
ed il Califfo nell’esercitare la sua autorità non deve portar pregiudizio alcuno a tutto ciò.
Difatti fu il Profeta nell’ultimo pellegrinaggio a porre queste basi 76 e, nello stesso discorso,
proclamò l’eguaglianza completa tra tutti i musulmani 77. Dal punto di vista spirituale invece,
la walaya del Califfo non implica nessun potere anche se Egli ha delle attribuzioni in
materia di diritto privato, come nel caso del matrimonio e della tutela. Per ciò che riguarda i
non musulmani, la regola generale dice che per ciò che riguarda gli affari temporali, sono
sotto il diritto musulmano; da un punto di vista spirituale sono liberi di praticare la propria
religione. I dotti li dividono in due categorie: i dhimmiyoun ossia i cittadini non musulmani
ed i mosta’minoun cioè gli stranieri residenti nell’impero. I primi devono pagare un’imposta
speciale, la jizya, che rimpiazza la zakat e che permette loro di beneficiare della sicurezza e

73
Al-Mawardi, cit., pp.47-50
74
Al-Sanhùrì, cit., p.129
75
Al-Mawardi, cit., pp.62-81
76
“O popolo, il vostro sangue, i vostri beni, il vostro onore sono inviolabili..”, in Al-Sanhùrì, cit., p.131
77
“I musulmani sono dei fratelli fra di essi” Ivi
21
protezione, tra cui la confessione libera della propria religione o la scelta tra la giurisdizione
musulmana e la propria per ciò che riguarda il diritto privato. Per altro verso essi debbono
rispettare le disposizioni d’ordine pubblico, astenersi dall’ostacolare la professione della
religione musulmana e non aiutare il nemico contro l’esercito dell’Islam, pena la perdita dei
loro diritti. Vi è comunque il permesso di uscire dal territorio islamico prima di divenire
ufficialmente nemici, cosa però automatica nel caso di azione contro l’esercito islamico. Per
quanto riguarda i mosta’minoun, chi viene dalla terra della guerra ed ottiene un accordo di
sicurezza, ha diritto ad essere protetto senza il pagamento dell’imposta per i primi quattro
mesi, anche se ciò non dà loro diritto di essere protetti da attacchi esterni.

I.4 Esercizio della walaya da parte del Califfo

La walaya è un potere esercitato su un terzo in base al quale quest’ultimo dovrà eseguire le


decisioni prese, che lo voglia o meno78. Malgrado i termini un po’ troppo assoluti della
definizione non bisogna credere ad un potere illimitato califfale, in quanto in tutte le sue
accezioni79 la walaya è istituita nell’interesse delle persone messe sotto il potere di essa; ne
consegue quindi che il wali (tutore) agirà validamente solo se lo farà nel bene e
nell’interesse del soggetto “tutelato” altrimenti gli atti saranno nulli e segnerà la decadenza
della sua autorità. Per ciò che riguarda le prerogative della walaya del Califfo, Al-Mawardi
ne enumera dieci80 e le si può classificare in due categorie principali: religiose e politiche.
Per quanto riguarda le prime il Califfo ha delle prerogative religiose ma, ripetiamo, non
spirituali, non può né assolvere né scomunicare, non è né santo né infallibile come non può
nemmeno imporre dogmi in materia teologica; o meglio, vi è la possibilità che ne concorra,
ma solo a titolo di mujtahid, categoria che comunque non ha più un potere di dominazione
spirituale81 ma si limita ad un lavoro d’insegnamento ed elaborazione scientifica. Così nella
sfera religiosa come anche in quella politica, il Califfo è solo un esecutore, vigilando sui
78
È la definizione di walaya transitiva; c’è anche la walaya originaria ossia il potere dell’uomo libero su lui stesso, in Al-
Sanhùrì, cit., p.137
79
Ad esempio una walaya privata come quella sui minori.
80
1)Mantenere il dogma e far rimanere i fedeli nella retta via; 2)esecuzione delle decisioni giudiziarie; 3)protezione
della vita, dell’onore e dei beni contro qualsiasi aggressione in modo che le persone possano vivere e spostarsi
liberamente; 4) applicazione delle disposizioni penali; 5) difesa delle frontiere sia in tema difensivo che di prevenzione;
6) guerra santa contro chi si ostina a rifiutare l’Islam; 7) raccolta delle tasse e delle elemosine senza violenza; 8) fissare
il bilancio annuale; 9) nominare persone di buon consiglio ai posti di governo e dell’amministrazione; 10) l’applicazione
personale agli affari in modo tale da rispondere ai cambiamenti. Come nel detto del Profeta “ ciascuno di voi è pastore
e ciascuno di voi è responsabile del sue gregge”, il Califfo agirà da buon pastore; in Al-Mawardi, cit., pp.161-66.
81
Gli sciiti al contrario danno al loro Imam un potere molto esteso in quanto vedo in Egli un essere infallibile e capace
di miracoli.
22
doveri religiosi dei musulmani in quanto questi hanno ripercussioni sociali notevoli nel
mondo islamico. Per tutto ciò che invece fa appello alla coscienza o alla preghiera non c’è
da intervenire: vi è una relazione diretta con Dio e prevedere degli intermediari è
considerata un’eresia. Il potere spirituale è completamente separato dal religioso ed il primo
è scomparso con la morte del Profeta.

Considerando più da vicino le prerogative prenderemo come base la classificazione di Al-


Mawardi, chiarendo comunque che alcune di esse, come il mantenimento dei dogmi ed il
dovere della guerra santa, appartengono alla sfera dei diritti di Dio 82. Per ciò che riguarda il
mantenimento della fede il Califfo dovrà semplicemente insegnare ciò che i mujtahid
stabiliscono; potrà intervenire solo nei casi di apostasia e attentato all’ordine pubblico. In
tema di guerra santa (minore)83 si distinguerà tra guerra offensiva, fatta contro i non
musulmani che rifiutano di sposare la causa dell’Islam dopo essere stati invitati alla
conversione, e la guerra difensiva che ha per scopo di respingere l’attacco del nemico. È
facile osservare che la guerra difensiva si giustifica facilmente visti gli sviluppi moderni del
diritto internazionale che ne fanno un diritto fondamentale dello stato, mentre per ciò che
riguarda l’offensiva essa indiscutibilmente va a cozzare contro i principi basilari della
libertà religiosa84. È necessario aggiungere a tal proposito che i versetti dedicati alla guerra
offensiva non sono che il frutto di un determinato percorso storico e concettuale del
Profeta, quello della fuga dalla sua città natale e del consolidamento dell’Islam come unica
religione in Arabia85. L’idea di fondo che domina l’istituzione è dunque un’idea di
opportunità per propagare la religione, ma avendo preso spesso l’accezione pratica della
guerra offensiva, i giureconsulti affermano che il dovere categorico non è la guerra santa
bensì la religione e, se il progresso della civilizzazione lo consente, il mezzo bellicoso sarà
da evitare tramite ad esempio compromessi commerciali e politici. La guerra offensiva
infine è da prescrivere entro i doveri satisfattori, che non obbligano tutti i musulmani –
basterebbe ad esempio che solo qualcuno abbia la volontà di adempiere – mentre la guerra
difensiva è un dovere categorico individuale. Per ciò che riguarda l’elemosina il diritto
musulmano prevede un sistema obbligatorio di aiuto finanziario imposto ai ricchi per scopi

82
Al Sanhùrì, cit., p.141
83
La maggiore è rivolta contro l’ego di ciascuno.
84
Gli stessi dotti musulmani non sono entusiasti nell’invocarla se non per la causa religiosa, in Ivi, p. 146.
85
Le generazioni successive al Profeta si sono servite di questi versetti per estendersi al di fuori dell’Arabia, ma da un
punto di vista ortodosso sono comunque azioni pienamente legittime. Ibidem
23
religiosi e il Califfo dovrà verificare che tutti adempiano. In riguardo alla preghiera come
già accennato l’intervento del Califfo non ha alcun carattere di dominazione seppur qualche
preghiera86 necessita la direzione dell’imam; da non confondere l’uso della parola imam,
non intesa qui in senso di Califfo ma di semplice direttore della preghiera. Altra prerogativa
riguarda il pellegrinaggio, dove il Califfo designa dei walis per dirigere i pellegrini e per
assicurare la loro sicurezza verso la Mecca ed un wali per dirigere il pellegrinaggio durante i
sette giorni fissati per compiere i riti necessari.

Per quanto riguarda le attribuzioni politiche la differenza sostanziale con le precedenti è che
quelle politiche sono adattabili alle mutate condizioni socio-politiche, mentre quelle
religiose sono immutabili. Le prerogative del Califfo appartengono perlopiù al potere
esecutivo e sono il mantenimento della sicurezza interna ed esterna, l’amministrazione
dell’impero e la gestione finanziaria. In relazione alla sicurezza agli inizi il Califfato
completava il potere dei giudici in materia criminale; più tardi le cose sono cambiate e il
potere del Califfo è limitato alla messa in stato di accusa e all’esecuzione delle pene. Quanto
all’esercito agli albori tutti i musulmani capaci di combattere sono dei potenziali soldati; più
tardi viene istituita un’armata professionale di cui il Califfo ne è il capo, può dichiarare
guerra e stipulare trattati, prendere su di sé l’armata o nominare generali; oltre ai tipi di
conflitto già descritti Egli dovrà combattere anche apostati, insorti e i ladri 87. Per quanto
riguarda l’amministrazione questa è l’affare quotidiano del Califfo e si serve per ciò di
diversi agenti88. Gli agenti predominanti nel sistema musulmano, sia nella teoria che nella
pratica, sono i visir (ministri) e i governatori delle province; ci occuperemo dei primi i quali
non esistevano nell’epoca dei Califfi ben guidati visto che erano ruoli ricoperti dai
Compagni. Sono apparsi solo con gli Omayyadi mentre con gli Abbasidi hanno assunto
importanza fondamentale in quanto alcuni di loro entrarono in netto contrasto con l’autorità
califfale. Da un punto di vista giuridico ne esistono due tipi: il visirato di delega e
d’esecuzione. Nel primo il Califfo delega i suoi poteri in modo tale che questi

86
La preghiera in comune del venerdì e delle feste principali dell’anno.
87
Al-Mawardi, cit., pp.44-53
88
Agenti religiosi come gli Imam della preghiera o i walis del pellegrinaggio, agenti incaricati dell’elemosina, agenti
politici come il capo della polizia o i magistrati e gli agenti propriamente amministrativi come i governatori della
province; Al-Mawardi li divide in quattro categorie: a) quelli la cui walaya è generale in tutto l’impero (es. i vizirs);
quelli con walaya speciale in una circoscrizione determinata (es. i governatori delle province); quelli con walaya
speciale nella generalità delle province (es. magistrati); quelli con walaya speciale in una circoscrizione determinata
(es. comandante truppe o giudice di una provincia), in Ivi, p.194
24
amministratori potranno dirigere gli affari seguendo il loro giudizio e per ricoprire questa
carica sono necessarie le medesime condizioni di capacità del Califfo, eccezion fatta per la
discendenza89. Quanto al visirato d’esecuzione esso ha minor importanza ed è semplice
intermediario tra Califfo e soggetti e non necessita difatti né di condizioni di capacità, né di
libertà né di scienza. La terza attribuzione del Califfo in campo amministrativo è la gestione
finanziaria, essendo guardiano dei beni pubblici.

Sotto la sfera giudiziaria invece, il Califfo può amministrare la giustizia personalmente,


come anche il Profeta ed i primo quattro Califfi che avevano l’abitudine di nominare
personalmente i giudici; con il tempo si sono creati degli uffici permanenti ma nella pratica
sono sempre condizionati dal Califfo. Gli stessi giureconsulti ammettono che solo in teoria
il giudice esercita la sua giurisdizione non in virtù della walaya del Califfo ma in relazione a
quella di tutti i musulmani. Come tutte le walaya pubbliche siamo dinanzi ad un contratto e
le condizioni di capacità per essere giudice sono sette: la pubertà, lo spirito sano, la libertà,
l’islamismo, la giustizia, la scienza e la salute di vista ed udito. Il giudice può rassegnare le
sue funzioni tramite un suo atto e non viene revocato con la fine del califfato.

I.5 I Limiti della walaya del Califfo

Il Califfo è limitato essenzialmente da due principi fondamentali: non deve violare la Legge
altrimenti vi sarà eccesso di potere e, nel limite della legge, dovrà esercitare la sua autorità
nell’interesse dei musulmani, altrimenti vi sarà abuso di potere. La nazione ha a
disposizione due garanzie per assicurare l’applicazione di questi due principi: il diritto a
poter consigliare il Califfo su tutte le questioni amministrative e giudiziarie di sua
competenza ed il diritto di controllare i suoi atti; quindi dice al-Sanhùrì, a torto si pensa che
nell’Islam si giustifichi un potere illimitato. Se nella pratica ciò si è verificato è perché
contingenze hanno fatto scivolare un Califfato regolare in irregolare con la forza che ha
prevalso sul diritto90. Per la Legge il Califfo ha delle attribuzioni determinate che non deve
né eccedere né esercitare abusivamente.

Abbiamo visto così che il Califfo non ha alcun potere legislativo nella sfera politica né alcun
potere spirituale nella sfera religiosa e che quindi un atto in questi campi sarebbe nullo a
89
Ma dovrà possedere, a differenza del Califfo, la conoscenza delle branche amministrative della guerra e delle
finanze.
90
Parleremo più tardi anche di una terza garanzia, la possibilità di deporre il Califfo.
25
priori; d’altro canto ha dei poteri esecutivi ed amministrativi con dei limiti stabiliti dai diritti
individuali dei musulmani - come l’uguaglianza davanti la legge, la libertà individuale,
l’inviolabilità della persona e della proprietà ecc. – e la legge esposta dai mujtahid
osservando la giustizia e l’imparzialità più rigorosa91. Come enunciato da Abu Bakr nel suo
primo discorso il Califfo non può uscire dalla legalità, altrimenti cadrebbe in eccesso di
potere: “obbeditemi tanto che io obbedisca a Dio ed ai suoi messaggeri; se io disobbedirò a
loro, voi non mi dovete alcuna obbedienza”92. Per quanto riguarda l’abuso di potere invece
l’archetipo teorico viene preso dal diritto privato dove l’esercizio di un diritto non può
prodursi che dentro lo scopo per il quale questo diritto è stato accordato 93; collegando questo
principio alla walaya del Califfo se ne deduce che Egli non eccederà nel suo potere se lo
scopo del perseguimento dell’interesse della comunità viene lasciato intatto; è questo
interesse la destinazione sociale della sua autorità e tutti gli atti non ispirati da questo
principio saranno un abuso di potere 94. Al-Jawziyya dice che la Shari’a è costruita su delle
finalità attuali e future, con piena giustizia e pietà e di conseguenza chi sarà ingiusto lo sarà
perché svierà dal diritto musulmano, affermando cioè una piena circolarità tra la bontà di
Dio e la nazione, veicolata attraverso un mero intermediario, il Califfo95.

