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CONFUTAZIONE DELL'ISLAMISMO

RADICALE
ABDULLAH GIAMPIERO
FILANGIERI

CONFUTAZIONE
DELL'ISLAMISMO
RADICALE
Premessa dell'autore

È inutile negare che il Corano è stato interpretato


male e anche fin troppo liberamente. Mi rendo conto
però che anche il mio Confutazione dell’islamismo
radicale – senza che vi sia un paragone con il
Corano - può venir interpretato scorrettamente
come ogni altro libro. Nel tentativo di scongiurare
questa ipotesi espongo una delucidazione su quale
sia l’obiettivo di questo libro e su quale sia la sua
corretta interpretazione.
Ci tengo subito a precisare che gli argomenti
trattati in questo libro non hanno a che fare con la
tesi dello scontro di civiltà formulata da Bernard
Lewis.
In questo libro ho esposto la mia tesi secondo la
quale l’islamismo radicale è un errore non solo dal
punto di vista umano ma anche da quello teorico. Il
mio tentativo è quello di confutare la convinzione fin
troppo ribadita secondo la quale l’Islam sarebbe un
sistema completo e integrale, da tradursi
5
pienamente nella vita politica, economica e sociale.
Questo libro mette in luce, inoltre, i vari errori
commessi da Paesi e partiti islamisti nella loro
condotta di governo, quando hanno avuto
l’opportunità di esercitarla; ho fatto ciò al fine di
dimostrare che l’islamismo radicale sia un completo
fallimento anche come ideologia politica.
Lo sviluppo del libro è storico e tematico a un
tempo: si tratta di ripercorrere la Storia del
pensiero islamico al fine di permettere al lettore di
comprendere meglio come, e per quali cause, la
parte più conservatrice del mondo islamico sia
giunta alla deriva islamista. Le idee di alcuni dei
principali teorici del radicalismo islamico sono, in
più, messe a confronto con le fonti sacre dell’Islam,
per rendere evidente al lettore la dissimmetria
strutturale e contenutistica tra quelle idee e le fonti
alle quali pretendono di ispirarsi.
Quest'opera propone, come via d’uscita
dall’Islam politico, da un lato il mancato
raggiungimento dei suoi obiettivi e, dall’altro, il
ritorno a un Islam più rispettoso delle sue fonti
sacre e dei suoi valori umani - senza nessun bisogno
di propugnare nuove utopie-. Tutto ciò
permetterebbe anche di fare chiarezza su un tema
ancora poco dibattuto: cosa sia da considerare
Islam e che cosa Islamismo.

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Alla luce di tutto questo, l’obiettivo del mio
libro è far emergere un rispetto delle Fonti sacre
dell’Islam più interiore che collettivo, con ciò
intendendo dire che il miglior credente è colui che
crede per se stesso.

Abdullah G. Filangieri

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PRIMA PARTE

NASCITA E SVILUPPO
DELLE DEVIAZIONI
RELIGIOSE DELL'ISLAM

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1. La grande frattura

La scandalosa escalation di violenza dei movimenti


terroristici di matrice islamista, ISIS in primis, non è
frutto di una improvvisa ipnosi collettiva. La
tensione che ha prodotto l'attacco terroristico alle
Twin Towers e al Pentagono del 2001 era nell'aria
già da tempo. Esistono luoghi, nel mondo arabo, nei
quali si ha la sensazione che la violenza si respiri
con l'aria. Perché? È forse giusto coinvolgere civili,
tra donne, bambini, i musulmani stessi e chiunque si
incontri sul proprio cammino, facendone vittime
delle manifestazioni violente di una lotta armata? Gli
islamisti direbbero che l'uccisione di innocenti in
attentati e altre azioni terroristiche sia “possibile”,
ma la risposta a questo interrogativo è un
grandissimo no: tutto ciò non deve più accadere, e
basta.
Il Medio Oriente, in ogni caso, non è impazzito
di colpo: il radicalismo islamista è frutto di una
degenerazione intellettuale lenta ma irrefrenabile,
fatta di secoli di rancori, dissidi interni, lotte di

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potere intestine, interessi economici privati e
collettivi ma non solo: a tutto ciò si è aggiunto, negli
ultimi due secoli, un fenomeno di revisionismo
religioso culminato nella comparsa, negli Anni Venti
del XX, dell'islamismo radicale. Se ci si vuole tenere
alla larga dal fenomeno del radicalismo più violento,
bisogna dunque risalire all'origine del problema.
I media occidentali si accorsero molto
tardivamente dell'integralismo o fondamentalismo
islamico – quello che oggi viene più di frequente
chiamato “islamismo” o “radicalismo”. L'evento che
lo ha portato alla loro attenzione è stata la
Rivoluzione Iraniana del 1979, nonostante il suo
germe si nascondesse e moltiplicasse in seno
all'Islam da molto più tempo, con le premesse di un
integralismo a metà tra religione e idee politiche di
varia fonte e ispirazione.
Il dissidio più importante, la vera querelle che
ha dato origine a tutto ciò ruota attorno alle seguenti
affermazioni, a tutt'oggi ribadite caparbiamente da
tutti i sostenitori dell'islam politico: l'Islam altro non
sarebbe che un “sistema completo e integrale”,
“religione e Stato, Libro e spada e sistema di vita”.
Questo libro, frutto di anni di meditazione, si occupa
di trovare e di esporre la dimostrazione del contrario.
È indispensabile: non si può pensare di opporsi al
massacro perpetrato dal radicalismo se,

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contemporaneamente, si condividono le idee e i
“principî” ai quali si ispira.
Non mi riferisco certo a ciò che dice il Corano:
anche se il radicalismo sostiene di essere la più
autentica espressione del suo messaggio, non c'è
nulla di più falso di questa affermazione. In realtà il
Corano non è affatto la fonte autentica dei pensieri e
delle idee degli islamisti. Basterebbe metterli a
confronto l'uno con gli altri: le tematiche essenziali e
i contenuti ideo-logici dell'Islamismo radicale non
riflettono il messaggio del Corano e le sue verità
fondamentali, tutt'altro. Bisogna cominciare
affermando che la dissimmetria tra il Corano e
l'Islam politico è contenutistica e strutturale.
C'è da chiedersi, dapprincipio, se l'Islam sia
davvero un sistema completo e integrale, se la sua
parte normativa si possa estendere ad ogni aspetto
della vita anche facendo ricorso al ragionamento
analogico (ijtihâd) dei dottori del diritto e quanto,
del Corano e delle Tradizioni orali attribuite a
Maometto* venga effettivamente rispettato dai
musulmani più estremisti.
L'invasione napoleonica dell'Egitto è il
momento storico al quale si fa risalire l'inizio del
Riformismo islamico, un movimento culturale
musulmano ispiratosi, forse, alla Riforma Prote-
stante. L'Egitto svolgeva un ruolo fondamentale

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nell'integrità territoriale del mondo islamico e la sua
perdita venne interpretata dagli Arabi come fosse
stata la sconfitta stessa dell'Islam: ciò determinò
quindi un cambiamento di rotta del mondo islamico,
persuaso com'era che la missione di Maometto*
fosse fallita. Si cominciò a mettere mano
all'interpretazione del Corano e, nel giro di
cinquant'anni, l'aspetto stesso del mondo islamico
era cambiato da ogni profilo.
Una conoscenza più approfondita della Storia
dell'Islam suggerisce che in realtà la spedizione di
Bonaparte in Egitto, del Riformismo è stata solo
l'evento scatenante: la perdita del rispetto dei valori
e delle fonti sacre dell'Islam da par-te dei musulmani
si stava già preparando da tempo. Quando spiegano
la Storia, gli stessi orientalisti specificano, in un
secondo momento, che far risalire all'invasione
napoleonica (1798 ca.) l'inizio del movimento
culturale arabo conosciuto come “Rinascita” è
soltanto un postulato stabilito per convenzione. Già
questo movimento culturale, letterario e pseudo-
religioso, meglio conosciuto come “Nahda”, di
stampo laico e riformista, fece sì che il cammino
dell'Islam cambiasse direzione. Il fallimento del
riformismo portò, per reazione, alla nascita del
Radicalismo islamico all'inizio del XX secolo, con la
perdita dei valori umani più basilari.

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Gli Arabi, però, non erano affatto tornati
all'Islam: Olivier Carré ha riassunto così il concetto
di radicalismo islamico:

L'islam politico attivista di oggi, che chiamia-


mo spesso islamismo o integralismo, consiste in
una ribellione – insurrezionale o meno – contro un
potere dichiarato «empio e rinnegato». L'obiettivo
consiste in una fraternizzazione di tutte le classi in
vista di una giustizia sociale islamica, attraverso
un'organizzazione sociale islamizzata con l'aiuto
del diritto musulmano originale, nonché in totale
indipendenza dalle potenze «empie». Sunniti o
sciiti, l'ispirazione e i programmi sono simili, così
come la forza di mobilitazione. Essi attirano
soprattutto le persone deluse dai regimi autoritari
di sviluppo economico accelerato come il modello
turco kemalista e il modello iraniano dei due scià
pehlevì […].
Dalla preparazione di un'avanguardia
islamica... fedele alla «sovranità politica esclusiva
di Dio» degli anni '60 e '70, si passa
all'insurrezione violenta immediata contro poteri
rinnegati e all'instaurazione integrale della legge
penale letterale «coranica» da parte dei cosiddetti
stati rivoluzionari islamici degli anni '70 e '80. I
gruppi più estremisti riprendono le ideologie
primitive dei gruppi violenti, se non terroristi, dei
movimenti considerati dalla Tradizione come
eretici: kharigiti agli inizi, al tempo stesso

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antisunniti e antisciiti, ismailiti nelle forme radicali
più tarde... Essi proclamano la guerra (jihad)
contro gli stessi musulmani, dichiarati
collettivamente rinnegati, quindi passibili di pena
capitale senza processo1.

In realtà, dunque, l'Islamismo radicale è un


Islam militante molto diverso e di molto posteriore a
quello predicato da Maometto* (o, per meglio dire,
Muhammad*, secondo l'uso musulmano). Si dibatte
ancora poco in merito alle origini dell'Islamismo: è
un fenomeno, questo del radicalismo islamico,
scaturito dalle pericolose innovazioni e riforme che
l'Islam ha subito negli ultimi secoli del suo
involutivo percorso storico e culturale. Tutto ciò può
essere spiegato nei termini suesposti, ed è da qui che
bisogna cominciare se si vuole fare chiarezza e
comprendere perché bisogna che il massacro non si
ripeta.

1 Olivier Carré, L'Islam laico. La Grande tradizione islamica è


oscurata dal radicalismo contemporaneo... Bologna, Il Mulino,
1997, pp. 39-40.

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2. La legge religiosa dell'Islam: periodo
docente e periodo formativo

La presente dissertazione sarebbe incompleta se non


contenesse un capitolo dedicato a un punto caldo del
dibattito sul radicalismo: la legge religiosa a cui
pretende di ispirare la propria, rivista e reinterpretata
e divenuta, oggigiorno, un mezzo brutale per mettere
le masse in stato di soggezione. Si tratta di confutare
anche la convinzione, fin troppo ingiustamente
consolidata, secondo la quale la sharî῾ah non
sarebbe niente di più che un codice di leggi beduine
formato dalla somma tra la legge del taglione e il
concetto di welfare-state.
Il senso del divino e dell'umano trovarono la
loro massima espressione nell'Islam: il suo
messaggio è chiaro e intelligibile:

«Non invidiatevi a vicenda, non rincarate i


prezzi, non odiatevi a vicenda, non voltatevi le
spalle, che nessuno di voi faccia acquisti sugli
acquisti di altri! Siate, o servi di Allah, fratelli. Il

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musulmano è del musulmano fratello: non lo tratta
ingiustamente, non lo abbandona, non lo inganna e
non lo disprezza. Il devoto timore di Allah risiede
qui – e si indicò il petto per tre volte -. È male per
un uomo disprezzare il suo fratello musulmano.
Tutto il musulmano è inviolabile al musulmano: la
sua vita, i suoi beni e il suo buon nome»2.

Accomunati dalla fede in un unico Dio* privo di


eguali, questi erano Maometto* (570-632 ca.) e i
primi musulmani.
Come mostra questo esempio, la legge islamica
(sharîʿah) in origin e n on era un corpus di leggi
esteso a tutti gli aspetti della vita pubblica, come lo
sono il codice civile o quello penale nel diritto
positivo. Era, piuttosto, un modo di riunire ed
esporre le indicazioni e i precetti ricavati dal Corano
e dalle Tradizioni orali (Sunna).
Nel corso del Pellegrinaggio dell'Addio,
Maometto* (Muhammad*) lasciò alla sua Comunità
le sue ultime raccomandazioni, sempre più disattese
nel corso del tempo:

«Vi raccomando il devoto timore di Allah, il


Potente, l'Eccelso, e di ascoltare e obbedire anche
se sarete sotto il comando di uno schiavo. Chi di
voi vivrà vedrà tante spaccature. A voi incombe il
2 Hadith trasmesso da Muslim. Cfr. Yahya An-Nawâwî, Arbaʿûna
Ahâdîth, tradizione orale n. 35.

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dovere di seguire il mio esempio e quello dei
Califfi Ben Diretti... guardatevi dalle cose nuove,
ché in verità ogni cosa nuova è innovazione, ogni
innovazione è traviamento e tutto il traviamento
conduce al Fuoco»3.

Questo suo discorso d'addio lancia due profezie:


la prima ad avverarsi sarà la venuta dei primi quattro
califfi (632 - 661 d.C.), che lui stesso chiama con
l'appellativo di “Ben Diretti” o “Ben Guidati”
(râshidûn), ai quali si contrapporranno, nei secoli,
molti capi si Stato iniqui e perfino qualche sedicente
califfo; l'altra (“chi di voi vivrà vedrà tante
spaccature”) annuncia l'evento scismatico, quello
che dividerà i musulmani in Sciiti e Sunniti e che
sopraggiungerà dopo soli 24 anni dalla morte del
Profeta dell'Islam*. Come è noto, il fattore
scatenante dello Scisma d'Oriente fu il sostegno e la
nomina di Ali (656-661) a quarto califfo.
Spodestando il predecessore ῾Othmân, la setta sciita
aveva come elemento caratteristico il suo suffragio,
che forniva specificamente alla sola famiglia e
discendenza del Profeta* per parte di Ali* e Fatima*
– figlia del primo e sposa del secondo -. Come
qualcuno ha giustamente osservato, non si può non
3 Tradizione orale (hadîth) trasmessa da Abû Dâwûd, e così da
At-Tirmidhî, che lo ha classificato tra i detti buoni e autentici.
Cfr. Yahya An-Nawâwî, Op. cit., tradizione orale n. 28.

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considerare l'eccezionalità di questa frattura, se
confrontata con quella che aveva, in precedenza,
diviso il Cristianesimo dopo ben quattro secoli dalla
predicazione di Gesù*. Gli storici fanno risalire al
Concilio di Calcedonia (451 d.C.) lo Scisma che
divise le Chiese d'Oriente da quella Di Roma e
Costantinopoli. La battaglia di Karbala, nella quale
Hussein*, figlio di Ali* e nipote di Maometto* verrà
ucciso in modo brutale dalle milizie Omayyadi,
determinerà la frattura definitiva tra Sciiti e Sunniti.
La necessità di trasmettere all'Umanità una
legge nata con l'intento di garantire la pace, la
giustizia e l'armonia venne testimoniata dalle parole
stesse del Profeta*, che disse, secondo Ibn ̒Abbâs:

«Se alla gente venisse dato secondo le proprie


pretese, certo molti tra gli Uomini reclamerebbero
i beni e le vite altrui»4.

La legge islamica del periodo docente dell'Islam,


che si riferisce alla predicazione di Muhammad*
rimase intatta fino alla sua morte (632 d.C.). Una
volta persa la fonte vivente* delle informazioni
sull'Islam, rimasero solo le fonti scritturali, dalle

4 Hadith trasmesso da Al-Bayhaqî e da altri trasmettitori. Una


versione parziale di questo detto attribuito al Profeta* è
racchiusa nei due Sahih di Al-Bukhârî e Muslim. Cfr. Yahya
An-Nawâwî, Op. cit., hadith n. 33.

