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LE CONDIZIONI DELLE DONNE ISLAMICHE

Come probabilmente sappiamo la civiltà islamica reputa la donna come una cittadina di classe inferiore,
sottomessa alla volontà dell'uomo. In alcuni paesi, come Tunisia e Turchia, non c'è molta discriminazione
infatti dove le donne sono libere di vestire come vogliono e possono fare. In altri paesi il livello di
discriminazione è ben più forte: in Algeria le donne vengono violentate e uccise dai fondamentalisti islamici,
in Afghanistan le donne sono "sepolte" in un burqa, un abito che non lascia nemmeno intravedere gli occhi.

Sharia

La parola sharia in arabo significa sentiero, retta via, e nella religione musulmana indica un insieme di
regole perfette da seguire dedotte dal Corano e dalla sunna.

I contenuti della sharia si dividono in due categorie: la prima parte parla rapporto fra l’uomo e Dio di cui
fanno parte i cosiddetti cinque pilastri dell’Islam, che hanno a che fare con la fede e la preghiera: la
professione della propria fede, la preghiera, l’elemosina, il digiuno nel mese sacro di Ramadan e il
pellegrinaggio alla Mecca, cioè la città in Arabia Saudita in cui si ritiene sia nato Maometto; mentre la
seconda parte parla dei rapporti fra gli uomini.

Fra le varie scuole di pensiero esistono anche divergenze molto più complesse, per esempio su alcuni
crimini che i giuristi musulmani chiamano hudud. Fra questi ci sono anche i rapporti sessuali fuori del
matrimonio, l’adulterio o certi tipi di rapina.

Diversi esperti di studi islamici ricordano che nei cinque secoli in cui l’attuale Istanbul rimase sotto il
dominio dell’Impero Ottomano, la cui Costituzione in alcune parti citava la sharia, soltanto una donna, nel
1680, fu condannata a morte per adulterio e uccisa con la punizione prescritta esplicitamente in un hadith,
cioè la lapidazione.

In molti casi i gruppi radicali si sono semplicemente serviti della dottrina conservatrice per legittimarsi come
promotori dei valori tradizionali: meccanismi simili, anche se in contesti molto diversi, si osservano in
Europa, in cui i partiti politici di estrema destra auspicano spesso la riscoperta delle radici cristiane dei
popoli europei, dove però per cristiane intendono un’interpretazione radicale e retrograda della dottrina
cattolica.

Anche nel caso dei talebani l’applicazione della sharia si è spesso mischiata con altre cose. Nel suo libro sui
talebani, Taliban: Militant Islam, Oil and Fundamentalism in Central Asia, lo storico pakistano Ahmed Rashid
ricorda che per il popolo pashtun, cioè l’etnia di cui fa parte la stragrande maggioranza dei talebani, «i
confini fra le leggi tribali pashtun e la sharia sono sempre stati molto labili». Durante i primi tempi della loro
espansione in altre zone dell’Afghanistan, i talebani erano determinati a imporre un misto di sharia e leggi
tribali pashtun, fatto che «venne interpretato come un tentativo di imporre le leggi pashtun di Kandahar»,
cioè della zona di provenienza di moltissimi talebani, «su tutto il paese»; e non come un tentativo di
imporre la sharia.

Per tutto questo molte dichiarazioni del portavoce dei talebani durante la conferenza stampa di martedì,
tra cui quelle sulla sharia e sui diritti delle donne, sono assai difficili da giudicare, perché la loro
interpretazione può essere molto ampia: citare la sharia non significa necessariamente annunciare
l’imposizione del burqa, o il divieto delle donne di studiare e lavorare, come ha suggerito qualche
commentatore nei giorni scorsi. Il punto sarà capire come i talebani decideranno di applicarla, con che
livello di integralismo, e capire se le aperture mostrate finora siano qualcosa di reale o solo un tentativo
temporaneo di mostrare una faccia più presentabile al mondo, per ottenere legittimità ed evitare
l’isolamento internazionale.

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