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C’era una volta l’Economia
 
(di Geminello Alvi, Luigi Veronelli, Giacinto Auriti E ALTRI)
 http://www.signoraggio.com/signoraggio_lafavoladelleconomia.html La favola della moderna economia ha inizio nel 1776, quando
 Adam Smith
, filosofo ed economista scozzese, dà alle stampe il libro:
La Ricchezza delle Nazioni
. Egli osserva che, per favorire il
progresso materiale della società, è possibile ed è necessario rovesciare l’
esortazione cristiana, cioè
l’invito ad abbandonare i propri beni per darli ai poveri, e perseguire invece il profitto personale; perché l’impegno dei singoli individui ad arricchirsi e a migliorare le proprie condizioni materiali si tradurrà,
grazie a quel potente mito della «
mano invisibile
», anche in un vantaggio collettivo. In un’epoca che  vede l’ingresso delle macchine e dei primi automatismi produttivi, Adam Smith si interessa anche dell’organizzazione del lavoro. La manualità, la forza fisica, l’abilità, l’intelligenza organica vengono messe in ombra dalla potenza della macchina a vapore, dalla inesorabile precisione e dall’infaticabile movimento dei congegni meccanici ad essa collegati. Il lavoro dell’uomo entra in simbiosi con quello
della macchina, pertanto si meccanizza e si macchinizza: la sua attività viene scomposta in tante operazioni, ciascuna delle quali assegnata a differenti individui. È il principio della separazione del lavoro, che porterà più tardi al taylorismo, al fordismo o alla catena di montaggio. In altri termini si può dire che per rendere più produttivo un lavoro stupido occorre renderlo ancora più stupido. A un
più alto livello dell’organizzazione industriale, amministrativa e governativa, la separazione del lavoro
prende il nome di specializzazione tecnica, di separazione delle competenze; oggi degenerate nelle  burocrazie statali e in quelle private - altrimenti dette management; dove, spesso, per una sorta di nemesi storica, la mano sinistra non sa quello che fa la destra. Con a
udacia si è ricollegata la nascita della moderna economia all’evoluzione della matematica che, da
sintetica, come sviluppata dai greci, si trasforma, grazie a Cartesio, a Newton e a Leibniz, in analitica, dirigendosi verso lo studio locale delle curve. È l
’inizio del capitalismo.
 
Geminello Alvi:
 
«Scienza newtoniana e capitalismo sono impensabili separati perché ambedue richiedono un  pensiero privo di levità, densificatosi nella costruzione di artifici. [..] Non importa al calcolo mercantile la percezione della vita nella natura, ma piuttosto la sua meccanizzazione.»
 
Le seduzioni
economiche di Faust” (Adelphi, Milano, 1989, p. 48)
 
Il profitto personale, nella filosofia di Adam Smith, va a costituire la natura umana, pertanto il corso della storia economica viene rimodellato su questo pregiudizio, nonostante che ricerche etnologiche e
 
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antropologiche indicassero il contrario, ponendo invece in risalto la natura sociale, collettivistica e altr
uistica dell’organizzazione della vita dell’uomo.
 
Invece Adam Smith, mistificando il passato, mette un’ipoteca sul futuro; perché, come avviene con lo iettatore di Pirandello, l’uomo e la società si dovranno adeguare a quella perversa filosofia. L’entrata
in campo della moderna economia è accompagnata da nuovi concetti, e anche dalla trasformazione di
 vecchi termini: i bisogni dell’uomo, la scarsità, il lavoro, il mercato, lo scambio, il capitale, i mezzi scarsi,
i mezzi di produzione, la libera concorrenza. Parole e locuzioni apparentemente neutre, ma che pervertiranno la mente e il pensiero. Ne riparleremo alla fine di questa grottesca favola.
La rivoluzione industriale e l’organizzazione capitalistica inondano la società di merci, di prodotti in
serie; la società, sommersa dalla produzione materiale, non riesce più a relazionarsi e a dialogare con lo spazio e il
territorio, inizia quindi la graduale scomparsa dell’architettura e dell’urbanistica, del
paesaggio urbano e rurale. Strade e piazze, case e palazzi vengono sacrificati alla misura e alla quantificazione delle aree e delle cubature. Non sarà più possibile, per una nazione e per un popolo,
concepire e realizzare progetti che lasceranno un’impronta nel territorio, duraturi nel tempo; come le
città imperiali romane, il romanico dei comuni, il rinascimento delle signorie, il barocco dei papi. Nuovi e amorfi materiali da costruzione vengono depositati e spalmati, a formare una crosta di cemento e asfalto che caratterizza il territorio urbano moderno. Oggi
l’architettura e l’urbanistica sono diventati sterili esercizi stilistici, degli assolo del designer attore senza più rapporto con l’ambiente, il territorio, la cultura e l’arte. Con la morte dell’architettura, cioè sin dalla rivoluzione industriale
- anc
he l’arte, la
letteratura e la scienza hanno soltanto il compito di servire come una pelle artificiale di aspetto giovanile, che contribuisce a tenere saldamente insieme lo scheletro, in dissoluzione, del tempo. Nasce, con il capitalismo, il concetto della creazione artistica, nasce quel personaggio avulso
dall’ambiente in cui vive, una sorta
 di alterità in una società dedita alla produzione materiale. In altre epoche, invece, il fatto di dipingere, di scolpire, di suonare era connaturato e consustanziale al proprio ambiente, pertanto non ci si curava di firmare le proprie opere.
Federico Zeri
, giustamente, si
rammaricherà di avere indugiato nell’esercizio dell’attribuzionismo seguendo gli insegnamenti del
positivista
Giovanni Morelli
, invece di porre l’atte
nzione allo studio delle condizioni in cui le opere  venivano prodotte.
Comunque Adam Smith vive un’epoca di ottimismo, la sua filosofia celebra il progresso e la ricchezza ormai alla portata di tutti; per converso la storia celebra l’opera e l’autore, che
entrano così nel mito. Sembra che nulla possa ostacolare le sorti progressiste della nuova società. E invece no, la società della
disperazione è dietro l’angolo: l’ambiente contadino, con la sua frugalità e umanità, presto si trasforma
in quel paesaggio della prima industrializzazione inglese, che molti romanzieri dipingono come un
 