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quali si dovette desumere tutto ciò che riguarda la
religione da lui* predicata. Diversamente da quanto
favoleggiano in molti, la trasmissione orale del
Corano durò soltanto due anni, ovverosia il tempo di
raccogliere in un volume tutto il suo contenuto nel
giusto ordine e nella sua corretta configurazione. La
commissione editoriale istituita dal terzo califfo,
῾Othmân Ibn ῾Affân, convertito all'Islam della prima
ora, si occupò di fissarne le sette letture tramandate
da Muhammad* e di eliminare le collezioni
coraniche diverse dall'originale.
Le Tradizioni orali (Sunna) attribuite al Profeta*
e ai suoi Compagni5* sono racchiuse in raccolte
ampie e dettagliate, chiara conseguenza dell'assidui-
tà con la quale essi* lo interpellavano, bramosi di
ricevere da lui insegnamenti e consigli da interio-
rizzare e applicare. Nell'epoca attuale dell'islamismo
radicale, l'Islam è stato però precipitosamente inteso
come fosse un'ideologia politica, da effettuarsi
compiutamente in ogni aspetto della vita pubblica e
privata. Ma lungi dall'essere un fenomeno che
scaturisca dalle fonti sacre dell'Islam, l'integralismo
è invece una concezione di natura trasversale,
comune alle frange estreme di molte religioni e di
5 Ovverosia i primi discepoli di Muhammad*. Sono conosciuti
col nome di “Compagni” quelli di loro che vissero all'epoca sua
e coll'aggettivo di “Seguenti” i discepoli della seconda e terza
generazione, che non lo videro in vita.

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numerose ideologie politiche. Non è, dunque,
peculiarità di un Islam originario al quale non
appartiene.
Le Tradizioni orali (Sunna) vengono così
tramandate oralmente fino alla terza generazione dei
Pii Predecessori. Essi, timorosi che queste vadano
perdute, le mettono per iscritto. Si calcola infatti che
un'opera letteraria tramandata oralmente rimanga
nella memoria collettiva per non più di due secoli, il
che rendeva indispensabile metterle nero su bianco
per garantirne la conservazione. Compaiono le prime
raccolte di detti e discorsi risalenti al Profeta* e ai
suoi Compagni, la cui prima in assoluto è il
Muwatta᾿ di Mâlik Ibn Anas (711-795 d.C.).
Le fonti sacre dell'Islam sono due: «il Libro e la
Sapienza», come lo stesso Corano enuncia in
LXII:2. Se il «Libro» è il Corano, la «Sapienza» è
indubitabilmente il complesso delle Tradizioni orali
risalenti al Profeta Muhammad*, proprio perché non
si conosce l'esistenza di altre fonti sacre dell'Islam,
se si fa eccezione per i testi sacri che li hanno
preceduti e che hanno perso il carattere di fonte una
volta sostituiti da queste due finali, eterne e
immutabili. Se è pur vero che il Corano è il libro che
conferma ciò che è stato rivelato in precedenza, è
altrettanto irrefutabile che i testi biblici – di
qualunque origine siano -, i Vangeli apocrifi, i Rotoli

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di Qumran ecc. - che altro non sono che varianti dei
Libri rivelati anteriormente al Corano - apparten-
gano a un ambito diverso da quello dei Testi sacri
ora in vigore nell'Islam.
La raccolta di detti e discorsi attribuiti a
Muhammad* prosegue, simultaneamente all'esame
di autenticità che ne viene fatto da parte degli stessi
studiosi della Tradizione orale (muhaddithûn). Lo
strumento di cui essi si servono per distinguere le
tradizioni orali autentiche dalla gran mole di detti e
discorsi messi in bocca al Profeta dell'Islam* è la
catena di trasmettitori (isnâd). Non si esclude, in
ogni caso, che alcune di quelle frettolosamente
etichettate come autentiche possano essere oggetto
di una certa critica testuale. Ciò non è comunque
ammesso nel caso del Corano, che i musulmani
sanno essere arrivato a loro nella sua corretta
configurazione. Nel Corano l'errore non può mai
trovare varco, e su questo tutti i musulmani sono
categorici. Il fatto che il Corano contenga miti e
leggende di varia provenienza ai più sembra
scontato, ma la provenienza umana delle versioni
coraniche di quei racconti viene ragionevolmente
esclusa. La storia coranica del profeta Giuseppe*,
che sostanzialmente si discosta di poco dal resoconto
biblico, o quella dei Sette dormienti di Efeso narrata
in Corano XVIII: 9-22, sono state considerate «fonti

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del Corano» dall'orientalistica non musulmana;
tuttavia è la Divinità*, in quanto onnisciente, a
fornire la versione corretta e infallibile di questi
aneddoti. Nell'Islam è sconosciuta la convinzione
che il Corano possegga delle “fonti”, dacché l'unica
sua Fonte è il suo Autore Onnisciente*, che sovrasta
miti e leggende. Questa convinzione, che dal primo
momento ha assunto valore dogmatico, trova
consenso unanime anche a livello comunitario
(ijmâ῾ ) e presso ogni musulmano che si rispetti.
Cominciò dunque, attorno all'VIII sec., il perio-
do formativo della nuova fede. Contemporanea-
mente all'esame e alla verifica dei detti profetici si
svilupparono le prime scuole di diritto. Nell'Islam
sunnita, l'ortodossia religiosa venne determinata
dagli ulema (i massimi studiosi dell'Islam) a seguito
di un notevolissimo sforzo intellettuale che troverà
la sua più grande espressione tra l'VIII e il IX sec. (il
II e il III del calendario lunare islamico). Lungi
dall'aver trovato risposte definitive e del tutto
condivisibili ai quesiti dottrinali, gli ulema dei primi
secoli si espressero efficacemente nel diritto (fiqh).
L'intesa (ijmâ῾) venne da essi raggiunta per mezzo
dello scambio di epistole, lettere in cui enunciavano
i propri pareri e che si scambiavano a vicenda, in un
botta e risposta in cui accettavano, riformulavano o
confutavano vicendevolmente tutto ciò che veniva

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da loro prodotto. Ci vollero tre secoli affinché questa
logica della dialettica e del confronto si concludesse
con la codificazione definitiva della legge religiosa:
intorno al 960 d.C., vennero chiuse le porte al
ragionamento analogico (ijtihâd): da quel momento
in avanti, non era più lecito formulare nuove
disposizioni in materia di diritto islamico.
Indubitabilmente ci si sarà domandati a cosa
corrispondano i concetti, cari al diritto islamico, di
consenso comunitario e di ragionamento analogico
succitati. Il consenso comunitario (ijmâ῾ ) altro non è
che il raggiungimento di un'intesa, di carattere
unanime oppure maggioritario (nel qual caso si parla
tecnicamente di “forte consenso”). La fonte sacra
che confermerebbe la validità di questo criterio di
giudizio dei pareri espressi dai dotti (ulema) è la
stessa Tradizione orale (o Sunna): un celebre hadith
risalente al Profeta* enuncerebbe questo principio
per mezzo dell'espressione mnemonica “La mia
Comunità non si radunerà mai attorno a un errore”.
Nonostante l'evidenza che, nell'Islam, le principali
eterodossie (ash῾arismo, modernismo, radicalismo e
riformismo in genere) abbiano raggiunto vastissimo
consenso nel corso dei secoli, è ancora possibile
credere che la tradizione orale succitata sia da
intendere nei seguenti termini: è la Comunità
musulmana autentica, sincera a non essersi mai

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fuorviata e non la generalità dei musulmani.
L'ijmâ῾ o Intesa comunitaria è la terza fonte del
diritto islamico tradizionale, dietro al Corano (la
prima in assoluto) e la Tradizione orale o Sunna
(considerata la seconda, ma equiparata al Corano
dalla scuola di diritto sciafeita).
Al quarto posto vi è il ragionamento analogico
(ijtihâd o qiyâs), criterio in base al quale la liceità o
illiceità di un'azione si estende, per analogia, ad altre
simili: il divieto di giocare a dadi puntando del
denaro o di utilizzare frecce divinatorie si estende a
tutto il gioco d'azzardo; quello di consumare vino
vale per tutte le bevande inebrianti e per le altre
sostanze psicoattive.
Tali sono le fonti del diritto musulmano,
individuate dall'imam Ash-Shâfi῾i (767-820),
fondatore della scuola di diritto sciafeita,
considerato da molti il più grande giurista del Medio
Evo. Esse hanno carattere generale e sono
riconosciute da quasi tutti i giuristi. Altri principi del
diritto musulmano sono le cosiddette fonti
secondarie, ovverosia il pensiero logico del giurista
(istihsân), caro alla scuola hanafita e la maslaha,
fondamento riconosciuto solo da quella malikita, in
base al quale una particolare norma può essere
disattesa se la sua applicazione è causa di danno alla
Comunità musulmana. Le fonti secondarie del diritto

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islamico non hanno carattere generale e sono valide
solo per le scuole di diritto di riferimento che le
hanno istituite.
Nello sciismo, l'interpretazione della legge sacra
è fissata e determinata dal magister dixit di un certo
numero di «imam» discendenti di Ali. Poiché il loro
insegnamento è considerato infallibile, il problema
non si pone: quello che il sunnismo denominerebbe
taqlîd o accettazione passiva, in ambiente sciita è il
taʿlîm (insegnamento) e non si discute.
Nell'Islam sunnita, le scuole giuridiche
(madhahib) riconosciute e sopravvissute fino ad
oggi sono, in ordine cronologico di apparizione:
1) quella che prende il nome dall'Imam Abû
Hanîfa An-Nu῾mân (699-767 d.C.) , e perciò
denominata hanafita: è quella maggioritaria per
numero di seguaci nel mondo. Lascia molto spazio
all'opinione del giurista sulle questioni non chiarite
dai Testi di riferimento; nelle questioni più
dettagliate, in mancanza di chiarificazioni contenute
in modo esplicito in versetti coranici o in Tradizioni
orali, le delucidazioni in materia scaturiscono dal
pensiero logico del dotto (istihsân);
2) la scuola malikita, che prende il nome dal già
citato imam di Medina Mâlik Ibn Anas (711-795):
secondo il suo insegnamento, una particolare norma
può essere disattesa se la sua applicazione è causa di

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danno alla Comunità musulmana (maslaha).
3) quella sciafeita, che prende il nome dall'imam
Ash-Shâfi῾i (767-820), giurista di immensa erudi-
zione, che ha gettato le basi e i principî di tutto il
diritto musulmano sunnita. Molto deriva da questa
scuola di diritto a livello dottrinale. Le Tradizioni
orali (Sunna) risalenti al Profeta Muhammad* sono
considerate rivelate e infallibili come il Corano,
secondo l'affermazione, ricorrente nel Corano: «Oh
voi che avete creduto, obbedite a Dio e al Suo
Messaggero»6; il Corano non può abrogare la
Sunna, e viceversa; le contraddizioni esistenti tra le
varie parti della Rivelazione sono tutte spiegabili:
versetti coranici e tradizioni orali (Sunna) tra di loro
in apparente contrasto sono tutti vicendevolmente
conciliabili e fanno parte di un quadro etico sempre
coerente; tutt'al più si può pensare che un versetto
del Corano più recente possa abrogarne uno rivelato
prima d'esso (secondo una precisa affermazione
contenuta in Corano II:106), e la stessa cosa si può
dire per i detti profetici; la Sunna si esprime più
dettagliatamente del Corano, e fornisce alcuni
chiarimenti in proposito alle questioni sulle quali il
Corano non esprime giudizi visibili 7. Tale dottrina
del diritto è chiaramente irrefutabile; la sola cosa che
6 Corano VIII:20.
7 Cfr. Hourani, Albert, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai
nostri giorni. Cles (TN), 1991, Oscar Mondadori, pp. 70-71.

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si può rimproverare a questa scuola giuridica è di
propendere troppo a favore del letteralismo.
L'ultimo di questi madhâhib è la scuola di
Ahmad Ibn Hanbal, la hanbalita, caratterizzata da un
marcato letteralismo. La scuola teologica Athari è
quella che calca le sue orme, ed è giudicata
altrettanto fondamentalista. Ciò che le accomuna
entrambe è che, oltre ad essere entrambe inclini
all'interpretazione letterale delle Fonti sacre,
rifiutano quasi del tutto il ricorso al pensiero logico e
induttivo (istidlâl). Oggi tali deviazioni del diritto e
della dottrina trovano un gran numero di supporters
in Arabia Saudita, dove il Wahhabismo è religione di
Stato. Solitamente, gli hanbaliti del diritto
corrispondono agli Athari nella dottrina.
Per ora mi limiterò a illustrare come, nei secoli
in questione tra il VII e il X, l'Islam fosse – almeno
per quanto riguarda l'ortodossia di allora – di natura
assai più equilibrata e razionale di quanto non lo sia
oggi. È opinione del già citato Ash-Shâfi῾i (767-820)
che la parola divina non sia da interpretare,
comunque ad eccezione dei passaggi il cui
significato autentico non è quello che si evince
dall'interpretazione letterale. Secondo lo scolaro
sciafeita As-Suyûtî (1445-1505),

Gli ‘ulamâ’ dividono il Corano – secondo il grado

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di chiarezza semantica – in quattro categorie:
1.1) i passaggi chiari, che non ammettono che un
solo significato e che costituiscono il testo;
1.2) i passaggi che hanno due significati, di cui
uno è preponderante (il più forte) e l'altro
secondario (probabile) e che rappresentano
l'apparente, il visibile (zāhir);
1.3) i passaggi che ammettono due significati di
probabilità equivalente, e che costituiscono
l'insieme, la sintesi;
1.4) i passaggi che ammettono due significati di
probabilità ineguale, di cui il significato
preponderante (il più forte) non è il significato
vicino (l'apparente), come nel caso della seconda
categoria, ma il senso lontano e che costituiscono
l'interpretato8.

Questa mia breve esposizione di fondamenti e


principî non è che un'introduzione, magari un po'
troppo didascalica, al diritto musulmano originale
che lascia certamente insoddisfatti. Restano da
chiarire alcuni interrogativi fin troppo riproposti e
generalizzati come questi: qual è il giusto tratta-
mento che l'Islam dovrebbe riservare alla donna?
Perché si trova costretta a esercitare un ruolo
servile? Essa sarebbe da considerare intellettual-
8 Al-Suyūtī, Kitāb al-Itqān fî ‘ulūm al-Qur’ān, cit. da Massimo
Campanini in Il Corano e la sua interpre-tazione. Bari, Editori
Laterza, 2004.

30
mente inferiore, e il suo corpo una vergogna? Perché
bastano poche parole pronunciate per mezzo di un
parere giuridico espresso da una fatwa per
santificare il massacro? La legge islamica originale è
davvero rigorista al punto che basti il ragionamento
analogico (ijtihâd) quando non addirittura l'opinione
personale a proibire tutto? Bisognerebbe perfino
vietare ai bambini di giocare a calcio? Perfino
un'azione banale come entrare in un bar per bere un
caffè sarebbe passibile di ammenda?
Inizio da una precisazione condivisa e che gode
di forte consenso (ijmâ῾): tutto ciò che il Corano e la
Tradizione orale (Sunna) non proibiscono è da
considerare più che lecito: tutte le norme di condotta
obbligatorie per i musulmani sono state infatti
trasmesse nelle Fonti sacre; qualunque precetto in
esse irreperibile è da considerarsi fantasioso.
Detto ciò: il diritto islamico delle relazioni
sociali (fiqh al-muu âmalât) riguardante, ad esempio,
il ruolo delle donne o i rapporti tra musulmani e non
va considerato alla luce dello statuto personale
vigente nella legge islamica in generale. È pur vero,
in ogni caso, che di questo statuto non se ne può fare
se non un uso equo e solidale. La testimonianza di
una donna vale la metà, come l'eredità che riceve dal
defunto, anche se essa riceve in cambio il vantaggio
di avere diritto alla dote e al mantenimento da parte

31
del marito, ai quali egli non ha diritto. Eccetera. In
nessun caso, però, si possono giustificare norme
inesistenti nelle Fonti sacre dell'Islam, come quelle,
soggettivamente stabilite da dottori del diritto, che
vietano alle donne di uscire di casa, di lavorare,
ricevere un'istruzione e di partecipare alla vita
pubblica, di guidare la preghiera comunitaria, o che
le sottopongono a terribili mutilazioni genitali. Tutte
queste norme date per scontato sono vaneggiamenti.
Non solo. Non figura neppure un solo versetto
in tutto il Corano che giustifichi il terrorismo come
strumento di lotta, o il ricorso arbitrario e
spregiudicato al deterrente delle pene corporali. È
pur vero che l'Islam ammetta, in certi casi, l'uso
della forza nella risoluzione delle controversie
internazionali, ma si tratta di casi di estrema
necessità. È invece escluso dal Corano e quindi dalla
Parola divina qualsiasi ricorso alla crudeltà (Corano
II:190). Anche le conversioni forzate sono contrarie
a ciò che il Corano insegna (per esempio in II: 256).
In nessun caso, quindi, un musulmano può agire
inesorabilmente.

