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FONDAMENTI ETICI DELLA FINANZA ISLAMICA
*
 
 Antonino Gatto
**
 
1.
 
Introduzione
Da più di trent’anni si sta sviluppando nei paesi di religione islamica un sistema finanziario originale, e supposto come “alternativo” a quello conven-zionale, perché fondato sulla negazione della pratica dell’interesse (
riba
) nel-le transazioni finanziarie e, in aggiunta, sul divieto d’investimento in attività soggette ad eccesso di incertezza ed ambiguità (
ghar 
ā
) ed in quelle che im-plichino ricorso alla speculazione e all’azzardo
 
(
maysir 
). Ciò non significa che il capitale prestato non debba percepire alcuna remunerazione; solo che essa è condizionata, in linea di principio, all’assunzione da parte del prestato-re di parte del rischio dell’attività finanziata. L’Islam, infatti, privilegia le forme di finanziamento “associativo” che prevedano l’equa assunzione di ri-schi e benefici tra prestatore e prenditore, come era pratica corrente ai primi tempi del radicamento della nuova religione. O, al più, consente pratiche di finanziamento fortemente associate ad un
asset 
 tangibile ed identificabile. Si tratta di regole che incuriosiscono e, a prima vista, lasciano perplessi quanti da sempre sono abituati a ragionare secondo la logica consolidata dell’economia “dominante”. Proprio per questo motivo, in un momento in cui si avverte la tendenza ad un sempre più ampio
meticciato
 culturale e intellet-tuale a livello globale e mentre la modernità non sembra più riconducibile al solo polo della cultura occidentale, appare utile e stimolante uno sforzo di conoscenza della esperienza della finanza islamica. Preliminarmente, come indispensabile quadro di riferimento, saranno ri-chiamati le fonti del diritto musulmano, i valori dell’Islam, i principi di un’economia islamica, di cui i fondamentali divieti di
riba
,
ghar 
ā
r,
 
maysir
sono espressione. Segue una presentazione delle tecniche e della evoluzione quantitativo-spaziale della finanza islamica per discuterne, quindi, lo scarto tra ideali e realtà. L’obiettivo del lavoro, in particolare, è quello di mostrare che la finanza islamica non è solo una sintesi di tecniche alternative a quelle convenzionali,
JEL Classification: G2; N2; Z0. Parole chiave: Finanza, Islam; Economia e Religioni.
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 Ringrazio Mazhar Hussain e Cem Eyerci per discussioni e commenti e per l’assistenza prestatami durante una mia visita al
SESRTCIC 
, Statistical, Economic and Social Research and Training Centre for Islamic Countries di Ankara.
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 Università degli Studi di Messina; e-mail:agatto@unime.it.
 
 
50 spesso complicate e molto formali, avulsa dal generale sistema di valori di cui è parte ed espressione, per come, spesso, è rappresentata. Peraltro, è da ritenere che essa, per avere un senso e risultare credibile, dovrebbe rappresen-tare l’”originale” tassello del disegno più complessivo di un’economia anch’essa “alternativa”, secondo lo spirito dei principi dell’ Islam. La realtà, per contro, rimanda l’immagine di un’esperienza certamente inte-ressante e meritevole di attenzione, per le suggestioni etiche e le potenziali attitu-dini alla stabilità che la caratterizzano, ma che ancora non sembra essere pienamen-te conseguente alle premesse che ne hanno determinato e motivato la nascita. Il dubbio è se per qualificare come “islamica” una istituzione sia suffi-ciente il semplice e formale rispetto delle “norme” islamiche, in assenza di una riforma della mentalità e di un cosciente e condiviso orientamento alle finali-tà superiori, in uno scenario spesso fuorviante di ingiustizia e di ipocrisia. Finen-do, così, col duplicare le istituzioni “convenzionali” che si intende superare, me-diante il semplice condimento di una modesta e cosmetica dose di etica islamica e, tuttavia, mantenendo il medesimo orientamento produttivistico e tecnocentri-co. Mancando, nei fatti, di mettere le tecniche al servizio di una prospettiva u-mana di sviluppo economico e sociale diversa da quella del modello conven-zionale e prevalente, per come i suoi primi teorici auspicavano.
2. Le fonti del diritto islamico
L
’Islam
 non è solo una religione. È anche una “civilizzazione”. Secondo la formula delle tre “D”:
 Dîn, Duniya wa Dawla
, (Religione, Mondo, Stato) è insieme, legge, morale, stile di vita, cultura (Balta, 1995, p.41). È, dunque, una concezione integrale della vita e del destino umano; un codice generale di condotta che regola non solo le relazioni tra uomo e Dio ma anche quelle con la natura e tra gli uomini, secondo quanto rivelato nel Corano e nella sunna (Branca, 1995; Halm, 2003). Il Corano, il libro sacro per i Musulmani, è diviso in 114 testi (
sure
), o ca-pitoli, ciascuno formato da un certo numero di versetti (
ayat 
). Si distinguono le
sure
 della Mecca, che riguardano aspetti spirituali e principi di fede e le
sure
 della Medina, (i capitoli rivelati alla Medina durante l’esilio di Maomet-to), che riguardano aspetti attinenti al temporale, ai rapporti umani, all’eco-nomia, alla giustizia sociale alla politica regolando in senso lato l’organiz-zazione della società. Il Corano proclama, tuttavia, solo delle enunciazioni di carattere generale che trovano completamento in altre fonti tra cui la
sunna.
 La
 sunna
, o tradizione del Profeta, è l’insieme di atti e detti (
hadith
) che confermano, spiegano, completano il Corano. È la seconda fonte perché il Profeta è l’esempio da seguire e la norma che ispira il comportamento indivi-
 