Per ciò che riguarda le garanzie per l’applicazione di questi principi, vi è innanzitutto da
dire che il Califfo è responsabile innanzitutto dinanzi a Dio dei suoi atti 96 ma non si può
pensare che i vincoli siano solo morali in quanto ne esistono anche nel diritto positivo in
virtù dei quali la nazione può donare consiglio e controllare gli atti. Per ciò che riguarda la
prima garanzia ricordiamo che la Nazione non solo dà consiglio ma essa stessa legifera. Per
ciò che riguarda propriamente il diritto di dare consiglio, il Califfo ha l’obbligo di consultare
il popolo prima di decisioni gravose; la consultazione della nazione avviene comunque
attraverso gli che “lient et delient”97, che hanno allo stesso tempo il diritto ed il dovere di
dare ‘consigli’. Lo stesso Profeta ed i ‘Califfi ben guidati’ avevano l’abitudine di chiedere

91
Vi sono numerosi versetti a sostegno, ad esempio il più diretto: “Dio non ama gli oppressori” (C. S. XLII, V. 38).
92
Abu Bakr si rifà all’hadith: “ alcuna obbedienza è dovuta a l’uomo che disobbedisce alla sua Creatura”, in al-Sanhùrì,
cit., p.175.
93
M. Fathy, La doctrine musulmane de l'abus des droits : (étude d'histoire juridique et de droit comparé), Georg et Paul
Geithner, Lyon, 1913, p.134
94
Un detto recita: “è di vostro interesse ascoltare chi vi comanda e ubbidire loro, fintanto che essi non vi ordinino di
fare ciò che Dio disapprova”, in al-Sanhùrì, cit., p. 176.
95
Q. Jawziyya, I'lam al-Muwaqqiʿin ʿan Rabbi l-ʿAlamin, t- II, pp. 15-29 in M. Fahty, cit., p. 209.
96
R. Rida cita il detto: “L’imam despota sarà il più torturato nel giorno della resurrezione”, in R. Rida, cit., p. 27.
97
Ahl al-hall wa al-‘aqd, “coloro che hanno il potere di sciogliere e legare il mandato”.
26
consiglio ai Compagni, particolarmente verso coloro che avevano conoscenze speciali nelle
questioni trattate98. Il Califfo in principio è tenuto a seguire il parere dei musulmani a meno
che non abbia una ragione valida che però lo rende personalmente responsabile della
decisione presa. Per quanto riguarda invece la decisione su chi siano gli uomini che
rappresentano la nazione, si riporta a quanto detto sul tema della procedura d’elezione
mentre, per quanto concerne la modalità d’elezione, come già detto, non vi sono state nella
storia delle pratiche stabili e costanti per far affermare questa o quella modalità specifica.
Ma tutto ciò non basterebbe alla Nazione se non vi fosse un controllo permanente dato
dall’estrema ratio della deposizione. In via teorica sono già i primi Califfi ad affermare
questo principio; Abu Bakr affermò: “Se faccio bene, appoggiatemi, se devio,
raddrizzatemi”99. Analogamente si espresse Umar: “O voi che mi ascoltate, se notate delle
deviazioni nel mio governo, vogliate raddrizzarmi!”. Se al tempo dei primi quattro Califfi il
controllo amministrativo non era complicato in quanto era attuato costantemente e
direttamente dai Compagni, questo processo non si è mai cristallizzato in diritto positivo.
Ma è sempre la Legge, dice al-Sanhùrì, che dà la retta via: se tutti gli ingranaggi nel sistema
sono rispettosi di essa problemi non vi saranno; un giudice ad esempio, dovrà astenersi
dall’applicare un ordine emanato dal Califfo contrario al diritto islamico. È chiaro però che
la certezza del diritto si afferma anche grazie a delle garanzie chiare e stabilite, ma
nemmeno i precedenti storici hanno donato una soluzione100.

I.6 Fine del Califfato

L’autorità del Califfo, una volta che è regolarmente stabilita può finire o per causa
proveniente dalla sua persona o dal regime stesso; nel primo caso il Califfato regolare
continua ed è il Califfo che cambia, mentre nel secondo caso il regime cessa d’esistere in

98
Su tale argomento vi sono parecchi detti che cita al-Sanhùrì; ad esempio: “consulta i musulmani, allorquando le
circostanze lo esigano, e una volta preso ascolto, agirai con fiducia..”, in Al-Sanhùrì, cit., p. 180
99
Al-Fattah Tabbara, Ruh ad-din al-islami (Lo spirito della religione islamica), Dar al-‘ilm li-l-malayin, Beirut 1995, p. 342
100
Al-Sanhùrì consiglia che in assenza di una soluzione questa può essere rintracciata nel diritto pubblico moderno; il
principio fondamentale del sistema parlamentare è che il capo dello stato esercita il suo potere attraverso
l’intermediario di un ministero responsabile dei suoi atti davanti al potere legislativo, dando al popolo il suo controllo;
in al-Sanhùrì, cit., p.186.
27
quanto il suo funzionamento diventa impossibile. Tuttavia dev’essere solo temporaneamente
sospeso e provvisoriamente rimpiazzato da un regime di necessità: il Califfato irregolare.

Tratteremo ora le cause d’estinzione provenienti dalla persona del Califfo. Il Califfo
regolare si trova decaduto da un’alterazione di stato dal momento che non soddisfa più le
condizione di capacità necessarie per l’esercizio del Califfato; in questo caso i doveri di
obbedienza ed assistenza della nazione, cessano di esistere. Ma vi sono anche altre cause
d’estinzione ossia la morte e l’abdicazione. Il contratto di Califfato prende fine con la morte
del Califfo e questo ci dice come gli effetti del contratto sono puramente personali e non
sono ammesse cessioni ad eredi101. La morte apre la fase della successione secondo le regole
stabilite nella materia dei modi d’investitura del Califfo: gli elettori dovranno allora
procedere all’elezione di un nuovo Califfo o prestare la ba’ya alla persona designata come
successore dal Califfo defunto. Non ci sono scadenze particolari per affrontare la questione
tuttavia il precedente derivante dopo la morte del Profeta, mette in chiaro che si è dinanzi ad
un affare urgente che mette in gioco gli interessi vitali dell’Islam. È difatti da ricordare
come dopo la morte del Profeta la designazione di Abu Bakr sia avvenuta anche a rischio di
ritardare l’inumazione di Muhammad stesso; il secondo Califfo, Omar, ricevette la ba’ya
dagli elettori subito dopo la morte del suo predecessore. Othman, il terzo Califfo, è stato
eletto nel lasso di tempo di tre giorni stabilito da Omar; ancora, dopo l’assassinio di Othman
i musulmani hanno prestato la ba’ya in fretta ad Ali, il quarto Califfo. La tradizione islamica
così mostra che la vacanza del Califfato debba avvenire con più rapidità possibile.

Ciò è vero non solo come conseguenza della morte ma anche per altre cause: abdicazione,
decadenza o deposizione. Per quel che riguarda l’abdicazione, tutte le walaya derivate sono
risolvibili e ogni parte può revocare il contratto unilateralmente; è la regola del contratto di
mandato che è alla sua base. Ma il contratto di Califfo è un contratto originario e quindi
irrevocabile; al-Mawardi ammette che il Califfo può abdicare e cioè che può revocare il
contratto di Califfato per sua propria ed unica volontà 102; quest’eccezione è spiegata per
considerazioni pratiche visto che rimanere nelle funzioni malgrado la propria volontà può
essere dannoso per tutta la popolazione musulmana. Le cause d’estinzione con rispetto alla
decadenza invece, non è altro che la perdita di una o più condizioni di capacità esigibili nel
101
Beninteso, come abbiamo visto il Califfo può validamente designare un suo successore in virtù di un contratto di
nomina ma questa successione non è un’eredità propriamente detta.
102
Quando abdica si passa al successore designato producendo lo stesso effetto della morte, in al-Mawardi, cit., p.20
28
momento della conclusione del contratto; va da sé infatti che un’alterazione di stato farà
perdere l’abilità ad esercitare le funzioni del Califfato. Queste condizioni sono numerose ma
sono due le condizioni che, secondo Al-Mawardi, costituiscono un’alterazione di stato con
l’effetto di far decadere il Califfo: una lesione morale nella qualità della giustizia o una
lesione fisica103. Una lesione morale vi è innanzitutto se Egli diventa miscredente, con il
Califfato che decade ipso jure; non è necessario che abbandoni completamente l’Islam,
basta che diventi empio e ciò può accadere o per la condotta esteriore o nel pensiero
(eresia). Tutte e due distruggono la qualità di giustizia. La prima viene chiamata empietà
propriamente detta o fisq e consiste nel commettere azioni biasimabili e “prendendo il
desiderio per madre e la passione per guida 104”. Questa danneggia la condotta personale del
Califfo, sia nella vita privata sia nel modo in cui esercita l’autorità nella via pubblica. Si è
considerati empi se ci si rende colpevoli di un peccato capitale o si commettono
abitualmente dei peccati veniali.105 Nel secondo caso invece, si è empi quando non si
esercita la walaya nel limite legale, eccedendo o abusando del potere; se una volta concluso
il contratto, il Califfo riacquista la qualità di giusto, non recupera il Califfato a meno che
non venga stipulato un nuovo contratto. Vi è discordanza inoltre tra chi afferma che in caso
di empietà vi sia una decadenza di pieno diritto con un contratto risolto ipso jure e chi
invece afferma che dev’essere deposto dalla nazione; resta il fatto che anche qui si afferma
la più energica delle concezioni contrattuali, anticipando di circa un secolo il movimento
filosofico del XVII secolo, con l’aggiunta che a differenza del Contratto Sociale di
Rousseau, esso non è tacito bensì formale. Vi è tuttavia qualche voce discordante 106: questi
autori pur riconoscendo che una persona empia o ingiusta non è abile ad esercitare la carica
di Califfo, affermano che empietà ed ingiustizia non sono cause di decadenza; al-Taftazani
in particolare, rifacendosi alla scuola hanbalita, afferma che dopo i ‘Califfi ben guidati’ la
tradizione ha permesso a Califfi empi di mantenersi al potere e che l’infallibilità non è
condizione per l’accesso al Califfato e quindi non può esserla per la continuazione 107. In al-
Mawaqif troviamo un’idea intermedia, ossia in caso di empietà la deposizione non è

103
Ivi, pp.170-171
104
Al-Sanhùrì, cit., p.195.
105
Al-Ghazali, Ihya’ `Ulum al-Din, Dar al-Ma`rifah, V. IV, Beirut, in al-Sanhùrì, cit., p. 196.
106
Al-Taftazani, cit., p. 322.
107
Al Sanhùrì puntualizza il fatto che l’autore cade in errore comparando infallibilità ed empietà, in al-Sanhùrì,
cit.,p.198
29
obbligatoria ma facoltativa108 e può essere permessa se subentrano dei mali più grandi di un
despota al potere. Per quanto riguarda la decadenza per lesioni fisiche , si parla di danni ai
sensi, a parti del corpo o alla libertà. Per ciò che riguarda i sensi qui prendono un’accezione
allargata , intesi come perdita della ragione e della vista; per ciò che concerne il corpo i
difetti che ostacolano l’azione – come la perdita delle mani – comportano la decadenza ma
se questi difetti causano solo una perdita parziale non coinvolgono la decadenza. Infine per
la libertà d’azione il Califfo dovrà godere della piena libertà nell’esercizio della walaya, se
si trova sottomesso ad una volontà altrui la perde; va intesa sulla stessa lunghezza d’onda
anche un’influenza esterna, che essa sia manifesta o occulta.

Restano due ipotesi importanti ancora: l’interdizione e la violenza; la prima vi è quando il


Califfo è dominato da uno dei suoi subordinati; il quale si appropria dell’esercizio del potere
senza comunque mostrare segni di disobbedienza; ma se la condotta di colui che domina il
Califfo è conforme ai principi della religione viene permesso lui di agire in quanto ci si
assicurerà la fine degli affari avviati e l’esecuzione delle decisione intraprese, in modo da
non pregiudicare la nazione intera. Quanto alla violenza essa esiste quando il Califfo cade
prigioniero tra le mani di un nemico e quindi incapace di deliberare; in questo caso è la
nazione intera che deve intervenire in base al suo dovere di assistenza verso il Califfato

I.7 Il Califfato irregolare

Finora abbiamo trattato il Califfato regolare; esso si trova concluso, o meglio sospeso, dalla
venuta di un fatto che ne rende impossibile il corretto funzionamento: è qui che viene a
nascere il Califfato irregolare. Riassumendo sono tre le caratteristiche peculiari del Califfato
regolare: è eletto in virtù di un contratto di Califfato o nominato in virtù di un contratto di
nomina; forza o violenza sono completamente estranei ad esso. In secondo luogo il Califfato
regolare deve attenersi a certe condizioni di capacità che hanno come scopo il buon
funzionamento. Infine nel funzionamento del Califfato regolare si distaccano tre caratteri
essenziali: il Califfo riunisce su di sé attribuzioni politiche e religiose, applica prettamente il
diritto islamico e la sua autorità è una ed indivisibile rispecchiando l’unità del mondo
musulmano. Se il funzionamento del regolare diviene impossibile per qualche causa ci si
trova in un impasse: d’una parte ve n’è il bisogno materiale dall’altra potrebbe essere

108
Al-Mawaqif, cit., t.8 p.353
30
pericoloso lo stesso mantenimento del Califfato. È da questa condizione contraddittoria che
è nata la concezione del Califfato irregolare. Il punto di partenza della distinzione tra i due
Califfati si trova nell’hadith: “Il Califfato, dopo di me, durerà trenta anni; esso si
trasformerà in potere e dominazione”109. Questo regime è dunque fondato essenzialmente
sull’idea di necessità110. Dei due mali difatti, occorre sceglierne il minore, per cui il Califfato
irregolare nella pratica lo si legittima; in secondo luogo, la necessità si trascina con sé i suoi
stessi limiti: occorrerà applicare tutte le regole del Califfato regolare a parte quelle che la
necessità non permette e durerà fintantoché dura lo stato di necessità che lo ha permesso. È
perciò provvisorio ed eccezionale111. Su questi due aggettivi verterà l’analisi di questo tipo
di Califfato.