32
3. L'inizio del Medio Evo

La fine della dominazione musulmana in Spagna


segna, nel 1492, l'inizio del Medio Evo islamico.
La perdita dell'Andalusia avrà effetti devastanti
dal punto di vista scientifico, tecnologico,
intellettuale e religioso: assieme all'Iraq e alla Persia
era l'area più produttiva in tutti i campi dello scibile.
È certamente vero che la Spagna era, dal punto di
vista geopolitico, un'area periferica in tutto l'Impero
islamico, ma centrale dal punto di vista del sapere,
un ruolo paragonabile senza esitazione a quello della
Grecia classica.
Quasi in concomitanza con la fine della
reconquista in Spagna, in Persia lo Scià impone lo
Sciismo. Avviene, per la prima volta nella Storia
dell'Islam, l'applicazione di un principio: cuius regio
eius religio (=la popolazione deve avere la stessa
religione del suo re), nonostante il Corano stesso
dichiari in modo esplicito che «nella Religione non
c'è costrizione» (Corano II:256). Il mondo islamico
si trova così costretto a fronteggiare la perdita dei

33
suoi capisaldi.
Qualche secolo prima, l'invasione mongola di
Baghdad (1258), che aveva messo fine al califfato,
non era riuscita ad arrestare la produttività
scientifica, tecnica, religiosa o letteraria in area
islamica. Ma con la caduta di Granada (1492) non si
riprodurrà lo stesso fenomeno di continuità nella
produzione culturale. Già a partire dal XII sec., nel
corso della stessa reconquista, il Collegio di
Traduttori di Toledo aveva avviato la trasposizione
dei testi arabi in latino e nelle lingue romanze, per
iniziativa di Pietro il Venerabile, abate di Cluny
(1092-1156). Il Canone di Avicenna – che rimarrà il
testo-base dello studio della medicina per secoli; il
Libro della Scala (stranamente attribuito ad Al-
Maʿarri (973-1057); il celebre Commentario di
Aristotele, opera fondamentale di Ibn Rushd (1126-
1198, meglio conosciuto come Averroè); trattati di
ottica, astronomia, farmacologia e altri mille testi
verranno fatti conoscere all'Europa e forniranno un
contributo notevole al Rinascimento. Della
produzione scientifica musulmana facevano parte
anche una primordiale tavola periodica degli
elementi e l'invenzione di almeno duecento nuovi
strumenti chirurgici. Il geografo e cartografo Al-
Idrîsî (1099-1165) aveva disegnato una mappa dei
tre continenti allora conosciuti, lavorando a

34
denominazioni dei Paesi e delle regioni che, in larga
parte, rimangono tuttora invariate. Una rappresenta-
zione della sua cartina è reperibile nella muqaddima
dello storico Ibn Khaldun (1332-1406), considerato
uno dei padri della critica storica e il padre stesso del
concetto di ciclicità della Storia.
Frattanto, anche alla corte di Federico II (1194-
1250) scorreva l'inchiostro e si traducevano
manoscritti risalenti all'epoca della dominazione
moresca in Sicilia (827-902). Tanto, tantissimo è il
sapere musulmano che si riversa sulla sponda Nord
del Mediterraneo. In questo lungo periodo, le lingue
neolatine cominciano a consolidarsi, appaiono i
primi poemi e romanzi cavallereschi, l'Europa
rinascimentale va alla riscoperta della cultura
classica del mondo greco-romano. Questo nuovo
Movimento di traduzione, del tutto simile a quello
che, secoli prima, avevano conosciuto gli Arabi
traducendo dal greco le opere dei Greci, rimetteva in
discussione tutto.
L'anno in cui venne scoperta l'America fu anche
quello in cui il Mediterraneo perse valore.
A tutto ciò si aggiungeva l'affermazione
dell'othmanli, la lingua turca ottomana, che gli Arabi
percepiscono ancora come il segno di un'ulteriore
umiliazione alla loro cultura. L'Impero Ottomano
attraversava, all'inizio del XVI sec. un'epoca di

35
splendore culturale sotto il regno di Solimano I
(1494-1566), fondatore di istituti e biblioteche,
governante noto per le sue virtù nonostante qualche
errore nella sua tarda condotta di governo. Nel 1453
i Turchi ottomani avevano conquistato Bisanzio (alla
quale venivano dati il nuovo nome e la nuova
identità di Istanbul) e si concludeva la fase storica
dell'Impero Romano, durata due millenni. Ma ora gli
Europei circumnavigavano l'Africa, andavano alla
conquista del Mondo, trasportavano schiavi in tutta
l'America, importavano dal Nuovo Mondo oro,
argento, zucchero, caffè, cotone e altro ancora. I mu-
sulmani continueranno sì a circondarsi di mecenati,
al cui servizio lavoreranno scienziati e uomini dotti,
ma ormai il declino del mondo islamico e il
rovesciamento degli equilibri internazionali erano
inarrestabili.

36
4. Premesse storiche e nascita
dell'islamismo radicale

Il riformatore religioso hanbalita Ahmad Ibn


Taymiyya (1263-1328) rimase pressoché inascoltato
in vita – benché abbia avuto tra i suoi allievi il
giurista Ibn Al-Qayyim Al-Jawziyya (1292-1350) e
lo storico ed esegeta Ibn Kathir (1301-1373),
compilatore di un celebre commentario del Corano.
Quest'ultimo, benché si proclamasse sciafeita, citava
insistentemente, nel suo Tafsîr al-Qur῾ân al-Azîm, il
musnad di Ibn Hanbal - . Ad Ibn Taymiyya si fanno
risalire le origini concettuali del salafismo e del
wahhabismo in egual misura. Suo è il concetto di
siyâsa ash-sharaʿiyya, la teocrazia islamizzata. In
epoche recenti egli, riconsiderato, guadagnerà
addirittura, il titolo postumo di Shaykh Al-Islâm (il
Dottore dell'Islam).
In tempi recenti, Muhammad Ibn ῾Abd Al-
Wahhâb (1703-1791), della tribù dei Banu Tamîm
sarà il fondatore della corrente di pensiero del
Wahhabismo. Questi, fortemente debitore di Ibn
37
Taymiyya, ne scoprirà e divulgherà il pensiero.
Inaugurando la dottrina dei muwahhidûn (gli
autoproclamati Partigiani della Fede nell'Unico),
Ibn ῾Abd Al-Wahhâb auspicherà un risveglio dei
musulmani nell'ottica di una teologia della
liberazione: questo è, con ogni probabilità, il primo
esempio di radicalismo militante e rivoluzionario di
cui si abbia conoscenza.
Nella sua opera principale, Kitâb at-Tawhîd (il
“Libro dell'Unicità Divina”), giungerà a scomuniche
generalizzate (takfîr) contro tutti coloro che non si
uniformeranno alla sua concezione dell'Islam. Non è
certamente da imputarsi a lui l'origine del fenomeno
della scomunica collettiva (noto come takfirismo)
ma è più che probabile che il suo dilagare nel mondo
moderno sia dovuto anche al suo decisivo contri-
buto. Tanta parte di musulmani erano sprofondati
nell'ignoranza, al punto da giungere a ignorare o a
non voler comprendere il precetto più importante
dell'Islam: adorare Dio* senza attribuirgli eguali e
consimili. Netta sarà la risposta di Ibn ῾Abd Al-
Wahhâb: distruggerà tombe – compresa forse quella
di Al-Hasan figlio di Ali – e giustificherà l'uso della
violenza in nome dell'affermazione del primato del
tawhid (Monoteismo islamico), concetto certo caro a
ogni musulmano che si rispetti; sta di fatto che la
“purificazione dell'Islam” da parte di Ibn ῾Abd Al-

38
Wahhâb individuerà tanti, troppi elementi da lui
ritenuti ad esso estranei.
Ibn ῾Abd Al-Wahhâb stringerà un'alleanza con
la tribù guerriera dei Banu Sa῾ûd, che, adottando il
Wahhabismo ne farà, in seguito, religione di stato ed
elemento fondante dell'identità nazionale della futura
Arabia Saudita.
Un altra area di importanza capitale nell'Impero
Islamico che fu è l'Egitto. Questo è sempre stato un
punto strategico per il controllo del Mediterraneo.
Era potente sotto il dominio dei Faraoni, quando il
loro regno si estendeva dalla Libia al Sinai, Dal
Sudan alla foce del Nilo: non sarebbe stato facile
costruire una potenza altrettanto grande in una zona
periferica del Mondo. In tempi moderni, il prestigio
dell'Egitto era legato anche a quello dell'Università
Al-Azhar del Cairo, tra le più importanti e antiche.
La spedizione di Napoleone in Egitto venne vissuta
come una catastrofe dagli Arabi, poiché minava alle
fondamenta una convinzione consolidata: fino ad
allora, l'Islam, in quanto religione divina, poteva
solo espandersi e trionfare ed era difficile
immaginare per esso una vittoria su tutte le Nazioni
se non per mezzo del tentativo di conquistare il
Mondo con le armi. In realtà, un Dio onnipotente*
non ha certo bisogno dell'aiuto delle Sue creature per
trionfare, ma vince qualunque cosa cada sotto i suoi

39
occhi. Ma quanto era accaduto in Egitto generava
ansia e autocritica nel Mondo islamico: improvvisa-
mente ci si rendeva conto dello strapotere tecnolo-
gico e militare dell'Occidente.
Nell'arco di tempo di pochi decenni, i
Musulmani si ritrovarono sotto l'autorità di padroni
stranieri e non-musulmani nelle loro terre. Il Mondo
islamico veniva letteralmente depredato: potenze
straniere vi scateneranno guerre mal giustificate, al
solo scopo di acquisire più potere. Punti di
importanza strategica come il Canale di Suez o
l'isola di Cipro cadranno sotto l'influenza e il
controllo occidentali senza difficoltà.
Francia, Gran Bretagna e, in minor misura, altre
potenze come l'Italia si spartiranno tutto. Le autorità
musulmane locali rimarranno formalmente regie ma
saranno, di fatto, subordinate alle potenze europee,
con le quali saranno costrette a stipulare accordi che
serviranno ai nuovi dominatori a mantenere il
controllo delle proprie colonie. Le popolazioni
musulmane dovranno confrontarsi con una
situazione difficile e del tutto inedita:

Fra gli avvenimenti politici più rilevanti sul


piano socioculturale per il mondo musulmano, la
spedizione di Bonaparte in Egitto nel 1798 può
essere considerata come il primo impatto
dell'Islam con la modernità. In effetti, da quel

40
momento le condizioni d'esercizio del pensiero
musulmano non saranno più le stesse: e ciò non
solo perché Bonaparte inaugura la question
d'Orient, ma soprattutto perché i musulmani
scoprono un altro ordine culturale. Essi vengono
così a porsi la questione, a tutt'oggi non risolta,
della propria identità culturale9.

La risposta degli Arabi sarà un'apertura totale e


repentina alla modernità: Muhammad Ali Pasha
(1805-1867), il primo Khedivè d'Egitto, inizerà ad
operare riforme dell'economia e dell'amministra-
zione e introdurrà l'uso della stampa e delle
tipografie. Egli invierà studenti in Europa ad
apprendere le lingue europee. Università e scuole del
Vecchio Continente diverranno il fulcro di un nuovo
fenomeno. Presto verranno convocati ad insegnare
nelle università arabe professori francesi e inglesi e
anche italiani, come Carlo Alfonso Nallino, che
godrà di grande stima e ammirazione presso i futuri
intellettuali arabi.
Con l'arrivo di Bonaparte in Egitto, si conclude
dunque un'epoca. In ogni caso il mondo arabo si
trovava già, a detta di molti, in una fase di
transizione religiosa e culturale, il che lascia
9 Fouad Allam, Khaled, L'Islam contemporaneo, saggio breve
contenuto in Islam, Laterza, 2005, pubblicato nella collana di
Storia delle Religioni diretta da Giovanni Filoramo, la
Biblioteca di Repubblica, p. 410.

41
facilmente intendere che la spedizione del generale
italiano non abbia determinato un cambiamento
repentino. Ma il dominio dell'istruzione e della
giustizia, fino a quel momento gestito dalle autorità
religiose, passerà di mano ad autorità laiche. Avverrà
la riforma dei codici: già a partire dal 1848 la
shari῾ah verrà rimpiazzata, in ambiente ottomano,
da codici civili e penali copiati da quelli europei.
Intere sezioni dei codici penali e civili Francesi,
Italiani ecc. verranno impiantate nella legislazione
del-l'Impero Ottomano. Presto i musulmani si
modernizzano e la loro nuova concezione dell'Islam
è caratterizzata dalla più ampia apertura
socioculturale all'Europa, al punto che tutto ciò che
proviene dal Vecchio Continente viene considerato
buono.
Nonostante le veementi proteste delle autorità
religiose, prende corpo la Riforma dell'Islam, la
denominazione da attribire alla quale è lasciata
all'incertezza: si parla di Nahda (Rinascita), Tanwîr
(Illuminismo) e di Islâh (Riforma). Tale «rinascita»
è favorita dalle autorità ottomane e appoggiata dalle
potenze coloniali.
Jamâl Ad-Dîn Al-Afghânî (1838-1897) inaugura
l'ideologia del panislamismo, alla quale affianca il
salafismo, nuova concezione – trasversale ai
riformismi di numerose religioni – fondata

42
sull'imitazione (vera o presunta) della condotta dei
primi credenti – in questo caso i salaf o Predecessori
– e sulla retrospettiva utopia della riaffermazione
della loro epoca storica. Ingaggerà personalmente
un dibattito con Ernest Renan (1823-1892) in merito
alla conferenza, da questi tenuta alla Sorbonne nel
marzo del 1883, dal titolo L'islamisme et la science.
Renan poneva in conflitto l'Islam specificamente
arabo e della Penisola arabica con l'esercizio della
ragione, in particolare quella messa al servizio della
Scienza; etichettava l'Islam come «il Regno del
dogma, la catena più pesante che l'Umanità abbia
portato». Al- Afghânî così commentava l'opinabile
punto di vista del filosofo francese, con il quale
tuttavia, alla fine, troverà punti in comune:

C'est sans doute, pour l'homme un joug des


plus lourds ed des plus humiliant, je le reconnais,
mais l'on ne peut nier que toutes les nations sont
sorties de la barbarie, et qu'elles ont marché vers
une civilisation plus avancée.
S'il est vrai que la religion musulmane soit un
obstacle au développement des sciences, peut-on
affirmer que cet obstacle ne disparaîtra pas un
jour? Toutes le religions sont intolérantes, chacune
à sa maniere10.
10 Breveglieri, Stefano, A proposito del dibattito su Islām e
scienza tra Ğamāl Al-Dīn Al-Afġānī e Ernest Renan, saggio
breve contenuto in Conflitti e dissensi nell'Islam, a cura di

43
L'essenza stessa dell'Islam, a cominciare dalle
sue fonti sacre, verrà attaccata duramente dai
musulmani modernisti, per i quali il vero Islam è
concettualmente diverso da quello predicato dal
Profeta* stesso. Naturalmente questo fenomeno di
completo revisionismo religioso non verrà accolto
dai musulmani conservatori e susciterà profonde
reazioni da parte loro. Essi si domanderanno: in
questo modo, cosa resterà dell'Islam?
Tali erano state le premesse storiche della
nascita dell'islam politico, inaugurato dall'atto fonda-
tivo della Confraternita dei Fratelli Musulmani, nata
nel 1928. La nuova organizzazione, la prima
islamista, avrà come fondatore e guida generale
Hasan Al-Banna (1906-1949). Nel frattempo, con la
I Guerra Mondiale, si concludeva la fase storica
dell'Im-pero Ottomano (1917).
Da Hasan Al-Banna l'Islam verrà letteralmente
concepito come sistema completo, integrale e
totalizzante. Nessun aspetto dell'esistenza umana
viene escluso dall'interferenza di questo nuovo
integralismo a tutto tondo. Il motto dei Fratelli
Musulmani è «Dio è il nostro obiettivo. Il Profeta è
il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihâd è
la nostra via. Morire nella via di Dio è la nostra

Daniele Cevenini e Svevo d'Onofrio, Bologna, Casa editrice Il


Ponte, 2009.