 
51 duale e quello sociale. Egli incarna, infatti, i valori ai quali ciascun musulma-no aspira. Vale a dire la forza, intesa come potenza della fede; la generosità, nella sua accezione di carità e di perdono; la serenità, ovvero la capacità di trascendere il mondo terreno. Le due fonti rappresentano la base della giurisprudenza islamica (s
haria
), che è la risultante dell’
ijtihad 
, ovvero della interpretazione continua della dottrina religiosa effettuata dagli “Ulema”(dottori della legge islamica). Quando, infatti, un preciso problema non è contemplato dalle due fonti maggiori è demandata agli Ulema una interpretazione e nella misura in cui si trova un consenso il caso “farà giurisprudenza” (
 fiqh
). La
sharia
comprende due categorie di “leggi”. Quelle che concernano i cinque pilastri (comandamenti) dell’Islam: la testimonianza dell’unicità di Dio, le cinque preghiere quotidiane, il digiuno durante il mese del Ramadan, la tassa islamica di carità (
 zakât)
, il pellegrinaggio alla Mecca. Quelle, poi, relative alle attività politiche, economiche e sociali. È il caso di osservare che se le fonti sono comuni, la loro interpretazione, più o meno rigorista, è soggetta a qualche dissenso. Al riguardo, si ricordano la scuola
malikita
, la scuola
hanafita
, la scuola
hanbalita
, la scuola
Chafi’ita
, dal nome dei grandi giuristi che le hanno ispirate. In ogni caso, però, le diffe-renze non riguardano le credenze e l’essenziale della religione quanto, piutto-sto, le modalità delle pratiche dell’Islam. Nel 1981 nell’ambito della
Organization of the Islamic Conference
 è stata creata la
 Islamic Fiqh Academy
, con sede in Arabia saudita, unanimemente riconosciuta come un’importante autorità nell’interpretazione.
3. “Ideologia” e valori dell’Islam
Le fonti del diritto islamico, il Corano e la
sunna
 in particolare, determi-nano, quindi, la cornice di valori, norme, leggi che “modellano” le istituzioni a cui sono tenuti a conformarsi i singoli musulmani. Presupposto e fonda-mento è la Professione di Fede col riconoscimento della “Unicità” e “Unità” del Creatore e della Verità del profeta Muhammad, da cui consegue l’accet-tazione, in conformità ai precetti della
sharia
, di un agire umano sinergico rispetto ad una prospettiva (una speranza) di ricompensa futura (ultraterrena), secondo principi di uguaglianza tra gli uomini, di solidarietà, di giustizia ed equità, di fiducia, di armonia, di equilibrio, di responsabilità, nell’obiettivo della cooperazione alla “costruzione” di quella che può essere considerata una strategia di sviluppo “umano-centrica”, capace di promuovere la giustizia economico-sociale ed il benessere di tutte le “creature” di Dio: un riconosci-mento che non può restare atto formale ma che richiede, quindi, una attiva “risposta”.

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