Per quanto riguarda la necessità, questo stato si riassume in ultima analisi in un’idea di forza
o di opportunità. Il Califfato sulla base della forza è il più frequente nella storia musulmana;
ma un regime violento o iniquo sarà sempre meglio di una guerra civile ed è per questo che
si possono considerare legittimi, sebbene irregolari, i Califfati delle due prime dinastie
dell’Islam: gli Omayyadi e gli Abbasidi. Mo’awiyah è stato il fondatore del Califfato
irregolare appoggiandosi sull’armata siriana ed alla sua abilità di diplomatico. Al-Saffah’ il
fondatore della seconda dinastia, ha seguito l’esempio di Mo’awiyah per capovolgere la
dinastia di quest’ultimo approfittando di una propaganda occulta ed appoggiandosi alla forte
armata persiana. Ma la forza dev’essere attuale ed irresistibile e la comunità musulmana non
deve abbandonare la lotta, se non quando non può fare altrimenti; è solo in questo momento
che si è dinanzi ad un vero stato di necessità 112. Ma se la forza dev’essere attuale ed
irresistibile, è sufficiente per contro che essa sia latente; se molti si sono impossessati del
Califfato tramite un contratto di nomina nullo per vari vizi è perché la minaccia della forza
non è mai scomparsa. Pensare che Califfati come quello di Soleiman o Al-Rachid, tanto per
fare degli esempi, siano esenti dall’uso della forza, è un errore; essa è rimasta sempre
soggiacente e solo alcuni l’hanno effettivamente usata come Yazid contro al-Husain. Infine
per far sì che il Califfato irregolare diventi legittimo deve riunire due elementi, un elemento
109
In al-Sanhùrì, cit., p.206.
110
Vi è un ricorso continuo della teoria della necessità da parte del mondo del diritto islamico; al-Sanhùrì richiama
l’esempio del divieto di mangiare bestie morte impure; ma vi è un versetto nel Corano che pone l’eccezione: “è potuto
a colui che ha fame” (C. S. 5, V. 5)
111
Nella pratica comunque esso è la norma, data la permanenza di quasi tredici secoli.
112
È seguendo questo principio che Husain, figlio di Ali, tentò disperatamente di combattere Yazid nella famosa
disfatta di Kerbela.
31
di fatto ed uno di diritto; il primo consiste nello stabilimento effettivo dell’autorità del
Califfo sul territorio113 nel quale si proclama. In questa prima fase non è ancora legittimo ma
sarà considerato ribelle contro il Califfo regolare, se ne esiste uno. Quest’ultimo non perde
la qualifica di regolare per il fatto di stare a combattere contro altri musulmani: è l’esempio
di Ali. Anzi, se il regolare riconoscerà l’altro o cesserà di combattere, diverrà irregolare
mentre l’altro legittimo. La questione di sapere se l’irregolare ha effettivamente stabilito
un’autorità è una pura questione di fatto che si risolve nel mantenimento del territorio e
della sicurezza e se persiste una certa resistenza se questa non è sufficiente a ribaltare il
califfato, allora quest’ultimo non perde le sue chances di divenire legittimo: qui l’esempio
viene dai kharagiti, sempre contro il potere costituito ma mai determinanti. Se a
quest’elemento di fatto se ne aggiunge uno di diritto, il Califfato diviene legittimo.
Quest’elemento consiste nel riconoscimento formale da parte dei musulmani del Califfato
imposto con la forza tramite una ba’ya non necessariamente proveniente dalla maggioranza
degli elettori; bastano i musulmani preminenti. Ma quando lo stato di necessità è concluso vi
è bisogno della libera ba’ya della comunità per far sì che diventi un Califfato regolare.

Per quanto riguarda il Califfato a base di opportunità esso può presentarsi per diverse
ragioni. In primo luogo quando non soddisfa le condizioni di capacità che, come detto, sono
difficili da soddisfare contemporaneamente; in mancanza si eleggerà quello che ne
soddisferà di più. Il Califfato irregolare qui è legittimo. Bisogna dire comunque che il
Califfato è obbligatorio anche se derivante dall’opportunità: sarà sempre meglio un governo
deficitario su alcuni aspetti che un governo in totale contraddizione ai principi del diritto
musulmano.

Per ciò che concerne il funzionamento il Califfato dovrà funzionare nella misura più ampia
possibile seguendo le linee del regolare ed anzi, le uniche che potranno costituire eccezione
sono, per l’appunto, giustificate dallo stato di eccezione. Riprendiamo le quattro attribuzioni
fondamentali di un Califfato; per ciò che riguarda la nomina dei delegati, in principio
l’irregolare non dovrà essere capace di fare delle nomine valide. La dottrina ciononostante è
conforme nell’affermare il contrario114. Nell’esercizio delle attribuzioni politiche e religiose

113
L’irregolare contrariamente a quello regolare, non ha necessariamente bisogno di una autorità stabilita in tutto il
mondo musulmano; il difetto dell’unità dell’Islam non è che un’ulteriore causa di irregolarità, in al-Sanhùrì, cit., p.216
114
Al-Mosayarah afferma che l’usurpatore può validamente avvalersi delle sue prerogative proprio per via dello stato
di necessità, al-Mosayarah, cit., p 35.
32
l’unica condizione che ne vieta l’utilizzo è che non sia libero, altrimenti meglio un empio
piuttosto che il diritto musulmano rimanga inapplicato. Per quanto riguarda la successione è
superfluo dire che è permesso all’irregolare di emettere decisioni in merito, anche se la
pratica ha dimostrato che è servito meramente a prolungare una dinastia particolare. Infine a
riguardo dell’esercizio del potere nel limite della legge, le restrizioni devono essere
applicate rigorosamente anche in questo caso, anche se nel caso dell’imposizione con la
forza i limiti sono pressoché dipendenti dalla stessa volontà dell’usurpatore. I musulmani
d’altro canto potranno disapplicare leggi che vanno contro la Legge, ma anche qui se
disapplicarle comportasse problemi maggiori, allora converrà eseguirle. Vi sono però due
riserve: le decisioni rimangono nulle e scompariranno una volta finito lo stato di necessità e,
in secondo luogo, se i musulmani non potranno ribaltare la situazione con la forza dovranno
sanzionare lo stato di cose a parole o almeno nella loro coscienza; non è permesso a nessun
musulmano difatti di collaborare attivamente con il Califfo irregolare nell’esecuzione delle
decisioni nulle. Per quanto riguarda i due doveri della nazione, questi rimangono ma con
riserva. Per quanto riguarda il dovere d’obbedienza, nel Califfo d’opportunità il Califfo
viene liberamente investito dalla nazione e perciò tutto rimane immutato; nel caso della
forza l’obbedienza è legalmente dovuta, ma nei limiti della legge. Per il dovere d’assistenza
invece nel Califfato d’opportunità è dovuto ed un sollevamento contro l’autorità del Califfo
sarà considerato illegittimo; nel caso della forza invece nessuna assistenza è dovuta ma, al
contrario, se una persona è capace di ristabilire l’ordine e si solleva contro l’usurpatore, il
mondo musulmano deve aiutare il ribelle.

Uno dei tratti più difficili da realizzare nei tempi attuali è l’unità del mondo musulmano;
l’Islam ha visto spesso la coesistenza di più di un Califfo115. Da un verso tutti i Califfati sono
legittimati, dall’altro questa situazione plurale dovrà cessare al più presto. Fino a quando la
cosa non cambierà le relazioni dovranno essere amicali e se nascono controversie
l’arbitraggio116 sarà necessario, come Ali che lo accettò pur contro un ribelle.

Indagheremo ora come il Califfato irregolare ha fine e come si ristabilisce quello regolare.
Bisogna distinguere anche qui tra Califfato di forza e di opportunità. Nel primo il Califfo
115
Inoltre un principe musulmano può rendersi indipendente senza prendere il titolo di Califfo ma senza nemmeno
riconoscere l’autorità del Califfo come nel caso degli Ommayadi di Spagna; dal punto di vista delle relazioni esterne
con gli altri Califfi, tuttavia, è da considerare come un altro Califfo, al-Sanhùrì, cit., p.235.
116
La cooperazione tra musulmani è indicata dall’hadith: “i credenti sono tra loro come delle costruzioni, in cui le parti
si appoggiano l’un l’altra”.
33
verrà deposto quando perde la forza sul quale si appoggia. Ma ci sono varie fattispecie,
precisamente quattro:

- Il Califfo di forza possiede le condizioni di capacità necessarie ed i tratti essenziali


all’esistenza del Califfato regolare; questa è la più favorevole ed è stata realizzata nella
pratica da Mo’wawyah, a cui mancava il libero consenso della nazione essendosi imposto
con la forza del sue esercito siriano e per il potere della sua tribù. Questo tipo di Califfato
cessa quando non si è più in grado di assicurare l’autorità con la forza e la nazione
comincerà a non eseguire le decisioni illegali del Califfo; anche se quest’ultimo fosse
conforme alla Legge nelle sue decisioni, rimarrebbe irregolare;

- Il Califfo possiede le condizioni di capacità necessarie ma non i tratti essenziali; qui il


Califfato cessa con la cessazione della forza. È il caso di molti Califfi abbasidi i quali
avevano la capacità e il consenso senza poter realizzare tutti i tratti essenziali, in particolare
l’unità dell’Islam;

-Il Califfo non possiede le condizioni di capacità necessarie ma realizza i tratti essenziali; è
il caso della maggior parte dei Califfi Omayyadi e anche qui si cessa con la cessazione della
forza; se il Califfo andrà a possedere le condizioni e non si appoggerà più sulla forza,
diverrà regolare senza che necessiti di un’investitura nuova;

- Il Califfo non ha né le condizioni di capacità né i tratti essenziali; è il caso della maggior


parte dei Califfi abbasidi. Questi verso la fine della dinastia hanno perso la loro forza e i
loro visir si sono impadroniti del potere; siamo nel caso dell’interdizione.

Per quel che riguarda la cessazione del Califfato d’opportunità, esso si conclude con la
conclusione dello stato di necessità; se è il Califfo d’opportunità stesso che prende il potere
la conversione si opera di pieno diritto mentre se un nuovo Califfo è eletto, allora ci sarà
bisogno di una deposizione formale del precedente. Qui le possibili cause di cessazione
sono tre:

- Il Califfo d’opportunità non ha le condizioni di capacità ma realizza i tratti essenziali; qui


cesserà quando la comunità trova un altro candidato o quando il Califfo acquisirà le
condizioni di capacità;

34
Il Califfo d’opportunità possiede le condizioni ma non i tratti essenziali; qui prenderà fine
quando il Califfo potrà realizzare esso stesso i tratti essenziali; se vi è un altro candidato in
grado di farlo prima di quello in carica, allora quest’ultimo dovrà cedere il passo;

- Il Califfo non possiede né le capacità né i tratti essenziali; se non può acquisirli e vi è un


altro candidato dovrà essere deposto, ma se il Califfo potrà acquisire o le condizioni o i tratti
essenziali ma vi è un altro candidato, allora si è dinanzi ad una contraddizione in quanto si
dovrà scegliere tra un Califfato regolare ed il dato di fatto che la continuità del governo è un
principio da tenere in considerazione.

I.7 Le fasi storiche del Califfato

La contraddizione tra la dottrina e la pratica è lampante anche solo vedendo brevemente il


comportamento della prima nel giustificare le situazioni di fatto che distorcevano la buona
teoria. Analizzeremo il contesto storico grazie all’ausilio delle tre caratteristiche principali
del Califfato; vedremo che ad esempio essendo partito a Medina come sistema prettamente
religioso è finito con l’impero ottomano essendo prettamente politico. O ancora che l’unità
dopo i primi shock non ha tenuto ed il sistema si è frammentato.

I.7.1 Periodo del Califfato regolare

Dura all’incirca trenta anni ed ha funzionato conformemente al sistema stabilito dal Profeta.
Prima vi erano le tribù che eleggevano un capo a cui prestare la ba’ya117. Muhammad alla
Mecca non ebbe alcun potere temporale ma una volta a Medina il sistema divenne anche
politico, pur con carattere prevalentemente religioso, visti soprattutto i nemici che gli si
presentarono e lo stato primitivo e nomade che facevano di quel territorio un territorio
ostile, senza coesione ed in continuo stato di guerra. È per ciò che il Profeta costruì anche
uno stato. Quanto alla forma di governo questa era una teocrazia visto che il Profeta
deteneva tutti i poteri e che li esercitava in nome di Dio 118. Questo stato era retto per un
diritto che aveva la stessa fonte della religione ossia la rivelazione divina: la seconda
caratteristica essenziale. Verso la fine della carriera del Profeta inoltre, l’Arabia intera era
sottomessa alla sua autorità e perciò vi era anche una concezione unitaria dello Stato

117
Qui risiede l’origine della ba’ya.
118
Il Profeta ha esercitato il suo potere assoluto nell’interesse dei musulmani con la giustizia più perfetta, in al-Tabari,
cit., v. 3 pp. 138-191.
35
islamico. Così vi era la riunione della religione e della politica, l’applicazione dei principi
del diritto musulmano e l’unità dell’Islam. Per quanto riguarda il primo tratto essenziale il
Profeta aveva un vero carattere spirituale per via della rivelazione ed era un potere
particolare, nel senso che nessun altro ne partecipava. Carattere diverso aveva il potere
temporale, dove il Profeta si avvaleva di vari consiglieri tra cui Abu Bakr ed Umar. Per quel
che riguarda l’applicazione della Legge occorre notare come vi sia una differenza tra la
parte religiosa e temporale del diritto musulmano119: se la prima è definitiva ed immutabile
la seconda è elastica e suscettibile di adattamento120.

Infine l’unità; nella concezione del Profeta l’Islam è religione universale ma è morto prima
di proferire chiaramente su come volesse intendere lo stato. Solo dopo la Sua morte i
Compagni crearono un impero centralizzato sebbene lo stesso Profeta intendesse qualcosa di
simile avendo inviato nelle differenti parti dell’Arabia dei governatori e dei giudici
affidando loro una certa autonomia.