44
suprema speranza». L'essenza dell'Islam politico è
spiegata in questi termini: «L'Islam è religione e
Stato, Libro e spada e un sistema di vita»; il mondo
aveva fatto ritorno alla jahiliyya, l'epoca oscura
dell'ignoranza che aveva preceduto la predicazione
di Muhammad*; bisognava ricondurre l'Islam alla
sua “vera essenza”, adottando il Corano come unica
Costituzione nell'ottica di un integralismo islamico,
un tutto armonico in cui le categorie classiche della
religione, della scienza, dell'economia, della politica,
della società, dei costumi e di ogni aspetto della vita
venivano da esso inglobate e a esso adeguate. Gli
studiosi dell'Islam classico e tradizionale restavano
increduli di fronte a queste parole del tutto inedite da
essi pronunciate.
Il contemporaneo Tariq Ramadan, noto
pensatore riformista e nipote di Hasan Al-Banna,
fornisce questa panoramica di tale contesto storico e
socioculturale:

Comment rester fidèle au Message sans subir


les contraintes d'une époque dont l'élan semble
nous échapper? La maîtrise est-elle compatible
avec la fidélité?
Les réformistes répondent à cette question par
l'affirmative: ils ne remettent pas en cause la
fidélité, ni le nécessaire attachement aux sources
coranique et prophétique, et encore moins la

45
capacité de l'islam d'accepter l'évolution et de
vivre avec son temps. Face à la décadence du
monde musulman, leur intuition est que la cause
relève non du fait de la fidélité au Message, mais à
sa nature...11

È infatti prima con il Movimento Riformista e


poi con la nascita dell'Islamismo radicale che le
Fonti Sacre dell'Islam vengono ridotte a pura forma:
rimangono sì le medesime nel testo e nel contenuto,
ma la loro interpretazione viene manomessa e
stravolta da più parti. Esse, non più rispettate nel
contenuto, non costituiscono più le fonti autentiche
del musulmano: da questo momento è solo a livello
di rappresentazione che il Corano e la Sunna
rimarranno i punti di riferimento invariabili.
Intellettuali laici, ulema e dottori del diritto
forniscono al Corano un significato contestualizzato
in base alle epoche storiche, secondo le loro
preferenze e da un punto di vista soggettivo.
Islam politico, modernismo e riformismo, le tre
nuove correnti a cui ci si ispira, non sono in realtà
altro che diverse espressioni di uno stesso
revisionismo religioso.

11 Ramadan, Tariq, Aux sources du renouveau musulman, Paris,


Bayard Éditions/Centurion, 1998. Tradotto in italiano col titolo
«Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento
musulmano».

46
5. Il binomio religione-Stato
nel radicalismo islamico

Il concetto di dîn wa dawla (Religione e Stato) è di


natura trasversale nell'islamismo radicale. Attra-
versa, cioè, tutte le sue forme di pensiero, dall'Islam
politico dei Fratelli Musulmani al Wahhabismo, al
Salafismo ecc. Questo concetto teocratico nell'Islam
non è sempre esistito: è piuttosto frutto delle
elaborazioni mentali del già citato Ibn Taymiyya
(1263-1328). Fu lui l'ispiratore della siyasa ash-
sharaʿiyya (la politica sciaraitica) per la quale la vita
stessa è dîn wa dawla (Religione e Stato), laddove in
precedenza si concepiva solo come dîn wa dunya
(Religione e Mondo). Il pensatore siriano di origini
turche veniva guardato con sospetto dai suoi
contemporanei, proprio a causa delle sue idee
estremiste. Tuttavia il suo insegnamento vivrà un
inaspettato revival in tempi moderni, insieme alla
scuola giuridica hanbalita (di cui al capitolo 2) alla
quale faceva riferimento e che era decaduta nello
scorrere del tempo.
47
A partire da almeno un secolo, dunque, il
radicalismo ha insistito molto sull'instaurazione di
una teocrazia, vedendovi una priorità su tutto. La
politica è giunta a possedere il primato su tutto: il
credo, il culto e l'adorazione, la vita privata, quella
sociale e ogni aspetto dell'Islam ora sono funzionali
all'instaurazione della sharîʿah nel mondo. In
un'ipotetica piramide delle priorità e degli obiettivi,
la base è l'ideologia in ogni suo aspetto; lo sforzo
bellico (jihâd) è il tentativo utopico di farla
prevalere su tutto; il dominio del mondo è il vertice,
il punto finale. Il binomio religione-Stato è divenuto
dunque il leit motiv di tutto il pensiero radicale
sunnita, sciita e kharigita.
Personalmente percepisco, nel pensiero islamico
fondamentalista, un certo dispotismo di Dio*
sull'Uomo, una concezione molto opinabile che
impone all'Uomo la supina accettazione di un volere
divino considerato arbitrario e aleatorio. Questo
retaggio culturale, fatalista e in parte debitore
dell'ashʿarismo più strampalato del X sec.,
certamente non sopravvive a un esame di realtà.
Innanzitutto, questo completo fatalismo nega la
misericordia divina o, comunque, stando a questa
caotica e pessimista concezione, è come se Dio* non
fosse buono e giusto realmente, ma solo perché lo
vuole la dottrina. In quest'ottica non si potrebbe

48
nemmeno essere certi della veridicità delle
affermazioni del Corano, stando almeno alle parole
degli ashʿariti. In secondo luogo, non si darà mai il
caso che una Divinità* possa rivelare ideologie
politiche e, se così fosse, essa dovrebbe almeno
affacciarsi al Mondo come l'ideologia più forte,
salda e strutturata fra tutte. Come qualcuno ha
giustamente osservato, l'Islamismo radicale non ha
neppure la stessa spinta, la stessa influenza, la stessa
capacità di persuasione che hanno avuto il
Comunismo e le teorie marxiane. Non è credibile
l'ipotesi, tacitamente espressa dai Fratelli Musul-
mani, che Dio* in persona abbia fatto scaturire la
loro ideologia dal Corano ben tredici secoli dopo la
Rivelazione. Una divinità declasserebbe forse la sua
Parola a libro da ideologia? Alzare il tono dello
scontro con le Grandi potenze e fra gli Arabi stessi
non serve: può solo portare più brutalità, più
crudeltà, rendere il Mondo più rozzo e primitivo e
questo è proprio ciò di cui il Mondo in cui viviamo
ha meno bisogno.
Tuttavia, nell'Islamismo radicale - che si
richiama falsamente all'ortodossia musulmana -
l'interpretazione dei Testi sacri dell'Islam non trova
più il suo punto di partenza e la sua origine da queste
fonti, ma dalle parole degli ulema, i dotti. I testi
sacri, non più rispettati a livello contenutistico e

49
concettuale, non sono più le fonti autentiche del
musulmano, ma il mezzo per giustificare in modo
soggettivo l'islamismo radicale. A questo punto,
ognuno attribuisce ai suoi versetti il significato che
preferisce. È come se l'islamista seguisse non la
Parola di Dio*, ma quella dei dotti, degli ulema.
Sono fermamente convinto che Dio* governi
già il Mondo. Tramite l'affermazione coranica che
eleva l'Uomo a Suo vicario (Corano II:30) Dio* gli
affida questo compito affinché possa fare esercizio
della propria autorità al servizio dei suoi simili, e
non affinché li distrugga. In effetti non è di
provenienza coranica il concetto di estraneità di
Dio* alla Storia dell'Uomo: il testo-base principale
dell'Islam si esprime insistentemente sull'intervento
divino. Non è forse vero che Dio* è libero di
realizzare la giustizia sulla terra? Non è forse
onnipotente, sì da far vincere la sua Parola
qualunque cosa accada? In ogni caso, se si vuole
fare chiarezza, l'azione in favore degli oppressi e dei
diseredati sarà forse l'obiettivo dichiarato degli
islamisti radicali, ma le forti contraddizioni di
quell'ideologia e la sua mancanza di valori umani
sono sotto lo sguardo di tutti. Essi stessi lo
ammettono, quando non ne fanno addirittura alcun
mistero. Qualche volta, in un passato n on troppo
lontano, il terrorismo internazionale è stato

50
concepito da ingenui come lo strumento di una lotta
terzomondista, ma appoggiare quest'ipotesi è un
grave errore: è sotto gli occhi di tutti che il
terrorismo, locale o internazionale, ha messo le sue
radici non nella lotta alla povertà, ma nel terreno
dell'intolleranza.
Il fatto lapalissiano che il Profeta Muhammad*
fosse anche un uomo politico non deve trarre in
inganno: non si può estendere la parte normativa dei
Testi sacri dell'Islam a ogni aspetto della vita
politica, economica e sociale, ed egli* effettivamente
non lo fece. Rispettò i costumi e le usanze di tutti i
popoli; mise in pratica egli stesso* delle eccezioni
alla legge da lui* predicata, respingendo il netto
dualismo tra l'ambito del lecito e quello dell'illecito:
questo fa parte della sua competenza spirituale ed è
tipico di tutti i Profeti* della tradizione giudaico-
cristiano-musulmana.
Prendendo in esame, a livello esemplificativo, la
Sura IX del Corano, che codificava i rapporti tra le
tribù, non si può affermare che queste poche indi-
cazioni si possano estendere tramite ragionamento
analogico alle basi di tutta l'odierna diplomazia. Alla
luce di una lettura complessiva del Corano, mi
sentirei in grado di affermare che le fonti sacre
dell'Islam intervengono nei campi della politica,
dell'economia e del sociale senza determinarne

51
compiutamente gli aspetti. Islam non è il nome di un
partito politico.
Esiste una distinzione tra modernità e
rinnovamento religioso. Né il Corano né la
tradizione orale contengono controindicazioni
all'utilizzo di mezzi più moderni ed evoluti, se lo
scopo è quello di vivere più dignitosamente.
Un'ipotesi di questo tipo negherebbe il grande
contributo che è stato dato alla Scienza da berberi,
persiani, indiani ecc. e anche da qualche scienziato
di origine araba peninsulare. Il Wahhabismo odierno
vorrebbe che si utilizzasse il fuoco e solo il fuoco
per ottenere illuminazione; in realtà, si può
benissimo adoperare a tal fine la corrente elettrica
senza incorrere in alcun biasimo. Si può vivere nella
modernità; l'unico suo aspetto da non imitare sono le
cattive abitudini. È per questo che l'Islam non ha
bisogno di nessun rinnovamento, ed è strana
l'affermazione che vuole che il Corano sia un libro
da adeguare al presente e far andare al passo coi
tempi che cambiano. In realtà, il Corano e la
Tradizione orale – presi così come sono – sono
applicabili anche nella quotidianità di oggi. L'Islam
è la religione del lavoro e insegna che tutti i Profeti*,
primi portatori del suo Messaggio, lavoravano.
Anche il profeta Davide*, benché fosse Re d'Israele,
si dedicava anche al mestiere di fabbro ed è a lui che

52
i Testi rivelati fanno risalire l'invenzione delle cotte
di maglia.
Se così non fosse, se la validità di una parte dei
Testi sacri in vigore nell'Islam fosse da rigettare e il
loro contenuto e insegnamento da riformulare, la
Divinità* che li ha rivelati li avrebbe certamente già
sostituiti con altri Libri, benché non si abbia avuto
notizia, in quattordici secoli, di ipotetici successori
di Muhammad* portatori di una nuova rivelazione.

53
6. Il conflitto tra Fonti sacre dell'Islam e
Islam modernista e riformatore

Agli esordi del XX sec., gli Arabi riunirono i loro


sforzi per coalizzarsi in una grande nazione. La Gran
Bretagna accolse la loro richiesta. Fu così che lo
sceriffo Hussein, custode dei luoghi santi delle città
di Mecca e Medina, si alleò con gli Inglesi allo
scopo di sottrarre la Penisola Arabica alla
dominazione ottomana ed effettivamente vi
riuscirono. Inutile dire tuttavia che la Corona
britannica non manterrà la succitata promessa di
riunire gli Arabi in un unico grande Stato-Nazione.
In seguito si scoprirà perfino che T.E. Lawrence,
che aveva guidato la rivolta, era il capo dei servizi
d'intelligence britannici.
Giunse il primo dopoguerra e vari eventi
sconvolsero il mondo: il collasso dell'Impero
Ottomano e la Rivoluzione russa cambiarono
l'assetto politico del mondo arabo, ancora sotto la
dominazione straniera. Negozi, fabbriche e officine
fecero la loro comparsa anche nel mondo islamico,
54
aumentando l'offerta lavorativa. In tutte le città si
assistette a un fenomeno di inurbamento. Ristoranti,
caffè e cinema offrivano nuovi tipi di attività
ricreative e costituivano punti di raccolta. Già da
qualche decennio avevano fatto la loro comparsa le
prime linee tranviarie. Negli Anni Venti del XX sec.,
moderni sistemi per ottenere e portare acqua
potabile, elettricità, gas e telefoni vennero introdotti
nelle case. Auto private, autobus e taxi sostituirono
le carrette trainate dai cavalli, almeno nei centri
abitati più popolati. L'esempio dell'Europa cambiò
anche l'espressione artistica dei popoli musulmani:
pittori e scultori iniziarono a esprimersi con stile
occidentale e le arti visive a trovarsi in una posizione
intermedia fra tradizione e modernità. Nuove
generazioni di donne musulmane iniziarono a uscire
di casa sprovviste del velo12. Celebre è il caso della
femminista Hûda Ash-Shaʿrâwî che, di rientro da un
viaggio a Roma, all'aeroporto del Cairo si tolse
pubblicamente il tradizionale copricapo.
Come qualcheduno ha giustamente osservato,
l'occidentalizzazione e la modernizzazione non sono
necessariamente lo stesso fenomeno, potendo, il
progresso, essere accolto senza adottare i costumi

12 Hourani, Albert, A History of the Arab Peoples, London, Faber


and Faber, 1991, tradotto in Italiano col titolo Storia dei popoli
arabi. Da Maometto ai nostri giorni per Oscar Mondadori.

55
imposti dal colonialismo culturale13. Nonostante
l'evidenza di questa affermazione, questi due fattori,
nel mondo islamico di inizio XX sec., furono ritenuti
complementari: evidentemente l'esigenza di
modernizzarsi andava di pari passo con l'ansia di
adottare un nuovo modo di vivere.
Dopo la II Guerra Mondiale, l'Impero
Britannico si indebolì a causa, forse, delle sue
imponenti spese militari. L'affermazione di USA e
URSS sopra ogni altra superpotenza contribuì a
determinare il declino della Francia e anche quello
dell'Impero Britannico, che, in età Vittoriana, aveva
raggiunto un tale livello di prestigio ed estensione da
meritare l'appellativo di “Impero sul quale non
tramonta mai il sole”. Logica conseguenza fu che le
Nazioni musulmane ne approfittarono per ottenere
l'indipendenza dagli Stati coloniali. Ciò nonostante,
un ennesimo capovolgimento degli equilibri del
Mondo arabo era dietro l'angolo. Secondo la
Dichiarazione Balfour, la Palestina era destinata alla
spartizione in due Stati, uno arabo e l'altro
israeliano. La leadership palestinese era stata
indebolita da arresti, esìli e attentati subiti durante la
Rivolta Araba del 1936-1939. La rappresentanza
israeliana era rimasta l'unica voce in capitolo nel

13 Huntington, Samuel P., Lo scontro delle civiltà e il nuovo


ordine mondiale, Milano, Garzanti, 1997.