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abisso di abiezione: con l’abbrutimento della persona e dell’ambiente, coi lavoratori sfruttati e
 violentati, coi bambini in miniera, con la miseria senza speranza. Si assiste, per la prima volta nella storia, anche a una stridente contraddizione: una produzione di beni materiali senza precedenti per quantità, e una condizione umana sotto la sussistenza. Si pensa però che questa debba essere la condizione umana da sempre. E così,
sempre nell’Inghilterra povera di storia,
un ecclesiastico, il reverendo
 Robert Malthus
, sentendosi chiamato a spiegare lo stato delle cose, dà inizio alla filosofia della disperazione. Egli giustifica candidamente lo status quo in quanto è necessario che gli uomini restino nella miseria, perché è la condizione e lo sprone affinché essi siano costretti a lavorare. Non bisogna dare loro niente oltre lo stretto necessario, perché essi per natura sono incapaci di gestire il di più. Non a tutti piace la spiegazione. Non piace agli utopisti:
Proudhon
,
Fourier
,
Owen
; la spiegazione non piace soprattutto a un ricco borghese,
Karl Marx
, che denuncia un fatto ovvio: che il ricco più
ricco ruba al povero più povero, e lo deruba attraverso l’appropriazione di una quota
 parte del suo lavoro, il
plus valore
, che va a costituire i mezzi di produzione, il cosiddetto capitale, dei datori di
lavoro. Marx fa anche notare che, nel processo di appropriazione, c’è il rischio di giungere al fondo della
pentola, quando non ci sarà più niente da rubare: il lavoratore, che ha prodotto il capitale di cui necessita il padrone per costituire il sistema produttivo, non serve più perché verrà sostituito da questo; si verificherà quindi quel fenomeno che i tecnici definiscono come «la riduzione tendenziale del saggio di profitto»: il fuoco, bruciando, esaurisce il proprio combustibile. Marx predice allora la crisi del capitalismo, e dalla polvere della sua rovinosa caduta sorgerà il sol
dell’avvenire, il comunismo.
 Come il suo antagonista virtuale, Adam Smith, anche Marx, quando divide la società in classi in lotta fra loro, effettua una forzatura e una distorsione della storia e della società a proprio uso e mal uso
. Introduce il sentimento dell’
odio di classe
; un odio spesso consumato
all’i
nterno della propria classe, dalla spocchia del ceto intellettuale nei confronti degli operai che si
sente chiamato a difendere. Notevole e affascinante è l’analisi di Marx riguardo ai connotati che gli
oggetti assumono nel mondo capitalistico: non più aventi valore di uso, bensì ridotti a valore di scambio. È la cosiddetta reificazione: qualsiasi cosa viene ad assumere un carattere materiale con un prezzo.
Da qui si eleva un formidabile edificio sociologico, pari all’altro che più tardi
 
Sigmund Freud
 erigerà
sulla psiche e sull’inconscio. Al contrario di Marx, che interpreta la crisi della società in quanto determinata da forze esterne al singolo, Freud si concentra sui conflitti dell’uomo con se stesso. Ancora
oggi vi sono circoli dove intellettuali di rar
a raffinatezza combinano l’analisi marxiana con quella freudiana, e hanno la pretesa di spiegare la struttura del mondo e dell’uomo a tutti gli uomini e al
mondo intero. Possono realmente apprezzare il genio di Marx e di Freud soltanto coloro che vedono

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