I.7.2 “I Ben guidati”

La morte di Muhammad prese alla sprovvista perché non vi era traccia né nel Corano né
dentro gli hadits sulla forma di governo da attuare, questione oscura nella storia islamica.
Ma visti i vari hadits sull’obbedienza agli imam, Egli ha voluto assicurare la continuità del
governo islamico; ha inoltre in fin di vita voluto che fosse Abu Bakr a presiedere la
preghiera in sua vece, lasciando così – almeno per i sunniti ortodossi – chiara volontà di chi
fosse il successore121. Eppure c’è qualche fatto incontestabile: il comando del Profeta di
applicare il Corano e gli hadits122 e di preferire un Ansar alla successione.

I Compagni furono comunque unanimi nel pensare che il Califfato dovesse continuare e
questa approvazione costituisce il consensus sul carattere obbligatorio di esso. Per quanto
riguarda la persona, era chiaro che questa avrebbe dovuto avere un potere meno esteso vista
l’assenza di rivelazione, ma vi fu disaccordo generalizzato su quale tribù e su quale nome

119
Al-Sanhùrì, cit., p.269.
120
Al-Tabari mette in luce la sura II, versetto 100 : “non abrogheremo alcun versetto di questo libro.. senza rimpiazzarlo
con un altro migliore o simile”, Tabari, cit., pp. 136-138
121
Ci sono varie versetti anche solo addebitate allo stesso al-Tabari: una prima parla di preferenza manifesta nei
confronti di Abu Bakr in quanto il Profeta, malato, gli affidò la preghiera del venerdì; una seconda racconta di un
profeta intenzionato a lasciare ad Alì il comando senonché intervennero le figlie di Abu Bakr ed Umar a dissuaderlo.
Al-Tabari, Vol. 3, pp. 153-156.
122
Al-Sanhùrì, cit., p.278.
36
dovesse ricadere la preferenza; la cosa si risolse solo quando Ali, rappresentante degli
Hashemiti, si sottomise ad Abu Bakr, dei Quraish. Al di là di ciò, i musulmani mostrarono
la ferma intenzione di rimanere un gruppo politicamente organizzato, seppur non più sotto
una direzione spirituale di un Profeta ma sotto quella di un uomo di stato che avrebbe
comunque mantenuto un carattere religioso. Ma da qui si aprirono vari problemi visto che il
Profeta non era visto come appartenente ad una tribù specifica e molti si convertirono
seguendo il senso comune e non lo fecero col cuore, così che nacquero vari movimenti di
resistenza che solo grazie alla guerra santa dichiarata da Abu Bakr furono debellati. Il
funzionamento del governo dei Califfi ben guidati è una pietra miliare per la storia
musulmana, alla stregua delle dichiarazioni del 1700 per gli europei, 123 ed è assimilabile ad
una forma repubblicana moderna.

I.7.3 Il Califfato irregolare

Il regime democratico dei Califfati non ha durato molto e fu sostituito da un regime


ereditario e dispotico; due dinastie arabe si sono successe nell’arco di sei secoli per poi
essere sostituiti dal Califfato ottomano che nel 1924 è stato soppresso, per una durata totale
di tredici secoli. Il periodo della dinastia Omayyade e la prima parte di quello Abbaside è
considerato il periodo di splendore del Califfato irregolare. Gli Omayyadi (661-749 d.C.)
sono iniziati con Mo’awiyah che, dopo l’assassinio di Ali, non ha avuto più rivali seri ed ha
potuto costruire le basi per una monarchia ereditaria (e dispotica), con lo stabilimento del
procedimento di nomina. Inoltre, se con la precedente era si aveva un impero musulmano,
con quello Omayyade questo si è trasformato in un impero arabo, con una razza che
imperava sulle altre tramite il mero uso della forza. Per quanto riguarda le caratteristiche del
governo l’Islam è divenuto principalmente politico e solo secondariamente un sistema
religioso; l’applicazione della Legge non è mancata ma non vi è stato uno sforzo dottrinale
nell’adattare la dottrina alle nuove circostanze, ci si è semplicemente basati sui costumi per
sorpassare le difficoltà giornaliere124.

In quanto all’unità, questa è rimasta intatta pur dinanzi ad un impero cresciuto


esponenzialmente e, dopo la tragedia di Kerbela, cessò anche la resistenza degli alauiti.
L’amministrazione non subì cambi ma la forte centralizzazione ha reso frequenti le
123
Al-Sanhùrì, cit., p.287.
124
I. Goldziher, cit., p. 31
37
insubordinazioni dei kharagiti, alimentate anche da un Iraq dove vi era presente un’altra
branca dei legittimisti, gli abbasidi, che insieme alla resistenza sotterranea degli sciiti riuscì
ad ottenere la vittoria definitiva dopo i sollevamenti in Iraq ed in Persia. Gli Abbasidi,
iniziati con il Califfato di Al-Saffah a Kufa, fino a Al-Ma’moun (749-833 d.C.) hanno
prosperato al pari della dinastia precedente, ma lo splendore di cui si ricoprivano ha reso
ancora più dispotico questo regime.

Il principio della nomina è stato continuato ma il carattere arabo è stato sostituito con quello
persiano, visto che il potere è stato conquistato grazie all’aiuto di famiglie iraniane, come
quella dei Barmechidi, che governavano sottotraccia insieme al Califfo. Il ruolo della
religione rimane sempre secondario ma gli Abbasidi potevano vantare una discendenza con
la famiglia del Profeta che ha fatto loro applicare un regime teocratico dove la politica è una
politica di chiesa125 mentre la religione serve per consolidare l’autorità, con il Califfo che
non presiede più la preghiera ed il discorso del venerdì. D’altra parte dal punto di vista del
diritto siamo davanti ad un’epoca di sviluppo di una dottrina armoniosa ed adattabile alla
nuova società ed alle nuove relazioni giuridiche complesse; tre delle quattro principali
scuole sunnite furono create in quel momento. In quanto all’unità essa è rotta
definitivamente: l’impero è vastissimo e Al-Rahman fonda in Spagna una nuova dinastia
omayyade; i sollevamenti dei kharagiti e degli alauiti sono frequenti e un figlio di Al-Hasan
(figlio di Ali), Idris Ibn Abd Allah, si rifugia in Marocco e fonda anch’egli uno stato
indipendente.

Il periodo di decadenza può essere suddiviso in 3 fasi: gli abbasidi dopo la fine del regno di
Al-Ma’moun fino alla caduta di Baghdad, gli abbasidi al Cairo ed infine gli ottomani.

Il primo periodo (833-1258 d.C.) vede la corruzione dilagare finché l’autorità califfale
venne usurpata . Si è sempre davanti ad una monarchia ereditaria e dispotica ma ci sono
nuovi fattori che paralizzano il funzionamento regolare: l’eredità ad esempio non è più
realizzata per volontà del predecessore e si è così dinanzi solo ad una nomina apparente; la
religione diviene predominante ma non perché comanda sul politico, bensì perché dal
momento in cui i Califfi vengono spodestati dal potere temporale si accresce il prestigio
dell’elemento religioso della carica. Il diritto è caratterizzato dal graduale abbandono del

125
Ivi, p. 40
38
rinnovamento ed i giureconsulti si sono limitati ad esporre le idee dei predecessori fino ad
arrivare alla chiusura della porta dell’ijtihad, con il diritto che perderà contatto con la pratica
confinandosi alla dottrina ed alla speculazione teorica.

L’unità è ormai un ricordo con due anti-Califfi, al Cairo con i Fatimidi e a Cordoba con gli
Omayyadi, con l’aggiunta di dinastie indipendenti in Persia, in Siria, in Egitto e nell’Africa
del Nord. Inoltre sollevamenti violenti come quello dei Carmiti gettano terrore nell’impero,
fino a quando Al-Mosta’cem, l’ultimo Califfo abbaside a Baghdad viene ucciso da Oulagou,
conquistatore mongolo. Per tre anni e mezzo il mondo musulmano non avrà un Califfo.
L’Egitto, di dinastia Ayyubide ma in realtà governato dai Mamelucchi, fu l’unico a resistere
ai mongoli, conservando anche la Siria; il quarto governatore Baybars (1260-177 d.C.) cercò
però un altro modo per legittimare la sua autorità e si fece investire da un abbaside, Al-
Mostançer, dopo averlo fatto Califfo. Un’altra dinastia abbaside fu creata, fino alla
conquista ottomana. È difficile parlare di governo califfale in quanto questo può essere
assimilabile al mero governo egiziano ed inoltre gli stessi abbasidi non avevano alcun
potere: erano i mamelucchi che avevano l’autorità effettiva e questa si tramandava
ereditariamente ma soprattutto tramite violenza. Il religioso all’apparenza era detenuto dal
Califfo ma nella realtà era ridoto a mera funzione simbolica; anche l’applicazione del diritto
musulmano è sempre più un sistema teorico. L’unità invece è completamente scomparsa con
tre autorità centrali: quella dei mongoli ad est, quella dei mamelucchi al centro e quella dei
berberi ad ovest; alcuni principi indipendenti chiedono la loro investitura a Califfo come la
dinastia Mozaffaride in Persia126 o i sultani turchi a Delhi127 o ancora altri principi128 si
appropriano essi stessi del titolo di Califfo come Shah Rukh a Samarcanda, la dinastia
Hafizide in Tunisia o la dinastia Marinide in Marocco.

Il Califfato ottomano (1520-1924 d.C.) inizia ufficialmente con la conquista dell’Egitto da


parte di Selim I anche se già da tempo i sultani ottomani si erano dati il titolo di “Califfo
investito direttamente da Dio”129. La forma di governo resta inalterata dalle precedenti con
l’eredità che si produce in virtù della legge di primogenitura e caratterizzata per un forte

126
T. W. Arnold, The Caliphate, Oxford University Press, Oxford, 1924, pp. 102-103,
https://archive.org/stream/caliphate029219mbp#page/n9/mode/2up
127
Ibn Battoutah, t.1 p.359, cit. in al-Sanhùrì, cit., p. 319.
128
T. W. Arnold, cit., pp. 111-120
129
Ivi, pp.139-158, l’autore afferma che in qualità di difensori di alcuni luoghi sacri avevano molto più diritto gli
ottomani che alcuni precedenti Califfi
39
dispotismo, fintantoché Abd Al-Hamid attratto dalle influenze occidentali dichiarò un
regime costituzionale130. Per quanto riguarda le attribuzioni gli ottomani preferirono farsi
chiamare sultani, facendo intendere che si era dinanzi ad un capo di stato con un potere
religioso solo accessorio; si arriva cioè al completo assorbimento del religioso da parte del
politico e, paradossalmente, i sultani arrivano a rivendicare un potere spirituale sebbene lo
facessero per questioni politiche, come il mantenimento di una certa autorità sulle province
dell’impero cadute sotto potenze straniere, come la Bosnia o la Tripolitania. Per quel che
riguarda il diritto gli ottomani danno un’adesione ufficiale alla scuola hanafita ma
l’elaborazione del diritto è rallentata considerabilmente ed anzi vi è la ricezione di alcuni
codici occidentali, come il codice penale pressoché identico a quello francese o la firma del
Trattato di Parigi del 1856 che sottomette in pratica l’Islam al diritto pubblico europeo. Per
quanto riguarda l’unità e l’espansione, nel suo apogeo l’impero si espanse dai Balcani fino
all’India ma la grande centralizzazione dell’amministrazione basata sull’organizzazione
militare poneva delle basi fragili al suo mantenimento.

130
Al Sanhùrì, cit., p. 322
40
Cap. II: Teoria dell’Imamato e Velayat e-Faqih

II.1 Le basi dello sciismo

Gli sciiti sono per definizione coloro che sostengono la leadership di Ali ibn Abi Talib -
cugino e genero del Profeta Mohammad - dal momento che è stato nominato direttamente
dal Profeta, conferendogli un'autorità che si tramanda alla sua discendenza. Gli Imam sono
così la più alta prova di Dio (hujjah), il guardiano (wali) della rivelazione; essi difatti sono
le guide131 che iniziano gli adepti e li conducono al senso nascosto (bâtin) delle rivelazioni
profetiche (zhâhir). Così, dunque, se le rivelazioni profetiche contengono qualcosa di
nascosto, qualcosa che il Profeta non aveva missione di rivelare , incombe all’Imam di
insegnare questa gnosi.

Il primo di questi Imam è Alì “l’emiro dei credenti”, cugino del profeta e sposo di Fatima,
sua figlia; è il suo erede spirituale. Il secondo ed il terzo sono figli di Alì e di Fatima. A
partire dal quarto Imam, la linea si sussegue di padre in figlio. Tutti morirono martiri, salvo
l’ultimo, il dodicesimo, che scomparve misteriosamente. La discendenza di questi dodici
Imam si trova attestata in numerose tradizioni o hadith132 . Citiamo per esempio quella in
cui il profeta Maometto in persona dichiara: “Gli Imam che verranno dopo di me saranno
dodici. Il primo è Alî ibn Abî Tâlib; il dodicesimo è quello che fa risuscitare, al-Qa’im, al-
Mahdi, ( letteralmente : “colui che è guidato”, ragion per cui è la guida), per mano sua Dio
farà conquistare l’Oriente e l’Occidente della terra”. Un’altra hadith dice: “Il loro numero
131
“Se l’Imâm non vi ha guidato lui stesso verso queste cose, se non c’è in voi l’attitudine a comprenderle, tutte le
parole che vi si possono rivolgere dall’esterno busseranno invano alle vostre orecchie”, in H.Corbin, Islam Iranien.
Aspects spirituels et philosophiques, éd. Gallimard, Paris, 1971-72, T. I, p. 7.
132
Al-Bujari, Les Traditions islamiques, Maisonneuve, Paris, 1977, vol. I, p. 2
41
è lo stesso di quello dei mesi dell’anno, lo stesso delle sorgenti che fece fluire la verga di
Mosè quando colpì la roccia di Horeb; quello dei capi di Israele”

La secolare divisione con il sunnismo nasce proprio dopo la morte di Mohammad (632
d.C.), dacché una minoranza sosteneva che il Profeta avesse già designato il suo
successore133: Alì, appunto. La prova eclatante e pubblica, per la narrazione sciita, è il
giorno del Ghadir Khum134 quando, ritornando dal “pellegrinaggio d'addio”, il Profeta fece il
suo ultimo discorso davanti a 120.000 persone prima della sua morte proclamando Ali suo
successore: “O Messaggero, comunica quello che è sceso su di te da parte del tuo Signore.
Ché se non lo facessi non assolveresti alla tua missione. Allah ti proteggerà dalla gente.
Invero Allah non guida un popolo di miscredenti”135; dopodiché il Profeta prese per mano
Ali e disse136: “Chiunque mi abbia scelto come sua guida (mawla) 137ora abbia 'Ali come sua
guida”.