56
Vicino Oriente: fu la sommossa della popolazione
ebraica contro la presenza britannica a permetterle di
proclamare, il 14 maggio del 1948, la nascita dello
Stato di Israele, votata e approvata dalla neonata
ONU il novembre dell'anno precedente. La promessa
dell'affiancamento di uno Stato arabo a quello
sionista non verrà mai mantenuta.
Tutto ciò richiedeva una reazione da parte degli
Stati arabi confinanti, che non si fecero pregare. Ma,
al termine del primo Conflitto Arabo-Israeliano,
tutto rimarrà invariato. È opinione prevalente tra gli
Arabi che il Mandato Britannico in Palestina abbia
favorito il movimento sionista senza curarsi delle
sue implicazioni in un futuro già prossimo. Tutto il
Mondo Arabo ricorderà la nascita di Israele come la
Nakba (Catastrofe).
È stato ipotizzato da più parti che la nascita di
uno Stato ebraico in Medio Oriente abbia avuto la
funzione di alimentare le divisioni interne al Mondo
islamico, seminando la discordia reciproca,
necessaria all'interesse di altre Nazioni in merito alla
questione palestinese.
Il nazionalismo panarabo - che espresse la
succitata volontà del Mondo Arabo di cancellare i
suoi confini interni riunendosi in un'unica entità
geopolitica – trovò il suo promotore principale nella
letteratura ideologica e il suo ambito di discussione e

57
di dialettico confronto nella critica letteraria. In
modo particolare, negli anni Sessanta del secolo
scorso i nuovi intellettuali arabi fondarono giornali e
riviste e indissero conferenze - a cui parteciparono
anche capi di stato come Nasser (1918-1970). La
letteratura impegnata proliferò soprattutto nel Vicino
Oriente, in Paesi come Libano, Siria, Iraq e Palestina
e si servì della carta stampata come veicolo di
diffusione ideologica, non senza incontrare numerosi
ostacoli dovuti a censure14. In Egitto, un n uovo
sentimento nazionalista prenderà piede tramite
l'operato dello scrittore Ta Ha Hussein (1889-1973):
si tratta del faraonismo, un'utopia retrospettiva che
possedeva lo scopo di riportarlo all'antico splendore
dei Faraoni. Mano a mano che tale ideologia si
diffondeva tra gli Egiziani, avveniva un mutamento
nelle loro coscienze: essi cominciavano a sentirsi più
Egiziani che musulmani. In altre parole: l'Egitto
antico divenne la loro età dell'oro di riferimento ed è
solo per caso, sostengono, che in seguito conobbero
l'Islam e la sua espansione. Venne data la
preminenza all'eredità lasciata loro dalla prima delle
civilizzazioni (quella, in ordine cronologico,
egiziana e mesopotamica) sulla civilizzazione arabo-
persiana (che il Mondo conobbe dopo che quella

14 Cfr. Ruocco, Monica, L'intellettuale arabo tra impegno e


dissenso. Roma, Jouvence, 1999.

58
greco-romana era trascorsa).
Ta Ha Hussein fu responsabile della riforma
dell'Islam sul piano culturale. Riuscirà a superare il
test di ammissione dell'Università Khediviale del
Cairo nonostante avesse perso la vista alla tenera età
di tre anni. Lì seguirà le lezioni di celebri
orientalisti, come il già citato Carlo Alfonso Nallino
(fondatore dell'Istituto per l'Oriente di Roma) e Hans
Wehr (che redasse un dizionario bilingue arabo-
tedesco che diventerà il testo di riferimento
praticamente per tutti i dizionari arabi delle lingue
europee). Studierà, dunque, al Cairo e otterrà il
dottorato alla Sorbonne di Parigi. La sua tesi di
dottorato diverrà un voluminoso e ampiamente
discusso studio critico sulla poesia preislamica, per
redigere il quale egli fece uso del know-how appreso
dai grandi arabisti succitati. Il faraonismo è
focalizzato, oltre che sulla retrospettiva utopia
dell'Egitto antico, sull'idealistica esaltazione
dell'uomo politico e sarà l'ideologia di cui si farà
portavoce la quasi totalità dei capi di stato egiziani
dall'epoca di Nasser.
L'attività intellettuale di Ta Ha Hussein non
manca però di aspetti positivi: suoi saranno i primi
esempi di letteratura araba scritta con modelli
scientifici; lotterà contro l'analfabetismo allorché
sarà ministro della pubblica istruzione sotto il regno

59
di Farûq I (1920-1965) e sotto il mandato dello
stesso Nasser. In ogni caso cercherà, nel suo operato
al servizio dell'istruzione, di separare l'ambito
educativo da quello religioso.
Era il 1956 e Jamâl ʿAbd An-Nasser prometteva
di rilanciare l'economia del suo Paese. Come segno
di cambiamento espresse il desiderio di far edificare
una diga ad Aswân ma non riceverà gli attesi
stanziamenti di fondi da parte occidentale. In ogni
caso, egli non recederà tanto facilmente dal suo
intento e prenderà la decisione di nazionalizzare il
Canale di Suez, allo scopo di riscuotere i proventi
indispensabili alla costruzione della diga. La
statalizzazione del canale durerà pochi giorni: per
tutta risposta Israele, appoggiato da Francia e Gran
Bretagna, invade il Sinai. Gli Stati Uniti non
permetteranno però che gli interessi di queste
potenze contrastino con i loro e imporranno a Israele
il ritiro15.
Infine l'ideale panarabo fece il suo primo passo
verso la realizzazione di una grande Nazione araba,
tramite l'unificazione, datata 1958, dell'Egitto con la
Siria nella RAU (Repubblica Araba Unita). Sarà un
grande fallimento: il 14 luglio dello stesso anno, l'uf-
ficiale iracheno ʿAbd Al-Karîm Qâsim (1914-1963)
metterà in atto un colpo di Stato in Iraq e proclamerà

15 Albert Hourani, op. cit.

60
la propria amicizia alla RAU. Ma i membri del
partito Baʿth (Rinascita) egiziano, siriano ed
iracheno erano avversari della politica del comunista
Qâsim e finiranno per formare anche un fronte
comune contro entrambi. Tale situazione non tarderà
a scatenare una crisi che attraverserà la stessa RAU e
che si complicherà a causa dell'appoggio, dato a
Qâsim e al nuovo regime iracheno, dall'Unione
Sovietica.
Tale scompiglio condurrà immancabilmente alla
secessione della Siria dalla RAU. Con la scissione
della Repubblica Araba Unita, il panarabismo si
trova dunque costretto a incassare un primo duro
colpo. Altro boccone amaro sarà la sconfitta
riportata dalla coalizione araba nella Guerra dei Sei
Giorni (1967). È importante segnalare avvenimenti
come questi, poiché la miccia dell'estremismo
religioso degli anni Settanta e Ottanta e a venire
verrà accesa, nel Mondo Islamico, non solo dalla
Rivoluzione Iraniana del 1979 ma anche dal vuoto
politico lasciato dal fallimento del modello arabo di
socialismo.
Negli anni Sessanta il Mondo Islamico
partecipò attivamente ai grandi stravolgimenti che
segnarono un'epoca della Rivoluzione in tutto il
mondo. Le nuove prospettive di cambiamento
generale portate dall'Università di Berkley, dai

61
Kennedys, da Malcolm X, Luther King, Jean-Paul
Sartre, Fidel Castro ecc. segnarono bene o male
un'epoca della sedizione e anche di battaglie per i
dirit-ti civili. In questo quadro generale si inseriva
anche la letteratura araba impegnata che cambia
assetto politico, da nazionalista a rivoluzionaria.
Benché lo Stato di Israele non possieda grande
capacità di controllo e gestione dei territori che
occupa militarmente, purtroppo è invece favorito
dalle sue grandi abilità a con-durre guerre di breve
durata. La blitzkrieg israeliana del 1967 alimenta la
frustrazione tra gli Arabi e le divisioni politiche tra
le potenze sconfitte. Tutte si accusano a vicenda di
incarnare la responsabilità della debacle dei Sei
Giorni, chiedendosi vicendevolmente chi di loro
abbia sbagliato tattica. La perdita del Sinai, della
Cisgiordania e delle alture del Golan reca da allora il
nome di Naksa, la cui ricorrenza viene celebrata
ancora oggi.
La Naksa genera, come si sarà intuito, auto-
critica a tutti i livelli. Gli intellettuali arabi accusano
le Nazioni uscite sconfitte dal conflitto di aver
sottovalutato la potenza di fuoco di Israele. Il divario
già esistente tra gli intellettuali e il potere politico
cresce sempre più, e inizia a coinvolgere tra di loro
gli intellettuali stessi, sempre più vicendevolmente
divisi. È proprio in questa fase di autocritica e

62
rivalutazione che gli intellettuali ripropongono la
tematica della scelta tra tradizione e modernità e
quella dello scontro – e al tempo stesso confronto –
tra Mondo Islamico e Occidente.
Nel corso della Guerra del Kippur (1973) gli
eserciti egiziano e siriano colgono di sorpresa quello
israeliano, che però si ricompatta, mantenendo alla
fine il controllo di tutti i territori occupati sei anni
prima. In Tunisia, Burghiba giunge al potere nel
1964 con un colpo di Stato alla guida del suo partito
Ad-Dustûr (La Costituzione). I Tunisini conquistano
così l'indipendenza dalla Francia. Burghiba è il
fondatore della Tunisia moderna. Fortunatamente,
l'indipendenza della Tunisia non è costata grandi
spargimenti di sangue come quelli che hanno
contrassegnato la Guerra d'Indipendenza in Algeria.
Sorge spontanea l'osservazione che, all'indo-
mani dell'indipendenza ottenuta dai Paesi Arabi dal
potere coloniale, ci si sarebbe dovuto aspettare che il
mondo arabo ritrovasse se stesso e ricostruisse la
gloria del passato. Se ciò non avvenne, le cause non
vanno ricercate solo nel mantenimento post-
coloniale del predominio economico da parte delle
grandi potenze europee, ma anche al fatto che gli
Arabi nei secoli erano cambiati. Coloro che
applicano l'Islam nella sua retta accezione sono
ridotti a delle enclavi. Nelle scuole arabe non si fa

63
che insegnare agli alunni fin dalla più tenera età a
coltivare ideali nazionalistici fondati sull'identità
araba, disgiunta da quella musulmana ormai entrata
in crisi. Molti bambini non completano nemmeno gli
studi, in certi casi nemmeno le scuole elementari. Si
trovano obbligati ad aiutare economicamente le
proprie famiglie, abbandonando la scuola per
lavorare, magari nell'industria tessile filando tappeti.
Delusi dalla debolezza degli Stati Arabi
confinanti, i Palestinesi iniziano a organizzarsi. I
fedayin sono, letteralmente, “coloro che si
sacrificano per una causa”. Azioni armate vengono
da loro intraprese nella vicina Giordania,
evidentemente allo scopo di richiamare l'attenzione
della Comunità Internazionale attorno alla questione
palestinese. Zarqa, città giordana che dista pochi
chilometri dalla capitale Amman, ospita una base
aerea tra le più importanti: qui i fedayin avrebbero
fatto esplodere tre aerei. La risposta di Re Hussein di
Giordania sarà breve e incisiva: sciolto il
parlamento, egli nomina nuovi capi militari e
dichiara guerra ai fedayin nel suo Paese. È il 1970 e,
in Giordan ia, scoppia la Guerra Civile. In tutto il
Paese si contano centomila morti, nell'arco di un
mese passato alla Storia come il Settembre Nero.
Nello stesso anno muore Nasser, colpito da una
crisi cardiaca. Il suo successore Anwâr As-Sadât

64
(1918-1981) porterà l'Egitto sotto l'influenza degli
States. Quattro anni dopo, la Lega Araba vota un
documento che dichiara che l'Olp è l'unico legittimo
rappresentante del popolo palestinese. In occasione
degli Accordi di Camp David del 1978, Jimmy
Carter farà siglare la pace tra Israele ed Egitto;
l'accordo prevede che il Sinai e il Canale di Suez,
presi dagli Israeliani durante la Guerra dei Sei
Giorni, ritornino sotto il controllo dell'Egitto; questa
clausola verrà effettivamente rispettata, anche se il
conflitto Israelo-palestinese rimarrà irrisolto
malgrado i lunghi tentativi di individuare una
soluzione, bellica o di conciliazione tra le parti. È
così che Anwâr As-Sadât allaccia relazioni
diplomatiche con Israele, scelta che gli costerà la
vita nel 1981. Si individuano come responsabili
dell'attentato membri della succitata Fratellanza
Musulmana, movimento notoriamente filo-
palestinese. Ma è già da almeno un decennio che si
fa strada, nel mondo arabo, una letteratura del
disincanto, con la quale scrittori come il palestinese
Ghassan Kanafani (1936-1972) mettono in luce il
loro senso di delusione e di smarrimento dovuto al
fallimento della via araba al socialismo.
Frattanto, Yasser Arafat (1929-2004), insieme
alla dirigenza dell'Olp, sposta i suoi miliziani dalla
Giordania al Sud del Libano: a partire da questo

65
fazzoletto di terra a Nord, ingaggerà un tentativo di
riappropriazione territoriale palestinese di tutta la
Palestina storica, sotto l'appoggio sovietico. Il
risultato sarà disastroso: nel 1982 l'esercito
israeliano giungerà alla periferia sud di Beirut e
obbligherà Arafat a lasciare il Libano, insieme a
tutto l'Olp. Sotto la garanzia dell'Italia, Arafat
troverà rifugio in Tunisia.
Da questo momento la resistenza palestinese,
delusa dall'ideologia modernista di Arafat, prende la
via della radicalizzazione. Il passaggio da idee di
stampo laico ad altre di ispirazione islamista è
segnato dalla nascita di alcuni partiti armati
palestinesi, tra i quali il wahhabita Jihâd Islamî
(1982) e il politico-islamista Hamas (più tardi, nel
1987) il quale altro non è che l'ala palestinese del
movimento dei Fratelli Musulmani. È ancora nel
1982 che l'Iran invia nel Sud del Libano miliziani e
istruttori militari, a fondare il partito armato della
Hezbollah libanese. I futuri dirigenti di Hamas
stanno già effettuando i loro preparativi per la
nascita della loro organizzazione ma, per ragioni di
ordine organizzativo, economico e di arsenale
militare, rimanderanno l'entrata in scena dell'orga-
nizzazione terroristica fino allo scoppio della Prima
Intifada nel 1987. Questo forse rappresenta un
ennesimo esempio di radicalizzazione vicinorientale

66
dovuto alla debolezza mostrata dai partiti di
ispirazione laica. In tutto il Mondo Islamico si
verifica lo stesso fenomeno: l'islamismo radicale fa
proseliti tra le masse deluse dalla dirigenza laica.
Molto di frequente si è ipotizzato che l'Occidente
stesso si sia servito dello stesso islamismo radicale
per mandare in fallimento il socialismo arabo e
sottrarre i Paesi Arabi socialisti all'influenza
dell'URSS16.
La Conferenza di Madrid del 1991 inaugura il
Processo di pace tra Israeliani e Palestinesi. Gli
scandalosi accordi siglati a Oslo due anni più tardi
generano disincanto e disillusione tra quanti
speravano nella spartizione territoriale della
Palestina e nella nascita di uno Stato Palestinese. Il
Processo di Pace proseguirà negli anni rendendosi
sempre meno coerente e credibile, e verrà fatto
naufragare in tutti i modi non solo dai jihadisti
palestinesi ma allo stesso modo da un gran numero
di Israeliani disinteressati alla pace.
Ma volendo fare luce sugli errori del Sionismo,
va sottolineato che questo si sia imposto da subito in
modo offensivo e brutale, senza mostrare alcun
rispetto verso la popolazione araba, coloro che i
sionisti continueranno a definire “i Locali”. Golda
16 Cfr. Camera d'Afflitto, Isabella, Letteratura araba
contemporanea. Dalla Nahdah a oggi. Roma, Carocci Quality
Paperbacks, 2007, pp. 264-265.

67
Meir (1898-1978) giunse persino a negare l'esistenza
stessa dei Palestinesi dinnanzi al Mondo,
descrivendo la Palestina storica «una terra senza un
popolo per un popolo senza terra», negando con ciò
il diritto all'uguaglianza ai cosiddetti “Locali”. Il
grande problema dei Palestinesi non è mai stato
l'assenza di uno Stato, ma l'assenza di diritti. La
Storia Palestinese sarebbe stata altra se il movimento
sionista si fosse proposto in modo pacifico, anche se
ciò può ragionevolmente sembrare poco realistico.
Come l'Egitto, altri Paesi cercheranno invano di
guadagnarsi l'egemonia del Mondo Islamico. Iran,
Arabia Saudita e Turchia saranno sempre proiettati
verso l'esterno, cercando di ergersi a guida di tutto il
Medio Oriente allargato. È una fortuna o un grave
problema che il Mondo Arabo sia interiormente
diviso e discorde? Difficile dirlo. I tentativi del laico
Egitto sono falliti a cominciare dalla RAU. L'Arabia
Saudita ha cercato di conquistare un ruolo-guida del
Mondo Arabo in prima istanza attraverso le
organizzazioni internazionali arabe, poi dichiarando
una guerra fredda all'Iran che si sta combattendo
nello Yemen e fornendo sostegno anche a gruppi
armati in Siria e Iraq. L'Iran, vincente nel Siraq, non
cerca meno di altri di esportare il suo modello di
islamismo, rimasto fortemente teocratico nonostante
abbia scelto al suo interno, come capi di Stato,

68
alcune personalità più caute. La Turchia soffre
anch'essa di crisi di identità religiosa e politica.
Per molti intellettuali arabi, il conflitto tra
eredità culturale islamica e modernità andrebbe
risolto più semplicemente sbarazzandosi della prima,
da loro vissuta oramai come un peso, un elemento
reazionario della cultura e della società. Checché ne
dicano, non si può dire, alla luce del collasso del
Socialismo arabo, che il Mondo Islamico abbia tratto
giovamento dal colonialismo culturale. Come tutti
gli intellettuali, anche quelli arabi perderanno
specificità e funzione alla caduta del Muro di
Berlino nel lontano 1989.
Il resto è Storia: la guerra d'Afghanistan tra
Talebani e Armata Rossa, la I Guerra del Golfo, l'e-
spulsione di Osama Bin Laden dall'Arabia Saudita,
la nascita di Al-Qaida, gli attacchi terroristici dell'11
settembre 2001, altre guerre, altri attentati e, a
peggiorare tutto, intorno al 2006 la frangia estrema
della Al-Qaida irachena, dopo essere stata sotto la
guida di Az-Zarqâwî è divenuta l'ISIS.
In tutta questa Storia c'è da chiedersi che fine
abbia fatto la Confraternita dei Fratelli Musulmani.
Nel 2010, Muhammad Bouazizi inaugura la stagione
della Primavera Araba e tutto il Mondo Arabo è
scosso da un fremito. I Fratelli Musulmani
approfittano di questi eventi per arrivare al potere

69
con il loro partito Libertà e Giustizia nel 2012. Il
noto autore contemporaneo Massimo Campanini
narra così quegli avvenimenti:

Nonostante la partecipazione a titolo personale di


alcuni militanti, soprattutto giovani, i Fratelli
Musulmani non avevano occupato gli spazi politici
subito dopo l’esplosione delle proteste, ma,
quando si erano accorti che non si trattava di un
fenomeno passeggero, ma di una spinta eversiva
che poteva portare al rovesciamento del dittatore,
avevano fatto proprie le parole d’ordine delle
rivendicazioni, ammantandole di una veste
religiosa che lasciava comunque spazio – almeno
apparentemente – a soluzioni condivise, in nome
di un patriottismo trasversale che tingeva di
nazionalismo gli stessi slogan religiosi [...].
Abbandonando la prospettiva gradualista, i
Fratelli Musulmani hanno creduto di poter imporre
dall’alto invece che con la germinazione dal basso
il proprio progetto.
[...]Una certa mancanza di contatto con
l’asperità della realtà quotidiana in nome della
purezza dei principî, li ha indotti probabilmente a
sottovalutare l’importanza della soluzione dei
problemi immediati, tra cui erano preminenti
quelli del lavoro, dell’occupazione e della lotta
alla povertà17.
17AA.VV., L’autunno delle primavere arabe, Editrice La Scuola,
2013, contributo di Massimo Campanini, pp. 17 e 21-23.

70
Almeno negli intenti dichiarati sembrava
dunque che l'Islam politico fosse un movimento più
vicino ai bisogni generali e più a favore di una vera
giustizia sociale di quanto non si sia dimostrato alla
prova dei fatti. Muhammad Mursi (n. 1951), pri-
mo presidente egiziano dell'ala politica dei Fratelli
Musulmani, verrà destituito da un movimento di
protesta esattamente un anno dopo l'inizio del suo
mandato. Nonostante la Turchia segua ancora i
programmi della Fratellanza, la confraternita ha
senza alcun dubbio disatteso le aspettative, a lungo
proclamate nel suo slogan «L'Islam è la soluzione».
Beninteso: l'Islamismo radicale non è certo
preferibile all'Islam di stampo laico-modernista. Ma
se l'Islam è alla ricerca di un'identità, perché essere
costretti a scegliere tra queste due, perpetuandone il
contenzioso nel tempo? Laicità e radicalismo sono
due varianti dello stesso Islam o sono piuttosto due
aspetti della stessa volontà di riforma che ne ha
mutato le verità fondamentali, il messaggio-base, la
legge religiosa e perfino l'aspetto esterno? Perché
perpetuare il sostegno a modelli subdoli, cinici e
fallimentari?
Tuttavia un'alternativa esiste.

71
7. L'inefficacia dell'islamismo radicale
come ideologia di governo; la sua origine
nell'interpretazione deviante delle Fonti
Sacre dell'Islam.

Visti e considerati gli esperimenti di governo che ha


attuato, non si può certo dire che l'Islamismo
radicale funzioni come ideologia. Non si possono
non considerare le pessime prove di governo
dell'amministrazione Mursi in Egitto, degli
Ayatollah in Iran, di Erdoğan nella Turchia post-
kemalista e di qualsiasi teocrazia pura e semplice –
per non parlare di quella tentata dal sedicente
Islamic State -. L'elenco è lungo: l'Afghanistan dei
Talebani nel periodo 1994-2001, il Regno Saudita e
qualunque teocrazia integrale e totalizzante. Benché
ognuno di questi Stati teocratici abbia tentato di
ergersi a guida e a modello, di queste ipotesi di
governo non ce n'è una che possa essere imitata, a
livello circoscritto o universale.
Il sedicente Stato Islamico del Siraq e della

72
Libia aveva preso coscienza di dover almeno garan-
tire i servizi essenziali, come ad esempio l'istruzione,
negli sfortunati territori presidiati militarmente.
L'esito è stato comunque più che reprensibile: se la
matematica viene insegnata usando i kalashnikov per
i calcoli aritmetici, va da sé che questo equivale ad
educare alla guerra. Gli stessi bambini del Siraq ne
erano vittima fin dall'infanzia, trascorsa infelice-
mente.
Gli elementi che possono far funzionare un
sistema non si possono, oltretutto, ridurre al
contrabbando del petrolio in cambio dei fondi
necessari a garantire i servizi essenziali. Il già citato
Ibn Khaldûn (1332-1406), storico arabo di immensa
erudizione, sei secoli fa delineava tutt'altra
concezione della politica:

La politique est l'art de gouverner une famille


ou une cite conformement aux exigences de la
morale et de la sagesse, afin d'inspirer a la masse
un comportement (minhaj) favorable a la
conservation et a la duree de l'espece18.

Eccone spiegata l'essenza in poche parole.


Al modernismo kemalista e cesaropapista, che
dell'Islam non vuole le regole, si è finora
18 Ibn Khaldun, Discours sur l'histoire universelle (Al-
Muqaddima), Beirouth, Thesaurus Sindbad, 1968.

73
contrapposto l'atteggiamento integralista, che è
arrivato ad abolire ogni libertà di scelta del cittadino
anche nell'esecuzione dei gesti quotidiani più banali.
Non è vero Islam il primo, ma certamente nemmeno
il secondo. Tutto dipende dalla lettura e
dall'interpretazione dei suoi testi fondamentali, ed è
per questo che entrambe le vie si distolgono dalla
sua corretta accezione. Qual è dunque il vero Islam?
Il Corano, come sanno in molti, è il Libro
imbattibile, non soggetto non solo a imitazione, ma
nemmeno a paragone o addirittura a superamento.
Ma se letto e interpretato come fosse il libro
fondamentale di una religione di legge, o in chiave
ideologica, viene indubitabilmente indebolito e
declassato a libro da ideologia. Eppure basterebbe
rimuovere dalla propria forma mentis ogni
innovazione e ogni ostacolo alla comprensione per
vedere la verità rimasta tale e mai interpolata. Ne
consegue che un musulmano può in qualunque
momento risolvere le sue crisi di identità,
riscoprendo la Sapienza di una Divinità onnisciente*
che non ha eguali.
I Wahhabiti fanno spesso vanto di essere gli
autoproclamati Partigiani della Fede nell'Unico
(muwahhidûn) e i depositari del Credo Corretto (al-
ʿaqîda as-sahîha), eppure l'impressione che desta la
lettura delle loro compilazioni degli articoli di fede,

74
considerandone il corpus nel suo insieme è che, di
questo Credo, ne abbiano perfino rimosso una parte.
In più, non sembra essere propriamente la posizione
dottrinale più forte tra tutte. Nondimeno quella dei
Fratelli Musulmani è colma di errori, primo tra tutti
quello di illudere sull'animo degli individui. La
confraternita basa la riuscita dell'Islam sull'ipotesi
che il Mondo veda che esso è la soluzione. Ma
l'autore di questo libro non si sbaglia di certo
smentendo questa teoria: Dio* fa vincere la Sua
Parola* qualunque cosa cada sotto il suo sguardo. A
livello dottrinale, la mia posizione è sostenuta dal
Corano quando dice: wa Huwa Al-Qâhiru fawqa
ʿibâdihi (=ed Egli è Colui che prevale sui Suoi
servi).
Quella del riformismo in tutte le sue forme non
è dunque la linea tracciata dal Corano, né ne segue il
filo logico. Questo si può facilmente dimostrare
mettendo a confronto ciò che il Corano enuncia con
l'enunciato degli islamisti e di altri revisionisti di
ogni tendenza. L'insegnamento dell'Islamismo radi-
cale e tutto il riformismo in genere non corrisponde
a ciò che dicono le Fonti Sacre dell'Islam,
contenutisticamente, legalmente, pedagogicamente e
da qualunque punto le si osservi.
Ad ogni modo, ritrovare il significato originario
delle Fonti sacre dell'Islam è semplice quanto

75
rispettarle. È solo seguendo questa metodica che le
si può leggere e interpretare senza commettere
errori sistematici, grossolani e strutturali.

76
SECONDA PARTE

L'ESEGESI DEVIANTE DEL


CORANO
CONFUTAZIONE DELLE IDEE DI PENSATORI
REVISIONISTI E DELLA PROPAGANDA
RADICALE

77
8. Un esempio paradigmatico di esegesi
deviante: Sayyid Qutb

Sayyid Qutb (1906-1966) è una delle figure più note


all'Islamismo radicale. Diverrà la figura di massimo
rilievo dei Fratelli Musulmani dopo il fondatore
della confraternita, il già citato Hasan Al-Banna. La
sua nascita, vita e attività si svolsero, non a caso, in
Egitto.
Già funzionario del Ministero dell'Istruzione
Pubblica, nel 1948 venne inviato dal governo cairota
negli States, dove, a contatto con la società locale,
prese la via della radicalizzazione.
Dopo un'iniziale adesione alla Rivoluzione dei
Liberi Ufficiali in Egitto nel 1952, Qutb condivise la
persecuzione dei Fratelli Musulmani e venne
imprigionato per molti anni. In carcere scriverà un
commento al Corano e Ma‘âlim fi-t-tarîq (Pietre
miliari o I segnali lungo la via), la sua opera più
influente, nella quale riformulerà i concetti di jihâd e
di jâhiliyya, aprendo la strada alle formulazioni più
estreme dell’islamismo radicale egiziano. Scarcerato
79
nel 1964, Qutb verrà nuovamente arrestato l’anno
dopo con l’accusa di complottare ai danni di Nasser
e infine giustiziato nel 1966 19.
Essendo il mio compito quello di operare una
critica testuale dell'esegesi coranica del radicalismo
musulmano, mi occuperò di rivedere il commentario
al Corano che Qutb scrisse durante la sua prigionia,
tralasciando le altre opere da lui concepite.
Come Qutb giustamente sostiene, la fede
musulmana trascende i limiti della coscienza e
dell'interiorità dell'individuo, trovando espressione
anche nella vita comunitaria come campo d'azione.
Nell'Islam, è noto, per potersi dire sincera, la fede si
traduce immancabilmente in fede, parole e opere –
senza che ciò debba implicare un Ghazaliano
pragmatismo. Detto ciò, Sayyid Qutb si getta
letteralmente agli antipodi di una visione limitativa
della fede, incrementando addirittura le basi di un
integralismo a tutto tondo. Nel suo commentario Fī
zilāl al-Qur’ān (All'ombra del Corano), religione e
politica, sfera pubblica e privata della vita, mondo
spirituale e mondo materiale costituiscono un tutto
armonico in cui viene abolita ogni distinzione.
Nell'integralismo egli individua letteralmente una
via della salvezza collettiva, e il Corano diviene a

19 Cfr. www.treccani.it/enciclopedia/sayyid-qutb_(Dizionario-di-
Storia)/

80
tutto tondo la Costituzione della società islamizzata
ideale. L'educazione e la radicalizzazione vanno così
di pari passo e gli elementi essenziali della
pedagogia islamista andrebbero, infine, applicati a
tutti i livelli della società. Mentre Sayyid Qutb
scrive, i Fratelli Musulmani sospendono la lotta
armata dedicandosi all'esercizio dell'istruzione e del
welfare. Tale stato di cose durerà fino al luglio 2013,
quando l'allora presidente Muhammad Mursi, da
loro eletto, verrà destituito da un movimento di
protesta.
La società, effettivamente schiacciata dalla
miscredenza e dalla corruzione, è sprofondata
nell'epoca buia dell'ignoranza (jâhiliyya). Questo,
per gli storici arabi, rimanderebbe all'epoca
preislamica, che si era conclusa con l'emigrazione
del Profeta* dalla città di Mecca - a lui ostile - a
quella di Medina – pronta ad accoglierlo in buona e
in mala fede - . Qutb sostiene che tutte le Nazioni
arabe siano regredite a questo stadio, e questo è
effettivamente ciò che si è potuto riscontrare. Una
volta sovvertiti, i governi arabi andrebbero sostituiti,
sostiene, con uno Stato musulmano che possieda il
Corano come unica legge e costituzione. La
Sovranità esclusiva di Dio* non permetterebbe
all'Uomo di legiferare alcunché, quand'anche le sue
decisioni non contrastino con i precetti del Corano e

81
della Tradizione orale. Questa concezione della
politica dettata da Qutb presenta notevoli
somiglianze con quella dei kharigiti.
Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhâb imputava le
cause della decadenza attuale del mondo islamico
all'idolatria e al culto dei santi; Rashid Rida la
addossava al mondo delle confraternite; Qutb vede
nel colonialismo culturale dell'Occidente il
principale responsabile. Responsabilità che forse è
da attribuire alla perdita del rispetto delle Fonti
Sacre dell'Islam.
Commentando i verss. 6.16 della Sura II del
Corano, Qutb introduce senza esitazioni il dissidio
contro i nemici dell'islamismo radicale – denominato
semplicemente Islam - . Le tematiche essenziali del
suo commentario si possono così riassumere:
- la fede in un Unico Dio*, estesa a ogni aspetto
della vita individuale e comunitaria, come cemento
unificante della comunità musulmana;
- l'individuazione del nemico nelle fedi diverse
dall'Islamismo e nei governi arabi costituiti,
prendendo a pretesto la cattiva condotta umana e
politica di alcuni gruppi umani, senza fare eccezioni
di sorta al loro interno;
- il rovesciamento di tutti i governi del Mondo,
elevando la legge letterale coranica a unico codice
esistente.

82
Nelle affermazioni propagandistiche ed eversive
di Qutb c'è più di un segno tangibile in base al quale
affermare senza esitazioni che, mentre il Corano
riconosce che Dio* «vi ha creati uomini e donne e
divisi in popoli e tribù affinché vi conosceste a
vicenda» (come recita un versetto della Sura delle
Stanze), la versione radicalizzata dell'Islam possiede
invece connotazioni razziali.
V'è poi più che un riferimento al «martirio», a
cominciare dal paragrafo da Qutb intitolato «Il
sacrificio della propria vita»:

La Sura dice ai Musulmani che, nella lotta per


l’affermazione della verità universale, dovranno
sacrificare le loro vite. Coloro che rischiano la vita
e vanno fuori a combattere, e che sono pronti a
perdere le loro vite per la causa di Dio sono
persone onorabili, pure di cuore e dall’animo
benedetto. Ma la grande sorpresa è che quelli tra
loro che vengono uccisi nella battaglia non sono
considerati morti. Essi continuano a vivere, come
Dio Stesso afferma chiaramente20.

Il primo pensiero va ai membri del sedicente


Islamic State che hanno perso la vita nelle loro
azioni terroristiche, condotte scandalosamente anche
20 Qutb, Sayyid, In the shade of the Qur’ān, translated and
edited by Adil Salahi & Ashur Shamis, The Islamic Foundation,
United Kingdom, 1999. Traduzione a cura dell'autore.