L'investitura divina di Ali e della sua famiglia - legittimata in quanto depositaria dei
prerequisiti per il governo politico-religioso138 - conferisce loro il mandato di Allah e
l'autorità sulla comunità musulmana (umma), a tal punto che gli Imam sono essi stessi dotati
dell'infallibilità (isma), dell'impeccabilità e dell'interpretazione massima139, rendendoli i più
adatti a guidare il popolo islamico negli affari politici, sociali, materiali e spirituali. Per
quanto detto, l'imamato si caratterizza per la trasmissione ereditaria 140, di padre in figlio, e
133
Per comprendere l'incertezza che vige su questo tema, Al-Katib riporta delle narrazioni che screditerebbero una
cessione di autorità da parte del Profeta verso Ali, Ahmad Al-Katib, The development of shiite political thought, from
shura to wilayat al faqih, Al-Shura Publishing House For Research And Information, First Edition, pp.8-9
134
Non è comunque la sola “prova”, altri versi e hadiths consultabili in Islamshia.org, alla pagina
http://www.islamshia.org/item/296-limamato.html
135
C V, 67, Sura al-Ma'idah
136
Gruppo Culturale e di Ricerca Islamica della Santa città di Qom, La Tradizione di Ghadir, Manifesta documentazione
della Wilayah la Guida Islamica, Al-Islam, p.4 http://www.al-islam.org/it/la-tradizione-di-ghadir-manifesta-
documentazione-della-wilayah-la-guida-islamica/scenario-di-ghadir
137
Il conflitto tra le dottrine risiede nel significato del termine Mawla: che può essere inteso nell'accezione di
“amicizia”. La tradizione sciita è impegnata nel dimostrare come invece sia più frequente l'utilizzo nell'accezione di
“superiorità”, “merito” o “imamato”, Ivi, pp. 9-13
138
Ahmed Vaezi, Shia Political Thought, Islamic Centre of England, London, 2004 pp. 55-56
139
C IV, 165: “{Abbiamo mandato} degli inviati, nunzi di buone novelle e ammonitori, affinché la gente, dopo di essi,
non avesse più alcuna scusa di fronte a Dio” è la prova della necessità che “all’infuori del poter ricevere l’ispirazione
divina e del possedere una missione profetica, possieda il suo stesso grado di perfezione, affinché possa come lui
custodire il sapere e i precetti della religione islamica e guidare gli uomini sul retto sentiero”, in Ayatollah Mohammad
Hosseyn Tabataba'i, Compendio della Dottrina Islamica, p.61, http://www.al-islam.org/it/compendio-della-dottrina-
islamica-ayatollah-mohammad-hosseyn-tabatabai
140
D'altra parte alcune tradizioni rimarcano fatto che Ali abbia rifiutato la trasmissione per nomina ed abbia optato per
la consultazione (shura), dopo la morte del califfo Othman: “Ebbene, che il giuramento avvenga in moschea, non di
nascosto, ma con l‟approvazione di tutti i Musulmani”, o ancora: “Mi era in odio quel che chiedevate, ma non avete
voluto sentire, e non avete voluto altro che vi comandassi. Ora, io non ho alcun poter senza di voi. Pure avessi le chiavi
42
contiene il diritto alla guida non solo temporale ma anche spirituale di tutto l'Islam 141.
Tuttavia anche all'interno del credo sciita vi sono correnti in base allo status divino
dell'Imam142: gli zayditi limitano la manifestazione di Dio ad un mero diritto di guida, gli
estremisti della dottrina (ghulat)143 sostenevano la discesa di Dio o dello spirito di Dio
dentro persona e perciò la natura divina e profetica dello stesso 'Ali, tanto da esser ritenuti
eretici. Il gruppo dominante attualmente è quello degli sciiti duodecimani - religione
ufficiale in Iran. Il problema per quest'ultimi - e per la teoria dell'imamato, che postula come
la comunità non possa sopravvivere senza un Imam attivo - si presentò quando l'undicesimo
Imam, Al-Askari, morì prematuramente (874 d.C.) e non vi era un suo erede legittimo;
secondo l'escatologia sciita l'Imam Al-Askari aveva un figlio, Muhammad al-Mahdi, che
teneva nascosto dalle grinfie delle autorità sunnite e che scomparse misteriosamente lo
stesso anno della morte del padre per entrare in una fase di occultamento 144 (ghayba) per
tornare come messia e restaurare pace e giustizia alla fine dei tempi. Tutto ciò ha
comportato una sorta di immobilismo e quietismo politico145, visto che l'unica autorità
accettata e giusta è quella dell'Imam Infallibile146, traducendosi nella pratica nella
separazione tra guida temporale ed autorità divina.

II.2 L'inversione di tendenza

della cassa del vostro erario, non potrei prelevarne neppure un dirham senza il vostro consenso”, Al-Tabari, Tarikh,
vol. 3, pp. 450-451, in Hussein Ali Al Sharhany, Cambiamenti nella politica finanziaria dello Stato Islamico sotto il
califfato di 'Ali b. Abi Talib, Università degli Studi di Napoli Federico II, p.70,
http://www.fedoa.unina.it/4076/1/ALSHARHANY_STORIA.pdf
141
Pejman Abdolmohammadi, Un'introduzione al mondo musulmano sciita, Juragentium, 2008,
http://www.juragentium.org/topics/islam/it/iran.htm; per i sunniti è il califfo il successore del Profeta ed il guardiano
della shari'ah, ma non ha status di autorità religiosa per la comunità, possiede solo potere temporale e non è
considerato né infallibile né impeccabile.
142
Monsoor Moaddel, Shi'a Islamic Societies, in Mark Juergensmeyer, The Oxford Handbook of Global Religions., Ed.
New York: Oxford University Press, DOI:10.1093/oxfordhb/9780195137989.003.0044
143
Gli Alauiti in Siria ad esempio ne sono una derivazione, David Pinault, Frattura islamica: alle radici del conflitto tra
sciiti e sunniti, Popoli, 16 maggio 2013,
http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Frattura_islamica_alle_radici_dell_eterno_conflitto_tra_sciiti_e_sunni
ti.aspx
144
In una prima fase, detta di occultamento minore e durata 74 anni, ha impartito comandi a quattro suoi
luogotenenti, dopodiché è iniziata fino ai giorni nostri la fase di occultamento maggiore.
145
Fu il sesto Imam nel 765 d.C., Ja'far al-Sadiq, dopo le infruttuose lotte armate sciite, ad optare per un processo di
depoliticizzazione e per attuare una postura di dissimulazione, la taqiya, verso i sunniti, in Hamid Hosseini Theocracy
Versus Constitutionalism: Is Velayat-e-Faghih. Compatible with Democracy.. King's College, Wilkes-Barre,
Pennsylvania, p. 85
146
Secondo gli sciiti, prima dell'inizio dell'occultamento maggiore l'Imam Mahdi scrive una lettera al suo quarto
"vicario" annunciandogli che con la sua morte non vi sarà più alcun intermediario diretto fra la comunità e l'Imam, ma
gli sciiti dovranno tuttavia seguire in ogni epoca il maggiore fra i teologi e sapienti esistenti per risolvere ogni
questione religiosa e sociale della comunità, in Cesnur, L'Islam sciita e la sua presenza in Italia,
http://www.cesnur.org/religioni_italia/i/islam_13.htm
43
È con i safavidi che le cose mutano: lo sciismo viene istituzionalizzato e la dottrina sciita
arriva a legittimare l'infallibilità del capo dello stato, lo shah, inaugurando una sorta di
cesaropapismo - finché lo stato fu forte - affiancato da un clero che lo legittima 147. Nel
frattempo però quest'ultimo si divise in due fazioni, gli Akhbari, i tradizionalisti, che erano
l'indirizzo prevalente dei duodecimani e che negavano qualsiasi apporto del ragionamento
indipendente (ra'y), e gli Usuli, i razionalisti, che propugnavano un esercizio razionale del
diritto islamico per poter condizionare religiosamente lo stato; gli Usuli erano rappresentati
dal libanese al-Karaki che, grazie al regno di Tamhasp I - che lo elesse “mujtahid
dell'epoca” e quindi promotore dell'ijtihad, lo sforzo razionale interpretativo della legge -
favorì l'instaurazione di una ierocrazia148 sciita in netto contrasto con il quietismo dei
tradizionalisti; il mujtahid divenne il na’ib, il vicario dell'Imam, risolvendo la
contraddizione del mahdismo ed aprendo le porte al concetto di governo del giurista149.

La divisione si protrasse però fino all'inizio del XX secolo; se da un lato vi era ampio
consenso sul negare legittimità al potere sovrano e delegittimare così le potenze straniere, vi
era disaccordo su come attuare le riforme: i costituzionalisti erano guidati dal
costituzionalista Naʾini, dall'ayatollah Sayyed ʿAbd-Allah Behbahani e dall'ayatollah
Sayyed Moḥammad Ṭabaṭabaʾi, che mantennero ciononostante una postura religiosa 150;
difatti pochissimi sostennero una costituzione veramente secolare, optando per una visione
della rule of law come implementazione della Shari'a e delle riforme all'insegna della difesa
dell'Islam151. Nel settembre del 1906 fu varata la legge elettorale che sanciva il diritto di
voto agli iraniani tra i trenta ed i settanta anni in grado di leggere e scrivere, senza
procedimenti penali a loro carico, che possedevano proprietà terriere senza distinzione di
fede, anche se, ad intaccare la presunta laicità del parlamento si assegnò comunque il 20%
dei seggi agli ulama, in quanto promotori della rivoluzione152.

147
Pejman Abdolmohammadi, cit.
148
17Campanini parla di stato“proto-teocratico” in, Massimo Campanini, L'alternativa islamica, Mondadori, Milano-
Torino, 2012, p. 34
149
Said Amir Arjomand, The Shadow of God and the Hidden Imam: Religion, Political Order, and Societal Change in
Shi'Ite Iran from the Beginning to 1890, Center for Middle Eastern Studies, Chicago, 1984, pp. 132-144
150
Monsoor Moaddel, Shi'a Islamic Societies, cit., p.668
151
Abbas Amanat, Constitutional Revolution: Intellectual Background, Encyclopaedia Iranica, Vol. VI, Fasc. 2, pp. 163-
176, http://www.iranicaonline.org/articles/constitutional-revolution-i
152
Farian Sabahi, Storia dell'Iran, Mondadori, Milano, 2006, p.40
44
Nel dicembre 1906 e nell'anno seguente furono emanate dall'assemblea (majles-e melli)
rispettivamente la legge fondamentale (Qanun-e asasi) - ispirata alla Costituzione belga del
1831 - e le leggi supplementari alla Costituzione (motammem-e qanun-e asasi).

Se si stabiliva all'art.7 che “the principles (asas) of masruṭiyat (costituzione) cannot be


suspended”153, all'art.35 balzava agli occhi la natura compromissoria dell'accordo con le
forze religiose: “sovereignty is a trust confided by the people to the person of the king” ma,
per altro canto, si introduceva la formula “as a divine gift” (be-mawhebat-e elahi), con
implicazioni a livello di legittimità ed aderenza alla legge divina.

Tra i più ferventi tradizionalisti vi era invece il mujtahid di Teheran Fazlullah Nuri. Egli era
contro la masruṭa (costituzione), a cui oppose semanticamente masruʿa - della stessa radice
di Šarīʿa - e masruṭa-ye masruʿa, un ordine costituzionale aderente alla Shari'a in cui i
mojtehads, come sola autorità legale, l'avrebbero positivizzata per ampliarne la portata e per
sostituire la consuetudine (urf) nella sfera della legge pubblica. Al momento della redazione
delle leggi supplementari, inoltre, il gruppo di ulama capeggiato da Nuri si oppose al majles,
in quanto, a lor parere, i laici non erano formati nella giurisprudenza e perciò inadeguati per
legiferare in accordo alla legge islamica. Il majles così fu costretto a riaffermare l'impegno
verso l'Islam nella Costituzione, l'ascendenza della legge islamica sulla loro legislazione e
fu costituito un consiglio di cinque mojtehads con autorità di veto sulla legislazione
contraria alla Shari'a. Inoltre si attaccò la precedenza del criterio di uguaglianza sulla legge:
eguali diritti per le minoranze religiose erano in aperta contraddizione ai privilegi legali e
civili dei musulmani e così nel progetto definitivo fu inserito all'art. 8 la limitazione del
principio di preminenza dell'uguaglianza alla “legge statale”(qawanin dawlati) e non più
alla legge, intesa divinamente.

Infine, in un documento separato, il majles fu costretto a dichiarare la masruṭa come:

“the protection of the rights of the people, defining the confines of the sovereign, and
laying down the functions of the agents of the state in a manner that will eliminate
despotism and remove the arbitrary action of the state authorities.... Interference with the
ordinances of the Šarīʿa and the divine laws, which are absolutely irreversible and
irreplaceable, is outside the jurisdiction of the Majles. The sources for [interpretation] of
the divine laws and the ordinances of the Šarīʿa are.... the exalted ʿolamāʾ and the lofty

153
Ibidem
45
mojtaheds”154.

Tuttavia alcuni ulama, come Akund Moḥammad-Kaẓem Ḵorasani, 'Abd-Allah Mazandarani


e Moḥammad-Ḥosayn Tehrani, difesero la Costituzione con una fatwa che dichiarava: “è
una necessita della fede che durante l'occultazione del Signore dei Tempi il governo dei
musulmani debba essere nelle mani dei rappresentanti dei musulmani”155, definendo la
Costituzione come esteraṭ (condizionalismo), enfatizzandone il contrasto con estebdad
(tirannia).