83
contro gli stessi musulmani. Come definire i suoi
jihadisti: gente onorabile? Pura di cuore? Benedetta
nell’animo?
Qutb prosegue:

La Sura continua a mobilitare i credenti verso


la dura e lunga battaglia che hanno di fronte e
accresce la loro comprensione delle cose a venire:

Vi metteremo certamente alla prova con un


po’ di paura e di fame, diminuzione della
ricchezza, delle vite e dei frutti. Ma da’ la buona
novella ai pazienti, coloro che quando li coglie
una calamità dicono: «È ad Allah che
apparteniamo, e a Lui ritorniamo».
[Corano II:155-156]

Le prove fanno parte del processo educativo.


La risolutezza dei credenti nella lotta in nome
della verità e nella sopportazione del processo ogni
volta che essi possono dover essere messi di fronte
alla paura, alla durezza, alla carestia o alla perdita
della vita deve essere rigorosamente testata21.

Nel passaggio appena citato del suo commen-


tario, si ritorna a parlare di radicalizzazione, la cui
estrema concretizzazione è il sacrificio della propria
vita, dopo essere stati pronti a tutto in cambio del
21 Sayyid Qutb, Op. cit.

84
successo della causa dell'Islamismo.
Le motivazioni più profonde di Qutb, se è lecito
chiamarle in questi termini, sono descritte nel
capitolo 10 del commento alla Sura II, frazione che
intitola «Giustizia sociale e pratica del digiuno». La
sua convinzione che il Corano a sé stante possa
rappresentare in modo autonomo la Costituzione di
uno Stato non si muove di un centimetro. Qutb non
vuole ammettere che:
1) è troppo riduttivo e inappropriato descrivere
la legge islamica come fosse un codice composto
dalla legge del taglione pura e semplice a cui vanno
ad aggiungersi disposizioni coraniche testamentarie,
di mutua assistenza ecc.;
2) la legge islamica è di per sé insufficiente a
dirigere uno Stato e va completata con norme e
decreti lasciati alle capacità di chi lo governa,
anziché essere estesa a tutti i casi dell'umano agire in
ogni suo aspetto. Il Corano tace infatti su numerose
questioni, per esempio sul piano amministrativo, di
procedura civile e penale, di diritto internazionale
ecc., lasciando intendere che il ruolo che l'Islam
dovrebbe esercitare non è quello di sistema completo
e integrale. In uno Stato che riconosce la legge
religiosa dell'Islam, ad essa andrebbe sempre
affiancato il diritto positivo in ciò che manca,
anziché fare spregiudicato ricorso all'ijtihâd

85
(Capitolo 2) per completarne il quadro normativo.
A partire dall'enunciato coranico non è infatti
possibile rispondere a quesiti e a esigenze come
queste: che strategia economica bisogna adottare in
alternativa, magari, a globalizzazione e protezioni-
smo? Quale sistema elettorale dovrebbe sostituire,
stando al Corano e la Tradizione, quello utilizzato
negli States, ad esempio? Come si dovrebbero
comportare e come dovrebbero agire le Nazioni del
Mondo? Gli stessi Fratelli Musulmani, di cui Qutb
era esponente di spicco, sono stati capaci di attuare
un efficace piano di sviluppo durante l'ammini-
strazione Mursi? Il taglione puro e semplice degli
islamisti, le poche disposizioni coraniche applicabili
al moderno concetto di welfare, non sono sufficienti
a ottenere maggiore giustizia sociale.
Qutb procede a commentare il vers. II:190 e
segg. parlando delle giuste restrizioni che uno sforzo
bellico dovrebbe rispettare ogni volta che si ricorra
ad esso come mezzo di risoluzione delle
controversie. Nonostante egli confermi il fatto che
l’intera popolazione civile, donne, bambini, anziani
e religiosi, inclusi i luoghi di culto vadano
risparmiati, si possono fare due osservazioni:

1) il jihadismo odierno, che altro non è che la


degenerazione del radicalismo dei tempi di Qutb e di

86
altri autori, non agisce più secondo un’etica che
preveda di non fare vittime civili: tutto è considerato
lecito, a dispetto della stessa dignità umana;
2) la propaganda di Qutb è a scopo eversivo:
l’obiettivo dichiarato è quello di abbattere il sistema
vigente in ogni epoca e in ogni luogo e di sostituirlo
con l’«Islam» concepito come sistema completo e
integrale.

Inoltre, un ennesimo esame del testo lascia


sospettare che Qutb abbia tentato – disgraziatamente
con successo – di internazionalizzare la questione
dei Fratelli Musulmani relativamente all’epoca del
Nasserismo in Egitto, facen dola somigliare un po’
forzatamente alla condizione dei Musulmani di ogni
epoca e di ogni luogo. Dopo il fallimento del
mandato di Muhammad Mursi tra il 2012 e il 2013,
l’ideologia dei Fratelli Musulmani tornerà ad
occupare il ruolo di causa persa assegnatole già da
tempo.
Il paragrafo relativo ai verss. II: 204-214,
intitolato «La vera natura della società islamica»
richiama alla mente una concezione già cara alla
Jamaat-e-Islami di Abu-l-Aʿla Al-Mawdûdî -
pensatore indiano di cui Qutb era debitore - e cioè
che le società musulmane nel loro complesso vadano
mobilitate allo scopo di sovvertire l’ordine costituito

87
e di sostituirlo con uno Stato retto dal dettato
coranico letterale e integrale, da lui ritenuto l’unica
alternativa possibile.
Per brevità faccio a meno di riportare il gruppo
dei versetti coranici così interpretati, ma consiglierei
di confrontarli con la loro «esegesi» proposta da
Qutb, per poter comprendere che detta interpreta-
zione non può essere ad essi applicata se non con
una buona dose di forzatura.
Seguono un capitolo il cui titolo è «Peggiore
dell’omicidio stesso», in cui gli Stati Arabi sono
concepiti come una minaccia alle fondamenta del-
l’Islam per loro stessa struttura e natura, un ulteriore
capitolo dedicato alla «Famiglia, il fondamento della
società umana», nel contesto del quale il ruolo della
donna nella famiglia e nella società è di essere un
mezzo di procreazione e niente più.
Il commento ai verss. 1-120 della Sura III non è
che retorica. Analizzando ulteriori brani del suo
commentario - ad esempio la sua esegesi della Sura
CII - si ha la netta impressione che la Divinità* che
ha rivelato il Corano, non solo, secondo Qutb, ne
abbia fatto scaturire l'ideologia dei Fratelli
Musulmani tredici secoli dopo la Rivelazione; ma, di
conseguenza, il mondo starebbe aspettando la loro
ideologia, vista e concepita quale unica risposta e
unica soluzione a tutti i mali della società e del

88
mondo.
Non c'è da domandarsi se un teorico
dell'ideologia nota al mondo come islamismo o
integralismo islamico sia sincero nell'intento e se,
magari, si trovi nell'errore per pura ignoranza: è
impossibile che non si accorga di mentire chi, della
menzogna, ne getta anche le basi.
Un’ultima analisi di Fī Zilāl Al-Qur’ān o
«All’ombra del Corano» tirerebbe le somme dei
poveri, scialbi fondamenti di un’ideologia debole
quale era quella ideata dalla Fratellanza Musulmana.
Detto commentario trasmette e spiega ben poco del
messaggio del Corano e delle sue verità
fondamentali, e in modo decisamente distorto. Un
qualsivoglia lettore alle prese con Fī Zilāl Al-Qur’ān
termina la lettura senza saperne più di prima. Ci si
sarebbe potuti aspettare di più da un esegeta che,
nella vita, era stato un critico letterario. In sintesi si
può concludere che tale commentario esegetico sia
un testo tutto sommato mediocre, riduttivo, deviante,
grossolano e approssimativo.

89
9. Un teorico della Rivoluzione del '79:
Ali Shari'ati

Dopo aver ampiamente preso in esame l'islamismo


radicale sunnita è più che opportuno dare uno
sguardo anche a quello sciita, non meno politico ed
estremista.
L'ascesa al potere degli ayatollah nel '79 in Iran
ha determinato una fase storica nuova anche per
l'Islamismo sciita: in Iran ci si domanda se il
mahdismo sia ancora una necessità.
Per meglio intendersi: il termine «imam»
possiede, nello sciismo, un significato molto più
esteso che nell'islam sunnita, dove questo termine
designa semplicemente colui che guida una
preghiera comunitaria o, al limite, il fondatore di una
scuola giuridica. Nello sciismo, l'imam è una
personalità, discendente di ‘Ali, nella quale si
perpetua la Profezia dopo la morte di Muhammad.
Di questi, lo sciismo duodecimano (quello al potere
in Iran) ne conta appunto dodici; il dodicesimo e
ultimo di essi è il prescelto, manifestatosi nel IX sec
90
e occultatosi ancora bambino. Quest'ultimo, il mahdi
o «uomo ben guidato» non è dunque morto, e farà la
sua ricomparsa in epoche escatologiche, quando sarà
chiamato a realizzare la giustizia sulla terra. Analoga
figura del mahdi esiste anche nel sunnismo, ma spo-
gliata da tutto il mahdismo e da tutta l'imamologia
sciiti e senza coincidenza con quella dell’imam
«occulto».
Detto ciò, con la presa di potere dei pasdaran e
il rovesciamento di Reza Scià la popolazione
iraniana comincia a domandarsi se il mahdismo,
ovverosia l'attesa del ritorno dello a lungo atteso
imam ben guidato debba ancora perpetuarsi. Molti
sono però consci del fatto lapalissiano che il regime
degli ayatollah non abbia realizzato la giustizia sulla
terra, anzi. La condotta dei nuovi leader è spesso
inesorabile e, per di più, l'instaurazione del loro
governo

è quel che ha fatto Khomeini applicando


nell'Iran rivoluzionario la dottrina del «vicariato
dei giureconsulti»: i giureconsulti sono vicari
dell'imam, e si arrogano le sue prerogative
politiche onde gestire uno stato che, in teoria,
sarebbe sempre e comunque illegittimo in assenza
dell'imam. Siamo forse in questo caso più vicini a
una sorta di teocrazia che però l'islam sunnita,

91
largamente maggioritario, non ha mai conosciuto22.

Questo rimanda alla concezione del ta῾lîm


(Capitolo 2) per la quale il diritto, a livello dei
giudizi dottrinali, è sempre dettato dagli imam del
passato (sette o dodici a seconda della fazione sciita
di riferimento) e, in loro assenza, nessun giudizio
può essere sostituito al loro, indiscutibile e
infallibile.
Nel 1979, la Rivoluzione Iraniana realizza una
delle prime ipotesi di Stato teocratico fondato su
idee islamiste. Le sue premesse sono state simili a
quelle di altri momenti di ascesa di uno Stato
islamista:
1) un precedente governo laico – quello di Reza
Scià - ispirato a modelli europei (si pensi all’attuale
Turchia, la cui adesione all’islamismo dei Fratelli
Musulmani segue a un lungo periodo di sperimen-
tazione del modello Kemalista);
2) repressione dei movimenti islamisti (come
nel caso dell’Egitto, prima e dopo l’ascesa della
Fratellanza) e
3) uso della tortura nelle carceri, il quale ha
generato prevedibili reazioni.

’Ali Shari’ati (1933-1977), teorico della


22Massimo Campanini, Il pensiero islamico contempo-raneo,
Bologna, Il Mulino, 2005.

92
Rivoluzione Iraniana è, secondo il mio parere, un
ennesimo esempio paradigmatico di Islam politico.
Come gli altri intellettuali islamisti militanti ha
ricevuto un’istruzione religiosa, ha proseguito gli
studi in Europa, ha letto le opere di filosofi
occidentali, è stato in carcere, ha scelto la stampa
come veicolo di trasmissione dei principi cari alla
propria utopia e si è dedicato con fervore allo studio
della Storia e della sociologia. Secondo Hamid
Algar, che traccia un profilo della vita e delle idee di
Šari’ati, le motivazioni della sua ideologia sono che

Without ideological change, no profound


change is possible in society, and it is precisely a
profound ideological and intellectual change that
is now needed more than anything else in the fast-
moving, modern world23.

La «teologia della liberazione» da lui professata


denota una «sociologia dell’Unità di Dio»,
contrapposta a una «sociologia del politeismo»,
identificando la fede nell’Unità di Dio attraverso
quella delle masse (an-nās) e il politeismo attraverso
il colonialismo culturale occidentale e le ideologie
rivali all’islamismo.

23 'Ali Shari'ati, On the Sociology of Islam, translated from the


persian by Hamid Algar, 1979, Mizan Press, Berkley (USA),
introduzione, p.29.

93
Tutto il significato della vita è, per il nostro,
rinchiuso in queste sue parole:

Life is conviction and struggle, and nothing


more24.

Per completare il quadro e la prospettiva del


credo (‘aqīda) di Šari’ati è utile esaminare le sue
congetture su Caino e Abele. La loro storia è citata
nel Corano, secondo presupposti direi del tutto
diversi e distanti da quelli attribuitile da Shari'ati.
Secondo la lettura da lui proposta, si tratterebbe di
una allegoria in cui Abele è la figura retorica del
socialismo primitivo e Caino quella del liberismo:

…Within the structure of Abel, it is possible


to have economic socialism […] the pastoral and
hunting mode of production (both existed in the
primitive commune); the industrial mode of
production (in the classes, post-capitalist society)
and even the mode of production […] at the
opposing pole, that of Cain, or economic
monopoly and private ownership […] slavery,
serfdom, feudalism, bourgeoisie, industrial
capitalism and – at its culmination – imperialism,
all belong to the structure of Cain25.

24‘AliŠari‘ati, Op. cit., p.33.


25 Ali Shari'ati, Op. cit.

94
Eppure, dal lato oggettivo il Corano non si
esprime in questi termini, ma dice soltanto ciò che
segue:

E recita loro la storia dei due figli di Adamo,


secondo verità, quando essi offrirono un sacrificio,
e quello dell’uno fu accetto e non fu accetto quello
dell’altro. E questi disse: “io t’ucciderò!” ma il
fratello rispose: “Allah non accetta che il sacrificio
dei pii! E certo se tu stenderai la mano contro di
me per uccidermi, io non stenderò la mia su di te
per ucciderti, perché temo Allah, il Signor del
Creato! Io voglio che tu ti accolli il mio peccato e
il tuo e che tu sia nel Fuoco, che è la ricompensa
degli ingiusti!” E la sua passione lo spinse a
uccidere suo fratello, e lo uccise, e fu tra i perduti.
[…] per questo prescrivemmo ai Figli di Israele
che chiunque ucciderà una persona senza che
questi abbia ucciso un altro o portato la corruzione
sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità
intera. E chiunque avrà salvato una persona sarà
come se avesse salvato l’umanità intera.
[Cor. V:27-32]

Si osservi la totale dissimmetria tra le parole del


Corano e la loro allegorica e marxiana esegesi:
l’Islam politico sopravvive al confronto con le fonti
sacre? È vero Islam quello che manca di rispetto alle
sue Fonti Sacre e nondimeno ai suoi valori umani?

95
10. La nascita di un diritto islamico
europeo: Tariq Ramadan

Il succitato Tariq Ramadan, filosofo, scrittore e


academico svizzero è nato a Ginevra nel 1962. È
risaputo che suo nonno era il fondatore della
confraternita dei Fratelli Musulmani, Hasan Al-
Banna (1906-1949), del quale egli comunque sia non
seguirà le orme, preferendo un approccio
propriamente riformista al fondamentalismo della
Fratellanza. To be an European Musulim è uno dei
testi fondamentali più noti dell'elaborazione
intellettuale di Ramadan; con esso concepisce il
tentativo di fondare un diritto islamico europeo,
riproponendo il binomio tradizione-modernità in
chiave di compromesso.
Gli ulema del periodo classico della religione
Musulmana (610-1492 ca.), avevano, come
giustamente afferma, proposto una rappresentazione
bipolare del Mondo, suddividendolo in due entità:
Dimora della pace (Dar al-Islam) e Dimora della
guerra (Dar al-Harb). Concezioni, queste, che sono
96
certo ormai superate. Ramadan separa il contesto
religioso da quello geopolitico, secondo uno schema
che consente di considerarsi occidentali e
musulmani a un tempo: fin qui, nulla di strano. Il
Corano fornisce più di un riferimento all'universalità
del messaggio dell'Islam; uno in particolare dice:

«Ad Allah appartengono l'oriente e l'occi-


dente, Egli guida chi vuole alla retta via».
[Corano II: 142]

Per il resto, in questo e negli altri testi da lui


scritti e divulgati, regna la solita confusione mentale
del pensatore riformista, ormai divenuta consue-
tudine: il ritorno alle Fonti sacre da un lato e la
riforma religiosa dall'altro, concetti contemporanei e
compresenti nella mentalità riformatrice.
Ramadan conclude che il lavoro svolto dai
fuqahā’ o giuristi dei primi secoli dell'Islam fosse già
in sé teso a ispirare un atteggiamen to volto a
contestualizzare il Corano e la Tradizione, nel quale
sarebbe fissato anche l'obiettivo stesso della legge
religiosa. Qui si potrebbe forse spezzare una lancia a
suo favore: non sempre l'Islam dei primi secoli ha
rispettato le proprie fonti sacre. Le scuole teologiche
islamiche dominanti nel nostro Medio Evo hanno
regolarmente introdotto nel credo (‘aqida) devianze
ed errori nella stessa misura del salafismo/neo-
97
kharigismo.
Ma nella sua trattazione teorica, Ramadan non
offre esempi concreti o dimostrazioni pratiche che
una riforma religiosa sia o sia stata una reale
esigenza. In fin dei conti l'Islam è, come ho già
dimostrato con una citazione tratta dal contesto
sacro, una religione universale, che si adatta da sé ad
ogni esigenza. Dice Ramadan:

Restare ancorati alle prescrizioni stabilite dai


sapienti del IX secolo, per quanto grandi e
rispettabili siano stati, o rifiutare di tener conto
dell'evoluzione storica sarebbe, sicuramente,
tradire gli insegnamenti dell'Islam26.