Naʾini argomentò che sebbene fosse impossibile in assenza dell'Imam stabilire equità e
giustizia e sebbene ogni potere politico stabilito debba esser visto come usurpazione della
giusta autorità (welāyat) dell'Imam, è doveroso per gli ulama scegliere il male minore;
secondo lui un regime dispotico usurpa l'autorità di Dio, dell'Imam e del popolo mentre un
governo costituzionale d'altra parte usurpa solo l'autorità dell'Imam e perciò è superiore ad
uno tirannico.

Si può scorgere anche nella dimensione sciita, per quanto detto, un’appropriazione da parte
della dottrina dello stato di necessità.

Come si è potuto notare, la rivoluzione costituzionale iraniana del '900, pur istituendo
istituti tipici delle democrazie costituzionali occidentali, è stata caratterizzata da una forte
impronta duale – cosa riscontrabile anche attualmente – che riflette, oltre al potere della élite
religiosa, l'inversione della tendenza quietista sviluppatasi dopo l'avvento del regno
safavide.

II.3 Khomeini ed il Velayat e-Faqih

Come abbiamo visto, il quietismo politico ha caratterizzato lo sciismo almeno fino all'era
safavide e ciò ha avuto ripercussioni sulla dottrina politica: fino a due secoli fa nella fiqh
non vi erano sezioni separate sul governo (wilayat) visto che i fuqaha sporadicamente
gestivano la cosa pubblica e che la politica interna ed estera era affidata ai regnanti come
prassi (umur-e-urfiyyah). Solo a partire dal movimento costituzionalista (Mashrutah)
summenzionato si amplia il dibattito, con ripercussioni sulla sunnati, l'atteggiamento verso
questioni tradizionali precedenti, sulla mashrutah, il governo costituzionale e sulla
154
Ibidem
155
Ivi, p.42
46
legittimità politica156, uno dei punti focali dell'attuale dibattito. A tal proposito la teoria sciita
si divide in due macro gruppi: chi vede la legittimità come divina e chi pubblica (popolare)
ma combinata con l'osservanza di leggi divine. Tutte e due riconoscono il fatto che
legittimità e autorità assoluta spettino a Dio ed all'Imam infallibile in sua vece; ma durante il
periodo di occultazione il primo gruppo vede l'autorità divina (wilayat-e-ilahi)
completamente affidata ai fuqaha, che sono così vicegerenti di Dio in terra ed i
rappresentanti dell'Imam Mahdi. Il secondo gruppo crede invece che Dio ha fatto l'uomo
padrone del suo destino e perciò può esercitare autorità sulla base della Shari'a; pur non
essendo una fonte indipendente di legittimità, vi è partecipazione popolare nella sfera
pubblica.

È l'Imam Khomeini il primo pensatore ad attualizzare e istituzionalizzare un discorso


organico di governo islamico basato su fiqh ed autorità del faqih, il giurista islamico, che
possedendo la conoscenza sulla legge e sulla giustizia, è in grado di attuare un giusto
governo nell'età dell'occultazione157. Il Profeta ha più volte designato la necessità di un
successore158, perché lui stesso era un esecutore e perché è lo stesso Corano a richiederlo 159
pena il fallimento della missione. E sempre il Profeta, quando ad esempio applicava la
legge penale per i ladri, non legiferava, bensì implementava; “.. to assume responsability for
the affairs for the muslims, and that he did so in conformity with the divine will [..] Know
that is your duty to establish an islamic Government”160:

Politica e religione non possono perciò esser viste staccate l'una dall'altra. Ma un insieme di
leggi non sono sufficienti per tenere una società e Dio ha imposto una specifica forma di
governo da affiancare alla Shari'a, ossia un esecutivo ed un amministrativo, e l'Islam ha
fornito chi detiene il potere esecutivo: il vali-yi amr (colui che detiene autorità)161, un uomo
che deve governare sopra la società musulmana, per necessità, dopo la partenza del Profeta.
Per tutto ciò il governo islamico è costituzionale, nel senso che i governanti sono soggetti a

156
Paul Luft, Colin Turner, Shi'ism, Critical concepts in Islamic studies, Vol. III, Routledge, London, 2008, p. 269
157
Imam Khomeini, Islamic Government, The Institute for Compilation and Publication of Imam Khomeini's Works,
Tehran, p.5, http://www.iranchamber.com/history/rkhomeini/books/velayat_faqeeh.pdf
158
Khomeini si riferisce ad esempio al summenzionato evento di Ghadir.
159
C IV, 67: “O Messenger! Proclaim what has been revealed to you by your Lord, for if you do not, you will not have
fulfilled the mission He has entrusted to you”
160
Imam Khomeini, cit., p.16
161
Khomeini si riferisce a C IV, 59: “O you who believe! Obey God, and obey the Messenger and the holders of
authority from among you”
47
certi insiemi di condizioni nel governare ed amministrare il paese, condizioni stabilite nel
Corano e nella sunna. A tal proposito può essere ben definito come il governo della legge
divina sugli uomini; nessuno ha diritto a legiferare, la sovranità appartiene a Dio 162, la Sua
Legge ha autorità assoluta sugli uomini163, l'obbedienza è data per legge164 e l'opinione
individuale non ha alcun ruolo: lo stesso Profeta era il mero esecutore. Nondimeno, essendo
un governo della Legge, chi è al comando deve avere piena conoscenza di questa e della
giustizia; i fuqaha possono rappresentare perciò il governo della giustizia universale sulla
terra, a cui gli stessi governanti devono sottostare chiedendo ad essi l'aderenza delle leggi
con la Legge165. Il faqih infatti, pur non avendo lo stesse virtù morali dei Nobili Messaggeri
- lo stesso status - ha le stesse funzioni, la stessa autorità e gli stessi poteri di governo del
Profeta e degli Imam.

Il vicariato di Dio di Khomeini, pur cristallizzatosi in un sistema formalmente duale ispirato


anche dalla tradizione della democrazia rappresentativa liberale, trova uno squilibrio
sostanziale che lo fa propendere verso la teorizzazione summenzionata del “governo del
clero” nei pesi e contrappesi stabiliti nella Costituzione; valga per tutti l'art. 4, che sancisce
al vertice della gerarchica delle fonti la legge islamica prevedendo l'applicazione di questo
principio a tutti gli altri articoli e con il Consiglio dei Guardiani posto a farne rispettare
l'applicazione. Ciò spinge a vederne l'accezione assoluta 166 del velayat-e faqih, ossia il
velayat-e motlagh-e faghih, la cui traduzione costituzionale la si può rintracciare
specificatamente negli artt. 5,57 e 107-112 della Costituzione167.

Attualmente, è l'ayatollah Mazdi il principale esponente “assolutista”; secondo lui non c'è
nessuna legge e istituzione terrena che può condizionare il potere del faqih, il quale, come
guardiano del popolo dev'essere autorizzato a prendere decisioni con o senza
l'autorizzazione del popolo168.

162
L'art. 56 Costituzione statuisce: “Dio onnipotente esercita la sovranità assoluta sul mondo e sull’Uomo ..”
163
Imam Khomeini, cit., p.29
164
C. IV, 59 : “..And obey the holders of Authority from among you”
165
Imam Khomeini, cit.,, pp. 32-33
166
Lo stesso Khomeini esortava Khamenei a disporre del potere assoluto del Velayat-e Faqih, Ruhollah Khomeini,
Admonition to Ayatollah Khamenei on the Limits of the Valiye Faqih's Authority and the Course of its Stages, Princeton
University, 6/1/1988, https://www.princeton.edu/irandataportal/laws/supreme-leader/khomeini/
admonitiontokhamenei/
167
Paul Luft, Colin Turner, cit., p. 269
168
Alireza Nader, David E. Thaler, S. R. Bohandy, The Next Suprem Leader: Succession in the Islamic Republic of Iran,
Rand, 2011, p.24, ISBN 978-0-8330-5133-2
48
Le varie visioni, comunque, sostanzialmente accettano l'istituto khomeinista - sono le alte
cariche religiose quietiste nelle città sante, come Al-Sistani, che hanno una visione di
rottura, chiedendo una separazione tra religione e politica169 - seppur con sfumature diverse.

La fazione più innovatrice è senz'altro quella dei riformisti, come lo era Montazeri e come
lo è Kadivar, suo allievo. Per Montazeri170 la legittimità del governo proviene dal contratto
(al-ard wa al-mu'ahidah) tra popolo e pubbliche istituzioni - di rousseauiana memoria - ed è
contrario alla tutela assoluta (al-wilayat al-mutlaga) a favore di quella condizionale (al-
wilayat al-mighayyadah), dove la condizione per governare è l'aderenza alla Costituzione,
pena l'illegittimità. Il velayat-e faqih dovrebbe concentrarsi ad assicurare il carattere
islamico del sistema politico nel complesso più che pervadere l'intero governo 171, con il
faqih posto come supervisore ed il fiqh aperto a scienza e razionalità per assicurare
un'elasticità indispensabile ai problemi di governance del terzo millennio.

II.4 Velayat e-Faqih versus Democrazia

Ciò che è stato implementato negli anni dalle due Guide supreme è un ibrido, un
repubblicanesimo basato sul velayat (jomhouri-ye wila'i) dove gli organi governativi
compiono i loro obblighi sotto la supervisione del leader supremo. Si articola su quattro
principi e su questi nascono contraddizioni con la forma democratica172:

1) Wilayat (tutela). Il pubblico è pensato incapace di prendere decisioni giuste e così le


decisioni spettano alla Guida Suprema; i cittadini non hanno voce nelle nomine e tra i
compiti religiosi vi è quello di obbedire ed aiutare la guida nell'affermarsi. In cambio nella
democrazia tutti hanno gli stessi diritti ed il diritto di influenzare la sfera pubblica, che può
amministrare eleggendo un governo rappresentativo piuttosto che esser visto come
incompetente e degno di vincoli paterni. Dalla ricerca del consenso della Guida Suprema a
quella del popolo.

2) Intiisab (nomina). Per governare attraverso il Profeta occorre nominare persone


qualificate e queste persone saranno nominate dal clero visto che i cittadini non hanno le
169
Ivi, p. 27
170
Mohsen Kadivar, The Dialogue of Kadivar with Ayatollah Montazeri, In the Presence of a Noble Theologian
Ayatollah Montazeri, February 2014, http://en.kadivar.com/in-the-presence-of-a-noble-theologian-ayatollah-
montazeri/
171
Mehran Kamrava, Iran’s Intellectual Revolution, Cambridge University Press, 2008, p. 114
172
Asma Afsaruddin, Islam, the State, and Political Authority, Palgrave Macmillan, 2011, p.213-222
49
competenze per valutare il faqih, questo è responsabile solo davanti a Dio ed è nominato a
vita. Nelle democrazie ogni nomina è limitata da termini specifici. La democrazia è bottom-
up, l'impianto khomeinista top- down.

3) Itlaq (assolutezza). La giurisdizione del leader è uguale a quella del Profeta in termini di
funzioni per tutto ciò che riguarda l'interesse statale; in caso di conflitto fra un suo decreto e
qualsiasi norma sussidiaria infatti prevale il primo, come d'altronde è al di sopra della
costituzione e dei tre rami di governo che controlla. Nelle democrazie vige la separazione
dei poteri tramite una serie di checks and balances, con i governanti che hanno poteri
limitati dalla legge.

4) Fiqahat (giurisdizione). La politica è un ramo della giurisprudenza perciò tutto quello che
riguarda governo e amministrazione è di competenza dei giuristi, gli unici a poter aspirare
alla cosa pubblica. Nelle democrazie la società è basata su principi secolari e la
giurisprudenza religiosa non ha alcun potere e formalmente nessun gruppo è al di sopra di
un altro.

Registrata una sostanziale incompatibilità con il modello democratico, allo stesso modo il
Velayat-e Faqih (e l'Islam), risulta sostanzialmente incompatibile con i principi cardine
della dottrina dei diritti umani173:

1) Se da una parte sono assegnati ineguali diritti per musulmani e non 174, diritti differenti tra
credenti e non, come anche tra non credenti amici (al-kafir al-mu’ahad) ed ostili (al-kafir
al-harbi), la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (UDHR) non permette alcune
discriminazione religiosa;

2) Se da una parte sono riconosciuti ineguali diritti civili, politici, rituali e religiosi alle
donne175, nella UDHR la discriminazione di genere è inammissibile;

3) Se nel Corano e nel fiqh la schiavitù è legittimata, essa è totalmente rifiutata nella UDHR
e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR);

173
Mohsen Kadivar, The Dialogue of Kadivar with Ayatollah Montazeri, cit.
174
Gli artt. 12,13,14 della Costituzione iraniana vanno in tal senso.
175
Gli artt. 20, 21 della Costituzione iraniana vanno in tal senso.
50
4) L'ineguaglianza tra laici e giuristi nella sfera pubblica 176 e l'ineguaglianza tra i fuqaha e
soggetti non emancipati e quindi degni di tutela, confligge con il principio di eguaglianza
sancito nei diritti umani;

5) Il principio dell'apostasia, i codici di punizione e le limitazioni che differenziano tra


musulmani e le Genti del Libro, violano la libertà di pensiero e di religione 177 garantita nel
sistema dei diritti umani.

176
Gli artt. 5,57,107, 109, 100 della Costituzione iraniana vanno in tal senso.
177
Gli artt. 23,24 della Costituzione iraniana assicurano la libertà di pensiero e di religione, incluso il diritto di cambiare
fede, ma l'enfasi posto all'art.4 sul fatto che la Shari'a governi tutte le leggi, ne condiziona una 'corretta' applicazione.
51
Cap. III: Dalla fine del Califfato allo Stato Islamico

Di seguito cercheremo di enumerare i principali tentativi e protagonisti che hanno provato a


riesumare l’istituto califfale; chiaramente non sarà un elenco completo ma darà al lettore la
consapevolezza che lo Stato Islamico da una parte cavalca un sentimento ed in qualche
modo un bisogno che la comunità islamica non ha mai abbandonato del tutto; dall’altra
parte, tutto ciò, non fa dello Stato Islamico l’improvviso paladino della ‘riscossa’ islamica.
Potremmo difatti dire che ogni generazione ha avuto il proprio Stato Islamico.

Nella nostra breve descrizione teniamo a precisare che non è facile far ricadere i vari
tentativi in uno schema ideologico ben preciso e delineato; i protagonisti, soprattutto
politici, che si sono spinti nell’avanzare richieste di difesa e promozione dell’Islam si sono
serviti sì di un’ideologia cardine, ma spesso questa si è ripiegata su stessa in base alle
circostanze ed agli attori coinvolti, divenendo qualcosa d’ altro178.