Non si sa bene, tuttavia, come egli giustifichi e


dimostri questa sua sentenza. Dacché egli cita le
parole dell'imam Ash-Shâtibî, quando sostiene che
«Il mufti27 all'interno della comunità svolge il ruolo
del Profeta», dimenticano entrambi che nessun mufti
può occupare una posizione così importante: solo
l'insegnamento del Profeta* è considerato infallibile.
Non si mette certo in discussione il fatto che un
musulmano possa appartenere a una qualsiasi
26 Tariq Ramadan, Essere musulmano europeo, Troina (En), Città
Aperta Edizioni, 2002, p.130.
27 Il mufti è, nel diritto islamico, colui che esprime un parere
giuridico per mezzo di una fatwa, tutte le volte che tale parere è
richiesto.

98
nazionalità o etnia. Nondimeno si può mettere in
discussione l'obbedienza alle leggi di un Paese in cui
esista libertà di professare l'Islam, si tratti anche di
un Paese occidentale: tutto ciò che lo vieterebbe si
basa su falsi problemi. Il dissidio fondamentale è
piuttosto un altro: il revisionismo rispetta le Fonti
sacre dell'Islam? Esiste reale esigenza di vivere
secondo lo stile di vita altrui? Cosa impedisce di
appropriarsi delle regole dell'Islam, rispettando certo
quelle del contesto sociale in cui si vive, ma senza
reale necessità di adottarne anche le cattive
abitudini? Il vero Islam può forse essere di altra
natura riguardo a ciò che è stato insegnato dall'imam
infallibile in persona? Regge in piedi una tale
affermazione?
Tra le righe di un'altra sua opera, La riforma
radicale. Islam, etica e liberazione, fornisce la sua
esegesi di un noto hadith messo in bocca al Profeta*:

«Dio manderà ogni cento anni a questa


comunità (musulmana) chi le rinnoverà
(yuğaddidu) la religione»... Il rinnovamento della
religione (tağdīd ad-dīn) non comporta ovvia-
mente un cambiamento delle fonti, dei principi e
dei fondamenti dell’islam, ma una novità nella
comprensione della religione e nel modo di
applicarla e di viverla secondo le diverse epoche o
i diversi luoghi... Lo stesso significato si ritrova

99
nel termine «islāh», che compare spesso nel Cora-
no e in alcune tradizioni profetiche (ahādīth) e che
veicola l’idea di miglioramento, risanamento,
riconciliazione, rinnovamento, riparazione e
riforma... Nella nozione di islāh c’è l’idea di
riportare l’elemento in questione (un cuore,
un’intelligenza o una società) allo stato originale
in cui era considerato sano e buono... Le due
nozioni di tağdīd e di islāh traducono quindi
un’unica idea di riforma e sono allo stesso tempo
complementari, perché la prima, per come si
intende correntemente, si riferisce principalmente
(anche se non esclusivamente) alla relazione con i
testi, mentre la seconda riguarda soprattutto la
riforma del contesto umano, spirituale, sociale o
politico...»28.

Il cambiamento e il revisionismo religioso


sarebbe dunque implicito nelle stesse Fonti sacre
dell'Islam fin dal suo periodo docente. Ramadan
trascura moltissimi fattori nella sua contraddittoria e
soggettiva esegesi della tradizione orale succitata,
come questi: se il messaggio, le verità fondamentali,
la legge religiosa e tutti gli elementi concettuali del
Corano e della Tradizione orale non hanno dunque
più valore se non valore contingente e relativo al
contesto storico-sociale in cui si vive; se ciò fosse
28Tariq Ramadan, La riforma radicale. Islam, etica e liberazione,
ed. Rizzoli, 2009.

100
vero, come interpellare la Divinità* per venire a
conoscenza di nuove scritture che illumino in
proposito a tutto ciò che c'è da cambiare? Come
essere certi che le soggettive conclusioni dei
riformatori religiosi siano quelle giuste agli occhi
della Divinità? Come fare a non correre seriamente
il rischio di uscire dal seminato, come è effetti-
vamente accaduto in seno all'Islam?
Se si potesse porre la questione nei termini
suesposti, bisognerebbe immaginare Dio stesso* nel
grottesco intento di inviare all'inizio di ogni secolo a
questa Comunità un uomo il cui compito sarebbe
quello di propagare la bid῾âh o innovazione. Questo
non è certo plausibile.
Sembra tacitamente espresso in tutto il
Riformismo che le verità del Corano non vengano
più considerate come eterne e immutabili come
sono. Ma in questo caso, cosa sarebbe da confermare
e cosa da cambiare nell'interpretazione delle Fonti?
Perché inve-ce non imparare a rispettarle, e a fare
affidamento su ciò che insegnano?

101
CONCLUSIONI

103
11. Il rispetto delle Fonti Sacre

In soldoni, è necessario operare sempre un confronto


tra i Testi Rivelati e la parola del Tale o del Tal'altro.
Esiste, nel Corano, un adagio che si ripete con parole
di questo tipo: «Questo Corano è un invito alla
riflessione per coloro che hanno intelletto».
Il Profeta Muhamad* già predisse la comparsa
delle deviazioni religiose; esse si spiegano dicendo
che, mentre in un Islam rispettoso delle fonti la
metonimica del Corano e della Tradizione orale
sarebbe il più possibile oggettiva, nell'Islamismo
radicale e in ogni altro revisionismo religioso la loro
interpretazione non ha come punto di partenza le
parole dei Testi sacri, ma piuttosto quelle degli
ulema, i dottori della teodicea e del diritto, in base al
secondo schema (n. 2):

105
SCHEMA 1 : ISLAM RISPETTOSO DELLE FONTI

Fonti sacre

Lavoro Interpretazione
dell'esegeta finale

SCHEMA 2: ISLAM REVISIONISTA

Parola degli Fonti


ulema sacre

Interpretazione
finale

Il risultato è che il Corano e la Tradizione non sono


le fonti autentiche degli islamisti e neppure quelle
dei revisionisti di controtendenza. La loro fonte
autentica non è il Corano, non la Tradizione, ma la
parola degli ulema.
È come se l'islamista fosse dunque seguace di
dottrine di uomini. Per dimostrarlo, basta operare

106
confronti.
Per non essere tratti in inganno da un simile
meccanismo è necessario tornare a operare un
rapporto: la parola di giuristi ed esegeti va sempre
confrontata con le prove scritturali (adilla) che
questi riportano dal Corano e dalla Sunna ed
enunciano a riprova delle loro opinioni. Così
facendo si può valutarne la simmetria o dissimmetria
concettuale.
In fin dei conti, seguire le opinioni degli ulema
contemporanei e delle masse senza operare confronti
con i Testi rivelati non è forse anch’esso un esempio
di taqlīd (accettazione passiva)?
Una lettura in chiave soggettiva delle fonti sacre
dell'Islam non può del resto fornire la certezza che
l'interpretazione che ne è frutto sia quella giusta agli
occhi della Divinità. Quello contro il quale scendo in
campo è l'errore sistematico scaturito dalla lettura
soggettiva del Corano e della Sunna.
L'approccio dei pensatori musulmani razionali-
sti del Medio Evo (mi riferisco in modo particolare a
quelli appartenenti alla scuola teologica mu‘tazilita)
tacitamente considerava inutile il Testo Rivelato, la
Verità potendo, ai loro occhi, essere raggiunta in
modo parallelo tramite l'esercizio dell'intelletto. I
filosofi musulmani di marca ellenizzante, «cugini»
dei mu‘taziliti, nelle loro riunioni in pubblico

107
dissertavano su temi religiosi, salvo poi dibattere in
privato su questioni filosofiche. Non è questo
l’atteggiamento da adottare, e questo è certo.
Nondimeno il letteralismo interpretativo, dal
canto suo, non consente di comprendere, dei Testi
Sacri dell'Islam, né il messaggio né il significato
autentici, proprio perché, rifiutando il pensiero
logico induttivo (istidlâl) non ricava un significato
dalle loro parole. Non mi stancherò mai di ribadire
che sul Corano si deve meditare, in maniera
sillogistica o con altra metodica. Per citare le parole
del Corano:

Di’: «Se il mare fosse inchiostro per scrivere


le parole del Signore, s’esaurirebbe il mare prima
che s’esauriscano le parole del Signore, se anche
portassimo un mare nuovo ancora in aiuto».
[Corano XVIII: 109]

Il dissidio fondamentale è che, allorché


l'interpretazione del Corano non si basa più sulla
Parola rivelata ma su criteri soggettivi, è come se il
Corano smarrisca questo valore. Ogni volta che
vengono attribuite al Corano nozioni appartenenti
alle scienze della sociologia, della pedagogia, della
politologia e dell'economia non ci si trova più di
fronte alla Sapienza divina, ma a semplici
osservazioni che possono essere o meno smentite.
108
Ecco cosa intendo quando affermo che il Testo sacro
dell'Islam, da Sapienza divina è stato declassato a
libro da ideologia.
È indispensabile che la lettura del Corano e
della Tradizione riparta dalle Fonti, se necessario
anche dalle nude fonti. Infatti, la Parola divina è
costituita dalla nuda fonte e non da quella già
interpretata. Si possono certo accogliere le
interpretazioni che possiedano base e fondamento,
ma si possono riconoscere solo confrontando le
spiegazioni con le nude fonti, rifiutando quelle che
non corrispondono ad esse dal profilo concettuale. In
questo modo si giunge – a Dio* piacendo - ad una
più corretta interpretazione del Corano e della
Tradizione.
Per chi desideri approfondire lo studio e la
meditazione sui temi trattati nel Corano e nella
Sunna, tale studio e meditazione lo aiutano a
recuperare il vero valore della Sapienza divina in
essi contenuta, purché la loro lettura venga condotta
su base oggettiva. In tal modo, anche a partire da un
solo versetto del Corano si possono ricavare
innumerevoli insegnamenti che traggono ispirazione
dalla Sapienza divina, il «mare profondo» di
Ghazaliana memoria.
Riferisce la Tradizione orale che una sola ora di
meditazione è migliore della preghiera di un anno.

109
12. Il recupero dei valori umani

Accade spesso che un'ideologia esalti la violenza.


Bisogna comprendere la differenza tra Islam e
Islamismo radicale: la prima è una religione, mentre
la seconda è un'ideologia. Benché molti intellettuali
abbiano dissertato sul tema della violenza senza
passare all'azione, non è un mistero il fatto che
nell'Islam politico la violenza non si riduca ad
elaborazione teorica, tutt'altro.
Non so dire se l'Islam politico si possa
sconfiggere nella maniera in cui si fanno fallire le
ideologie. Non so dire se il terrorismo internazionale
possa essere paragonato alla lotta armata in Italia
degli Anni di Piombo, da questo punto di vista.
Certo è che, mentre la Religione rivelata è protetta
per sua natura dalla divinità, le ideologie, poiché di
origine umana, non hanno alcun patrono e quindi
possono essere sconfitte. Ci si può augurare che
l'Islam, dopo di ciò, recuperi la sua vera natura ed
essenza, ovverosia una volta spogliato dai veli di
tutti i revisionismi. Anche questo può favorire una

110
riscoperta del vero valore della Sapienza divina,
attuabile in modo semplice: imparando a leggere con
i propri occhi e non con quelli di terzi.
Del resto, il terrorismo è solo all'apparenza lo
strumento di lotta più efficace. È vero che non si sa
quando, dove e come possa colpire, ma è vero
altrettanto che il terrorismo non ha mai vinto nel
corso della Storia, nemmeno nel contesto della lotta
armata in Italia, come qualcuno ha giustamente
osservato.
Dopo l'auspicabile fine dell'ideologia islamista
radicale e, in un modo o n ell'altro, di tutti i
revisionismi, ciò che rimarrebbe sarebbe il vero
Islam: non quello islamista, e nemmeno quello
riformista o quello di stampo laico, ma un Islam
fondato sul rispetto delle Fonti rivelate, e quindi dei
suoi valori umani.
Valori umani come la pace, l'armonia, la
fratellanza, la giustizia, la misericordia prenderanno
presto o tardi il posto della follia e del pericolo che è
e rappresenta l'Islamismo radicale. Senza l’afferma-
zione di questi valori, questo libro non sarebbe che
una sterile dissertazione su principî e fondamenti.
Forse non è difficile, per un musulmano di
qualunque livello intellettuale, mettere da parte
l'ignoranza delle masse musulmane deviate per
distaccarsi dalle loro ideologie, interpretazioni e

111
false concezioni per incominciare a pensare con la
propria testa.

Domenica, 30 dicembre 2018

112
BIBLIOGRAFIA

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AA.VV.

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Pubblicato insieme al Dipartimento di
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L'autunno delle primavere arabe
Editrice La Scuola, 2013

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Arabia (non solo) Saudita
Roma, Gruppo Editoriale l'Espresso,
pubblicazione mensile del Marzo 2017.

ARTURO VARVELLI
La Libia e l'Italia. Dalla guerra di
conquista del 1911 a oggi
Torino, Edizioni del Capricorno, 2016.

La trasposizione delle tradizioni orali (Ahâdîth)


citati è a cura dell'autore. La traduzione dei versetti
(Ayât) del Corano è sempre dell'autore, per la quale
ha eventualmente consultato quella curata da
Alessandro Bausani, edita dalla BUR.

119
INDICE

Pag. 5 Premessa dell'autore


Pag. 9 PRIMA PARTE: NASCITA E
SVILUPPO DELLE DEVIAZIONI
RELIGIOSE DELL'ISLAM

Pag. 11 1. La grande frattura


Pag. 17 2. La legge religiosa dell'Islam: periodo
docente e periodo formativo
Pag. 33 3. L'inizio del Medio Evo
Pag. 37 4. Premesse storiche e nascita dell'isla-
mismo radicale
Pag. 47 5. Il binomio religione-Stato nel radicali-
smo islamico
Pag. 54 6. Il conflitto tra Fonti sacre dell'Islam e
Islam modernista e riformatore
Pag. 72 7. L'inefficacia dell'islamismo radicale
come ideologia di governo; la sua origine
nell'interpretazione deviante delle Fonti
Sacre dell'Islam.

120
Pag. 77 SECONDA PARTE: L'ESEGESI
DEVIANTE DEL CORANO.
CONFUTAZIONE DELLE IDEE DI
PENSATORI REVISIONISTI E DELLA
PROPAGANDA RADICALE

Pag. 79 8. Un esempio paradigmatico di esegesi


deviante: Sayyid Qutb
Pag. 90 9. Un teorico della Rivoluzione del '79:
Ali Shari'ati
Pag. 96 10. La nascita di un diritto islamico
europeo: Tariq Ramadan

Pag. 103 CONCLUSIONI


Pag. 105 11. Il rispetto delle Fonti Sacre
Pag. 106 SCHEMA 1 : ISLAM RISPETTOSO DELLE
FONTI
Pag. 106 SCHEMA 2: ISLAM REVISIONISTA
Pag. 110 12. Il recupero dei valori umani

Pag. 113 Bibliografia


Pag. 120 Indice

121

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