Considerato uno dei padri fondatori del panislamismo (ukhuwwah Islamiyyah) e del periodo
di rinascimento (Nahda) dell’Islam nel XIX sec., Jamal al-Din al-Afghani – come anche il
suo allievo Muhammad ‘Abduh - intraprese una lotta contro l’imperialismo cercando allo
stesso tempo di riformare l’Islam stesso attraverso un approccio più razionale
nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto. Nel suo tentativo di rinnovamento vi era
l’idea di un Califfato che includesse anche l’orbita sciita senza pregiudizi, operando nella
pratica179 per un’unione tra l’impero ottomano, la Persia ed il regno di Afghanistan prima, e
per lo stabilimento di un Califfato arabo poi; i tentativi fallirono perlopiù per i reciproci
sospetti tra i vari regnanti.

178
Potremmo far l’esempio dello sceriffo della Mecca Husayn Ibn ‘Ali che si adoperò nella rivolta contro gli ottomani
cercando di ottenere un nuovo ‘impero panislamico’ che si sarebbe esteso fino all’Oceano Atlantico; con il passare del
tempo e degli avvenimenti le richieste si limitarono essenzialmente alla Mezzaluna fertile.
179
O. Schumann, JIHAD FOR WHOM? The Radicalization of Religion as a Response to Political Oppression: From Turkish
to Indonesian Islam, Journal of Indonesian Islam,, Vol. 02, N. 02, December 2008, Pp. 247-254
52
Altro studioso fu Rachid Rida, già citato più volte anche in questo scritto, il quale propose
un Califfato territorialmente neutro, posto tra i turchi e gli arabi; necessaria, secondo
l’autore, un’istituzione islamica destinata ad insegnare le scienze moderne in modo da
formare i più capaci candidati al Califfato, come anche lo stabilimento di un procedimento
di elezione chiaro e l’apertura della porta dell’ijtihad, essenziale per ammodernare la Legge
islamica al passo con i tempi180.

Il panislamismo acquistò rinnovato slancio proprio nel periodo successivo la Prima guerra
mondiale, delineandosi come movimento politico e religioso a sostegno della riunificazione
di tutta la umma in un’unica conformazione politica, nella forma di organismo
sovranazionale o di Stato islamico unitario, fondendosi comunque spesso con altre
ideologie, quali panarabismo, anti-imperialismo, anti-sionismo ecc.

Con l’ormai imminente dissoluzione dell’impero ottomano si formò ad esempio, nel 1920,
181
un movimento in sud Asia - Tahrik-i Khilafat – capeggiato ironicamente da Mohandas
Gandhi, un hindu, a cui partecipò anche Sayyid Abul ‘Ala Maududi, il massimo assertore
del fondamentalismo islamico nel subcontinente indiano e padre spirituale per certi versi di
movimenti come quello dei taliban.

Nel 1952 un relativamente sconosciuto teologo e Qadi proveniente dalla porzione giordana
di Gerusalemme, Taqiuddin al-Nabhani, creò Hizb ut-Tahrir, o Partito di Liberazione, con
l’intento di ristabilire il Califfato per proteggere i musulmani e divulgare la parola islamica.
Se questo movimento era ed è considerato al di fuori dell’attività islamica ‘mainstream’, la
cosa non vale allo stesso modo per Sayyid Qutb, uno dei massimi esponenti della
Fratellanza Musulmana, convinto della supremazia dei principi islamici a tal punto da
affermare una perenne jihad offensiva che avrebbe permesso la restaurazione del Califfato,

180
Al-Sanhùrì, cit., pp. 556-557
181
I “khilafatisti” così formularono i punti-base della loro ideologia: 1) Il califfo ottomano è il khalifat-ul-ummah, il capo
spirituale di tutti i musulmani, a cui essi, in qualunque parte del mondo si trovassero, dovevano lealtà. 2) Esiste una
guerra irreconciliabile fra il mondo cristiano (nasraniyyah) ed il mondo islamico (islamiyyah), inseguito alla quale gli
aqayân-i firang (i “signori dell’Occidente”, lett. “dei franchi”) hanno imposto all’Impero Ottomano la sconfitta (turkon
ka almiyyah, la “tragedia dei turchi”). 3) Gli occidentali (firang, i “franchi”), in particolare la Gran Bretagna, sono i
nemici del califfato e tengono prigioniero il califfo a Istanbul. I “klilafatisti” chiedevano che la persona e l’ufficio del
califfo fossero protetti e preservati, in particolare sui luoghi santi della Penisola Arabica, in Qazi Abbasi, Adil
Muhammad, Tahrik-i Khilafat, Lahore, p.12
53
unico istituto che può preservare, sostenere ed espandere l’Islam contro gli attacchi degli
infedeli182.

Nel 1996 invece, un afgano, Mullah Mohammed Omar si proclamava a Kandahar


‘comandante dei credenti’ (amir al-mu’minin), titolo di solito riservato al Califfo183.

Qualche anno prima fu invece Khomeini, in Iran, che invocò il passato glorioso dell’Islam e
puntò sulla umma defraudata dei suoi diritti per creare un impero di Dio. I musulmani erano
obbligati secondo lui a rovesciare il governo oppressivo installato dagli imperialisti e
portare alla luce un governo islamico di giustizia al servizio del popolo 184 . Dopo un’atroce
guerra di otto anni anche il sogno panislamista di Khomeini, però, svanì. Ma i vari
fallimenti nell’arco di questi quasi cento anni non hanno fatto svanire il sogno dell’unità:
“The Islam nation both is, and should be, one”185 .

Anche da un punto di vista più panarabico non sono mancati tentativi di una qualche
unificazione includendo in qualche modo progetti di restaurazione califfale. È sempre la
prima guerra mondiale a dare nuova linfa a questi movimenti, soprattutto dopo l’accordo
segreto ‘Skyes-Picot’. Il panarabismo difatti, servendosi dell’ideologia più favorevole al
momento , ha da sempre messo sotto assedio l’impianto degli stati-nazione denunciandolo
come il risultato dell’imperialismo occidentale e come un’aberrazione temporanea destinata
a scomparire; questa dottrina postula l’esistenza, dietro la facciata di una molteplicità di stati
sovrani, “di una singola nazione legata da una comune lingua, storia e religione ”186 dai
confini che variano a seconda delle circostanze: dalla Mezzaluna Fertile fino all’intera
porzione di mondo che va dal Golfo Persico all’Oceano Atlantico.

All’indomani della prima guerra mondiale vi fu lo sceriffo della Mecca Husayn ibn Ali -
famiglia Hashemita - insieme ai suoi due figli Abdullah e Faysal che insieme prepararono la
‘grande rivolta araba’ tramite un accordo con l’allora console inglese MacMahon, che
avrebbe permesso alla famiglia di ottenere la penisola arabica e la Siria. Nonostante

182
E. Schecter, ‘Memories of Sayyid Qutb: An Interview with John Calvert’, Tel Aviv, Worldpress.org interview, 19 Sept.
2005, www.worldpress.org/Mideast/2150
183
All’indomani dell’invasione americana in Afghanistan, nel 2001, Osama Bin Laden proclamava in un messaggio
video “our nation has been tasting this humiliation and contempt for more than 80 years”, chiaramente alludendo
all’obiettivo califfale.
184
James P. Piscatori, Islam in a World of Nation-States, Cambridge: Cambridge University Press, 1986, p. 113
185
W. Khalidi, "Thinking the Unthinkable: A Sovereign Palestinian State," Foreign Affairs, 1978
186
Ibidem
54
l’impegno assunto e l’aiuto militare dato all’emiro hashemita, l’Inghilterra acconsentì poi,
con l’accordo Sykes-Picot, quindi con la Conferenza di Sèvres (1920) di cedere alla Francia
la Siria, promessa al regno arabo, mentre, nella Penisola Arabica, volgeva le spalle a
Husayn, sostenendo contro di lui ‛Abd al-‛Aziz Ibn Sa‛ud, futuro sovrano saudita.

Fallito questo tentativo il panarabismo si spostò sulle mani di Gamal Abdel Nasser che con
la sua sovversiva campagna anti-occidentale riuscì a far germogliare un’idea panarabica con
l’unione egiziana-siriana del 1958, la Repubblica araba unita, che ben presto però fallì con
la Siria che uscì dall’accordo bilaterale e con la guerra dei sei anni che ruppe
definitivamente il sogno.

Altri tentativi furono poi fatti da Saddam Hussein o da Gheddafi, ma in sostanza il


panarabismo non attecchì; per molti intellettuali questo è dovuto al fatto che la nazione 187
araba è solo un costrutto artificiale mai esistito realmente, di cui si servono di volta in volta
dinastie o personaggi che perseguono interessi regionali, e gli unici fattori ancora condivisi
– religione e lingua – non hanno mai generato un senso di solidarietà forte tra i
musulmani188. Lo stesso Lawrence d’Arabia dichiarò che: “Arab unity is a madman's notion,
for this century or next, probably. English-speaking unity is a fair parallel”189.

In definitiva possiamo affermare che la sola questione palestinese ha veramente mobilitato


un forte sentimento di solidarietà arabo-musulmana, anche se alla fine la questione non ha
fatto che indebolirne la forza, date le pesanti sconfitte militari negli anni.

Ebbene, è su questa scia che si inserisce lo Stato Islamico; dopo essersi impadronito di
porzioni territoriali in Siria ed Iraq uno dei primi atti del neo-Califfo Abu Bakr al-
Baghdadi190 è stato proprio la messa in discussione dell’ordine regionale derivante dagli
accordi del 1916191. Nella visione dello Stato Islamico uno dei peccati maggiori commessi

187
Ci sono anche vari detti del Profeta in tal senso; ad esempio: “Quelli che richiamano per il tribalismo, non sono
nostri compagni; quelli che combattono per il tribalismo, non sono nostri compagni; quelli che muoiono per il
tribalismo, non sono nostri compagni”, in H. Nakata, The deconstruction of Sunnite Theory of Caliphate, CISMOR, p. 72,
http://jairo.nii.ac.jp/0027/00026121/en
188
E. Karsh, Why the Middle East Is So Volatile, Middle East Quarterly, December 2000, pp. 13-22
189
T.E. Lawrence to his Biographers Robert Graves and Liddell Hart, Cassell, 1963, London, p. 101.
190
Da notare il nome
191
ISIS, The End of Sykes-Picot, Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=FWHn96DXRDE
55
dall’impero Ottomano fu proprio l’adozione del nazionalismo e delle ideologie occidentali,
come la democrazia, estranea alla Legge islamica192.

L'IS, di fatto, controlla ormai ampie parti di territorio tra Iraq e Siria, tra cui la città di
Mosul, una delle più importanti dell'Iraq. Negli ultimi mesi le forze di al-Baghdadi hanno
imposto nelle aree sotto il loro controllo una versione estremamente radicale e ristretta del
diritto islamico, avversata dalla stragrande maggioranza della comunità islamica, ma anche
da molteplici esponenti dell’Islam radicale. In nome di questa visione estremista, le
comunità non musulmane sono state prima costrette a pagare tasse di protezione
estremamente elevate e poi allontanate, ricorrendo anche a persecuzioni e massacri
indiscriminati. In concomitanza con la conquista dei territori e l’applicazione delle norme
sopra descritte, lo Stato Islamico si è impegnato a fornire servizi basilari alla cittadinanza,
come la distribuzione di energia, acqua e beni di prima necessità, fino alla stampa di propri
passaporti. Tali misure hanno richiesto capitali significativi provenienti da molteplici fonti .
Dopo l'assalto alla sede della banca irachena a Mosul, ad esempio, il movimento si sarebbe
impossessato di circa 430 milioni di dollari, cui si aggiungono i fondi reperiti tramite
"donatori" esterni, soprattutto privati. Inoltre, ha messo le mani sui traffici illeciti,
organizzato un sistema di racket che genererebbe circa 8 milioni di dollari al mese, e
venderebbe sul mercato nero il petrolio estratto dai pozzi conquistati, generando una rendita
di oltre un milione e mezzo di dollari al giorno193.

Certo, parlare di statualità e di controllo effettivo è ben altro ed al giorno d’oggi essa
concerne anche la personalità legale internazionale; pur non essendo questa la sede adatta a
questo tipo di considerazioni, la Convenzione di Montevideo a tal proposito identifica
quattro criteri distintivi: una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la
capacità di entrare in relazione con altri stati. Per quanto concerne il primo punto, la
popolazione non può seriamente opporsi alla nuova entità senza rischiare effettivamente la

192
J.D. Halevi, What Does an “Islamic Caliphate” in Iraq Mean?, Jcpa, Vol. 14, No. 22 July 1, 2014,
http://jcpa.org/article/initial-implications-declaration-islamic-caliphate-iraq-syria/
193
Ispi, Come si organizza lo Stato Islamico di al-Baghdadi, 28 Agosto 2014
http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/mediterraneo-medio-oriente/come-si-organizza-lo-stato-islamico-di-al-
baghdadi-11035
56
vita; i confini sono labili194 e le relazioni internazionali sono alquanto inesistenti195. È il terzo
punto quello più controverso196; dalla prospettiva del diritto internazionale i requisiti basilari
sono la raccolta di tasse e l’esercizio delle funzioni giudiziarie e da questo punto di vista lo
Stato Islamico è pienamente conforme: si può citare ad esempio la raccolta della jizya verso
i non musulmani o l’esecuzione di centinaia di persone prese a trasgredire i dettami della
Legge islamica; se il governo è però essenzialmente assicurato in città come Raqqa o Mosul,
nel resto del territorio oltre ad uno stato permanente di conflitto vi è un equilibrio che si
regge sulla momentanea quietezza da parte delle tribù locali.

Vi è inoltre un altro criterio che nella prassi internazionale ha grande importanza ed è quello
della legittimità; essa si ottiene generalmente con il riconoscimento da parte di altri stati e
l’entrata ad esempio nel sistema delle Nazioni Unite; il principio soggiacente è spesso
quello dell’autodeterminazione ma, essendo il principio della sovranità statale la pietra
angolare del diritto internazionale, l’abilità di alcuni gruppi regionali ad ottenere
l’autodeterminazione è sovente limitata dal diritto degli stati a preservare la propria integrità
territoriale. Inoltre una secessione di solito è giustificata in caso di discriminazioni, di
retaggi coloniali e più in generale di violazioni di diritti umani; questo non è quindi il caso
in questione e perciò non può essere revocata la sovranità territoriale di Iraq e Siria visto e
considerato che è lo stesso Califfato ad aver acquisito territori attraverso un uso bruto della
forza, vietato dalla Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza.

Dal punto di vista internazionale, perciò, il Califfato ha un deficit soprattutto di legittimità


ed Iran e Siria stanno quindi a ragione usando la forza per difendere la propria integrità
territoriale.

Ritornando più da vicino al diritto islamico, la mancanza di legittimità da parte del neo-
Califfo non migliora, pur con un’opera continua di ‘branding’ da parte di al-Baghdadi per
avvicinare il suo tentativo al Califfato profetico197 (hilafah nabawiyyah): a partire dal

194
A livello di diritto internazionale si potrebbe ricorrere al principio uti possidetis juris, il quale però va contro l’uso
della forza ed è stato applicato soprattutto in ambito di decolonizzazione.
195
Gli stessi gruppi jihadisti non riconoscono lo Stato Islamico: se I salafisti siriani paragonano l’IS ai kharagiti, il gruppo
al-Nusra definisce l’IS ‘ghulat’, ossia estremisti della dottrina, in S. Rosiny, The Caliph’s New Clothes:
The Islamic State in Iraq and Syria, GIGA, nr. 6, 2014, http://www.giga-hamburg.de/en/publication/the-caliph
%E2%80%99s-new-clothes-the-islamic-state-in-iraq-and-syria
196
Y. Shany, A. Cohen, T.Mimran, ISIS: Is the Islamic State Really a State?, IDI, 14 Sep. 2014,
http://en.idi.org.il/analysis/articles/isis-is-the-islamic-state-really-a-state/
57
nome198 personale e dell’organizzazione199 fino alla presunta guerra agli “apostati” ed agli
“ipocriti”200, il tentativo è quello di avvicinarsi simbolicamente ai territori ed alle gesta dei
primi Califfi, in particolare al primo, quello di Abu Bakr; ma senza risultati.

Sono difatti parecchie le condizioni (shurut) che mancano all’IS per ottenere legittimità dal
punto di vista islamico; per un’analisi dettagliata su tale argomento vi è la lunga lettera che
eminenti esponenti201 della comunità musulmana hanno pubblicato on-line202. Già questa
lettera in sé per sé illustra chiaramente la mancanza della condizione cardine, manca il
consenso della comunità e dei dotti particolarmente qualificati ad esprimere la legittimità
dal punto di vista giuridico e religioso. L’idjma ottenuta da al-Baghdadi difatti, è stata a lui
conferita dall’interno del suo gruppo e al massimo può rappresentare qualche centinaia di
migliaia di persone. In secondo luogo il diritto islamico oltre a venir applicato parzialmente
ed in molto del tutto decontestualizzato dalla situazione del mondo contemporaneo 203, è
spesso violato: esso difatti vieta categoricamente di uccidere innocenti e perseguire
minoranze – tra l’altro cristiani e yazidi sono parte della Gente del libro e perciò degne di
protezione -, con l’ulteriore aggravante che un Califfo non può perseguire i propri fratelli
musulmani e dichiararli kafir , ossia miscredenti, infedeli. Vi è perciò delegittimazione sia a
197
“All profess the revival of the caliphate, the regime that was installed by Muhammed's righteous successors, the
caliphs, and has become the iconic model to be emulated by all future generations of Muslims", in Raphael Israeli,
From Arab Spring to Islamic Winter, 2013, Transaction Publishers , p. xiii.
198
Ogni Califfo porta un “nome di guerra”; il suo è Abu Bakr al-Baghdadi al-Husseini al-Qurashi. Questo nome, per
qualunque musulmano educato, è già un programma. Abu Bakr è il nome (più esattamente la kunyah) del primo
califfo, cioè il primo successore di Maometto. Al-Baghdadi evoca il periodo più famoso del califfato islamico, quello
abbasside, che aveva per capitale Baghdad (750-1258). Al-Husseini si riferisce a Hussein, figlio di Ali e Fatima, la figlia
di Maometto, le figure più venerate dall'islam sciita. Infine, al-Qurashi, si riferisce alla tribù di Maometto, originaria di
Quraysh. Inoltre si fa chiamare anche Califfo Ibrahim, quasi a rimarcare una discendenza profetica; a tal proposito
Santillana, riprendendo al-Mawardi, sottolinea come i profeti non hanno eredi in alcun senso, in D. Santillana, cit., p.
344
199
ISIL, Islamic State of Iraq and Levant; questa porzione di territorio è stata la sede del califfato arabo degli Omayyadi
ed è per molti una zona cruciale, il cuore dell’Islam e terra della venuta del ‘redentore’, in in S. Rosiny, cit.;
L’organizzazione estremista ‘Hizb-ut-Tahrir’ lo ha innalzato addirittura a principio di fede, The heart of the abode of
Islam is al-Sham and its covenant is ruling by Islam, Khilafa.com, 5/04/2012,
http://www.khilafah.com/index.php/concepts/islamic-culture/13692-the-heart-of-islam-is-al-sham-and-its-covenant-
is-ruling-by-islam
200
R. Ibrahim, New Islamic Caliphate Declares Jihad on … Muslims, MiddleEastForum, July 18 2014,
http://www.meforum.org/4754/new-islamic-caliphate-declares-jihad-on-muslims
201
Tra i firmatari il Gran Muftì d’Egitto, il decano della Facoltà di Teologia dell’Università Al-Azhar in Egitto, Il Gran
Muftì di Gerusalemme e della Palestina, lo Sheik della Grande Moschea di Tunisi e professori e teologi di università e
istituti dall’Indonesia fino al Marocco; a tal proposito anche S. Mandhai, Muslim leaders reject Baghdadi's caliphate,
AlJazeera, 7 Jul. 2014, http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/07/muslim-leaders-reject-baghdadi-
caliphate-20147744058773906.html
202
http://www.lettertobaghdadi.com/
203
Nella lettera si specifica che il diritto islamico vieta innanzitutto di estrapolare singoli versetti o detti senza guardare
all’interezza della rivelazione; in secondo luogo quando vi è differenza di opinioni su un determinato ambito il diritto
deve essere applicato senza severità, Ivi
58
livello formale che nella politica, e scompare perciò qualsiasi appello anche allo stato di
necessità: oltre al fatto storico che la umma rinuncia ormai al Califfato da ottanta anni, un
Califfato di necessità serve tra le altre cose a ristabilire l’applicazione del diritto islamico ed
a scongiurare pericoli maggiori, condizioni semmai ribaltate da al-Baghdadi.

Per inciso, dichiararsi autonomamente Califfo è proprio una causa di fitna – dissenso, ma
anche guerra civile – in quanto porterebbe automaticamente la maggioranza dei musulmani
che non l’hanno approvato, al di fuori della sua autorità e quindi ribelli.

Infine il diritto islamico e con esso la buona dottrina, pur con il silenzio dei mass media, non
possono ignorare che siamo dinanzi ad una pluralità di Califfati: se quello libico a Derna si è
autonominato avamposto dell’Is nel Nord Africa204, ve ne sono altri che non sono sotto la
diretta ‘autorità’ di al-Baghdadi, ossia quello nigeriano costituito da Boko Haram e quello in
Mali; i jihadisti maliani difatti, pur con l’intervento della missione Onu “Minusma” e con i
negoziati di pace ad Algeri, ancora controllano porzioni di territorio e non desistono dallo
sferrare attacchi terroristici.

204
Huffington Post, Isis Libia, Abu Bakr al Baghdadi nominato capo del Califfato di Derna, 31/10/2014,
http://www.huffingtonpost.it/2014/10/31/isis-libia-al-baghdadi-capo-del-califfato-di-derna_n_6081530.html
59
Cap. IV: Conclusioni

Il Califfato è un costrutto reificato religioso-politico sviluppato dai musulmani delle


generazioni precedenti ispirati dagli ideali di giustizia e che si definivano in termini di
identità religiosa. Allo stesso tempo il Califfato è una fonte di identità per tutti quei
musulmani che continuamente si sforzano di trovare la giusta collocazione per l’Islam ai
giorni d’oggi. I musulmani hanno sperimentato per secoli dei sistemi politici islamici; il
Califfato ne è solo una possibile manifestazione ed il costrutto è spesso più un ideale
limitato ai confini dell’immaginazione. Non v’è un unico, prescritto sistema che fornisce
step-by-step istruzioni sulla governance islamica; i musulmani hanno abbracciato varie
forme di governo nel cercare di mettere in pratica i valori e gli insegnamenti cardine della
loro religione. Se continueranno a far questo, qualsiasi sistema sarà islamico per definizione.
Sebbene alcuni gruppi estremisti desiderino restaurare il Califfato nella sua forma classica,
la storia difficilmente si ripete, dato che le condizioni dell’uomo sono per natura mutevoli.

Tra l’altro, lo stesso istituto califfale era già caduto in disuso e snaturato con l’avvento degli
Ottomani in Egitto nel 1517 – con il vero potere al Shaykh al-Islām - , e rispolverato per
motivi di prestigio e propaganda panislamica; lo stesso modello teorico non è stato fissato
che quattro secoli più tardi la venuta del Profeta, quando il trattato di al-Mawardi nel 1058
venne alla luce. Non è un caso che quando Kemal Ataturk optò per l’abolizione del
Califfato nel 1924, il Qadi di al-Azhar dichiarò che la Turchia era giustificata per
l’abolizione, dato che non vi sono riferimenti e bisogni espliciti nella Legge205.

D’altro canto, come dice Ahmad Karima206, è la stessa storia dell’Islam ad insegnare che
non vi è un Califfo politico affiliato con l’Islam, ma c’è sempre stato un Califfato religioso;

205
V. Liebl, The Caliphate, Middle Eastern Studies, 2009, 45:3, 373-391, DOI:10.1080/00263200902853355
206
La studiosa cita anche il detto:” The caliphate will start out with an approach similar to that of the Prophecy, then it
will turn into an oppressive rule”. In M. Bassiouni, Al-Monitor, Al-Azhar graduates reject ISIS 'caliphate', 3 July 2014,
http://www.al-monitor.com/pulse/politics/2014/07/syria-iraq-isis-caliphate-egypt-azhar-
reaction.html#ixzz3MjUGGbOv
60
inoltre le tensioni ed i conflitti sono sempre state numerose e, per fare un parallelo
contemporaneo, solo quando gli arabi e i musulmani avranno un mercato comune come
l’Unione Europea, una moneta unificata come l’Euro, come anche un’entità unificata
politica e militare, solo allora ci saranno dei vincoli di solidarietà tali da poter far
presuppore un dialogo costruttivo sul Califfato.

È per questo motivo che, chiudendo da dove abbiamo aperto, vorremmo far comprendere
come, l’idea di al-Sanhùrì, seppur datata 1926 è più attuale che mai; nell’idea dello studioso
egiziano vi era difatti la fermezza nel pensare che gli affari pubblici e quindi la forma di
governo, sono retti da regole che variano con il passare del tempo. Non a caso lo stesso
Muhammad non proferì parola riguardo alle leggi civili; è per lo stesso motivo che la
dottrina ha convenuto nel separare Sultanato e Califfato e mostrare che i principi occidentali
costituzionali sono conformi alla Legge islamica.

È così che lo studioso auspicava che il futuro Califfo fosse solo il punto di riferimento
spirituale e lasciasse da parte le questioni politiche e che tutte le organizzazioni musulmane
lo riconoscessero come il punto centrale della fratellanza spirituale islamica, cardine di quei
principi fondamentali e immutabili che hanno portato l’Islam ad esempio di civilizzazione
nell’antichità. L’avanzamento dei tempi inoltre obbliga ad una separazione tra la parte
religiosa e temporale del diritto islamico, un diritto che per troppo tempo è rimasto sotto
l’effetto della chiusura e dell’imitazione e che ha bisogno di un costante ammodernamento
anche per renderlo più accettabile ed applicabile verso i non-musulmani; naturalmente in
maniera maggiore nella sua parte temporale, quella più idonea a far fronte ai cambiamenti
della modernità. Infine, per ciò che riguarda l’unità, come già detto, nella pratica le tensioni
sono state sempre presenti fra i vari paesi e la forma dell’”impero centralizzato” ha mostrato
di non essere la più adatta; è così che lo studioso egiziano preconizzava una sorta di
confederazione di paesi musulmani, tutti con la piena autonomia, ma che tramite degli
organi rappresentativi delle varie entità, decida per il bene collettivo in maniera coordinata
ed egalitaria.

Nella pratica, un Califfo che funga da collante tra le varie nazioni musulmane e che abbia
personalità giuridica internazionale, un ammodernamento del diritto – sempre in
connessione ai principi islamici fondanti ed immutabili - messo in atto da un consiglio a più

61
livelli di dotti ed applicato inizialmente allo statuto personale per poi essere esteso a tutti
campi giuridici, creerebbe allo stesso tempo un processo di coesione interna ai paesi
musulmani e di avvicinamento ai valori occidentali democratici nonché organizzativi
mondiali, - vista l’epoca dei fiorenti regionalismi - che in definitiva porterebbe molto
probabilmente la civiltà islamica ad un’epoca di pace interna ed esterna che le
permetterebbe di porre ulteriori basi per un rinnovato sviluppo.

Se un Califfo dovrà esserci, che sia il perno su cui sviluppare un Islam ispirato alla
fratellanza universale.

62
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66
INDICE

Introduzione p.2

Capitolo I: L’istituto califfale p.4

I.1 Modelli d’investitura p.9


I.2 La procedura d’elezione p. 13
I.3 Funzionamento del califfato p.19
I.4 Esercizio della walaya da parte del Califfo p.22
I.5 I Limiti della walaya del Califfo, p.26
I.6 Fine del califfato p.29
I.7 Le fasi storiche del Califfato p.35
I.7.1 Periodo del Califfato regolare p.36
I.7.2 “I Ben guidati”p.37
I.7.3 Il califfato irregolare p.38

Cap. II: Teoria dell’Imamato e Velayat e-Faqih p.41

II.1 Le basi dello sciismo p.41


II.2 L'inversione di tendenza p.44
II.3 Khomeini ed il Velayat e-Faqih p.47
II.4 Velayat e-Faqih versus Democrazia p.50

Cap. III: Dalla fine del Califfato allo Stato Islamico p.53

Cap. IV: Conclusioni p.61

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